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Montecassino Una grande e discussa battaglia A cura di Giuseppe Bufardeci

Montecassino - Altervistapqr.altervista.org/battaglie/Montecassino.pdf · 2.4 La seconda battaglia di Montecassino 56 2.5 La decisione di bombardare il monastero 57 2.6 Attacco a

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  • Montecassino Una grande e discussa battaglia

    A cura di Giuseppe Bufardeci

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    Sommario

    Prefazione 2

    Introduzione 6

    1. Verso Montecassino - Contesto storico 8

    1.1 Lo sbarco in Sicilia (Operazione Husky) 11

    1.2 Sul continente italiano 15

    1.3 L’avanzata verso la linea Gustav 21

    2. La battaglia di Montecassino 31

    2.1 Gli avversari 32

    2.2 La prima battaglia di Montecassino 41

    2.3 Lo sbarco di Anzio (Operazione Shingle) 54

    2.4 La seconda battaglia di Montecassino 56

    2.5 La decisione di bombardare il monastero 57

    2.6 Attacco a quota 593 63

    2.7 Una pausa di sofferenza e la terza battaglia di Montecassino 69

    2.8 La stabilizzazione del fronte 79

    2.10 La quarta battaglia di Montecassino 81

    3. I costi umani 97

    4. Un premio per il generale Clark 97

    5. Le marocchinate 101

    6. Fu vera gloria? 103

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    Prefazione

    Descrivere in poche pagine la battaglia di Montecassino nei particolari è impossibile e questo mio scritto non lo pretende. Lo scontro durò quattro mesi, gli storici anglosassoni lo suddividono in quattro fasi distinte, mentre quelli tedeschi in tre (cosiddette battaglie per Cassino). Anche se la versione tedesca è più realistica in termini cronologici, a fini narrativi si preferisce adottare la prima suddivisione. Le battaglie si caratterizzarono per una serie di combattimenti in modalità di guerra di trincea con attacchi e contrattacchi, che spesso lasciarono le posizioni dei contendenti fondamentalmente invariate. Per chi volesse approfondire rimando ai molti libri scritti sul tema. Da uno di questi, in particolare, ho estratto e sunteggiato molti passi unendoli ad altri, a loro volta, ricavati da altri libri, articoli e siti web di storia. Mi sono dilungato un po’ di più sul contingente polacco rispetto alle (molte) altre nazionalità militari presenti sul fronte di Cassino. La ragione è personale, ho voluto fare un mio modestissimo omaggio al popolo polacco. Ho vissuto e lavorato per più di quattro anni in Polonia (1997-2002) e ho una grande ammirazione per questo paese. Il popolo polacco ha alle spalle una tragica storia di oppressione lunga secoli1 e, nell’era moderna, a parte il periodo tra il 1918 ed 1939, esiste come nazione libera e indipendente solo dal 1989. La Polonia tra il 1945 il 1988 é stata il frutto amaro di un regime imposto e di drammatici cambiamenti di confini. Questo popolo ha sempre amato e ammirato molto l’Italia, anche prima di papa Giovanni Paolo II ed in più nel nostro paese c’è Montecassino, che per i polacchi, ha rappresentato e rappresenta più di un semplice fatto d‘armi, per quanto glorioso. Posso affermare, con una certa cognizione di causa, che non sarebbe concepibile un giro turistico organizzato dalla Polonia per l’Italia, anche molto breve, che non comprendesse una visita a Montecassino ed in particolare al cimitero di guerra polacco. Le fonti bibliografiche qui di seguito mi hanno consentito questo dilettantesco e non a fini di lucro esercizio di storia. Ne ringrazio gli autori. Bibliografia: 1) Montecassino, Matthew Parker, il Saggiatore, 2007; 2) Inferno il mondo in guerra, Max Hastings, Neri Pozza, 2012; 3) Storia di una sconfitta, B. H. Liddel Hart, BUR, 1950.

    Indispensabili i contenuti di alcuni siti web da cui ho tratto resoconti, articoli e fotografie: 1) http://www.dalvolturnoacassino.it: sito dedicato interamente alla battaglia di Montecassino, veramente esaustivo, fonte preziosa ed inesauribile di notizie e fotografie, molto ben curato; 2) http://www.liberationtrilogy.com: sito da dove ho preso alcune bellissime fotografie storiche della campagna d’Italia e del fronte di Montecassino in particolare; 3) http://www.historiamilitaria.it: sito da cui ho parzialmente tratto un episodio della terza battaglia;

    1 La storia del nostro Risorgimento ha delle similitudini con la storia della Polonia nel diciottesimo secolo. Tali affinità hanno portato patrioti polacchi a combattere in Italia e viceversa. Metto di seguito le parole dell’ultima strofa (non si arriva mai a cantarla) dell’inno di Mameli: Son giunchi che piegano le spade vendute: già l'Aquila d'Austria le penne ha perdute. Il sangue d'Italia, il sangue polacco, bevè, col cosacco, ma il cor le bruciò.

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    4) http://www.polonia-wloska.org: sito dell’Associazione delle Famiglie dei Combattenti Polacchi in Italia da cui ho estratto stralci della vita del generale Anders; 5) wikipedia: sito web in lingua italiana e inglese. Ottobre 2013

    1. Paracadutisti tedeschi (fallschimjager) della 1a divisione detti “Diavoli verdi”.

    Protagonisti a Montecassino

    2. Ufficiale britannico (4o London irish rifles)

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    3. Soldato della 34a divisione statunitense “Red Bull”

    4. Fanti polacchi

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    5. Autiste francesi del Corpo di spedizione francese (C.E.F. Corps Expeditionnaire Français)

    6. Carristi canadesi e fanti indiani in un momento di riposo

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    Introduzione La Seconda guerra mondiale rappresenta nella percezione collettiva la guerra “giusta”, che ha visto nazioni unirsi per abbattere la tirannia simboleggiata dal fascismo europeo e dal militarismo giapponese. Il concetto di moralità o meno di una guerra si fa usando come pietra di paragone questo conflitto. Nel dimenticatoio è invece caduta la Prima guerra mondiale, la “Grande Guerra2”. Il concetto di guerra di trincea, il filo spinato, i gas, sono ambientazioni che non ci appartengono più. Persino nei giochi strategici, elettronici o da tavolo, è rarissimo che il combattimento riguardi la Prima guerra mondiale. Essa, però è stata, e non marginalmente, fra le cause della seconda. Il pensiero prevalente tra i due conflitti era che le nuove tecnologie militari avrebbero evitato i massacri insensati che avevano caratterizzato la guerra precedente. La meccanizzazione, i sommergibili, l’arma aerea, avrebbero fatto sì che il conflitto fosse contraddistinto dalla rapidità e brevità degli scontri. Insomma una guerra molto diversa, nuova, più asettica se vogliamo. Si diceva che, dopo il primo conflitto mondiale, i generali avessero fatto tesoro della tragica lezione e massacri indiscriminati non ce ne sarebbero stati più. Qualcuno, però, obbiettò ironicamente: “Ma come si può vincere se non con le carneficine, chiedo io?3” Le battaglie della Seconda guerra mondiale smentirono la speranza che non ci sarebbero state più stragi, ed oltretutto quella di Montecassino si svolse in una condizione che replicò esattamente una battaglia della Grande Guerra. Il terreno fece sì che i carri armati fossero inutili e un buon mulo, al contrario, di molto maggior vantaggio. La superiore disponibilità degli Alleati in aerei e artiglieria fu poche volte decisiva, ma spesso divenne un ostacolo. La maggior potenza di fuoco causò per “fuoco amico” un terzo dei caduti tra gli Alleati in Italia. Un soldato americano a Cassino si lamentò che nella sua divisione erano stati uccisi più uomini dai bombardieri americani che dalla Luftwaffe. Un ulteriore svantaggio per gli Alleati fu che le forze coinvolte comprendessero un grande numero di nazionalità diverse4, e anche tra gli stessi gruppi nazionali le differenti etnie erano numerose5. Tutto ciò escludeva grandi fedi nazionalistiche e unità d’intenti. Senza parlare delle diffidenze e gelosie. Queste truppe furono per lo più mal comandate e non ben equipaggiate. I soldati capivano, con frustrazione, di come la campagna in Italia, pur così irta di sofferenze e difficoltà, fosse relegata dalla stampa in secondo piano e considerata di importanza strategica inferiore. Soprattutto dall’estate 1944, l’esito della guerra dipendeva dai fronti francesi e orientali, quindi tutta l’attenzione era concentrata in quei luoghi. I militari in Italia ricevettero sempre meno considerazione. I soldati cantavano amaramente: “Evitiamo il D-Day al sole dell’Italia, sempre a bere vino, sempre a far baldoria”. I tedeschi erano messi ancora peggio in tutti i settori: dai rifornimenti delle granate d’artiglieria (una per ogni cinque ricevute dai nemici), al cibo, al vestiario (molti soldati morirono assiderati). I due schieramenti si fronteggiarono a distanze anche di soli venti – trenta metri. Spessissimo furono applicate delle tregue per consentire di raccogliere i propri feriti. I barellieri delle due parti lavorarono gomito a gomito. Grande era lo smarrimento di dovere ricominciare ad uccidersi alla ripresa delle ostilità. Montecassino fu la più grande battaglia combattuta in Europa, molti tedeschi la giudicarono anche peggiore di Stalingrado.

    2 La Prima guerra mondiale fu anche chiamata la Grande Guerra poiché in precedenza non si era mai visto un conflitto con caratteristiche di guerra totale. Questo fino al 1939. 3 Evelyn Arthur John Waugh (Londra, 28 ottobre 1903 – Taunton, 10 aprile 1966) scrittore britannico. 4 Oltre agli inglesi e americani (gli Alleati), le altre forze erano formate da neozelandesi, canadesi, nepalesi, indiani, francesi, belgi, sudafricani, tunisini, algerini, marocchini, senegalesi, polacchi, italiani e persino brasiliani. 5 Nativi americani, americani di origine giapponese e maori.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Londrahttp://it.wikipedia.org/wiki/28_ottobrehttp://it.wikipedia.org/wiki/1903http://it.wikipedia.org/wiki/Tauntonhttp://it.wikipedia.org/wiki/10_aprilehttp://it.wikipedia.org/wiki/1966http://it.wikipedia.org/wiki/Scrittorehttp://it.wikipedia.org/wiki/Regno_Unito

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    7. Cassino dopo il bombardamento aereo e d’artiglieria del 15 marzo 1944.

