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Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 1
Microbiologia
La microbiologia è la scienza che si occupa di tutti gli organismi molto piccoli che non si possono
vedere ad occhio nudo. Studia le forme di vita che sono state individuabili quando siamo stati in grado
di incrementare il nostro potere risolutivo mediante la microscopia.
Qui potete vedere le dimensioni di una nostra cellula eucariota rispetto alla dimensione di un batterio
(ad organizzazione procariota), un virus o un lievito – un lievito ha la stessa organizzazione cellulare
delle nostre cellule, cioè è un eucariota, tuttavia è molto più piccolo.
I microrganismi si trovano dappertutto, nelle acque, nel
suolo. In un grammo di terreno possiamo trovare fino a
10-9 microrganismi. La microbiologia medica si occupa di
studiare questi organismi, in particolare:
- Batteri;
- Virus;
- Miceti.
Si occupa di identificare gli agenti eziologici delle malattie
da infezione e di quale sia la nostra risposta a questi
agenti di infezioni ed i metodi di controllo per contenere
le patologie infettive.
Il nostro corpo è ampiamente colonizzato da questi
microrganismi tanto che il numero delle loro cellule è
nettamente superiore al numero delle nostre cellule:
l’uomo è ormai considerato un super-organismo ibrido. Il suo genoma è considerato la somma dei geni
dei microrganismi più i nostri geni. Il potere codificante del genoma microbico è cento volte superiore
rispetto al potere codificante dei nostri geni. Alcuni di questi microrganismi si possono moltiplicare
nei nostri tessuti senza provocare nessun tipo di danno, altri invece –che vengono definiti patogeni-
possono causare dei processi morbosi, diversi a seconda dei microrganismi considerati.
In realtà questa distinzione tra microrganismo commensale e patogeno non è mai così netta perché
bisogna sempre considerare il contesto in cui si osserva una certa situazione: immaginiamo ad
esempio che un microrganismo che colonizza il nostro intestino casualmente si ritrovi in una zona,
come può essere la vescica, in cui non vi è coesistenza con microbi – abbiamo delle zone che sono
normalmente colonizzate, le quali sono tutte le nostre superfici con cui comunichiamo con l’esterno, la
cute e le mucose e delle zone in cui questa coesistenza non c’è. Quando quindi un microrganismo che
sta in queste zone normalmente colonizzate e lo tolleriamo come sistema immunitario si viene a
trovare in una zona non normalmente colonizzata, il nostro sistema immunitario lo attacca come se
fosse patogeno dunque un commensale fuori dal suo contesto diventa patogeno, è un patogeno
opportunista.
Batteri
Sono i microrganismi più numerosi e studiati. Hanno un’organizzazione cellulare di tipo procariota che
li distingue molto dalle cellule eucariote per tutta una serie di fattori struttura. Come vengono
classificati? Normalmente siamo abituati a parlare di specie rispetto agli organismi superiori. Diciamo
che due individui fanno parte di una stessa specie quando sono in grado di riprodursi sessualmente e
dar luogo ad una prole feconda. La specie è quindi una popolazione di individui inter-fecondabili. I
batteri non si riproducono mai sessualmente quindi noi utilizziamo sempre la nomenclatura di specie,
genere e famiglia, ma ci basiamo, per raggrupparli, sempre su somiglianze morfologiche, biochimiche,
nelle reazioni che possono fare o non fare quindi sulla base di caratteri che hanno un ordine
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 2
gerarchico. Alcuni caratteri definiscono grandi famiglie, all’interno delle quali individueremo caratteri
che distinguono il genere, all’interno del genere dei caratteri che definiscono la specie. Si tratta quindi
di caratteri morfologici, metabolici, fisiologici in base alla quale si classificano i batteri. Con l’avvento
della biologia molecolare abbiamo oggi una classificazione su base genetica fatta comparando le
sequenze degli acidi nucleici e raggruppando le specie in base alle somiglianze di sequenza
nucleotidica. Si dice che due batteri fanno parte della stessa specie se le loro sequenze nucleotidiche si
assomigliano per l’80%. Ciò ci permette di dare maggior peso a quella classificazione che era stata fatta
in modo artificiale.
Lo schema classificativo più seguito Bergey’s Manual of Systematic Bacteriology. I batteri sono
raggruppati in:
Specie
Generi
Famiglie
Ordini
in base alla comunanza di caratteri ordinati gerarchicamente. Esiste un ordine gerarchico di
importanza dei caratteri che vengono presi in considerazione, e sulla base di questo ordine vengono
definiti gli ordini, le famiglie, i generi e le specie.
Nel 1886 Ernest Haekel (allievo di Darwin ) propose per i microrganismi, un nuovo regno detto
REGNO PROTISTA ( dal greco primo regno o primitivo ). Raggruppa le forme microbiche unicellulari
come i batteri alghe e alcuni funghi ( lieviti ). Nel regno protista abbiamo quindi queste forme
microbiche che possono avere o un’organizzazione eucariote o procariote. Da qui restano fuori altri
microrganismi, i virus, che sono costituiti esclusivamente da acido nucleico e proteine. Sono parassiti
endocellulari obbligati poiché non sono in grado di moltiplicarsi se non entro un sistema cellulare
ospite. La microbiologia si occupa quindi di:
Microrganismi eucarioti (protozoi, funghi e alghe)
Microrganismi procarioti (batteri, clamidie e rickettsie e micoplasmi)
Agenti infettanti subcellulari (virus e prioni).
La cellula eucariota ha una membrana nucleare, quindi il suo materiale genetico è raccolto in un
nucleo, mentre nella cellula procariota il materiale genetico è immerso nel citoplasma e non è
racchiuso da alcun nucleo.
Uno dei primi caratteri che si osservano nella classificazione dei batteri è la forma:
Cocco: sferico;
Bacilli;
Spirilli
Vibrioni.
Altre classificazioni si basano invece sulla colorazione: un certo signor Gram ha inventato una
colorazione per evidenziare le cellule batteriche. In base a questa colorazione – che utilizza due
coloranti in tempi successivi, alcuni batteri si colorano con il primo colorante, altri con il secondo ergo
i batteri si dividono in Gram+ e Gram-.
Un’altra classificazione si basa sul diverso rapporto che hanno i batteri con l’ossigeno. Ci sono gli
aerobi obbligati, anaerobi obbligati che non tollerano l’ossigeno e non ne hanno bisogno e gli aerobi e
gli anerobi facoltativi che possono crescere indifferentemente in presenza o in assenza di ossigeno. Tra
aerobi obbligati e anerobi obbligati cambia il metabolismo.
Ci sono i batteri autotrofi, che utilizzano sostanze organiche semplici e gli eterotrofi che sono quelli di
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interesse medico che traggono la loro energia da sostanza organica preformata.
Abbiamo poi le caratteristiche biochimiche, ovvero la possibilità o meno di utilizzare certe sostanze, se
sono o meno mobili (alcuni hanno flagelli) e ancora il fatto che alcuni batteri possono fare delle spore.
Ciò permette di suddividere i batteri in sporigeni ed asporigeni.
I cocchi hanno una forma sferica e, dopo la divisione, si possono raggruppare e formare dei diplococchi
(raggruppati a due a due) o streptococchi. Gli streptococchi sono un genere (il genere streptococcus)
ed una delle sue caratteristiche è avere cocchi Gram + che si dividono sempre secondo lo stesso piano.
Dividendosi sempre secondo lo stesso piano, formano delle catenelle la cui formazione è un carattere
che caratterizza il genere streptococcus.
Possono formare delle tetradi, ovvero uniti a quattro oppure, un altro modo di restare raggruppati è
formare dei grappoli e ciò accade nel genere degli stafilococchi poiché gli stafilococchi, che sono
sempre dei cocchi Gram+ non si
dividono sempre secondo lo
stesso piano ma secondo piani
casuali.
Vediamo poi la forma
bastoncellare, i bacilli che si
dividono secondo un unico piano
producendo dei raggruppamenti
che sono streptobacilli e
coccobacilli.
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Poi abbiamo gli spirilli e possiamo avere:
Vibrio;
Spirillum;
Spirochete
Struttura della cellula batterica
Questa è la schematizzazione di una cellula procariota. Osserviamo materiale genetico – solitamente si
tratta di un’unica molecola di DNA, direttamente immerso nel citoplasma, possiamo osservare dei
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corpi inclusi che sono ad esempio materiale di riserva, ribosomi e tutto è racchiuso da una membrana
citoplasmatica costituita da un doppio strato fosfolipidico simmetrico. All’esterno di questa membrana
citoplasmatica i batteri hanno un’altra struttura, la parete cellulare. All’esterno della parete cellulare
alcuni batteri (in particolare i Gram-) hanno anche un’altra struttura che si chiama membrana esterna
che è formata da un doppio strato non proprio fosfolipidico e non simmetrico. Ci sono poi una serie di
strutture che vengono dette accessorie poiché il batterio può averle o meno: fimbrie, pili, flagelli
deputate all’adesione o al movimento.
Struttura e materiali all’interno della cellula:
Citoplasma: è composto all’80% da acqua, acidi nucleici (DNA o RNA) enzimi e aminoacidi, carboidrati,
lipidi, ioni inorganici e molti diversi composti a basso peso molecolare. E’ la sede dove avviene la
maggior parte del metabolismo batterico.
Nei batteri che respirano la catena di citocromi che normalmente in una cellula eucariota troviamo nei
mitocondri, si trova nella membrana citoplasmatica quindi hanno i citocromi inseriti all’interno della
membrana citoplasmatica.
Il patrimonio genetico dei batteri è costituito da un’unica molecola di DNA, circolare e super-avvolta.
Possono esserci delle eccezioni (il vibrio colerae ha 2 cromosomi e Agrobacterium e Streptomyces
hanno cromosoma lineare). Ha mediamente 3-6 x 10^6 bp, un peso molecolare di ± 2-4 x 10^9 Da ed
una lunghezza di 1,1 mm se distesa. I batteri tuttavia oltre a questa molecola di DNA hanno anche il
DNA extracromosomico o anche detto plasmide. Non sono posseduti da tutti i batteri ed hanno una
vita autonoma rispetto al cromosoma batterico: possono integrarsi anche con il cromosoma batterico e
staccarsene. Portano dei geni non così fondamentali alla sopravvivenza del batterio (nel senso che se
un batterio perde un plasmide non muore). La loro funzionalità dipende tuttavia dal contesto. La
cellula batterica, poiché trattenga un plasmide al suo interno, deve trovarsi in un certo ambiente. Se il
plasmide ha dei geni che servono a sopravvivere ad un certo ambiente, la cellula lo tiene, altrimenti
tendono a perderlo. Mantenere un plasmide che porta geni inutili è uno spreco di energia quindi lo
mantiene solo se porta i geni che codificano per caratteri che occorrono per sopravvivere in quel
determinato ambiente.
Sempre nel citoplasma troviamo i ribosomi, molto simili a quelli degli eucarioti, ma molto più piccoli.
Un Batterio tipico può possedere circa 15000 ribosomi. Sappiamo che sono la sede della sintesi
proteica.
Membrana citoplasmatica: è molto importante per i batteri poiché:
Sede di scambi con l’esterno;
Sede degli enzimi correlati con la catena respiratoria
Partecipa ad alcuni processi di biosintesi come: sintesi parete cellulare
Regola in parte la replicazione del DNA
TRASPORTO
Esistono diversi meccanismi con cui la cellula batterica fa entrare e uscire le diverse sostanze.
Trasporto passivo: avviene in virtù di un gradiente di concentrazione solo per l’acqua e poche
altre sostanze
Trasporto attivo: necessita di proteine di membrana che fungono da carrier (trasportatori),
richiede il consumo di ATP consente di accumulare sostanze anche contro il gradiente di
concentrazione.
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Nello strato fosfolipidico troviamo immersi i citocromi. Osserviamo inoltre la simmetria del doppio
strato che si perde nella parete esterna dei batteri Gram-.
La parete cellulare
La parete cellulare è una struttura caratteristica dei batteri. Abbiamo parlato della colorazione che ci
permette di suddividere i batteri in Gram+ e Gram-. Come funziona la colorazione? Fisso il batterio sul
vetrino con il calore, aggiungo il primo colorante (blu, violetto), lo faccio agire e poi lo lavo via con
acqua ed alcol quindi aggiungo un secondo colorante, che di solito è un rosso. Anche in questo caso
lascio agire e lavo via con sola acqua. Vado ad osservare e vedo che alcuni batteri hanno preso il primo
colorante e l’hanno trattenuto e sono viola, e sono i Gram+, altri batteri hanno perso il primo colorante
ed hanno dato spazio al secondo colorante rosso, e sono i Gram-. [I batteri vengono dapprima trattati
con cristal-violetto e poi con una soluzione iodo-iodurata (liquido di Lugol); quindi decolorati con
alcool etilico o acetone e ricolorati con un colorante diverso dal primo (fucsina). Quelli che cedono il
primo colore sono detti Gram-negativi (Gram -), quelli che lo trattengono Gram-positivi (Gram +)].
Tale differenza è dovuta alla differente parete cellulare poiché il colorante si va a mettere nella parete
cellulare. Che differenza c’è quindi tra la parete cellulare dei batteri gram+ e gram-? Per tutte e due le
specie la parete cellulare è:
Struttura rigida che dà forma alla cellula
10-40% del peso secco cellulare
Essenziale per accrescimento e divisione
Protegge da stress osmotico e meccanico (una cellula batterica senza parete cellulare implode
o esplode a seconda della pressione esterna, se è maggiore o minore della sua pressione
interna mentre se è protetta dalla parete cellulare questo non accade).
La parete cellulare è
costituita da una sostanza
che si chiama
peptidoglicano costituito da
lunghe catene
polisaccaridiche in cui si
alternano residui di acido
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n-acetilmuramico e n-acetil-glucosammina. Si alternano questi residui. Queste catene sono collegate
tra di loro da corti peptidi, di 4-5 amminoacidi. Così si crea questa struttura rigida, ma abbastanza
elastica che avvolge la cellula batterica. Questa è la schematizzazione della parete cellulare di una
cellula batterica Gram+:
Abbiamo il doppio strato fosfolipidico, un piccolo spazio detto spazio periplasmico ed il
peptidoglicano, disposto in uno spazio. All’interno del peptidoglicano possono essere immerse queste
sostanze come l’acido lipoteicoico, l’acido teicoico o teicouronico che sono tutte sostanze con carattere
antigene ovvero stimolano il sistema immunitario a produrre anticorpi. E’ un antigene, l’antigene è
qualcosa che stimola l’anticorpo. Questa invece è la struttura dei Gram-
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Ripartiamo dal citoplasma. Abbiamo la membrana costituita da un doppio strato fosfolipidico
simmetrico, un grande spazio periplasmico ed un peptidoglicano sottilissimo quindi questi batteri
quando lavo con acqua ed alcol il primo colorante perdono il colorante e lasciano quindi lo spazio per
far entrare il secondo colorante mentre i gram+ con questo strato grosso, non lo perdono il colorante e
non lasciano lo spazio per far entrare il secondo. I gram- dall’esterno hanno invece questa struttura
che è una membrana esterna costituita da un doppio strato non simmetrico: c’è un sostrato di
fosfolipidi sotto, e sopra un altro strato che nel suo insieme si chiama lipopolisaccaride. Il LPS è fatto a
sua volta di tre parti:
- Lipide A, parte lipidica che è quella che poggia sullo strato fosfolipidico sottostante;
- Core Polisaccaridico, costituito da cinque zuccheri che sono sempre gli stessi, qualsiasi sia il
batterio gram- che porta il LPS.
- Antigene O: lunghe catene polisaccaridiche che sono specie specifiche ovvero sono diverse a
seconda della specie gram- che osservo e si chiama anche l’Antigene O dei batteri gram-. Tutti i
batteri gram- hanno sulla loro superficie l’Antigene O che è quello legato al LPS che è a sua
volta legato alla membrana esterna.
La membrana esterna è formata da un doppio strato non simmetrico, uno strato di fosfolipidi sotto e
sopra di lipopolisaccaride, fatto di tre parti: il lipide A, il core polisaccaridico e l’antigene (O)
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Il lipide A è una parte molto importante perché è l’endotossina dei batteri gram-. Vedremo che i batteri
possono produrre delle tossine che si dividono in esotossine ed endotossine. Le endotossine sono
appannaggio esclusivamente dei gram- perché l’endotossina è il lipide A.
Strutture accessorie:
Flagelli
Servono a far muovere la cellula batterica. Sono fatti di proteine chiamate flagellina, originano da un
corpuscolo basale all’interno della cellula. Il movimento richiede il consumo di energia. Il batterio si
può muovere secondo stimoli che possono essere chimici o luminosi e il flagello permette di avere un
movimento rotatorio quando è uno solo. Il flagello ha anche un carattere antigene, è l’antigene H. I
batteri flagellati sulla loro superficie hanno anche antigene H.
Pili
Sono delle proteine anch’esse con proprietà antigenica. Sono più piccole dei flagelli, tubulari, cavi e ne
esistono due tipi:
- Pili di adesione che fanno aderire i batteri a varie superfici;
- Pili sessuali: i batteri anche se non si riproducono in maniera sessuata, hanno dei meccanismi
attraverso i quali si scambiano materiale genetico e uno di questi meccanismi è mediato dai pili
che, essendo strutture cave, mettono in comunicazione due batteri e permettono il passaggio
del materiale genetico da un batterio all’altro (coniugazione).
I pili di adesione sono molto importanti perché permettono ai batteri di aderire alle nostre mucose. Ad
esempio, alcune varianti di escherichia coli hanno dei pili particolari che permettono loro di aderire in
zone dove normalmente l’escherichia coli non sta. Ci sono infatti alcune varianti di escherichia coli,
denominate ceppi uropatogeni, che sono quelli che provocano cistite, che, se riescono ad arrivare nella
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vescica, non vengono lavati via dall’urina, ma avendo questi pili particolari riescono ad aderire alle
mucose della vescica e questo fa sì che crescano, formino colonie e noi abbiamo la cistite quindi il pilo
può essere anche considerato un fattore di virulenza: dipende sempre dal contesto nel quale lo
osserviamo.
Fimbrie
Sono strutture adesive che permettono di aderire alle superfici. Sono più piccole e sottili e non sono
cave. Permettono anche l’aggregarsi dei batteri tra di loro.
Capsula
È una struttura di natura polisaccaridica che il batterio stesso secerne e di cui si ricopre. Questa
struttura normalmente è fatta di sostanze che sono uguali a quelle dell’ospite in cui vive il batterio.
Tutti gli antigeni che stimolerebbero il nostro sistema a combattere il batterio non li vediamo perché il
batterio si ricopre di questa capsula.
Questi sono batteri evidenziati con inchiostro di china, questa colorazione è negativa cioè colora tutto
tranne quello che vogliamo evidenziare, in questo caso le capsule. Quindi abbiamo un involucro
mucoso di natura polisaccaridica con capacità di adesione alle superfici mucose dell’ospite oltre ad
essere collegato alla virulenza di un microrganismo attraverso fenomeni anti-fagocitari: il batterio è
coperto da questa capsula che non viene riconosciuta dai fagociti e dai macrofagi. Normalmente la
prima risposta immunitaria è rappresentata dall’arrivo dei macrofagi fagociti che in questo caso non
viene attivata. C’è anche un altro strato compreso dalla capsula che si chiama strato S. Questo ha anche
delle proteine oltre agli zuccheri e partecipa nei fenomeni di adesione.
GLICOCALICE
È una struttura molto
importante in ambito
ospedaliero. E’ fatta di
fibrille polisaccaridiche,
ma non solo [c’è un po’ di
tutto là in mezzo].
Un batterio arriva su una
superficie che può essere
una massa mucosa oppure
una protesi. Se la protesi si
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infetta (l’epidermide è un forte produttore di biofilm). Questo batterio secerne questa struttura e gli
altri batteri crescono all’interno di questa struttura detto macino. Ogni tanto gli strati superiori si
staccano e vanno in circolo. Pensiamo ad un paziente con un protesi infetta che avrà un picco febbrile,
in quanto ha i batteri in circolo, noi rispondiamo prontamente con una terapia antibiotica. Tutti i
batteri in circolo vengono eliminati, ma non viene eliminato il biofilm che continua a crescere. L’unico
modo è cambiare la protesi. I biofilm si formano sui cateteri, su tantissimi dispositivi che utilizziamo in
ospedale.
Spore
Tra i vari criteri di classificazione dei batteri c’è anche il fatto che alcuni batteri sono in grado di
formare delle spore. Le spore sono una forma di resistenza in cui il batterio si trasforma quando le
condizioni all’esterno non sono favorevoli alla sua forma vegetativa. In tal caso arrivano dei segnali
chimici all’interno della cellula per cui la cellula silenzia tutti i geni che normalmente sono espressi
quando conduce una vita di tipo vegetativo e attiva una serie di geni che servono alla sua vita
sporadica, che come vedremo è una vita quasi di letargo. Il batterio ha in questo stato attività
metabolica nulla e vi sopravvive per anni finché non sente che le condizioni esterne sono ritornate
favorevoli. Da un punto di vista medico di interesse sono due grossi gruppi:
- Bacillus;
- Clostridium
Sono due bacilli Gram+ entrambi. I bacilli sono aerobi ed anerobi facoltativi mentre i clostridi sono
anerobi obbligati.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 12
Caratteristiche delle spore:
Scarse attività enzimatiche
Biosintesi assenti
Consumo di ossigeno assente
Resistente alla penetrazione di sostanze, impermeabilità
Meno ricca di acqua
Resistente all’essiccamento
Resistente agli UV
Resistente al calore
In questo stato di letargo sopravvive anni
I normali processi di sterilizzazione non uccidono le spore.
Quando le condizioni ritornano favorevoli, ritornano nella loro forma vegetativa. La prima cosa che fa
un organismo quando sente stimoli negativi, è duplicare la propria molecola di DNA. Le due molecole
si vanno a porre ai due poli della cellula. La cellula poi, che se si stesse dividendo in maniera normale
produrrebbe un setto al centro, invece forma un setto da un lato, divide in modo non uguale le due
cellule. Una di queste due cellule comincia a depositare al suo esterno tutta una serie di involucri che
sono quelli che proteggono questa cellula che nel frattempo ha perso acqua e prodotto nuove sostanze
–come ad esempio il dipocolinato di calcio, tutto questo fa si che sia protetto da calore e altre sostanze
tossiche.
Schematicamente abbiamo:
Il materiale genetico ed una
serie di strati:
- Uno strato di acido
dipicolinico, che si chiama
cortex;
- Rivestimento interno
ed esterno fatto da proteine
che hanno molti residui di
cisteina quindi formano molti
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 13
ponti disolfuro;
- Esosporio: principalmente fatto di fosfolipidi.
Tutti questi strati formano la spora resistente ed altamente impermeabile alle sostanze
esterne. La corteccia è fatta di peptidoglicano, ci possono essere acido dipicolonico (
caratteristico della spora ) e ioni calcio che sembra che stabilizzino
la struttura;
• coats, due strati interno ed esterno: proteine ricche di ponti disolfuro, lipidi e a volte
peptidoglicano;
• Esosporio: sottile membrana costituita da fosfolipidi e acidi teicoici
I gram+ nella loro parete cellulare hanno immersi gli acidi teicoici. Alcune spore hanno un diametro
più grande della cellula vegetativa, altri batteri hanno invece la spora dello stesso diametro, come nel
caso del bacillus antracis.
Metabolismo batterico
Il metabolismo è diviso in catabolismo ed anabolismo. Catabolismo sono tutte le reazioni che portano
alla rottura delle macromolecole con liberazione di energia. Quando si parla di anabolismo, reazioni di
sintesi, si parla di reazioni che richiedono energia. E’ possibile dividere i batteri in due grandi gruppi
rispetto al metabolismo:
- Autotrofi: come i vegetali sintetizzano le molecole organiche partendo da composti inorganici
(luce, come i batteri fotosintetici e Co2)
- Eterotrofi: possono solo metabolizzare composti organici già sintetizzati. I batteri di interesse
medico sono tutti eterotrofi.
Nell’ambito degli eterotrofi distinguiamo:
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 14
- Saprofiti: ottengono cibo dalla materia animale o vegetale in decomposizione;
- Parassiti: utilizzano il metabolismo di altri animali.
Gli autotrofi sintetizzano i propri costituenti utilizzando sostanze inorganiche e sono divisi in:
- Fotoautotrofi: utilizzano l’energia luminosa;
- Chemio-autotrofi: utilizzano l’energia immagazzinata in composti inorganici (es. batteri
nitrificanti).
Per quello che riguarda la vita saprofitica o parassitaria, la maggior parte dei batteri ha una vita
saprofitica. I parassiti a sua volta si dividono in:
- Facoltativi: gli stessi batteri possono vivere anche da saprofiti;
- Obbligati: la moltiplicazione batterica è legata all’organismo ospite.
Gli eterotrofi preferenzialmente utilizzano gli zuccheri che vengono ossidati attraverso due vie:
- Fermentazione;
- Respirazione.
I batteri o fermentano o respirano. Il fatto che fermentino o respirino dipende dal rapporto che i
batteri hanno con l’ossigeno. I batteri aerobi obbligati crescono solo in presenza di ossigeno, non
fermentano mai e quando vengono coltivati in laboratorio sono facilitati se le colture sono agitate
spesso. Attuano la fosforilazione ossidativa.
Le macromolecole organiche vengono scisse in monomeri che a loro volta vengono scissi in prodotti a
basso peso molecolare e l’energia viene trasferita per creare legami ad alta energia nell’ATP. I batteri
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 15
fanno la fosforilazione ossidativa con i citocromi inseriti all’interno della membrana citoplasmatica,
unica struttura all’interno della cellula batterica che permette di ordinare, secondo una sequenza ben
specifica, queste molecole.
Gli anaerobi obbligati sono microrganismi che possono vivere solo in assenza di ossigeno. Nell’ambito
dei batteri anaerobi vi sono quelli che tollerano la presenza di ossigeno, ma non lo utilizzano e quelli
che non lo utilizzano e nemmeno lo tollerano. Incominciamo col dire che hanno un tipo di ossidazione
del substrato che si chiama fermentazione. La fermentazione si ferma a molecole a tre atomi di
carbonio quali ad esempio l’acido piruvico ergo producono molte meno molecole di ATP. Questo è il
motivo per cui gli anerobi sono a crescita più lenta rispetto agli aerobi.
Qual è il motivo per cui alcuni batteri anaerobi sono uccisi dall’ossigeno? L’ossigeno, quando si trova
nell’aria, può dare luogo a delle reazioni all’interno del citoplasma dei batteri che portano alla
formazione di sostanze che sono molto tossiche per la cellula: acqua ossigenata – prodotto di scarto
della fosforilazione ossidativa-, ioni perossido, radicali liberi dell’ossigeno. Queste sono tutte sostanze
che provocano rottura della molecola di DNA, portano a morte cellulare. Normalmente i batteri che
tollerano l’ossigeno, hanno anche tutta una serie di enzimi che li proteggono da queste sostanze ed
ogni volta che si formano queste sostanze loro prontamente le scindono: ad esempio la catalasi, la
superossidodismutasi, la perossidasi. Sono tutti enzimi che detossificano l’ambiente da questi radicali
liberi dell’ossigeno, da queste sostanze super reattive che possono formarsi in un citoplasma della
cellula quando c’è l’ossigeno. I batteri che vengono uccisi dall’ossigeno mancano di questi enzimi.
