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Anno I - Numero VIII Maggio 2010 - Organo a diffusione interna (c.i.p) Ass. Cult. FUROR - Via Stretto Cappuccini, 32 (Catanzaro) - info: [email protected]

Minastirith 05/10

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Anno I - Numero VIII – Maggio 2010 - Organo a diffusione interna (c.i.p) Ass. Cult. FUROR - Via Stretto Cappuccini, 32 (Catanzaro) - info: [email protected]

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IL VIR E IL MITO DI ROMA Lo spunto per parlare dell‟uomo - Vir –

romano viene dalla conferenza tenuta in occasione del natale di Roma (21

aprile) dal prof. Mario Polia - antropolo-antropologo ed archeologo di fama na-zionale, docente universitario presso l‟università “La Sapienza” di Roma e ricercatore in Andalu-sia, nonché responsa-

bile del museo di Leo-

nessa - presso l‟associazione culturale Raido di Roma. Romolo e Remo Per elencare le virtù dell‟uomo romano è

sufficiente soffermarsi

sul mito fondante di Roma, che come ogni mito fornisce gli ele-menti basilare di una civiltà. Così Romolo e Remo non sono altro

che due aspetti simbolici presenti in

ogni essere umano ed assimilabili alla luce ed alla tenebra. Le origini dei ge-melli, infatti, risalgono all‟unione di Marte – dio della guerra - e Rea Silvia. Marte nel suo legame con la guerra è immediatamente associabile a due a-

spetti contraddittori, a quello di giusti-zia, che richiama il bellum iustum, la

guerra santa esercitata per rimediare ad un torto ad una ingiustizia, ed alla pura violenza prevaricatrice, sinonimo di un‟anima che possiamo definire

“tellurica”. Rea Silvia, sacerdotessa vergine del tempio, è il simbolo della materia pura, della donna che dice sì ad un progetto divino e che ricorda

nella sua totale dedizione a Dio la fan-

ciulla di Nazaret: “Ecce ancilla domini, fiat mihi secundum verbum tuum”. Ma

chi è Rea Silvia, rapportata ad una dimensione umana? E‟ l‟anima del

guerriero che assolve al suo dovere e si rende strumento dell‟idea, espressa attraverso la potenza marziale del dio della guerra. Questa stessa potenza,

però, può essere, a seconda della dire-

zione in cui si dirige,

un veleno o un far-maco, d‟altronde in greco entrambi i termini si traducono con l‟unico pharma-kon.

Simbolismo delle

acque, del fico e del-la lupa Romolo e Remo, una volta messi al mondo, vengono posti in una cesta

ed abbandonati nel Tevere in piena. Le

acque, sinonimo dei sentimenti, delle passioni non controllate, del cosiddet-to domino “psichico”, rappresentano l‟entrata nel mondo dell‟anima dell‟uomo, lo scontro con la cruda re-altà del divenire. Anche qui il contatto

con le acque non assicura ancora una purificazione definitiva, poiché sia Ro-

molo che Remo approdano indenni sino alle radici di un fico che, nella sua accezione simbolica, è da mettere in relazione all‟ ”axis mundi”, l‟asse del

mondo, il principio da cui i gemelli traggono nutrimento. Infine la Lupa, simbolo ambivalente per eccellenza; associato ad Apollo, alla luce, all‟età

dell‟oro, alla razza iperborea, al guer-

_______________ indirizzi dottrinari _______________

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bile Fenrir che nell‟Edda, poema scan-dinavo sacro, divorerà il Sole alla fine

dei tempi. Da tale nutrice ogni gemello prenderà una parte, Romolo la luce,

Remo l‟oscurità. Uccisione di Remo Come è noto, divenuti adulti, i due gemelli percepiscono la necessità di un