    Un giornalista, dopo averne visto la distruzione scrisse: “Sprout after sprout of black smoke leapt from the earth and curled upward like some dark forest”. (Germoglio dopo germoglio di fumo nero sorto dalla terra e attorcigliato verso l’alto come una sorta di scura foresta). (www.liberationtrilogy.com)

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    1. Verso Montecassino - Contesto storico

    Perché gli Alleati si ritrovarono in Italia e di conseguenza a Montecassino? La vittoria sulla Germania dipese dalla sconfitta della Wehrmacht e il conto maggiore lo pagò L’Unione Sovietica con il 95% delle perdite militari dei tre grandi alleati. La Gran Bretagna sfidò Hitler nel 1940-41 praticamente da sola. Gli Stati Uniti contribuirono grandemente allo sforzo per la sconfitta tedesca rifornendo massicciamente di aiuti i due alleati e costruendo grandi flotte aeronavali. I bombardamenti strategici degli Alleati ebbero pesanti conseguenze sulla Germania, ma rimandando lo sbarco sul continente europeo fino a metà del 1944, non ci sono dubbi che il loro ruolo nella sconfitta della Wehrmacht fu marginale rispetto a quello dell’Armata Rossa. A questo proposito i numeri sono molto chiari. Alla fine del conflitto l’Armata Rossa avrebbe ucciso 4.500.000 di soldati tedeschi, mentre gli Alleati appena 500.000, includendo anche l’azione dell’aviazione. Un ruolo determinante ci sarebbe potuto essere schierando già nel 1943, e prima della vittoria di Stalingrado, un grande esercito sul continente europeo di non meno di 40 divisioni, ma a quel tempo gli Alleati non avevano una tale forza addestrata ed equipaggiata, senza poi parlare dei mezzi necessari per trasportarla in Europa e del controllo dei cieli. La Luftwaffe era ancora potente, essa sarebbe stata annientata solo nella seconda metà del 1944. Uno sbarco in Francia nel 1943 di un contingente minore sarebbe quasi certamente costato una dolorosa sconfitta, essendo la Wehrmacht nel 1943 molto più forte dell’anno successivo in Normandia, quando i suoi ranghi erano stati ulteriormente ridotti dal logoramento sul fronte orientale. I tratti di mare che separavano i tedeschi dagli Alleati, anche se erano un problema per l’organizzazione dell’invasione, nello stesso tempo li mettevano al riparo dal nemico, al contrario dell’Unione Sovietica che doveva combattere continuamente. Churchill e Roosevelt erano perfettamente consapevoli di ciò, il malumore sovietico incominciava ad essere palpabile e capivano che qualcosa andava fatto. Escludendo un’invasione della Francia nel 1943, allo stesso tempo non si poteva aspettare in Inghilterra ancora un anno senza fare nulla. Le informazioni di intelligence erano unanimi nel dichiarare che il popolo italiano era stanco della guerra e il morale molto basso. I bombardamenti delle città e la sconfitta in Africa, avevano sfiduciato la gran parte della popolazione, il regime di Mussolini veniva considerato responsabile. L’Italia era matura per abbandonare la lotta. Ultra6 informava che i messaggi cifrati tedeschi indicavano la preferenza, in caso di apertura di un fronte italiano, a difendersi nelle montagne del nord Italia. Gli Alleati pensavano di conoscere in anticipo le mosse nemiche che, però, erano guidati da uno che cambiava idea spesso e quindi i piani potevano mutare d’improvviso. Inglesi e americani erano d’accordo, a ragione, che la penisola italiana nel 1943, fosse l’unico luogo dove attaccare le forze di terra tedesche, ma le informazioni sui problemi geografici, tattici e sulle difficoltà di avanzare su un territorio ricco di montagne, furono estremamente e colpevolmente carenti. Vennero gravemente sottovalutati sia il terreno, sia la risolutezza del nemico. In poche parole la campagna d’Italia fu preparata molto male. L’intelligence britannica valutò correttamente la resa dell’Italia, ma sbagliò completamente la previsione che i tedeschi si sarebbero attestati in ritirata sulle Alpi Marittime e avrebbero organizzato la difesa di Venezia e del Tirolo. Gli americani furono rassicurati dagli inglesi che la vittoria sarebbe stata facile e quando ciò fu smentito sul campo, si creò tra gli Alleati un’ostilità di non breve durata. Il compito al contrario fu difficilissimo. La storia insegna che, a parte il generale bizantino Belisario (536 d.C.), Roma non fu conquistata da nessuno proveniente da sud. Annibale venne da nord, anziché preferire la via più diretta da Cartagine e a Napoleone fu attribuita la frase: “L’Italia è uno stivale. Bisogna entrarci da sopra”. Il motivo è appunto il terreno: montagne alte e fiumi impetuosi che le tagliano. Quando Berlino cadde nel maggio 1945, il nord Italia era ancora in parte controllato dai tedeschi. Roma da sud si raggiunge principalmente attraverso la Statale 6, la via Casilina. Centotrenta

    6 Sistema di decrittazione dei messaggi tedeschi codificati. Unico sistema di intelligence che abbia avuto un ruolo determinante nella Seconda guerra mondiale.

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    chilometri più a meridione questa statale attraversa la valle del (fiume) Liri. I tedeschi scelsero di attestarsi esattamente qui. La valle è dominata dall’abbazia di Montecassino (516 metri s.l.m.). L’area dell’abbazia era considerata una delle migliori posizioni difensive d’Europa. Oltre a dominare la valle, la postazione è protetta anteriormente, come un fossato, dai fiumi Rapido e Gari7, ai fianchi montagne frastagliate prive di sentieri. Se cadeva Montecassino cadeva la capitale e tutta l’Italia centrale.

    8. Valle del Liri

    Schema 1. Valle del Liri (particolare dell’ingresso da sud)

    7 Il fiume Rapido, lungo circa 40 chilometri, nasce al confine tra Lazio e Molise, é affluente del fiume Gari circa 2 chilometri a sud di Cassino, che a sua volta dopo alcuni chilometri si unisce al fiume Liri formando il Garigliano.

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    L’abbazia di Montecassino, cenni storici

    L’abbazia di Montecassino è uno dei luoghi più sacri del cristianesimo. San Benedetto da Norcia fondò la

    “Badia Montis Casini” (Abbazia del Monte di Cassino) nel 529, dove scrisse la “Regula” (Ora et Labora) per

    i monaci, che è tuttora osservata in tutti i monasteri del mondo. Fu seppellito nella chiesa abbaziale, ma la

    sua tomba fu talmente occultata che nel medioevo fiorì una leggenda secondo la quale il corpo era stato

    trasferito nella “Badia Florensis” (Abbazia di Fleury, nota anche come S. Benôit-sur-Loire). Nel 1950 sono

    state ritrovate le reliquie di San Benedetto e di Santa Scolastica (sorella, forse gemella, di San Benedetto),

    ora sistemate nell'altare maggiore. Pressoché integra si è conservata la cripta, decorata nel 1913 dagli artisti

    della scuola tedesca di Beuron. L’abbazia conserva tuttora la sua biblioteca, un patrimonio ricco di oltre

    1.000 codici, 40.000 pergamene tutto il fondo delle opere a stampa con 250 incunaboli.

    Il monastero fu costruito su una posizione quasi inaccessibile a oltre 500 metri d’altezza, domina la valle del

    fiume Liri e la via Casilina (strada costruita dai Romani nel 350 a.C., una delle strade più importanti tra lo

    Stato Pontificio e il Regno di Napoli). L’abbazia fu al centro di aspre battaglie per il controllo della regione e

    dei traffici commerciali, così i monaci furono costretti a costruire attorno ad essa mura e torri di difesa.

    Nel 577 i Longobardi la distrussero, ma i monaci ne ricostruirono una più grande (589) che divenne sempre

    più ricca grazie alle donazioni ricevute dai pellegrini, ma anche da papi, imperatori, re e nobili. La “Terra

    Sancti Benedicti” (il patrimonio di San Benedetto) consisteva in un gran numero di campagne, fattorie,

    vigne, chiese e palazzi in tutte le città della zona: Frosinone, S. Germano (attuale Cassino), Gaeta, Capua ed

    anche le isole di Ponza e S. Stefano. Montecassino divenne soprattutto un importantissimo polo artistico e

    culturale con una famosa biblioteca ed una vasta chiesa.

    I Saraceni distrussero il monastero (anno 883), che fu nuovamente ricostruito in stile Romanico; due terribili

    terremoti (1231 e 1349) lo danneggiarono e stavolta fu rifatto in stile gotico. Pochi anni dopo, l’abate fu

    anche insignito del titolo di vescovo di Cassino (da allora in poi tutti gli abati di Montecassino sono stati

    anche vescovi di Cassino): da quel momento la chiesa abbaziale fu elevata al rango di Cattedrale di Cassino.

    Il Rinascimento fu un periodo di pace e prosperità; i monaci vollero ampliare l’abbazia e ne affidarono il

    progetto a Donato Bramante e ad Antonio da Sangallo; successivamente (anno 1625) incaricarono il famoso

    architetto Cosimo Fanzago di ristrutturare l’antica chiesa gotica con marmi, affreschi e decorazioni barocche.

    Dopo la totale distruzione, avvenuta il 15 febbraio 1944, per effetto dei bombardamenti anglo-americani, il

    monastero rinacque tra il 1948 e il 1956.

    9. Posizione dell’abbazia 10. Il monastero di Montecassino oggi

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    Schema 2

    1.1 Lo sbarco in Sicilia (Operazione Husky)

    Alla conferenza di Casablanca (14 gennaio,1943), il primo ministro inglese Churchill e il presidente americano Roosevelt decisero l’invasione dell’Italia partendo da uno sbarco in Sicilia. Gli americani non erano molto convinti, secondo loro si doveva giungere a Berlino dalla via più diretta, la Francia, e premevano perché si accelerasse la preparazione per lo sbarco in Normandia (Operazione Overlord). Churchill aveva diverse ragioni per ritardare Overlord, ma la principale erano i tragici ricordi del fronte occidentale della guerra precedente. Quindi, era assolutamente determinato a non dare corso allo sbarco finché tale operazione non fosse stata la meno rischiosa possibile. Inoltre gli inglesi erano già stati espulsi ben tre volte dal continente europeo nel corso del conflitto (Norvegia, Francia e Grecia), non volevano, né potevano, subire un'altra sconfitta del genere. Ma c’erano anche altre ragioni per aprire un fronte a sud. Una era il tradizionale controllo del Mediterraneo per preservare le rotte per l’India; una seconda, l’obbiettivo di far sollevare i Balcani aumentando ulteriormente la resistenza in quella zona che già impegnava diverse divisioni tedesche, le quali avrebbero potuto essere utilizzate altrove. In più, ed in questo Churchill dimostrava una molto maggiore lungimiranza politica rispetto agli americani, cercare di mandare più soldati occidentali possibile in Europa centrale prima dell’arrivo dell’Armata Rossa. Al comando dell’operazione fu posto il generale inglese sir Harold Alexander8. Eliminato il fronte nord africano con la resa delle truppe dell’Asse il 13 maggio 19439, il 10 luglio successivo cominciarono le operazioni di sbarco in Sicilia. Gli inglesi a sud-est (VIII armata), gli americani a sud-ovest (VII armata) (schema 3). Gli uomini coinvolti, sbarcati da 2.590 navi da guerra e trasporto, furono 180.000. I lanci di paracadutisti provenienti dalla Tunisia, causa i forti venti, furono fallimentari, la metà dei 147 alianti andarono persi in mare, 252 paracadutisti annegarono, solo 11 atterrarono nella zona di competenza. Inoltre il fuoco contraereo della flotta alleata abbatté propri aerei da trasporto.

