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Numero 32 Novembre 2010 /// www.architetti.com Modulare ISSN 2036-3273 Casalgrande Ceramic Cloud, Kengo Kuma | Casalgrande, Reggio Emilia

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Numero 32 Novembre 2010 /// www.architetti.com

Modulare

ISSN 2036-3273

Casalgrande Ceramic Cloud, Kengo Kuma | Casalgrande, Reggio Emilia

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EditorialeMODULARE∑(MMM)=M ⟶ Modus +Metron + Modulor = Mousikosdi Marcello Balzani

“Qual è la regola che informa, che lega tutte le cose? Mi trovo di fronte a un problema di natura

geometrica; sono in pieno fenomeno visuale; assisto alla formazione di un essere in sé. Dall’artiglio si

riconosce il leone! Dov’è l’artiglio, dov’è il leone?”

Le Corbusier, 1910

Un primo chiarimento (tanto perché il vento possa pulire il cielo dell’argomentazione dal condensato minaccioso di nubi portatrici di significati, simboli, valori aggiuntivi): la questione è astratta. Un’astrazione potente, vigorosa, talmente chiaroveggente da poter assurgere (in alcuni momenti della storia) anche a depositaria di verità, rispondente al bisogno di attribuire regole alla concretezza. In qualche modo è un ossimoro concettuale che nel processo creativo volto alla realizzazione di oggetti, di edifici, di luoghi della vita appare come una costante applicativa necessaria, di quelle di cui non se ne può fare a meno. Perché, se anche si rifugge dal modulo nel processo di libertà espressiva, poi

alla prova dei fatti, della contaminazione materiale a cui la forma deve soggiacere, nulla come il modulo risolve mille problemi di rappresentazione, di comunicazione tra idea-invenzione e macchina produttrice, tra componente e spazio che lo ospita.Da un lato quindi un’astrazione che impone un’ideologia, un pensiero capace di definire le regole del mondo (e per gli architetti dello spazio), dandosi un modus, una misura, che poi diverrà metron, acquisendo un valore di eguaglianza contro l’ingiustizia e l’arbitrarietà di un potere localistico atomizzato nella variazione e nell’incessante obbligo (costoso e insensato) di equivalenze su equivalenze.Dall’altro un’astrazione con radici profonde nell’idea di configurare lo spazio cercando regole nella natura del mondo e nella nostra. È la ricerca della “delizia sensibile delle cose in giusta proporzione” (Tommaso d’Aquino), dell’idea che esista un’armonia esprimibile con la geometria e la matematica e che nei numeri, nel mistero che alcuni di essi contengono (la successione di Fibonacci, la sezione aurea), si possa trovare una nuova misura per comprendere il metro, il piede-pollice, l’occhio e l’orecchio. Molto interessante, infatti, è la sinestesia concettuale del “problema modulo”. Una valenza plurisensoriale capace di interrelare elementi di forma, di colore, di suono con similitudini geometrico-matematiche inattese. Le Corbusier, nel preambolo de “Il Modulor” si chiede come sezionare la continuità di un fenomeno sonoro, come poter tagliare il suono secondo una regola

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accettabile da tutti, ma soprattutto efficace, capace di flessibilità, diversità, sfumature, ricchezza, semplice, maneggevole e accessibile. Tutto parte dall’idea che per quanto concerne il linguaggio e la scrittura musicale la civiltà bianca si è riuscita a dotare, nel corso dei millenni, di strumenti di lavoro utili al pensiero musicale, mentre ciò non accadeva per i fenomeni visuali, per le cose visive come le chiama Le Corbusier. È interessante perché oggi noi sappiamo che l’attitudine a percepire suoni che determina un’inclinazione per la musica, una musicofilia (Oliver Sachs), traspare fin dall’infanzia ed è un dato unificante per tutte le culture e società fin dai primi vagiti dell’umanità. Alcuni studiosi affermano persino che possa essere una dote innata, cablata nel cervello, mentre

altri la confermano come un’esperienza ex-adattativa (uno straordinario prodotto generato nell’evoluzione dai sistemi motivazionali e dal progressivo know how tecnologico). Comunque sia cerchiamo di tessere la relazione tra le due dimensioni astratte. Perché l’umanità ha sempre cercato di trovare delle regole, delle misure che descrivessero meglio la realtà: dall’ordine antico, a quello rinascimentale fino al Modulor di Le Corbusier? Cosa esprime questa necessità, che ritroviamo incompresa e solo parzialmente espressa ovunque intorno a noi? Sembra essere un bisogno, facente parte di quella percezione delle forme del reale che identifica una creatura viva, a cui dobbiamo relazionarci con spiccata e raffinata sensibilità,

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esattamente come avviene negli esseri umani durante la magica coniugazione tra sistema udito e sistema nervoso. Nulla di più astratto e nulla di più concreto (con emozione e logica insieme).Se poi si considera come i fenomeni musicali producano anche azioni motorie, rapporti e stimolazioni dinamiche e di come permettano di penetrare la quarta dimensione (di cui l’architettura è un valido esempio realizzato) è ancora più facile capire come certi desideri non siano marginali. “Teniamo il tempo della musica senza volerlo, anche quando non siamo consapevoli di prestarle attenzione, e con il volto e le posture del corpo rispecchiamo la «trama» della melodia, insieme ai pensieri e ai sentimenti che essa provoca!” (Sachs).Una trama che in qualche misura dipende da ciò che siamo nei nostri circuiti neurali e nel bisogno di non essere mai indifferenti alla vita e alla realtà che ci circonda.

