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N. 2 MARZO-APRILE ANNO LIX 2013 FONDATA E RETTA DA COMITATO DI DIREZIONE C. MASSIMO BIANCA FRANCESCO D. BUSNELLI GIORGIO CIAN ANGELO FALZEA GIOVANNI GABRIELLI ANTONIO GAMBARO NATALINO IRTI GIUSEPPE B. PORTALE ANDREA PROTO PISANI PIETRO RESCIGNO RODOLFO SACCO VINCENZO SCALISI PIERO SCHLESINGER PAOLO SPADA VINCENZO VARANO E GUIDO CALABRESI ERIK JAYME DENIS MAZEAUD ÁNGEL ROJO FERNÁNDEZ-RIO CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI P A D O V A CEDA CASA ED I T R I C E D O T T . A N T O N I O MILANI Pubbl. bimestrale - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb. post. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano ISSN 0035-6093 ALBERTO TRABUCCHI (1968-1998) WALTER BIGIAVI (1955-1968) E

N O C N I R I T O I D M E IL A S N A I C ISBN 978-88-13 ... · 6) «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 213,00,

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N. 2 MARZO-APRILEANNO LIX 2013

FONDATA E RETTA DA

COMITATO DI DIREZIONE

C. MASSIMO BIANCA FRANCESCO D. BUSNELLIGIORGIO CIAN ANGELO FALZEA GIOVANNI GABRIELLI

ANTONIO GAMBARO NATALINO IRTI GIUSEPPE B. PORTALEANDREA PROTO PISANI PIETRO RESCIGNO RODOLFO SACCO

VINCENZO SCALISI PIERO SCHLESINGERPAOLO SPADA VINCENZO VARANO

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ISSN 0035-6093

ALBERTO TRABUCCHI(1968-1998)

WALTER BIGIAVI(1955-1968)

E

DIR-CIV2-13 OK.pdf 1 20/03/13 16.55

Vincenzo Zeno-Zencovich

Prof. ord. dell’Università di Roma Tre

IL LATO OSCURO DELLA LEGGE:DIRITTO E SUPERSTIZIONE (*)

Sommario: 1. La legge, e il procedimento legislativo, come oggetto di superstizione. — 2. Igiuristi e l’uso superstizioso della scienza. — 3. Giustizia e superstizione. — 4. La su-perstizione come sistema giuridico. — 5. Una prima conclusione: La superstizione è ine-radicabile. — 6. Il « bonus (et superstitiosus) pater familias ».

Comunemente, la definizione di superstizione è: « Credenza irrazionale,spesso dettata da ignoranza o da paura, in forze occulte ritenute portatrici diinfluenze per lo più negative; ogni pratica o rituale dettati da tale credenza ».Ovvero « atteggiamento irrazionale, dettato da ignoranza, suggestione o timo-re, che attribuisce a cause occulte o a influenze soprannaturali avvenimenti,specialmente negativi, spiegabili con cause naturali e conoscibili; atto, gesto,pratica rituale cui si attribuisce il potere di scongiurare un evento negativo odi propiziarne uno positivo ».

A tali definizioni è opportuno aggiungere la precisazione che deve trat-tarsi di una credenza la cui falsità può essere agevolmente verificata e dimo-strata. La postilla è importante perché mira a tracciare la linea di confine frareligione e superstizione. Non si intende, in questo scritto, infatti, discutereuno dei più complessi e mai sopiti dibattiti culturali e sociali, quantomeno nelmondo occidentale, e cioè il fondamento razionale delle credenze (ovvero, permolti, della fede) religiose (1). Poiché da secoli ci si sforza — senza alcun ri-sultato condiviso — di affermare o negare il fondamento razionale della reli-gione, essa rimane al di fuori della definizione prima fornita.

D’altronde, oggetto di questo scritto — il quale fa riferimento alla tradi-

(*) Il presente scritto è destinato agli scritti in onore di Angelo Luminoso, nei confrontidel quale sono debitore non solo per tanti insegnamenti giuridici, ma anche per la straordi-naria accoglienza nella Facoltà cagliaritana e per la amicizia che ha sempre voluto manife-stare nei miei confronti.

(1) Nel suo Trattato sulla superstizione, Plutarco la definisce come una deviazione dal-le corrette credenze religiose: « L’ignoranza e la mancanza di istruzione riguardante gli deipuò essere rappresentata come un fiume diviso in due corsi, uno dei quali, nelle menti osti-nate, conduce all’ateismo, l’altro, come se finisse in terreni paludosi, produce la supersti-zione » (De superstitione, traduz. con testo greco a fronte a cura di G. Lozza e con presen-tazione di D. Del Corno, Milano 1989). Ed il legame fra religione e la sua deviazione, la su-perstizione, è posto proprio all’inizio del Tractatus theologico-politicus di Baruch Spinoza,pubblicato anonimo ad Amsterdam nel 1670: « Si homines res omnes suas certo consilio re-gere possent, vel si fortuna ipsis prospera semper foret, nulla superstitione tenerentur. (...)Causa itaque, a qua superstitio oritur, conservatur et fovetur, metus est ».

zione occidentale come forgiata attraverso la tradizione giudaico-cristiana e ilpensiero greco e romano — non sono concezioni trascendenti, bensì quel chesi potrebbe definire il cuore della superstizione: gatti neri che attraversano lastrada, specchi che si rompono, numeri (13 o 17), oggetti (il corno, il ferro dicavallo), persone (lo jettatore, il gobbo); fatti o accadimenti; circostanze par-ticolari. Nonché i comuni antidoti che sono utilizzati per scacciare la malasorte che ad essi si associa.