    8 Harold Rupert Leofric George Alexander (Londra, 10 dicembre 1891 – Slough, 16 giugno 1969) è stato un generale e politico britannico, fu ministro della Difesa e governatore del Canada. 9 Resa di Tunisi. Lo scotto di voler rimanere in Africa fu pesante per l’Asse. I tedeschi avevano creduto di poter mantenere la posizione in Tunisia, ma ciò si era poi rivelato tatticamente impossibile. Nella resa furono presi 225.000 prigionieri (due terzi tedeschi); si trattava del grosso delle forze tedesche nel mediterraneo e delle migliori divisioni italiane. Fu un duro colpo, inferiore solo al disastro di Stalingrado. La sconfitta di Tunisi fu anche denominata Tunisgrado per la sua gravità.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Londrahttp://it.wikipedia.org/wiki/10_dicembrehttp://it.wikipedia.org/wiki/1891http://it.wikipedia.org/wiki/Sloughhttp://it.wikipedia.org/wiki/16_giugnohttp://it.wikipedia.org/wiki/1969http://it.wikipedia.org/wiki/Generalehttp://it.wikipedia.org/wiki/Politicohttp://it.wikipedia.org/wiki/Regno_Unito

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    Schema 3

    La resistenza delle quattro divisioni italiane sulle spiagge fu scarsa. Mussolini aveva imposto che il comando in Sicilia fosse assegnato al generale Alfredo Guzzoni, inadeguato e non all’altezza del compito. Gli sbarchi andarono bene, nonostante i tedeschi, che, come di consuetudine, mostrarono la solita professionalità nel combattimento. Essi avevano nell’isola solo due divisioni e ne ricevettero poi, a sbarco già avvenuto, altre due di rinforzo, ma erano completamente privi di appoggio aereo. I soldati italiani invece, per lo più, crollarono del tutto10. Si arresero in massa con un certo entusiasmo e con l’aria di chi era stato liberato e non preso prigioniero. Questa remissività, però, non impedì a un ufficiale e ad un sottufficiale americani di uccidere brutalmente rispettivamente 36 e 37 prigionieri senza alcun motivo. Il loro comandante il generale Patton, solo sotto pressione, accettò che fossero processati, dichiarando che a suo avviso le uccisioni erano giustificate. Almeno in questo caso egli non mostrò una morale diversa da quella di molti ufficiali nazisti. Se fosse avvenuto nel campo opposto ci sarebbero stati dopo la guerra dei processi per crimini di guerra con probabili condanne a morte. In questo caso il sottufficiale fu condannato, ma subito graziato e l’ufficiale assolto11. Se l’isola fu conquistata, questo fu dovuto fondamentalmente alla superiorità in mezzi e uomini degli Alleati, ma il coordinamento tra i tre generali, gli inglesi Alexander e Montgomery e l’americano Patton, fu pessimo.

    10 Mussolini, dopo la caduta di Tunisi, con l’Italia quasi sguarnita di forze efficienti, aveva rifiutato l’offerta di Hitler di inviare in Italia cinque divisioni fresche e ben equipaggiate, rispondendo che gliene servivano solo tre. Fu una risposta più politica che militare, per poter continuare ad essere padrone in casa sua, ma, secondo il capo di stato maggiore dell’esercito italiano generale Roatta, di divisioni ne sarebbero servite sei. 11 Massacro di Biscari. Si trattava di due graduati del 180º Reggimento, il sergente Horace West ed il capitano John Compton. Essi, si difesero, appellandosi al rapporto del generale Patton agli ufficiali della 45ª Divisione di fanteria in preparazione dello sbarco. Patton ammise di avere tenuto un discorso abbastanza sanguinario, ma di non avere mai incitato all’uccisione di prigionieri. West fu scarcerato nel novembre 1944 e congedato con disonore alla fine della guerra. Compton cadde nel novembre 1943 sul fronte italiano.

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    11. Gela. Navi alleate sotto attacco aereo

    (www.liberationtrilogy.com)

    Quest’ultimo spazientito dall’ordine di dover vigilare il fianco degli inglesi in lentissima avanzata da Siracusa verso nord, si diresse a nord-ovest conquistando Palermo. L’avanzata in tale direzione lasciò perplessi i tedeschi (i quali avevano ben chiari in mente i loro obbiettivi) perché non c’era nessuna logica strategica in tale azione, la battaglia si giocava, infatti, tutta nella Sicilia orientale, dove erano concentrate le truppe tedesche. Il poco energico Alexander permise questa inutile corsa a Palermo. Tuttavia il crollo delle truppe italiane12, accentuatosi ulteriormente dopo il 25 luglio con la destituzione e arresto di Mussolini, più la gravissima scarsità di rifornimenti, convinsero anche Hitler dell’inutilità di cercare di tenere l’isola. I tedeschi ritirarono ordinatamente in Calabria le ultime truppe il 16 agosto, mentre gli inglesi entravano a Messina. Le divisioni tedesche raggiunsero il continente pressoché intatte e pronte al combattimento. Gli Alleati si resero conto di tutte le loro carenze: dalla scarsa preparazione nelle operazioni anfibie, alla quasi assenza di coordinazione tra forze terresti e d’aria. Se le truppe italiane avessero combattuto con la stessa risolutezza dell’alleato germanico, probabilmente lo sbarco avrebbe potuto essere respinto. Gli Alleati si criticarono l’un l’altro, constatando di come i tedeschi eseguivano i loro compiti in maniera eccellente, al contrario di loro13. 50.000 tedeschi alla fine tennero a bada 500.000 nemici, abbandonando la Sicilia senza problemi. Erano veramente stupiti che gli Alleati non avessero sbarcato truppe in Calabria per tagliar loro la fuga; molti vaneggiarono che il generale Alexander l’avesse fatto di proposito per ragioni politiche. Il mancato sbarco in Calabria fece tirare un grosso sospiro di sollievo al feldmaresciallo

    12 Oltre 135.000 perdite, quasi tutti prigionieri. 35.000 disertarono durante la campagna. 13 Il tenente colonnello Lionel Wigram, un ottimo ed acuto ufficiale inglese, scrisse un rapporto in cui dopo avere fatto un’analisi di tutti i fallimenti a cui aveva assistito e raccomandato le dovute correzioni, concluse scrivendo: “Senza dubbio, in un certo senso, in Sicilia i tedeschi hanno ottenuto un evidente successo. Sono riusciti infatti ad evacuare le proprie forze quasi intatte, subendo pochissime perdite […] e ce ne hanno inflitte di pesanti. Siamo tutti piuttosto irritati come risultato”. La sincerità dell’analisi non fu apprezzata. Il maresciallo Montgomery, venuto a conoscenza del rapporto, si sentì ferito nella sua vanità e sollevò dal comando del suo battaglione l’evidentemente incauto Wigram.

  • 14

    Kesselring14. Il comandante delle truppe tedesche in Italia aveva ansiosamente previsto un colpo del genere, sapendo di non avere le forze per contrastarlo. A suo parere uno sbarco secondario in Calabria “avrebbe trasformato lo sbarco in Sicilia in una schiacciante vittoria alleata”. Sino alla conclusione della campagna di Sicilia e alla riuscita evacuazione delle divisioni tedesche impegnate nell’isola, per la difesa dell’Italia meridionale Kesselring poteva contare solo su due divisioni. Nella campagna di Sicilia combatterono 8 divisioni alleate subendo 6.000 morti. In quello stesso periodo in Unione Sovietica, intorno a Kursk e Orël, combatterono 4.000.000 di uomini e si ebbero 500.000 caduti sovieticii.

    12. Il generale Montgomery, comandante dell’VIII armata britannica

    (www.liberationtrilogy.com)

    14 Albert Kesselring (Bayreuth, 30 novembre 1885 – Bad Nauheim, 16 luglio 1960) è stato un generale tedesco e feldmaresciallo. Comandò le forze aeree della Luftwaffe nel corso dell'invasione della Polonia, della battaglia di Francia, nella battaglia d'Inghilterra e nel corso dell'Operazione Barbarossa. Come comandante in capo dello scacchiere Sud ebbe il totale comando delle operazioni nel Mediterraneo. Dopo la fine delle ostilià di crimini di guerra durante la campagna d’Italia. Processato e condannato a morte, la sentenza venne commutata in ergastolo per intervento del governo britannico. Fu in seguito rilasciato nel 1952 senza aver mai rinnegato la sua lealtà ad Adolf Hitler. Pubblicò in seguito le sue memorie intitolate Soldat bis zum letzten Tag (Soldato sino all'ultimo giorno).

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    1.2 Sul continente italiano

    Il 3 settembre, dopo un pesante bombardamento, gli Alleati iniziarono a sbarcare sulle spiagge a nord di Reggio Calabria. Le divisioni tedesche si erano già allontanate lasciando la difesa alle truppe italiane, le quali si arresero rapidamente, anzi si misero a disposizione per aiutare a scaricare i materiali dai mezzi di sbarco. I tedeschi si ritirarono all’interno distruggendo meticolosamente tutti i ponti e gli incroci stradali. Azione che poi sarebbe diventata una caratteristica costante per tutta la durata della campagna d’Italia. Essi crearono ostacoli anche molto fantasiosi: a nord del Sangro, per esempio, abbatterono un chilometro di pioppi che crescevano sul lato della strada. I bulldozer alleati per sgombrare la strada impiegarono un’ora ad albero. L’8 settembre, l’annuncio dell’armistizio tra Italia e Alleati, colse alla sprovvista i tedeschi che, però, si ripresero in fretta15, ma per l’esercito italiano fu una catastrofe. Senza ordini, senza una catena di comando efficiente, a parte alcuni episodi di resistenza, la resa ai tedeschi cominciò a poche ore dalla conferma dell’armistizio. E dire che le forze italiane a Roma non erano, almeno numericamente, inferiori a quelle germaniche e tenendo il controllo della città, avrebbero potuto intrappolare tutte le truppe tedesche a sud. Dopo la destituzione di Mussolini, il 25 luglio, Hitler si era allarmato immediatamente, perché secondo lui, il nuovo governo italiano, nonostante le rassicurazioni, avrebbe tentato una via d’uscita dalla guerra. Kesselring invece continuò a credere che gli italiani avrebbero rispettato l’alleanza. Il generale Eisenhower osservò giustamente che gli italiani “avevano un desiderio frenetico di arrendersi”, purtroppo questo desiderio venne ritardato dalla difficile situazione obbiettiva, dall’effetto deterrente della “resa incondizionata” e dalla lunga trattativa. L’unica richiesta accolta dagli Alleati fu quella di mandare 2.000 paracadutisti a Roma, dove, supportati dalle forze italiane, avrebbero assunto in controllo della cittá. L’armistizio fu firmato il 3 settembre, ma la notizia doveva restare segreta fino allo sbarco di Salerno. Il 7 settembre gli italiani dichiararono attraverso il generale Carboni, responsabile della piazza di Roma e con la conferma del maresciallo Badoglio, capo del governo italiano, che non erano ancora pronti a sostenere l’operazione aviotrasportata americana. A quel punto, poche ore prima dello sbarco di Salerno, Eisenhower la annullò e, molto prima di quanto pensassero i governanti italiani, annunciò l’avvenuto armistizio. Secondo il generale Westphal, capo di stato maggiore del feldmaresciallo Kesselring, se gli italiani avessero saputo agire con la stessa abilità che avevano messo nel recitare, l’esito sarebbe stato diverso. Nei preliminari, infatti, erano stati bravissimi quando si era trattato di dissipare i sospetti dei tedeschi e dissimulare l’imminente annuncio della resa. Racconta, per esempio, che l’ammiraglio conte de Courten, ministro italiano della Marina, il 7 settembre si recò da Kesselring per comunicargli, che la flotta italiana sarebbe salpata da La Spezia l’8 o il 9 settembre per affrontare quella britannica del Mediterraneo. Aggiunse, con le lacrime agli occhi, che la flotta avrebbe vinto o sarebbe affondata, illustrando il preteso piano di battaglia. La flotta invece su suo ordine salpò il 9 settembre per andare ad arrendersi agli Alleati a Malta. Il generale Roatta, capo di stato maggiore dell’Esercito italiano, non agì diversamente. Ad armistizio ormai annunciato, la disorganizzazione, la mancanza di ordini e l’indubbia poca voglia dei soldati italiani di combattere, ma anche dei loro generali, risolsero molti problemi ai