Quelli che non vengono uccisi si difendono perché hanno questi enzimi.
La fermentazione batterica è questa demolizione ossidativa incompleta dei carboidrati con formazione
di prodotti terminali organici (acido piruvico) e derivano ancora ricchi.
I batteri aerobi-anaerobi facoltativi sono microrganismi che possono vivere anche in assenza di
ossigeno senza risentirne, ma la cui crescita risulta essere più rigogliosa in presenza di questo
elemento.
• Fermentano
• Respirano aerobicamente
• Non vengono uccisi dall’ossigeno
Tutte le cellule preferiscono sempre partire dai polisaccaridi, se vi è lo zucchero utilizzano quello. Se lo
zucchero viene a mancare allora cominciano ad utilizzare i lipidi. Se mancano lipidi, cominciano ad
utilizzare le proteine.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 16
Genetica batterica
La riproduzione dei batteri è asessuata e avviene mediante la divisione di un individuo in due cellule
figlie uguali tra loro e identiche alla progenitrice processo definito scissione binaria. Questo processo
si ripete, ogni divisione impiega circa 30 minuti. Nella scissione binaria per prima cosa la molecola di
DNA si va a posizionare in un punto ben preciso lungo la membrana citoplasmatica quindi si duplica e
si formano due molecole. La membrana citoplasmatica tra le due molecole si accresce ed accrescendosi
allontana le due molecole l’una dall’altra e ad un certo punto forma un setto che divide le due cellule
quindi da una cellula madre si formano due
cellule figlie identiche alla cellula madre.
Da una singola cellula batterica dopo
un’oretta si formano un milione di batteri e
se questa singola cellula batterica è posata
su un terreno di coltura, quando la cellula si
divide forma delle colonie visibili anche ad
occhio nudo.
L’unità costitutiva del DNA è il gene. C’è
molta differenza tra un gene in una cellula
batterica e quello in una cellula eucariote.
Il gene di un procariote è costituito da
triplette che sono adiacenti l’una all’altra
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 17
quindi c’è un gene strutturale, una parte iniziale che si chiama promotore cui si legano gli enzimi che
servono o alla duplicazione del DNA o alla sintesi degli RNA messaggeri, e una parte terminale detta
terminatore con le triplette di stop. Questo gene viene trascritto in una sequenza di RNAm e così com’è
tradotto in una proteina. Nel gene eucariote le cose sono un po’ diverse: sono presenti esoni ed introni
e quindi il trascritto primario deve essere ancora lavorato cioè trasformato in un trascritto funzionale.
Per realizzare ciò devono essere eliminate tutte le sequenze introniche. La differenza principale sta
quindi nel fatto che nel gene eucariota ci sono queste sequenze introniche non codificano per
amminoacidi e interrompono la sequenza delle triplette che sono codificanti la sequenza di
amminoacidi.
Plasmidi
Oltre al DNA i batteri possono avere questi elementi genetici extracromosomiali. Sono delle sequenze
di DNA, contengono anche loro dei geni e possono essere dai più disparati. Possono avere geni che
codificano per la formazione dei pili sessuali (che permettono il trasferimento di materiale genetico da
un batterio all’altro). I plasmidi hanno i geni che codificano per caratteri che conferiscono alla cellula la
resistenza agli antibiotici, geni che codificano per caratteri che aumentano la virulenza per un
determinato batterio. Possono contenere generi metabolici che degradano sostanze tossiche. La
particolarità dei plasmidi sta nel fatto che da un lato codificano per informazioni non strettamente
necessarie alla vita della cellula, se vengono persi non succede niente. Nel caso in cui un plasmide ad
esempio porti un gene per la resistenza ad un antibiotico non presente in un determinato ambiente, la
cellula batterica lo perde. Se invece in quell’ambiente è presente una determinata sostanza tossica
allora sicuramente quella cellula conserverà quel plasmide. La cosa importante è che i plasmidi
possono essere trasmessi da una cellula all’altra. Questo significa che la trasmissione di determinati
caratteri è molto amplificata in una popolazione batterica. Dobbiamo sempre immaginare che i batteri
vivano in un ecosistema formato da altri batteri, miceti.
I plasmidi quindi sono elementi genetici che contengono informazioni non essenziali alla vita della
cellula batterica, autonomi dal punto di vista replicativo, ne esistono diversi tipi NOMINATI IN BASE AI
geni che portano:
Plasmidi coniugativi: portano i geni per la formazione dei pili sessuali
Fattori R: portano i geni che codificano per proteine che conferiscono resistenza nei confronti
di antibiotici
Plasmidi di virulenza: portano geni che codificano per fattori di virulenza
Plasmidi metabolici: portano geni che codificano per proteine con attività enzimatiche che
degradano diverse sostanze.
Nonostante i batteri si replichino in maniera asessuale esiste nelle popolazioni batteriche molta
variabilità genetica e la variabilità genetica è la base dell’evoluzione. In una popolazione di individui
tutti uguali l’uno all’altro, al modificarsi di un fattore ambientale, morirebbero tutti. Anzitutto i batteri
hanno come noi dei piccoli cambiamenti della sequenza nucleotidica, le mutazioni, che avvengono
casualmente quando si duplica il DNA. Possono esservi piccoli cambiamenti nella sequenza
nucleotidica, mutazioni (POSSONO ESSERE dovuti ad errori durante la replicazione del DNA che
portano all’inserimento di un nucleotide sbagliato, che a sua volta può portare all’incorporazione di un
diverso amminoacido lungo la catena polipeptidica ), delezioni o inserzioni ( di piccole sequenze di
DNA ), riarrangiamenti di sequenze genomiche ( IS e trasposoni ) e Acquisizione di sequenze di DNA
da altri organismi ( attraverso trasferimenti genetici orizzontali).
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 18
Nei batteri il trasferimento di DNA può essere realizzato mediante:
Trasformazione;
Trasduzione;
Coniugazione
La trasformazione consiste nella cattura di DNA nudo, a doppia elica, da parte di un batterio. Le
trasformazioni all’interno della popolazione microbica nell’ambiente sono diffuse. Il DNA rilasciato
nell’ambiente dopo lisi della cellula può sopravvivere indefinitivamente mantenendo il suo potenziale
trasformante. Una volta acquisito dalla cellula, il DNA può subire diverse strade: o può essere
degradato o se ha sequenze che glielo permettono si può integrare nel DNA cromosomico della cellula
batterica e, in tal caso, quella cellula ha acquisito nuovi caratteri che trasmetterà poi alle cellule figlie
quando si divide. Questo meccanismo è molto studiato in biologia molecolare.
La coniugazione è mediata dai pilo sessuali. Il plasmide si replica prima di passare all’altra cellula,
induce la formazione del pilo e le cellule entrano in coniugazione cosicché duplicandosi, il plasmide
passa una copia alla cellula accanto e quella cellula acquisisce un nuovo plasmide. Questo
trasferimento può essere non solo plasmide, ma anche cromosomico poiché i plasmidi si integrano nel
cromosoma e quando si staccano si possono portare dietro casualmente dei pezzi di cromosoma e
quindi a quel punto porta dietro anche dei pezzi di cromosoma che si va ad integrare nella cellula che
riceve.
L’altro metodo si chiama trasduzione. Esistono molti tipi di virus: che infettano animali, cellule vegetali
e fagi, che infettano i batteri. Anche questi virus vivono negli ecosistemi ambientali e possono mediare
anche loro il trasferimento di DNA batterico da un microrganismo all’altro. Il virus è una struttura
formata esclusivamente da un acido nucleico ed un involucro proteico e per duplicarsi deve sfruttare
le strutture di una cellula. Quando arriva in prossimità di una cellula di cui è parassita, il fago inietta il
suo DNA. Questo DNA del fago può seguire diverse vie:
- Integrarsi nel cromosoma della cellula;
- Ciclo litico
L’obiettivo del virus è fare copie di se stesso che fuoriusciranno dalla cellula batterica andando ad
infettare altre cellule anche quando si integra nel cromosoma si stacca e da luogo ad un ciclo litico.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 19
In che modo può trasferire il DNA da una cellula all’altra? Anzitutto per trasduzione generalizzata cioè
il fago inietta il suo genoma nella cellula, quindi il suo genoma virale comincia a duplicarsi, si formano
le varie particelle di virus, ma ce ne è una che ha inglobato erroneamente DNA batterico. Questa
particella, quando fuoriesce dalla cellula e va ad infettare un’altra cellula, inietterà il DNA batterico in
un’altra cellula e questo DNA può integrarsi nel DNA della cellula batterica che quindi ha acquisito
nuovo materiale batterico. Nella trasduzione specifica il DNA del fago, una volta che entra, si va ad
integrare nel cromosoma. Quando si risveglia e vuol dar luogo ad una altro ciclo litico, staccandosi si
porta dietro delle regioni specifiche del cromosoma batterico che sono quelle adiacenti ai punti in cui
si è inserito. Questo DNA che si metterà dentro una particella matura, entrando in un’altra cellula, si
integrerà nuovamente nel genoma delle cellule batteriche che andranno ad integrarlo poiché
contengono una parte del genoma fagico e una parte del genoma batterico.
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Coltivazione batterica e curva di crescita
Quando cerchiamo di coltivare i microrganismi in laboratorio, cerchiamo di ricreare le condizioni
ottimali di crescita per quel microrganismo specifico. Questo è molto difficile per la maggior parte dei
microrganismi a parte quelli di interesse medico, che sono coltivabili in laboratorio. Del nostro
microbiota noi siamo riusciti a coltivare solo il 20%, il resto è definito materia oscura biologica. Il
microbiota è un ecosistema in cui miliardi di microrganismi di diverse specie interagiscono tra di loro.
C’è tutta una rete di interrelazione tra i vari microbi che compongono l’ecosistema e non conosciamo
tutte queste relazioni ergo non siamo in grado di ricreare in un laboratorio una situazione che sia
idonea alla crescita di tutti i microrganismi che fanno parte dell’ecosistema.
Nei laboratori si cerca di settare in modo corretto tutte quelle variabili che influenzano la crescita cioè:
Disponibilità di specifiche sostanze nutritive
Adeguata tensione di O2: i batteri hanno diversi rapporti con l’ossigeno, dobbiamo valutare a
seconda che dobbiamo coltivare un aerobio o un anerobio la diversa tensione di ossigeno che
c’è nell’aria.
Adeguato pH: quelli di interesse medico crescono ad un pH neutro. Esistono poi acidofili ed
alcalofili.
Adeguata temperatura: i batteri di interesse medico prediligono temperature medie, 30-37
gradi centigradi.
Nei terreni in cui si coltivano i microrganismi, si tende sempre a mettere un tampone che mantenga il
pH poiché l’attività metabolica dei microrganismi farebbe mutare il pH in assenza di sistemi tampone.
La pressione è abbastanza ininfluente tuttavia ci sono batteri che si sviluppano fino a 600 atmosfere.
Un altro fattore molto utilizzato è la salinità dei terreni:
La maggior parte dei batteri predilige Concentrazioni fisiologiche di NaCl (0,85%).
Alcuni batteri tollerano NaCl fino a 7-8%.
Altri batteri necessitano NaCl ad elevate concentrazioni (15-25%) (alofili).
Se ho un campione che viene da un distretto corporeo normalmente colonizzato, per favorire la
crescita di un microrganismo piuttosto di un altro in questo campione polimicrobico sfrutto le
caratteristiche microbiologiche del microrganismo. Per esempio se devo coltivare il vibrio colerae, so
che è un alofilo quindi passerò il campione prima in un terreno con bassa concentrazione salina e poi
lo seminerò su terreni in cui la concentrazione salina è elevata.
I microrganismi vengono coltivati sui terreni di coltura e questi terreni possono essere solidi o liquidi.
Solitamente il terreno solido si ottiene aggiungendo al terreno liquido un polisaccaride, detto agar, alla
concentrazione dell’1,5%. Questo è estratto da un’alga e funge da agente solidificante il terreno e
trasforma il terreno liquido in un terreno che ha la consistenza di una gelatina, tanto più dura quanto
più è ricco in agar. Per preparare un terreno solido dunque si aggiunge agar ad un terreno liquido, si
versa in piastre dette piastre di peltri e si lascia raffreddare. In tal modo l’agente solidificante
trasforma il terreno da liquido a solido. Il terreno solido permette di vedere la morfologia delle colonie
e dunque capire se si tratta di una coltura pura o di una coltura mista se vedo più morfologie. Nei
laboratori di microbiologia clinica si seminano campioni in terreni solidi poiché è più semplice
visualizzare le colonie più significative rispetto a ciò che sto cercando nel campione. I terreni sono di
quattro tipi:
Generali: permettono la crescita di qualsiasi microrganismo;
Arricchimento: in cui si aggiunge qualcosa che arricchisce la crescita di una sola specie
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Differenziali: permettono di differenziare tra una specie e un’altra sulla base di alcune
caratteristiche metaboliche. Ad esempio c’è un terreno che si chiama Mannitol Salt Agar dove
c’è mannitolo tra gli zuccheri, un po’ di sale ed agar poiché è solido. Oltre a queste sostanze da
un lato ci sono alcune sostanze che inibiscono la crescita dei gram negativi e dall’altro c’è un
indicatore di pH che fa cambiare colore al terreno quando il terreno acidifica. Questo terreno
permette la crescita dei gram positivi e nell’ambito dei gram positivi di quelli che tollerano il 7-
25% di concentrazione salina e questi in particolare sono gli stafilococchi. In più permette di
differenziare tra stafilococchi che fermentano il mannitolo e quelli che non lo fermentano.
Quelli che lo fermentano fanno cambiare colore al terreno in virtù dell’indicatore di pH. La
fermentazione acidifica il terreno e il colore vita. Un altro esempio di terreno differenziale è il
MacConkey Agar che si utilizza per i gram negativi e permette di differenziare tra chi fermenta
il lattosio e chi non lo fermenta.
Selettivi: permettono la crescita di una specie e non di un’altra. Se un microrganismo so che è
naturalmente resistente ad un certo antibiotico, aggiungerò nel terreno quell’antibiotico in
maniera tale che l’unico che cresce è solo quel microrganismo.
La crescita in substrati solidi permette, in base alla morfologia delle colonie, di fare una prima
identificazione. E’ importante seminare in modo da ottenere sul terreno cellule isolate. Dopo aver
seminato, metto la piastra in un termostato a 37 gradi e il giorno dopo la tiro fuori. Lì dove si sono
posate le cellule, osserverò le colonie isolate. Se non faccio la semina per isolamento io vedrò una
crescita a patina perché le colonie crescono ammassate e da una crescita a patina non riesco ad
osservare i caratteri morfologici necessari ad una prima identificazione. Seminando in modo da
scaricare ogni volta il terreno di semina riesco a poggiare singole cellule sul terreno. A mano a mano si
scaricano le patine fino a poggiare cellule isolate e da ognuna di esse si formano colonie che posso
vedere singolarmente e distinguere.
Solitamente quando si fa un prelievo per la ricerca di anerobi
si deve proteggere per quanto possibile il terreno
dall’ossigeno poiché se si tratta di un anerobio stretto, il
prelievo lasciato all’aria fa morire il microrganismo. Per fare
questo si fanno prelievi con la siringa e si mette in apposite
provette dove è stata tolta l’aria infilando l’ago della siringa
nei tappi di gomma delle provette si inietta nella provetta il
materiale prelevato e si trasporta immediatamente il
campione nei laboratori. Dentro la provetta c’è un indicatore
di ossigeno che se è virato, indica che è stato contaminato con
l’ossigeno. Se è idoneo si semina nelle piastre e si mettono in
delle giare come in figura che si infilano delle buste che creano
un’atmosfera anaerobia, ed inserirò un indicatore di ossigeno.
I microrganismi anaerobi sono a crescita molto lenta poiché
hanno un metabolismo di tipo fermentativo quindi non
degradano totalmente gli zuccheri e formano poche molecole
di ATP. Per apprezzare su una piastra una crescita di anerobi
devo aspettare almeno una settimana. Oppure si utilizzano
delle cappe per anerobi in cui viene immessa attraverso
bombole un’atmosfera anaerobia. Si possono utilizzare anche candele che consumano l’ossigeno o
delle buste chiuse ermeticamente dove all’interno vi è un generatore di gas per ottenere un’atmosfera
anaerobia.
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Una volta coltivati, i batteri cominciano a
moltiplicarsi e mediamente, un
organismo aerobio, si divide ogni venti
minuti quindi dopo sei ore da una
singola cellula batterica ho un milione di
batteri se sono tutti in condizioni
ottimali di crescita. Se metto a crescere
in un terreno liquido un microrganismo
di una certe specie batterica facendo in
modo che tutti quei parametri che ne
influenzano la crescita rimangano
costanti, tranne uno come ad esempio il
glucosio, la fonte di nutrizione, facendo un’ora di
prelievi e misurando la crescita della massa
batterica ponendo tempo e misure su un grafico,
ottengo una curva di questo genere. L’andamento
di questa curva è il medesimo per tutte le specie
batteriche. Possono allungarsi più o meno alcuni
punti. Posso riconoscere diverse fasi:
Fase lag o fase di latenza: in questa fase il
microrganismo saggia l’ambiente in cui si trova e
si prepara al consumo del nutriente che vi è presente, ad esempio il glucosio. Sintetizza quindi
tutti gli enzimi necessari alla degradazione del glucosio. Una volta che è pronto comincia a
crescere. In questa fase non c’è aumento della massa batterica. In seguito vi è un aumento
esponenziale della massa batterica, detta:
Fase logaritmica in cui la massa batterica cresce. Ad un certo punto si rallenta e si entra in
Fase stazionaria in cui sarà finito il nutrimento oppure si sono accumulati nel terreno
prodotti metabolici dei
batteri stessi che
potrebbero risultare
tossici e quindi il
numero di batteri che
muoiono è uguale al
numero di batteri che
nascono quindi non si
osserva aumento della
massa batterica. Dopo
un pochino si passa alla
fase
Di morte in cui il
numero di batteri che
muoiono è maggiore del
numero dei batteri vivi.
Cambiano ovviamente i
tempi a seconda dei
batteri tuttavia è
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importante conoscere questa curva di crescita poiché ci sono determinati batteri che producono fattori
di virulenza –fattori che aiutano i batteri ad esplicare la loro azione patogena- solo in alcune fasi della
loro crescita. Quindi:
Nella curva si riconoscono 4 fasi:
Latenza: i batteri non si moltiplicano, ma aumentano di dimensioni in vista della divisione;
Esponenziale: i batteri si moltiplicano in progressione geometrica condizioni ottimali di
crescita
Stazionaria: il numero delle nuove cellule è pari a quello delle cellule morte;
Morte: i batteri morti sono circa il doppio di quelli capaci di dividersi.
Esistono degli strumenti che permettono di mantenere latenza o fase esponenziale immettendo con
delle pompe terreno arricchito con nutriente ed estromettendo terreno vecchio. La crescita è
misurabile in diversi modi:
- Conta totale di vivi o morti o al microscopio o allo spettrofotometro
- Conta dei batteri vivi andando a seminare i prelievi che faccio ogni ora su un terreno solido e
contando le colonie che crescono sul terreno solido.
Con gli altri due metodi conto tutti e due perché al microscopio uso vetrini in cui conto i batteri nei
quadranti. Con lo spettrofotometro metto i batteri in provette dedicate e si fanno attraversare da un
fascio di luce ad una certa lunghezza d’onda. La luce che viene assorbita è proporzionale alla massa
batterica presente nella provetta. Anche qui non si distinguono tra vivi e morti. Quando faccio la conta
delle colonie vive sulla piastra, si tratta invece solo della conta dei vivi.
Azione patogena
Abbiamo zone normalmente sterili all’interno del nostro organismo: sangue e midollo, liquido cefalo
rachidiano, tessuti profondi, vie respiratorie inferiori, urine. Questo però è in discussione oggi, per
esempio stanno uscendo dei lavori in cui si parla di blood microbiota, del fatto che le vie inferiori dei
polmoni sono
colonizzati. Questi
concetti sono in
continua evoluzione.
Sappiamo che ogni
superficie che
comunica con l’esterno
invece è normalmente
colonizzata. I nomi dei
batteri qui riportati,
sono diversi a seconda
dell’area. Questo
perché gli habitat sono
diversi. A seconda
dell’habitat si sarà
stabilizzata una certa
comunità microbica. C’è
quindi un certo
tropismo tissutale che
dipende dai recettori
cui si legano i batteri a livello della mucosa e della cute. Le comunità microbiche non sono costitute
solo da batteri ma archea, procarioti diversi da un punto di vista di sequenza genetica, microrganismi
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eucarioti come funghi, e virus e tutte queste forme di vita hanno tropismi diversi a seconda del
distretto.
Da cosa dipende il tropismo tissutale?
• solamente in quel distretto/ tessuto trovano nutrienti, essenziali alla loro crescita,
• solamente in quel distretto/ tessuto trovano i loro recettori cellulari specifici.
Se i batteri non riescono ad aderire poiché non trovano siti e recettori, passano come flora transiente.
La diversa organizzazione spaziale del microbiota è dovuta a diversi fattori:
• Presenza di ossigeno
• nutrienti
• pH
• temperatura
• grado di umidità
Ed ogni individuo possiede una sua flora colonizzante, tant’è che si parla di una vera e propria
impronta digitale perché i fattori che hanno un’influenza sulla composizione del microbiota di una
persona sono molteplici: alimentazione, stili di vita, se ha incontrato o meno patogeni, i farmaci
assunti. Non esistono due individui che abbiano lo stesso microbiota, neppure i gemelli monozigoti.
Noi normalmente tolleriamo la flora microbica in alcuni distretti corporei, ma non in altri. Quando un
microrganismo commensale
raggiunge distretti corporei
normalmente sterili viene aggredito
dal nostro sistema immunitario
sempre come un patogeno. Inoltre nei
distretti normalmente colonizzati, il
nostro sistema immunitario distingue
fra microrganismo patogeno e non, ed
attiva conseguentemente una risposta
immune adeguata. Naturalmente il
rapporto tra noi ed i microrganismi è
di tipo mutualistico, ad esempio non
riusciremo a digerire tutto ciò che
digeriamo senza la nostra flora.
I vantaggi per l’ospite sono dunque:
1. Vitamine e fattori nutrizionali
2. Antagonismo con potenziali patogeni: se la flora è in equilibrio e tutti i siti sono occupati, i patogeni
non attecchiscono.
3. Stimolazione del sistema immunitario
E quelli per i batteri:
1. Disponibilità di nutrienti
2. Condizioni ambientali ottimali (temp., pH, O2)
La flora microbica condiziona il nostro stato di salute generale. Il potere codificante dei microbi, è
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 25
cento volte superiore al nostro potere codificante e senza di loro la nostra vita non sarebbe possibile.
Loro d’altro canto trovano un ambiente facilmente colonizzabile con disponibilità di nutrienti. Vi sono
stati tanti anni di coevoluzione tra noi ed i nostri microbi.
Generalmente noi parliamo di:
Batteri commensali: facenti parte della nostra flora;
Batteri patogeni: alterano le funzionalità dell’ospite in grado di invadere i tessuti di un
organismo umano e di moltiplicarvisi, danneggiandone il normale funzionamento con la
produzione di una o più sostanze tossiche.
Questa suddivisione però non è corretta poiché vi sono anche gli opportunisti, in grado di causare
malattia solo in determinate condizioni di immunocompromissione locale o generale.
Principi di Koch
Ebbe un nobel per la biologia poiché comprese l’importanza eziologica dei batteri nelle malattie ed ha stabilito alcuni postulati.
Il microrganismo è sempre presente nelle lesioni caratteristiche della malattia: se io ho una certa patologia A che per me è associata a un certo microrganismo, quel microrganismo lo devo sempre ritrovare nelle lesioni che provoca quella malattia.
Il microrganismo deve poter essere isolato dall’ospite malato e crescere in coltura pura (deve essere seminato su un terreno ed esser fatto crescere da solo, senza altri microrganismi);
La specifica malattia deve essere riprodotta quando la coltura pura viene inoculata in un ospite sano; Il microrganismo deve poter essere nuovamente isolato dall’ospite infettato sperimentalmente.
Questi postulati possono essere validi in determinate situazioni, ma non in assoluto: basti pensare che molte patologie vengono causate da più batteri, le cosiddette infezioni miste. Cominciamo col dire che la patogenicità ovvero il danno che viene provocato in un ospite da una patologia infettiva non è il risultato solo dell’agente patogeno, ma anche della nostra risposta immunitaria la quale preferisce danneggiare i nostri tessuti eliminandoli, quando sono infetti e provoca un danno, facendo questo.
Le infezioni possono essere:
Esogene: causate da microrganismi provenienti dall’esterno. Di solito sono patogeni obbligati, a meno che non siano commensali ambientali che stanno provocando un’infezione in un soggetto immunocompromesso;
Endogene: dovute alla nostra flora. Una localizzazione di un microrganismo in una sede diversa da quella in cui è normalmente può provocare un’infezione. Ad esempio l’escherichia coli può tranquillamente trovarsi in un campione fecale tuttavia se la trovo in una emocoltura, allora la situazione è grave, e lì è un patogeno (patogeno opportunista).
Anche un microrganismo che normalmente è in una certa sede, ma in carica bassa poiché è mantenuto dal resto dell’ecosistema microbico come tale, se l’ecosistema microbico va in squilibrio, quel microrganismo prende il sopravvento e può causare infezioni, come nel caso di alcune micosi, come ad esempio la candidosi. La candida è un normale microrganismo che colonizza il nostro organismo. Una cura antibiotica prolungata ha un impatto sulla nostra flora rompendo l’equilibrio del nostro ecosistema ergo il suo controllo che mantiene la presenza della candida in quantità bassa si viene a rompere e quindi la candida prende il sopravvento (vaginosi da candida). Le infezioni esogene possono derivare da:
Altri esseri umani infetti; Ambiente Animali. In tal caso si parla di zoonosi. Normalmente questi microrganismi difficilmente passano
ad un altro essere umano senza passare dall’ospite animale.
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Come fanno i batteri della nostra flora a divenire patogeni?
Accesso ai tessuti profondi; Soggetti immunocompromessi Acquisizione di fattori di virulenza.
I batteri possono acquisire materiale genetico attraverso trasferimenti che vengono detti orizzontali per distinguerli da quelli verticali da madre a figlio: coniugazione, trasduzione e trasformazione. Questo materiale genetico acquisito può portare dei geni che codificano per fattori di virulenza (per esempio una tossina) ovvero i fattori che aiutano il microrganismo ad esplicare una certa azione patogena. Per poter espletare la loro azione patogena, il microrganismo deve oltrepassare le nostre linee di difesa, rappresentate dalle barriere mucose nonché da tutte le cellule fagocitarie: se il microrganismo riesce a contrastare queste linee di difesa, riesce ad invadere i tessuti profondi ed a colonizzare il nostro organismo. Può accadere che attraverso acqua, aria o cibo, ingerisca un microrganismo potenzialmente patogeno, un organismo armato -poiché ha dei geni detti di virulenza, che codificano per caratteri che lo aiutano a contrastare le mie linee di difesa. Questo microrganismo, nel suo passaggio, anche se non riesce ad attecchire, potrebbe trasferire il suo materiale genetico ai microrganismi che normalmente colonizzano il nostro ecosistema acquisendo fattori di virulenza.