Ci si occuperà non solo di mala sorte ma anche di fortuna, dagli escre-menti dell’uccello in volo, al mangiare un certo cibo, all’incontro con qualcu-no o il ritrovamento di qualcosa.

Dunque non si intende in alcun modo trattare quella che è una storicaaccusa rivolta dagli atei alla religione (in particolare, quella cristiana): di es-sere una forma organizzata e formalizzata di superstizione (2).

Il giurista è naturalmente interessato alla superstizione per una serie diragioni sia intrinseche che storiche (3).

La tradizione giuridica occidentale si fonda su proposizioni di natura ra-zionale, le quali sono chiaramente in contrasto con le credenze superstiziose lequali sono, per definizione, non razionali. Il diritto moderno si è sviluppatocome risultato di una difficile lotta contro la superstizione, soprattutto nelcampo del diritto penale, e dei reati di magia e stregoneria (4). Durante l’eradell’illuminismo la fiaccola ardente del diritto, il diritto della ragione, è stataagitata per scacciare le tenebre della superstizione (5).

(2) Questo è il leitmotiv di una parte significativa della letteratura del XVIII secolo. Peruna delle sue espressioni più accese si veda Paul Henri d’Holbach, Histoire Naturelle de laSuperstition: « Gli uomini sono superstiziosi perché vivono nella paura. E vivono nella pau-ra perché sono ignoranti ». Il libro fu subito vietato in Francia, ma una volta pubblicato inInghilterra divenne uno dei manifesti del movimento illuministico. Per una vivacissima rap-presentazione grafica si veda la famosa incisione di William Hogarth, « Credulità, Supersti-zione, Fanatismo » nella quale la scena è una chiesa all’interno della quale un prete predicatenendo in mano strani idoli, mentre sotto di lui, fra i banchi, si svolge ogni genere di debo-scia. L’estremo si raggiunge quando il rispetto della regola di superstizione porta a compie-re delitti, anche efferati, prevalendo dunque sulla regola razionale della legge: per una anti-cipazione, nel clima della Scuola Positiva, v. A. Lowenstimm, Superstizione e diritto penale:ricerche intorno all’influenza della superstizione sulla delinquenza (trad. it. A. Rocchi),Cassino 1902; G. Amalfi, Superstizione e diritto penale, Napoli 1907; nonché Id. Delitti disuperstizione, Pisa 1914; V. Manzini, La superstizione omicida e i sacrifici umani con par-ticolare riguardo alle accuse contro gli ebrei, Padova 1930.

(3) Alcune delle tematiche qui esaminate si trovano nel volume di C.A. Corcos (a curadi), Law and Magic, Durhan N.C. 2010. Senza voler entrare in discussioni di tipo termino-logico, sia che si tratti di superstizioni che di magia si è di fronte ad un atteggiamento irra-zionale nei confronti di fenomeni o circostanze naturali. A voler tentare di tracciare una li-nea di demarcazione la magia ha una dimensione prevalentemente oggettiva nel senso cherichiede l’intervento di un mago (o di una strega) o di qualche entità sovrannaturale. Men-tre la superstizione è prevalentemente soggettiva nel senso che si fonda su auto-convinzioni.

(4) Ex multis C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, § XXXIX.(5) La intrinseca razionalità della legge è chiaramente posta dai principali philosophes.

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Vi sono dunque molte ragioni per affermare che il diritto — nelle suemolteplici sfaccettature — è assolutamente distante dalla superstizione, e idue concetti devono ritenersi reciprocamente incompatibili.

Quest’ultima credenza — come quelle superstiziose — può però esserecontestata sulla base di argomenti razionali.

1. — Il primo aspetto che si prende qui in considerazione è l’uso dellalegge — inteso nel senso più ampio e quindi comprendente tutti gli atti nor-mativi a portata generale emanati da un soggetto (parlamentare o ammini-strativo) dotato di tali poteri — come antidoto a mali sociali o come strumen-to di tranquillità intellettuale. Dunque la legge non è di per sé superstiziosa,ma è il risultato, a vari livelli, di una superstizione (6).

Le società contemporanee — al pari di quelle del passato — sono sogget-te a numerosi eventi i quali sono considerati come mali: all’individuo, alla suaproprietà o ai suoi beni, alla sua salute, ai suoi diritti. Oppure una minacciaall’ordinato svolgimento di attività, alla terra, agli immobili, all’ambiente.

All’interno di un testo normativo è possibile individuare, con una certafacilità, le disposizioni le quali hanno una funzione promozionale, e quelleche invece hanno una funzione di prevenzione. Le prime mirano a creare or-dine; le seconde a dare un senso di sicurezza.

Molte comunità sentono fortemente il bisogno di essere guidate; i singolihanno bisogno di sapere che ciò che fanno è corretto e temono che ciò chestanno facendo possa contravvenire a qualche — a loro ignota — regola. Lalegislazione, ma ancor più la regolamentazione, riempiono un vuoto (da cuil’horror vacui) e creano una zona di sicurezza mentale. Vivere seguendo le re-gole ha un effetto rassicurante, e immunizza dal timore di reazioni negativeda parte di chi detiene il potere di sanzionare e punire.

Al tempo stesso stabilire divieti e sanzioni per la loro violazione è vistocome una risposta razionale al disordine sociale. Mentre ciò appare ovvio conriguardo al campo tradizionale dei reati (contro la libertà, la vita, l’integritàfisica, la proprietà) ci si può chiedere quale sia il senso dell’orgia di sanzioniregolamentari che coprono praticamente ogni aspetto della vita quotidiana,dal casco per i motociclisti alle deiezioni canine, dal divieto di calpestare iprati a quello di sosta.