    15 Operazione Achse. I Tedeschi avevano già impartito disposizioni preventive affinché dopo la caduta di Mussolini, si verificassero situazioni che potessero nuocere alla Germania. Quando l'8 settembre venne reso noto l'armistizio tra gli Alleati e l'Italia, fu immediatamente avviata l'operazione Achse che attuava le disposizioni a suo tempo predisposte. Furono innanzi tutto disarmate e internate le truppe italiane che si trovavano sotto il controllo tedesco, altre formazioni italiane si disciolserò autonomamente. Solo la flotta navale, ad eccezione della corrazzata Roma, affondata dai tedeschi, riusciva a sottrarsi alle mire tedesche e a consegnarsi agli Alleati nell'isola di Malta. Le truppe tedesche entrarono in Italia attraverso i valichi alpini e dilagarono nel paese occupando in pochi giorni tutta la penisola, dalle Alpi a Napoli, che non era ancora stata presa dagli alleati. Da parte tedesca si cercava di dimostrare come la situazione fosse sotto controllo. Venne liberato Mussolini e grazie a lui, o forse è meglio dire nonostate lui, si costituì il nuovo alleato: la Repubblica Sociale Italiana (RSI) con capitale a Salò sul lago di Garda. Le poche truppe rimaste fedeli al fascismo erano costituite in maggioranza da volontari italiani. Esse continueranno a combattere a fianco dei tedeschi, mentre il governo Badoglio, dichiarata guerra alla Germania nell'ottobre del 1943, ricostituiva, non senza difficoltà, alcuni reparti regolari italiani che in seguito combatteranno con gli Alleati.

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    tedeschi: dal pericolo per loro truppe a sud di rimanere bloccate, all’incubo di dovere combattere contro gli ex alleati. La dissoluzione dell'esercito italiano16 si consumò nel breve volgere di tre giorni (9-11 settembre). Il disarmo da parte dei tedeschi fu immediato: 22.000 ufficiali e più di 650.000 soldati vennero catturati e avviati nei campi di internamento in Germania. La situazione nella quale precipitarono le divisioni dislocate nei Balcani, in Grecia e nelle isole dell'Egeo fu angosciosa. La resa dell’Italia, secondo l’Alto Comando alleato, avrebbe provocato un rapido ritiro tedesco a nord, se non addirittura l’abbandono della penisola. Il feldmaresciallo Albert Kesselring aveva idee molto diverse. Nel frattempo, però, tra le truppe alleate che si accingevano ad essere sbarcate sulle spiagge di Salerno, si diffusero entusiasmo e ottimismo. Il soldato Jeffrey Smith, artigliere britannico, ricorda che un generale gli disse: “Andiamo in un posto per un’invasione. Non hai niente di cui preoccuparti, sarà un gioco da ragazzi. Sbarcherai nell’acqua fino alle caviglie e avanzerai fino alla spiaggia. In pratica sarà una vacanza, al sole. Avremo una meravigliosa copertura aerea. Non c’è nulla di cui avere paura”.

    13. Sbarco di Salerno. Posizionamento del filo di ferro per facilitare la trazione dei veicoli

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    Queste parole furono del tutto smentite. Lo sbarco di Salerno (Operazione Avalon), cominciò il 9 settembre, gli obbiettivi erano chiari: intrappolare le divisioni tedesche provenienti dalla Sicilia, impadronirsi dell’Italia meridionale, prendere Napoli e liberare Roma. Il compito fu affidato alla V armata americana agli ordini del tenente generale Mark Wayne Clark17. A tale armata furono aggiunte due divisioni britanniche: la

    16 Alla data dell'8 Settembre 1943 il Regio Esercito schierava 12 divisioni nell'Italia settentrionale (di cui una in ricostituzione), 8 divisioni nella zona di Roma e altre 2 “in affluenza” nella medesima zona, 3 divisioni e 1 in "affluenza" nell'Italia meridionale, 6 divisioni tra Sardegna e Sicilia, aliquote di forze nella Francia meridionale e ben 22 divisioni tra i Balcani e le isole dell'Egeo. In totale 54 divisioni (di cui 26 nella penisola) quasi tutte organiche, più altre 29 in via di ricostituzione e di riequipaggiamento. 17 Vedi successivamente le note biografiche al capitolo: “Gli avversari”.

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    46a (Oak Tree) e la 56a (Black Cat) al comando del generale McCreery. All’inizio, i rangers americani alla sinistra dello schieramento liberarono i paesi della costiera amalfitana e si assicurarono il controllo del passo di Chiunzi, da dove si osservava Napoli, ma la situazione cambiò presto. Le forze tedesche contrattaccarono pesantemente e il contingente americano si trovò bloccato sulle spiagge in quattro piccole teste di ponte sotto un intenso bombardamento. Il 13 i tedeschi avanzarono con i carri armati raggiungendo quasi il mare. A largo, la Luftwaffe bombardò continuamente la flotta anfibia. Clark in preda al panico propose il reimbarco dell’esercito. La proposta non fu accettata, ma per parecchie ore, soprattutto di notte, la confusione regnò sovrana. I soldati americani nell’oscurità cominciarono a spararsi addosso pensando che i tedeschi si fossero incuneati tra loro e gli inglesi. Alcune unità, inglesi e americane, si fecero prendere dal terrore e certo non tennero un comportamento onorevole. Il maggiore generale Dawley del VI corpo d’armata americano ebbe un crollo psicofisico. Fu sollevato dal comando e rimandato in patria col grado di colonnello. Dopo quattro giorni di duri combattimenti e quando i tedeschi erano vicini a ributtare a mare gli Alleati, la potenza di fuoco della flotta fece la differenza bloccando l’avanzata dei carri. Il 16 ormai gli Alleati avevano ricevuto rifornimenti sufficienti da potere assestarsi saldamente sulla terraferma. A quel punto i tedeschi si ritirarono verso nord. Il generale Westphal affermò, che l’esito alla fine favorevole dello sbarco fu dovuto all’inferiorità della Luftwaffe e all’assoluta mancanza di armi per poter rispondere al bombardamento navale. Ma un terzo motivo, poco meno importante, fu la scarsità delle forze terrestri18. Il bombardamento navale alleato funzionò, ma solo in quel caso, per il resto non avendo precise indicazioni da parte dell’osservazione aerea o terrestre, venne utilizzato, insieme al bombardamento d’artiglieria, solo su bersagli ben evidenti, quali i centri urbani, anche se poi si rivelarono bombardamenti inutili. Altavilla e Battipaglia, per esempio, furono distrutte per niente. La certezza che massicci bombardamenti potessero risparmiare vite alla fanteria non venne mai abbandonata. Ne fa fede, la noncuranza dell’Alto Comando per le vittime collaterali o per la distruzione di monumenti antichissimi. Vista la scarsa prestazione bellica, i rapporti tra inglesi e americani si fecero tesi. I primi criticarono il comportamento dei soldati statunitensi e esaltarono la migliore prova offerta dall’VIII armata britannica rispetto alla V americana. Il generale Clark, nel suo diario, definì con aggettivi insultanti McCreery e Alexander. L’irritazione degli americani poi salì ulteriormente quando, in presenza di giornalisti, il maresciallo inglese Montgomery adoperò con Clark toni arroganti e paternalistici. Clark se la prese molto e da allora ebbe l’ossessione di apparire alla stampa, specialmente quella di casa sua, sempre sotto la luce migliore (e non solo metaforicamente, anche nelle foto). Si organizzò un pletorico ufficio di pubbliche relazioni che avrebbero seguito la regola ferrea del “tre per uno”, e cioè il suo nome almeno tre volte nella prima pagina dei comunicati ed almeno una in quelle successive. Di lui dissero addirittura, che la massima di Clausewitz19 egli la leggesse così: “La guerra è la continuazione della pubblicità con altri mezzi”. Gli inglesi, a loro volta, non avevano molto da gioire, settecento dei loro soldati, appena sbarcati sulla spiaggia di Salerno, fecero un sit-in, in pratica si ammutinaromo. Questi militari provenivano dall’Africa ed erano stati lasciati laggiù dalle loro unità di appartenenza perché feriti o malati. Nel frattempo i loro reggimenti erano già stati trasferiti in Inghilterra per l’Operazione Overlord. Convinti di stare per tornare a casa, in Inghilterra, per raggiungere le proprie unità, essi vennero invece utilizzati per un pronto intervento a Salerno dove la situazione per gli Alleati stava divenendo di ora in ora sempre più critica. Ufficialmente si ammutinarono perché non accettarono di servire in compagnie in cui erano considerati estranei e a tutti gli effetti, trattati come rimpiazzi, pertanto, soggetti a rischi maggiori. Gli fu data la possibilità di ravvedersi, ma 190 di loro non accettarono e furono rimandati in Africa sotto corte marziale. I tre capi della rivolta, tre sergenti, vennero condannati a morte, pena poi commutata in 12 anni di carcere.

    18 Il 9 settembre fu respinta da Berlino una richiesta di mandare due divisioni corazzate acquartierate a Mantova con la motivazione che distavano 700 chilometri. Pur essendo ciò vero, se si fossero mosse subito, sarebbero giunte a Salerno il giorno 13, quando le sorti della battaglia erano ancora in equilibrio. 19 La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi.