Le fonti di infezione esogene possono essere:
Ingestione di alimenti: l’agente infettante normalmente si elimina per via fecale e in condizioni igieniche insufficienti contamina (circuito oro-fecale)
Via aerea: per inalazione di agenti patogeni, normalmente sospesi in microparticelle di saliva emesse con tosse o starnuti o parlando da soggetti infetti o portatori.
Contagio sessuale se il microrganismo è presente nelle secrezioni genitali; Inoculazione diretta per morsi o punture Penetrazione traumatica ovvero introduzione accidentale nei tessuti profondi di
materiale contaminato. Le patologie infettive possono essere:
Specifiche: quando un determinato quadro patologico di natura infettiva è sempre associato con uno specifico agente patogeno (es. Colera, tifo, pertosse, peste bubbonica, tetano). Queste patologie rientrano perfettamente nei postulati di Koch.
Aspecifiche: quando un determinato quadro clinico può essere ricondotto alla presenza di diverse specie batteriche o virali in grado di causare sintomi simili o identici (es. Faringiti, cistiti, polmoniti, osteomieliti, meningiti). Queste ultime non rientrano nei postulati di Koch: un determinato quadro clinico non si può associare in modo così sicuro ad un determinato microrganismo.
Il grado di virulenza di una specie batterica è l’abilità di causare malattia ed è influenzato da molti caratteri:
Numero di batteri infettanti. Il microrganismo per riuscire ad attecchire nell’ospite, deve contrastare le nostre difese: se riesce a farlo ed a superarle, allora riesce a dare infezione. Molte volte abbiamo microrganismi che eliminiamo senza accorgercene. Per contrastare le nostre linee di difesa, il microrganismo deve mettere in atto una serie di strategie che sono date da caratteri particolari codificati da geni che gli conferiscono la capacità di contrastare una cosa e non magari un’altra. Si dice allora che quanto più è armato un microrganismo ovvero quanti più fattori di virulenza ha tanto più la carica infettante cioè il numero di batteri necessari per provocare la patologia è basso. Se il microrganismo è molto armato, bastano pochi batteri per dare un’infezione.
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Quando il microrganismo è poco armato, la carica infettante deve essere molto elevata per superare le difese immunitarie. La carica infettante quindi influenza il grado di virulenza
Vie di penetrazione nell’ospite: se le barriere mucose non sono integre, i microrganismi hanno accesso più facile oppure possono penetrare nell’ospite tramite una penetrazione casuale, in tale caso esso supera rapidamente le barriere mucose.
Meccanismi di difesa nell’ospite L’obbiettivo del microrganismo è MOLTIPLICARSI non causare malattia o uccidere l’ospite: se per quel microrganismo l’uomo è l’unico serbatoio, a quel microrganismo non conviene molto ucciderlo. Entra, si moltiplica e infetta un altro uomo.
Le infezioni nosocomiali sono quelle infezioni che si contraggono durante la permanenza in ambiente ospedaliero. Le più diffuse sono quelle associate all’uso di emoderivati, le infezioni postoperatorie, quelle associate alle pratiche endoscopiche e le infezioni respiratorie nei reparti di terapia intensiva. L’agente infettante che vive in un ambiente ospedaliero è più pericoloso poiché è resistente agli antibiotici. I microrganismi ambientali che sopravvivono in ospedale sono multi-resistenti. I pazienti inoltre si trovano in ambienti confinati e dove vi sono infettati e portatori e poi perché vi sono varie vie di trasmissioni che si aggiungono in ospedale: somministrazione o inoculo accidentale di sangue ed effettuazione di pratiche cruente e poi perché il soggetto è molto più recettivo alle patologie in quanto in genere le sue difese immunitarie sono compromesse.
DINAMICA DEL PROCESSO INFETTIVO
•CONTAMINAZIONE
Arrivo del microorganismo alla superficie dell’ospite (cute o mucose). Una volta che è arrivato, può penetrare se riesce a farlo.
•PENETRAZIONE
Le vie di penetrazione, coincidono con le superfici di contaminazione. La penetrazione può avvenire per interruzione della continuità epiteliale (ferita) e per attraversamento della barriera da parte del microorganismo.
•LOCALIZZAZIONE
–CASUALE: i microorganismi si fissano in una sede perché il caso li ha veicolati lì nei casi in cui non c’è tropismo
–ELETTIVA: conseguenza del tropismo tessuto-specifico, il microrganismo ha un tropismo per un determinato tessuto corporeo. Il virus dell’epatite, ad esempio, causa patologia nel fegato anche se viene contratto mediante cibo contaminato.
Quando accede tutto ciò abbiamo un’infezione. Nel processo infettivo è possibile distinguere:
1-Adesione e/o penetrazione
La penetrazione traumatica è piuttosto rara (punture di insetti, graffi, morsi, tagli, abrasioni). Nella maggior parte dei casi abbiamo invece una colonizzazione delle mucose e il superamento delle stesse. L’adesione è la capacità di un microrganismo di aderire ad una superficie. Abbiamo visto che vi sono molte molecole sulla parete delle cellule batteriche. Queste molecole hanno la funzione di far aderire il microrganismo alle strutture dell’ospite (fimbrie, capsula, pili). Alcuni di questi microrganismi inoltre, una volta che hanno aderito alla mucosa dell’ospite, riescono a penetrare nelle cellule dell’ospite e sono detti gli intracellulari. L’adesione avviene tra queste molecole superficiali sui batteri, e su strutture – dette nel loro insieme adesine, che sono particolari e poste sulle strutture dell’ospite. Si possono legare a glicoproteine, glicolipidi e proteoglicani oppure si possono legare alla matrice extracellulare dell’ospite quindi a fibronectina, vitronectina, lamina etc. C’è un legame recettore
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adesina molto specifico. Se il microrganismo non trova tale recettore o perché l’ospite non lo ha, o perché in quel distretto non c’è, o perché tutti i recettori sono già legati ad altri microrganismi, il microrganismo non riesce a colonizzare l’ospite. La composizione della flora di un individuo è l’esito di una battaglia silenziosa. Alle adesine si legano infatti diversi microrganismi della nostra flora e questi ultimi si legano anche tra di loro e una volta legati, difendono la loro nicchia producendo sostanze battericide che agiscono come antibiotici nei confronti di altri batteri che vorrebbero tentare di occupare quella medesima nicchia. Non solo le producono loro, ma inducono la produzione di peptidi antibiotici anche da parte delle cellule dell’ospite. Questa flora commensale quindi riesce a proteggerci.
Le strutture batteriche responsabili dei fenomeni di adesione prendono il nome di adesine e sono quindi fimbrie o pili, glicocalice (matrice di natura polisaccaridica e proteica in cui i batteri crescono), strato S, biofilm. Ad esempio lo s. mutans, uno degli agenti eziologici della carie, forma uno strato glutinoso sulla superficie dei denti contribuendo alla formazione della matrice della placca dentale. Lo s. aureo si può invece legare all’osso perché ha delle adesine che possono legare il collagene, l’elastina, la fibronectina.
2- Moltiplicazione
Se il microrganismo ha le capacità biochimiche di metabolizzare i substrati presenti nelle condizioni ambientali dell’ospite e le capacità di contrastare i meccanismi di difesa dell’ospite che si oppongono alla proliferazione intratissutale allora comincia la fase 2. Il microrganismo comincia a colonizzare la mucosa. Per avere successo, un patogeno deve trovare nell’ospite una nicchia da colonizzare dove potersi moltiplicare, in competizione eventualmente con i batteri commensali abituali. La colonizzazione delle cellule eucariotiche è di per sé il maggior risultato per una cellula batterica e coinvolge una serie di segnali e risposte che assicurano la permanenza del batterio nell’ospite. Quando inizia a colonizzare, i batteri formano una colonia a livello della mucosa cominciando a produrre una serie di prodotti che risultano tossici per l’ospite. Questi prodotti tossici più l’arrivo della risposta immune, possono provocare dei fenomeni degenerativi quindi si può aprire un varco nei tessuti sottostante attraverso quei fenomeni degenerativi che quindi sono dovuti sia all’accumulo dei prodotti tossici del microrganismo sia all’arrivo della nostra risposta immune. Questo varco può essere usato dal microrganismo stesso per penetrare nei tessuti sottostanti.
3- Produzione fattori di virulenza: può andare in parallelo a 2 o avvenire dopo
Ci sono anche microrganismi che arrivano, aderiscono e penetrano dentro le cellule della mucosa ed in questo modo eludono le difese immunitarie. Questa colonizzazione che può avvenire a livello della cute o delle membrane mucose, può essere o una colonizzazione transiente cioè la nostra risposta immunitaria agisce prontamente eliminando l’agente patogeno oppure permanente ovvero il microrganismo prolifera, invade l’ospite e si può andare incontro a:
Lesione a livello della mucose senza invasione; Lesione generalizzata: lontane dalla sede primaria di colonizzazione a causa della diffusione
dei batteri e/o dei loro prodotti tossici in tutto l’organismo, attraverso i tessuti profondi e quindi da qui alle vie ematiche
I microrganismi possono sopravvivere anche ai macrofagi o ai fagociti ed ai meccanismi di killing intracellulare degli stessi facendosi trasportare anche nel torrente circolatorio in altre zone e questa è una strategia per evadere le nostre linee di difesa. Possiamo quindi avere i facoltativi intracellulari che possono invadere o meno le cellule e gli intracellulari obbligati. L’invasione elude il sistema, entra in un ambiente ricco di nutrienti e permette di evitare la lotta con i microrganismi competitori della flora endogena.
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La terza fase, come abbiamo detto, è deputata alla produzione di fattori di virulenza. Questa fase può avvenire durante la moltiplicazione oppure subito dopo. Questi fattori di virulenza dei batteri, sono suddivisi in:
Aggressine: che non sono tossiche di per sé Tossine Abbiamo detto che una volta instauratosi sulla superficie dell’ospite il batterio deve escogitare una strategia per eludere le difese immunitarie. Tra le varie strategie vi sono:
- Produzione di enzimi chiamati proteasi, che scindono le proteine. In particolare alcuni batteri producono proteasi che scindono in modo molto specifico le IgA, le immunoglobuline A, secretorie. Una delle nostre prime linee di difesa è produrre delle immunoglobuline che vengono secrete al livello della mucosa e dirette contro il microrganismo che si trova a livello di quella mucosa. Ci sono batteri che secernono contemporaneamente queste proteasi specifiche per queste IgA scindendole prontamente, garantendosi la sopravvivenza in quel tessuto.
- Normalmente in un tessuto sano noi abbiamo che il ferro non è così disponibile, ma legato ad agenti chelanti, ma senza ferro i microrganismi non riescono a sopravvivere. Alcuni batteri hanno escogitato strategie per distaccare il ferro ed utilizzarlo.
- Mimetismo antigenico: si ricoprono di sostanze presenti anche nell’ospite. Ci sono alcune capsule fatte di sostanze che sono presenti anche nell’ospite che non vengono identificate come estranee dal sistema immunitario. Altri ancora attuano la
- Variazione antigenica: ci sono alcuni batteri che si ricoprono di antigeni di superficie codificati da molti geni. Questi geni intanto si scambiano molto spesso dei segmenti tra di loro dunque la proteina è di volta in volta diversa. In più, l’espressione di questi geni è diversa nel tempo: immaginate che il microrganismo arrivi e stimoli una risposta immunitaria. Vengono prodotti anticorpi adatti a quegli antigeni. Nel frattempo il batterio silenzia tutti i geni che codificano per gli antigeni in superficie, ne attiva tutta un’altra serie e si ricopre di antigeni diversi quindi gli anticorpi non servono più a niente, e così via. Ciò confonde il nostro sistema immunitario.
- Capsula
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- Penetrazione intracellulare Queste sono tutte strategie che a seconda della specie batterica patogena vengono messe in campo per contrastare le nostre linee di difesa.
Tra le aggressine abbiamo ad esempio una serie di molecole che agiscono sui fagociti:
•Leucocidine - agiscono sulla membrana dei leucociti
•Capsula - inibisce la fagocitosi (azione anti-complemento)
•Coagulasi - ricopre i batteri di fibrina e il fagocita non li riconosce
•Catalasi e SOD (ossido reduttasi) - contrastano l’attività dei perossidi leucocitari sopravvivenza intracellulare. Il killing intracellulare avviene perché il fagocita esercita una sorta di endocitosi fondendo il microrganismo con il lisosoma in cui sono presenti in elevatissime concentrazioni superossido, acqua ossigenata per cui il microrganismo che arriva in questo ambiente viene prontamente ucciso solo che i microrganismi che producono catalasi e sod riescono a sopravvivere al killing intracellulare. Altri microrganismi impediscono la formazione del vacuolo che li unisce al lisosoma.
•Proteasi - favoriscono la dispersione batterica nel connettivo.
La capacità di formare biofilm è una caratteristica che aiuta i batteri ad eludere le nostre linee di difesa. Alcune patologie infettive come le cistiti, le fibrosi cistiche avvengono sotto forma di biofilm batterici, così come tutto ciò che infetta le protesi ed i batteri sono microrganismi che hanno la capacità di formare biofilm. I germi risultano quindi inclusi in tal modo in un substrato polisaccaridico sintetizzato e secreto dal batterio stesso.
Ci sono tutta una serie di altri enzimi che possono essere prodotti dai microrganismi:
La ialunoridasi, prodotta da molti batteri Gram positivi, che agisce depolimerizzando l’acido ialuronico della sostanza fondamentale del connettivo aprendo dei varchi;
Le cinasi, prodotte dagli stafilococchi e dagli streptococchi che catalizzano la dissoluzione dei coaguli di fibrina;
Le collagenasi, prodotte da vari clostridi, che dissolvono la componente collagena del tessuto muscolare.
Tutti questi fattori strutturali e metabolici sono considerati fattori di virulenza nell’ambito delle aggressine.
Le tossine sono sostanze batteriche ad azione tossica responsabili della sintomatologia morbosa di alcune patologie. Le tossine sono divise in due gruppi:
Endotossine: tossine strutturali tipiche dei batteri Gram-. Le endotossine sono difatti rappresentate dal Lipide A che compone il lipopolisaccaride dei Gram-. Abbiamo difatti detto che la parete cellulare dei Gram- è formata da un doppio strato che però non è simmetrico come quello fosfolipidico ma è fatto da uno strato lipidico ed uno strato superiore detto lipopolissaccaride, a sua volta costituito da:
Lipide A Core polisaccaridico Antigene O.
Il lipide A è l’endotossina che quindi è appannaggio positivo dei Gram- essendo una parte strutturale della cellula batteria presente esclusivamente sulla parete dei Gram-. L’azione delle endotossine è generalizzata, agiscono dando febbre e danno al sistema circolatorio. Si dice che è generalizzata poiché indipendentemente da dove proviene il batterio Gram-, da quale specie, dà sempre la stessa azione una
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volta che il batterio è morto, lisa e libera l’endotossina.
Esotossine: sono prodotti metabolici e sono proteine. Non hanno un’azione tossica generalizzata. Sono prodotte sia da Gram+ che Gram- ed hanno un’azione tossica specifica per tossina o gruppo di tossine (neurotossine, enterotossine, citotossine etc). Vengono classificate in base al meccanismo d’azione o al bersaglio mentre le endotossine hanno un’azione generalizzata.
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I fattori di virulenza possono essere divisi in due grandi gruppi:
Aggressine: non tossiche ma servono a contrastare le nostre linee di difesa;
Tossine
Abbiamo visto le varie strategie che possono attuare i batteri per evadere le nostre linee di difesa, tra
cui la produzione di diverse sostanze come:
Proteasi specifiche per le immunoglobuline
Varie strategie per l’approvvigionamento del ferro
Mimetismo antigenico
Le variazioni antigeniche
Capsula
Penetrazione intracellulare
Le tossine possono essere a loro volta divise in esotossine ed endotossine.
Le endotossine sono strutturali, si tratta del lipide A ergo sono legate esclusivamente ai
batteri Gram-. Hanno un’azione generalizzata che è la medesima indipendentemente da quale
microrganismo provengono.
Le esotossine sono di natura proteica ed hanno un’azione specifica per tossine e gruppi di
tossine e si classificano per effetto o organo bersaglio. Vengono prodotte e mandate fuori dalla
cellula sia dai Gram+ che dai Gram-. Non sono prodotte da tutti i batteri.
Le esotossine sono proteine, di solito sono composte da una parte della molecola che lega un recettore
sulle cellula bersaglio ed un’altra parte che svolge la sua azione tossica. Solitamente sono fatte di più
catene polipeptidiche che possono essere uguali o diversi tra di loro. Alcune di queste catene legano il
recettore della cellula, altre esplicano la loro azione.
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Sono molto tossiche: bastano pochi microgrammi per provocare l’effetto tossico e sono altamente
immunogene cioè Inducono la produzione di anticorpi totalmente neutralizzanti la tossina. Ciò
permette di comprendere perché si possano fare vaccini con le esotossine e non con le endotossine. I
vaccini antitetanico e difterico sono di questo genere, attraverso trattamenti chimici e con il calore la
tossina viene trasformata in anatossina e ciò permette di utilizzarla - poiché conserva il suo potere
antigene - per i vaccini.
Hanno un’azione specifica: sono classificate in base alla loro azione o al loro organo bersaglio:
Citolitiche: danneggiano le membrane delle cellule bersaglio e ne causano la lisi (tossina
esfoliativa, emolisina α etc.).
Pantrope: ledono qualsiasi tipo cellulare provvisto di recettori specifici che legano la tossina
(difterica, pertosse etc.), i recettori che le legano sono più o meno sparsi in tutte le cellule del
nostro corpo.
Neurotrope Interferiscono con la trasmissione dell’impulso nervoso a livello del sistema
nervoso centrale (SNC) o periferico (botulinica, tetanica).
Enterotossine: attive sulla mucosa intestinale (colerica, enterotossina stafilicoccica etc.).
Le citolisine alterano gli scambi con l’ambiente della cellula e in tal modo portano a morte cellulare. Ad
esempio la tossina difterica è costituita da due sub-unità: A e B. La B lega il recettore. Una volta che è
avvenuto questo legame, la cellula fagocita la tossina. Sarà la sub-unità A ad esplicare la sua azione
patogena andandosi a legare al fattore 2 di elongazione che è uno dei fattori che entrano nella sintesi
proteica della cellula eucariotica. Il legame di questa tossina con il fattore blocca totalmente la sintesi
proteica. Bloccare la sintesi proteica di una cellula significa portare la cellula a morte.
La tossina tetanica blocca il rilascio delle sostanze che provocano il rilascio di una contrazione. Un
soggetto che è stato contaminato dal clostridium tetani va incontro a contrazioni che una volta che
prendono piede, non si rilasciano più essendo bloccato il rilascio del muscolo intervenendo con la
trasmissione nervosa (sostanze inibitorie della sinapsi inibitoria). Questa stimolazione continua causa
questa paralisi, contrazione tetanica che porta a morte poiché avviene anche nei muscoli respiratori o
cardiaci.
La tossina colerica è fatta da molte sub-unità, almeno cinque B e due A. Una delle B lega il recettore,
che si trova a livello delle cellule intestinali. In seguito subentrano le parti tossiche della tossina
esplicano la loro azione patogena interferendo con la regolazione dell’adenilato ciclasi. L’adenilato
ciclasi in una cellula, normalmente, porta alla produzione di AMP ciclico e quando quest’ultimo è
troppo concentrato, per un meccanismo di regolazione a feedback negativo, l’enzima smette di
lavorare. La tossina fa si che l’enzima non risenta più di questa inibizione e continui a lavorare ad
oltranza e questo porta ad un aumento enorme della concentrazione di AMP ciclico nella cellula. Ciò
crea un dislivello tra la pressione osmotica delle cellule e quella del lume intestinale. La cellula
reagisce cercando di riportare la sua pressione interna a livello normale buttando nel lume intestinale
acqua ed elettroliti che sono proprio le scariche di diarrea acquosa che noi osserviamo in un paziente
che ha il colera. Il primo intervento per questi pazienti è infatti la reidratazione.
Vi sono poi tossine dette superantigene. Normalmente un antigene, una volta che si è legato alle
antigene presenting cells, va a stimolare una linea di cellule immunitarie. La risposta immunitaria è sia
umorale che cellulare, come saprete. Un antigene stimola una sola linea cellulare normalmente.
Quando abbiamo a che fare con i superantigeni, essi si legano in modo anomalo a questo complesso e
si possono legare a più complessi andando a stimolare più linee cellulari di linfociti T ergo c’è una
stimolazione incontrollata di linfociti T. I superantigeni sono in grado di stimolare, in modo
incontrollato, la proliferazione di più linee di linfociti T e ciò porta poi ad un’altra serie di
problematiche, tra cui shock tossico poiché vengono liberate molte citochine infiammatorie.
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Le endotossine invece sono legate al lipide A, parte di quella membrana esterna presente nei batteri
Gram- ed è presente esclusivamente in essi. E’ la parte esterna di questa membrana che, nel suo
insieme, si chiama lipopolisaccaride, il quale è formato da:
Lipide A
Core polisaccaridico
Catene polisaccaridiche specifiche, parte antigene del LPS poiché sono specie specifiche
(Antigene O).
Ciò significa che le endotossine inducono sì la produzione di anticorpi e tuttavia l’anticorpo che viene
prodotto va contro questa parte della molecola, non contro il lipide A quindi inducono la formazione di
anticorpi non completamente neutralizzanti la tossina, al contrario di quanto avviene per le
esotossine. Le endotossine sono i lipidi A, l’anticorpo è invece prodotto contro l’antigene O.
Le endotossine:
Sono associate ai Gram-;
Hanno un’azione tossica generalizzata poiché agiscono per attivazione dei mediatori
dell’infiammazione (citochine);
Attivano linfociti T e B e in generale
Hanno una tossicità inferiore a quella delle esotossine;
Hanno scarsa immunogenicità in quanto vengono prodotti anticorpi non neutralizzanti la
tossina.
Provocano danno anche al sistema circolatorio e quando sono in circolo in grossi quantità, il rilascio
massivo di citochine può causare shock endotossico e ciò accade se sono in circolo grosse quantità di
lipide A. L’iniezione di batteri Gram negativi vivi o uccisi, o di LPS purificata, negli animali da
laboratorio, provoca un ampio spettro di reazioni fisiopatologiche non specifiche come:
1. Febbre;
2. Cambiamenti emocitometri (conta dei globuli bianchi)
3. Coagulazione intravascolare disseminata;
4. Produzione di citochine (TNF, IL-1. IL-6, IL-5 ecc)
5. Ipotensione
6. Shock
7. Morte.
L’LPS che va in circolo si va a legare a delle proteine che si trovano nel plasma e questo complesso va a
legarsi ad una serie di recettori presenti su alcune delle nostre cellule. Una volta che il complesso si
lega a questi recettori induce in queste cellule la produzione e il rilascio delle citochine
proinfiammatorio e quindi andiamo ad avere danni al sistema circolatorio dovuti all’azione di sostanze
liberate dai macrofagi che provocano VASODILATAZIONE e IPOTENSIONE dovute proprio al rilascio
delle citochine.
Il batterio Gram- lisa e libera LPS che si legano alle LPS-LBP (LPS binding protein), si forma un
complesso LPS-LBP. Questo complesso si lega a dei recettori che sono i CD14 presenti sui macrofagi,
sulle cellule endoteliali e sulle cellule epiteliali. Il legame di questo complesso LPS-sCD14 provoca il
rilascio di citochine IL-8 e TF.
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Stafilococchi
Gli stafilococchi hanno una forma di cocco. Sono Gram-positivi e dividendosi tendono, rimanendo
aggregati, a formare degli ammassi irregolari che ricordano i grappoli uva e questo è un carattere del
genere stafilococcus dovuto al fatto che le cellule si dividono sempre secondo piani casuali e mai sullo
stesso piano. Gli streptococchi invece si dividono sempre secondo lo stesso piano formando delle
catenelle.
Sono aerobi anaerobi facoltativi
Alofili: è uno dei caratteri sfruttato in laboratorio. Nei terreni arricchiti per permettere la
crescita degli stafilococchi è infatti presente il sale in modo tale che si inibiscono altre specie
batteriche. E’ importante se di deve seminare un campione proveniente da un sito
polimicrobico.
Ne esistono tantissime specie, circa 40.
Li troviamo nella carne, nel latte, nel formaggio ma anche nell’ambiente (suolo, sabbia, acqua).
Fanno parte della nostra normale flora, sia a livello della cute che delle mucose (tratto
respiratorio e gastrointestinale)
Sono tra i più resistenti dopo gli sporigeni, a lungo sopravvivono sulle superfici.
Come si classificano? La prima divisione è tra:
- Coagulasi positivi
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- Coagulasi negativi
La coagulasi è un enzima che porta la coagulazione del plasma nei tessuti infetti. Ricoprendosi di
coaguli si nascondono al nostro sistema immunitario. La coagulasi porta quindi alla formazione di
queste pareti di fibrina nei focolai dell’infezione proteggendoli da farmaci e sistema immunitario. Fino
a poco tempo fa, quando in laboratorio veniva isolato uno stafilococco coagulasi negativo, si diceva che
non fosse pericoloso poiché la specie di tipo patogena del genere stafilococcus è lo stafilococcus aureus
che è uno stafilococco coagulasi positivo, ma si tratta di un errore enorme poiché bisogna sembra
guardare al contesto in cui si osservano le infezioni.
L’aureus è la specie più patogena nel genere.
È un coagulasi positivo;
Presente nelle radici del 30-50% degli individui sani;
Può essere implicato in diverse sindromi
Le sindromi sono diverse a seconda della sede e della gravità.
Può dare infezioni che sono invasive poiché colonizza e invade i tessuti o in cui non invade ma
vanno in circolo le sue tossine oppure ci può essere una combinazione delle due precedenti.
Può dare patologie a livello della cute e dei tessuti molli, può dare patologie a livello dell’apparato
respiratorio quando, in presenza di concause predisponenti, va nell’apparato inferiore, a livello
dell’apparato scheletrico da osteomielite insieme agli streptococchi in quanto ha delle adesine che gli
permettono di legarsi alla superficie dell’osso, a livello dell’apparato genito urinario ed a livello del
sistema nervoso centrale, batteriemie e sindromi dovute alle sue tossine:
Shock tossico
Sindrome della cute scottata
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Intossicazioni alimentari
Non è che un ceppo di stafiloccocco aureus produce tutte le tossine possibili, c’è variabilità all’interno
della specie. E’ una delle cause più comuni di infezioni contratte in ambito ospedaliero a carico di:
- Ferite chirurgiche o da decubito;
- Batteriemia (cateteri) sepsi
Fattori di virulenza
Ha una serie di fattori legati alla parete cellulare che permettono aderenza e colonizzazione. La
proteina A, legata covalentemente al peptidoglicano di quasi tutti i ceppi di S. Aureys si lega nella
regione Fc delle IgG (opsonine) di qualsiasi specie di mammifero inibendo l’opsonizzazione.