Vi è una ulteriore conseguenza nell’espansione del normativismo domi-nante: coloro i quali rispettano la legge sono « normali », mentre coloro che

Per tutti v. J.J. Rousseau, Le contrat social, cap. VIII: « Le legislateur est le mechanicienqui invente la machine ».

(6) L’argomento centrale della più importante opera di Rudolf Wietholter, Rechtswis-senschaft, Fischer Bucherei, Francoforte 1968 (tradotta in italiano e pubblicata da Laterzanel 1975 non a caso con il titolo « Le formule magiche della scienza giuridica » è che nozio-ni quali « ordine pubblico e sicurezza », « bene comune », « libertà ed eguaglianza », « giu-stizia », « buona fede » sono tutti esempi di « formule magiche » (v. in particolare i capp. 2e 3).

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non lo fanno sono « a-normali ». È facile dunque individuare chi non vive inconformità alla legge. La conformità non è incoraggiata ma imposta, ed è ras-sicurante sapere che coloro i quali fanno parte della stessa comunità sonouguali in tutti sensi, non solo nei loro diritti — ma poco importa se li esercita-no — ma soprattutto nei loro doveri ed obblighi che devono essere corretta-mente adempiuti. Le differenze sono fonte di turbamento, in primo luogo in-tellettuale e, conseguentemente, sociale.

Questa tendenza può essere agevolmente colta in talune piccole comuni-tà, lontane dal caos urbano, nelle quali la ricerca della uniformità è resa dallecase in cui si vive, tutte costruite secondo regolamenti precisi e dettagliati.

Si potrebbe obiettare che tutto ciò ha molto più a che fare con la insicu-rezza sociale (7), che con la superstizione. Vale tuttavia notare come questi si-stemi sono quasi interamente costruiti su una trama strettamente intrecciatadi norme — norme scritte, non norme sociali (8) — la cui effettività è garanti-ta da misure coercitive, e non semplicemente dalla riprovazione della comuni-tà.

La domanda è dunque se vi siano degli elementi superstiziosi in questaforte domanda per legislazione e regolamentazione (9).

Il primo indice che si può evidenziare è il radicato convincimento chel’efficienza della società è direttamente proporzionale al numero di norme chela regolano. Tale modo di pensare è particolarmente diffuso nelle culturenord-europee e nel mondo anglosassone. Assai meno nel mondo che si affac-cia sul Mediterraneo. Disponiamo di elementi che ci consentono di affermareche la regolazione, in effetti, consegue i suoi obiettivi? In taluni casi la valuta-zione di impatto offre dei dati significativi che corroborano l’argomento chegli obiettivi posti dagli artefici delle norme sono stati raggiunti. Ma in moltialtri casi mancano prove convincenti degli attesi miglioramenti (10). Beninte-so, è estremamente difficile fornire una prova contro-fattuale (e cioè che lecose sarebbero andate meglio o peggio senza la frenesia regolamentare), an-che perché i fattori esogeni e congiunturali sono molteplici. Tuttavia quel che

(7) A. Ogus, The paradoxes of legal paternalism and how to resolve them, 30 LegalStudies 61 (2010) ove si critica il ruolo negativo dei media nel sollecitare interventi legisla-tivi; C.R. Sunstein, Cognition and Cost-Benefit Analysis, 29 JLS 1059 (2000): « La rispo-sta corretta alle paure sociali non fondate su prova, e ai loro effetti a cascata, è l’educazio-ne e la rassicurazione più che un aumento nella regolazione » (a p. 1095).

(8) S. Deakin, Contracts and Capabilities: An Evolutionary Perspective on the « Auto-nomy-Paternalism Debate » 3 Erasmus L. Rev. 141 (2010), evidenzia come vi sia « un con-tinuum fra norme sociali e regole giuridiche, manifeste, con queste ultime che tendono acristallizzare le prime » (a p. 144).

(9) C.R. Sunstein, Cognition and Cost-Benefit Analysis 29JLS 1059 (2000) offre, inmaniera educata, una risposta: « La domanda del pubblico per una regolamentazione è disolito basata sulla mancata comprensione dei fatti » (a p. 1065).

(10) Dubbi simili sono espressi da A. Ogus, W.H. van Boom, Introducing, Defining andBalancing Autonomy v. Paternalism, 3 Erasmus L. Rev. 1 (2010) (a p. 3).

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interessa notare è che la creazione di regole trasferisce su un piano astrattol’ansia individuale o sociale dando ad essa un sollievo, almeno temporaneo.

Un secondo elemento da considerare è che, all’apparenza, le norme ap-partengono ad un mondo quasi perfetto e sono create da organi illuminati co-me il Parlamento.

La ritualità che circonda il processo legislativo rafforza l’idea della leggecome prodotto di un procedimento assolutamente razionale. Si raccolgono da-ti statistici, si tengono audizioni, si confrontano modelli, si analizzano costi ebenefici (11), si presentano e discutono emendamenti, si pubblicano ampie re-lazioni illustrative.