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Senza soluzione di continuitàCasa Pentimento a Quito, EcuadorArchitetti José María Sáez e David Barragán*

a cura di Mirco Vacchi

Quando è stato chiesto alla scrittrice nordamericana Joan Didion quale fosse il suo stile di vita ideale, essa

rispose: economia, semplicità e chiarezza. È stato proprio il budget ridotto a condurci felicemente in questa

direzione. Rinunciare al superfluo, ricercare l’intensità attraverso la sottrazione, semplificare i processi

costruttivi. Lavorare con la luce, la natura, il clima mite, i materiali disponibili. Pochi materiali, utilizzati in maniera

semplice.

José María Sáez e David Barragán

Un giardino, una cliente coraggiosa, alla ricerca di un ambiente domestico che potesse fungere da spazio meditativo e silenzioso. La spiritualità avrebbe dovuto trarre origine dalla natura stessa. E l’architettura avrebbe dovuto inserirsi nella natura senza generare conflitti, aprendosi al clima mite e alla vicina vista del vulcano Ilaló.

Elementi architettonici Il progetto è generato dalla ripetizione di un unico elemento prefabbricato in calcestruzzo - fioriere portanti - posizionabile in fase di montaggio secondo quattro differenti configurazioni e utilizzabile allo stesso modo per definire il sistema strutturale, la recinzione, i collegamenti verticali e l’arredamento interno, inclusa la facciata verde che rappresenta il punto di partenza della costruzione di Casa Pentimento. Esternamente, l’edificio appare come una griglia astratta, assumendo le sembianze di un muro o di una siepe di recinzione, mentre all’interno ogni parete si differenzia per adattarsi alle molteplici esigenze dimensionali, funzionali, di

Vista del vulcano Ilaló dall’interno del mirador. Foto di José María Sáez

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collocazione, ecc.Il particolare sistema costruttivo asseconda e soddisfa le peculiarità del progetto senza compromettere l’estremo rigore e l’essenzialità del linguaggio architettonico prescelto. Ordine e disordine convivono in simbiosi all’interno dello stesso sistema.

ContestoL’architettura è subordinata al contesto insediativo, mostrandosi all’esterno come semplice recinto - un muro chiuso di fioriere accatastate che occulta ogni riferimento alla scala dell’abitazione - e rivelandosi internamente come filtro permeabile alla natura, aprendosi progressivamente alla vista. L’edificio adatta la sua forma all’andamento del terreno, interrompendosi per assecondare il forte dislivello, schivando gli alberi oppure inglobandoli al suo interno: la conformazione del suolo e le grandi finestre consentono al paesaggio di invadere lo spazio domestico e i giardini si trasformano in stanze della casa. Gli interstizi tra gli elementi prefabbricati in alcuni punti sono lasciati aperti per far filtrare la luce e la vegetazione, e in altri sono chiusi con acrilico trasparente o traslucido e listelli di legno. All’interno, le stesse fessure sostengono le tavole di legno che fungono di volta in volta da mensole, sedie, tavoli e scale. All’ultimo piano dell’edificio, un belvedere panoramico privo di ogni elemento accessorio consente il passaggio incontrastato di aria e luce, incorniciando suggestive viste sui monti lontani e focalizzando tutta l’attenzione degli abitanti sul paesaggio che li circonda.

CostruzioneIl sistema di moduli prefabbricati è ancorato al suolo attraverso una piattaforma in calcestruzzo che svolge la funzione di fondazione superficiale. Gli elementi sono stati gettati fuori opera dentro casseforme metalliche e assemblati in cantiere mediante l’inserimento di connettori in acciaio fissati alla platea con resine epossidiche.Le barre metalliche di connessione e gli elementi di giuntura tra le fioriere generano una fitta maglia strutturale composta da travi e pilastri di piccole dimensioni, particolarmente adatta alla sismicità della zona.La casa rifiuta ogni tipo di finitura. Il piano di calpestio

è stato ottenuto direttamente dal getto della platea di fondazione, miscelato con un additivo superficiale indurente e un pigmento nero. La dura superficie in cemento a vista degli elementi prefabbricati presenta lo stesso aspetto sia all’esterno che all’interno, ammorbidita dalle tonalità rosse del legno e dai verdi delle lamiere in rame ossidato e dell’onnipresente vegetazione.

La benedizione del low-budgetLa forza espressiva che pervade l’architettura di Casa Pentimento appare intrinsecamente legata ai vincoli di partenza, imposti dalle peculiarità del contesto insediativo o dettati dalle esigenze della committenza. Un budget iniziale estremamente ridotto ha spinto i progettisti a ricercare l’intensità, operando per sottrazione, semplificando i processi costruttivi e rinunciando al superfluo. Lavorando con la luce, la natura e il clima mite. Utilizzando pochi materiali, in maniera semplice.Il risultato è un linguaggio architettonico coscientemente ridotto ai minimi termini: un’austerità liberatrice che lascia spazio al godimento, ai sensi, al rapporto diretto con la natura. Una concezione di architettura sinestetica, sorretta da un numero limitato di leggi proprie. Un solo modulo, un solo gesto costruttivo: accatastare, impilare, sovrapporre. Un unico elemento verticale in cui far convergere (e convivere) uomo e natura. Un’architettura che si stempera nel suo ambiente, che dal di fuori appare come un prolungamento verso l’alto del giardino, nascondendo al suo interno la dimensione umana del disordine domestico.