Re. Per decidere chi dei due diverrà Re si recano uno sull‟Aventino, l‟altro sul

Palatino. La volontà degli déi è chiara: Romolo avvista 12 rapaci, Remo 6; il cielo ha benedetto e scelto il Re legitti-mo. Ma Remo non ac-cetta la decisione degli déi, mentre Romolo con

somma pietà, intesa co-me rispetto, obbedienza e gratitudine agli déi, segna il solco della città. Un bue, simbolo della sottomissione della forza e della potenza alla co-

noscenza, traina l‟aratro

con cui l‟anima superiore ara se stessa. Il solco è fatto, la legge stabilita. Chiunque varcherà il sol-co sarà ucciso. E Remo, incurante della legge e convinto che il legame di san-

gue lo protegga da ogni offesa, varca il

confine. Romolo, rispettoso della legge in quanto legge divina, ne decreta la morte, come stabilito. Il sangue di Re-mo, cadendo nel solco della città, sarà il concime propiziatorio per la grandez-

za di Roma. Proiettando il tutto in una dimensione “umana”, la lotta tra Ro-molo e Remo non è altro che il simbolo

del conflitto tra la parte nobile dell‟uomo, che persegue appunto le virtù e determina il Vir, e la parte vile, contraria agli déi, alla legge,

all‟autorità legittima e fa dell‟uomo un semplice “homo” da humus, terriccio umido (verme).

Attualizzazione del mito

Per l‟uomo della Tradizione, per il guer-riero, il passato ed il futuro non esisto-no, vi è solo un eterno presente. In questa consapevolezza è suo dovere prendere dai miti antichi ciò che vi è di eterno e, nel caso del mito della fonda-

zione di Roma, incarnare nella realtà di tutti i giorni, nelle esperienze quotidiane in cui spesso si sceglie la via della viltà giustificandosi per le proprie mancanze, le virtù dell‟uomo romano: la religio

intesa come osservan-za delle leggi che rego-

lano i rapporti tra

l‟uomo ed il sacro; la pietas come sentimen-to del dovere nei con-fronti degli déi, degli avi, dei figli, dei genito-ri, della patria, di cui

Enea, avo di Rea Silvia e figlio di Venere, è

simbolo per eccellenza; la iustitia o aderenza alla norma divina; la fides e la fidelitas come

lealtà, fiducia e fedeltà; la virtus come modestia, temperanza e giustizia; la magnanimitas o grandezza d’animo,

scevra da ogni cedimento, compromes-so e meschinità; la firmitas che è la capacità di sovrapporsi coscientemente ai sommovimenti del cuore e degli af-

fetti più cari nell‟adempimento del do-vere; la clementia o capacità di perdo-nare (la descrizione delle virtù è presa e riadattata da “Imperium” di Mario Po-

lia). Questa è la via del mito, la fiamma che illumina un cammino formativo in cui vi è sempre un meschino e borghese

Remo da uccidere, per purificare la no-stra anima e fondare sul sangue di que-sto sacrificio una nuova Roma, ed esse-re così Re di se stessi.

Gaspare Dono

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LA RIVOLTA TRADITA Qualcuno un tempo disse che "le storie

non esistono se non si possono raccon-

tare". Oggi affinché la storia esista, con-tinui ad avere eco e funga da esempio per le storie che esisteranno, la ricorde-remo. Siamo a Reggio Calabria, è il 14 luglio 1970 e i protagonisti di questa storia crescono e si muovono sullo sfon-

do di una città abbandonata, dimentica-ta e - perchè no - "tradita": prima dalla

classe dirigente locale, poi dallo Stato e contemporaneamente dai mezzi di in-formazione nazional-popolari, quanto mai settari e vergognosamente schiera-ti.

Da una parte c'è Reggio, con i suoi diritti negati, i suoi valori e la sua gente asse-tata di rispetto, dall‟altra il sistema

clientelare che porta il capoluogo a Ca-tanzaro; ed infine c'è Roma, disinteres-sata e lontana dai problemi del sud.