Tuttavia, benché molti dei complessi meccanismi procedurali possonodissolvere il rischio di processi decisionali irrazionali, il diavolo della irrazio-nalità si nasconde nei dettagli, a cominciare dalle premesse dell’iniziativanormativa per finire con l’apparato sanzionatorio. Soprattutto quando le mi-sure sono prese in momenti di crisi — internazionale, politica, finanziaria —la spinta preminente è quella della azione-reazione sotto la pressione di grup-pi coperti dal mantello della « opinione pubblica » (12). Il risultato, spesso,non è molto diverso da quello dell’unguento portentoso che il ciarlatano dellafiera di campagna vende agli astanti assicurando che esso avrà un effetto im-mediato. Il riferimento alla ritualità — comune a tutti gli studi gius-antropo-logici — è importante per considerare il ruolo che le procedure svolgono neiprocessi legislativi e decisionali. È chiaro e condiviso il convincimento cheprocedure aperte, trasparenti e pre-determinate sono essenziali per evitaresviamenti e dare legittimità al loro esito. La democrazia, nella sua mai termi-nata evoluzione, è, nella sostanza e in primo luogo, un sistema procedurale.Avendo ciò bene in mente è possibile individuare alcune ossessioni procedura-li, che portano ad accettare qualsiasi risultato sostanziale purché si sia rispet-tato il rituale. Tale critica è chiaramente rivolta alla estremizzazione della« rule of law » (13), concetto ben diverso dall’europeo « Staatsrecht » o « État

(11) Ma se l’analisi costi-benefici è la principale metodologia utilizzata per le sceltepubbliche essa è semplicemente « stupida »: v. H.S. Richardson, The Stupidity of the Cost-Benefit Standard, 29 JLS 971 (2000).

(12) Una delle questioni più delicate — che le democrazie europee hanno dovuto affron-tare negli anni ’70 del secolo scorso e che poi si è trasferita negli Stati Uniti all’inizio delmillennio — è quella della risposta da dare agli attentati terroristici, di matrice o politica oreligiosa. Negli Stati Uniti taluni studiosi parlano di « panico morale o sociale » (v. D.M.Filler, Terrorism, Panic, and Pedophilia, in 10 Va. J. Soc. Pol’y & L. 345 (2002)). Ciò chequi interessa non sono tanto le circostanze quanto le reazioni. Un tipico esempio di misuraanti-terroristica superstiziosa è quella dei controlli di sicurezza sempre più invasivi nei con-fronti della persona, effettuati in maniera burocratica su milioni di passeggeri aerei ed ac-cettati con rassegnato fatalismo. Questi profili sono esaminati e fortemente criticati in T.Kuran, C.R. Sunstein, Availability Cascades and Risk Regulation, 51 Stan. L. Rev. 683(1999).

(13) Circa 80 anni fa simili concetti erano già stati espressi da T.W. Arnold, InstitutePriests and Yale Observers. A Reply to Dean Goodrich, 84 U. Pa. L. Rev. 811 (1936) (a p.

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de droit », in quanto le teorie politiche che vi sono sottese sono storicamente esostanzialmente assai diverse. A parte la pia illusione di voler misurare l’inte-ro mondo con un solo metro costruito a Londra o a Washington, la « rule oflaw », come sovente applicata da istituzioni finanziarie internazionali (14), fi-nisce per cancellare la banale considerazione che come un fine non giustifica imezzi, i mezzi utilizzati non necessariamente giustificano il risultato che è sta-to raggiunto.

Utilizzare procedure, e la valutazione delle procedure, come se fossero for-mule magiche tende a distrarre l’attenzione dell’essenza del problema e a figu-rare le cose come si vorrebbe che fossero (15), non come sono effettivamente.

2. — Assieme al diritto e all’educazione, la scienza fu il grande antidotoche l’illuminismo scagliò contro l’oscurantismo dell’ignoranza e della super-stizione. Dopo aver condotto nel 17o secolo una strenua battaglia contro lateologia e la filosofia aristotelica, il pensiero scientifico entrò ufficialmentenella cultura occidentale durante l’illuminismo come una forma — la forma— di ragionamento corretto. La logica induttiva basata sull’esperienza con-trapposta alle deduzioni scaturenti da pre-concetti. Lo sviluppo progressivo epasso dopo passo, contrapposto a postulati immodificabili. Lo sperimentali-smo contro il dogmatismo.

Non c’è dunque da stupirsi se anche i giuristi ritennero di dover stringereuna forte alleanza intellettuale con il pensiero scientifico, ed è significativoche è proprio nel 18o secolo che l’idea di « scienza giuridica » comincia a svi-lupparsi. Retrospettivamente è facile cogliere la fallacia del neologismo (16),in quanto il diritto — proprio al contrario della scienza — è, e deve essere,fondato su pre-concezioni deontiche e ci dice non ciò che è (o è stato) ma ciòche dovrebbe essere (17).

814): « La tradizione americana attribuisce un significato mistico alla “rule of law” piutto-sto che ad una entità come simbolo dell’unità delle nostre istituzioni. Ci sentiamo più sicurinel pensare in questo modo. Attribuiamo alla “rule of law” un ruolo drammaturgico nelnostro sistema giudiziario e nella nostra costituzione ».

(14) Per una approfondita critica a questo utilizzo della teoria della « rule of law » v. F.Upham, Mythmaking in the Rule of Law Orthodoxy, Carnegie Endowment Working Papers,n. 30, 2002.

(15) Amartya Sen parla, ma in termini non negativi, di « sogni ad occhi aperti » (v. TheDiscipline of Cost-Benefit Analysis, 29JLS 91 (2000) a p. 952).

(16) Vi furono tuttavia, è bene notarlo, dissensi nella patria della teoria della « scienzagiuridica ». J.H. von Kirchman, intitolò la sua conferenza del 1847 « Die WertlosigkeitderJusrisprudenz als Wissenschaft » (La fallacia del diritto come scienza). Lo scritto ebbeenorme successo di pubblico, ma scarso seguito nel dominante movimento pandettistico(per una recente riedizione v. quella per i tipi della Manutius Verlag, Heidelberg 2000).

(17) Si tratta di uno dei punti centrali del lavoro di R. Berkowitz, The Gift of Science.Leibniz and the Modern Legal Tradition, New York 2010: « Una volta che il diritto cercadi affermare la sua legittima autorità attraverso garanzie scientifiche della sua certezza, latecnica giuridica finisce per sopraffare la sua etica » (a p. 6).