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Vista d’insieme dal punto più basso della casa. Foto di José María Sáez

Vista della copertura dall’interno del mirador. Foto di José María Sáez

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Vista di dettaglio sulla facciata principale. Foto di José María Sáez

La facciata principale e il giardino verticale visti dall’area di accesso all’abitazione. Foto di José María Sáez

Vista di dettaglio del giardino verticale realizzato sul primo muro edificato: l’origine di Casa Pentimento. Foto di José María Sáez

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La pianta dell’edificio. Disegni di Jose Maria Sáez e David Barragán

Prospetto e sezioni. Disegni di Jose Maria Sáez e David Barragán Vista esterna di uno dei pati interni. Foto di José María Sáez

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In alto e in basso, viste dei plastici di studio. Credits: 087 Orreo, Foto: MAS, Barcelona / Architecture without architects, Bernard Rudofsky, 1964, Academy Editions, Londres - Inglaterra

Schizzi di studio del sistema costruttivo. Credits: 087 Orreo, Foto: MAS, Barcelona / Architecture without architects, Bernard Rudofsky, 1964, Academy Editions, Londres - Inglaterra

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Vista della camera da letto. Foto di Raed Gindeya Vista della zona pranzo. Foto di José María Sáez

La casa abitata: vista della cucina. Foto di David Barragán La casa abitata: particolare del muro della camera. Foto di José María Sáez

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Particolare della vista di un giardino interno attraverso una delle fessure tra le fioriere. Foto di José María Sáez Un libro di cucina e alcune radici di zenzero in una fessura del muro della cucina. Foto di José María Sáez

Dettaglio della connessione tra il vetro e i moduli prefabbricati. Foto di Raed Gindeya La casa abitata: disegni a gessetto sulla superficie in cemento dei moduli costruttivi. Foto di José María Sáez

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La casa abitata: le ampie vetrate consentono al paesaggio di invadere lo spazio domestico. Foto di José María Sáez La casa abitata: vista della camera. Foto di David Barragán

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*José María Sáez e David Barragán

José María Sáez, Architetto, Universidad Politécnica de Madrid, 1990.David Barragán, Architetto, Pontificia Universidad Católica de Quito, 2005. Con il progetto Casa Pentimento si sono aggiudicati il premio alla Migliore Opera di Giovani Autori VI BIAU 08 e il Premio Nacional de Diseño Arquitectónico XV BAQ 06. Nel 2010 sono stati invitati alla Mostra di Architettura Iberoamericana “Post Post Post”, nel 2008 hanno completato la Residencia Sarmiento Rivera nel centro storico di Quito.Entrambi svolgono la propria attività in maniera autonoma.

ContattiJosé María Sáez Address: Galápagos Oe3-196 y Vargas, Quito - EcuadorOffice Phone: (593 – 2) 295-5434Cell Phone: (593) 9 – 604 – 5572E-mail: [email protected]: www.arqsaez.com

David BarragánAddress: Las Casas Oe3-244 y Av América, Quito - EcuadorOffice Phone: (593 – 2) 223 – 2764Cell Phone: (593) 9 – 603 – 5215E-mail: [email protected]: www.albordearq.com

SCHEDA PROGETTO

Casa PentimentoArchitettiJose Maria Sáez e David Barragán

LocalizzazioneLa Morita, Tumbaco, Quito-Ecuador

CommittentePrivato

CollaboratoriAlejandra Andrade, Architetto

CostruttoreJaime Quinga

Elementi prefabbricatiHéctor Sánchez, Architetto

StruttureCésar Izurieta

Area edificata: 234 mq

Superficie del lotto: 5.000 mq

CronologiaUltimazione lavori: 2006

FotografieRaed Gindeya, Jose María Sáez e David Barragán

La zona pranzo all’interno della cucina. Foto di Raed Gindeya

La luce filtra attraverso le fessure dell’involucro di cemento Foto di José María Sáez

Gli spazi interstizi fungono da sostegno per le pedate della scala interna. José María Sáez

La casa abitata: Ordine e disordine convivono in simbiosi all’interno dello stesso sistema. Foto di David Barragán

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Vista notturna di Casa Pentimento dalla quota più bassa del giardino. Foto di Raed Gindeya

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Una nuvola di ceramiche modulariCasalgrande Ceramic Cloud. La prima opera italiana di Kengo Kuma

a cura di Luca Rossato

Le nuvole bianche non hanno una provenienza precisa e non hanno una meta;

il loro semplice essere in questo momento è perfezione.

Osho Rajneesh

Vanno, vengono, per una vera mille sono finte e si mettono lì,

tra noi e il cielo, per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.

