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MARTEDÌ 19 APRILE 2011 il manifesto pagina 15 Antonello Mangano MINEO (CT) N on ci sono mai stati così tanti pachistani nel cuore della Pia- na di Catania. F. è un ingegne- re edile, parla un ottimo inglese e rac- conta una storia incredibile. Dice di es- sere stato catturato dai talebani nei pressi di Peshawar – vicino al confine afgano – e avviato a un “training” co- me kamikaze, tra cave e montagne. Poi una fuga precipitosa e il lunghissi- mo viaggio che dalla Turchia porta alle coste joniche italiane. Qui alcuni sono sbarcati nei porti di Ancona, altri a Ba- ri, nascosti nei doppifondi dei tir. Altri ancora arrivano sulle spiagge del Salen- to o della Calabria a bordo di barche a vela, ovviamente per non destare so- spetti. Per mesi Maroni ha allarmato i citta- dini con il pericolo dei terroristi islami- ci e qui alla fine sono arrivati proprio quelli che scappano dai talebani. So- no stati prelevati coi ponti aerei dai Cara di Crotone, Foggia, Bari e traspor- tati tra l’Etna e la più grande base US Navy del Mediterraneo. Molti denun- ciano che stavano per terminare il lo- ro iter (la decisione finale della com- missione rispetto alla domanda d’asi- lo), invece lo spostamento ha allunga- to tutto. Alcuni dei loro amici, invece, sono rimasti dove erano e hanno già completato le procedure. Per legge la decisione deve arrivare in poco tem- po, ma c’è chi lamenta di essere stato anche più di un anno in un centro. Lo spostamento a Mineo è stata un’ope- razione costosa e inutile, perché l’obiettivo di liberare spazio nei centri non è stato realizzato, vista l’emergen- za tendopoli. Solo un aggravio di costi per i conti pubblici. Il «Residence degli aranci», secondo i gestori, è un fiore all’occhiello dell’ac- coglienza italiana, ma solo perché le villette, i prati all’inglese e i campi spor- tivi sono stati pensati per i familiari dei marines e non per gente di ogni ango- lo del mondo, ognuno dei quali può raccontare una storia di persecuzione e violenza. Eccole le persone contro cui il presidente della Regione Sicilia ha invocato i mitra, incendiando gli animi su un fantomatico problema «si- curezza», «autorizzando» di fatto una manifestazione dell’estrema destra di fronte ai cancelli. Sono eritrei, somali, asiatici, qualche tunisino (alcuni perse- guitati perché vicini al partito di Ben Alì): per comprare le sigarette o ricari- care il cellulare devono fare due ore di strada e arrampicarsi fino alla cima di Mineo, operazione difficile ad aprile, quando già la temperatura è alta, im- possibile tra qualche settimana quan- do il sole batterà inclemente sull’asfal- to della Piana. «Siamo fuori dal mon- do», dicono i pachistani. Le t-shirt bianche donate dalla Croce Rossa («Siamo liberi di giocare») hanno un ef- fetto grottesco. Prima di iniziare la sali- ta commentano la recente finale dei mondiali di cricket e la vittoria dell’In- dia. «È un grande paese...», ironizzano. Shock economy Arriviamo in piazza, dove i carabinie- ri sono tranquillamente al bar. Com- mentano la vittoria del Catania sul Pa- lermo e ci confermano che finora non è accaduto nulla di particolare. Gli allar- mi sono infondati, qui i problemi sono altri. Cinquemila abitanti sulla carta, ma molti in partenza o in procinto di farlo. «In paese non c’è niente, né lavo- ro né altro», ci dice una ragazza di Pala- gonia, unica presenza domenicale al di sotto dei sessant’anni. Gli anziani della piazza, sotto il monumento a Luigi Ca- puana e la sezione che ancora recita «Partito Comunista Italiano», sono divi- si. Sono brava gente, dicono alcuni. Al- tri denunciano furti di arance. In effet- ti, intorno al paese, gli agrumeti verdeg- gianti si estendono a perdita d’occhio, sull’orizzonte chiuso dalla sagoma ma- estosa dell’Etna innevato. La domanda è scontata: chi raccoglie gli agrumi? «Bulgari e rumeni. E qualche tunisino», ci conferma un proprietario. Per la soli- ta cifra di venti euro al giorno, mentre il contratto provinciale ne prevede cin- quanta. Anche qui, come nel resto d’Ita- lia, gli stranieri sono bene accolti quan- do si presentano come manodopera a costo zero. Mentre tutta Italia si chiede come è possibile accogliere altri potenziali di- soccupati («già ci sono i nostri»), nessu- no bada al trasferimento di denaro che l’economia dell’emergenza ha portato dalle tasche pubbliche a quelle della Pizzarotti. In questo caso, non sono gli stranieri a incidere sui conti pubblici, ma gli uomini venuti da Parma. Sulla Catania-Gela sono ancora tanti i cartel- li che pubblicizzano – in inglese - le vil- lette di Mineo, «disponibili dal primo aprile 2001». Il 31 marzo, infatti, era sca- duto l’accordo con gli americani e parti- va la strategia dell’affitto individuale. Ma, già il 16 febbraio, Berlusconi e Ma- roni erano arrivati a Catania annun- ciando la soluzione e cogliendo tutti di sorpresa. Il residence diventa il «villag- gio della solidarietà», non in virtù di un contratto d’affitto ma di un decreto di requisizione (esattamente il n. 16455 del 2 marzo 2011). In una lettera ai giornali, il consiglie- re Michele Pizzarotti si difende dall’ac- cusa di speculazione («la