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Tuttavia, quel che si vuole mettere qui in luce non è l’auto-promozionalerappresentazione del diritto come « scienza », ma uno dei suoi più diffusi co-rollari: se il diritto è una scienza, i giuristi, in quanto « scienziati », sono ingrado facilmente di comprendere ed utilizzare i ragionamenti scientifici al difuori dei confini loro propri, non diversamente di come un chimico compren-de la medicina, o un ingegnere la fisica.

Come conseguenza di tale alta autostima (che non è mai mancata ai giu-risti), i metodi scientifici, i dati o i ragionamenti scientifici sono comunementeusati dai giuristi per sostenere o contrastare argomenti, per fondare decisionidi carattere generale, ovvero per spiegare perché un fatto naturale determinil’applicazione di una regola. Dunque non soltanto un uso retorico o metafori-co della scienza, ma la scienza come parte integrante della decisione giuridi-ca. I giuristi dunque « giocano » con grande naturalezza con la scienza, utiliz-zano la sua terminologia, ne traggono conseguenze, talvolta poggiando sulleparole di esperti, altre volte vestendo i panni dello scienziato fai-da-te.

L’assunto sottaciuto ma implicito è che, mentre il diritto è sempre opina-bile, la scienza non lo è perché è garanzia di precisione e certezza. Pertanto ledecisioni giuridiche prese sulla base di dati ed argomenti scientifici sono in-trinsecamente razionali e corrette.

Chiunque abbia familiarità con lo sviluppo del pensiero scientifico e del-l’epistemologia nel corso degli ultimi quattro secoli si rende conto che questaè — nella più benevola delle ipotesi — una versione caricaturale della scien-za, se non, addirittura, il suo opposto. Le « regole » scientifiche scontanosempre un margine — più o meno ampio — di incertezza, e il dubbio, primadi essere formalizzato in un protocollo, è una disposizione intellettuale, so-prattutto quando si esaminano circostanze nuove o diverse (18). Mentre il giu-rista cercherà di espandere, attraverso l’analogia, una regola, in modo che ab-bracci un numero sempre più ampio di casi, la casistica delle leggi naturalinon costituisce qualche bizzarra eccezione ma semplicemente la confermadella infinità di eventi che possono verificarsi e delle regole che presiedono alloro svolgimento.

Si può dunque sostenere che i giuristi, in generale e quale che sia la loroposizione, fanno un uso superstizioso della scienza, cercando di spiegare e go-vernare i fatti della vita e della società attraverso teorie ed argomenti che, inrealtà, non riescono a comprendere, e che potrebbero essere facilmente smen-titi.

Alcuni esempi potranno essere chiarificatori.Il primo è l’interminabile dibattito sulla causalità (19). L’intento delle

teorie causali è nobile, come pure lo sono i loro pro-genitori. Uno dei contesti

(18) Senza dover arrivare necessariamente agli eccessi denunciati da N. Ben-Yehuda,Deviance in Science. Towards the Criminology of Science, 26 Brit. J. Crim. 1 (1986).

(19) L’ovvio riferimento è a H.L.A. Hart, T. Honorè, Causation in the Law, Oxford1985 (pp. 9 ss.).

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più rilevanti è la Germania del 19o secolo e l’affermazione del principio —fondamentale nel pensiero giuridico continentale — della responsabilità per-sonale nel diritto penale. Per affermare la responsabilità è necessario collegarela condotta ascritta all’imputato ad un evento, che costituisce parte integrantedella fattispecie di reato. Nella pervasiva cultura scientista di quel periodo,quando la Germania stava emergendo come potenza industriale del mondooccidentale, sembrava ovvio trapiantare i concetti scientifici nel corpo del si-stema giuridico (20).

Non potevano esservi dubbi sulla colpevolezza del reo, ed il modo perescluderlo era stabilire la certezza scientifica in ordine al nesso causale.

Tuttavia, come è dimostrato dalle migliaia di pagine dedicate all’argo-mento e che si continuano a produrre, questo espianto/impianto di teoriescientifiche nel corpo millenario del diritto ha rapidamente portato ad un« effetto Frankenstein », e alla scissione di identità (la sofistica distinzione fracausalità fattuale e causalità giuridica), e alla moltiplicazione metastasticadelle teorie causali.

La situazione si è aggravata quando concetti sviluppati per affermare (onegare) la responsabilità penale sono stati applicati alla responsabilità con-trattuale o all’illecito civile, che ben poco hanno a che vedere con la responsa-bilità individuale e sono, invece, un modo efficiente di allocare i danni che siverificano, spesso sulla base di criteri di imputazione oggettiva e vicaria (resipsa loquitur, respondeat superior, et similia).

Non è questa la sede per delineare lo sviluppo delle teorie causali. Ciò cheoccorre evidenziare è quanto i giuristi si appoggino ad argomenti pseudo-scientifici e a formule magiche (condicio sine qua non, adäquate Kausalität,cause suffisante, et coetera), per giustificare le loro decisioni. Si sottolinea« pseudo-scientifiche » perché nessuno scienziato troverebbe una qualche re-lazione fra tutti i produttori di un certo medicinale ed un paziente che lo hautilizzato, ma che non riesce a dimostrare con certezza l’identità dell’effettivoproduttore (la « market-share liability »). O stabilirebbe un nesso sulla basedell’estremamente soggettivo principio della prevedibilità. O applicherebbeun criterio di tutto-o-niente nel ricostruire una catena di eventi. O darebbedignità di regola ad una chance.