  • 18

    I tedeschi, al contrario, ripresisi rapidamente dai problemi insorti dalla resa italiana, giustamente, si erano convinti che come soldati valessero molto di più degli Alleati. Il feldmaresciallo Kesselring, dal 21 novembre ufficialmente al comando delle forze tedesche in Italia20, iniziò a elaborare sulla carta geografica delle linee difensive. La prima misura fu che la X armata (comandata dal generale von Vietinghoff) tenesse fermo il nemico sul fiume Volturno fino al 15 ottobre. Hitler e i suoi consiglieri erano convinti che la zona migliore dove arrestare l’avanzata alleata fosse l’Appennino tosco-emiliano, ma visto che la situazione nell’Italia meridionale in tema di strategia difensiva si stava evolvendo in maniera più favorevole del previsto, l’orientamento mutò verso la costituzione di una linea difensiva subito a sud di Roma, dove la penisola era notevolmente più stretta. Inoltre si evitava che gli aeroporti dell’Italia centrale cadessero nelle mani degli Alleati. Il feldmaresciallo Kesselring commentando la campagna d’Italia affermò: “I piani alleati dimostrarono sempre che la preoccupazione dominante dell’Alto Comando alleato era di garantirsi il successo al 100 per 100, il che lo portava sempre a ricorrere a sistemi e mezzi ortodossi. Di conseguenza mi era quasi sempre possibile, nonostante gli inadeguati mezzi di ricognizione e i lacunosi rapporti informativi, prevedere la prossima mossa strategica o tattica dell’avversario, e prendere di conseguenza le appropriate contromisure nei limiti consentiti dalle risorse di cui disponevo”. Lo sbarco di Salerno avvenne esattamente dove Kesselring aveva previsto sarebbe avvenuto e dove le sue esigue forze erano in posizione migliore per fronteggiarlo. Pur non riuscendo ad impedire lo sbarco, i tedeschi fecero in modo che non si traducesse in una minaccia immediata. Secondo Westphal, se gli Alleati avessero impiegato le stesse forze usate a Salerno per uno sbarco a Civitavecchia, i risultati sarebbero stati molto più decisivi. Roma sarebbe caduta nel giro di pochi giorni. Nella capitale vi erano solo due divisioni tedesche e non ci sarebbe stato il tempo sufficiente per trasportarne altre. Effettuando un collegamento con le cinque divisioni italiane di stanza a Roma, la capitale sarebbe caduta in 72 ore. Inoltre sarebbero state tagliate le vie di rifornimento alle divisioni germaniche provenienti dalla Calabria che si stavano riorganizzando nel settore Salerno-Napoli. In conclusione tutto il territorio italiano fino all’altezza della linea Roma – Pescara sarebbe stato nelle mani degli Alleati. Dallo sbarco di Salerno iniziò una campagna militare tra le più dure, sanguinose e frustranti di tutta la guerra. L’entusiasmo inglese per la campagna militare italiana perse credibilità con l’avvicinarsi dello sbarco in Normandia e quando fu evidente che gli Alleati non riuscivano ad ottenere una vittoria rapida e definitiva. Tale vittoria, sarebbe stata già di per sé difficile, ma impossibile con comandanti di capacità così limitate come i generali Clark e Alexander. Nel settembre 1943, 13 divisioni alleate sarebbero state contrastate da 7 divisioni tedesche21 (da dicembre 17 contro 13), altre 11 germaniche si trovavano dietro il fronte a controllare il resto d’Italia con metodi più che brutali. Gli Alleati furono ulteriormente ostacolati dalle distruzioni che si

    20 Kesselring dal 1941 aveva il comando dello scacchiere Sud eccetto, però, dell’Africakorps del feldmaresciallo Rommel. Hitler fino al novembre inoltrato del 1943 aveva deciso di dare il comando delle operazioni in Italia a Rommel che si trovava nel nord Italia con il Gruppo d’armate B. Poi cambiò repentinamente idea, ordinò il trasferimento di Rommel e del Gruppo d’armate B in Francia e nominò Kesselring al comando della Wehrmacht in Italia. Precedentemente era convinto che il feldmaresciallo Kesselring, avendo molta simpatia per gli italiani, non fosse il più adatto all’incarico. “Kesselring è troppo onesto per quei traditori nati laggiù” fu il giudizio di Hitler. Poi dopo un colloquio personale con Kesselring, il quale era molto ottimista sul tenere una linea difensiva avanzata, cosa a cui era invece molto contrario Rommel, cambiò idea. “Io ho sempre biasimato Kesselring”, spiegò più tardi Hitler, “per vedere le cose sempre in maniera troppo ottimistica... gli eventi hanno dimostrato che Rommel sbagliava, e io sono stato giustificato della mia decisione di lasciare il feldmaresciallo Kesselring là, chiunque lo avrebbe visto un incredibile idealista, ma anche un militare ottimista, ed è mia opinione che un leader militare senza ottimismo non possa esistere”. 21 Bisogna anche sottolineare un altro aspetto riguardo la consistenza delle divisioni tedesche e cioé che dal 1939 l’organico era stato portato da 16.000 uomini a 12.000 e gli effettivi reali erano ancora meno. Inoltre i tedeschi in Italia erano in inferiorità per quanto riguardava artiglieria e carri armati, ma la deficienza peggiore era quella dell’arma aerea.

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    lasciavano dietro i tedeschi quando abbandonavano l’ennesima linea di difesa per costituirne subito dopo un’altra. Le pioggie torrentizie complicarono ancora di più quella già lenta avanzata. Il crollo del morale fu evidente. Uno storico americano affermò: “L’Italia avrebbe spezzato la schiena, le ossa e quasi lo spirito di quegli uomini”. “Tutte le strade portano a Roma”, disse il generale Alexander “ma tutte le strade sono minate”. Tutti i reduci ricordano il mare di fango e il freddo che dovettero affrontare. Il comportamento dei soldati di ambo le parti fu encomiabile in considerazione delle condizioni in cui dovettero operare, che sembravano quelle delle Fiandre durante la Prima guerra mondiale o del fronte orientale. I molti uomini che presero parte alla campagna non ricordarono il sole e le bellezze naturali che nell’immaginario popolare si associano all’Italia, ma gli orrori dell’inverno. Il soldato canadese Farley Mowat scrisse dall’Italia a un amico in Inghilterra: “Mi dispiace deluderti sul clima, ma dev’essere il peggiore in questo accidente di mondo. D’estate ci fa andare a fuoco le palle, d’inverno ce le fa congelare. Nel frattempo, le fa marcire sotto una pioggia senza fine”. L’ufficiale d’artiglieria John Guest scrisse a casa: “Per 50 metri fuori dalla tenda il terreno è solo fango, profondo venti centimetri, lustro, appiccicoso, costellato di pozzanghere. Grosse buche scavate nel fango che formano altre piccole montagne, indicano dove altre tende sono state piantate nel fango e poi trasferite per via del fango sopra altro fango [...] non si può descrivere. I veicoli percorrono cigolando la strada sotto di noi, con la marcia bassa. Da una parte e dall’altra [...] c’è un muro di fango, che arriva fino alla cintura. I fianchi della strada [...] crollano spesso ed enormi camion, come stanchi animali preistorici scivolano nei fossi [...]. I miei uomini, nelle postazioni dei cannoni, pestano i piedi nel fango, la testa affondata nel bavero del cappotto. Quando ti parlano girano gli occhi verso l’alto, perché alzare la testa fa sentire troppo freddo al collo.Tutti camminano con le braccia stese per cercare di mantenersi in equilibrio”. Gli Alleati ottennero scarsi risultati in proporzione al sacrificio, perché tra cattivi comandanti, assalti non coordinati, l’abilità dei tedeschi e il terreno impraticabile, i fallimenti si susseguirono. Le sofferenze maggiori furono, però, per il popolo italiano. I tedeschi, in ritirata dal meridione, saccheggiarono tutto il possibile (il 92% degli ovini, bovini e l’86% del pollame). Spesso la cattiveria che contrassegnò il loro comportamento portò a distruggere, senza ragione, importanti reperti del patrimonio culturale italiano (a Napoli, per esempio, furono date alle fiamme intere biblioteche medioevali ricche di più di 50.000 volumi). La caduta di Mussolini, invece della pace, portò la devastazione da parte di tutti i belligeranti. La repressione tedesca e la paura della deportazione forzata come lavoratori in Germania provocò un grande incremento dell’attività partigiana, specie nell’Italia settentrionale. 150.000 giovani si trovarono in armi sulle montagne e spesso, per ragioni politiche, si scontrarono anche tra di loro. Altri italiani scelsero di continuare la guerra con i tedeschi, altri ancora con gli Alleati. Le rappresaglie verso i partigiani da parte tedesca furono feroci e spesso aggravate dagli appelli via radio ad insorgere degli Alleati nell’imminenza di un loro sfondamento del fronte, che poi non avveniva; al contrario delle selvagge rappresaglie dei tedeschi. Gli Alleati portano gravi responsabilità morali per questi orrori, anche a causa della promozione della guerriglia dietro le linee tedesche in cambio di vantaggi militari molto marginali. I tedeschi che prima consideravano gli italiani solo degli scansafatiche, adesso presero a giudicarli anche dei traditori. Il feldmaresciallo Kesselring, ai cui ordini diretti c’erano anche le SS, attuò un governo crudele dell’Italia, provato dal suo ordine del 17 giugno 1944: “La lotta contro i partigiani deve essere condotta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la massima severità. Io proteggerò qualunque comandante che, nella scelta e nella severità dei mezzi adottati nella lotta contro i partigiani, ecceda rispetto a quella che è la nostra abituale moderazione. Vale al riguardo il vecchio pricipio per cui un errore nella scelta dei mezzi per raggiungere un obbiettivo è sempre meglio dell’inazione o della negligenza”. Il primo luglio aggiunse: “Dovunque sia accertata la presenza di un numero considerevole di gruppi di partigiani, una percentuale della popolazione maschile sarà fucilata”. Si ritiene che durante l'occupazione in Italia i tedeschi abbiano ucciso circa quarantaseimila civili, inclusi settemila ebrei. Kesselring, popolare in Germania e anche presso i suoi nemici, i quali interceddetro a suo favore nei processi che subì per crimini di guerra, ebbe la condanna a morte commutata in ergastolo, venendo scarcerato pochi anni dopo. Anche se gli Alleati non eguagliarono mai il comportamento dei tedeschi, tuttavia si macchiarono anch’essi di gravissimi crimini di cui si parlerà successivamente in maniera più estesa.

  • 20

    La resa dell’Italia provocò un’emigrazione di massa dei prigionieri di guerra inglesi e americani verso le loro linee. Questi viaggi, che durarono anche mesi, si caratterizzarono per l’aiuto che la popolazione italiana, soprattutto quella rurale, diede ai fuggiaschi, i quali ne rimasero commossi. Tale aiuto non era per lo più stimolato dall’entusiasmo per la causa alleata, ma piuttosto da un’istintiva compassione. I tedeschi punivano ferocemente i civili che aiutavano il loro nemico, bruciando case e uccidendo, ma inutilmente, il fenomeno non si attenuò. Migliaia di soldati furono accolti e nascosti nelle case. Questo fu l’aspetto più nobile del triste ruolo giocato dall’Italia nella guerra. Questa ospitalità così disinteressata stimolò anche un fenomeno negativo tra i soldati alleati: la diserzione. Essa interessò migliaia di soldati, più che in ogni altro teatro di guerra. Da calcoli accurati è stato stimato che nel periodo 1943-44 i disertori inglesi furono 30.000, praticamente più di due divisioni, gli americani 15.000. Le cifre ufficiali indicano un numero minore, esse non includono, ma la distinzione potrebbe essere tecnicamente significativa, i soldati considerati semplicemente assenti ingiustificati. Comunque le retrovie alleate erano piene di imboscati e fuggiaschi22, in particolare fanti, quelli che, soprattutto su quel fronte, avevano più probabilità di morire. Alcuni ufficiali superiori, tra cui Alexander, avrebbero voluto reintrodurre la pena di morte, che però era ritenuta politicamente inaccettabile.