Una storia di Calabria, volutamente di-menticata, che esplode in seguito alla decisione assunta dal governo dell‟epoca

di fare capoluogo Catanzaro, anziché Reggio Calabria, nel contesto

dell‟istituzione delle Regioni. Una deci-sione che la popolazione reggina vive come un furto, sentendosi derubata di

uno status di cui di fatto godeva fino al

1970 e che aveva forti motivazioni stori-che. “I fatti di Reggio,” così come vennero definiti, ebbero una tale eco nazionale da portare il governo a mandare l‟esercito in città: l‟esercito italiano per la prima volta contro il popolo italiano.

I carri armati invasero la città con l'in-tento di sedare una protesta agli occhi dei più "fascista e irrazionale"; ma la gente lottava per qualcosa di più, qual-cosa che andava oltre le ideologie: i reg-gini, insieme a tanti altri calabresi, si

ribellarono alle tante promesse mai

mantenute, al disinteresse dello stato per la propria terra, ad un modo di in-tendere la politica prettamente burocra-tico, ad un sistema che Reggio, la Cala-bria, il sud, sentiva, ha sempre sentito e continua a sentire distante dalla sua na-

tura.

Una natura fatta di valori, storia e pas-sioni, mal compresa dal Partito Comuni-sta che per questo si distanzia ben pre-sto dalla rivolta, e raccolta invece dall‟ormai celebre Ciccio Franco, che con

il suo comitato d'azione cavalca corag-giosamente la rivolta e si propone come alternativa politica.

La ribellione ha il sapore di una lotta contro la sopraffazione, la menzogna e l'inganno. La via imboccata dai reggini è

senza ombra di dubbio quella dell'onore e della libertà. “[...] Si dice, si scrive, si ripete che alla

base della rivolta c'è il profondo males-sere del sud. E' vero, è giusto: ma non

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_______________ spunti storici _______________

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ci si limiti esclusivamente a questa vi-sione. Non è soltanto questione di indu-

strializzazione poiché l'uomo non è sol-tanto una scatola economica, non è

questione di dare ed avere. L'uomo oltre che di pane (si legga consumo) vive e si nutre di onore, di giustizia, di verità [...]”.

I reggini sono figli di una "rivoluzione minore" come recitava il titolo di un

film, figli di tradimenti e soprusi perpe-trati dalle classi dirigenti ai dan-ni di una popo-lazione inerme dal punto di vi-

sta politico ma mai a testa chi-na. Sono figli del coraggio di lottare per la propria terra, figli delle barri-

cate erette per

proteggersi più che per attacca-re a testimonianza della violenza di sta-to e della repressione poliziesca subita. Poiché gran parte delle responsabilità di quanto accaduto vanno alla gestione

dell‟ordine pubblico ed alle forze di poli-

zia che, ubbidienti agli ordini ricevuti dall‟alto, si lanciano in una repressione furiosa, trasformando le proteste in una guerra civile.

Storie come quella reggina vengono spesso "volutamente" dimenticate, per-chè non fanno comodo, perchè mostra-

no il coraggio di reagire, di portare a-vanti un‟idea, di difendere la libertà, di combattere il sistema. Una storia che

può essere soltanto offuscata in una società come la nostra dove a volte i

pregiudizi contano più della verità, dove la verità a volte non interessa, perché

comporta responsabilità. Ma soprattutto perchè le logiche di potere e dei partiti plasmano coscienze sorde al grido biso-gnoso di cambiamento e alla messa in pratica di valori giusti etichettando quali

"fasciste" tutte le idee diverse, fasciste rivolte come quella reggina, fasciste

tutte le richieste di un maggiore impe-gno politico, etico e morale. E forse non fanno neanche male a questo

punto, forse non dovrebbe neanche dispia-cere: il punto è il significato sprezzante at-tribuito al ter-

mine con cui

viene utilmente zittita ogni di-

scussione più seria. Un po‟ come usano fare le organizzazioni lobbistiche pro-Israe le , che usano l ‟accusa dell‟antisemitismo per proteggere lo

stato razzista d‟Israele da ogni critica

rivolta alle sue politiche nei confronti dei palestinesi, a causa del lager in cui ha trasformato la Striscia di Gaza. Per questo quel grido coniato per le strade di Reggio, quel “Boia chi molla”

urlato dai giovani manifestanti, deve essere ricordato nelle piazze "reggine di tutto il mondo", dovunque ci sia bisogno

di lottare, dovunque occorra il coraggio di lottare, sfiorando labbra e coscienze, oggi-domani-sempre.