Un ulteriore esempio delle incomprensioni fra giuristi e scienziati è il co-siddetto principio di precauzione. In questo caso è proprio la mancanza di da-ti o conclusioni scientifici consolidati che è alla base di una decisione — legi-slativa o regolatoria — in una direzione (azione), oppure in quella opposta(inazione). Il principio di precauzione porta alla luce una profonda sfiducianei confronti di teorie scientifiche ampiamente accettate (21), e attribuisce la

(20) H.L.A. Hart, T. Honorè, Causation in the Law, Oxford 1985, p. 433 ss.(21) Ex multis v. T. Arnoldussen, Precautionary Logic and a Policy of Moderation, 2

Erasmus L. Rev. 259 (2009): « La logica precauzionaria si rivolge al senso di fragilità del-l’uomo e dell’ambiente, l’incertezza della conoscenza scientifica, le tendenze distruttive del-

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medesima importanza, se non una maggiore, a posizioni di minoranza le qua-li sono in grado di paralizzare i procedimenti decisionali e imporre misure disicurezza straordinarie (22).

Chiaramente, le ragioni dietro queste scelte non sono, di per sé, irrazio-nali ma politiche: i governi e le autorità locali devono fugare le ansie e i timo-ri dei propri elettori e lo fanno dando corda a rumorosi movimenti antiscien-tifici (23). Al tempo stesso, però, le norme che vengono introdotte sono vestitein abiti scientifici per far ritenere che esse incarnano la terapia appropria-ta (24). In sintesi, il giurista presenta come certezza quel che è assolutamenteincerto, e fornisce una legittimità formale a ciò che è quanto di più vicino aduna superstizione.

Altri esempi vengono dall’uso che spesso viene fatto dei dati tratti dallescienze sociali. Non c’è dubbio che le statistiche sono essenziali per prenderedecisioni informate. Ma esse sono solo uno dei tanti aspetti della complessarealtà economica e sociale e devono essere collocate nel loro corretto contesto,a cominciare dal chi, come, quando e dove i dati sono stati raccolti. Quandouna decisione si fonda solo su delle cifre e non vi è evidenza, stabile nel tem-po, che tali decisioni conducono all’effetto desiderato, è verosimile ritenereche le statistiche vengono utilizzate per celare motivazioni che non possonoessere espresse pubblicamente.

In altri casi le stesse motivazioni vengono oggettivate attraverso sondaggidi opinione che, in teoria, dovrebbero essere in grado di trasformare una ten-sione sociale irrazionale in una decisione giuridica razionale.

Ma forse il caso più evidente di (ab)uso di formule scientifiche è nel cam-po dei mercati finanziari e della concorrenza, nel quale la inter-relazione fra

le tecnologie (...) La logica precauzionaria si fonda su assunti simili al pensiero medievalecristiano ».

(22) L’argomento è ampiamente sviluppato da C.R. Sunstein nel suo Laws of Fear:Beyond the Precautionary Principle, Cambridge U.P. 2005 (in part. cap. 3). Il titolo da so-lo dice tutto. E dietro il principio di precauzione vi è una ideologia nichilista: « Il legamefra causa e effetto negativo è continuamente contestato. La confusione intorno alle causeincoraggia elucubrazioni, voci infondate, sfiducia. Il risultato è che gli eventi spesso ap-paiono incomprensibili e al di fuori del controllo dell’uomo ». V. pure F. Furedi, Precautio-nary Culture and the Rise of Possibilistic Risk Assessment, 2 Erasmus L. Rev. 197 (2009) ap. 201).

(23) C.R. Sunstein, Cognition and Cost-Benefit Analysis, 29JLS 1059 (2000) parla di« una discutibile, se non inaccettabile, concezione della democrazia, che vede nelle rispostealle richieste dei cittadini, quale che sia il loro fondamento fattuale, il fondamento della le-gittimazione politica » (a p. 1074).

(24) Secondo C. Vlek, A Precautionary-Principled Approach Towards Uncertain Risks:Review and Decision-Theoretic Elaboration, in 2 Erasmus L. Rev. 129 (2009), il principiodi precauzione « è un principio razionale di sopravvivenza piuttosto che un principio nor-mativo ideologico ». La Commissione europea nella sua Comunicazione 1/2000 sul princi-pio di precauzione cerca di dissolvere le varie critiche affermando che esso va utilizzatoquando vi sono « ragionevoli motivi di preoccupazione », un parametro a dir poco « fumo-so ».

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diritto ed economia è particolarmente stretta. I modelli econometrici sonoespressi da formule matematiche le quali costituiscono il linguaggio iniziaticodegli economisti, consentendo loro di escludere dalla discussione coloro chenon appartengono a quella professione (25), in un modo non diverso da come igiuristi usavano — e continuano ad usare — le formule latine. Ma una voltache il giurista si impadronisce di tali formule — o, più facilmente, i loro acro-nimi — essi le impugnano come spade per sostenere conclusioni irrefutabili.Ciò su cui esse si fondano ed il loro elevato livello di relatività è messo da par-te. Lo sperimentalismo delle scienze sociali — come l’economia — viene tra-sformato in totem normativo.

3. — Quel che ora chiamiamo amministrazione della giustizia è antropo-logicamente intessuto, inestricabilmente, con la magia.

Questo è evidente studiando le società primitive che ancora esistono, masi commetterebbe un grave errore se si pensasse che si tratta di esempi lontanied isolati. Come tutti sanno, le origini del diritto romano o le procedure giudi-ziarie nel diritto germanico (26) sono impregnate di riti magici e di supersti-zione, le quali dunque sono alla base dei sistemi giuridici occidentali e si ma-nifestano in molti modi.

