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MODULO 1 Investimento e rischio di investimento Sistema Qualità Certificato UNI EN ISO 9001 (certificato N° IT02/228) UNITA’ DIDATTICA 2 Nozioni di base per la valutazione degli investimenti Elementi di distribuzione dei rendimenti e Analisi Rendimento - Rischio per il portafoglio azionario Dispensa a cura della Prof.ssa Anna Maria D’Arcangelis Università degli Studi della Tuscia

MODULO 1 Investimento e rischio di investimento€¦ · poche variabili quantitative (rendimento e rischio), che inserite in un modello di ottimizzazione permette al gestore di individuare

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MODULO 1 Investimento e rischio di investimento

Sistema Qualità Certificato UNI EN ISO 9001 (certificato N° IT02/228)

UNITA’ DIDATTICA 2 Nozioni di base per la valutazione degli investimenti Elementi di distribuzione dei rendimenti e Analisi Rendimento - Rischio per il portafoglio azionario Dispensa a cura della Prof.ssa Anna Maria D’Arcangelis Università degli Studi della Tuscia

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Rev. 15 VI 2011 2

Indice

1 La distribuzione normale 3

1.1 I parametri fondamentali della distribuzione 5

2 La Moderna Teoria di Portafoglio 9

2.1 La stima del rendimento di un singolo titolo 11

2.2 La stima del rischio di un singolo titolo 11

2.3 La stima del rendimento per un portafoglio di titoli 12

2.4 La stima del rischio per un portafoglio di titoli 12

3 I principi fondamentali della teoria di Markowitz 17

3.1 Il modello di Markowitz: punti di forza e limiti 21

4La costruzione della frontiera efficiente 27

5 Il modello di Tobin: quale contributo alla MTP? 29

6 Un’introduzione alla Capital Market Line 31

7 Sharpe - Il Single Index Model 33

8 Il Capital Asse Pricing Model 36

8.1 La CML 36

8.2 La SML 38

8.3 Limiti del CAPM 40

9 Il modello di Fama-French 40

10 Il modello del dividendo 42

10.1 Modello di crescita costante 43

10.2 Modello di crescita a due stadi 44

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1. La distribuzione normale

La curva normale viene spesso chiamata "distribuzione

gaussiana", anche se più precisamente dovrebbe essere citata

come "distribuzione di Gauss-LaPlace" (Laplace la utilizzò nel

1783 per descrivere la distribuzione degli errori; nel 1809, Gauss

la riprese, impiegandola nell'analisi di dati astronomici).

La normale è costruita in modo tale che l'area sottesa alla

curva in figura rappresenti la probabilità. Perciò, l'area totale è

uguale a 1 (100% probabilità).

La distribuzione di probabilità normale trova applicazioni in

molteplici discipline, e dunque anche in finanza: in particolare

vedremo come, l’ipotesi di normalità dei rendimenti azionari (o

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di log-normalità dei prezzi1) rivesta un ruolo cruciale nel

processo di valutazione dei titoli e dei portafogli mobiliari.

Ipotizzare che i rendimenti dei titoli azionari si

distribuiscano secondo una normale è estremamente utile, perché

permette di lavorare esclusivamente con la media (µ) e con la

varianza (σ2) o deviazione standard (σ) .

Cerchiamo adesso di introdurre il concetto di distribuzione

di probabilità in modo estremamente intuitivo. Faremo in modo

di eliminare l’utilizzo di formule e di espressioni complesse,

precisando però che la trattazione, portata avanti in questo modo,

non è certo esaustiva dell’argomento.

Immaginiamo di voler misurare un oggetto, un numero n di

volte e di avere uno strumento con un elevato grado di

precisione, che ci consenta di effettuare tali misurazioni.

Nonostante la precisione del nostro misuratore, sarà inevitabile

commettere degli errori: avremo sempre dei risultati differenti,

dovuti all'inevitabile imperfezione del nostro strumento e del

1

Una variabile casuale si distribuisce in modo lognormale se il logaritmo naturale della

stessa si distribuisce in modo normale. Se i prezzi azionari St si distribuiscono in modo

lognormale, il logaritmo naturale dei prezzi (lnSt) si distribuisce in modo normale. ln(St/S0) = r

⋅t ∼ N

St= S0 ert

in cui ert è il rendimento composto nel continuo.

La gaussiana è descritta completamente dalla media e

dalla deviazione standard della distribuzione: µ e σσσσ.

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nostro operato, che sono detti errori accidentali. Ebbene, se

rappresentassimo le misure che otteniamo in un grafico, e poi

facessimo crescere il numero di misurazioni n sempre di più, al

limite ad infinito, allora ci accorgeremmo che il grafico si

avvicina sempre di più alla curva di Gauss raffigurata sopra.

1.1 I parametri fondamentali della distribuzione

( )

2

2

1

2

1

−−

= σ

µ

πσ

x

exf

Vista in questo modo, la formula che esprime la

distribuzione normale potrebbe lasciare perplesso chi si avvicina

per la prima volta alla modellistica statistico quantitativa alla

base della modellistica finanziaria prevalente.

Il nostro scopo non è quello di analizzare nello specifico la

funzione, ma semplicemente quello di osservare quali sono i

parametri che caratterizzano la distribuzione e ne influenzano la

forma.

Ad una prima osservazione si vede subito come, tranne µ e

σ, le altre grandezze siano delle costanti: “e” è una costante detta

numero di Nepero, già trattato nella dispensa introduttiva al

mercato obbligazionario, all’incirca pari a 2,7

(2,7182818284590452353602874713526624977572470936999595749…); π (pi greco) è

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invece una costante matematica approssimativamente uguale a

3,14 (3,141592653589793238462643383279502884197169399375105820974944592...)

Nella normale µ rappresenta il valore medio della

distribuzione, mentre σσσσ rappresenta la deviazione standard:

dare una rappresentazione dei rendimenti azionari tramite una

distribuzione caratterizzata esclusivamene da tali parametri è

molto semplice. Ed è proprio tale semplicità che giustifica il

ricorso all’ipotesi di normalità dei rendimenti azionari: significa

essere in grado di descrivere interamente le caratteristiche di un

titolo facendo uso di soli 2 valori (µ e σ), facilmente calcolabili.