    Il fronte italiano, comunque, impegnò un decimo delle forze terrestri tedesche, che sarebbero potute essere spostate altrove e consentì di organizzare basi aeree che bombardarono i campi petroliferi in Romania controllati dai tedeschi. Complicato pensare come questa campagna militare avrebbe potuto essere accelerata, evitata o interrotta. A quelli che vi combatterono, tuttavia, non portò né gloria né soddisfazioni, come non ne portò agli inermi abitanti di quei campi di battaglia.

    14. Marlene Dietrich visitò e intrattenne con spettacoli le truppe.

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    22 Il tenente Alex Bowlby incontrò casualmente un uomo che aveva abbandonato il suo plotone e stava cenando con una famiglia italiana. Il soldato finì di mangiare, uscì di casa e rubò la jeep dell’esterrefatto tenente prima che questi avesse il tempo di reagire. Sempre il tenente Bowlby, ricorda che i suoi uomini facevano il loro dovere sempre sull’orlo dell’ammutinamento.

  • 21

    1.3 L’avanzata verso la linea Gustav

    Pur in continua ritirata verso le linee difensive escogitate da Kesselring, l’abilità dei tedeschi nel seminare trappole esplosive, inventandone sempre di tipo nuovo (le perdite furono gravissime), oltre alla metodica distruzione di strade e ponti, rendeva la marcia degli alleati lentissima ed esaltò come indispensabile il lavoro dei genieri inglesi e americani, che divennero il vero e proprio motore dell’avanzata. Per esempio, solo per percorrere i primi venticinque chilometri da Salerno a Napoli furono allestiti bel 25 ponti. Fu un cammino veramente tortuoso che costrinse le truppe a logoranti marce attraverso le montagne solo per aggirare pochi gruppetti di mitraglieri e fucilieri tedeschi, lasciati in postazioni ben protette e fortificate. La caratteristica del terreno consentiva ai tedeschi, pur in ritirata, di scegliere il terreno di scontro. Quando la V armata americana di Clark era quasi a Napoli, l’VIII armata britannica di Montgomery risaliva la costa adriatica. Il 22 settembre sbarcarono a Bari, cinque giorni dopo presero Foggia. Le due forze alleate erano separate da montagne alte più di duemila metri. Il primo ottobre (schema 4), gli americani entrarono in una Napoli distrutta, raggiungendo il primo obbiettivo dopo lo sbarco di Salerno: la presa della città, ma soprattutto del suo porto. Questa operazione era costata agli Alleati 2.000 morti, 7.000 feriti e 3.500 dispersi. La popolazione rimasta era isterica dalla fame, non esisteva più nulla di commestibile. L’acquario tropicale era diventato una fonte di cibo. Era stato tenuto in vita solo un piccolo di lamantino23, vanto dell’acquario, che, in una cena di benvenuto, fu offerto bollito con una salsa all’aglio al generale Clark. Non ci è dato sapere se il palato dell’illustre ospite apprezzò il sacrificio dello sfortunato animale [NdA]. Il generale, peró, fu molto compiaciuto del suo ingresso in città. Telegrafò alla moglie: “Alla maniera grandiosa dei conquistatori: ti offro Napoli per il tuo compleanno”.

    15. Soldati alleati entrano a Napoli

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    23 Mammifero acquatico rassomigliante al tricheco, ma con importanti differenze. Infatti non ha i lunghi incisivi, è erbivoro e il suo habitat sono le zone costiere dell’America del sud, Africa e i Caraibi.

  • 22

    Intanto la strategia tedesca diventava chiara con la costituzione di varie linee difensive (schema 5) nella penisola che si estendevano da est a ovest. Tali linee erano più o meno fortificate24; la prima fu quella del fiume Volturno, che fu superato dagli Alleati il 12 ottobre. L’intento di Kesselring era evidente, in ritirata rallentare gli Alleati il tempo necessario per completare la più formidabile di tutte: la linea Gustav, quella che passava attraverso Cassino. Kesselring aveva già tracciato sulla mappa, a sud di Roma, tre sistemi difensivi paralleli, distanti l'uno dall'altro 12 - 18 chilometri, approfittando anche del punto in cui la penisola italiana è più stretta. Da sud a nord: Linea Bernhardt La prima, la più meridionale, chiamata anche Linea Reinhard o Linea d'inverno. Originariamente era la linea di difesa principale tedesca che, con alcune modifiche, si integrò successivamente nella linea Gustav. Andava dal fiume Sangro sull'Adriatico fino alla foce del fiume Garigliano passando per Mignano. Linea Gustav La seconda, che divenne la più importante. Si trattava di un sistema difensivo trasversale costruito tra il Garigliano ad ovest (circa 130 chilometri a sud di Roma) e, passando su Cassino, la città di Ortona vicino al mar Adriatico. La linea si appoggiava ad una delle più forti barriere naturali in Italia. Al centro, si estendeva per diversi chilometri la Valle del Liri, al sud il Monte Majo, al nord il Monte Cassino dominante la strada statale n.6 (la via Casilina) per almeno tre chilometri. Linea Senger - Riegel La terzo, denominato anche linea Hitler. Fu aggiunta nel gennaio 1944, si snodava lungo la direttrice Pontecorvo - Aquino - Piedimonte San Germano.

    Schema 4. Schema cronologico delle operazioni alleate fino al primo ottobre 1943

    24 Per linea forticata si intende la presenza su un tratto di terreno di vari accorgimenti per impedire al nemico di penetrare nel territorio alle spalle di questa linea. Nel termine fortificazione rientrano le casematte in cemento fino a i veri e propri forti, postazioni di mitragliatrici e artiglieria, campi minati, la presenza di filo spinato ecc.

  • 23

    Schema 5

    Agli Alleati occorsero quattordici settimane per conquistare un territorio di 80 chilometri di distanza tra Napoli e Cassino, quasi sette solo per gli ultimi 10 chilometri prima della linea Gustav. Persero 16.000 uomini tra morti, feriti e dispersi. La lentezza della marcia fu esasperata dalle pessime condizioni meterorologiche, le peggiori a memoria d’uomo. Per lo stesso motivo la superiorità aerea non potè essere sfruttata. Gli Alleati avevano anche una netta prevalenza in mezzi corazzati, ma le devastate strette strade ed il terreno annullavano il vantaggio. Le azioni sulla linea del fronte erano limitate a scontri di piccoli gruppi di uomini a distanza ravvicinata usando mortai, mitragliatrici, fucili e baionette. In tale situazione il successo era dovuto alla combattività e capacità di resistenza. Il generale Alexander scrisse nelle sue memorie: “La sequela apparentemente infinita di catene montuose, gole e fiumi del terreno italiano richiedeva qualità militari, cioè valore sul campo e capacità di resistenza in una misura che rimase insuperata in ogni altro teatro di guerra”.

    I contendenti che si affrontarono nel Natale 1943 erano culturalmente profondamente diversi, benché vi fossero differenze importanti anche tra americani e inglesi. Gli Alleati provenivano da società fondamentalmente non militari. I due paesi prima della guerra non avevano un grande esercito. I soldati furono quasi tutti arruolati e addestrati rapidamente25. L’esercito inglese aveva accumulato sicuramente più esperienza nel combattimento con i tedeschi (e facevano in modo di ricordarlo continuamente ai loro alleati), però in Italia non c’erano molti veterani, per lo più i soldati erano alla loro prima azione di guerra. Nel 1943 solo il 5% dei comandanti di compagnia aveva già fatto esperienze belliche. La differenza tra i due eserciti, inglese e americano, consisteva nella considerazione in cui era

    25 Per gli americani soprattutto, almeno al tempo, ma anche per gli inglesi, nella scala dei loro valori le forze armate non erano certamente ai primi posti. I soldati alleati si considerarono e venivano considerati cittadini in uniforme e non veri e propri soldati di professione, capitati nell’esercito solo a causa della loro data di nascita.

  • 24

    tenuta la vita dei soldati. Gli inglesi, memori della Prima guerra mondiale, cercavano anche a costo di fallire, di evitare massacri, peraltro nel 1943 vi era anche una grande penuria di uomini. Gli americani, invece, della Prima guerra mondiale avevano ricordi meno tragici e riserve di uomini molto più grandi. Quindi i generali statunitensi erano molto piu propensi ad una strategia d’attacco, curandosi meno delle perdite. La sfiducia che si creò tra i due alleati in Italia fu dovuta molto a questa differenza. Gli americani parlavano con disprezzo dell’abitudine degli inglesi ad utilizzare in maniera così massiccia i bombardamenti aerei e l’artiglieria, al fine di ridurre al minimo l’utilizzo della fanteria. Gli inglesi, a loro volta, non solo giudicavano senza cuore i comandanti americani nello sperpero delle vite dei loro soldati, ma pensavano fossero anche degli incompetenti. Sui generali inglesi influiva molto la figura dei loro colleghi della Prima guerra mondiale, che mandarono i soldati allo sbaraglio standosene ben al sicuro lontano dalle linee. Spessissimo Mongomery e lo stesso Alexander, il comandante in capo di tutto il teatro di guerra italiano, apparivano al fronte distribuendo sigarette e incoraggiamenti. I fanti americani osservavano meravigliati e ammirati gli ufficiali superiori inglesi in zone pericolose. Alcuni di loro non sapevano nemmeno il nome del loro comandante di reggimento e raramente avevano simpatia per i propri generali. In tutti e due gli eserciti, però, pur con differenze di stile, era importante il ruolo di leadership esercitato dagli ufficiali inferiori a livello di comandante di compagnia o plotone. Nell’esercito americano, gli ufficiali inferiori avevano in genere un rapporto paritario con i loro soldati, la mancanza di gerarchia e disciplina, erano compensati dalla tradizionale soluzione americana: l’esempio ispiratore del leader. Tradotto in pratica, l’ufficiale si metteva alla testa dei propri soldati e si esponeva quanto e più di loro al pericolo. Conseguentemente le perdite furono elevatissime. In una divisione americana furono sufficienti ottantotto giorni di combattimento per raggiungere il 100% di caduti tra i sottotenenti. Questo comportamento diventò così usuale che attirò anche delle ironie. In un fumetto satirico si vedono due fanti americani che si fanno piccoli piccoli, nascosti dietro una mitragliatrice, e di fronte a loro, dritto come un fuso, un ufficiale ben rasato. Uno dei due gli chiede: “Signore, deve proprio attirare il fuoco del nemico mentre ci ispira?”. Per i militari inglesi e americani la vittoria significava semplicemente la fine della guerra e il ritorno a casa. La stragrande maggioranza combattè per puro senso del dovere verso i commilitoni, la famiglia e per non venire a sua volta ucciso. Il concetto di patriottismo, presente durante il precedente conflitto, non esisteva in questa guerra. Quasi tutti gli americani accolsero con indifferenza l’invasione della Polonia o della Francia. Quando avvenne Pearl Harbor, gli Stati Uniti furono presi dal panico e quando pochi giorni dopo la Germania (e l’Italia) dichiararono guerra, la maggioranza della popolazione ne fu sorpresa. In poche parole andare a combattere in Europa per abbattere la tirannia non era un concetto per lo più conosciuto ai soldati. Le voci di stermini nazisti venivano ignorate o non credute. Per gli statunitensi il vero nemico era il Giappone, andavano a combattere i tedeschi semplicemente perché erano alleati dei giapponesi. Un soldato canadese espresse in maniera cruda, ma molto efficace questi concetti: “Chi diavolo va a morire per il re e per la patria? Quella merda è uscita di scena con la Prima guerra mondiale”. Alcuni sondaggi rivelarono che a meno del 10% dei soldati sarebbe piaciuto uccidere un soldato tedesco, mentre quasi la metà voleva ammazzare un soldato giapponese. Mentre i giapponesi erano visti come “infidi e orientali”, i tedeschi erano visti dagli americani e anche dagli inglesi, seppur in misura minore, come simili a loro. Anche nell’esercito tedesco non mancavano i giovani soldati inesperti, ma il loro retroterra culturale era molto differente rispetto ai loro omologhi cittadini in uniforme americani e inglesi. Questo derivava dalla reazione tedesca alla Prima guerra mondiale e, forse, ad ancora prima. Durante quella guerra erano caduti due milioni di tedeschi, ma il massacro aveva avuto un effetto differente in Germania rispetto agli altri paesi. Per i vincitori, quella guerra era la guerra finale, per i tedeschi, invece, non solo avevano sofferto di più, ma era mancata la consolazione della vittoria. Chi aveva vinto ricevette almeno questo premio, per chi perse, le sofferenze erano state inutili. Quindi si trattava di una doppia tragedia. In Germania si diffuse la convinzione, anche prima della conquista del potere dei nazisti, che in realtà la Germania non fosse stata sconfitta. In fin dei conti il territorio del Reich non era stato teatro di guerra ed era stato firmato un armistizio e non una resa incondizionata. Il sentimento comune fu che la nazione fosse stata tradita dall’interno da politici, comunisti e finanzieri. Ne nacque un “culto del soldato”, poi il militarismo, il nazionalismo e l’antisemitismo.