Il primo, e più evidente, sono i rituali che presiedono alle procedure giu-diziarie i quali, attraverso i secoli, si sono trasformati in regole processualicontinuando a mantenere elementi magici: le toghe, le uniformi, le parrucche,la mazza cerimoniale indossati o usati dai vari attori della piéce giudiziariahanno un profondo significato simbolico che in essi viene incarnato e trasferi-to alle parti del procedimento e alla comunità (27).

Il rituale è rafforzato dall’organizzazione dello spazio dell’aula d’udienza:lo scranno del giudice che sovrasta, la posizione del pubblico ministero, del-l’imputato, della giuria, dei difensori. Il pretorio cui solo i difensori possonoaccedere. Le frasi solenni scolpite nell’aula. Il giuramento dei testimoni. Leformule che precedono la lettura della sentenza.

È solo nel XVIII secolo che la motivazione delle sentenze diventa comu-ne; e nel XIX secolo un principio costituzionale. Si tratta di un tentativo es-

(25) Riferendosi ai recenti sviluppi dell’analisi economica del diritto R.B. Korobkin, T.S.Ulen, Law and Behavioral Science: Removing the Rationality Assumption from Law andEconomics, 88 Cal. L. Rev. 1053 (2000) (a p. 1054) osservano che « l’eleganza matemati-ca diviene spesso l’obiettivo principale ».

(26) « Gli antichi sistemi giudiziari (l’ordalia, il duello giudiziario, le varie forme di giu-ramento) sono considerati come privi di un elemento umano. Il giudizio è un giudizio so-vrannaturale, ovvero il giudizio di Dio. Ci si rivolge alla magia o al Cielo. La decisione è ladecisione infallibile di un potere sovrannaturale » (J. Frank, Mr. Justice Holmes and Non-Euclidean Legal Thinking, 17 Cornell L. Q. 568 (1931) ((at p. 582)).

(27) « I simboli del diritto, sia antichi che moderni, sorgono da una serie di contesti iquali esaltano i diversi e confliggenti ideali sottesi al termine giustizia » (T.W. Arnold, In-stitute Priests and Yale Observers. A Reply to Dean Goodrich, 84 U. Pa. L. Rev. 811 (1936)a p. 813)).

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senziale ai nostri occhi contemporanei, per rendere meno arcano il risultatodel meccanismo giudiziario (28). Spesso la motivazione ha come principalescopo quello di ottenere il consenso della comunità con riguardo ad una deci-sione che altrimenti sarebbe inesplicabile.

Considerazioni simili si potrebbero applicare a taluni aspetti del dirittogiurisprudenziale quando il legislatore preferisce non affrontare una questio-ne controversa e chiede al mago/maga che indossa la toga di trovare la solu-zione.

Ancor più avvolto nel mistero — soprattutto nei sistemi di common law— è il ruolo della giuria la cui decisione, nel sistema statunitense dove è unrequisito costituzionale, è semplicemente un SI o un NO che non richiede mo-tivazione o giustificazione, ed il cui procedimento deliberatorio è protetto dalsegreto d’ufficio. Ancora una volta non è questa la sede per indagare sul ruolodella giuria nel sistema, sia federale che statale statunitense e analizzare lavastissima letteratura che ne studia vizi e virtù. Ciò che deve essere messo inluce è che vi è un radicato e diffuso convincimento che si tratti della formapiù accettabile di giustizia. Essa non è per nulla razionale, è invece fatta disentimenti, convincimenti, passioni, i quali prendono il posto che nelle trage-die più antiche spetta al coro, collocato come un interprete fra gli dèi ed il fa-to del singolo (29).

La decisione giudiziale più irrazionale è rappresentata dalla pena di mor-te, come già denunciato più di due secoli e mezzo fa da Cesare Beccaria nelsuo Dei delitti e delle pene. Non c’è bisogno di aggiungere ulteriore parole sulfatto che i principi di retribuzione, di pace sociale, di prevenzione generaleche dovrebbero essere garantiti dalla esecuzione del condannato hanno benpoco a che fare con la razionalità.

Una vendetta amministrata dallo Stato è pur sempre, nella sostanza, unavendetta conforme alla regola biblica dell’« occhio per occhio, dente per den-te ». Tutto questo riporta al punto di partenza del paragrafo: nella tradizione

(28) Questo profilo, strettamente legato alla linguistica, è stato ampiamente discusso ecriticato dai gius-realisti americani: v. L. Green, The Duty Problem in Negligence Cases, in28 Colum. L. Rev. 1014 (1928) (a pp. 1016 ff); M.S. Cohen, Transcendental Nonsense andthe Functional Approach, 35 Colum. L. Rev. 809 (1935), a p. 844. Per una recente sintesiv. J. Allen, Magical Realism, in C.A. Corcos (ed.), Law and Magic, cit. retro nt. 3, a p.195.

(29) Si consideri il caustico commento di J. Frank in Are Judges Human? Part One: TheEffect on Legal Thinking of the Assumption That Judges Behave Like Human Beings, 80Pa. L. Rev. 17 (1931): « Il sistema della giuria popolare è come quello di un Cadi ottoma-no portato alla sua massima potenza. Utilizziamo dodici Cadi ignoranti e scelti a caso in-vece di uno solo ». Gli stessi concetti sono espressi in Mr. Justice Holmes and Non-Eucli-dean Legal Thinking, 17 Cornell L. Q. 568 (1931) (a p. 595). Ma si veda pure la rispostaindiretta di M.S. Cohen, Transcendental Nonsense and the Functional Approach, 35 Co-lum. L. Rev. 809 (1935), (a p. 843): « I giudici sono uomini di una particolare razza, sele-zionati secondo un modello e tenuti ad un servizio sotto un potente sistema di controllo isti-tuzionale ».