Come si evince dalla figura in alto, la media ( X ) è il valore attorno al

quale si concentrano il maggior numero di misurazioni effettuate.

Ciò significa che, sapendo che i rendimenti giornalieri di un

titolo si distribuiscono in modo normale (con deviazione standard σσσσ

e media µ), è possibile calcolare la probabilità, ad esempio, che il

rendimento in una certa giornata sia inferiore ad un certo valore

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Rev. 15 VI 2011 7

La normale è simmetrica rispetto alla media:

• Il 50% della distribuzione è sotto la media, quindi la

probabilità di avere dei rendimenti inferiori alla media è

50%.

• La probabilità di ottenere dei rendimenti compresi nel

range media ± una volta la deviazione standard è 0,682

• La probabilità di ottenere dei rendimenti compresi nel

range media ± due volte la deviazione standard è 0,954

• La probabilità di ottenere dei rendimenti compresi nel

range media ± tre volte la deviazione standard è 0,998

Tuttavia, non sempre è possibile gestire i titoli o i portafogli

di titoli facendo ricorso a tale ipotesi: quando l’ipotesi di

normalità dei rendimenti viene meno è necessario ricorrere

all’utilizzo di altri parametri, oltre la media e la varianza, per

stimare i rendimenti dei titoli.

• Asimmetria (Skewness): è un indice statistico che ci

dice quanto il “baricentro” di una distribuzione sia spostato

rispetto al suo valore medio (asse delle ordinate); vediamo

graficamente cosa comporta un’asimmetria a destra

(generalmente utilizzata in finanza per rappresentare la

distribuzione del rendimento dei titoli).

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Rev. 15 VI 2011 8

Risp

Distribuzioni asimmetriche (asimmetria negativa a sinistra; asimmetria positiva a destra)

Rispetto alla normale, l’asimmetria a destra comporta:

- possibilità di piccole perdite con probabilità elevata

- possibilità di alti guadagni con probabilità bassa

• Curtosi: è un indice statistico che ci fornisce indicazioni

circa l’appiattimento della curva su se stessa; se messa a

confronto con una normale, in una distribuzione più ripida della

normale (leptocurtica) la parte più consistente dei rendimenti è

concentrata intorno al valore medio (è quindi meno probabile

andare incontro a rendimenti o troppo negativi o troppo positivi).

Una distribuzione più schiacciata rispetto alla normale si dice

invece platicurtica ed evidenzia una maggiore probabilità di

registrare rendimenti lontani dalla media. La normale ha curtosi

pari a 3; una distribuzione leptocurtica ha indice di curtosi

maggiore di 3; una distribuzione platicurtica ha curtosi minore di

3.

asimmetria

a destra

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Rev. 15 VI 2011 9

2. La Moderna Teoria di Portafoglio

La Modern Portfolio Theory prende le mosse dal modello di

Markowitz, elaborato dall’autore nel corso degli anni ‘50.

L’obiettivo della teoria è quello di individuare le combinazioni

più efficienti di asset allocation partendo dall’universo dei titoli

del mercato. La novità del modello di Markowitz è nella sua

capacità di sintetizzare la complessa architettura del mercato in

poche variabili quantitative (rendimento e rischio), che inserite in

un modello di ottimizzazione permette al gestore di individuare i

portafogli ottimi. Per ogni strumento finanziario è necessario,

quindi, calcolare una coppia di indicatori che ne definiscono in

pieno le caratteristiche: il rendimento atteso e il rischio.

• Il rendimento atteso - la performance complessiva che un

investitore che acquista il titolo può ragionevolmente

attendersi dall’ investimento.

Leptocurtica

molto più “alta” rispetto alla normale

Platicurtica

molto più “schiacciata”

rispetto alla normale

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Rev. 15 VI 2011 10

Rend

atteso

Rischio

A B

C D

• Il rischio – cioè la futura variabilità di quella performance,

la potenziale ampiezza delle sue oscillazioni.

⇒ Fra A e B, a parità di rendimento atteso, l’investitore

razionale sceglierà il titolo A (meno rischioso)

⇒ Fra B e C, a parità di rischio l’investitore sceglierà il

titolo B (rendimento atteso più elevato)

⇒ Fra A e C, l’investitore razionale sceglierà facilmente il

titolo A (rendimento atteso più elevato e rischio inferiore)

⇒ Il problema è scegliere tra D e B: la scelta dipende dalla

propensione al rischio dell’investitore; vedremo più

avanti come effettuare tale selezione.

Ogni strumento finanziario è quindi descrivibile utilizzando una

combinazione di rendimento e rischio. Noti questi due valori ogni

investitore sarà in grado di effettuare le proprie scelte. Infatti

- a parità di rischio, ogni investitore sceglierà gli investimenti

che presentano il maggior rendimento atteso

- a parità di rendimento atteso, ogni investitore sceglierà gli

investimenti che presentano il minor rischio

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Rev. 15 VI 2011 11

2.1 La stima del rendimento di un singolo titolo

Tale stima può essere effettuata utilizzando una serie storica.

Il rendimento atteso del periodo t per il titolo Generali è:

1,

1,

1,

1,,

,

−+

−=

tGen

tGen

tGen

tGentGen

tGenP

D

P

PPR

dove:

tGenP , = prezzo del titolo Generali al tempo t

1, −tGenP = prezzo del titolo Generali al tempo t-1

1, −tGenD = dividendo staccato dal titolo Generali tra t-1 e t

2.2 La stima del rischio di un singolo titolo

Il rischio di un titolo è la variabilità collegata ai suoi

rendimenti: pertanto il rischio può essere calcolato facendo

riferimento al concetto di varianza dei rendimenti:

1

)(1

2

2

=∑

=

n

RRn

t

medioGen

GENσ

Spesso si lavora con la radice quadrata della varianza: la

deviazione standard.