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SOTTO LA BANCA LA PATRIA CREPA Si dice che le banche siano come i gatti:

le puoi anche gettare giù, cadono sem-pre in piedi e hanno pure nove vite!

Quando le fonti di guadagno assumono le sembianze delle teste della mitica Idra (ricrescono immediatamente se decapitate) è facile vivere da cicale piuttosto che da formiche. E le banche, oltre che le caratteristiche feline soprae-

lencate, hanno dalla

loro anche tutte le peculiarità delle cicale. Se volessimo tradurre la metafora d e l l a "decapitazione" in

un esempio concre-

to e tangibile po-tremmo parlare del-la “commissione di massimo scoperto” operazione tramite la quale le banche

avevano astuta-

mente escogitato uno stratagemma per guadagnare ben due volte: una prima volta dal paga-mento di interessi (mediamente supe-riori al 12%) per il contante erogato

anticipatamente; una seconda volta per la cosiddetta commissione di massimo

scoperto, una sorta di "contributo pecu-niario" dovuto per il fatto di aver usu-fruito del servizio.

Tutto questo esisteva fino alla fine del 2008 quando il decreto cosiddetto Tre-monti bis abolì formalmente la commis-sione. Ma, si sa, tra il formale e il so-

stanziale c'è di mezzo il mare (!), per-

chè "aggirato" il massimo scoperto le banche - sempre più avide - trovano il

modo - neanche velatamente - per far-cela pagare comunque! E così, sparito il

massimo scoperto, quasi magicamente saltano fuori altre spese a colorire o meglio "alleggerire" il nostro estratto conto. Peccato per la scarsa fantasia dimostrata dagli istituti creditizi nel ren-dere credibile il cambiamento.

Per essere più chia-ri: la commissione di massimo scoper-to è sparita per legge (2/2009) ma sostanzialmente ci

perseguita sotto

falso nome, qual-che esempio: c'è, ad esempio, lo "scoperto di conto" adottato dalla Cas-sa di Risparmio di

Firenze, c'è la

"commissione per scoperto" di Intesa San Paolo e non

poteva mancare la fantasiosissima "indennità per lo sconfinamento" del Credito Bergamasco. Ma cari risparmia-

tori non è tutto, come si dice in questi casi: oltre al danno la beffa, poiché è

stato accertato che addirittura in 9 casi su 12 le nuove spese sono maggiori del-le precedenti! che dire? Si stava meglio quando si stava peggio!

Purtroppo la commissione di massimo scoperto non è l'unica trappola a cui prestare attenzione, in tempo di crisi le

banche voraci, affamate e assetate co-

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me non mai sono disposte a tutto pur di ampliare il loro margine di guadagno,

motivo per cui bisogna fare attenzione a tutti quei "costi nascosti", quelle

"spese velate" che sembrano innocue ma nascondono interessi vergognosa-mente esosi. Tassi variabili e tassi fissi: altra insidia,

altro rischio. In un periodo in cui i tassi di interesse sono particolarmente bassi

converrebbe usufruire di un tasso fisso, che però fino all'anno scorso era davve-ro poco conveniente in quanto si aggi-rava attorno al 5%. Meglio puntare sul tasso variabile che, seppur maggiormente

rischioso, offre rate più basse? Forse, ma è certo che un tasso va-riabile a livelli partico-larmente bassi non può far altro che salire nel medio periodo, perciò

punto e a capo.