Possiedono capsule e recettori proteici per la matrice extracellulare (fibronectina, laminina, collagene)
che permettono il legame alle matrici extracellulari delle nostre mucose. La coagulasi è un altro fattore
di virulenza. Questi elementi sono tutte delle aggressine. Poi ci sono le tossine vere e proprie che sono
suddivisibili in due gruppi:
Citolitiche
Superantigene
Le tossine superantigene sono suddivise in:
Enterotossine che stimolano i centri cerebrali sottocorticali del vomito;
Tossina pirogenica: legata alla sindrome dello shock tossico
Tossine epidermolitiche: provoca la rottura dei desmosomi ed i ceppi che portano questa
tossina provocano la sindrome della cute scottata poiché basta sfiorare la cute dei soggetti
infetti poiché si stacchino gli strati superficiali.
I ceppi che producono le enterotossine possono contaminare il cibo. Chi lavora ad esempio un
dolce senza lavarsi bene le mani, può essere un portatore sano contaminando l’impasto. Il ceppo
muore quando il dolce viene cotto, ma la tossina è resistente al calore quindi rimane nell’alimento
e una volta che lo ingeriamo ovviamente andiamo incontro a questa sintomatologia.
Altri ceppi possono colonizzare la vagina della donne. Questi ceppi sono produttori di una tossina
che funge da superantigene inducendo la formazione delle citochine pro-infiammatorie di cui
parlavamo prima. Il flusso intestinale favorisce il circolo di questa tossina. Si riteneva che anche gli
assorbenti interni favorissero l’entrata in circolo in questa tossina. Quando la tossina entra in
circolo si possono avere una serie di sintomi che sono tutti assimilabili alla sindrome da shock
tossico: confusione mentale, indolenzimento muscolare eccetera.
Non è che un ceppo di stafiloccocco aureus produce tutte queste tossine insieme: alcuni ceppi
danno gastroenteriti, altri la sindrome della cute scottata etc, c’è variabilità all’interno della specie.
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Tutto ciò sono i fattori di virulenza con cui gli stafilococchi esplicano la loro azione patogena ed
evadono le nostre linee di difesa.
S.epidermidis
Stafilococco coagulasi negativo normale abitante della flora commensale umana
Può causare infezioni legate all’utilizzo di cateteri e protesi essendo un grosso produttore di
biofilm.
Produzione di materiale mucoso polisaccaridico extracellulare glicocalice (biofilm)
S.Saprophyticus
Coagulasi negativo
Normale componente della flora vaginale
Spesso isolato da cistiti nelle donne
GENERE STREPTOCOCCUS
Un altro gruppo di Gram+ sono il genere streptococcus. Questi sono disposti o in coppie o in catenelle
perché si dividono sempre secondo lo stesso piano. Sono cocchi Gram+, non sono mobili ed anche loro
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 39
sono capsulati. All’interno del genere streptococcus in realtà una volta erano inseriti anche gli
enterococchi che in seguito sono stati separati poiché vi erano sufficienti differenze per dire che erano
due generi diversi.
Sono aerobi anerobi facoltativi.
Sono diffusi in natura
Fanno parte della nostra flora (faringe, tratto intestinale, vaginale e cutaneo).
Per classificarli utilizziamo due criteri. In primo luogo le loro capacità emolitiche. Su una piastra di
agar e sangue si può osservare il tipo di emolisi che fanno. Se sono stafilococchi mi può aiutare nella
classificazione degli stessi in tre categorie:
α-emolitici: alone ristretto di emolisi incompleta, con colorazione verdastra (trasformazione
metabolica dell’emoglobina). Non emolizzano totalmente i globuli rossi.
β-emolitici: alone evidente di emolisi completa
γ-emolitici: nessun alone di emolisi
Oltre a questa classificazione si dividono in base ad un antigene che hanno sulla loro superficie,
diverso a seconda del gruppo di stafilococchi che considero. Tale antigene è il polisaccaride C. Si
individuano quindi diversi gruppi: a, b, c eccetera. I più importanti, dal punto di vista della
microbiologia clinica, sono i gruppi a e b, maggiormente associati a patologie infettive nell’uomo.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 40
Questa classificazione si chiama classificazione di Lancefield. Secondo la classificazione di Lancefield
abbiamo:
È uno streptococco beta emolitico e che normalmente troviamo a livello del microbiota della gola e
della cute e che provoca faringiti, impetigini, febbre reumatica, glomerulonefrite. Per la faringite in
genere si ricercano streptococchi di gruppi A beta emolitico. Un altro streptococco associato a
patologie nell’uomo è lo streptococco di tipo B, agalactie. Questo è associato all’apparato genitale
femminile. Crea problemi in una donna incinta poiché può infettare il bambino nel momento del
passaggio nel canale vaginale al momento del parto e il bambino può andare incontro a sepsi
neonatale o meningiti che sono piuttosto gravi. E’ uno dei ceppi che si ricercano in gravidanza.
Abbiamo poi gli enterococchi chiamati una volta streptococchi di gruppi D ma sono classificati a parte.
Hanno anche loro il polisaccaride C di Lancefield e si raggruppano nel D. Non sono emolitiche, il loro
habitat è a livello del colon, ma possono provocare ascessi addominali, infezioni urinarie, endocarditi
in quanto possono essere considerati patogeni opportunisti. Abbiamo poi un gruppo senza il
polisaccaride C, non sono tipizzabili secondo la classificazione di Lancefield. Non sono emolitici ed il
loro habitat è la bocca, la gola, il colon, l’apparato genitale femminile e possono provocare carie
dentali, endocarditi ed ascessi. Gli streptococchi hanno un forte tropismo per il tessuto cardiaco.
Abbiamo poi lo s.pneumoniae, non ha anch’esso il polisaccaride C, non è emolitico in anerobiosi, il suo
habitat è la gola ed è l’agente eziologico della polmonite. Può dare endocarditi, può dare meningiti.
Streptococcus pyogenes
Si tratta della specie patogena del gruppo streptococcus, è un beta emolitico di gruppo A, ha la capsula
e 5-25% degli individui sani sono portatori di s. Pyogenes nel tratto respiratorio. La
trasmissione avviene per via aerea diretta attraverso tosse, starnuti. Invade la cute e le membrane
delle mucose e per provocare un’infezione è necessaria una bassa dose. Può dare una serie di
patologie che vengono definite sequele post infettive ovvero dopo la patologia infettiva si può andare
incontro ad una serie di sequele anche se il microrganismo non è più presente poiché sono
principalmente sequele dovute al fatto che in circolo rimangono immunocomplessi formati
dall’anticorpo e l’antigene streptococcico che possono andarsi a depositare in vari distretti corporei
come a livello della articolazioni, cuore reni e tra le sequele post streptococciche c’è la
glomerulonefrite, febbri reumatiche, cardiopatia reumatica, miocardite, pericardite, endocardite.
Oggi quando si ha a che fare con infezioni da streptococco si danno penicilline per un mese di seguito e
poi una volta al mese nei più anziani. L’infezione più frequente dello streptococcus pyogenes è proprio
a livello della rino-faringe.
Dinamica di patogenicità
La faringite streptococcica è la patologia più comune oppure può dare infezioni cutanee,
Sindrome da shock tossico, infezioni post-partum e sequele post streptococciche.
Queste ultime partono da una patologia come una faringite, poi a causa del rimanere in circolo
di questi immunocomplessi si hanno sequele post infettive
La trasmissione è interumana tramite goccioline respiratorie o il contatto diretto. Il primo step è
l’adesione alla mucosa faringea tramite la proteina F. Se trova le condizioni idonee inizia la sua
colonizzazione che può anche essere una colonizzazione transiente senza danno. Se è permanente vi è
una crescita batterica. La permanente può restare localizzata nel sito di infezione o andare nei tessuti
profondi. Dopo la crescita batterica produce le sue tossine e danneggia la mucosa. Vi è una risposta
infiammatoria, arrivano i globuli bianchi, formano pus e questa è la faringite che conosciamo che si
può fermare qui. In rari casi si aprono dei varchi nella mucosa danneggiata e si ha l’accesso al torrente
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 41
circolatorio. In tal caso si può avere:
Setticemia
Infezione del tessuto sottocutaneo
Fascite necrotizzante
Fattori di virulenza: ha moltissime adesine che legano altrettanti recettori nell’ospite. Produce enzimi
che scindono IgA secretorie, produce enzimi che scindono la c5a – componente del complemento.
La proteina M che è uno dei fattori di adesione, è molto importante per gli streptococchi. Ve ne sono
molti pochi, si differenziano 60 tipi di s. pyogenes in base alla proteina M e noi siamo immuni solo
verso il ceppo che ha la stessa proteina M che ci ha infettato perché ci si rende immune solo verso una
infezione omotipica, cioè dello stesso tipo di ceppo. Produce:
Ialunoridasi: facilita la diffusione degli streptococchi nel tessuto epiteliale
Streptochinasi: lisa i coaguli che si formano intorno al sito di infezione catalizzando la
trasformazione del plasminogeno in plasmina
Streptodornasi Dnasi: depolimerizza gli accumuli di DNA che si formano nelle lesioni
ascessuali
Neuroaminidasi: depolimerizza le secrezioni mucose presenti nelle vie aeree respiratorie
Le streptolisine portano a morte cellule come i linfociti, cellule parenchimali. Può dare anche infezioni
cutanee. L’unica malattia esantematica provocata da batteri e non da virus è la scarlattina, provocata
dallo s. pyogenes. La sepsi puerperale colpisce l’endometrio uterino. Si va incontro a malattia
sistemica. Si prende subito dopo il parto per via esogena da portatore o mediante strumenti infetti o
endogena dalla flora vaginale della mamma.
Streptococcus agalactiae
E’ uno streptococco beta-emolitico di gruppo b;
Si localizza nel tratto gastrointestinale e nei genitali, può essere trasmesso per via sessuale.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 42
Fattori di virulenza
Capsula
Beta emolisina che è una citolisina che agisce sulle membrane delle cellule.
La b-emolisina è tossica per l’epitelio polmonare e per le cellule endoteliali.
Questo streptococco può infettare un nascituro nel momento del parto. Quando il nascituro va
incontro a polmonite, meningite o gravi infezioni sistemiche venti ore dopo la nascita sicuramente ha
contratto l’infezione in modo verticale mentre quando ciò accade 24 giorni dopo la nascita, l’infezione
è non contratta in linea verticale ma orizzontale, probabilmente in ospedale.
S. pneumoniae
Agente eziologico della polmonite
Non ha l’antigene di Lancefiled
Cocco Gram-positivo
Di solito si forma a diplococco, restano attaccate a coppia le cellule
È presente nelle vie respiratorie del 30-70% della popolazione
Può provocare una polmonite e ci sono fattori predisponenti perché questo accada (età, alcolismo,
lesione delle alte vie respiratorie) che indeboliscono le nostre barriere
L’infezione inizia con l’aspirazione delle secrezioni dalle alte vie respiratorie e nel 20-30% dei pazienti
si può anche andare a sviluppare una batteriemia.
Insieme ad altri batteri è causa di otite media e comunque sia che provochi otite che sia presente nelle
vie respiratorie normalmente, può provocare polmonite in presenza di concause predisponenti o può,
dall’otite media, sempre in presenza di cause predisponenti, raggiungere la circolazione provocando
sepsi e batteriemia e a quel punto l’infezione può andare a localizzarsi in (pericardio, miocardio,
peritoneo, meningi (meningite). Quasi tutti i batteri che causano meningite sono capsulati. La capsula
durante la semina in laboratorio si perde perché sulla piastra non hanno bisogno di produrla mentre la
producono quando devono provocare la patologia poiché la capsula li nasconde ai fagociti. I
polisaccaridi capsulari hanno potere antigenico. Si conoscono fino a 90 sierotipi, la maggior parte delle
malattie è provocata dai tipi che vanno da 1-9.
Fattori di patogenicità
È in grado di colonizzare le vie respiratorie. E’ mediata da proteine superficiali (adesine) che si
legano a recettori glicoproteici delle cellule epiteliali umane. E’ favorita da una IgA proteasi
pneumococcica che idrolizza le Ig e favorisce la sopravvivenza dello pneumococco sulla
superficie delle mucose.
Produce neuramidasi e ianuloridasi. E’ favorito dal fatto che si auto-lisa quando invecchia e ciò
libera una serie di molecole associate alle cellula che hanno un elevato potere tossico ed una
tossina, pnemolisina, che danneggia i leucociti, attiva il complemento, provoca lesione
polmonare acuta, promuove la crescita degli pneumococchi e la batteriemia.
Micobatteri
Sono bacilli Gram+
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 43
Aerobi anerobi facoltativi
Microrganismo a crescita molto lenta
Vengono evidenziati in laboratorio attraverso la colorazione Ziehl-Nielsen e quindi si
dicono alcool acido resistenti. La colorazione Zieh-Nielsen si differenzia dalla gram perché
per far entrare il primo colorante si scaldano un po’ poi fra il primo e il secondo colorante
si lava oltre che con alcool anche con acido ed i micobatteri quando il primo colorante è
entrato non lo fanno più uscire, anche se vengono trattati con alcol o acido. Quando si
osservano al vetrino batteri che trattengono il primo colorante, si osservano batteri alcol
acido resistenti.
Ciò è legato alla permeabilità molto selettiva della loro parete che è molto particolare e questa
permeabilità selettiva fa si che anche i nutrienti entrino molto lentamente, motivo per cui i micobatteri
sono a crescita lentissima. A volte bisogna aspettare anche un mese dopo la semina su terreno per
vederli. Oggi ci sono tecniche di biologia molecolare che dicono se è presente il genoma o meno.
Al di sopra del peptidoglicano c’è questa struttura
Si stima che ci siano
circa due miliardi di
persone affetta da
Mycobacterium
tuberculosis. Si tratta
di un intracellulare
facoltativo. Non
produce nessuna
tossina, si trasmette
da persona a persona
per via aerogena.
Bastano pochi batteri,
da uno a dieci, per
avviare l’infezione
delle vie aeree in un
individuo sano. Solo
un decimo delle
persone che hanno
infezione svilupperà
poi la malattia. Il
contagio avviene per
via aerea, ma
possiamo essere
portatori di
micobatteri diversi
dal tuberculosis anche per via alimentare. Abbiamo delle tubercolosi che vengono chiamate
extrapolmonari, intestinali, ossea, meningea, genitale, renale. In entrambi i casi si può arrivare a una
disseminazione arrivando ad avere una tubercolosi cosiddetta familiare che è generalizzata. Quando si
instaura la prima infezione i batteri si collocano a livello polmonare e si può avere o la tubercolosi
primaria che è una malattia conclamata, o l’infezione tubercolare asintomatica e questo è quello che
accade nella maggior parte dei casi. Quando arrivano i fagociti alveolari, lo fagocitano e lui resiste e si
moltiplica all’interno del macrofago. Come reagiamo a questo fenomeno? Cerchiamo di limitare la
disseminazione dell’infezione formando granulomi intorno al sito dell’infezione cioè aggregati di
cellule immunitarie che circondano il tessuto infetto. I granulomi possono guarire per riassorbimento
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 44
dell’essudato, determinare necrosi del tessuto o evolvere in lesioni produttive. Le lesioni di tipo
produttivo sono denominate tubercoli e sono prodotte sia nella malattia conclamata che in quella
silente. I tubercoli sono costituiti da un’area centrale in cui troviamo le cellule epiteliali, i macrofagi
che contengono i micobatteri vivi ed una zona periferica dove ci sono linfociti. Queste formazioni si
chiamano tubercoli e questo complesso primario ci sono i micobatteri vivi che nel 95% dei casi
possono rimanere silenti in tutta la via e in questo stato i soggetti non sono infettivi. Nel 5% dei casi si
possono riattivare i batteri e causare una tubercolosi che è attiva dal punto di vista clinico. I
micobatteri fuoriescono dai tubercoli ed il soggetto diventa infettivo. Può succedere che all’interno la
parte centrale del tubercolo vada incontro ad una necrosi detta caseosa dovuta alle pareti cellulari dei
micobatteri. Il tubercolo necrotizzato può guarire per calcificazione o svuotare il suo contenuto nel
bronco formando una granulomazione multipla, diffusione metastatica e lì c’è la tubercolosi attiva e la
circolazione dei batteri. Questo avviene nel 5% dei casi quando c’è un abbassamento delle nostre
difese immunitarie e non riusciamo più a contenere la proliferazione bacillare nel sito di infezione
(all’interno dei granulomi).
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 45
Spora
La spora batterica è una forma di resistenza ed è un altro criterio di classificazione in quanto i batteri
vengono classificati in sporigeni ed asporigeni. Dal punto di vista di batteri di interesse medico,
abbiamo due gruppi che vengono definiti sporigeni:
Clostridium: bacilli gram-positivi anaerobi stretti;
Bacilli: aerobi anerobi facoltativi, bacilli gram-positivi
Questi batteri, quando si trovano in condizioni ambientali non favorevoli alla loro crescita, si
trasformano in spore entrando in uno stato di quiescenza metabolica in cui sopravvivono anche per
anni finché le condizioni non diventano favorevoli. In quel caso dalla spora tornano alla vita vegetativa.
Le caratteristiche delle spore sono:
Scarse attività enzimatiche
Biosintesi assenti
Consumo di ossigeno assente (almeno per quanto riguarda quelli che usano ossigeno)
Resistente alla penetrazione di sostanze: impermeabilità
Meno ricca di acqua
Resistente all’essiccamento
Resistente agli UV
Resistente al calore
In questo stato di letargo sopravvive anni
Questi batteri ricevono quindi degli input dall’ambiente esterno che sono negativi e questi input non
fanno altro che silenziare tutti i geni che normalmente sono attivi nel metabolismo ed attivare invece
l’espressione di tutta una serie di geni che servono per la vita sporadica. Una volta che si torna a
condizioni favorevoli, avviene il processo inverso. Nella formazione di una spora vi sono diverse fasi:
1. La molecola di DNA si duplica;
2. La cellula si divide, ma non in modo uguale bensì asimmetrico. Nella parte più piccola viene
persa l’acqua e la spora comincia a formarsi. Si ricopre di una serie di involucri esterni che la
rendono resistente a tutto ciò che abbiamo detto.
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Involucri della spora:
Molecola di DNA
Membrana citoplasmatica
Parete cellulare
Strato ricco di una sostanza tipica della spora, l’acido dipicolinico, che è denominato cortex
Rivestimento interno ed esterno: ricchi di proteine e ponti disolfuro
Esosporio: ricco di fosfolipidi.
Lo strato ricco di acido dipicolinico stabilizza la struttura nel suo insieme, i due strati interno ed
esterno hanno molti residui di cisteina, che vengono detti coats formano ponti disolfuro e anche
questo struttura la spora e l’esosporio che è costituito da fosfolipidi ed acidi teicoici. Questi ultimi
sono a carattere antigene e normalmente si
trovano nella parete cellulare dei grampositivi.
Conoscere la presenza delle spore su un materiale
è molto importante poiché le spore sono resistenti
al calore, uno dei principali metodi utilizzati per la
sterilizzazione dei materiali. Quando sospettiamo
che un nostro materiale sia contaminato da spore è
ovvio che dovremo usare delle accortezze quando
procediamo con la sterilizzazione: far sì che la
spora torni alla sua vita vegetale per poi essere
sensibile al calore.
I principali gruppi sporigeni di interesse medico sono il genere clostridium e il genere bacillus. I
bacillus sono aerobi, l’anthracis che è l’agente eziologico dell’antrace. Il genere clostridium comprende
specie anaerobie strette. Tra le più note abbiamo il botulinum, il tetani, il perfingens ed il difficile.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 47
I bacillus come abbiamo detto sono gram-positivi. Sono anerobi facoltativi ergo possono sia respirare
che fermentare. Sono presenti nel terreno e nelle acque e sono sporigeni. Le specie più importanti
sono:
Bacillus anthracis
Bacilus cereus
Il bacillus anthracis è mobile, lo troviamo in genere a livello dell’apparato enterico degli animali
erbivori perché le spore si depositano sulle foglie delle piante che essi mangiano e, una volta ingerite,
possono andare in circolo se a livello intestinale vi sono lesioni, e provocare quello che è noto come
carbonchio sistemico che è fatale per gli animali. Anche nell’uomo può provocare patologia.
Nell’uomo provoca carbonchio o antrace che può dare forme cutanee, gastrointestinali o polmonari. Le
forme cutanee le abbiamo se vi è una ferita aperta e solitamente chi si ammala di questa patologia è in
genere una persona che lavora con gli animali e difatti si chiama zoonosi. L’uomo può inalare le spore
per via respiratoria o gastrointestinale, se mangia carne infetta o per via cutanea se ha delle ferite.
Nella forma cutanea abbiamo che le spore infettano la ferita e dopo qualche giorno si forma una papula
e si formano vescicole che si scuriscono divenendo papule del colore del carbone. Normalmente si
guarisce spontaneamente, ma nel 20% dei casi che non vengono trattati non riescono a contenere
questa formazione e allora i bacilli infettano i linfonodi regionali andandosi poi a riversare nella
circolazione generale ed a quel punto si può avere l’evoluzione in setticemia fulminante. Nella forma
polmonare si respirano le spore, poi fagocitate dai macrofagi alveolari. Le spore germinano e si
moltiplicano all’interno dei macrofagi diffondendo dai linfonodi regionali al circolo generale. Questo
dà gravi problemi respiratori, shock. Nel carbonchio gastrointestinale vi è una mortalità del 100%. Si
formano quelle ulcere che abbiamo visto a livello cutaneo a livello della bocca e dell’esofago, si ha
linfoadenopatia regionale, edema e sepsi.
Fattori di virulenza e dinamica di patogenicità
I fattori di virulenza che utilizza questo microrganismo sono:
Capsula non polisaccaridica, ma fatta di acido butanico, molecola presente anche a livello dei
nostri tessuti e codificata da un gene plasmidico. La capsula fornisce un’attività antifagocitaria.
Produce poi una tossina che nel suo insieme viene chiamata trio diabolico in quanto formata da
tre sub-unità: fattore 1, 2 e 3. Il fattore 1 è chiamato fattore dell’edema. Il fattore 2 è un
antigene protettivo e il fattore 3 un fattore letale. Il fattore 2 è quello che si lega al recettore
della cellula. Dopo il legame fa entrare o il fattore 1 o il 3. L’1 causa l’incremento dell’AMP
ciclico intracellulare e questo così come avviene per la tossina colerica richiama liquido nel
tessuto e quindi si forma l’edema. Il fattore 3 è responsabile della necrosi del tessuto poiché
induce morte per apoptosi. Questi tre fattori agiscono in questo modo: si lega prima il fattore 2
al suo recettore, una volta che si è legato a questo sistema che si forma o l’1 o il 3, mai tutti e
due insieme. Una volta che si sono legati la cellula li porta dentro. Il fattore dell’edema aumenta
l’AMP ciclico nella cellula e questo richiama liquido nel tessuto, il fattore letale induce morte
per apoptosi della cellula.
In laboratorio è possibile cercare, attraverso una colorazione con blu di metilene il fluido
contenuto nelle papule, nel sangue, nei linfonodi, nel liquor.
Si semina su terreni agar e sangue e si osservano le colonie.
Esiste un vaccino con batteri attenuati (gli è stato tolto il plasmide poiché sia tossine che
capsule sono portate da geni plasmidici) nella loro virulenza. Come vedrete la vaccinazione
induce uno stato di immunità nel soggetto e solitamente per vaccinare si utilizzano o parti del
microrganismo o il microrganismo intero o attenuato nella sua virulenza o proprio ucciso. In
tal modo conserva le sue caratteristiche antigene e la capacità di stimolare il nostro sistema
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 48
immunitario.
Clostridium
I clostridi a differenza dei bacilli sono anerobi stretti. Si tratta sempre di bacilli grampositivi. Hanno un
metabolismo esclusivamente di tipo fermentativo, non hanno né catalasi né citocromi. La forma
vegetativa non sporale viene uccisa dall’ossigeno. Nell’ambiente siamo circondati da spore di
clostridium che sono in forma sporale poiché non tollerano l’ossigeno. Possono anche ritrovarsi sotto
forma sporale nell’intestino dei vertebrati, ma in cariche molto basse poiché il resto dell’ecosistema
intestinale controlla che non prendano il sopravvento: possono tuttavia prenderlo in condizioni in cui
la nostra flora è in situazione di squilibrio, ad esempio dopo una lunga cura antibiotica. Le specie
importanti dal punto di vista medico sono il tetani, botulinum il perfinges ed il difficile, uno nei
clostridi che può vivere a livello intestinale ed è un grosso problema negli ospedali perché molti
soggetti vanno incontro a patologia in seguito a cure antibiotiche o farmaci che interferiscono con il
microbiota intestinale. Se il ceppo che colonizza il paziente è uno di quei ceppi che producono la sua
potente tossina, il soggetto può andare incontro a questa colite pseudomembranosa anche detta
diarrea post antibiotica che è molto grave. Questo rappresenta un problema negli ospedali perché
molto spesso i soggetti ospedalizzati si infettano con le spore di clostridium che vivono in ambiente
ospedaliero e dal momento che si tratta di spore che sopravvivono in ambiente ospedaliero, sono
molto resistenti agli antibiotici e difficili da trattare. Oggi si comincia ad attuare un protocollo quando
il paziente non risponde alla terapia antibiotica chiamato trapianto fecale: si introducono le feci di un
donatore sano in modo tale da riportare in equilibrio l’ecosistema microbiota enterico. L’utilizzo di
questo protocollo ha portato alla guarigione nel 98% dei casi ed è un protocollo che viene anche
utilizzato in patologie diverse da questa che comunque sono associati a squilibri della flora intestinale.
Il comitato etico ha approvato il protocollo per il trattamento delle diarree da clostridium difficile che
non rispondono a terapia antibiotica.
Clostridium tetani
Si trova nel suo e nell’intestino di alcuni animali. Produce spore più grandi in posizione terminale si
osservano queste clave. Perché l’infezione avvenga è necessario che la spora accidentalmente penetri
in un tessuto profondo, ad esempio a causa di una ferita profonda. Quando la spora va nel tessuto
profondo non trova ossigeno quindi trova le condizioni favorevoli per tornare alla vita vegetativa
producendo la sua potente tossina che agisce a livello nervoso.
In genere quando un soggetto si presenta con una ferita profonda in ospedale, si domanda se è stato
fatto il vaccino. Se non è stato fatto il vaccino si domande se si vuol fare il siero che contiene già gli
anticorpi preformati contro la tossina potente del tetano. La tossina viene detta tetano spasmina – ne
produce anche un’altra, ma questa è la più importante- che viene trasportata nel tronco cerebrale e nel
midollo spinale dove esercita la sua azione tossica. Il clostridium tetani produce quindi due tossine, la
tetano spasmina è codificata da un gene plasmidico e la tetano lisina. Quest’ultima è sensibile
all’ossigeno ed ha la capacità di lisare leucociti, eritrociti e piastrine destabilizzando la membrana di
queste cellule. La tetano spasmina è una neurotossina, termolabile, viene prodotta durante la fase
stazionaria. Viene rilasciata dopo lisi, quando il batterio muore. E’ una tossina formata da due catene
polipeptiche, una A ed una B. La parte B è quella che lega il recettore, la A è quella che esplica l’azione
tossica. Arriva alle terminazioni nervose periferiche e risale fino al sistema nervoso centrale. Giunta
alle terminazioni nervose, blocca il rilascio dei neurotrasmettitori inibitori come il GABA. Se il muscolo
si contrae non ha più gli inibitori e non si rilascia. Questo porta a morte del paziente perché si arriva
alla compromissione della funzionalità dei muscoli respiratori e di quello cardiaco.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 49
Gli spasmi arrivano in risposta a stimoli insignificanti, si estendono al tronco ed agli altri e provocano
questa postura particolare dovuta alla diversa forza con cui si contraggono i muscoli dorsali e ventrali.