1

)(1

2

=∑

=

n

RRn

t

medioGen

Genσ

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Rev. 15 VI 2011 12

2.3 La stima del rendimento per un portafoglio di titoli

Il rendimento di portafoglio è semplice da calcolare. Il

rendimento è, infatti, una funzione additiva: il rendimento di un

portafoglio è la somma (ponderata per i pesi con cui i titoli

partecipano all’aggregato) dei rendimenti dei titoli che

compongono il portafoglio:

∑=

=n

1i

ti,itp, RxR

Per due titoli (Generali e Telecom) in un portafoglio

equiponderato si ha:

TelGenTelTelGenGenp RRRxRxR ⋅+⋅=⋅+⋅= 50,050,0

2.4 La stima del rischio per un portafoglio di titoli

Diversamente dal rendimento, il rischio di un portafoglio è

legato, oltre che al rischio dei singoli titoli, anche al legame tra

gli stessi. In altri termini, il rischio di un portafoglio dipende

- dai rischi specifici dei singoli titoli (misurati dalle loro

varianze)

- dal rischio sistematico complessivo, che deriva dal

legame (misurato dalla covarianza) fra le coppie dei

rendimenti dei titoli presi a due a due

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Rev. 15 VI 2011 13

E’ d’uso sintetizzare il rischio nella matrice di varianze e

covarianze, che riporta tutte le varianze e le covarianze rilevanti

ai fini del portafoglio. Per 4 titoli A, B, C, D la matrice varianze

covarianze assume la seguente forma

2

2

2

2

DDCDBDA

CDCCBCA

BDBCBBA

ADACABA

σσσσ

σσσσ

σσσσ

σσσσ

Sulla diagonale principale ci sono le n=4 varianze

1

)( 2

2

−=∑

n

RR medeff

Fuori dalla diagonale principale ci sono, invece, le n (n-1)

covarianze:

1

))((

,−

−−=∑∑

n

RRRRi j jmediojimedioi

jiσ

La covarianza è un indicatore che esprime il legame

(positivo, negativo o nullo) fra le variabili. Tale indicatore varia

da meno infinito a più infinito. Ragionando su due titoli A e B:

- se i titoli A e B sono legati positivamente in modo

perfetto (se A sale dell’1%, B sistematicamente –il 100%

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delle volte- sale anch’esso), la covarianza assume

valore positivo massimo pari a +1

- se i titoli A e B sono legati positivamente in modo non

perfetto (se A sale dell’1%, anche B tende a salire

dell’1%, ma non sistematicamente), la covarianza

assume valore positivo inferiore a 1

- se i titoli A e B sono legati negativamente in modo

perfetto (se A sale dell’1%, B sistematicamente scende

dell’1%), la covarianza assume valore negativo pari a

-1

- e i titoli A e B sono legati negativamente in modo non

perfetto (se A sale dell’1%, B scende dell’1%, ma non

sistematicamente), la covarianza assume valore

negativo superiore a -1

- se i titoli A e B sono indipendenti (se A sale dell’1%, B

talvolta sale, talvolta scende, talvolta non si muove), la

covarianza ha valore nullo

E’ usuale riferirsi alla correlazione piuttosto che alla covarianza.

Il vantaggio della correlazione è che tale indicatore si muove

entro un range definito da +1 a -1, ciò dipende dal fatto che

diversamente dalla covarianza (il cui valore dipende dal legame

positivo o negativo fra i titoli e dall’entità dei singoli scarti

ji

ij

ijσσ

σρ =

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Rev. 15 VI 2011 15

rispetto alla media [(Ri – R medio,i) e (Rj – R medio,j)], la

correlazione dipende unicamente dal legame fra gli asset che può

essere perfetto (correlazione +1 o -1), blando (correlazione < +1

o > -1) o nullo (correlazione 0).

- se i titoli A e B sono legati positivamente in modo perfetto

(se A sale dell’1%, B sistematicamente sale dell’1%), la

correlazione assume valore +1

- se i titoli A e B sono legati positivamente in modo non

perfetto (se A sale dell’1%, anche B tende a salire dell’1%,

ma non sistematicamente), la correlazione assume valore

tra +1 e 0

- se i titoli A e B sono legati negativamente in modo perfetto

(se A sale dell’1%, B sistematicamente scende dell’1%), la

correlazione assume valore -1

- se i titoli A e B sono legati negativamente in modo non

perfetto (se A sale dell’1%, B scende dell’1%, ma non

sistematicamente), la correlazione assume valore tra 0 e -1

- se i titoli A e B sono indipendenti (se A sale dell’1%, B

talvolta sale, talvolta scende, talvolta non si muove), la

correlazione assume valore 0

Se si tiene conto di tutte le varianze e covarianze, il rischio

(varianza) di un portafoglio è quindi data da:

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Rev. 15 VI 2011 16

• La somma delle varianze (pesate) dei singoli titoli

(attenzione, i pesi sono elevati a quadrato)

∑ ⋅n

iix1

22 σ

• La somma delle covarianze (pesate) delle diverse coppie

di titoli

∑∑i j jiji xx ,σ

oppure, usando le correlazioni e ricordando che

jijiji σσρσ ,, =

si arriva

jii j jiji xx σσρ∑ ∑ ,

In sintesi, la varianza del portafoglio è:

∑∑∑ +=i j jijii iip xxx ,

222 σσσ versione con covarianze

jii j jijii iip xxx σσρσσ ∑ ∑∑ += ,

222 versione con correlazioni

Dalla formula della varianza di portafoglio si passa a quella della

deviazione standard semplicemente applicando la radice

quadrata.

∑∑∑ +=i j jijii iip xxx ,

222 σσσ versione con covarianze

versione con correlazioni

jii j jijii iip xxx σσρσσ ∑∑∑ += ,

222

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Rev. 15 VI 2011 17

In particolare si deduce facilmente che è possibile ridurre il

rischio di un portafoglio scegliendo azioni che hanno

andamenti non perfettamente correlati in modo positivo.

3. I principi fondamentali della teoria di Markowitz

Gli assunti fondamentali della teoria di portafoglio secondo

Markowitz sono i seguenti:

• Gli investitori intendono massimizzare la ricchezza

finale e sono avversi al rischio.