Fabrizio De André

La Casalgrande Ceramic Cloud, una nuvola di ceramica, prima realizzazione architettonica italiana del maestro giapponese Kengo Kuma e nuova porta simbolica del distretto ceramico emiliano, è localizzata nel comune di Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia.L’opera divide trasversalmente lo spazio di una rotonda stradale ponendosi come una sottile cortina a diaframma, posta a richiamare dinamicamente lo sguardo del fruitore.Una creazione che dialoga con l’infrastruttura stradale del distretto, presentandosi agli automobilisti prima come una lamina, poi, con il loro avvicinarsi alla struttura e immettersi nella rotonda, acquistando tridimensionalità e svelandondosi come un poroso fronte bianco. La struttura pensata da Kuma è composta da nove piani di lastre in grès porcellanato di grandi La Casalgrande Ceramic Cloud di Kengo Kuma, nuova porta simbolica del distretto ceramico nel comune di Casalgrande, Reggio Emilia. Foto Marco Introini

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Viste frontali complessive dell’installazione. Foto Marco Introini

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Viste scorciate laterali del diaframma che costituisce l’opera. A sinistra foto Marco Introini, a destra foto Luca Rossato

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Vista frontale della struttura in lastre di grès porcellanato. Foto Luca RossatoDettaglio tecnologico in sezione dell’attacco a terra e del sistema di aggancio delle lastre in grès

dimensioni, sovrapposte fra loro e connesse da sottili barre filettate obliterate alla vista.Per la realizzazione di quest’opera sono state utilizzate 388 piastrelle suddivise in 9 diversi moduli studiati appositamente per sfruttare al meglio le caratteristiche del materiale e i diversi giochi di luce (naturale e artificiale).

Casalgrande Padana non ha solo scelto il maestro Kengo Kuma e il suo staff come interlocutori principali, ma anche l’Università, nelle figure dei docenti Alfonso Acocella e Luigi Alini, entrambi già impegnati in una più ampia ricerca su materiali ceramici rispettivamente alle Facoltà di Architettura di Ferrara e di Siracusa.Proprio all’Università si deve un importante ruolo di mediazione e interrelazione tra la committenza, il team di progetto architettonico e strutturale, il team di progetto di luce coordinato da Mario Nanni per Viabizzuno e il team impegnato nella narrazione e comunicazione dell’opera.

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Schema della struttura graficizzata secondo i nove tipi di moduli che la costituiscono

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Viste di dettaglio delle 388 piastrelle suddivise in 9 diversi moduli studiati appositamente per sfruttare al meglio le caratteristiche del materiale e i diversi giochi di luce. A sinistra foto Marco Introini, a destra foto Luca Rossato

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CASALGRANDE CERAMIC CLOUD

«[…] Il nostro approccio antimonumentale si è spinto sino ad allineare la direzione della parete ceramica alla strada che vi conduce, facendo sì che l’opera sembri quasi dissolversi: avvicinandosi con l’automobile si percepisce la rotonda divisa da una linea verticale; solo volgendo intorno ad essa, assecondando il movimento della vettura, la parete prende forma sino ad apparire nei suoi 45 metri di lunghezza.Nelle nostre architetture prendiamo ispirazione spesso dai principi di antidimensione e antivolume, ma per un progetto e per un sito così particolari - raggiungibile solo in automobile - abbiamo voluto sperimentare il rapporto di questi concetti con i principi dinamici di tempo, movimento e percezione sequenziale.Osservando la parete innalzarsi durante i mesi di costruzione abbiamo compreso con quanto dinamismo la trasparenza della sua struttura e la diafana rifrazione del grès porcellanato bianco interagiscano con l’ambiente circostante e con gli elementi climatici. Questo comportamento dinamico ci è sembrato seguire un approccio sinuoso, impalpabile e in continuo divenire, come le nuvole: motivo per cui abbiamo scelto il nome di Casalgrande Ceramic Cloud».

Kengo Kuma

SCHEDA PROGETTO

Casalgrande Ceramic Cloud

CommittenteCasalgrande Padana S.p.a.

LuogoCasalgrande, Reggio Emilia

MaterialiLastre Gres porcellanato 1200 x 600 x 14 mm, pietra, acciaio

Altezza massima5,90 m

Data ultimazionesettembre 2010

Team di progettoArchitettura: Kengo Kuma & Associates: Kengo Kuma (principal charge), Javier Villar Rujz; Ryuya Umezawa Project Manager: Mauro Filippini, Casalgrande Padana S.p.a.Controllo Costi: Mauro Filippini, Casalgrande Padana S.p.a.Ingegneria: Ejiri Structural Engineers (Tokyo) Norihiro Ejiri and Pieter Ochelen, Japan

Consulenti del committente Architettura: Alfonso Acocella (Università degli Studi di Ferrara) e Luigi Alini (Università degli Studi di Catania)Urban Planing: Angelo Silingardi (CCdP)Strutture: Enrico Rombi (CCdP); Alberto Zen (CCdP);Impianti: Cesare Brizzi e Luigi Massa, Casalgrande Padana S.p.a.Illuminazione: Mario Nanni (principal charge) e Federica Soprani (Viabizzuno)Comunicazione: Nadia Giullari, Elisa Grisendi, Sara Costi, Veronica Dal Buono

Kengo Kuma davanti all’installazione Ceramic Cloud. Foto Luca Rossato

Vista della struttura composta da nove piani di lastre in grès porcellanato sovrapposte fra loro e connesse da sottili barre filettate obliterate alla vista. Foto Luca Rossato

Vista notturna frontale dell’installazione. Foto Marco Introini

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Vista notturna dell’installazione di scorcio. Foto Marco Introini

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Green Frame HouseUn alfabeto di lettere industriali per una poetica abitativa tradizionaleStudio AstoriDePontiAssociati*

a cura di Mirco Vacchi

L’esacerbazione del contrasto tra finito e non finito, tra interno domestico ed esterno vissuto e corroso,

punta espressamente ad esaltare la vocazione abitativa latente di questi elementi modulari. Il

tentativo è quello di portare un piccolo ulteriore contributo restituendo al modulo container la dignità

di un abitare non effimero né alternativo.