Ed ecco che la soluzio-ne è a portata di "tasca" e si chiama “variabile con cap” e non è altro che un tas-

so che segue le varia-

zioni del mercato con un tetto massimo oltre il quale non può salire. Finalmente tutto risolto? Eh no! Anche qui c'è il trucco: nel profondo cilindro degli istitu-ti creditizi perfino il coniglio ha le sem-

bianze di un usuraio. Per avere garanti-to tutto questo il cliente paga, come sempre anticipatamente, una sorta di

caparra generalmente fissata al 5,50% ovvero il massimo raggiunto dai tassi negli ultimi 15 anni!

Le banche, del resto, lo dicevamo, sono come i gatti, bisogna diffidare e saperci

trattare. E sono come le cicale per cui è a noi che spetta intelligentemente fare

le formiche. D‟altronde, tutte le crisi del capitalismo moderno sono dovute alle banche, da risalenti all‟epoca dei Peruzzi, alla bolla

scoppiata nel „29, per finire a quella attuale. Il mondo della finanza virtuale

moderna, in cui operano speculatori e pseudo-investitori, è quanto di più di-stante ci sia dall‟economia reale. Gli interessi che in varie forme le banche

impongono anche ai consumatori sono

veri e propri balzelli inaccettabili, da cui un popolo libero dovrebbe a tutti i costi liberarsi. Inte-ressi che paghiamo nei prezzi delle

merci, quando chie-

diamo un prestito. Interessi che, come vedremo nella re-censione più avanti, ci fanno pagare an-che attraverso la

creazione di mone-

ta falsa, che immettono nel mercato attraverso un meccanismo per fare pre-stiti che equivale ad un furto della so-vranità monetaria. E se, come diceva Pound, “un popolo che non si indebita

fa rabbia agli usurai”, facciamogli rab-bia, boicottiamo l‟usura organizzata, da cui abbiamo solo da perdere, come sin-

goli e come stato. Dea

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SPORT AGAINST 2010

Sabato 5 giugno si ripete per il se-

condo anno la manifestazione tar-

gata a.c. Furor, “Sport against

drugs”, per l‟occasione ribattezzata

“Sport against” per dare l‟idea di

una lotta che si allarga, e che anche

quest‟anno si svolgerà presso il Par-

co della Biodiversità (scuola agra-

ria). Dopo il grande successo otte-

nuto nell‟edizione 2009, Furor ambi-

sce a migliorarne ogni aspetto. Il

protagonista indiscusso di questa -

ci aspettiamo - grande giornata è lo

sport da combattimento, disciplina

che più rappresenta lo spirito della

nostra associazione, da noi conside-

rata perfetta metafora del mettersi

in gioco quotidianamente, superan-

do sé stessi e i propri limiti con ca-

rattere e coraggio, lavorando co-

stantemente sul proprio corpo e so-

prattutto sulla propria mente. Sono

questi gli stimoli che vogliamo tra-

smettere ai giovani catanzaresi (e

non solo), distogliendoli dalla droga

e da tutto ciò che di marcio la socie-

tà e il mondo moderno ci propinano.

La giornata avrà come centro ne-

vralgico una vera e propria “arena”,

a l l e s t i t a p e r l ‟ o c c a s i o n e

nell‟anfiteatro del Parco dove sarà

presente il ring sul quale andranno

in scena i diversi incontri previsti

per l‟occasione. Incontri che si divi-

deranno in mach di full contact vali-

di per il 2° trofeo furor ed altri che

vedranno fighters professionisti

contendersi la qualificazione nazio-

nale al famigerato torneo mondiale,

molto in vista anche sulle ombrose

tv nazionali: l‟Oktagon.

Il tutto si concluderà in serata con

un concerto dal vivo che vedrà sul

palco due noti gruppi catanzaresi, i

Meat for dogs e i Medea, che

metteranno la ciliegina sulla torta di

una giornata che vuole dare un se-

gnale concreto alla città di quanto

l‟a.c. Furor dà ed intende dare alla

città, portando in alto valori come lo

sport e la Tradizione, contro ogni

droga e male di vivere moderno.

il Turista

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- Tessera sostenitore: con un contributo militante mensile di 10 € riceverai il

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_______________ rubrica sportiva _______________

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Massoni per fare l’Italia...ci avevamo visto giusto!