• Il periodo di investimento è unico (per Markowitz il

tempo non è una variabile rilevante

• I costi di transazione e le imposte sono nulli, le attività

sono perfettamente divisibili.

• Il valore atteso e la deviazione standard sono gli unici

parametri che guidano la scelta.

Dalla formula del rischio si deduce che

il concetto di CORRELAZIONE assume un ruolo rilevante

Il principio base che governa la teoria di Markowitz è che

per costruire un portafoglio efficiente occorre individuare

una combinazione di titoli tale da massimizzare il

rendimento e minimizzare il rischio complessivo

scegliendo titoli correlati il meno possibile.

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Rev. 15 VI 2011 18

Rend

Rischio

• Il mercato è perfettamente concorrenziale.

Un’assunzione basilare del mondo markowitziano riguarda

la distribuzione delle probabilità dei rendimenti, la quale si

ipotizza essere normale. Ciò significa considerare che i prezzi

siano generati da un processo casuale che esprime un valore

medio atteso uguale a µ e una varianza pari a σ2. Tale ipotesi è

molto utile dato che le variabili casuali distribuite

normalmente sono descritte interamente dai soli parametri di

media e varianza; ciò implica che il processo di

ottimizzazione che porta ai portafogli efficienti è decisamente

semplificato.

Vediamo cosa accade limitando l’analisi a due titoli A e B:

15%

10%

10 20

Il rendimento di portafoglio è comunque il 12,5%

0,50 * 0,10 + 0,50 * 0,15 = 12,50%

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Rev. 15 VI 2011 19

Il rischio del portafoglio varia in funzione della correlazione:

211221

2

2

22

1

2 221

σσρσσσ xxxxp ++=

Caso di correlazione perfettamente positiva ρ =1:

σσσσp = 1*0,2*0,1*0,5*0,5*2 +0,2*0,50 +0,1*0,50 2222 = 15%

Se la correlazione fra i titoli è positiva e perfetta (ρ = +1), il

rischio del portafoglio è la media ponderata (in questo caso

aritmetica) dei rischi dei singoli titoli.

Caso di correlazione nulla (ρ = 0)

σσσσp = 0*0,2*0,1*0,5*0,5*2 +0,2*0,50 +0,1*0,50 2222 = 11,18%

Si nota come, con la discesa della correlazione, il rischio del

portafoglio scende. Nel caso di correlazione nulla, il rischio del

portafoglio è di poco superiore a quello del titolo meno rischioso

(10%)

Caso di correlazione perfettamente negativa (ρ = -1)

σσσσp = ( ) 1-*0,2*0,1*0,5*0,5*2 0,2*0,50 +0,1*0,50 2222 + = 5%

In questo caso, il rischio del portafoglio scende in misura

ancora più incisiva. Nel caso di correlazione perfetta negativa, il

rischio del portafoglio è minimo. In questo particolare caso (pesi

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Rev. 15 VI 2011 20

50% e 50%), il rischio è 5%, nettamente inferiore a quello del

titolo A, meno rischioso (10%).

L’impiego del modello di Markowitz richiede l’utilizzo di

due tipi di dati:

• Il vettore degli n rendimenti attesi per le attività da

includere nel portafoglio (queste possono essere indici

rappresentativi di un categoria oppure singoli strumenti

finanziari)

• La matrice delle (n x n) varianze e covarianze, di cui n

sono varianze e (n2 – n) sono covarianze

Per il calcolo del vettore di rendimenti attesi le possibili

soluzioni pratiche sono:

• L’utilizzo dei rendimenti medi storici come proxy dei

rendimenti attesi

• L’impiego di previsioni ricavate da modelli econometrici o

da analisi qualitative

• L’utilizzo di previsioni fornite da istituti specializzati o da

Uffici Studi di altri intermediari

Le misure di rischio vengono generalmente stimate in modo

soddisfacente dai dati storici. Occorre tenere presente che le

soluzioni di asset allocation presentano una sensitività maggiore

agli errori di stima dei rendimenti attesi rispetto agli errori nella

valutazione delle misure di rischiosità.

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Rev. 15 VI 2011 21

3.1 Il modello di Markowitz: punti di forza e limiti

Prima di continuare, è opportuno sintetizzare i concetti principali

del lavoro di Harry Markowitz:

1. la creazione di portafogli efficienti in ottica media varianza

dipende dalle caratteristiche di rischio rendimento dei titoli

e dalla relazione esistente fra gli stessi titoli. Se il

rendimento di un portafoglio è la somma ponderata dei

rendimenti dei singoli titoli, il suo rischio dipende dalla

varianza dei rendimenti di ciascun asset e dalla covarianza

fra i rendimenti degli asset presi a due a due.

2. Un punto cruciale della Modern Portfolio Theory è la

possibilità di potente riduzione del rischio di portafoglio,

attraverso la selezione di titoli poco correlati (se la

correlazione è positiva) o molto correlati in negativo.

3. Quando si introduce un titolo in un portafoglio ciò che

rileva è il suo contributo alla rischiosità totale (in altri

termini, se aumenta o fa scendere il rischio medio

dell’aggregato).

4. la frontiera che individua le combinazioni di n asset

rischiosi è concava (salvo il caso limite di frontiera lineare

per attività correlate in modo perfettamente positivo). La

parte superiore della frontiera (al di sopra del minimum

variance portfolio) isola le combinazioni efficienti mean

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Rev. 15 VI 2011 22

variance (dato il livello di rischio, hanno il massimo

rendimento atteso).

5. L’investitore razionale sceglierà pertanto il suo portafoglio

lungo la frontiera in funzione della sua personale attitudine

al rischio.

Il forte contributo del modello è quello di essere stato

pioneristico per l’analisi dei portafogli mobiliari; fino ad allora

l’analisi dei money manager era prevalentemente incentrata sui

singoli titoli, e il “portafoglio” inteso come entità sintetica del

rendimento e del rischio delle attività detenute non era percepito

come essenziale. Ciò implica che il mercato professionale di fatto

ignorava l’esistenza della correlazione tra le variabili e, con essa,

i benefici della diversificazione.