Si può arrivare a morte per soffocamento.
Clostridium Perfinges
Si tratta sempre di un bacillo gram positivo. Può infettare i tessuti molli, dare grosse infezioni
alimentari ed anche setticemia. Quello che fa è infettare ferite e quando questo accade si ha un
accumulo nella ferita di gas sottocutanei che sono i prodotti del clostridium. L’unica soluzione è in
genere l’amputazione ed una fortissima terapia antibiotica.
Clostridium difficile
Il clostridium difficile è una anerobio, ed è presente in piccole quantità nel tratto gastrointestinale
degli essere umani. In condizioni di squilibrio della flora provoca colite pseudomembranosa con
diarrea, muco verde, febbre alta. I fattori di virulenza associati a questo batterio sono un’enterotossina
che da un accumulo di liquido nell’intestino ed una tossina citopatica che provoca danni alla mucosa
intestinale con la formazione di pseudomembrane a livello della mucosa.
Clostridium botulinum
La tossina è molta utilizzata anche in estetica poiché agisce a livello del sistema nervoso provocando
una contrazione flaccida. In assenza di ossigeno la spora germina producendo la sua potente
neurotossina. Ve ne sono sette tipi chiamati a,b,c, eccetera, ogni ceppo ne produce un tipo. Le più
importanti, dal punto di vista delle patologie umane, sono a, b, e ed f. La a è la più potente in assoluto.
Come agiscono? Il botulino alimentare è il più frequente, dipende da una insufficiente sterilizzazione
del cibo come carne, pesce, salse. Gli alimenti più a rischio sono le conserve domestiche a pH neutro
poiché a pH neutro la tossina sopravvive. Una volta che noi mangiamo questi cibi, la tossina viene
mandata via con le feci, ma una piccola parte va in circolo. I sintomi sono diplopia, difficoltà di mettere
a fuoco, dilatazione delle pupille, difficoltà nell’articolare e si ha questa paralisi discendente che va a
coinvolgere l’albero respiratorio quindi anche qui si può arrivare a soffocamento nel 50% dei casi non
trattati. I bambini sono molto a rischio di questa patologia e nei bambini succede quello che ho appena
descritto poiché c’è un grande uso di miele e se si compra miele non pastorizzato si corre il rischio
poiché le spore restano incastrate nei bastoncini che vengono usati per estrarre il miele.
Il microbiota intestinale ha come funzione il fare barriera ai patogeni esterni. Se è in equilibrio è
difficile che patogeni eventuali hanno grossa difficoltà a prendere il sopravvento poiché non trovano
siti, nutrienti e condizioni a loro favorevoli. Questa tossina dall’intestino passa nel torrente
circolatorio, viene captata agli assoni a livello delle giunzioni neuromuscolari e viene assorbita a livello
del tessuto nervoso. Quando viene assorbita viene scissa in due catene, una pesante ed una leggera.
Nella catena leggera si trova la porzione reattiva di questa tossina ed è un enzima, una zincopeptidasi
che ha bisogno dello zinco come suo fattore per agire. In che modo agisce? Intanto questa tossina va ad
agire scindendo alcune proteine che sono a livello del tessuto nervoso e ve ne sono almeno 7 tipo
diverso. Ogni tossina è specifica per determinate proteine. Queste proteine a loro volta sono molto
importanti perché se esse non funzionano -e la tossina non le fa funzionare perché le scinde- sono
indispensabili per il rilascio dell’acetilcolina quindi non c’è il rilascio dell’acetilcolina e c’è la
contrazione muscolare, ma una contrazione flaccida.
A seconda della tossina viene scissa una proteina diversa. Questo provoca che la terminazione nervosa
non rilasci acetilcolina e paralisi flaccida. La prevenzione comprende alimenti sterilizzati
efficacemente e che vanno tenuti ad un pH inferiore a 4.8 perché in ambiente acido la tossina non è
attiva. Ve ne è solo una, quella di tipo E che resiste fino a pH 3.
Gram-
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 50
Il primo gruppo che prendiamo in considerazione sono le enterobatteriacee che sono bacilli Gram- e
all’interno di questa famiglia costituita da batteri tipici del tratto gastrointestinale, ci sono tantissimi
generi. Quelli di interesse medico sono:
- Escherichia;
- Salmonella
- Shigella
- Yersina
La maggior parte possono essere considerati opportunisti, normali abitanti della nostra flora che, in
determinate condizioni, possono causare patologie infettive. I caratteri generali sono:
Bacilli Gram-: tutte le enterobatteriacee lo sono;
Possono muoversi o no, dipende dalla presenza o meno del flagello;
Sono anerobi facoltativi;
Tutte le enterobatteriacee sono in grado di utilizzare il glucosio in anerobiosi, attraverso una
via fermentativa e producono in seguito alla metabolizzazione del glucosio, diversi prodotti
finali: acidi o gas e il tipo di prodotto finale può essere utilizzato per classificare, per dare un
nome e cognome al bacillo Gram- che ho isolato da un campione arrivato in laboratorio.
I criteri di classificazione entro il genere possono considerare:
Capacità di utilizzare particolari substrati;
Presenza di particolari enzimi
Produzione di specifici prodotti metabolici
Capacità di fermentare particolari Zuccheri
Sono tutte caratteristiche biochimiche che io utilizzo per l’identificazione del microrganismo
all’interno della famiglia delle enterobatteriacee.
Anzitutto per comprendere se un organismo faccia parte della famiglia delle enterobatteriacee o meno,
comincio ad eseguire dei test.
Se si tratta di
un’enterobatteriacea,
allora eseguirò altri test
per comprendere di quale
enterobatteriacea si tratti.
Questo è il modo in cui si
ragiona nei laboratori per
arrivare ad identificare
una specie batterica. Ad
esempio, se il
microrganismo è
un’enterobatteriacea,
come vediamo nello
schema, fermenterà il
glucosio. Se lo è, faccio
altri test. Alla fine otterrò
dei nomi che mi
permetteranno di
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 51
identificare il genere.
Un altro modo che si può utilizzare è quello di valutare gli antigeni di superficie. Questi sono molto
utili se devo identificare un tipo particolare di una certa specie – non è che microrganismi che fanno
parte della specie escherichia coli o della specie salmonella sono tutti uguali perché c’è una variabilità
genetica anche all’interno di una specie- posso utilizzare gli antigeni di superficie poiché questi
particolari ceppi possono avere degli antigeni particolari che li rendono in grado ad esempio di
colonizzare un ambiente che normalmente non colonizzano. Possiamo ad esempio fare gli esempi dei
ceppi di E. coli che causano cistiti, anche detti uropatogeni. Questi ceppi hanno sulla propria superficie
una variante dell’adesina che gli permette di legarsi alle pareti della vescica. Solo quei ceppi provocano
la cistite.
Gli antigeni di superficie che si possono usare a questo proposito sono, se ho su un ceppo mobile
l’antigene H, che è quello del flagello. Se sono ceppi che formano la capsula, posso verificare gli
antigeni capsulari (antigeni K/Vi) oppure in base all’antigene O – l’antigene O dei gram negativi è
costituito da catene polisaccaridiche che si trovano nel lipopolisaccaride che si trova nella membrana
esterna dei gram-negativi quindi l’antigene O è legato esclusivamente ai gram negativi.
Si possono anche suddividere le enterobatteriacee tra quelle che invadono le cellule dell’ospite e
quelle che non le invadono. In generale, ad eccezione di alcuni ceppi patogeni come salmonella,
shigella, yersinia, sono generalmente germi opportunisti. Possono causare polmoniti, infezioni delle
vie urinarie, setticemia, infezioni neonatali, infezioni da ferite e post operatorie.
Genere Salmonella
Le salmonelle sono mobili per presenza di flagelli, quindi possono essere classificate anche in
base all’antigene H
Fermentano il glucosio non producendo gas (la produzione di gas è un altro carattere che
posso sfruttare per identificare una salmonella da un campione.
Non fermentano il lattosio. Questo è un punto importante poiché le enterobatteriacee si
distinguono anche in base alla loro capacità di fermentare il lattosio. Per far questo utilizzo un
terreno di coltura detto McConkey agar dove vi è lattosio ed un indicare di pH poiché la
fermentazione tende ad acidificare il terreno. Se la specie che io ho seminato su quel terreno
fermenta il lattosio, l’indicatore di pH vira, ed il colore del terreno vira dal rosso al giallo ergo
possono subito identificare su tale terreno differenziale, i fermentanti dai non fermentanti. La
salmonella è un non fermentante quindi quando mi arriva un campione di feci in cui ricerco
salmonelle, vado a selezionare nella semina tutte le colonie che non fermentano il lattosio.
Ovviamente dovrò poi effettuare altri test ma ciò è sufficiente per fare una prima
identificazione in un campione polimicrobico.
Esistono due specie di salmonella: Enterica e Bongori. Alla specie enterica appartengono oltre
2463 sierotipi. Tutti i sierotipi che causano malattie nell’uomo appartengono alla sub-specie
enterica. Nei laboratori non si arriva mai alla tipizzazione completa, si scrive salmonella spp.
Per fare la tipizzazione il laboratorista spedisce il ceppo a dei centri di riferimento che hanno
tutta l’attrezzatura per fare il sierotipo (non conviene attrezzare tutti i laboratori per fare il
sierotipo).
Le salmonelle possono dare due tipi di patologia:
Semplice enterite che si risolve da sola in pochi giorni
Oppure, se abbiamo a che fare con particolari tipi di salmonella come la Typhi o la Parathiphy A, B, C
parliamo di
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 52
Febbre enterica.
Nel primo caso l’infezione può avvenire per zoonosi. La dose infettante è abbastanza elevata, 105. La
patologia si limita all’ileo terminale e si risolve in genere in qualche giorno. Dopo 6-48 ore
dall’ingestione abbiamo nausea-vomito-diarrea, febbre-crampi addominali-mialgie e cefalea. Nel
secondo caso le cose sono diverse poiché andiamo incontro ad una patologia più grave detta febbre
enterica o tifo. La trasmissione è oro-fecale, il batterio diffonde per ingestione di cibo o acqua
contaminate da feci o
urine umane, l’infezione è
sistemica. La dose
infettante è molto più
bassa, 103.
Ciclo infettivo
In genere le salmonelle
sono ingerite attraverso
cibo o acqua contaminati,
i microrganismi
raggiungono l’ileo
terminale, e
normalmente si ha una
semplice enterite che si
risolve da sola. Nel caso
in cui si tratti di
un’infezione da
Salmonella Typhi, i
microrganismi si
propagano al sistema linfatico intestinale e sono fagocitati dai macrofagi e trasportati nei tessuti
reticolo endoteliali. Da qui ritorna in circolo. Si ha la batteriemia nel paziente, un picco febbrile, e dal
circolo si estende in ossa, reni, polmoni, fegato, cervello, cistifellea, intestino. Questa volta quando
torna nell’intestino provoca una necrosi di questi tessuti e perforazioni della parete intestinale. Da qui
risulta chiaro che se prelevo un campione di feci dopo la prima settimana di infezione, la salmonella
non la rilevo poiché va subito in circolo quindi dovrò fare un’emocoltura. Dopo la prima settimana la
ritrovo nelle feci, ma anche nelle urine. I campioni della salmonella sono tre: feci, sangue, urine e
diverse dal momento in cui prelevo il campione.
Meccanismi di patogenicità
Invade le cellule epiteliali intestinali
Produce delle enterotossine
Sopravvive alla fagocitosi perché induce apoptosi nei macrofagi che la fagocitano.
Nel caso dell’enterite la patologia antibiotica non è necessaria e quando siamo dinanzi a patologie del
tratto gastrointestinale la terapia antibiotica va sempre considerata con attenzione poiché l’antibiotico
rompe gli equilibri intestinali peggiorando la situazione.
Shigella
Non fermenta il lattosio come la salmonella, ce ne sono quattro specie identificate come patogene
nell’uomo:
Sierogruppo A: Shigella dysenteriae - 12 sierotipi
Sierogruppo B: Shigella flexneri - 6 sierotipi
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 53
Sierogruppo C: Shigella boydii - 23 sierotipi
Sierogruppo D: Shigella sonnei - 1 sierotipo
Si tratta di un genere molto vicino all’escherichia coli. L’escherichia e la shigella si sono
evolutivamente separate molto recentemente tanto che si sovrappongono nei laboratori. Esistono
moltissimi sierotipi tipizzati in basi all’antigene O, divisi in quattro gruppi: a,b,c,d. Non ha flagelli,
quindi non è tipizzabile per l’antigene H. Sono causa della dissenteria bacillare. L’uomo rappresenta il
serbatoio principale infatti vengono trasmesse attraverso acqua e alimenti contaminati da feci umane.
Sono altamente contagiosi, bastano dieci-cento batteri. Sono molto più virulenti delle salmonelle. Il
bersaglio della shighella è la mucosa del colon e la parte terminale dell’intestino. Non viene trasportata
in circolo come la salmonella, quindi è inutile fare un’emocoltura. Invade l’epitelio del colon e del retto
e produce una tossina, che va a danneggiare i capillari della lamina propria attraverso il blocco della
sintesi proteica. Uno dei fattori di virulenza principali è il sistema secretorio che ha nel senso che una
volta che arriva sulla cellula bersaglio, vi inietta una serie di molecole che sono responsabili della sua
internalizzazione: stimolano la cellula stessa a fagocitare la shigella. Queste proteine fanno si che la
cellula avvolga il batterio con pseudopodi e la porta all’interno. In tal modo uccide i macrofagi. Un
modo in cui si muove all’interno del tessuto senza essere vista dal sistema immunitario, va a stimolare
l’actina intracellulare a formare intorno alla cellula batterica entrata, ammassi che spingono la cellula
da una cellula all’altra all’interno del tessuto. La cellula ha una motilità non legata al flagello, ma
attraverso questa mobilitazione dei filamenti di actina all’interno della cellula in cui è entrata. E’ una
mobilità actina dipendente. La decisione se usare o meno antibiotico è legata alla gravità della
patologia.
Escherichia coli
Si tratta di un normale abitante del nostro intestino
Fermenta il lattosio
Sono stati identificati centinaia di antigeni O, K, H all’interno della specie quindi vi è una
variabilità genetica enorme.
Le specie sono associate a patologie intestinali ( e qui ve ne sono almeno quattro tipi ovvero
a. E. Coli enterotossigeni (ETEC)
b. E. Coli enteropatogeni (EPEC)
c. E. Coli enteroemorragici (EHEC)
d. E. Coli enteroinvasivi (EIEC)
Abbiamo altri tipi di E. Coli che danno patologie extraintestinali:
a. Infezioni del tratto urinario E. Coli uropatogeni
b. Meningite neonatale
c. E. Coli k1
d. Infezioni nosocomiali
Per distinguere tra un ceppo e l’altro non bastano le solite prove biochimiche. Questi ceppi divengono
patogeni o perché hanno avuto delle mutazioni o perché hanno acquisito delle tossine.
Famiglia delle vibronacee
Ve ne sono molte, specie ma noi affronteremo soltanto la specie vibrio cholerae. Alla famiglia delle
vibrionacee appartengono microrganismi che si trovano sugli strati superficiali del suolo o che
colonizzano l’ambiente acquatico. Il vibrio cholerae è l’agente eziologico del colera. E’ un aerobio-
anerobio facoltativo, ha la forma di vibrio, virgola, ha un unico flagello polare che gli imprime dei
movimenti molto veloci. La particolarità della specie vibrio cholerae è che a differenza degli altri
batteri ha due cromosomi, non plasmidici. Come viene trasmesso? Attraverso l’ingestione di acqua o
alimenti contaminato da feci di individui infetti o anche convalescenti perché viene eliminato anche
per lungo tempo dalla guarigione dalle feci. Sopravvive nell’ambiente esterno parecchio, specialmente
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 54
nell’ambiente marino quindi il pesce, i molluschi e crostacei se consumati crudi sono pericolosi specie
se si pescano in acque dove arrivano le fogne.
L’infezione provoca diarrea acquosa con perdita di sale e in fase acuta si possono perdere fino ad un
litro di liquidi all’ora. La morte sopraggiunge per disidratazione e la cura consiste nella reidratazione.
Si manifesta nei mesi estivi, dopo un periodo di incubazione che va da poche ore a 5 giorni ha un
esordio improvviso della patologia e una volta che si incomincia, si incominciano a perdere quantità di
liquidi molto elevati.
Fattori di patogenicità
Da un lato il primo step è l’adesione: riesce
a colonizzare le cellule dell’intestino tenue
che sono i pili di tipo IV e poi produce anche
delle tossine. Le tossine sono codificate da
un fago, sono fagiche quindi acquisite nel
tempo attraverso l’acquisizione del genoma
di un fago.
La tossina è costituita da più sub-unità,
diverse sub-unità B che sono quelle che
agganciano il recettore sulla cellula e sub-
unità A che agiscono sull’adenil ciclasi,
enzima che normalmente forma AMP
ciclico. Il legame delle tossine con l’enzima fa si che l’enzima non risenta più del meccanismo feedback
di inibizione che normalmente ha quando produce troppo AMP ciclico. Quando è presente la tossina,
questa inibizione non vi è, e l’enzima continua a lavorare aumentando enormemente la concentrazione
di AMP ciclico nella cellula. Si crea una differenza tra esterno e interno nella pressione osmotica. La
cellula tenta di riportare la sua pressione osmotica a livelli normali buttando nel lume intestinale
acqua ed elettroliti e queste sono le scariche di diarrea acquosa che si hanno in pazienti con il colera. I
pili di tipo IV sono quelli che permettono di legarsi alle mucose intestinali
Clamidia
Non ha peptidoglicano ed è un parassita endocellulare obbligato. Ci sono diverse specie patogene per
l’uomo: trachomatis e pneumoniae e poi la psittaci che in realtà è un parassita di uccelli e mammiferi,
ma può occasionalmente infettare l’uomo. E’ un parassita obbligato perché non è in grado di produrre
ATP né produrre NAD+ per ossidazione quindi deve assolutamente avere tutto ciò da un altro sistema
cellulare. Una volta che infetta una cellula, cresce nel vacuolo della cellula ospite. Al posto del
peptidoglicano c’è uno strato di proteine ricco di residuo di cisteina (cistein rich protein). Un’altra
particolarità è che si tratta di un dimorfo: c’è una forma CE (corpo elementare) molto piccola e
resistente agli agenti esterni ed è la forma infettiva in cui sopravvive al di fuori della cellula,
metabolicamente inerte ed entra in questa forma nella cellula per fagocitosi. Entrata nella cellula si
trasforma nel corpo reticolare, molto più sensibile agli agenti esterni ed adatto alla crescita
intracellulare. Una volta che è stata fagocitata, il fagosoma non si fonde al lisosoma bensì resta nel
fagosoma idratandosi ed assumendo dimensioni maggiori, diventa attivo dal punto di vista metabolico
e comincia a dividersi. Dopo 24 ore cessa la sua divisione. Il corpo reticolare si disidrata, condensa e
forma corpi elementari che vengono rilasciati lisando la cellula che li ha fagocitati ed infetta altre
cellule.
La clamidia pneumoniae dà infezioni respiratorie, faringiti, sinusiti, polmoniti. Il 10% delle polmoniti
prese in comunità è attribuito ad esso. Vengono colpiti soggetti di qualsiasi età. La clamidia
Trachomatis è legata alle malattie sessualmente trasmesse. Può dare infezioni sessuali e neonatali. Il
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 55
50% dei neonati nati da madri affette dal sierotipo d o k può dare l’infezione. Il bambino può andare
incontro a polmonite interstiziale. Nell’uomo tende a cronicizzare e attraverso autoinoculazione dare
congiuntivite. Dà infezioni simili a quelle causate dalla nesseriae gonorreae. Nella donna inizia
l’infezione a livello della cervice, si possono avere perdite vaginali, disturbi della minzione e nel 20-
30% dei casi l’infezione è asintomatica ma può arrivare all’endometrio fino ad ingrandirsi ed avere
complicanze (gravidanze extrauterine). Alcuni sierotipi sono legati al linfogranuloma venereo.
Spirochete
Sono bacilli gram negativi, aerobi anerobi facoltativi. Ci sono diversi generi che vi appartengono. Le
specie patogene per l’uomo appartengono in particolare a tre generi:
Treponema ( t. Pallidum: sifilide ).
Borrelia (b.burgdorferi ( lyme ), b.recurrentis (febbre ricorrente))
Leptospira ( l. Interrogans ( leptospirosi ).
Noi parleremo del Treponema Pallidum, che è l’agente eziologico della Sifilide. Le spirochete
hanno un caratteristico corpo centrale. La loro cellula è avvolta da una guaina esterna e, nello
spazio tra la guaina e la cellula, sono inseriti molti flagelli che non si possono muovere liberamente
stando in questo spazio e tuttavia tentando di muoversi liberamente imprimono alla cellula dei
movimenti molto particolari definiti a cavatappi e questo è il modo in cui la cellula penetra nei
tessuti. In questo modo la cellula del treponema riesce a penetrare nei tessuti.
La Sifilide è una malattia infettiva, contagiosa che può essere trasmessa:
Attraverso le ferite e le ulcere che si formano nelle zone genitali, rettali e sulla bocca a
seguito di contatto sessuale
Per via ematica (trasfusione)
Per via transplacentare (dalla madre al feto: SIFILIDE CONGENITA).
Ha una struttura antigenica esterna molto particolare e gli antigeni che ha in superficie sono sfruttati
per la sua identificazione nei laboratori. Vi è un antigene proteico, che è presente in tutti i treponemi,
un antigene lipidico, detto anche (aptene di Wasserman), cardiolipina presente sulla superficie di tutti
i treponemi ed infine un agente polisaccaridico specie specifico. La ricerca del treponema si fa quindi
attraverso metodi immunologici.
Abbiamo dunque detto che la sifilide si contrae per contatto sessuale ed il treponema si
moltiplica nel punto di ingresso. Da qui possono diffondere ai linfonodi regionali ed andare in
circolo. Nei casi non trattati si possono avere tre stadi della malattia:
Primo stadio: dopo 10-20 giorni dal primo contatto si forma una papula nel punto in cui è
avvenuto il contatto. La papula è la nostra risposta al tentativo di contenere il microrganismo.
All’interno della papula che è detta anche sifiloma in questo caso, possiamo trovare i treponemi
vivi. Il sifiloma può guarire spontaneamente dopo 10-14 giorni dalla comparsa. Possiamo avere
tali manifestazioni in sede genitale, anale o della bocca (dipende da come si è avuto il rapporto
sessuale).
Se l’infezione non è trattata in una certa percentuale di casi si può avere una evoluzione verso lo
stato secondario in cui si ha la diffusione ematogena dei batteri e manifestazioni a livello del
tessuto cutaneo. C’è una diffusione cutanea generalizzata ed anche a livello della mucosa orale. Le
lesioni possono contenere treponemi vivi e se ulcerate sono altamente contagiose (Febbre
malessere generale). Anche senza alcun trattamento, l’eruzione sparisce da sola. Sono inoltre
tipici di questo stadio febbre, ingrossamento dei linfonodi, mal di gola, alopecia a chiazze, cefalea,
calo ponderale, stanchezza.
In una piccola percentuale di casi si può andare incontro allo stadio terziario. Insorge in 1-3 casi
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 56
non trattati anche dopo 10 anni. Si possono avere disturbi in vari distretti: cardiovascolare,
respiratorio, digerente, renale, scheletrico, sistema nervoso. Le manifestazioni più rilevanti sono
quelle a carico del SNC con alterazioni degenerative irreparabili (neurosifilide accade nei casi
non trattati, specie nei soggetti con sistemi immunitari compromessi, come quelli con HIV +). Una
volta che la sifilide entra nel terzo stadio, l’individuo perde la capacità di controllare i movimenti
muscolari, può avere delle paralisi.
Virus
I virus sono Parassiti endocellulari obbligati. In ambiente extracellulare si possono conservare, ma non
si riproducono. Una volta entrati nella cellula ospite il genoma virale utilizza gli apparati cellulari per
riprodursi e dare origine ad altre particelle virali.
C’è un tropismo tra gli ospitanti del virus. Partendo dalla parte centrale della particella virale
troviamo:
CORE: è la parte centrale del virus,
costituita da materiale genetico e proteine ad
esso associate;
CAPSIDE è l’involucro proteico
esterno. Ogni proteina che costituisce il capside
viene detta capsomero. L’insieme di acido
nucleico e capside viene denominato
nucleocapside. Il capside può essere ricoperto
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 57
da un rivestimento proteico detto pericapside. I virus con rivestimento sono detti rivestiti. I
virus senza tale rivestimento vengono detti nudi.
A seconda che siano o meno rivestiti
hanno diverse modalità sia per entrare
che per uscire dalla cellula. Il capside
può dare una forma geometrica alla
particella virale: esistono virus a
simmetria icosaedrica (differenti
polipeptidi assemblati) o elicoidale (un
unico polipeptide). Le proteine del
capside sono specie specifiche. Il
capside ha funzioni protettive del
materiale genetico. All’interno del
capside oltre al materiale genetico
possiamo trovare enzimi.
Il pericapside è invece fatto di
fosfolipidi e proteine. I fosfolipidi hanno una struttura uguale a quella della membrana cellulare e
proviene in realtà dall’ultima cellula infettata mentre le proteine sono esclusivamente virali. Il
virus con enveloppe è più sensibile rispetto ad un virus nudo poiché l’enveloppe essendo fatto di
fosfolipidi è più sensibile ad essiccamento, acidi o detergenti.
Abbiamo detto che i virus possono avere due tipi di materiale genetico, il DNA o l’RNA. Quando
hanno l’RNA si parla di ribovirus, quando hanno il DNA di deossiribovirus. Il tipo di acido nucleico
che hanno i virus influenza il ciclo vitale del virus stesso.
Deossiribovirus
Il DNA all’interno della particella virale
può avere diverse strutture:
- A doppio filamento classico
- A singolo filamento
- Parzialmente bicatenario: a doppio
filamento in alcuni tratti ed in alcuni
tratti singolo.
L’obiettivo di un virus, quando entra in
una cellula è replicarsi quindi rifare un
genoma identico a quello che ha così
come le proteine del capside. Quando
ha un DNA a doppia elica non ci sono
problemi: si separa, si trascrive
l’RNAm che viene tradotto a livello dei
ribosomi in proteine. Questo processo può avvenire nel nucleo della cellula oppure nel citoplasma,
dipende dal fatto che il virus abbia o meno gli enzimi che gli servono a duplicare o a trascrivere il DNA.