decisione ci ha colti di sorpresa») e ammette che al- la requisizione corrisponderà un inden- nizzo, ancora non versato. Nessuno ha sentito il dovere di comunicare agli ita- liani il costo di questa operazione. In- tanto i senatori del Pd Ferrante e Della Seta hanno notato che il comune di Mi- neo ha perso 130 mila euro di Ici l’an- no. La US Navy ha rescisso un contrat- to decennale da 8,5 milioni di dollari. Quelle ville non sono mai state troppo gradite, ci sono residenze più comode nei pressi della base e non ha molto senso fare ogni giorni 37 kilometri su una provinciale trafficata e pericolosa, da diversi anni popolata da prostitute nigeriane e colombiane, attirate dalla presenza dei militari. L’arteria è chia- mata «strada della morte», anche per colpa dei ragazzi americani che spesso hanno provocato incidenti guidando ubriachi. Intanto sull’orizzonte si alza- no i velivoli dalla pista di Sigonella. I mi- granti sono scappati dalle guerre, ma si ritrovano a due passi da uno dei nodi centrali dell’operazione Odissea all’al- ba contro la Libia di Gheddafi, a poca distanza dagli F16 danesi impegnati nelle operazioni belliche. No Dublino G. è un tunisino, uno dei pochi ri- masti a Mineo. Questo è un Cara, di conseguenza sono stati portati qui so- lo coloro che già a Lampedusa aveva- no manifestato la volontà di chiedere asilo. Dopo averlo fatto, è bene chia- rirlo, non sono «scappati» ma si sono «allontanati volontariamente», prefe- rendo il rischio del viaggio verso la Francia alle lunghezze burocratiche italiane o alla prospettiva di rimane- re intrappolati nel nostro paese. Infat- ti, mentre l’italiano medio teme l’in- vasione e lamenta la saturazione di migranti, non c’è uno dei nuovi arri- vati o dei profughi che voglia rimane- re. Anzi. La parola che temono di più è «Dublino». Appena la sentono no- minare, un capannello di asiatici ini- zia a protestare in coro: «No! No Du- blino». Si riferiscono al fatto che han- no chiesto una protezione umanita- ria che permette loro di viaggiare per l’Unione Europea. Meno diritti, ma la possibilità di lasciare l’Italia. Dubli- no è una trappola per tanti profughi – che non si inseriscono in Italia ma che ci riescono benissimo nell’Euro- pa del Nord – e un segno della nostra decadenza. I tanti tunisini che si so- no allontanati verso il confine france- se probabilmente saranno rispediti indietro o andranno verso un percor- so di irregolarità. Preferiscono vivere da «clandestini» in Francia piuttosto che da regolari in Italia, dove un per- messo umanitario lo avrebbero avu- to senza troppi problemi. G. faceva l’autista ad Hammamet. Guidava i camion, ma viveva anche con l’indotto del turismo, un sistema industriale che ci assicurava vacanze di lusso low cost e che in cambio ha la- sciato stipendi da miseria e un indotto in crisi. G. vuole andare in Germania, lì ha diversi amici. Un futuro rischioso, ma nulla rispetto a quello che si è la- sciato alle spalle. Per essere chiaro si siede sull’asfalto e accovaccia le gam- be. Così hanno viaggiato, per due gior- ni. Senza muoversi. È arrivato con le estremità atrofizzate, sicuramente qualche barca rimasta indietro è affon- data. È partito da Zarsis, perché da lì – al confine con la Libia - la barca descri- ve un arco verso est e arriva in direzio- ne Lampedusa. Più lungo e pericoloso, ma meno controlli. Ora spera in Berlu- sconi, dice ridendo. Rientra nel resi- dence salutando allegramente. Per lui il futuro inizia adesso. www.terrelibere.org Mineo TERRITORI CASALESI Il boss Setola minaccia il pm LA REQUISIZIONE Lo spostamento di 1600 richiedenti asilo a Mineo è un’operazione irrazionale e costosa. Quanto è stato versato alla Pizzarotti per la requisizione del «residence degli aranci», nessuno lo sa. Eppure i cittadini pensano all’emergenza sicurezza L’ECONOMIA DELL’EMERGENZA altra italia «Teniamo tutti famiglia. Dottore Maresca voi dovete lasciare stare la famiglia mia. E non mi manda- te più quel perito che non capi- sce niente. Io sono non vedente e lui ha detto che ci vedo ma lui non è un oculista. La prossima volta che mi mandate il medico me lo dovete far sapere prima». Giuseppe Setola, durante la lettu- ra della sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere che gli ha inflitto l’ergastolo il 14 aprile, in collegamento dal carcere di Ope- ra a Milano dove è rinchiuso al 41 bis, ha minacciato esplicita- mente, oltre al collaboratore di giustizia Domenico Bidognetti e al perito che ne ha accertato la capacità visiva, il dr Catello Mare- sca che rappresenta in aula la pubblica accusa. «Simili reazioni da parte dei Casalesi - replica al manifesto il dottor Maresca - ormai non mi stupiscono più né mi preoccupano. Ogni volta che il nostro intervento viene percepi- to dalla criminalità organizzata come una reale aggressione al loro consolidato potere si verifica un contrattacco più o meno scomposto. Qualche giorno fa nei miei confronti il messaggio è stato un po’ più diretto e meno controllato. Vuol dire che il clan è finalmente allo sbando e che stiamo vincendo una battaglia nella quale abbiamo creduto, crediamo e continueremo a cre- dere indipendentemente da mi- nacce e intimidazioni. (f.n.)