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    Tra le due guerre, i militari tedeschi godettero in patria di un prestigio molto superiore di quello dei militari delle nazioni vincitrici. Soprattutto con l’avvento al potere del partito nazista, l’esercito era visto e si sentiva come parte integrante della società, secondo solo al partito. Quando fu reintrodotta nel 1935 la coscrizione obbligatoria, l’esercito fu parte essenziale dell’istruzione dei giovani tedeschi. Il condizionamento in tal senso fu una delle prime preoccupazioni del regime; nel 1944 i nazisti avevano avuto dieci anni di tempo per fare ciò. I tedeschi vennero educati a considerarsi sempre dei soldati e non dei civili in divisa. Robert Frettlöhr aveva nove anni quando Hitler salì al potere e fece parte, come tutti, delle varie organizzazioni giovanili del partito. “Vedevamo marciare i soldati e per noi era qualcosa che semplicemente faceva parte della nostra vita. C’era e basta. Vede, non avevi scelta, e io non mettevo in discussione la cosa perché troppo giovane”. Si offrì volontario nella Luftwaffe e fu paracadutista a Cassino. Mentre i cittadini-soldato anglosassoni dovevano essere trattati dai superiori con cautela26, nella Wehrmacht non si parlava di “diritti”. I disertori tedeschi venivano fucilati, essi furono oltre 15.000. Gli inglesi applicarono la pena solo una volta in tutta la guerra. Non è semplice capire quanto queste differenze contarono nelle prestazioni straordinarie di molte unità della Wehrmacht, ma è certo che mentre pochi tra gli Alleati si aspettavano che la guerra durasse fino al 1945, i prigionieri tedeschi prima e durante Cassino stupivano per la loro incrollabile fiducia nella vittoria finale. L’ottimismo cominciava a scemare quando nelle retrovie degli Alleati si rendevano conto delle incredibili risorse in materiale bellico di cui disponeva il nemico. Dopo la presa di Napoli era evidente ormai che i tedeschi non avevano nessuna intenzione di ritirarsi fino al Po. I contrasti tra inglesi ed americani continuarono. Gli americani pretesero lo spostamento di alcune divisioni in Inghilterra per prepararsi allo sbarco in Normandia. Gli inglesi cercavano di contrastare ciò. Churchill ottenne di trattenere in Italia una parte dei mezzi anfibi perché c’era l’incentivo della presa di Roma, operazione non solo propagandistica, ma anche strategica, poiché consentiva di appropriarsi di aeroporti che avrebbero permesso il bombardamento della Germania meridionale e dei Balcani. L’idea era un’altra operazione di sbarco. La V armata doveva continuare ad avanzare per impedire ai tedeschi di rafforzare ulteriormente le difese. Era ormai chiaro dalle foto della ricognizione aerea e dai racconti dei prigionieri di guerra che fervevano importanti lavori lungo la linea Gustav, imperniata sui fiumi Rapido-Gari-Garigliano e su Cassino-Montecassino (schema 6).

    Schema 6

    26 Il generale George Smith Patton, pur essendo considerato uno dei migliori strateghi dell’esercito americano, fu rimosso dal comando perché durante le operazioni in Sicilia, nel corso di un'ispezione a un ospedale di campo, aveva schiaffeggiato pubblicamente due soldati, definendoli dei vigliacchi, malgrado i medici giustificassero la loro presenza in quell’ospedale perché afflitti da Combat Stress Reaction (disturbo post traumatico da stress), una sindrome psicologica frequente tra combattenti sottoposti a bombardamento. Il comando gli fu restituito solo dopo lo sbarco in Normandia.

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    Dietro i fiumi erano concentrate una grande quantità di truppe, gli argini erano stati spianati con esplosivo per aumentare il campo di tiro, dovunque c’erano trincee anticarro, mine e filo spinato. Gli Alleati, di fatto e inevitabilmente, furono attirati in una trappola tattica. I tedeschi combattevano resistendo, contrattaccando e ritirandosi se venivano aggirati o appena gli Alleati riuscivano a creare le condizioni per piazzare mortai e artiglieria. Villaggi e paesi venivano distrutti dall’artiglieria, subito dopo americani e inglesi si lanciavano all’attacco, ma conquistavano solo postazioni ormai abbandonate. I contendenti si lasciavano alle spalle solo rovine. Molti militari alleati compativano le condizioni della popolazione. S. C. Brook, un mitragliere della 56a divisione britannica, racconta: “Finiamo in un paese per la notte; arrivano frotte di bambini che vogliono carne e gallette, alcuni portano qualche verdura, fagioli, pomodori, uva, patate. È gente che sembra messa male con il cibo, non so come tireranno avanti da qui ad un mese [...], molti bambini sono malati, di solito agli occhi e alle gambe”. Ogni volta che i soldati mangiavano, si formava una folla di civili in stracci e disperati, che mendicavano cibo, oppure frugavano nei bidoni della spazzatura alla ricerca di qualche scarto. Fu constatato che, in un paese dove la fame era così feroce, il soldato semplice con la sicurezza di almeno un pasto giornaliero, era un uomo ricchissimo, e che la mancanza di cibo trasformava in animali anche rispettabili signore anziane. I soldati alleati rimasero sorpresi dalle condizioni di povertà della popolazione italiana, specialmente nel meridione. Nel 1940 l’Italia aveva meno di un quarto del PIL della Gran Bretagna e il sud era sempre stato la metà più povera. Poco dopo la presa di Napoli, il fuciliere J. M. Harvey visitò la parte misera della città: “Era senza alcun dubbio la zona più sordida abitata da esseri umani che a chiunque possa accadere di vedere”. I soldati erano stupiti che un paese in quelle condizioni potesse avere avuto la temerarietà di dichiarare guerra a qualcuno, sia pure con la Germania come alleato. Il 2 novembre la V armata raggiunse la linea Gustav sul Garigliano. Si riteneva che la Statale 7, (via Appia), la via costiera per Roma, fosse inutilizzabile per via dei numerosi canali ed acquitrini, quindi fu scelta la Statale 6 (via Casilina), per raggiungere Roma (schema 7).

    16. Donne dell’Italia centrale che lavano i panni. Intorno le condizioni

    fangose delle strade che crearono gravi impedimenti e disagi alle truppe (www.liberationtrilogy.com)

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    Schema 7

    Quindici chilometri prima di Cassino, la Casilina attraversa “la stretta di Mignano”, un corridoio tra le montagne, dove i tedeschi erano in attesa. La missione era prendere il monte Camino (960 metri s.l.m.) (schema 8) che dominava il lato sud della strada. Il compito fu affidato alla 56a divisione britannica (Black Cat) del generale McCreery. Il picco era ricoperto di trappole esplosive ed ogni volta che gli inglesi raggiungevano la cima, i tedeschi contrattaccavano e se la riprendevano (6 – 12 novembre). Alla fine gli inglesi desistettero. Il generale Clark si infuriò, ormai la sua fiducia nei britannici era ai minimi. Il generale Alexander ordinò tre settimane di sosta perché le trruppe potessero riposarsi. Il primo dicembre gli inglesi attaccarono anche con la 46a divisione. Il 4 dicembre presero la sommità, ma furono, con un altro contrattacco ancora ricacciati indietro. Spesso i britannici erano costretti a ripararsi nelle posizioni avanzate dei tedeschi, ma così, ovviamente, il nemico sapeva esattamente dove tirare i colpi di mortaio. L’abilità dei tedeschi destava ammirazione. Il 6 dicembre finalmente la postazione cadde e dopo tre giorni di rastrellamenti fu liberata del tutto (Operazione Raincoat). Fu risolutivo un massiccio bombardamento d’artiglieria. Monte Camino fu detto Million-dollar Hill, questo era il valore dedotto della quantità di granate d’artiglieria usate per prenderlo. Qualcuno calcolò che ogni tedesco ucciso era costato 25.000 dollari di bombardamento e c’era qualcun’altro che, ironicamente, si domandava se non sarebbe stato più pratico offrirglieli in cambio della resa. Contemporaneamente all’ultimo attacco sul monte Camino (3 – 9 dicembre), un'unità speciale di combattimento composta da militari statunitensi e canadesi, la First Special Service Force detta anche "Brigata del diavolo", inquadrata nella 36a Divisione Americana di Fanteria, attaccava Il monte La Defensa, uno dei picchi del massiccio del Monte Camino, riuscí ad espugnare la cima, ma ebbe perdite per il 77% dell’organico (schema 8). Il soldato Spike Milligan, il giorno 8, scrisse nel suo diario che approfittò della fine della battaglia per lavarsi ai margini di una strada con l’acqua in una latta. “Fa così freddo che tieni la parte di sopra completamente vestita, mentre ti lavi le gambe, poi ti metti i pantaloni, ti spogli di sopra e fai

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    l’altra metà”. Il 9 era molto depresso: “Non posso sopportare ancora per molto questa pioggia maledetta”. La pioggia pose fine anche all’offensiva del maresciallo Montgomery sul lato adriatico27. Egli aveva sperato di prendere Roma da est. Il 5 dicembre il Sangro straripo’ e tutti ponti dei genieri dovettero essere ricostruiti. A metà dicembre il fronte era chiuso e sia gli Alleati che i tedeschi si sarebbero concentrati sulla parte meridionale della linea Gustav, nella zona di Cassino. Montgomery nel frattempo fu richiamato in Inghilterra per la preparazione dell’Operazione Overlord e non avrebbe più avuto un ruolo nella campagna d’Italia, che tanto, fino a quel momento, aveva criticato perché priva di una direzione generale.