Il modello di Markowitz è quindi un modello normativo che detta

le regole per la corretta rappresentazione delle opportunità di

investimento e per la selezione di portafogli efficienti. Il punto di

forza del contributo di Markowitz è l’aver stabilito una

relazione tra rischio e rendimento atteso, l’aver “concepito” la

figura dell’investitore razionale nell’obiettivo di

massimizzazione dell’utilità attesa e l’aver identificato l’obiettivo

finale di realizzazione dei portafogli efficienti.

Le ipotesi alla base del modello non sono particolarmente

stringenti né irrealistiche (investitori razionali, che massimizzano

l’utilità attesa, beni perfettamente divisibili, assenza di costi di

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negoziazione od imposte), e sono funzionali all’obiettivo di

ottimizzazione.

Il modello, nella forma iniziale proposta da Markowitz, ha

presentato, tuttavia, ben presto degli evidenti punti di debolezza,

il cui limite è emerso prevalentemente dagli anni più recenti, in

cui l’industria del risparmio gestito ha avuto una spinta

particolarmente forte. I “limiti” dell’approccio markowiziano

standard sono sintetizzati dai seguenti punti:

• Elevata sensibilità dell’output ai dati di input utilizzati.

Il risultato ottenuto (il portafoglio ottimo) è fortemente

instabile, in quanto legato a doppio filo ai dati storici

utilizzati per la stima del rendimento atteso e del rischio

degli asset presenti nel mercato. Una lieve modifica di tali

dati (aggiornamento delle serie storiche utilizzate, o

inserimento di altri titoli) determina una fluttuazione

considerevole degli asset da inserire nel portafoglio ottimo

e dei loro pesi nell’aggregato.

• Generazione di soluzioni estreme. Spesso

l’ottimizzazione “alla Markowitz” fornisce soluzioni

d’angolo: se l’obiettivo unico è ottimizzare, il calcolatore

tende naturalmente a selezionare poche attività, in genere

due, una migliore e una peggiore in ottica

rendimento/rischio. Identificati i due asset, il software

markowitziano venderà allo scoperto una quota “enorme”

del titolo inefficiente (basso rendimento atteso in relazione

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al rischio elevato) e investirà tutto in quello efficiente

(esempio: -785% nell’attività A e + 885% nell’attività B).

Si comprende facilmente che tale soluzione “estrema” è

fortemente instabile: l’aggiornamento giornaliero dei dati

facilmente modificherà la identificazione del “migliore” e

del “peggiore” e quindi determinerà una radicale modifica

del portafoglio “ottimo” che risulterà essere sempre una

soluzione d’angolo che lavora su due/quattro asset, diversi

da quelli precedenti. Il problema determinato dall’utilizzo

non coerente del modello matematico non vincolato ad

obiettivi diversi dall’ottimizzazione pura è a questo punto

evidente: il gestore si troverebbe davanti a soluzioni

“pseudo-ottime”, che cambiamo radicalmente anche a

distanza di pochi giorni e che non rispondono all’obiettivo

primario della diversificazione. Si tratta di limiti eccessivi,

poco giustificabili anche nei confronti della clientela.

• Problematiche evidenti nella selezione dei dati. Dal

punto precedente, emerge una problematica evidente di

scelta delle serie storiche e di campionamento; una

“cattiva” scelta ha effetti negativi importanti sulle funzioni

“previsive” dei rendimenti attesi che non possono essere

corretti attraverso l’intervento del gestore, a causa della

rigidità della soluzione di ottimizzazione.

• Assenza di un livello di confidenza dei rendimenti

attesi. Il modello non fornisce, infatti, alcun livello di

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confidenza che possa fornire indicazioni in merito ai

possibili scostamenti dai valori attesi.

• Limite dell’indicatore di rischio deviazione standard.

L’utilizzo della varianza o della deviazione standard non è

ottimale, ma si rivela prevalentemente una scelta di

comodo. La deviazione standard, infatti, non è una

“buona” misura del rischio finanziario, in quanto fornisce

solo la volatilità del rendimento atteso. Una migliore

misura del rischio di chi investe in attività finanziarie è,

invece, quella che definisce un livello di perdita massimo o

un riferimento alla probabilità di un movimento negativo o

positivo dei rendimenti.

• Quantità dei dati da gestire in ottimizzazione. Il numero

dei parametri da stimare cresce con la dimensione del

portafoglio, in maniera molto più che proporzionale.

Lavorando su n titoli si devono gestire n medie, n varianze

e n(n-1)/2 covarianze. Volendo lavorare, ad esempio, sui

40 titoli del “piccolo” FTSE-MIB i parametri da gestire

sarebbero già 860!

• Assenza di diversificazione. A differenza di quello che

credono i più, l’ottimizzazione alla Markowitz NON

restituisce sempre portafogli diversificati, come esplicitato

in un punto precedente. La soluzione classica è quella di

determinare portafogli poco diversificati. Questo accade

perché l’algoritmo ha come obiettivo unico quello di

massimizzare la redditività a parità di rischio, e per far

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questo identifica le asset class migliori, e “riempe” i

portafogli di questi mercati. Il modello genera, quindi,

soluzioni di portafoglio concentrato su poche attività

estreme, e non un portafoglio diversificato tra i principali

segmenti del mercato finanziario.

• Esclusione di attività valide. La logica

dell’ottimizzazione spinta tende ad escludere totalmente

asset o mercati di poco meno redditizi (a parità di rischio)

di altri, già selezionati: se A è l’asset efficiente

(massimizza il rendimento con il minimo rischio),

l’ottimizzatore “punterà” tutto su tale asset ed escluderà un

eventuale mercato B, che a parità di rischio presenti un

rendimento atteso di poco inferiore.

• Massimizzazione degli errori di stima. L’ottimizzazione

alla Markowitz produce la massimizzazione dei

rendimenti, ma essa porta inevitabilmente con sé la

massimizzazione degli errori di stima. L’allocazione dei

portafogli, come specificato in un punto precedente,

cambia drasticamente a seguito di piccole variazioni dei

parametri di stima (problema degli errori di stima.