Mineo, la requisizione

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MARTEDÌ 19 APRILE 2011 il manifesto pagina 15

Antonello ManganoMINEO (CT)

Non ci sono mai stati così tantipachistani nel cuore della Pia-na di Catania. F. è un ingegne-

re edile, parla un ottimo inglese e rac-conta una storia incredibile. Dice di es-sere stato catturato dai talebani neipressi di Peshawar – vicino al confineafgano – e avviato a un “training” co-me kamikaze, tra cave e montagne.Poi una fuga precipitosa e il lunghissi-mo viaggio che dalla Turchia porta allecoste joniche italiane. Qui alcuni sonosbarcati nei porti di Ancona, altri a Ba-ri, nascosti nei doppifondi dei tir. Altriancora arrivano sulle spiagge del Salen-to o della Calabria a bordo di barche avela, ovviamente per non destare so-spetti.

Per mesi Maroni ha allarmato i citta-dini con il pericolo dei terroristi islami-ci e qui alla fine sono arrivati proprioquelli che scappano dai talebani. So-no stati prelevati coi ponti aerei dai

Cara di Crotone, Foggia, Bari e traspor-tati tra l’Etna e la più grande base USNavy del Mediterraneo. Molti denun-ciano che stavano per terminare il lo-ro iter (la decisione finale della com-missione rispetto alla domanda d’asi-lo), invece lo spostamento ha allunga-to tutto. Alcuni dei loro amici, invece,sono rimasti dove erano e hanno giàcompletato le procedure. Per legge ladecisione deve arrivare in poco tem-po, ma c’è chi lamenta di essere statoanche più di un anno in un centro. Lospostamento a Mineo è stata un’ope-razione costosa e inutile, perchél’obiettivo di liberare spazio nei centrinon è stato realizzato, vista l’emergen-za tendopoli. Solo un aggravio di costiper i conti pubblici.