Se li ha, può fare tutto nel citoplasma, se non li ha li va a trovare nel nucleo. Quando il DNA è
monocatenario deve prima formare un DNA a doppia elica e poi prosegue con la sintesi del RNAm. Se il
DNA è parzialmente bicatenario deve essere prima trasformato in DNA a doppia elica e quindi si parte
secondo il normale dogma della biologia, DNA, RNA e proteine. In genere i virus a DNA monocatenario
vanno sempre nel nucleo perché manca l’enzima per fare RNA polimerasi e deve utilizzare quello della
cellula.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 58
Ribovirus
Anche in questo caso l’RNA può essere:
- Bicatenario;
- Monocatenario: la singola
catena può essere o una catena
di senso positivo, cioè che può
essere subito letta a livello dei
ribosomi, o di senso negativo
quindi deve essere prima fatta
una catena di senso positivo
per essere letta a livello dei
ribosomi. Una catena di senso
positivo può utilizzare la catena
sia per produrre RNAm e
procedere con la sintesi
proteica, sia per lo stampo per
fare un’altra molecola di RNA.
Da uno stampo positivo verrà
una molecola di RNA negativo e
poi utilizzerà queste ultime per fare RNA positivi che sono il suo genoma. Per far ciò deve avere un
enzima che è sicuramente un enzima virale. Noi facciamo RNA da uno stampo di DNA quindi
l’enzima che noi abbiamo è una RNA polimerasi DNA dipendente. In questo caso il virus ha bisogno
di una RNA polimerasi RNA dipendente. Quando l’RNA bicatenario è di senso negativo allora lo
utilizzerà come stampo per fare gli RNA di senso positivo una parte dei quali li manderà a leggere a
livello dei ribosomi, l’altra parte servirà come stampo per fare RNA di senso negativo che sono
proprio il suo genoma.
C’è ancora un ultimo caso in cui invece ci sono alcuni virus che hanno un enzima che si chiama
transcriptasi inversa (come l’HIV), enzima che da uno stampo di RNA fa una catena di DNA
quindi si forma un
ibrido formato da una
catena di RNA e una di
DNA. Degrada la
catena di RNA e
utilizza la catena di
DNA per fare una
doppia elica di DNA da
cui può sia sintetizzare
le proprie proteine che
il proprio genoma ad
RNA. I virus che
utilizzano questo
meccanismo sono
denominati retrovirus.
I virus sono quindi classificati:
In base al tipo di acido nucleico;
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 59
In base al tipo di replicazione;
Simmetria del capside (icosaedrico etc);
Presenza o meno di enveloppe.
Come i batteri i virus possono essere trasmessi sia in via orizzontale diretta (via respiratoria,
digerente, cutanea, genitale, parenterale) che indiretta (inoculazione attraverso aghi o siringhe,
strumenti per tatuaggi, artropodo ematofagi). La trasmissione può anche essere verticale, da
madre a figlio:
Attraverso le cellule gametiche contenenti il virus: i retrovirus, che integrano il loro DNA con il
genoma dell’ospite, sono trasmessi ereditariamente;
Via transplacentare (rosolia, Citomegalo, HIV, Epatite B e C, B19)
Nella via perinatale (herpes simplex, HIV, papillomavirus)
Durante l’allattamento se il virus è presente nel latte o se è presente nel sangue.
Ciclo replicativo
Come per i batteri abbiamo una prima fase di adesione, l’attacco della particella virale alla superficie
della cellula. Il virus collide con le nostre cellule abbastanza casualmente, ma solo la cellula sensibile
riesce a legarsi cioè quella che ha i recettori per legare la particella virale. La particella virale si lega
attraverso le sue proteine di superficie. Il tropismo del virus è dettato dalla presenza o meno dei
recettori per legare i virus. Una volta che si è attaccato alla superficie, le particelle penetrano
all’interno della cellula, espongono il loro acido nucleico e cominciano a sintetizzare le loro proteine
oltre che a duplicare il loro acido nucleico. Una volta che le proteine del capside e l’acido nucleico si
sono formati riassemblano la particella virale e le liberano nell’ambiente.
L’attacco alla superficie della cellula dell’ospite è realizzata mediante un legame tra recettore virale e
cellulare. Si tratta di un processo passivo ovvero di un processo a cui la cellula non partecipa
attivamente. Semplicemente ci sono alcuni recettori sulla superficie delle nostre cellule in grado di
legare le particelle virali. Esiste un tropismo specifico, uno spettro d’ospite che dipende da tali
recettori però siccome il tasso di mutazioni è molto alto nei virus rispetto ai batteri, c’è un
cambiamento di spettro d’ospite molto ampio. Può accadere per esempio che i virus, per errore,
possono inserire nucleotidi sbagliati nel loro genoma. L’inserimento di un nucleotide sbagliato può
cambiare la tripletta. Il cambio di tripletta può poi essere visibile o meno a livello fenotipico nel senso
che si può formare una tripletta che codifica per lo stesso amminoacido, poiché il codice genetico è
degenerato, quindi la proteina resta la medesima o può cambiare l’amminoacido e lì la mutazione
dipende da cosa fa quella proteina: se la mutazione avviene in un sito fondamentale della proteina,
quella proteina potrebbe perdere la sua funzionalità ma se la proteina è una proteina superficiale del
capside che è funzionale al legame con le nostre cellule, avremo una proteina che cambierà magari
recettore e se questo accade quel virus può cambiare il suo spettro d’ospite. Il virus dell’AIDS ad
esempio era un virus che infettava le scimmie e si è evoluto negli anni ed è diventato un virus che
infetta anche agli uomini. Più poi permane nell’uomo un virus che normalmente non infetta l’uomo, più
è alto il rischio che nell’uomo si formi una di queste varianti che ne lega i recettori, più questa prende il
sopravvento. I virus avendo un alto spettro mutazionale, c’è un grosso rischio di mutazioni di spettro
d’ospite.
Esistono diverse classi di recettori, come:
• le immunoglobuline o immunoglobuline-like
• i recettori associati alle membrane
• i trasportatori e i canali di trans-membrana
La cellula sensibile, se ha questo recettore, lega la particella virale. A questo punto il virus deve entrare
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 60
nella cellula e in questo caso, a differenza della prima fase di attacco, partecipa attivamente alla
penetrazione che è differente a seconda della presenza o meno del pericapside:
virus nudi: internalizzati attraverso la membrana cellulare per endocitosi con disintegrazione
del capside e liberazione del genoma nel citoplasma.
virus vestiti: o per fusione dell’enveloppe con la membrana citoplasmatica con immediata
liberazione del nucleocapside nel citoplasma o vengono introdotti attraverso una vescicola
endocitotica e fusione dell’enveloppe con la membrana della vescicola con liberazione del
nucleocapside nel citoplasma.
Una volta che si è liberato del suo capside, il suo genoma comincia a lavorare.
Possiamo distinguere:
• la sintesi delle proteine precoci (enzimi necessari alla replicazione del genoma o che inibiscono le
sintesi macromolecolari
dell’ospite);
• La sintesi delle proteine
tardive (proteine
strutturali).
Una volta fatto questo si
riassembla. Il
riassemblamento delle
particelle virali può
avvenire sia nel citoplasma
che nel nucleo. Una volta
che si sono riassemblati, la
particella deve uscire ed il
rilascio è diverso a seconda
che si tratti di un virus
nudo o di un virus vestito.
Nel caso dei virus nudi,
questi fuoriescono
andando a lisare la cellula
uccidendola. Nel caso dei
virus vestiti, questi fuoriescono per gemmazione: nel citoplasma il virus forma il nucleocapside poi
sintetizza delle glicoproteine virali che si vanno ad inserire nella membrana citoplasmatica. Il
nucleocapside si posiziona nel punto in cui si sono posizionate le proteine virali. La membrana
citoplasmatica a quel punto lo circonda e si stacca per gemmazione, ecco da dove viene il pericapside
che ha uno strato fosfolipidico derivante dalla membrana citoplasmatica proveniente dall’ultimo
ospite infettato e le proteine presenti in questo pericapside sono di origine virale, in tal modo non
porta a morte la cellula.
Il virus può instaurare diversi rapporti con la cellula:
Morte cellulare per lisi: citocita.
Rapporto in cui si ha un’infezione latente e ciò avviene quando il genoma del virus si integra
nel genoma della cellula ed ogni tanto si può distaccare e dare dei cicli litici (herpes virus)
oppure
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 61
Può dare un’infezione persistente nel caso in cui le particelle virali fuoriescono per
gemmazione. Le cellule non subiscono dei danni letali e il virus persiste per lungo tempo, ma le
cellule possono essere attaccate dal nostro sistema immunitario perché hanno sulla loro
superficie delle proteine virali.
Trasformazione: le cellule perdono la capacità di controllo dei loro meccanismi replicativi
(virus oncogeno).
Una cellula che ha un recettore
per una particella virale, è
sensibile a quella particella
virale, ma possedere il
recettore non sempre porta ad
avere un’infezione produttiva
ovvero che la cellula permetta
al virus di replicarsi. Non è
sempre produttiva l’infezione,
può esserlo quando la cellula è
sensibile e permissiva. Altre
volte è restrittiva, la cellula è
sensibile, ma non
costantemente permissiva, altre
volte è latente quando il DNA o
il cDNA (quando la particella virale è ad RNA, l’RNA viene trasformato in DNA e quel DNA chiamato
cDNA si va ad integrare nel genoma delle nostre cellule). L’infezione può essere abortiva quando la
cellula è sensibile al recettore, ma non permette mai di replicarsi alla stessa. Non tutte le cellule
sensibili sono permissive quindi.
Le tappe comuni alle infezioni virali sono:
1. Ingresso nell’organismo: una volta che il virus è entrato si va a legare con i recettori
all’interno delle nostre cellule lì dove trova cellule sensibili. Lì dove la cellula è sensibile si ha
una
2. Replicazione primaria che può essere essa stessa l’infezione o la particella virale può
diffondere in altri tessuti e andare verso l’organo bersaglio andando incontro alla replicazione
secondaria.
• In altri casi la replicazione primaria è limitata e asintomatica. Il virus diffonde in aree lontane e va
incontro alla replicazione secondaria con diffusione del virus in diversi organi attraverso diverse vie:
Linfatica
Ematica
Con diverse modalità:
• vibrioni liberi
• vibrioni associati a cellule linfo-
monocitarie.
Nella malattia del cancro le cellule
sfuggono ai fattori che regolano la
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 62
crescita cellulare. La cancerogenesi è il processo che porta alla formazione del cancro indotto da fattori
oncogeni esogeni (esposizione ad agenti mutageni chimici, fisici e biologici (virus oncogeni) o
endogeni (attivazione degli oncogeni, alterato funzionamento dei geni soppressori che agiscono
frenando la divisione cellulare). I virus oncogeni agiscono andando ad alterare quindi la funzione dei
geni regolatori. I geni oncogeni controllano la replicazione cellulare. Queste proteine virali, prodotte
dai virus oncogeni, vanno ad agire sull’espressione di questi geni in modo tale che la cellula non
controlli più la sua replicazione e quindi si trasforma in cellula tumorale.
Come ci difendiamo dalle infezioni virali? Così come avviene per le infezioni batteriche la prima linea
di difesa sono le barriere anatomiche, cute e mucose. Se riescono a superarli si possono trovare nel
siero e tessuti delle sostanze che non sono anticorpi, ma che possono prevenire l’attacco del virus
ovvero gli interferoni. Il sistema interferonico è costituito da diverse molecole: alfa beta e gamma.
Sono proteine la cui produzione viene indotta nella cellula da diversi stimoli e tra questi c’è anche la
replicazione virale. Tali proteine agiscono inducendo nella cellula uno stato di resistenza alla
replicazione virale che non è esclusivamente verso il virus che l’ha indotta, ma verso qualsiasi virus. Si
crea o attraverso la produzione di enzimi che attivano la ribonucleasi (enzima che scinde l’RNA virale)
o attraverso l’inibizione della sintesi proteica quindi qualsiasi virus può essere bloccato da questo
sistema.
I virus possono essere osservati solo con il microscopio elettronico.
Come si coltivano i virus in laboratorio? Non possono essere coltivati sul terreno poiché hanno
bisogno di cellule. Esistono linee cellulari che permettono la coltivazione di virus, ma generalmente se
voglio valutare la presenza di un virus all’interno di un campione lo posso fare o attraverso metodi
immunologici nel senso che metto il campione a contatto con anticorpi preformati che agiscono contro
il virus quindi osservo se avviene la relazione antigene anticorpo, oppure attraverso metodi
molecolari: cerco nel campione il genoma del virus attraverso la PCR. In tal caso si appronta un tipo di
diagnosi indiretta che necessita ovviamente di un sospetto ben specifico.
Herpes virus
Sono virus a DNA, rivestiti e il loro potere patogeno si manifesta nei confronti della pelle e delle
mucose con la formazione di vescicole. Sono anche detti virus neurotropi perché possono provocare
danni a livello del sistema nervoso, dando mieliti ed encefaliti. Ne esistono molti tipi
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 63
Danno solitamente un’infezione primaria a livello dell’epitelio e poi si vanno a latentizzare a livello dei
neuroni e questo lo fanno tutti.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 64
L’infezione da HSV-1 si contrae sovente nella prima infanzia per contagio
interumano diretto da soggetti portatori di lesioni evidenti clinicamente o
da soggetti con infezioni asintomatiche o eliminatori del virus con la saliva.
L’HSV-1 è il maggiore responsabile delle manifestazioni
erpetiche cutanee o mucose localizzate nella cute della
zona periorale o nella mucosa buccale. E’ molto
pericoloso nei bambini poiché possono, toccandosi
spesso gli occhi, trasmetterlo a livello oculare
determinando la possibilità della comparsa di cheratite
con distruzione della cornea.
L’herpes virus arriva ad esempio a livello della mucosa
buccale e si ha la replicazione primaria che osserviamo
attraverso la formazione di queste vescicole però alcuni
virioni attraverso una migrazione retrograda possono
andare attraverso le terminazioni nervose locali, a
posizionarsi nelle radici dei gangli dorsali e qui
latentizzare. Poi in seguito a fattori di stress,
abbassamento delle difese immunitarie, UV, le particelle
si riattivano, si formano altri virioni, si stacca il latentizzato e il genoma si integra nelle cellule a livello
dei gangli dorsali e dà luogo ad un ciclo litico quindi diciamo che le particelle virali attraverso una
migrazione anterograda ritornano, attraverso le terminazioni nervose locali, alla posizione dov’era
avvenuta la replicazione primaria ed abbiamo nuovamente la formazione di vescicole.
Il Simplex-2 ha invece una trasmissione
sessuale. Penetra nell’organismo attraverso
lesioni cutanee, si ha nella sede di replicazione
la formazione dello stesso tipo di vescicole che
abbiamo nell’HSV-1 tuttavia a livello genitale. Il
virus penetra nell’organismo
L’HSV-2 è il maggiore responsabile dell’herpes
genitale localizzato nella cute e nelle mucose
genitali maschili e femminili.
Il 75% di herpes neonatale è causato da herpes-
2 contratta in utero o durante il parto. Il virus
invade fegato, reni polmoni, sistema nervoso
del neonato. La terapia con acyclovir
diminuisce la mortalità del 50%.
VIRUS VARICELLA-ZOOSTER (HHV3)
Si tratta di una malattia a decorso benigno. L’uomo è l’unico serbatoio noto di questo virus: la malattia
si trasmette quindi soltanto da uomo a uomo. Il malato di varicella è infettivo dal momento della
comparsa delle eruzioni cutanee a circa una settimana dopo. La guarigione è rapida, ma il virus in
forma latente persiste per tutta la vita nelle radici dorsali dei gangli nervosi. Può riattivarsi per
esempio in seguito a stress o abbassamento delle difese immunitarie e dà luogo a quello che noi
conosciamo come fuoco di sant’Antonio. La riattivazione del virus in uno o più gangli sensoriali
(cervicali, toracici, a volte lombo-sacrali) comporta l'infezione di tutta la zona innervata dal nervo
stesso. Il malato di VIRUS VARICELLA-ZOOSTER (FUOCO DI S.ANTONIO) è infettivo ed è in grado di
trasmettere la varicella.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 65
Esiste un vaccino che si sommista a due anni di età.
La riattivazione del virus porta ad infiammare ed
alla formazione di vescicole in tutta la zona del
nervo in cui è localizzato il virus. Se il soggetto
riesce a contagiare un individuo non
precedentemente immunizzato, quest’ultimo si
ammalerà di varicella, mai di zooster. Lo zooster
viene solo ed esclusivamente ai soggetti che hanno
avuto la varicella ed in cui il virus resta latente per
tutta la vita.
Cytomegalovirus
Può essere trasmesso attraverso tutti i liquidi
corporei. L’infezione può essere localizzata alle
ghiandole salivari o generalizzata agli organi
interni (nei neonati che acquisiscono il virus alla
nascita o nei bambini di pochi mesi) e culmina con
la morte o aborto del feto.
Colpisce diversi tipi cellulari.
Una volta in contatto con i recettori della
cellula ospite viene internalizzato
Il virus rimane latente all’interno dell’organismo per tutta la vita, può riattivarsi in caso di
indebolimento del sistema immunitario.
Le infezioni da CMV sono nella maggior parte degli individui asintomatiche. Individui immunodepressi
possono causare gravi complicanze, in particolare a occhi, fegato, sistema gastrointestinale e sistema
nervoso. L’ infezione congenita contratta durante la gravidanza e trasmessa al feto può arrecare al
bambino danni permanenti anche gravi.
Epstein-Barr
E’ coinvolto nella genesi di diversi tumori epiteliali e di alcuni linfomi. Principali malattie associate
all'EBV:
Mononucleosi infettiva
Linfoma di Burkitt
Carcinoma nasofaringeo
Disordine linfoproliferativo post trapianto
Disordine linfoproliferativo associato all'X
Linfoma effusivo primitivo
Linfoma di Hodgkin
Linfoma diffuso a grandi cellule B
Carcinoma gastrico
Sclerosi multipla
Stomatite aftosa
Tutte queste patologie tumorali sembrano associate alla presenza di questo virus. Inoltre recenti
ricerche hanno osservato che sembra esistere un’associazione tra alcune varianti di questo virus e la
sclerosi multipla e ci sono diversi studi a favore di questa ipotesi che stanno recentemente uscendo.
Le cellule bersaglio dell'EBV, SONO linfociti B umani. Esso si lega al recettore cr2 (cd21) delle cellule
attraverso glicoproteine virali la gp325 e gp42 al recettore Cr2 (CD21) si lega il frammento CD3 del
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 66
complemento. Ciò consente all’ EBV di aggirare le difese dell'ospite. Una situazione analoga è quella
che avviene tra il virus HIV e la molecola CD4 dei linfociti T.
Dopo il legame al recettore l'EBV penetra nel linfocita B. Il DNA virale persiste nella cellula in due
forme:
Una forma episomiale, in cui il DNA virale rimane di forma circolare, staccato dal materiale
genomico umano. In tal caso abbiamo il ciclo litico.
Una forma integrata nel genoma dell'ospite, e abbiamo dunque lo stato di latenza.
Il virus di Epstein Barr è l’agente eziologico della mononucleosi infettiva (malattia del bacio). Si
manifesta, in alcuni casi, con lo stato febbrile (febbre), comparsa di linfonodi palpabili sul collo, sulla
nuca e sulle ascelle… stanchezza, astenia ecc. Nei casi più gravi, infiammazione dei linfonodi, del fegato
e della milza. La caratteristica peculiare di questa famiglia di virus è la possibilità di latentizzare in
seguito all’infezione primaria. A distanza di tempo specialmente negli individui immunocompromessi,
l’infezione si può riattivare determinando patologie che si manifestano in maniera differente rispetto
all’infezione primaria.
Più del 90% della popolazione è portatrice sana di EBV. Non causa nessuna malattia, vi è una pacifica
coesistenza grazie all'interazione dell'immuno-sorveglianza dell'ospite con l'espressione delle
proteine virali. L'infezione primaria è generalmente asintomatica nei bambini, ma patologica nel 50%
dei casi negli adolescenti e negli adulti.
Virus dell’epatite
Sono abbastanza diversi l’uno dall’altra, sono diversi nel modo di trasmissione, nella struttura, nel
decorso della patologia che provocano e tuttavia hanno un’unica cosa in comune: il loro organo
bersaglio è il fegato. I più noti ed i più studiati sono l’HAV e l’HBV. Poi abbiamo anche HCV che è
l’agente infettante presente nel 70% delle patologie del fegato che non sono causate da A e da B, poi
abbiamo HGV, HEV e possiamo dire che ci sono anche patologie che colpiscono il fegato in cui l’agente
responsabile resta sconosciuto (il 10-20% dei casi).
I virus dell’epatite infettano e danneggiano il fegato, causando ittero ed il rilascio di enzimi epatici, il
decorso e la natura della malattia differiscono da virus a virus.
VIRUS DELL’EPATITE A (HAV)
Il virus dell'epatite A è un virus a RNA a singolo filamento lineare appartenente ai
Picornaviridae, non dotato di envelope;
Elevata resistenza alla temperatura ambiente e al pH acido;
Trasmissione oro-fecale (escrezione dei virioni nelle feci durante il periodo di incubazione 3-6
settimane);
Ingestione di cibi e acqua contaminati, frutti di mare, verdure non lavate, soggiorni in ambienti
con scarsa igiene.
IL VIRUS dell’epatite A raggiunge il fegato dove si replica lentamente senza effetti citopatici. Si
sviluppa solo nella forma acuta (massima replicazione virale ed una risposta immunitaria massiccia
che la annienta, e non cronicizza) e mai in quella cronica. Frequenti sono inoltre le forme
asintomatiche. Ne esiste solo un sierotipo ed esiste un vaccino.
Virus dell’epatite B
E’ un virus a DNA, il genoma è circolare, non a singolo filamento.
Il virus dell'epatite B (HBV) è un virus con genoma circolare a DNA, appartenente alla famiglia
degli hepadnavirus.
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Ha un envelope.
Nel core sono identificabili due diversi antigeni, l'HBcAg e l'HBeAg
Dell'envelope fa parte l'antigene di superficie HBsAg
Nel core e nell'envelope quindi sono stati identificati diversi antigeni e tutti questi antigeni vengono
utilizzati per fare una diagnosi indiretta nei pazienti ovvero si ricerca se nel paziente è presente
l’anticorpo contro quell’antigene. Ciò indica se quantomeno il paziente è venuto in contatto con il
virus. Che sia un contatto avuto nel passato o dovuto alla malattia in corso, dipende dal tipo di
anticorpo che noi individuiamo, se IgA o IgM.
La sua trasmissione è attraverso lo scambio di sangue: mediante scambio di sangue
(tossicodipendenti, emotrasfusioni con sangue non controllato, emodializzati, lesioni accidentali con
materiali contaminati). Si trasmette anche per via sessuale: recenti studi epidemiologici hanno
evidenziato che circa il 60% delle infezioni da HBV acquisite negli Stati Uniti sono state contratte per
via sessuale e per trasmissione verticale da madre a figlio durante la gravidanza.
Il quadro clinico dipende molto dalla risposta immune dell’individuo:
Se la risposta è immediata ed efficace si hanno sintomi simili a quelli dell’HAV con risoluzione
della malattia
Se la risposta immune è limitata si arriva alla
cronicizzazione dell’infezione che si ha nel 5-10% dei
soggetti infatti che può portare a esiti diversi:
Cirrosi
Epatocarcinoma
Epatite cronica persistente
Se il ceppo è più virulento se si hanno co-infezioni con altri
virus. Il virus D, virus infettivo che da solo non dà nulla, ma
se infetta insieme al virus B può portare ad una attività
incontrollata delle citochine pro-infiammatorie si ha epatite
fulminante quindi una necrosi massiva del tessuto epatico.
Epatite C (HCV)
L'agente causale dell'epatite C è un virus, dotato di pericapside e con RNA a filamento singolo,
appartenente alla famiglia dei flavivirus.
Il virus dell’epatite C è agente del 70% circa
delle epatiti che non sono né A né B. Ha
un’incubazione molto lunga: una volta che il
soggetto viene infettato non ha sintomi e può
rimanere asintomatica per oltre vent’anni e
tuttavia quando si manifesta non si manifesta
in modo gentile per così dire. Nell’80% dei
casi cronicizza e dà come conseguenza cirrosi
o epatocarcinoma.
DIAGNOSI:
Immunologica: frequenti falsi
positivi in soggetti HAV+ e HBV+
Molecolare: ricerca RNA virale
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 68
mediante PCR.
Si trasmette per via ematogena o sessuale
Il virus ha una alta variabilità genomica per cui difficile allestire vaccini.
HDV
Si tratta di un altro virus associato alle patologie dei fegato. E’ un virus difettivo, necessita per
replicarsi di un virus helper HBV in quanto nella forma infettante ha un envelope con una proteina
(l’antigene B HBsAg, codificata del virus HBV) virus a RNA di senso positivo (che può essere subito
letto a livello dei ribosomi).
Ha una trasmissione simile a quella dell’HBV
Infezione spesso asintomatica fino alla comparsa dei sintomi di scompenso epatico o
carcinoma.
Può condurre a epatite fulminante per necrosi epatica massiva.
HEV
Virus a RNA ss+
A trasmissione oro-fecale
Da solo forme acute non cronicizza.
HIV e AIDS
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 69
Si chiama acquisita per distinguerla dalle immunodeficienze che non lo sono.
È stato ormai stabilito con certezza che l'HIV è originato da un processo di evoluzione naturale
mediante mutazioni genetiche di un virus, il SIV, che colpisce alcune specie di primati africani, e che
sarebbe passato dal serbatoio animale a quello umano tramite contatti tra l'uomo ed il sangue degli
animali. Analisi molecolari hanno portato a ritenere che l'origine dell'HIV sia avvenuta all'incirca verso
la fine degli anni ‘30. Da un Virus delle scimmie (SIV), originario dell’Africa, potrebbe essersi evoluto
recentemente l’HIV-2, (virus capace di infettare sia l’uomo
che le scimmie).
Dall’HIV-2 si è passati alla forma HIV-1 più virulenta, che si è
diffusa in Europa e negli USA.
1983. Luc Montagnier isola il virus dai linfonodi di
un malato e lo chiama LAV.
1984. Robert Gallo isola lo stesso virus che verrà poi
chiamato HIV.
1985. Viene dimostrato che il virus HIV si trasmette
per via sessuale oltre che con il sangue.
Il primo caso di AIDS in Italia si ebbe nel 1982.
NUCLEOCAPSIDE:
Core: 2 molecole di RNA a singola elica + enzimi (integrasi, transcrittasi inversa)
Capside: involucro proteico
PERICAPSIDE:
Rivestimento membranoso + antigeni (gp41, gp120)
Le cellule bersaglio del virus sono cellule con recettori CD4:
Linfociti T
Macrofagi
Cellule nervose
L'HIV è stato isolato in tutti i tessuti ed i
liquidi biologici di un soggetto sieropositivo
tuttavia la semplice presenza del virus non
significa che il contatto con il materiale
rappresenti un evento efficace per la
trasmissione. Perché ciò avvenga è
importante soprattutto la quantità di virus
presente.