AstoriDePontiAssociati

Icona di uno sviluppo auspicabilmente sostenibile e messaggio di speranza per il futuro, oggi più che mai il verde è al centro dell’attenzione di tutto il mondo: da semplice colore a simbolo indiscusso della salvaguardia ambientale dell’intero pianeta.Ad esso, l’associazione di designer Color Coloris, un team specializzato nell’anticipare le tendenze del colore per il mondo del tessile e dell’arredamento, ha dedicato la mostra “Green Frames”, presentata a Verona dal 16 al 20 settembre 2010 nell’ambito della venticinquesima edizione di Abitare il Tempo.Il progetto dell’allestimento, a cura dello Studio AstoriDePontiAssociati, è stato concepito come contenitore di un percorso espositivo scandito da suggestivi messaggi visivi, tattili ed estetici e articolato in quattro grandi scenari abitati da prodotti reali e progetti in progress connessi al tema del green nelle sue molteplici declinazioni e interpretazioni in chiave creativa: il frame Green Energy, il frame Naturalità, il frame Green-colore puro, il Frame Sostenibilità.L’estrema attualità del tema proposto ha spinto

Green Frame House preserva il fascino industriale del container, restituendo una seconda vita a una struttura altrimenti destinata ad essere dismessa. Photo Credits: Tom Vack Photographer - www.tomvack.com

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i progettisti a riflettere sui possibili significati della nozione di sostenibilità, un concetto che ha pervaso a macchia d’olio ogni settore della sfera culturale e recentemente anche di quella industriale a livello globale, quasi senza discriminazioni geografiche. Come sempre, quando l’attenzione generale si indirizza in maniera ossessiva su un unico argomento, capita di assistere ad un utilizzo propagandistico e poco critico delle parole e dei concetti che legano il proprio destino alla causa superiore della sostenibilità ambientale. Il progetto per questa mostra - intesa come mostra “culturale” - non ha voluto in questo senso proporre una soluzione definitiva ed assoluta alla questione della sostenibilità. L’intenzione è stata piuttosto quella di proporre uno spunto alternativo di riflessione, che spingesse a ragionare in termini inconsueti rispetto alla corrente generale. “Il progetto Green Frame House nasce da un incontro tra idee e sogni: il sogno di restituire vita, significato e utilità al container, inteso come oggetto abbandonato, e l’idea di sperimentare una sostenibilità definendo forme di abitare consolidate a partire da un modulo industriale – spiegano gli architetti –. L’allestimento Green Frame House presentato in fiera costituisce in questo senso una sorta di cantiere di lavori in corso di un progetto possibilmente più ambizioso e di più ampio respiro, che punta a far diventare realtà questo incontro”.Sostenibilità è anche e soprattutto recupero, e in questo senso l’utilizzo di una struttura a container come tassello progettuale è stato pensato come atto provocatorio, ma di estrema responsabilità. Il progetto ha insistito proprio sul ciclo di vita di questo prodotto: Green Frame House preserva il fascino industriale del container, restituendo una seconda vita a una struttura altrimenti destinata ad essere dismessa. A partire da questo presupposto, il tentativo è stato chiaramente quello di declinare un alfabeto di lettere industriali nella virtuosistica ricerca di una poetica abitativa tradizionale.

Siti internetwww.astorideponti.itwww.abitareiltempo.com

Il contrasto tra finito e non finito, tra interno domestico ed esterno vissuto e corroso, esalta la vocazione abitativa latente di questi elementi modulari. Photo Credits: Tom Vack Photographer - www.tomvack.com

Immagini del concept dell’allestimento presentato a Verona, in occasione della XXV edizione di Abitare il Tempo. © AstoriDePontiAssociati

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SCHEDA PROGETTO

Green Frame House

ProgettoAstoriDePontiAssociatiArch. Antonia AstoriArch. Nicola De PontiArch. Ester Pirotta

Progetto graficoArch. Stefano Cardini

Progetto illuminotecnicoArch. Lorella Primavera

CronologiaInstallazione temporanea realizzata nell’ambito della rassegna Architetture d’interni della XXV Edizione di Abitare il Tempo – Verona, 16-20 settembre 2010

Main SponsorArt Container - artcontainer.org

Sponsor TecniciBiò Fireplace - biofireplace.itBTicino - bticino.itDriade - driade.comDuPont™ Tyvek® e Energain® - dupont.comElectrolux - electrolux.itGE General Electrics - ge.com/it/Il Cantiere - ilcantieresrl.itKronos Ceramiche - kronosceramiche.itListone Giordano - listonegiordano.comMetall Concept - metallconcept.comOikos Fragrances - oikosfragrances.comOluce - oluce.comRapsel - rapsel.itSchiffini - schiffini.itTechnogym - technogym.comTTM Rossi Oliviero & C - ttmrossi.itTubes Radiatori - tubesradiatori.comTurn Lights - turnlights.com