Appena il 27 marzo scorso, presso la sala consiliare del-la Provincia, proponevamo una conferenza dal titolo

forte: “Massoneria e Risorgimento: a chi serviva fare

l‟Italia”. Poveri noi, credevamo ancora di rivelare verità scomode! Non era così evidentemente! Perché in effetti, da qualche giorno,

vediamo affissi nelle città calabresi (Cosenza) manifesti murali dal titolo altrettanto eloquente: “Squadra, compasso e tricolo-re: i massoni per fare l‟Italia”, firmato “Gran Loggia d‟Italia”. E

allora abbiamo compreso la nostra ingenuità nel credere che certe informazioni pos-sano imporre a menti ormai lobotomizzate una qualche reazione! Perché se siamo

giunti al punto in cui la massoneria, di cui notoriamente si conosce l‟influenza occulta nelle sedi del potere, può vantarsi pubblicamente di questa influenza, se la gente non prova nessuna ver-gogna a festeggiare l‟Unità naziona-le insieme a gente di questo gene-

re, che sogna quella stessa nazione che ha unito di portarla ad uno sta-dio in cui anch‟essa scomparirà, allora siamo davvero sotto un regi-me, circondati da schiavi. Ognuno si guardi dentro e pensi alla sua ribellione: lo schiavo che non si ri-

bella rimane tale!

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DANTON di Andrzej Wajda Della rivoluzione francese - di cui teniamo a sotto-lineare le iniziali in minuscolo - abbiamo già avuto modo di parlare. La sua importanza è cruciale da

un punto di vista storico e meta-storico, visto che dal

1789, anno d’inizio della presa della Bastiglia, il mondo è cambiato, da quel momento nella storia è entrato un virus, chiamato liberalismo, di cui era infetta la borghesia dell‟epoca e che ha progressivamente infettato l‟intero as-setto sociale, fino a plasmare lo Stato moderno. Il tutto grazie ad un background culturale illuminista, che già chia-

mare culturale è eufemistico, dal momento che fino a quell‟epoca i maggiori pensatori erano grandi cattedratici e teolo-

gi, mentre da quel momento le idee cominciarono a diffondersi dalla società più “laica”, da quel mondo delle professioni molto più vicino ai bisogni immediati ed attaccato al denaro. Così con Locke iniziò la serie di questi pensatori borghesi, che insidiarono il potere fino a conquistarlo, facendo dello stato uno stato borghese e del

potere un‟entità prosaica, non più sacra in quanto espressione del potere divino. In-cominciava a prendere forma l‟ideologia più totalitaria della storia: l‟ideologia demo-cratica, ciò che è perfettamente visibile nel film di cui sopra, il DANTON di Wajda, in

cui è possibile vedere la furia cieca con cui Robesbierre condusse la Sua rivoluzione, mostrando in tutte le sue contraddittorie conseguenze il concetto di sovranità popola-re. Il tutto attraverso una sceneggiatura eloquente ed allo stesso tempo suggestiva.

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SCHIAVI DELLE BANCHE di Maurizio Blondet Il testo che consigliamo oggi è uno di quelli che non può proprio mancare nella libre-ria personale di un militante. Perché “Schiavi delle banche” si colloca nell‟ambito di un‟irrinunciabile presa di coscienza dell‟uomo moderno del suo essere parte di una

società in cui l‟economia ha una parte fondamentale nella vita degli stati, una parte che non può essere ignorata, pena rimanere nel campo dell‟astrazione e, quindi, dell‟inutilità. Vivere hic et nunc, qui ed ora, è il monito essenziale per un militante della Tradizione, motivo per cui è altrettanto essenziale relazionarsi con consapevo-

lezza con la realtà concreta che ci circonda. Una realtà che è capitalismo globalizza-to, che è una visione politica imposta dallo classe borghese e soprattutto dai ban-chieri e che mette al centro della società il valore del capitale anziché il valore del