A tali limiti risponderanno modelli successivi, che affronterete in

un diverso momento del vostro percorso.

Una ulteriore precisazione sul modello di Markowitz è

opportuna. Si precisa, e si vuole sottolineare a chi legge che non

si tratta, infatti, di un modello di equilibrio, in grado di delineare

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il rendimento congruo di ogni asset caratterizzato da un

determinato grado di rischio. Partendo dal lavoro di Markowitz,

altri economisti cominciarono a occuparsi di analisi dei

portafogli con l’obiettivo principale di individuare un modello di

equilibrio per il mercato

azionario (o più in generale per il mercato degli asset rischiosi).

Il primo fondamentale contributo fu quello di Tobin, che

introdusse nell’analisi, accanto alle attività rischiose, un’attività

senza rischio (risk-free).

4. La costruzione della frontiera efficiente

La costruzione della frontiera efficiente è il tentativo di dare

una rappresentazione grafica ai concetti appena espressi.

La figura seguente riporta quattro diversi casi di frontiera

efficiente (ρ=+1, frontiera lineare continua e a seguire,

nell’ordine, ρ = +0.5, ρ = +0, ρ = -0,5)

Si definisce frontiera efficiente l'insieme di quei

portafogli, cosiddetti dominanti, che a parità di

rendimento sono i meno rischiosi oppure che a

parità di rischio sono quelli più redditizi.

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Classicamente (correlazione diversa da +1 e -1), la frontiera è

concava come nella figura che segue.

• La frontiera è un insieme infinito di portafogli ottimali,

nel senso che ognuno di essi ottimizza il rapporto

rendimento/rischio. Con riferimento alla figura precedente,

pertanto, si riconosce che la scelta del portafoglio A piuttosto che

B dipende dalla propensione al rischio dell'investitore.

Rp

σp

A B

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Rev. 15 VI 2011 29

• Un investitore maggiormente propenso al rischio si

ritroverà a scegliere il portafoglio B, perché esprime un

rendimento atteso maggiore, mentre per un investitore meno

propenso al rischio la scelta ricadrà, presumibilmente, sul

portafoglio A.

L’attività risk free ha rendimento certo (Rf), rischio nullo, e

non è correlata con le altre attività rischiose. Nelle pagine

seguenti, si potrà verificare che l’introduzione dell’attività Rf

fa sì che la frontiera diventi lineare.

5. Il modello di Tobin: quale contributo alla Moderna

Teoria di Portafoglio?

Tobin introduce nel modello di Markowitz la possibilità di

investire anche nei titoli a reddito fisso, che offrono un

rendimento privo di rischio pari a rf.

L’introduzione dell’attività senza rischio (punto Rf sull'asse

delle ordinate) fa sì che la frontiera diventi una retta tangente

alla frontiera efficiente ricavata per le attività rischiose.

Introduciamo adesso un'attività priva di rischio: la frontiera

efficiente deve tenere conto del punto Rf sull'asse delle ordinate.

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Rev. 15 VI 2011 30

• E’ possibile comporre dei portafogli contenenti mix di

titoli rischiosi e di risk-free.

• Sul piano rischio-rendimento (vedi figura sopra) il titolo

risk free (essendo caratterizzato da varianza del

rendimento nulla) si posiziona certamente sull’asse delle

ordinate.

• Il luogo dei portafogli composti da un qualsiasi fondo di

titoli rischiosi (ad esempio P) e dal titolo a reddito fisso è

rappresentato dal segmento rf–P.

• Nel caso in cui sia possibile indebitarsi al tasso rf (=

vendere allo scoperto il titolo a reddito fisso), si può

procedere anche sulla linea retta oltre il punto P.

La differenza tra il rendimento privo di rischio e il

rendimento espresso dall'attività rischiosa

è denominato premio al rischio.

Rf

Rp

σσσσp

P

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M

La retta cosi determinata è la frontiera fra Rf e il singolo

titolo P. La condizione perché la frontiera sia lineare è che

esistano due attività, una rischiosa e una risk free. La condizione

perché la frontiera sia “di mercato” è che “mixi” l’attività senza

rischio con tutte le attività di mercato. La condizione aggiuntiva,

che nasce da questi due vincoli, è che oltre a Rf, esista una sola

attività rappresentativa dell’intero mercato dei titoli rischiosi.

Questa è il portafoglio M, che contiene tutti i titoli del mercato,

con pesi ottimali in funzione della capitalizzazione. In pratica, M

è un indice che contiene tutti i titoli rischiosi.

6. Un’introduzione alla Capital Market Line

La ‘nuova’ frontiera è nota come ‘Capital Market Line’

(CML). La CML rappresenta l’insieme dei portafogli

efficienti che possono essere individuati investendo

nel titolo risk free e nel portafoglio di mercato

(che contiene tutti i titoli rischiosi)

E(RM)

Rf

σM

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L’equazione della CML è:

La CML in pratica serve ad individuare il rendimento di

equilibrio dei portafogli rischiosi. Si ipotizzi, ad esempio, di

avere i seguenti dati:

Rf = 2%

E(Rm) = 8%

σm = 10%

e di voler trovare il rendimento di equilibrio di un

portafoglio con deviazione standard pari al 15%. Applicando la

formula della CML si ottiene:

E(Rp) = 2% + [(8%-2%)/10%] * 15% = 11%

Possiamo concludere che, nel caso in cui la deviazione

standard sia pari al 15%:

• Il portafoglio sarà collocato sulla CML se il rendimento è

11%

• Il portafoglio sarà collocato sopra la CML se il rendimento è

maggiore dell’11%

• Il portafoglio sarà collocato sotto la CML se il rendimento è

inferiore all’11%.

p

M

fM

fp

RRERR σ

σ⋅

−+=

)(

Tutti i portafogli hanno

rendimento pari almeno

al tasso senza rischio

Premio per il

rischio per

unità di rischio

Entità del

rischio

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7. Sharpe. Il Single Index Model

Una delle maggiori critiche che si pone al modello di

Markowitz è quella relativa ai costi computazionali del processo

di ottimizzazione effettuato su n rendimenti, n varianze e (n2-n)

coefficienti di correlazione:

Cerchiamo di comprendere perché ciò accade. Tramite il

modello di Sharpe si può scindere il rischio in due parti:

• Il rischio sistematico che esprime quella parte di

variabilità dei rendimenti determinata dai fattori sistematici.