L’utilizzo una struttura a container come chiave progettuale, scelta provocatoria ma responsabile, offre uno spunto di riflessione alternativo sul tema della sostenibilità. © AstoriDePontiAssociati

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L’allestimento è articolato in quattro grandi scenari abitati da progetti prodotti reali connessi al tema del verde nelle sue molteplici declinazioni e interpretazioni. Photo Credits: Tom Vack Photographer - www.tomvack.com

*AstoriDePontiAssociati

Antonia Astori nasce a Melzo (Milano) nel 1940. Si laurea in Industrial e Visual Design all’Athenaeum di Losanna nel 1966.Dal 1968 collabora in qualità di designer con l’azienda italiana Driade; realizza importanti progetti di sistemi e di mobili intesi come “architetture da camera” e contribuisce a definire l’immagine aziendale con allestimenti ed esposizioni.Nei progetti dei sistemi, che concepisce come “opera aperta” alla cui definizione finale può contribuire il fruitore, analizza le potenzialità formali.Negli allestimenti, realizzati per manifestazioni fieristiche, negozi e showroom, evidenzia le qualità espressive e le applicazioni d’uso dei prodotti.All’attività di designer affianca quella di architetto

d’interni con progetti per abitazioni, uffici, showroom, negozi. In questo ambito assume particolare rilievo la collaborazione con gli stilisti francesi Marithé e François Girbaud per la progettazione di negozi a Parigi e in altre città di tutto il mondo, la realizzazione del progetto per uffici e showroom della fabbrica Driade e i molti negozi daDriade. Il ruolo di Antonia Astori sulla scena nazionale e internazionale si completa con la presenza a importanti eventi, da un’iniziale, ma indimenticata, Eurodomus a Torino nel 1971, sotto l’egida di Gio Ponti, alla mostra “Design Donne” nel 1985 a Tokyo, alle numerose partecipazioni in Triennale così come a Verona per “Abitare il tempo”. E infine, nel 2006, alla Mostra “Il Cosmo Driade: Immagine del Design Italiano” al Museo “Die Neue Sammlung” di Monaco.Su di lei hanno scritto numerosi critici tra cui

ricordiamo Renato De Fusco (Il gioco del Design, Electa, 1988), Vanni Pasca (Pioneers of product design, Creo Corporation-Tokio, 1994), Fulvio Irace (Driade Book, Skira, 1995), Benedetto Gravaguolo (Antonia Astori designer, Lam, 1983), Marco Romanelli (“Antonia Astori ovvero le parole del progetto”, D.E, 2, aprile 1996).

Nicola De Ponti nasce a Milano nel 1971, e si laurea in Architettura al Politecnico di Milano nel 2000.Dal 1996 al 1999 collabora a più riprese con lo studio di architettura e design Tusquets, Diaz e Asociados di Barcellona, indirizzando la propria formazione alla progettazione architettonica. Dal 2001 al 2004 inizia la collaborazione, in qualità di responsabile di progetto, con lo studio di architettura di Flavio Albanese, dedicandosi alla progettazione e allo sviluppo dell’intervento di riconversione del

complesso industriale FAEMA a Milano, polo culturale in espansione dell’arte contemporanea e dell’editoria milanese. Inizia, contemporaneamente, a svolgere attività di libero professionista, realizzando i primi interventi di architettura di interni ed una casa unifamiliare in Argentina.Dal 2003 al 2006 collabora con il Politecnico di Milano, nell’ambito dello svolgimento dei corsi di Progettazione Architettonica del Politecnico di Milano Bovisa. Nel 2004 intraprende definitivamente l’attività di libero professionista, in associazione con Antonia Astori, dedicandosi principalmente alla progettazione di architetture di interni, allestimenti e prodotti di industrial design. Ha inizio, in concomitanza, l’attività tuttora in corso di giornalista critico di architettura per la testata OFX Architettura, del gruppo editoriale DDE di Milano.

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Il progetto Green Frame House nasce da un incontro tra idee e sogni: il sogno di restituire vita, significato e utilità al container, inteso come oggetto abbandonato, e l’idea di sperimentare una sostenibilità definendo forme di abitare consolidate a partire da un modulo industriale. Photo Credits: Tom Vack Photographer - www.tomvack.com

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Modularità compositiveLibreria Ex LibrisPierluigi Piu* per TArt 2010

a cura di Federica Maietti

Ex Libris è una libreria a torre da centro stanza, ossia da tenere discosta dalle pareti, in quanto materialmente e visivamente fruibile su tutti e quattro i suoi prospetti. È proprio questa, infatti – oltre alla modularità della sua composizione – l’idea che l’ha generata: poter disporre di un oggetto d’ingombro contenuto, ancorché capiente, destinato a conservare, contenere, custodire ed accogliere libri, oggetti e memorie di vario genere, che fosse accessibile su tutti i lati e configurabile in modi diversi.I contenitori, sempre uguali a sé stessi, e quindi identificabili come modulo-base, sono ricavati ciascuno da un unico foglio di lamiera di ferro ritagliata, piegata e saldata, e poi impilati l’uno sull’altro, secondo la disposizione più gradita all’utente (ad esempio una rotazione di 90° ad ogni salto di quota), all’interno di un volume prismatico definito unicamente da un’esile profilo a sezione quadra (al quale i contenitori sono ancorati) che ne traccia spigoli e vertici. Ogni parte della libreria conserva la patina di calamina che viene al ferro dal passaggio nell’altoforno ed è finita a cera naturale.Le facce esterne dei moduli si combinano dando luogo a sbalzi ed ulteriori ripiani e volumi aperti da utilizzare in totale libertà, per contenere, riporre ed esporre oggetti d’affezione e di compagnia. La libreria assume, così, la connotazione di un totem domestico, punto focale e presenza amica nell’ambiente, attorno al quale muoversi in libertà ed al quale accedere da ogni parte, senza l’aiuto di scale o sgabelli.