La semplice presenza non è quindi sufficienze,
oltre alla stessa deve esserci una sufficiente
concentrazione del virus poiché se il virus è presente in quantità esigua non riesce ad instaurarsi. Di
seguito vediamo la concentrazione del virus in questi vari liquidi. Notiamo che quelli per cui la
trasmissione non è accertata ne contengono meno dell’1%.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 70
Perché dunque un soggetto infetto possa trasmettere la malattia ad un soggetto sano c’è bisogno tanto
di un’ideale via di trasmissione quanto dell’adeguata quantità di virus. La trasmissione è più facile da
uomo a donna:
L'HIV può essere trasmesso dalla madre al figlio. Questo può avvenire essenzialmente tramite tre
modalità:
- durante la gravidanza
attraverso la placenta (20-40%)
- durante il parto (40-70%)
- tramite l'allattamento (15-
20%)
La trasfusione di sangue è uno
dei fattori più importanti.
Tatuaggi e piercing sono ad alto
rischio per quanto concerne la
trasmissione.
La trasmissione non avviene:
I comuni contatti sociali
NON sono idonei alla
trasmissione del virus;
Un semplice bacio NON
è a rischio per la trasmissione dell'HIV. L'unico ipotetico rischio è riferito al bacio in presenza
di lesioni sanguinanti del cavo orale.
Una persona sieropositiva che ha dei colpi di tosse o degli starnuti NON è in grado di
trasmettere l'infezione.
Gli oggetti casalinghi quali le stoviglie NON sono idonei alla trasmissione del virus.
NON c'è rischio di contrarre l'infezione frequentando piscine o bagni comuni. Il cloro uccide
l'HIV, e la diluizione rende estremamente bassa la concentrazione del virus.
Gli animali domestici NON trasmettono l'HIV; questo infatti è un virus che colpisce solo la
specie umana.
Le zanzare NON possono trasmettere il virus. L'HIV non è in poi grado di sopravvivere
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 71
all'interno dell'insetto, ed inoltre la zanzare succhia il sangue, non lo inietta.
L’ HIV di tipo 1 è il più diffuso in
tutto il mondo, è molto virulento
ed è un retrovirus. L’ HIV di tipo
2 solamente in Africa Caraibi e
America meridionale, è meno
virulento.
Presentano una notevole,
variabilità’ genomica
Tappa iniziale infezione
con HIV attraverso liquidi
biologici
I macrofagi del tratto
genitale sono le prime cellule ad
essere infettate.
Diffusione e
localizzazione nel tessuto
linfatico.
Infetta i linfociti CD4+ (si crea un serbatoio di cellule infettate nel tessuto linfatico).
Dopo 1-2 settimane 1/3- 2/3 dei soggetti manifesta una fase acuta con replicazione nelle
cellule cd4+, e presenza di virus nel sangue.
Si ha una massiccia risposta immune che provoca la scomparsa del virus dal sangue e il suo
sequestro negli organi linfoidi. L’infezione primaria può essere asintomatica o si ha febbre che
si esaurisce nel giro di pochi giorni quindi difficilmente diagnosticabile.
Si ha la fase di latenza che può durare anche diversi anni 7-10. A questa latenza clinica non
corrisponde una latenza virale totale in alcune cellule il virus continua a replicarsi questo accade
maggiormente a livello degli organi linfoidi. I malati di HIV anche se non hanno manifestazioni cliniche
evidenti hanno un continuo calo dei linfociti circolanti. Quando la proliferazione virale a livello dei
linfonodi aumenta appaiono i primi sintomi:
Calo di peso
Febbre
Diarrea
Virus di nuovo nel sangue
Complicazioni a causa di infezioni da parte di MICRORGANISMI opportunisti a causa
dell’abbassamento del sistema immunitario che portano il paziente a morte
Compromissione della capacità della risposta immune immunodeficienza per la notevole
diminuzione del numero di linfociti
Anche i linfociti non infetti sono reclutati nella patologia probabilmente attraverso segnali
chimici trasmessi dagli infetti che li inducono a morte cellulare programmata ( apoptosi )
Anche il danno che si osserva spesso a livello del SNC, (dementia complex) con lesioni
degenerative, sembra ascrivibile allo stesso meccanismo infatti i neuroni non sono infettati
direttamente dal virus.
Il soggetto malato di AIDS è un soggetto ad alto rischio di infezioni opportunistiche come:
Infezioni fungine (Candidosi)
Infezioni virali (Citomegalovirus, Herpes)
Infezioni da Protozoi (Toxoplasmosi cerebrale)
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 72
Infezioni batteriche (Polmoniti, Tubercolosi)
Neoplasie: Sarcoma di Kaposi, Linfomi Non-Hodgkin, Carcinoma della cervice uterina
Patologie specifiche: AIDS - dementia complex.
Queste sono poi le patologie per cui l’affetto di AIDS muore.
PER LA DIAGNOSI INDIRETTA
Ricerca anticorpi nel siero del paziente (ELISA)
Se positivo: conferma presenza anticorpale con Western Blotting
DIRETTA: non attraverso un esame colturale come facciamo con i batteri ma con
RNA qualitativo (PCR): nei bambini di madri HIV+, nel sospetto di infezione primaria, ovvero
ricerca del genoma del virus.
Prevenzione:
Trasmissione orizzontale:
Comportamenti sessuali sicuri
Sangue ed emoderivati controllati
Trattamento delle altre MST (malattie sessualmente tramesse: una donna che ha in atto una
patologia, compromette le linee di difesa della mucosa vaginale).
Siringhe monouso nei tossicodipendenti
Utilizzo di strumenti sterili: piercing, tatuaggi, ecc.
Test HIV
Trasmissione verticale:
Trattamento gravide sieropositive
Trattamento del bambino alla nascita
Allattamento artificiale.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 73
Miceti
I miceti fanno parte del regno dei funghi, hanno un’organizzazione eucariota. Dimensioni maggiori di
quelle dei batteri, ma inferiori a quelle delle cellule umane.
Non esistono
miceti anaerobi.
Sono
chemiotrofi
eterotrofi,
necessitano cioè di
molecole organiche
preformate
(carboidrati) come
fonti nutrizionali.
Anche i funghi hanno
una parete cellulare
che tuttavia è diversa
da quella dei batteri.
Anzitutto viene
denominata tunica ed
è costituita da fibrille
di chitina, mentre quella dei batteri è costituta da peptidoglicano. La chitina è un polimero della N-
acetilglucosammina, associata a quantità variabili di polimeri di D-glucosio (glucani) e D-mannoso
(mannani )) lipidi e proteine mentre il peptidoglicano è formato da polimeri di N-acetilglucosammina
e acido N-acetilmuramico. Come la parete cellulare conferisce forma e rigidità della cellula, è una
struttura pluristratificata ed interviene negli scambi con l’ambiente esterno. Attorno a questa alcuni
lieviti possono formare una capsula di natura polisaccaridica. Tale capsula è molto evidente in
Criptococcus neoformans che spesso
provoca patologie infettive in soggetti
immunocompromessi.
I miceti si dividono in muffe e lieviti, le
muffe sono miceti in organizzazione
pluricellulare, i lieviti sono miceti con
organizzazione unicellulare. Dal momento
che possono essere sia in forma unicellulare
che pluricellulare, i miceti sono dimorfi. Il
corpo cellulare di una muffa, chiamato
anche tallo, è costituito da elementi che
vengono chiamati ife. Questa ifa è costituita
da tante cellule che possono essere o divise
da setti, ma all’interno di ogni setto ci sono
dei pori che permettono il libero fluire di
citoplasma e nuclei all’interno dell’ifa o
possono non esservi questi setti e c’è un
libero fluire di citoplasmi e nuclei all’interno dell’ifa quindi possono avere un’unica cavità comune
oppure essere divise in cellule da setti trasversi. Nei setti è presente un poro centrale che permette il
libero fluire delle correnti citoplasmatiche.
L’insieme di queste ife forma il micelio. Le strutture ramose sono l’insieme delle ife. Nelle muffe
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 74
osserviamo sempre una parte aerea dove possiamo trovare le strutture che hanno la funzione
riproduttiva poiché contengono le cellule che svolgono la funzione riproduttiva e possiamo trovare le
ife vegetative che sono quelle immerse nel substrato che sta facendo la muffa.
La forma unicellulare di un micete è detta lievito. Sono cellule di forma ovale o sferica che si
riproducono per gemmazione: da una cellula gemma la cellula figlia. Le cellule poi, accrescendosi,
possono rimanere attaccate l’una all’altra (si chiamano lieviti perché i primi ad essere descritti furono
le cellule responsabili della lievitazione degli alimenti) e si possono formare strutture simili alle ife che
però vengono chiamate pseudoife. La differenza principale sta nel fatto che qui le cellule sono separate
una dall’altra, non ci sono condivisioni, setti o un libero fluire di citoplasma e nuclei. Le pseudoife
possono unirsi a formare uno pseudomicelio, ma mantengono comunque la propria individualità. Non
c’è comunicazione, come nei miceti pluricellulari, tra le cellule.
I miceti si possono riprodurre sia in modo sessuale che asessuale. Le muffe si riproducono sia
sessualmente che asessualmente, e diciamo che poi quando sono nella fase lievitiforme l’unica
riproduzione è quella per gemmazione, asessuale. Noi classifichiamo i miceti basandoci sulle
caratteristiche morfologiche di quelle strutture che si formano nelle ife aeree e che contengono le
cellule deputate alla riproduzione. Sono strutture molto caratteristiche ed un microbiologo esperto
che osserva queste strutture a seconda della forma che hanno riesce a dire di che micete si tratta.
Vengono classificati anche secondo la modalità di riproduzione e diciamo che la fase sessuale di un
micete è detta la fase perfetta. Nella fase sessuale da un cellula che deriva dall’unione di due patrimoni
genetici si forma l’individuo. L’unione di due patrimoni genetici diversi avviene a seguito della fusione
di due cellule deputate alla riproduzione sessuale che si formano in queste strutture che sono le ife
aeree. Queste ife possono provenire o dallo stesso individuo o da due individui che sono vicini. Quando
le due cellule provengono dallo stesso individuo si parla di riproduzione omotallica. Quando
provengono da due individui diversi si parla di riproduzione eterotallica.
Nella riproduzione sessuale si possono fondere o due singole cellule o addirittura le due strutture che
contengono le cellule si possono fondere, sia che provengano dallo stesso individuo che da due
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 75
individui differenti. In sintesi:
Lo zigote (cellula iniziale diploide di ogni nuovo organismo) risulta dalla fusione meiotica di due
corredi cromosomici aploidi parentali. La fusione può avvenire in diversi modi:
Fusione di due gameti unicellulari
Fusione diretta di due organuli del tallo (corpo cellulare) detti gametangi
I gameti e gametangi possono essere prodotti o dallo stesso individuo (riproduzione sessuale
omotallica) o da due individui diversi (riproduzione sessuale eterotallica).
Sulla base di queste diverse modalità di riproduzione sessuale distinguiamo diversi tipi di spore
sessuali:
Zigospore
Ascospore
Basidiospore
Che definiscono 4 Phyla:
Chytridiomycota
Zygomycota
Ascomycota
Basidiomycota
Esiste poi un quinto gruppo in cui la riproduzione sessuale non è mai stata osservata o è
estremamente rara: Deuteromycota o Funghi imperfetti. Gran parte delle specie di interesse medico
sono collocate nel gruppo dei Funghi imperfetti. Un micete infetta un uomo quasi sempre nella sua
forma pluricellulare, ma
una volta che è entrano
nell’uomo ad una
temperatura di 37 gradi, si
trasforma sempre nella
sua forma lievitiforme.
Dobbiamo sapere che i
miceti sono classificati in
base alla modalità di
riproduzione e sul tipo di
struttura, forma
morfologia delle strutture
deputate a portare le
cellule sessuali.
Queste strutture sono
molto diverse tra di loro e
facilitano molto la classificazione.
Nella riproduzione asessuale si forma una gemma allungata dal lievito e da essa nasce la nuova cellula
figlia. Queste cellule possono restare aggregate a formare pseudoife quindi dalla cellula madre si
origina la gemma, passa il materiale genetico e poi si separa per formazione di un setto. Alcuni si
riproducono per scissione. Le Spore asessuali si formano per sporulazione e frammentazione delle ife.
Sono facilmente separabili dal resto del micelio e disperse nell’ambiente.
PENICILLI
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Le micosi
A me interessa che sappiate la struttura, che si possano riprodurre, le micosi che cosa sono (e che
hanno frequenti recidive). La patogenesi delle micosi è molto legata all’immunità dell’ospite nel senso
che i miceti possono essere considerati patogeni opportunisti. Ciò significa che un micete infetta un
soggetto sano solo se a questo soggetto si abbassano le difese immunitarie o se arriva una carica
infettante molto elevata, altrimenti non ce la fa ad infettare un soggetto sano. La diagnosi si basa
sull’indagine microbiologica. Esistono micosi che vengono dette:
Superficiali poiché coinvolgono gli strati più superficiali come capelli, strati superficiali
dell’epidermide;
Micosi cutanee (tigne) che coinvolgono l’intero spessore cutaneo dell’unghie, peli e capelli,
zone ricche in cheratina;
Mucose sottocutanee (cute, tessuto sottocutaneo, ossa)
Micosi sistemiche che coinvolgono organi interni e visceri.
Le micosi sottocutanee sono causate da
miceti del suolo e delle piante e l’uomo può
essere infettato tramite lesioni cutanee.
Viene infettato sempre nella forma
pluricellulare ma una volta che è dentro
l’uomo passa nella forma unicellulare
infatti nei laboratori quando si ricercano i
miceti si tende sempre a fare una doppia
piastra: una si tiene a temperatura
ambiente per osservare la forma
pluricellulare, l’altra a 37 gradi dove
crescerà esclusivamente la forma
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 77
unicellulare.
Le infezioni sistemiche sono: Coccidioidomicosi, Istoplasmosi, Blastomicosi, Paracoccidioidomicosi. I
funghi patogeni possono essere presenti nel suolo o dispersi in aerosol. Sono funghi dimorfi,
lievitiformi nel Tessuto infetto e miceliali nei terreni di coltura. Il quadro clinico è simile a quello della
tubercolosi con infezione primaria asintomatica. Sono rare le forme croniche e disseminate. Abbiamo
dei veri e propri funghi patogeni che vengono dall’esterno come il blastomyces, in cui l’infezione inizia
con l’inalazione dei conidi che penetrano nelle sezioni polmonari basse. I conidi si trasformano in
lieviti negli spazi alveolari. Se la risposta immunitaria non è sufficiente i microrganismi si
disseminano: pelle, ossa, tratto genitourinario e SNC con formazione di granulomi suppurativi.
Histoplasma capsulatum
E’ un fungo dimorfo che vive nello strato superiore del terreno
L’ infezione inizia con la penetrazione dei microconidi nei polmoni. Le spore vengono
fagocitate da pmn e macrofagi e formano lieviti in 24-72 ore;
La patogenicità di histoplasma capsulatum è dovuta alla sua capacità di sopravvivere
all’interno dei macrofagi.
Il segno caratteristico dell’istoplasmosi è la formazione di granulomi (milza e fegato).
MICOSI PROFONDE-FUNGHI 0PPORTUNISTI
CRYTOCOCCUS NEOFORMANS
E’ un lievito capsulato
Cresce negli escrementi di piccioni, storni, merli, tacchini
PATOGENESI
La capsula inibisce la fagocitosi e blocca la capacità dei macrofagi di presentare gli antigeni
La criptococcosi inizia come infezione polmonare asintomatica
Nei pazienti affetti immunocompromessi i criptococchi diffondono per via ematogena in vari
organi, polmoni, ossa, reni, fegato e cute.
CANDIDA ALBICANS
E’ un lievito patogeno opportunista. Si ritrova a bassa carica sulle superfici delle mucose.
Nei tessuti cresce come un misto di blastospore, pseudoife e tubi germinali
Candidosi vaginale si può manifestare a seguito di variazioni del pH vaginale
Candidosi mucocutanea (mughetto)
Si verifica spesso nei neonati nati da madri affette da candidosi vaginale.
La candidosi è una patologia che può potenzialmente colpire qualsiasi parte del corpo. La
Candida Albicans e altre specie di Candida) sono comuni, commensali saprofiti (si nutrono di materia
organica morta) che vivono in terreni e sulle mucose intestinali di molti individui sani. La candida è
presente sulle mucose (orofaringe, tratto gastrointestinale, vagina) dell'80% degli individui sani. Vive
in simbiosi con l'organismo umano, partecipando alla digestione degli zuccheri.
Raramente la candida diventa patogena e produce candidosi. Tale condizione si instaura più
facilmente in seguito all'utilizzo prolungato di antibiotici e durante stress piscofisici intensi che
abbassano le difese immunitarie del paziente (come l'infezione da HIV). La candida può causare
vaginiti. L'80% dei casi di candidosi è dovuto all'infezione da Candida albicans mentre il rimanente
20% è causato da altre specie di funghi appartenenti alla stessa famiglia (candida tropicalis 1%-5% e
candida glabrata 10%). Il passaggio dalla colonizzazione asintomatica di questi funghi (presente in
molti individui sani) ad una infezione sintomatica (candidosi) è favorito da DIVERSI fattori
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 78
predisponenti.
Farmaci come i CORTICOSTEROIDI e terapie antibiotiche
Indebolimento delle difese immunitarie.
Contraccettivi orali: sembra che alti livelli di estrogeni favoriscano la crescita di Candida.
IPERGLICEMIA, la presenza di zuccheri favorirebbe l’azione patogena di questi funghi.
Malattie o grossi stress psico-fisici: HIV, chemioterapia, trapianto.
ANEMIA, alcolismo, tabagismo, stress, inquinamento.
La candidosi è favorita da determinati fattori predisponenti. Il passaggio dalla normale colonizzazione
alla colonizzazione patologica può avvenire in presenza di concause. Anche l’aspergillus è un fungo che
può dare gravi infezioni polmonari sempre in soggetti immunocompromessi e può diffondere al
sistema nervoso centrale e al tratto gastrointestinale e in altri organi. La localizzazione primitiva può
essere diversa dal polmone: occhio, orecchio, seni nasali o cute.
Anche i miceti come i batteri producono enzimi.
Fattori di virulenza:
Enzimi extracellulari: proteasi, fosfolipasi
Produzione di micotossine: alcune cancerogene
Attività antibiotica: possono contaminare i cibi
Azione antifagocitaria: per la presenza di capsula
Per le dimensioni del tallo spesso maggiori di quelle delle cellule fagocitarie, e anche se
non maggiori l’energia meccanica che si sviluppa dal conidio in geminazione è tale da
spingere l'ifa in accrescimento fuori dal fagocita attraverso perforazione della
membrana
Capacità di sopravvivere e moltiplicarsi nei fagociti
Infezioni da anerobi
Gli anerobi sono parte della nostra flora endogena. Il microbiota che ci colonizza è costituito
principalmente da anerobi. Non hanno una grande patogenicità intrinseca e, poiché possano causare
infezione, sono necessarie delle condizioni di ipossia locale cioè condizioni predisponenti all’infezione
da anerobi da mancanza di ossigeno. I fattori predisponenti possono essere:
Fattori locali, come lesioni delle mucose, tumori, necrosi locali
Fattori sistemici: terapie antibatteriche massive, diabete, malattie immunosoppressive
Questi sono fattori che possono portare a condizioni di ipossia locale e questo è il motivo principale
per cui possa prendere piede un’infezione sostenuta da anaerobi. Loro riescono a moltiplicarsi bene
nei tessuti profondi quando si verificano queste condizioni che portano ad una diminuzione del
potenziale redox [che avviene in conseguenza di un diminuito afflusso di sangue e quindi di ossigeno,
per la presenza di necrosi tissutale o per il contemporaneo sviluppo di batteri che consumino
ossigeno. Così le malattie vascolari, il freddo, diversi traumi, interventi chirurgici, la presenza di corpi
estranei, tumori, infezioni da batteri aerobi, sono tutti fattori che possono predisporre ad infezioni di
batteri anaerobi] e questo può avvenire in seguito ad esempio alla riduzione della flora endogena.
Possiamo andare anche incontro ad una rottura della barriera epiteliale mucosale intestinale
semplicemente perché le giunzioni vengono a rilassarsi tra le cellule e quindi aumenta la
trasmutazione dei prodotti batterici, ma anche dei batteri che fanno parte della flora.
I segni clinici che indicano che l’infezione presente è da anerobi sono un aspetto purulento, presenza
di pus, tessuto necrotico, presenza di gas, l’odore molto sgradevole e diciamo che se si fa un
antibiogramma del pus presente nella ferita, è possibile osservare i batteri. Siccome i batteri piogeni
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 79
possono essere anche aerobi come gli streptococchi o gli stafilococchi, allora la localizzazione in un
organo o tessuto profondo, deve far pensare ad una possibile eziologia da anerobi. Quando la
localizzazione è più superficiale, potrebbe anche darsi che non sia da anerobi oppure potrebbe essere
mista poiché l’anerobio può crescere anche ad un livello più superficiale poiché se sono presenti gli
aerobi, che consumano l’ossigeno presente, permettono la crescita dall’anerobio quindi molto spesso
le infezioni da anerobi sono infezioni miste.
Gli anerobi producono enzimi come proteasi o lipasi che disgregano i tessuti e aiutano la loro
diffusione. Quando ci troviamo davanti ad una infezione da anerobi, il momento critico è il prelievo del
campione poiché bisogna fare in modo di proteggere il prelievo dall’ossigeno. Il metodo preferito è
l’utilizzo di una siringa: si va ad aspirare il materiale facendo attenzioni di aver eliminato eventuale
aria entrata nella siringa e si mette direttamente l’ago nel tappo di gomma di una provetta in cui c’è un
terreno di trasporto per anerobi in cui vi è un’atmosfera anaerobia. Nella provetta solitamente si
aggiunge anche un indicatore di presenza di ossigeno che cambia colore se nella provetta entra
ossigeno. Oppure si utilizzano tamponi che vanno inseriti in provetta con terreno di trasporto tuttavia
non è idoneo come la siringa e va usato solo quando c’è poco materiale da prelevare. La fase
importante dunque è la fase preanalitica ovvero il momento del prelievo e del trasporto del campione
in laboratorio.
Ovviamente oltre ad avere contenitori adatti, è importante scrivere sulla ricerca che si stanno
cercando anerobi. La coltivazione degli anerobi stretti è molto complicata, non tutti i laboratori sono in
grado di portarla avanti. I terreni seminati vengono messi ad incubare protetti dall’ossigeno
utilizzando cioè giare con catalizzatore che facilitano una reazione H2O2 che forma acqua eliminando
l’ossigeno presente nella giara. Oppure si utilizzano delle cappe chiuse per anerobi dove l’aria viene
immessa con bombole che creano atmosfera anaerobia all’interno della cappa. Il momento critico
nell’iter diagnostico è dunque la ricerca del materiale da seminare, come viene prelevato, trasportato e
poi l’allestimento e la valutazione della colture. Siccome gli anerobi sono a crescita lenta –perché
fermenta e produce meno ATP- ciò fa sì che per apprezzare una crescita sulla piastra si possa aspettare
anche una settimana quindi questo fa sì che molto spesso specialmente se il paziente è grave si decide
di mandare il campione in laboratorio, ma non aspettare il risultato, instaurare subito una terapia
ragionata tuttavia bisognerebbe aspettare la risposta almeno a livello microscopico, che permette
perlomeno di capire se si tratta di un bacillo o di un cocco quindi si può indirizzare la terapia verso
alcune specie o altre specie. Inoltre è spesso difficile perché le infezioni di anerobio possono essere
sostenute da altri microrganismi, possono essere infezioni miste e visto che anerobi ed aerobi
facoltativi crescono molto più rapidamente questi prendano il sopravvento sull’anerobio.
L’esame preliminare microscopico è quindi molto importante e si passa poi all’esame colturale e
diciamo che dall’esame colturale anche si vede cosa è cresciuto. Se ho bacilli gram positivi potrei
sospettare che si tratti di uno sporigeno, un clostridium e indirizzarmi nel mio iter diagnostico, se si
tratta di cocchi gram positivi potrei avere streptotocchi ad esempio. Anche la morfologia delle colonie
ha delle caratteristiche, le reazioni biochimiche etc. Per il fatto che sono miste si sovrappone l’aerobio
e per tutti questi motivi c’è un trattamento antibiotico empirico e dopo aver fatto il prelievo del
campione ed avuti i risultati si instaura un trattamento specifico.
Le patologie da anerobio possono avere un’origine endogena o esogena. Esogene sono ad esempio
quelle ad esempio da gastroenteriti, gangrena gassosa da tetano, clostridium. Quelle endogene
possono procurare ascessi in qualsiasi organo […] in seguito a perforazione e passaggio della flora
colonizzante.
Non sono da sottovalutare e il clinico deve orientarsi sulla base dei risultati dell’esame batterioscopico,
sulla conoscenza della flora endogena nel distretto interessato dalla patologia e sulla conoscenza dei
fattori di patogenicità delle varie specie coinvolte nell’infezione.
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Ricapitolando, quando devo fare la diagnosi di un’infezione da anerobi io mi baso principalmente sul
sierotipo, sulla storia medica del paziente e sulla localizzazione dell’infezione. Se il paziente ha
condizioni cliniche che favoriscono ipossia locale, è più soggetto ad un’infezione da anerobi. La
localizzazione dell’infezione è molto importante poiché una localizzazione in un tessuto profondo ci
deve far pensare alla presenza di anerobi. I testi diagnostici saranno esame del sangue e prelievo di
materiale purulento.
Processi di sterilizzazione
La sterilizzazione consiste in qualsiasi processo chimico o fisico che porti all'eliminazione di ogni
forma microbica vivente, sia patogena che non, comprese le spore e i funghi. Un materiale è
considerato sterile se il SAL (livello di sicurezza di sterilità) è inferiore a 10−6, la probabilità di trovarvi
un microrganismo è inferiore ad uno su un milione. Prevede dunque la distruzione di tutte le forme
viventi, spore comprese, su un determinato substrato o in un ambiente. Dobbiamo ricordarci che le
spore resistono a temperature pari a 110 – 120°C. Per eliminare le spore dobbiamo trattare il prodotto
in modo che la spora si trasformi nella sua forma vegetativa che non è più resistente al calore, ma
viene uccisa dai normali metodi.
I processi di sterilizzazione distruggono i microrganismi provocando l'alterazione letale di alcune loro
componenti essenziali; in particolare la sterilizzazione determina la denaturazione delle proteine e
degli acidi nucleici e la degradazione di componenti della membrana e parete cellulare.
Deve essere praticata su:
Strumenti e oggetti introdotti nel sangue o in aree del corpo normalmente sterili o che
vengono a contatto con cute e mucose non integre (set di somministrazione, siringhe,
tubi di drenaggio, soluzioni parenterali, guanti chirurgici, cateteri e tutti gli strumenti
secondari, teli, camici che entrano in campo operatorio)
Strumenti e oggetti che vengono a contatto con mucose integre
È fondamentale una corretta conservazione degli oggetti trattati per impedirne la contaminazione.