Il «Residence degli aranci», secondoi gestori, è un fiore all’occhiello dell’ac-coglienza italiana, ma solo perché levillette, i prati all’inglese e i campi spor-tivi sono stati pensati per i familiari deimarines e non per gente di ogni ango-lo del mondo, ognuno dei quali puòraccontare una storia di persecuzionee violenza. Eccole le persone controcui il presidente della Regione Siciliaha invocato i mitra, incendiando glianimi su un fantomatico problema «si-curezza», «autorizzando» di fatto unamanifestazione dell’estrema destra difronte ai cancelli. Sono eritrei, somali,asiatici, qualche tunisino (alcuni perse-guitati perché vicini al partito di BenAlì): per comprare le sigarette o ricari-care il cellulare devono fare due ore distrada e arrampicarsi fino alla cima diMineo, operazione difficile ad aprile,quando già la temperatura è alta, im-possibile tra qualche settimana quan-do il sole batterà inclemente sull’asfal-to della Piana. «Siamo fuori dal mon-do», dicono i pachistani. Le t-shirtbianche donate dalla Croce Rossa(«Siamo liberi di giocare») hanno un ef-fetto grottesco. Prima di iniziare la sali-ta commentano la recente finale deimondiali di cricket e la vittoria dell’In-

dia. «È un grande paese...», ironizzano.

Shock economyArriviamo in piazza, dove i carabinie-

ri sono tranquillamente al bar. Com-mentano la vittoria del Catania sul Pa-lermo e ci confermano che finora nonè accaduto nulla di particolare. Gli allar-mi sono infondati, qui i problemi sonoaltri. Cinquemila abitanti sulla carta,ma molti in partenza o in procinto difarlo. «In paese non c’è niente, né lavo-ro né altro», ci dice una ragazza di Pala-gonia, unica presenza domenicale al disotto dei sessant’anni. Gli anziani dellapiazza, sotto il monumento a Luigi Ca-puana e la sezione che ancora recita«Partito Comunista Italiano», sono divi-si. Sono brava gente, dicono alcuni. Al-tri denunciano furti di arance. In effet-ti, intorno al paese, gli agrumeti verdeg-gianti si estendono a perdita d’occhio,sull’orizzonte chiuso dalla sagoma ma-estosa dell’Etna innevato. La domandaè scontata: chi raccoglie gli agrumi?«Bulgari e rumeni. E qualche tunisino»,ci conferma un proprietario. Per la soli-ta cifra di venti euro al giorno, mentreil contratto provinciale ne prevede cin-quanta. Anche qui, come nel resto d’Ita-lia, gli stranieri sono bene accolti quan-do si presentano come manodopera acosto zero.

Mentre tutta Italia si chiede come èpossibile accogliere altri potenziali di-soccupati («già ci sono i nostri»), nessu-no bada al trasferimento di denaro chel’economia dell’emergenza ha portatodalle tasche pubbliche a quelle dellaPizzarotti. In questo caso, non sono glistranieri a incidere sui conti pubblici,ma gli uomini venuti da Parma. SullaCatania-Gela sono ancora tanti i cartel-li che pubblicizzano – in inglese - le vil-lette di Mineo, «disponibili dal primoaprile 2001». Il 31 marzo, infatti, era sca-duto l’accordo con gli americani e parti-va la strategia dell’affitto individuale.Ma, già il 16 febbraio, Berlusconi e Ma-roni erano arrivati a Catania annun-ciando la soluzione e cogliendo tutti disorpresa. Il residence diventa il «villag-gio della solidarietà», non in virtù di uncontratto d’affitto ma di un decreto direquisizione (esattamente il n. 16455del 2 marzo 2011).

In una lettera ai giornali, il consiglie-re Michele Pizzarotti si difende dall’ac-cusa di speculazione («la decisione ciha colti di sorpresa») e ammette che al-la requisizione corrisponderà un inden-nizzo, ancora non versato. Nessuno hasentito il dovere di comunicare agli ita-liani il costo di questa operazione. In-tanto i senatori del Pd Ferrante e DellaSeta hanno notato che il comune di Mi-neo ha perso 130 mila euro di Ici l’an-no. La US Navy ha rescisso un contrat-to decennale da 8,5 milioni di dollari.Quelle ville non sono mai state troppogradite, ci sono residenze più comodenei pressi della base e non ha moltosenso fare ogni giorni 37 kilometri suuna provinciale trafficata e pericolosa,da diversi anni popolata da prostitutenigeriane e colombiane, attirate dallapresenza dei militari. L’arteria è chia-mata «strada della morte», anche percolpa dei ragazzi americani che spessohanno provocato incidenti guidandoubriachi. Intanto sull’orizzonte si alza-no i velivoli dalla pista di Sigonella. I mi-granti sono scappati dalle guerre, ma siritrovano a due passi da uno dei nodicentrali dell’operazione Odissea all’al-ba contro la Libia di Gheddafi, a pocadistanza dagli F16 danesi impegnatinelle operazioni belliche.