Una volta configurata secondo le proprie esigenze, ciascuna torre è, naturalmente, accostabile ad un’altra e può, così, dar luogo ad una parete o ad un divisorio attrezzato, in una ulteriore estensione del concetto di modularità che ne ispira la costruzione. La libreria è stata progettata dall’architetto Pierluigi Piu e realizzata da Pierpaolo Ziranu in occasione della mostra di design “Contenitori al T”. Oltre 60 fra designer, artisti ed artigiani sono stati invitati a creare ex-novo (ed in totale libertà di espressione quanto a tipologie, materiali e dimensioni) degli oggetti destinati a conservare, contenere, custodire ed accogliere.La mostra, a cura di Tramare e della sezione T Art del T Hotel di Cagliari, ha tracciato un percorso alla scoperta dell’ispirazione che ha mosso così tanti artisti nella realizzazione di opere uniche: le vere protagoniste di quest’evento. Ogni partecipante ha realizzato per questa mostra degli oggetti ex novo con funzione di contenitore in totale libertà di espressione per forma, materiale e dimensione.

Sito internetwww.pierluigipiu.it

Vista di dettaglio dei moduli della libreria

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*Pierluigi Piu (Cagliari 1954), formatosi nella Facoltà di Architettura di Firenze dà vita con Giuseppe Panaro, fra il 1982 ed il 1985, all’atelier Proconsolo, studio di design e azienda di autoproduzione, partecipando a varie mostre in Italia e all’estero. Dal 1985 lavora come consulente associato (per il Product e l’Interiors’ Design) dello studio Acme’ Consultants (Association pour la Création et les Méthodes d’Evolution), con sede a Parigi, partecipando allo sviluppo del progetto di prodotti per aziende come Gaz de France, Essilor (leader mondiale dell’occhialeria), Fiat-Iveco, Aeroports de Paris ed altre. Nel 1990 segue una collaborazione con l’architetto belga Pierre Lallemand presso lo studio Art & Build di Bruxelles. Nel corso del 1991 realizza, a titolo personale, i suoi primi lavori in Inghilterra, per poi rientrare a Cagliari, dove apre il suo studio e inizia a operare nell’ambito dell’Architettura e dell’Interior Design. Nel 1995 svolge un nuovo incarico a Londra. Fra il 1996 ed il 1998 soggiorna nuovamente a Bruxelles, dove è chiamato dall’architetto Steven Beckers a collaborare al progetto di ricostruzione e rinnovamento del Palazzo Berlaymont, incaricato, nell’ambito di un’equipe internazionale appositamente formata, della supervisione e del coordinamento del linguaggio estetico-formale degli interni dell’intero edificio. Nel 2006/2007 realizza due nuovi progetti di spazi commerciali a Londra per i quali, nel novembre del 2007, viene insignito a Mosca del “Russian International Architectural Award 2007” per l’innovazione negli interni degli spazi pubblici e, successivamente, dell’“International Design Award 2008” a Los Angeles e dell’“Archi-Bau Design Award 2009” a Monaco di Baviera. Dal 2009 è commentator del sito restaurantandbardesig.com. Attualmente vive e lavora a Cagliari, dove esplica la sua attività di libero professionista particolarmente nel settore delle residenze private e degli spazi commerciali e da dove continua a realizzare progetti anche per altri paesi. I suoi lavori sono riportati su alcuni libri specialistici pubblicati in Italia, Europa, Asia e Stati Uniti, e sulle più importanti riviste di settore nazionali ed internazionali.

In alto e a destra, viste frontale e laterali di un singolo contenitore

Viste della libreria nella versione con i moduli dei contenitori in pelle

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Vista di due elementi accostati. I contenitori sono ricavati ciascuno da un unico foglio di lamiera di ferro ritagliata, piegata e saldata, e impilati l’uno sull’altro

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Ogni parte della libreria conserva la patina di calamina che viene al ferro dal passaggio nell’altoforno ed è finita a cera naturale

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BrandBase Pallet ProjectIl progetto realizzato con gli Euro-pallet da MOST Architecture ad Amsterdam