• Il rischio non sistematico o specifico che esprime quella

parte di variabilità dei rendimenti determinata dai fattori

aziendali e specifici.

La riduzione del rischio non sistematico si attua con la

diversificazione naif (incremento del numero di titoli in

portafoglio), il rischio sistematico, invece, non è diversificabile,

può essere coperto unicamente attraverso operazioni di copertura

in derivati.

Il modello di Sharpe offre una drastica riduzione dei dati

necessari alla valutazione dei portafogli efficienti

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Il rendimento di un titolo è scindibile in:

erroreRR MGenGenGen ++= *βα

Il rischio di un titolo è scindibile in:

• Partendo dal presupposto che la covarianza positiva fra le

diverse coppie di azioni deriva dal comune legame con il

mercato, il modello di Sharpe tenta di risparmiare calcolando la

covarianza fra singolo titolo e mercato e dividendola per la

varianza del mercato. L’indicatore cosi costruito è il coefficiente

beta.

RENDIMENTO

SISTEMATICO SPECIFICO

Dipende dal rendimento del

mercato Rm, ed è legato ad

esso tramite il parametro β

α + errore

VARIANZA

SISTEMATICA SPECIFICA

MERCATOTITOLO22 *σβ ERRORE

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Rev. 15 VI 2011 35

• il coefficiente beta è calcolato rapportando la covarianza

fra titolo e mercato e la varianza del mercato. Per il titolo

Generali, si calcola la covarianza fra i rendimenti di Generali e i

rendimenti di un indice (ad es. il FTSE MIB40) e si rapporta il

tutto alla varianza dell’indice.

( )( )indice

indiceGENGEN

R

RR

var

,cov=β

- se la covarianza titolo/mercato è in linea con la varianza

del mercato, il beta tende ad uno (titolo neutrale, tende a

replicare le performance dell’indice)

- se la covarianza titolo/mercato è superiore alla varianza

del mercato, il beta è maggiore di 1 (titolo aggressivo,

tende ad amplificare le performance dell’indice)

- se la covarianza titolo/mercato è inferiore alla varianza

del mercato, il beta è inferiore ad 1 (titolo difensivo,

tende a smorzare le performance del mercato)

- Il portafoglio di mercato ha ß=1, in quanto la varianza fra

mercato e mercato è la varianza del mercato, che divisa

per la varianza del mercato dà il valore 1.

L’esistenza di due rischi distinti (quello sistematico e quello

specifico) permette una trattazione separata degli stessi, cioè

consente di scindere la gestione dell’alfa (strategie di rischio

specifico) da quella del beta (strategie di rischio sistematico).

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8. Il Capital Asset Pricing Model

Il Capital Asset Pricing Model è un modello di equilibrio che

permette di individuare il rendimento equo di un portafoglio dato

il suo profilo di rischio.

La versione base del CAPM è la Capital Market Line, vista in un

paragrafo precedente. Le ipotesi di base della CML sono:

- Il periodo di investimento è unico

- Il rendimento atteso e la varianza sono gli unici parametri

che influenzano la scelta

- Le attività sono perfettamente divisibili

- C’è assenza di costi transazione

- Tutti gli investitori hanno la medesima possibilità di

investire

- Le informazioni sono liberamente e istantaneamente

trasferibili

- Gli investitori hanno aspettative omogenee

- Il tasso privo di rischio è unico per tutti gli investitori

8.1 La CML

Tobin, introducendo l’attività priva di rischio, dimostra che

la frontiera efficiente è lineare; il portafoglio ottimo si trova sulla

frontiera, ed è il risultato dell’intersezione tra l’attività Rf e la

tangente all’insieme concavo.

Tale frontiera lineare, come abbiamo visto, prende il nome di

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Rev. 15 VI 2011 37

Capital Market Line: La Capital Market Line fornisce il

rendimento atteso di equilibrio di un portafoglio efficiente.

p

m

fmf

RRERRpE σ

σ

−+=

)()(

La CML afferma che in equilibrio, il rendimento di un titolo

rischioso dipende dal rischio. Si noti che il premio di rischio (Rm-

Rf) / σM che remunera ogni unità di deviazione standard è il

premio di rischio di mercato. Poiché il portafoglio di mercato è

perfettamente diversificato (in senso naif) esso contiene solo

rischio sistematico (la diversificazione naif annulla, infatti, il

rischio specifico). Il punto ha una rilevanza chiave: la CML

premia solo l’assunzione di rischio sistematico, diversificare

diventa un obbligo.

Il rischio si misura con la deviazione standard, ma questa

coincide con il rischio sistematico solo per portafogli

diversificati. La relazione rendimento rischio CML, di

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Rev. 15 VI 2011 38

conseguenza, vale solo per portafogli perfettamente diversificati

e gestiti passivamente (per essi, infatti, σP = σSIST).

Per tutti gli altri portafogli, è necessario utilizzare una

relazione diversa, la Security Market Line (SML).

8.2 La SML

In un portafoglio diversificato in senso naif (contenente un

numero n di titoli elevato), il rischio coincide con la varianza

sistematica. Se si usa il modello dell’indice singolo, la varianza

sistematica si stima come 22

MTITσβ e la deviazione MTITσβ .

Se prendiamo la CML

p

m

fmf

RRERRpE σ

σ

−+=

)()(

e sostituiamo a σP l’espressione βσM,

MP

m

fmf

RRERRpE σβ

σ

−+=

)()(

si semplifica in

[ ] Pfmf RRERRpE β−+= )()(

La relazione è la SML. La relazione afferma che il rendimento

di equilibrio dipende dal tasso risk free e dal premio per il

rischio per unità di beta moltiplicato per il beta.