La procedura di sterilizzazione deve essere compiuta garantendo la sicurezza dell'operatore. Devono
essere utilizzati guanti, indumenti protettivi e dispositivi di protezione del volto da schizzi di sostanze
contaminate (mascherine oro-nasali, occhiali protettivi o schermi protettivi).
Devono essere utilizzate griglie o bacinelle per il trasporto del materiale da sterilizzare in maniera da
ridurre il contatto accidentale con l'operatore e con l'ambiente circostante.
Noi possiamo sterilizzare attraverso:
• Agenti fisici: calore e radiazioni
• Metodi di rimozione meccanica
• Agenti chimici
La sterilizzazione con il calore può essere ottenuta usando:
- CALORE SECCO: incenerimento, Stufa di Pasteur
- CALORE UMIDO: ebollizione, vapore fluente autoclave (vapore saturo)
Il vapore e un migliore conduttore termico rispetto al calore secco, cioe: a parita di temperatura, la
sterilizzazione e raggiunta in un tempo minore. E questo e molto importante in un’azienda
ospedaliera.
Il calore secco si può avere attraverso l’incenerimento. Distrugge il materiale di vario tipo soprattutto
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di provenienza ospedaliera. Non permette il riciclaggio del materiale o del substrato. La temperatura
di esercizio oscilla fra i 900 – 1300°C. Si può altrimenti ottenere sterilizzazione secca mettendo a
contatto il materiale con aria calda e questo si può realizzare con il Forno Pasteur che si utilizza per
sterilizzare materiale termoresistente che non corrode, NON SI POSSONO STERILIZZARE MATERIALI
UMIDI, LIQUIDI O DI PLASTICA
I metodi per sterilizzare qualcosa all’interno del forno Pasteur sono temperatura e tempo di
esposizione. In media, per una sterilizzazione completa è necessario che sia raggiunta una
temperatura di 160° per un'ora o di 180° per 30 minuti. A questi tempi si devono aggiungere poi i
tempi di raffreddamento che portano un ciclo a 180-240 minuti. Il forno Pasteur ha dunque dei cicli di
sterilizzazione molto lenti, ma è necessario per sterilizzare gli strumenti che non tollerano il calore
umido.
Il calore umido è il metodo piu semplice per la sterilizzazione dell’acqua e di oggetti in essa immersi o
dei recipienti stessi. L’ebollizione va prolungata per almeno 20’. Si puo usare una autoclave non chiusa
o meglio la pentola di Kock o la pentola di Merke. Si applica per la Tindalizzazione (30’ 1 volta /die
per 3-4 gg.)
La tindalizzazione è un processo di sterilizzazione che prevede che il materiale venga a contatto con il
vapore fluente trenta minuti alla temperatura di 80 gradi per tre giorni consecutivi. Tra un
trattamento e l'altro l’incubazione a 30-35 gradi consente la germinazione delle spore che verranno
uccise nel trattamento successivo.
Nella pastorizzazione si riscaldano gli alimenti liquidi a 65/80°C per pochi secondi o minuti.
Successivamente c'è un rapido raffreddamento, per evitare che le alte temperature alterino
eccessivamente le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto. Alcuni alimenti
pastorizzati sono il latte, la birra e i succhi di frutta. Il latte ad esempio viene scaldato tipicamente a
71.7 °C per 15 secondi. La pastorizzazione annienta la microflora dei liquidi organici oltre il 99%, non
si arriva a temperature sufficienti a devitalizzare tutti i microrganismi né le spore.
L’autoclave sicuramente, nei metodi che prevedono calore umido, è il metodo di sterilizzazione più
diffuso. Non è tossico ed il vapore saturo ha una buona capacità di penetrare nel materiale. E’
indispensabile nella sterilizzazione dei liquidi. Non si possono sterilizzare quei materiali che temono
l’umidità (polveri, carta, tessuti). L’autoclave funziona come una pentola a pressione nel senso il
vapore va sotto pressione e questo fa sì che la temperatura a cui l’acqua bolle è più alta infatti il ciclo di
base è a 121 gradi per quindici minuti ad una atmosfera. Noi mettiamo il materiale nell’autoclave, si
chiude lasciando aperte le
valvole, si accende e si comincia
a far defluire l’aria. Quando l’aria
che fuoriesce comincia ad essere
biancastra si chiudono tutte le
valvole quindi l’acqua presente
nell’autoclave comincia ad
evaporare però siccome il
vapore non può più fuoriuscire
questo fa si che c’è un aumento
di pressione che fa si che l’acqua
cominci a bollire ad una
temperatura superiore a cento
gradi e questo permette che il
vapore riesca a penetrare nel
materiale essendo a contatto per
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un tempo sufficiente. E’ indispensabile che nei materiali non si formino delle sacche d’aria in cui i
microbi sopravvivono.
Radiazioni non ionizzanti
Sono ad esempio i raggi UV.
Non hanno grande capacità di penetrazione.
Efficaci solo su oggetti non troppo spessi o su liquidi fatti passare attraverso recipienti sottili.
Sono agenti mutageni ed estremamente dannosi per gli occhi.
Radiazioni ionizzanti
Le radiazioni ionizzanti hanno sufficiente energia da ionizzare atomi e molecole. I raggi gamma sono
tra le radiazioni più utilizzate come metodo di sterilizzazione.
Le radiazioni ionizzanti agiscono trasferendo la loro energia all’interno della cellula colpita.
Le spore sono piu resistenti delle forme vegetative;
I miceti e protozoi hanno la stessa sensibilita dei batteri
i virus sono molto piu resistenti.
Vengono normalmente utilizzate in campo industriale e penetrano molto più degli UV. Il loro utilizzo
porta alla formazione di molecole altamente tossiche per la cellula come i radicali liberi. Provocano
danni al DNA delle cellule e la sensibilità dipende dal riparare il danno al DNA da parte dalle cellula che
ha subito il danno. I raggi ɣ sono di solito adoperati per sterilizzare presidi medico-chirurgici. In
questo caso ogni oggetto deve essere avvolto in materiale impermeabile ai microrganismi, ma non alle
radiazioni. Possono essere trattati anche prodotti quali protesi, ossa, ecc.
Metodi di rimozione meccanica: si utilizzano quando non è possibile utilizzare il calore, ad esempio se
inserissi una soluzione glucosidica in un’autoclave caramellerebbe.
FILTRAZIONE
Si applica a tutti i sistemi liquidi e gassosi, in particolare alle sostanze termolabili. Il filtro è costituito
da materiale poroso attraverso il quale viene fatta passare la soluzione da sterilizzare. Il diametro dei
pori è tale da impedire il passaggio dei microrganismi.
Gli agenti chimici possono essere:
Acidi o basi concentrate
Formaldeide: gas irritante, tossico e poco penetrante. Utilizzabile solo come
disinfettante di superficie, per sterilizzare oggetti e locali; uso limitato
cancerogeno
Ozono adatto per sterilizzare materiali chirurgici e per medicazioni. Poco usato
perché fortemente ossidante, ciò comporta l'alterazione di molti materiali,
immesso nel vapore acqueo contribuisce alla sterilizzazione degli alimenti.
Ossido di etilene: Impregna a lungo gli oggetti trattati, prima di usare questi
oggetti è necessario riporli in ambienti aerati fino alla completa eliminazione
dello sterilizzante meccanismo d'azione: alchilazione di gruppi solfidrilici,
aminici, carbossilici, fenolici ed idrossilici (a cui viene sostituito un atomo di H
con un gruppo alchilico). Tale processo porta alla morte del microorganismo.
Agisce su tutti i microrganismi comprese le spore. L’ossido di etilene e un gas
incolore, che liquefa a 10,7°C e solidifica a – 111,3°C. Solubile in acqua e nella
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maggior parte dei solventi organici (alcoli, esteri, olii, ecc.). La sua azione
dipende da: - concentrazione, - temperatura, - tasso di umidita, - durata
dell’esposizione (700 – 1200 mg/l) (55 – 60°C) (70%) PER (2 – 4 h). Si usa un
apparecchio simile all’autoclave in cui l’ossido di etilene viene mescolato con la
CO2 per renderlo ininfiammabile ed inesplosivo. Non altera il substrato e può
essere usato anche su materiale termolabile (materiali non sterilizzabili in
autoclave (PVC, polietilene, alcune gomme). Viene utilizzato molto in ambito
ospedaliero.
Agente antimicrobico (naturale o di sintesi).
DISINFEZIONE
Procedimento che si prefigge di distruggere ogni specie di microrganismi patogeni presenti in un
determinato ambiente o su un determinato substrato (spore escluse).
L’agente disinfettante più adatto sarà scelto in rapporto alla resistenza del/dei microrganismo/i che si
vuole distruggere e tenendo conto dei fattori ambientali e della natura del substrato che li ospita.
La scelta del disinfettante e delle modalita di applicazione e basata sulla conoscenza delle
caratteristiche biologiche.
SCELTA DEL DISINFETTANTE
CRITERI UTILIZZATI:
EFFICACIA
INNOCUITA
NON
ALTERAZIONE DEI MATERIALI
SU CUI DEVE AGIRE
AZIONE NON
ANNULLATA O RIDOTTA DAL
SUBSTRATO SU CUI DEVE
AGIRE
Inoltre:
BASSO COSTO
NON
INFIAMMABILITA
FACILE
UTILIZZO
MANCANZA DI
ODORE SGRADEVOLE
FATTORI INFLUENZANTI LA DISINFEZIONE
Tempo e modalità di contatto
Temperatura di contatto
pH a cui avviene il contatto
Caratteristiche del materiale e presenza di sostanze organiche
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Concentrazione e stabilità della preparazione disinfettante
Caratteristiche della popolazione microbica da distruggere, carica, resistenza ai singoli
disinfettanti
Le cappe di laboratorio biologico si dividono in:
Cappa di classe I
Cappa di classe II
Cappa di classe III
La sterilizzazione dell'aria all'interno della cappa viene realizzata forzandone il passaggio attraverso
filtri HEPA (High Efficiency Particulate Air): tali filtri sono realizzati in micro fibra di vetro che
garantiscono aria "pura" al 100% (come prefissato dalla normativa della Legge 626).
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Microbiologia di laboratorio
Oggi affrontiamo una parte di quella che è la medicina di laboratorio, nella microbiologia ovviamente.
La medicina di laboratorio comprende diverse parti:
- una fase pre-analitica, parte in cui si ipotizza, si fa una diagnosi di una certa infezione, si selezionano
i test che vanno fatti per verificare se la diagnosi è giusta, si colleziona un campione del paziente e si
trasporta al laboratorio dove si svolge la fase analitica.
- una fase analitica: qui si prendono questi campioni e si lavorano per arrivare ad una identificazione,
una volta individuati i determinati batteri, si procede a fare l’antibiogramma.
- l’antibiogramma: si vanno a saggiare le sensibilità dei batteri prelevati dal campione verso una
serie di antibiotici, in questo modo il medico è in grado di fare una terapia mirata al paziente, diversa
dalla terapia generale.
Dalla fase analitica quindi esce fuori un referto che viene portato nel reparto clinico e dovrà essere
letto e interpretato dal medico.
Nella fase analitica, partendo da una sospetta infezione, da determinati segni clinici, per verificare se la
mia ipotesi di sospetto è giusta, io posso fare una diagnosi diretta, oppure una diagnosi indiretta.
Che differenza c’è?
Nella diagnosi indiretta dal siero del paziente, l’unico campione che posso prelevare per fare una
diagnosi indiretta, vado attraverso dei metodi detti immunologici, a cercare anticorpi che il paziente
può aver formato contro quel determinato agente infettivo che io sospetto abbia provocato quella
determinata infezione.
Ci sono molti metodi per evidenziare gli anticorpi nel siero del paziente, sempre metodi che prevedono
che ci sia una reazione tra l’anticorpo che è nel siero e l’antigene preformato, mettendo a contatto il
siero con antigeni preformati di un determinato agente infettivo, ovviamente congruente con la
diagnosi.
Se il siero del paziente contiene gli anticorpi contro quell’antigene avverrà l’azione antigene-anticorpo,
che potrò evidenziare attraverso eventi immunologici. (immunofluorescenza ecc…)
Posso legarlo a un determinato enzima, se poi l’antigene del determinato enzima si lega al mio
anticorpo e nella miscela della reazione aggiungo il sub-strato del mio enzima, posso evidenziare
l’avvenuta reazione.
Se l’anticorpo non c’è non si lega nulla.
Quindi io posso leggere la reazione antigene-anticorpo e quantizzarla, escogitando un metodo per
evidenziare l’avvenuta reazione.
La diagnosi diretta io la posso fare su qualsiasi tipo di campione prelevato dal soggetto: sangue, feci,
urine… e questa diagnosi diretta può essere una diagnosi rapida e questa la posso fare con un metodo
immunologico che prevede la ricerca nel mio campione di parti dell’agente che io sospetto stia
causando l’infezione, (gli antigeni dell’agente infettante), e lo faccio mettendo a contatto il campione
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con anticorpi preformati.
Ad esempio nelle sospette meningiti si fa il prelievo del liquor, e nel liquor vado a cercare gli antigeni
dei batteri più comunemente associati alle meningiti (streptococco pneumonie ecc..) e lo faccio
mettendo a contatto il liquor con anticorpi preformati verso gli antigeni dello streptococco. Se nel mio
liquor ci sono gli antigeni di questi batteri avrò una reazione antigene-anticorpo.
Nell’indiretta cerco gli anticorpi, nella diretta cerco gli antigeni.
Oppure attraverso metodi molecolari, sempre nella diagnosi diretta rapida, perché nel metodo
molecolare vado a cercare il genoma dell’agente infettante.
Altrimenti la diagnosi diretta la vado a fare con i metodi colturali classici: la semina, l’isolamento,
l’identificazione, quindi l’antibiogramma.
Una volta che ho una sospetta infezione, devo decidere quando faccio la richiesta, che tipo di indagine
deve essere fatta. Diretta, indiretta, rapida, classica.
Quando si richiede una diagnosi indiretta? Quando penso che il microrganismo non sia più presente
nel paziente, oppure quando penso che il microrganismo sia molto difficile da coltivare in laboratorio,
oppure per guardare lo stato immunitario di un individuo nei confronti di una determinata malattia.
Nella diagnosi diretta invece io ho una dimostrazione della presenza del materiale patologico nel
campione che mi arriva nel laboratorio, quindi l’agente eziologico o parti di esso. Quindi presuppone
che nel materiale che ho in laboratorio sia ancora presente il microrganismo, o la tossina, o parte di
esso.
E’ molto importante fare l’esame microscopio diretto del campione che arriva, per osservare quello
che c’è in questo campione.
Il batterio tubercolosi è ad esempio un batterio a crescita molto lenta.
In questi casi devo rapidamente capire se il paziente ha una tubercolosi attiva, è molto importante
l’osservazione al vetrino del microrganismo, poiché attraverso una colorazione speciale (zi nielseen) io
posso sentenziare se nell’espettorato del paziente ci sono i batteri.
Io utilizzo degli anticorpi preformati che vanno contro gli antigeni superficiali di quei batteri associati
In questo posso cercare parti dell’agente batteriologico.
Oppure vado a cercare il DNA andando a modificare determinate molecole di DNA che sono specifiche,
uniche, di quell’agente infettante.
L’esame al microscopio ottico, mi permette di aumentare il potere di risoluzione, ovviamente col
microscopio elettronico aumenta di più rispetto al microscopio ottico.
Osservando al microscopio io posso fare già una diagnosi definitiva, perché posso dare informazioni
molto utili al medico, specialmente se il medico si trova davanti ad agenti infettanti a lenta crescita,
oppure se il paziente è molto grave e non può aspettare.
L’osservazione microscopica mi dice anche se il campione è idoneo, ovvero se è stato contaminato o
meno.
L’esame al microscopio può essere fatto mettendo direttamente il materiale sul vetrino e quindi
vedere anche la mobilità del materiale, oppure fissati su questo vetrino, attraverso specifiche
colorazioni, ma in questo caso il materiale è morto.
La contaminazione come dicevamo prima può essere dovuta ad un contatto del campione con la flora
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batterica del paziente.
Posso trovare molte forme di microrganismi, infatti analizzare la forma è molto importante per
riconoscere una determinato batterio.
Posso usare le colorazioni, che possono essere semplici, come la colorazione Gram oppure la
colorazione zi nielseen.
Colorazione che mi permette di localizzare dei granuli all’interno delle cellule.
Poi ci sono le colorazione negative, quella con l’inchiostro di china, che si colora il campione con
questo inchiostro che penetra ovunque tranne che nelle capsule, quindi se voglio evidenziare un
microrganismo che ha una capsula uso questa colorazione.
Abbiamo già detto che una volta che io ho colorato il mio campione, lo semino su terreni con un
adeguato ossigeno, pH, temperatura… i tempi di coltivazione sono diversi a seconda dei batteri.
L’esame colturale mi consente un’identificazione e di determinare la reattività agli anticorpi.
Ci sono anche specifici terreni di trasporto con cui trasportare il campione, per non contaminarlo e per
non pregiudicare il risultato dell’analisi microbiologica.
E’ importante scrivere bene le richieste.
Una volta seminato, a 37 gradi, andiamo ad osservare dopo esser nate le prime colonie e vado a
classificare i batteri in base a caratteri morfologici, fisiologici, biochimici e metabolici.
Cosa otterrò? Ottengo prima la morfologia del batterio (le dimensioni, la forma, il colore, la superficie,
il margine) tutti questi caratteri mi aiutano ad andare a selezionare la colonia giusta.
Il primo criterio quindi è la morfologia, l’occhio esperto ovviamente va a prendere la colonia che ha la
morfologia che corrisponde a quello che sto cercando.
Quindi poi vado a valutare in base alla morfologia anche i caratteri citologici, sfruttando determinati
terreni, se fermenta al lattosio, se fermenta al mannitolo.
Tutto questo che faccio mi serve a cosa? Perché alla valutazione finale ci arrivo andando a valutare la
colonia che ho isolato. Poi faccio il test della catalasi per vedere che non siano streptococchi, così sono
sicuro di avere uno stafilococco.
E’ importante capire di che genere è questo batterio, perché successivamente dovrò mettere questa
colonia su dei dispositivi che saranno diversi a seconda del genere.
Questi dispositivi mi permettono di valutare contemporaneamente molte reazioni sia biochimiche che
enzimatiche.
Ovviamente l’ordine gerarchico dei caratteri, i caratteri che identificano una grande famiglia, poi ci
sono altri caratteri che identificano i generi, all’interno dei generi ci sono altri caratteri che
identificano le specie.
Il test della catalasi è un test che mi definisce il genere stafilococco, tutti gli stafilococchi sono catalasi
positivi, tutti gli streptococchi sono catalasi negativi.
Nei laboratori si hanno dei terreni liofilizzati che mi permettono di saggiare una serie di reazioni
biochimiche.
Inoculo tutti questi pozzetti (strip) con la colonia che io sospetto, ad esempio lo stafilococco, voglio
capire se è Aureus o meno.
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Se io osservo la mia crescita dei cocchi, faccio il test della catalasi, vedo se è stafilococco o meno, poi
faccio il test dello strip per vedere la specie.
Per l’esame dei miceti è la stessa identica procedura, anche a fresco previa colorazione.
I miceti si lasciano su due piastre, una a 25 gradi (temperatura ambiente), mentre su una si mette il
termostato.
Così posso osservare sia la forma unicellulare, che quella pluricellulare potendo distinguere facilmente
un micete dall’altro perché hanno una forma molto caratteristica.
Anche qui devo guardare la morfologia delle colonie, e anche per i miceti posso utilizzare degli strip.
Anche per i miceti con un esame diretto posso andare a valutare la ricerca degli antigeni, così come
faccio per i batteri.
Per l’esame micologico le cose sono un po’ diverse: solitamente si ricercano gli antigeni attraverso
alcuni metodi immunologici oppure per diagnosi indiretta.
Cominciamo con il dire cosa sono gli antibiotici, possono avere una struttura chimica molto diversa
uno dall’altro e possono avere una origine naturale o sintetica.
In natura le sostanze che hanno un’attività antibatterica ne esistono moltissime, abbiamo visto anche
tra i miceti, i batteri stessi ecc….
Ma una sostanza che deve essere usata come antibiotico in terapia, deve risultare nociva sì per il
parassita, ma poco per le cellule del corpo.
L’antibiotico deve avere una tossicità selettiva, assenza di effetti collaterali, assenza di resistenza della
popolazione microbica.
Non sempre tutte queste richieste vengono rispettate, soprattutto l’assenza di resistenza della
popolazione microbica.
Queste sostanze sul microrganismo possono avere diversi effetti, lo possono uccidere, oppure inibire
la loro crescita.
Quando uccide l’organismo ha un’azione battericida, mentre se lo inibisco è un’azione batteriostatica,
cioè dipende dalla concentrazione di utilizzo di questo farmaco.
Ci sono alcune dosi che hanno azione battericida, mentre se si usa un dosaggio inferiore si ha solo
un’azione batteriostatica.
Battericida se quell’antibiotico ha un’azione attiva, arriva al sito d’infezione col giusto dosaggio e
elimina il batterio.
La dose attiva è diversa per uno stesso antibiotico a seconda del microrganismo.
Quando prendo un antibiotico a dose attiva per il microrganismo che mi sta portando l’infezione, per il
resto della flora batterica potrebbe non essere attiva, ma submittente, ovvero non battericida, ma aiuta
la flora a diventare più resistente agli antibiotici.
Gli antibiotici hanno tutti dei bersagli specifici, tanto più il bersaglio è strutturato tanto più
l’antibiotico fa effetto selettivamente.
Abbiamo antibiotici che agiscono sulla duplicazione del DNA, agiscono sugli enzimi batterici.
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Antibiotici che agiscono sulla trascrizione del DNA sull’RNA messaggero, antibiotici che agiscono sulla
sintesi proteica legandosi alla sub-unità 50s dei ribosomi, quelli che si legano alla sub-unità 30s.
Quelli che agiscono sull’RNA transfer, bloccano la catena nascente.
Antibiotici che agiscono sulle membrane citoplasmatiche.
Antibiotici che agiscono al livello delle pareti cellulari.
Ora vediamo la resistenza agli antibiotici, a cosa è dovuta? A geni che sono mutati, a geni che
modificano enzimi che degradano gli antibiotici.
Ovviamente quando la resistenza dall’ambiente viene portata all’interno dei plasmidi, si ha una
resistenza molto elevata poiché i plasmidi si trasmettono da un batterio all’altro.
La mutazione come avviene? Nella molecola di DNA si possono incorporare nucleotidi che non sono
giusti, creando una tripletta che può codificare per lo stesso aminoacido, il che non comporterebbe
problemi, mentre se si crea una tripletta che genera un altro amminoacido, la proteina cambia.
Le mutazioni sono sempre casuali, esiste la variabilità genetica anche tra i batteri.
Possiamo avere mutazioni che alterano le proteine che portano le sostanze all’interno della cellula,
facendo in modo che l’antibiotico non entri all’interno della cellula.
Mutazioni che alterano il bersaglio, cosicché l’antibiotico non riesce a legarsi.
Il batterio può produrre degli enzimi che degradano l’antibiotico.
In un ambiente ospedaliero girano numerosi antibiotici, e i batteri negli ospedali sviluppano delle
resistenze agli antibiotici maggiori, rispetto ai batteri al di fuori dell’ambiente ospedaliero.
Una persona che fa uso inappropriato degli antibiotici, attraverso le sue feci mette nell’ambiente dei
batteri multi-resistenti.
Tornando alla diagnosi, noi abbiamo identificato il microrganismo e dobbiamo andare a vedere la sua
sensibilità agli antibiotici per somministrare la terapia, l’antibiogramma fa proprio questo e ci mostra
due valori:
la MIC : minima concentrazione inibente (inibisce lo sviluppo, ma non l’uccide)
la MBC: la minima concentrazione battericida (concentrazione che uccide il 99,9% del batterio).
Questi due valori sono molto importanti anche per decidere di unire più antibiotici insieme, per
combattere la resistenza del microrganismo.
Quando la concentrazione battericida che trovo per uccidere un determinato batterio è molto elevata,
e potrebbe danneggiare le altre cellule del corpo, allora dico che quel determinato batterio è
resistente.
Come si fa l’antibiogramma?
Si possono utilizzare dei metodi automatizzati, dove all’interno ci sono diversi antibiotici a diverse
concentrazioni e anche qui abbiamo 3-4 ore per le risposte.
Dobbiamo partire da piastre che sono colture pure per fare l’antibiogramma, mai da piastre miste.
Autori: Costanza Marsella & Giorgio Sforza 90
La concentrazione inibente come la trovo? Preparando una serie di provette, tutte con la stessa
quantità di un certo terreno e si fanno delle riduzioni scalari di un determinato antibiotico nelle
singole provette, e ne lascio una senza antibiotico.
Dopodiché inoculo in queste provette il microrganismo che devo valutare, ovviamente devo mettere lo
stesso numero di batteri in ogni provetta. Successivamente metto tutte queste provette ad incubare
per 24 ore, il giorno dopo noto che in un certo numero di provette il contenuto è trasparente, in altre è
torbido, quelle torbide è perché c’è stata crescita batterica, la prima provetta in cui non osservo la
crescita ad occhio nudo, è la provetta che contiene la MIC, la minima concentrazione inibente di
quell’antibiotico per quella data specie batterica.
Per conoscere la MBC, prendo tutte queste provette dove non osservo la crescita e le semino su un
terreno solido, vado poi a contare le colonie e dove trovo una diminuzione del 99,9% dei batteri
seminati inizialmente, è la piastra che contiene la minima concentrazione battericida della molecola
antibiotica per quel determinato microrganismo.
Il metodo della diluizione su agar, tutti utilizzano lo stesso tipo di terreno, l’inoculo avviene sempre
con lo stesso numero di batteri su ogni piastra, una volta che l’ho inculato, poggio sulla piastra dei
dischetti che contengono ognuno un antibiotico diverso, questi dischetti si comprano.
Chiudo il tutto e lo lascio a 37 gradi.
Cosa succede? L’antibiotico si distribuisce nel terreno, si crea intorno ad ogni dischetto un gradiente di
concentrazione dell’antibiotico, più concentrato vicino al dischetto, andando a diminuire all’estremità
opposta.
Cosa noto? Intorno a qualche dischetto si nota crescita ovunque dei batteri, mentre vicino ad altri
dischetti la crescita si è bloccata.
Dove il microrganismo si ferma, è dove incontra la concentrazione minima di antibiotico che lo
inibisce, ovvero la MIC.
Dove il batterio cresce ovunque, vuol dire che è molto resistente, anche dove l’antibiotico è
concentratissimo.
Posso valutare le resistenze con metodi molecolari, ovvero vedere se ci sono particolare mutazioni che
degradano l’antibiotico, o proteggono il batterio dall’agente antibiotico.
Alla fine come ragione per scegliere l’antibiotico? Sicuramente gli devo dare quello meno tossico, ma
anche devo tenere in considerazione la farmacocinetica, ovvero se il farmaco arriva in quel sito attivo.
Tenere in considerazione anche i fattori ecologici, infatti bisogna scegliere sempre farmaci a spettro
stretto, ovvero che agiscono su un numero minimo di organismi.