di Nicola Montini

La necessità di avere un nuovo spazio di lavoro parallelamente all’idea di utilizzare dei materiali completamente riciclabili per la costruzione degli arredi interni hanno fornito al direttore creativo dello studio di comunicazione e pubblicità BrandBase di Amsterdam, Marvin Pupping, e a Most Architecture, team di progettisti coinvolti, l’idea di utilizzare gli Euro-pallet come elemento caratterizzante il loro progetto. L’idea fondante è stata quella di creare gli spazi del progetto a mezzo di un elemento autonomo, quasi paesaggistico, che adattandosi ed incuneandosi negli ambienti risolvesse tutte le esigenze spaziali richieste dalla destinazione ad ufficio.Paul Geurts (32 anni) e Saxon-Lear Duckworth (30 anni), i giovani architetti alla guida di Most Architecture, hanno lavorato sulla possibilità di fornire al luogo un’atmosfera informale. A tale scopo hanno pensato, in funzione del tipo di attività che avrebbe poi dovuto ospitare, ad un ambiente di lavoro a open space; per fare questo la struttura di pallet identificata come materia prima del progetto è stata vista e pensata come componente che nel suo assemblaggio modulare potesse provvedere sia alla fornitura di arredi tipici degli spazi di lavoro che essere un elemento di invito a stare, sedersi o sdraiarsi sui pallet stessi.L’edificio oggetto della rifunzionalizzazione è una tipologica canalhouse olandese situata sul Brouwersgracht, il canale dei birrai che segna il confine a nordovest della cintura dei canali nel centro di Amsterdam. Si propone come uno spazio unitario tipico degli ex magazzini, profondo 27 metri e riportante sul retro una zona su due livelli. Ovviamente la natura degli spazi ha indotto a pensare ad una organizzazione dell’azienda

Vista dall’ingresso. © Rogier Jaarsma

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Diagramma distributivo dei pallet

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sviluppata lungo l’asse longitudinale.Il progetto, dalle prime fasi di ideazione e sviluppo fino alla sua esecuzione, è stato monitorato e pubblicizzato tramite una pagina di Facebook ad esso dedicata che ha riscosso molto successo, raccogliendo numerosi contatti da tutto il mondo. Il concept alla base del design di progetto è quello della creazione di uno spazio autonomo composto da tre livelli. Il primo è quello del contenitore esistente che una volta dipinto completamente di bianco funge da base neutra di partenza atta ad accogliere la struttura vera e propria di progetto realizzata coi pallet. Questo secondo livello è l’elemento principale e strutturante tutti gli ambienti, ottenuto mediante la composizione e l’assemblaggio di 270 pallet in un unico elemento mutevole che si adatta alle necessità specifiche di ogni singola parte dell’ufficio. Infine, il terzo livello è quello delle “aggiunte”: l’inserimento degli elementi finiti come lampadari, ringhiere, scale, mobili e sedie prevede l’uso di elementi quasi esclusivamente di colore nero, scelta che ne aumenta l’omogeneità e l’identificabilità all’interno di una struttura fondata su poche scelte precise.A gerarchizzare compositivamente la vocazione aperta degli spazi è la presenza di una griglia di 20 cm che governa la logica distributiva in ambo le direzioni dei pallet stessi che si dispongono così modularmente su di essa. L’unione di pallet così ottenuta collega i vari spazi e l’edificio nel complesso in tutta la sua profondità con un unico gesto controllato.Nelle parti che compongono il progetto si possono individuare facilmente quattro aree distinte: l’ingresso, lo spazio della scala, la zona su due livelli e l’area studio collocata nella parte posteriore del piano terra.La prima zona è quella che caratterizza l’accesso all’edificio ed è connotata dalla struttura in pallet che, modellata in due file di banchi, pare abbracciare il visitatore. Quest’ultimo, percorrendo la “passerella centrale”, si trova ad essere circondato dai dipendenti di BrandBase; in particolare qui trovano posto otto unità di lavoro su due livelli diversi.Le unità di lavoro della zona di ingresso lasciano spazio ad una scala divisa in due parti: una più formale con gradini e ringhiere e una più informale,

dove i pallet accatastati con maggiore libertà danno origine a un luogo di ritrovo. La scala permette di raggiungere il piano superiore e si trasforma in sala di gestione che funge in maniera combinata sia da luogo di riunione che da sala per le presentazioni ed è distinta dalla presenza di quattro scrivanie dotate di un maggiore livello di indipendenza dal sistema “madre”. Proseguendo, la struttura di pallet incontra una parete trasparente con una porta traslucida che la divide solo fisicamente dalla stanza dove avvengono le presentazioni ai clienti; qui la composizione diventa seduta posta a favore dell’enorme tavolo mobile per riunioni costituito a sua volta da pedane riciclate.La quarta ed ultima area è quella di studio che, posta nella parte posteriore del piano terra, è stata trattata in modo completamente diverso: qui trovano posto delle scrivanie bianche e le relative posizioni di lavoro che sono collegate alla struttura sin ora descritta attraverso fili neri pendenti dal soffitto e che calano dalla scalinata verso le scrivanie e i server come fossero liane.

Siti internetwww.mostarchitecture.comwww.brandbase.nlwww.rogierjaarsma.com

SCHEDA PROGETTO

BrandBase Pallet Project© brandbase

Progettisti MOST Architecture, Rotterdam

CommittenteBrandBase bv

Localizzazione Brouwersgracht 246, Amsterdam

Cronologia Progetto maggio 2010, realizzazione luglio 2010

Budget50.000 euro

Numero di pallets270 elementi

Superficie 245 mq

Photo creditsRogier Jaarsma

Area studio. © Rogier Jaarsma

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Spazi di relazione nel retro della scala. © Rogier Jaarsma

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Dettagli della scala. © Rogier Jaarsma

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Vista delle postazioni di lavoro

La sala gestione al piano superiore con le quattro scrivanie. © Rogier Jaarsma

La sala gestione al piano superiore con le quattro scrivanie. © Rogier Jaarsma

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La sala riunioni. © Rogier Jaarsma Dettaglio del lucernaio