    17. Monte Camino

    Schema 8

    27 Anche in tale caso, secondo i comandanti tedeschi, da questo lato del fronte gli Alleati persero una grande occasione. Infatti il secondo giorno dell’offensiva (il 28 novembre), la 65a divisione di fanteria che fronteggiava gli inglesi fu praticamente fatta a pezzi. I tedeschi, dal versante tirrenico, mandarono la 26a divisione corazzata e da nord la 90a divisione granatieri corazzati a chiudere la breccia. Fino al momento dell’arrivo nulla avrebbe potuto fermare VIII armata britannica. Inoltre sarebbe stato facile attaccare con attacchi aerei la 26a in attraversamento dell’Appennino e travolgere la 90a mentre era ancora in marcia.

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    La 36a divisione Texas attaccò e prese altri due monti verso Cassino lungo la Statale 6. Il 7 dicembre, si diressero verso il paese di San Pietro, ma ne fallirono il controllo. Erano coadiuvati da un Raggruppamento italiano motorizzato di 5.500 uomini che furono respinti a loro volta. Fu allora ritentato ancora un attacco dalla 36a con carri armati, ma fallì anche questo con gravi perdite. I tedeschi abbandonarono la posizione solo quando essa fu aggirata. Gli americani entrarono in un paese in rovina, dove trovarono più di 300 abitanti morti che avevano pensato di essere al sicuro nelle cantine. Il 22 dicembre, ad ogni modo, gli Alleati avevano lentamente liberato tutte le alture di fronte alla linea Gustav. Rispetto alla battaglia vera e propria di Cassino, l’avanzata fino alla linea fu rapida; la situazione sarebbe peggiorata, e di molto. Churchill nel suo diario, il 19 dicembre, si lamentava della “scandalosa” lentezza di come procedeva il fronte meridionale. Il generale tedesco von Senger, assistendo alla Messa di Natale nell’abbazia, aveva notato, dirigendosi in auto presso di essa, gli schieramenti lungo la valle e fu abbastanza sagace da dichiarare che a differenza della Russia, dove si combattevano battaglie mobili ad ampio raggio, qui si stava profilando un combattimento statico sul modello della Prima guerra mondiale.

    18. Genieri americani ricostruiscono un ponte distrutto dai tedeschi in ritirata

    (www.liberationtrilogy.com)

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    19. I muli si sarebbero rivelati indispensabili per il trasporto dei rifornimenti, dei morti, dei feriti e dei congelati. Furono talmente essenziali che ne vennero importati ulteriori 1.200 da Cipro (www.dalvolturnoacassino.it)

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    2. La battaglia di Montecassino (12 gennaio – 18 maggio 1944)

    “Sono stato a Stalingrado e non avrei mai pensato di poter attraversare qualcosa di peggio”

    Un soldato tedesco fatto prigioniero durante la quarta battaglia di Montecassino

    La battaglia di Montecassino, nelle sue quattro fasi, è considerata ancora oggi uno degli scontri bellici più importanti e discussi della Seconda guerra mondiale. Essa fu caratterizata da un insieme di tentativi per conquistare la città di Cassino e superare la linea Gustav. Queste fasi susseguenti hanno portano gli storici a parlare di “battaglie per Montecassino (o Cassino)”.

    20. (www.dalvolturnoacassino.it)

    21. (www.dalvolturnoacassino.it)

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    2.1 Gli avversari

    Alleati

    22. Generale Harold Rupert L. G. Alexander

    Comandante in capo

    23.

    Mark Wayne Clark (Madison Barracks, 1, Maggio, 1896 – Charleston, 17, aprile, 1984), generale statunitense. Ufficiale di fanteria dal 1917, combattè nella Prima guerra mondiale senza distinguersi particolarmente. Considerato un buon ideatore di piani, ascese fulmineamente nei ranghi dell’esercito americano. Senza avere avuto precedenti esperienze sul campo gli venne affidato il comando della V armata nella campagna d’Italia. Figura di militare intorno a cui ruotano molte discussioni sulla conduzione della battaglia di Montecassino. Il generale Omar Bradley espresse preoccupate riserve sulla sua nomina: “Non ero certo che Clark rappresentasse la scelta migliore per quel salto piuttosto audace in Italia. Inoltre avevo gravi riserve su di lui come persona. Sembrava in qualche modo falso, troppo ansioso di fare buona impressione, troppo affamato di ruoli da protagonista, di promozioni, di pubblicità per sè”. Nemmeno il generale Patton si fidava di lui perché lo trovava “troppo maledettamente untuoso”. Anche tra la truppa non fu mai popolare. Nel 1945, ricevette la capitolazione delle milizie tedesche operanti in Italia. Dopo la guerra, dal 28 aprile 1952 al 30 ottobre 1953, sostituì il generale Matthew Ridgway, quale comandante in capo delle forze delle Nazioni Unite in Corea.

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    24.

    Alphonse Juin (Bona, 16 dicembre, 1888 – Parigi, 27 gennaio 1967), generale francese e maresciallo di Francia dal 1952. Nato in Algeria, aveva perso la mano destra durante la Prima guerra mondiale. Preso prigioniero dai tedeschi nel 1940, fu poi liberato nel 1941 e nominato dal maresciallo Petain, il presidente del governo collaborazionista di Vichy, comandante in capo delle forze francesi in Nordafrica. Passato alla causa degli Alleati, fu comandante del Corpo di spedizione francese (C.E.F.) in Italia formato per la maggior parte da soldati coloniali francesi (marocchini e algerini). Le truppe dal lui comandate si dimostrarono tra le migliori unità della campagna d’Italia. Abituate a combattere su terreni simili a quelli italiani, furono particolarmente efficaci. Purtroppo si resero anche protagonisti, in particolare i soldati marocchini, di episodi di inaudita violenza a danno della popolazione. Il ruolo del generale Juin in questo fu molto discusso e controverso. Divenne dopo la guerra capo di Stato Maggiore della Difesa nazionale e dal 1951 fu comandante per il centro Europa della NATO. Malgrado non parteggiasse per Charles de Gaulle, non sostenne il colpo di Stato dei generali contro di lui. Morì il 27 gennaio 1967 e fu sepolto all'Hôtel des Invalides.

    25. Bernard Cyril Freyberg, primo Barone Freyberg (Richmond upon Thames, 21 marzo 1889 –Windsor, 4 luglio 1963), generale britannico nato a Londra, ma all’età di due anni trasferitosi in Nuova Zelanda. Combattè col grado di capitano sotto Pancho Villa nella rivoluzione messicana, partecipó alla Grande Guerra prendendo parte alla sfortunata spedizione di Gallipoli e venendo decorato. Durante la battaglia della Somme ottenne una Victoria Cross (più alta decorazione militare britannica), successivamente, nel 1917, divenne il più giovane brigadiere generale (facente funzione) dell’esercito britannico. Fu ferito ben nove volte, alcune di queste gravemente. Nel 1937 fu escluso dal servizio attivo per problemi cardiaci, ma nel 1939 con lo scoppio della Seconda guerra mondiale fu riammesso e accettato dal governo neozelandese come comandante del Corpo di spedizione della Nuova Zelanda. Promosso tenente generale, partecipò alle operazioni di guerra in Grecia, alla battaglia di Creta e in nord Africa. Qui entrò in conflitto con il suo superiore, generale Auchinleck, comandante in capo per il Medio Oriente, perché volle mantenere autonomia decisionale sul Contingente neozelandese se a suo parere gli ordini fossero entrati in conflitto con gli interessi nazionali della Nuova Zelanda. Ebbe invece buone relazioni con

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    il successore di Auchinleck, il generale Alexander e col generale Montgomery, comandante dell’VIII armata britannica sempre in nord Africa. Freyberg fu un eccellente preparatore di piani d’attacco, ebbe invece meno successo come comandante a livello di corpi combattenti (Creta e Cassino). Strettamente associato alla controversa decisione di bombardare il monastero di Montecassino, era molto rispettato dai soldati neozelandesi perché si preoccupò sempre del loro benessere. Fu governatore generale della Nuova Zelanda dalla fine della guerra al 1952. Ritornò in Inghilterra e morì nel 1963 a seguito di complicazioni legate ad una delle sue numerose ferite di guerra.

    26.

    Oliver William Hargreaves Leese (Londra, 27 ottobre 1894 – Londra, 22 gennaio 1978), generale britannico. Ferito tre volte e decorato durante la Prima guerra mondiale, tra le due guerre ricoprì diversi incarichi allo Stato maggiore. Nominato maggiore generale nel 1940. Nel 1942 fu mandato in Nordafrica sotto il comando del generale Montgomery, che ebbe sempre di lui grande stima. Partecipò alla sbarco in Sicilia, subito dopo fu richiamato in patria per preparare lo sbarco in Normandia, ma tornò in Italia alla fine del 1943 per prendere il posto di Montgomery come comandante dell’VIII armata. Prese parte alla battaglia di Montecassino e ai combattimenti sulla linea gotica, detti Operation Olive o battaglia di Rimini (settembre 1944). Subito dopo fu trasferito in Asia al comando dell’XI Corpo d’armata, in quel momento completamente disorganizzato ed inefficiente. Egli lo riportò in condizioni di farsi di nuovo onore. In seguito a contrasti con lord Mountbatten, vicerè dell’Impero britannico in India, fu trasferito in patria e si ritirò dall’esercito nel 1947.

    27.

    Władysław Anders (Błonie, 11 agosto 1892 – Londra, 12 maggio 1970), generale e politico polacco.

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    Allo scoppio della Prima guerra mondiale venne chiamato alle armi come suddito russo. Studiò all'Accademia militare di San Pietroburgo. In qualità di ufficiale della cavalleria russa partecipò a diverse battaglie contro i tedeschi, soprattutto nella Prussia orientale, dimostrando già in queste prime prove di possedere abilità, coraggio e viva intelligenza. Per meriti di comando e atti di valore (fu ferito più volte) ricevette diverse decorazioni russe. Il maresciallo Piłsudski, capo carismatico dell'esercito polacco nella costituita Polonia dopo la fine della Prima guerra mondiale, nonostante Anders non avesse appoggiato il suo colpo di stato, intervenne in prima persona e il 1° gennaio 1934 lo nominò generale di brigata, ,. Durante la Seconda guerra mondiale, Anders combattè contro i tedeschi e contro l'Armata Rossa, che aveva invaso le parti orientali della Polonia. Venne ferito a più riprese. Il 29 settembre 1939, gravemente colpito, fu fatto prigioniero dai sovietici e, dopo un breve soggiorno in ospedale, incarcerato ancora ferito, prima a L’vov (Leopoli), in condizioni di vita spaventose; subì dei congelamenti, fu torturato e processato. Nel marzo 1940 venne trasferito, prossimo alla morte, alla prigione dell’NKVD, la Lubjanka, a Mosca, dove continuarono gli interrogatori. La prigionia tuttavia lo salvò dalla ben peggiore sorte toccata a molti suoi commilitoni, vittime dell'eccidio di Katyn. Dopo l’