lavoro, retribuendo al massimo il primo anziché il secondo su cui però il capitale poggia. Non si tratta certo di una sintesi del Capitale di Marx, seppure molti siano i punti in cui il filosofo tedesco avrebbe potuto ritrovarsi. Blondet in questa opera, oltre a prevedere con largo anticipo la crisi attualmente in atto, come gli viene rico-

nosciuto unanimemente, definisce l‟idea di un nuovo modello economico, che attin-ga a quel capitalismo produttivo e positivo, liberato da tutti i rami secchi che lo de-

predano delle sue energie. Un capitalismo in cui, al contrario di oggi, le banche fi-nanzino il capitale, anziché finanziarsi dal capitale e dal lavoro, imponendo una tas-sa occulta su tutte le merci in vendita attraverso gli interessi (si calcolano cifre in-torno al 50% del prezzo totale di ogni merce), imponendo quindi un tributo all‟intera economia ed ai consumatori, facendo prestiti - come vedrete - attraverso denaro di cui non dispone realmente e creando quindi denaro dal nulla e lucrando anche a

danno degli stati, con l‟imposizione di debiti mai estinguibili perché si alimentano

anch‟essi di interessi sugli interessi. Un nuovo modello eco-nomico, insomma, in cui la sovranità monetaria non sia delegata a Banche centrali ed enti sopranazionali, in cui lo stato faccia lo stato e diriga l‟economia.

_______________ angolo librario _______________

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Meglio pupa o secchiona?

La parola ''trash'' (spazzatura) nel lin-

guaggio mass-mediatico si riferisce ai quei programmi dal basso o, addirittu-ra, inesistente valore culturale e dal carattere volgare. Gli esperti identifi-

cano il trash come un'evoluzione nega-tiva della televisione

generalista, che tende a spettacolarizzare o-gni aspetto della vita sociale ed esasperare le peculiarità della don-na oltremodo. Progres-

sivamente, però, il

trash ha messo radici, divenendo un vero e proprio genere televisi-vo, mentre la tv è or-mai al centro della no-stra vita quotidiana. Così sono salite in cattedra, a dettare stili di vita e modi

di essere “pupe”, “letterine”, “veline” e quant'altro. Guardiamo all‟ultimo format in voga "La pupa e il secchio-ne", che mette sotto i riflettori smali-ziate e frivole "pupe" accanto a sem-pliciotti quanto poco virili surrogati

maschili detti “secchioni”. Istintiva-

mente verrebbe da chiedersi: ma ci sono o ci fanno? Poi però realizziamo che il punto è un altro: nel primo caso, ovvero nel caso in cui le pu-pe dovessero "esserci" verrebbe forse na-

turale, seppur con qualche

riserva, biasi-marle, compa-

tirle e, volendo essere generosi, accet-tarle; ciò non dovrebbe, tuttavia, esi-merci dal sottolineare la completa mancanza di utilità del programma a

fini culturali, educativi e di intratteni-mento costruttivo. Ma nel caso in cui dovesse risultare veritiera la seconda

ipotesi, ovvero: se le pupe dovessero "farci" sarebbe forse meglio? Decisamente no, anzi, sarebbe

l'ipotesi peggiore, se delle ragazze intelli-genti o comunque non completamente

prive di intelletto preferissero assume-

re le sembianze della “bella ma stupida“ in nome del "dio suc-

cesso". Ed infine, quale genere di suc-cesso potrà mai derivare da cotanto genio? Il successo che la modernità

vuole imporci, il successo privo di

qualsiasi merito e sforzo. Un tipo di successo che cancella la cultura del sacrificio come strumento e gli sosti-tuisce il successo tipico della società dei mercanti, notorietà in cambio di un corpo e di uno spirito in vendita. Lo

specchio dei nostri tempi insomma. Ed

è inutile contestare, occorre solo crea-re un‟alternativa di donna, ri-

portando gli inse-gnamenti tradi-

zionali al p r o p r i o

valore.

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Spazio curato dal gruppo femminile dell’associazione

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Tutti i sabati alle 15.30

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IL SEGNO DEI TEMPI…