No DublinoG. è un tunisino, uno dei pochi ri-

masti a Mineo. Questo è un Cara, diconseguenza sono stati portati qui so-

lo coloro che già a Lampedusa aveva-no manifestato la volontà di chiedereasilo. Dopo averlo fatto, è bene chia-rirlo, non sono «scappati» ma si sono«allontanati volontariamente», prefe-rendo il rischio del viaggio verso laFrancia alle lunghezze burocraticheitaliane o alla prospettiva di rimane-re intrappolati nel nostro paese. Infat-ti, mentre l’italiano medio teme l’in-vasione e lamenta la saturazione dimigranti, non c’è uno dei nuovi arri-vati o dei profughi che voglia rimane-re. Anzi. La parola che temono di piùè «Dublino». Appena la sentono no-minare, un capannello di asiatici ini-zia a protestare in coro: «No! No Du-blino». Si riferiscono al fatto che han-no chiesto una protezione umanita-ria che permette loro di viaggiare perl’Unione Europea. Meno diritti, mala possibilità di lasciare l’Italia. Dubli-no è una trappola per tanti profughi– che non si inseriscono in Italia mache ci riescono benissimo nell’Euro-pa del Nord – e un segno della nostradecadenza. I tanti tunisini che si so-no allontanati verso il confine france-se probabilmente saranno rispeditiindietro o andranno verso un percor-so di irregolarità. Preferiscono vivereda «clandestini» in Francia piuttostoche da regolari in Italia, dove un per-messo umanitario lo avrebbero avu-to senza troppi problemi.

G. faceva l’autista ad Hammamet.Guidava i camion, ma viveva anchecon l’indotto del turismo, un sistemaindustriale che ci assicurava vacanzedi lusso low cost e che in cambio ha la-sciato stipendi da miseria e un indottoin crisi. G. vuole andare in Germania,lì ha diversi amici. Un futuro rischioso,ma nulla rispetto a quello che si è la-sciato alle spalle. Per essere chiaro sisiede sull’asfalto e accovaccia le gam-be. Così hanno viaggiato, per due gior-ni. Senza muoversi. È arrivato con leestremità atrofizzate, sicuramentequalche barca rimasta indietro è affon-data. È partito da Zarsis, perché da lì –al confine con la Libia - la barca descri-ve un arco verso est e arriva in direzio-ne Lampedusa. Più lungo e pericoloso,ma meno controlli. Ora spera in Berlu-sconi, dice ridendo. Rientra nel resi-dence salutando allegramente. Per luiil futuro inizia adesso.

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MineoTERRITORI

CASALESIIl boss Setolaminaccia il pm

LA REQUISIZIONE

Lo spostamento di 1600richiedenti asilo a Mineoè un’operazione irrazionalee costosa. Quanto è statoversato alla Pizzarottiper la requisizionedel «residence degli aranci»,nessuno lo sa. Eppurei cittadini pensanoall’emergenza sicurezza

L’ECONOMIADELL’EMERGENZA

altra italia

«Teniamo tutti famiglia. DottoreMaresca voi dovete lasciare starela famiglia mia. E non mi manda-te più quel perito che non capi-sce niente. Io sono non vedentee lui ha detto che ci vedo ma luinon è un oculista. La prossimavolta che mi mandate il medicome lo dovete far sapere prima».Giuseppe Setola, durante la lettu-ra della sentenza del Tribunale diS. Maria Capua Vetere che gli hainflitto l’ergastolo il 14 aprile, incollegamento dal carcere di Ope-ra a Milano dove è rinchiuso al41 bis, ha minacciato esplicita-mente, oltre al collaboratore di

giustizia Domenico Bidognetti eal perito che ne ha accertato lacapacità visiva, il dr Catello Mare-sca che rappresenta in aula lapubblica accusa. «Simili reazionida parte dei Casalesi - replica almanifesto il dottor Maresca -ormai non mi stupiscono più némi preoccupano. Ogni volta cheil nostro intervento viene percepi-to dalla criminalità organizzatacome una reale aggressione alloro consolidato potere si verificaun contrattacco più o menoscomposto. Qualche giorno fanei miei confronti il messaggio èstato un po’ più diretto e menocontrollato. Vuol dire che il clanè finalmente allo sbando e chestiamo vincendo una battaglianella quale abbiamo creduto,crediamo e continueremo a cre-dere indipendentemente da mi-nacce e intimidazioni. (f.n.)