La limitazione del modello risiede nel fatto che non considera

né i portafogli inefficienti né i singoli titoli.

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Rev. 15 VI 2011 39

Mentre la CML esprime la relazione rischio-rendimento per

portafogli efficienti e perfettamente diversificati, la Security

Market Line esprime la medesima relazione per qualsiasi titolo o

portafoglio di titoli.

Il Capital Asset Pricing Model (CAPM) è un modello che:

- Misura il rendimento atteso del singolo titolo, in

funzione del rischio dell’investimento; l’investitore,

come sottolinea Sharpe, si trova di fronte due prezzi: il

price of time, o tasso di interesse puro, e il price of risk

ossia il prezzo del rischio relativo a ciascuna unità di

rendimento atteso addizionale.

- Propone la linearità fra rischio e rendimento; in

equilibrio, il rendimento atteso di ogni titolo è misurato

dal risk free più un premio per il rischio addizionale in

proporzione al contributo marginale che il titolo

apporta alla rischiosità del portafoglio.

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- Il premio è una forma di remunerazione del solo

rischio sistematico e non del rischio totale, in linea con

la CML.

8.3 Limiti del CAPM

- Gli investitori sono price takers, in un mercato

concorrenziale nessuno di loro riesce ad influire sul

prezzo.

- L’orizzonte di investimento è uniperiodale

- Si può negoziare qualsiasi quantità di titoli: ipotesi

poco realistica

- Assenza di tasse e costi di transazione

- Tutti gli investitori analizzano i titoli nello stesso modo

con le stesse stime probabilistiche

- Distribuzione normale dei rendimenti: la realtà

spesso smentisce tale ipotesi

- Per il CAPM il beta è l’unico fattore in grado di

spiegare i rendimenti

9. Il modello di Fama- French

Nel corso degli anni il CAPM ha subito numerose critiche e

l’idea che il beta non fosse l’unico fattore in grado di spiegare i

rendimenti dei titoli azionari, ha preso sempre più corpo.

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French e Fama hanno argomentato (e statisticamente

dimostrato sul mercato azionario USA) che le variabili sfruttabili

sul mercato azionario per calibrare i rendimenti attesi di

portafoglio sono tre

1) Il premio per il rischio di mercato

2) La dimensione media delle società oggetto d'investimento

3) Il grado di sovra-sottovalutazione delle società oggetto

d'investimento, misurato dal rapporto BE/ME (rapporto tra

valore contabile e valore di mercato)

ME

BEMEDimensioneRR Mp 321 )( βββα +++=

La prima variabile è la stessa contemplata nel CAPM.

In base alla seconda variabile, i rendimenti dei portafogli

tendono a diminuire man mano che aumenta la dimensione

media delle società oggetto d'investimento: in questo modo

sarebbe possibile lucrare un extrarendimento rispetto al

premio per il rischio globale del mercato azionario

privilegiando investimenti in società piccole e medie.

Le ragioni del fenomeno sarebbero le seguenti:

a. opportunità di crescita superiori delle small-middle cap

rispetto alle large cap, in quanto più spesso appartenenti a

settori emergenti;

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Rev. 15 VI 2011 42

b. le società minori - quando confrontate con quelle maggiori

dello stesso settore - sfrutterebbero i maggiori spazi di

crescita loro consentiti.

La terza variabile è espressa dalla valutazione delle società

quotate.

10. Il modello del dividendo

Uno degli scopi principali dell’analisi finanziaria consiste

nell’individuare i titoli non correttamente prezzati e di

conseguenza nel fornire delle indicazioni circa i titoli da

acquistare o vendere.

Tali modelli si fondano su una teoria economica

comunemente accettata che afferma che se il mercato è

efficiente, i prezzi azionari riflettono, nel lungo periodo, la

somma dei valori attualizzati di tutti i proventi futuri, ad un

tasso di attualizzazione proporzionale al rischio.

I modelli basati sull’attualizzazione dei dividendi possono

essere impiegati sia per stimare il valore teorico dei titoli azionari

sia per scegliere quali titoli comprare e quali vendere. Se non c’è

coincidenza fra prezzo teorico e prezzo di mercato, per

l’operatore bene informato esiste la possibilità di realizzare dei

profitti :

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Rev. 15 VI 2011 43

• vendendo i titoli che in base al modello di valutazione

risultano sopra-quotati

• acquistando quelli sotto-quotati.

Esistono più versioni del modello a seconda delle ipotesi sul

tasso di crescita dei dividendi

• modello di crescita costante

• modello a due stadi di crescita

10.1 Modello di crescita costante

dove:

• D1 = dividendo dell’anno successivo

• k = tasso di rendimento richiesto

• g = tasso di crescita costante (perpetuo) dei dividendi

Input necessari alla costruzione del modello:

tasso di crescita costante e perpetuo dei dividendi (g)

tasso di rendimento richiesto (k)

k = RF+ β x (premio per il rischio)

premio per il rischio = [E(RM – RF)]

Valore titolo = D1 / (k – g)

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Tasso di crescita g +

Tasso di rendimento K -

Dividendo D1 +

Pregi del modello

Di semplice applicazione

Limiti del modello:

Può essere utilizzato nella valutazione di imprese mature che

crescono a un tasso costante assimilabile a quello dell’economia

e hanno politiche di distribuzione dei dividendi consolidate

E’ un modello estremamente sensibile alla differenza (k – g); al

convergere di k a g, il valore tende all’infinito

10.2 Modello di crescita a due stadi

Il modello ipotizza due fasi:

� una iniziale di crescita straordinaria (g1)

� una in cui il tasso di crescita (g2) è stabile nel lungo termine

Valore titolo

St = D (1 + g1)t / (1 + k)t +Dn+1/(1+ k)

n(k – g2)

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Rev. 15 VI 2011 45

dove:

g1= tasso di crescita del periodo straordinario

n = durata periodo straordinario

g2 = tasso di crescita perpetuo dall’anno n+1 in poi

Limiti del modello

• Difficoltà nella stima della durata del periodo di valutazione

(n)

• Sensibilità pronunciata alla differenza tra k e g2