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giuridica occidentale il diritto aspira ad essere razionale. Ma la giustizia è ra-zionale? Può essere interamente razionale? Fino a che punto essa è un pro-dotto etico, politico e culturale, estremamente sofisticato tipico del mondo oc-cidentale, i cui valori trascendentali sono profondamente incorporati nella so-cietà e non si possono collocare in un sistema rigorosamente logico? (30).

4. — Finora si sono esaminati alcuni aspetti nei quali i confini fra dirittorazionale e credenze irrazionali sono estremamente sfumati, dando l’impres-sione che i giuristi, nonostante molti secoli di sforzi intellettuali, non sianoriusciti a dispendere le buie ombre della superstizione.

Si potrebbe però invertire la prospettiva analizzando la situazione dalpunto di vista di un ipotetico fautore della superstizione. La ragione per laquale i giuristi sono ancora — e saranno sempre — influenzati da atteggia-menti superstiziosi è che la superstizione può essere, in termini ampi, descrit-ta come un sistema giuridico.

Per definizione, la superstizione è irrazionale ma questo non significa cheessa non segua regole rigide. In primo luogo si tratta di un sistema fortementetipizzato: colori, numeri, circostanze, oggetti previamente ben definiti. Se talielementi fattuali cambiano, la buona o cattiva sorte non ne scaturirà: il gattonero sul marciapiede, il sedersi a tavola in 14, rompere il vetro di una finestranon rientrano fra quelli accadimenti che portano sfortuna. Le regole della su-perstizione sono pubbliche in modo che le persone possano evitare di caderevittime della disgrazia, adottando le opportune precauzioni o contro-misure.

Tutto ciò è elevato alla massima potenza nella magia e nelle altre « scien-ze occulte »; ma senza raggiungere tali livelli anche se l’evento a contenutosuperstizioso può essere abbastanza libero nella sua struttura, la reazione adesso, per produrre effetto e scacciare le conseguenze negative, deve seguire unrituale estremamente formalistico che spesso comprende formule standardiz-zate (31).

Il formalismo costituisce una importante similitudine con i sistemi giuri-dici, e porta a quel che, in taluni campi, potrebbe definirsi un numerus clau-sus delle superstizioni, nel senso che benché ciascuno possa avere le propriepersonali superstizioni (la prima cosa da fare la mattina, o l’ultima prima diandare a dormire; cosa indossare in certe occasioni; scegliere un certo postosull’autobus o sul treno; etc) queste hanno scarsa importanza e diventano ri-levanti solo quando ricevono un ampio consenso nella comunità: quante per-sone accetterebbero di buon grado un invito ad una tavolata di 13? Quanti

(30) Gli stessi dubbi si trovano in numerosi scritti dei gius-realisti americani: v. L.Green, The Duty Problem in Negligence Cases, 28 Colum. L. Rev. 1014 (1928) a p. 1021:« Come impiegano i giudici quel potere che chiamiamo diritto? Come decidono? Qualcunolo ha mai rivelato? (...) I processi decisionali sono altrettanto oscuri di quelli intellettivi ».V. inoltre J. Frank, Are Judges Human? Part One: The Effect on Legal Thinking of the As-sumption That Judges Behave Like Human Beings, 80 Pa. L. Rev. 17 (1931).

(31) « Toccare ferro » in Italia; ma « toccare legno » nel mondo anglosassone.

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padroni o padrone di casa ignorerebbero la regola quando organizzano unacena? E quante persone camminerebbero senza pensieri sotto una scala, op-pure romperebbero volutamente uno specchio?

Le superstizioni sono tipiche norme sociali che si sviluppano all’internodi una comunità e sono da questa seguite (32). Richiedono una spontanea ade-sione e l’intimo convincimento che rispettarle sia opportuno o, quantomeno,prudente (« Non credo alle superstizioni, tuttavia... »), in maniera assai similead una opinio iuris ac/seu necessitatis. La forte inter-relazione con una comu-nità offre lo spunto per quel che si potrebbe definire « superstizione compara-ta »: numeri, colori, circostanze cambiano da un luogo ad un altro e possonoessere fonte di imbarazzo, se non di aperto conflitto. Per stabilire un nucleocomune delle diverse superstizioni è necessario raggrupparle con riguardo aifatti, alle circostanze, alle persone coinvolte, al loro livello di riconoscimentosociale. Ciò consente di individuare gli aspetti ricorrenti di regolarità e soprat-tutto la funzione che svolgono nelle diverse comunità.

Si dovrebbe anche considerare il ruolo svolto da talune persone che po-tremmo definire i « pubblici ufficiali della superstizione ». In talune culture lojettatore ha una importante posizione sociale di cui il soggetto è ben consape-vole (33). Lo jettatore può presentare dei difetti fisici che da soli lo (o la) aiu-tano ad essere ben identificabile. Ma in generale si tratta di persona vestita dinero e il malocchio è generalmente trasmesso attraverso espressioni facciali ogesti delle mani. Come in qualunque sistema giuridico questo ci porta alla di-stinzione fra atti « privati » di superstizione (rovesciare il sale, aprire l’om-brello in casa, ecc.) e atti « pubblici » di superstizione i quali richiedono unagente ed il cui rilievo è decisamente superiore. Questo « diritto pubblico (oamministrativo) » della superstizione definisce l’importanza della attribuzio-ne sociale di poteri a taluni soggetti, consentendo ad essi di produrre effettiattraverso i loro atti (presenza, sguardi, parole).

Vi è poi un ulteriore aspetto del sistema « giuridico » della superstizioneda considerare. Ancorché ad una mente razionale è agevole dimostrare la in-fondatezza degli elementi posti alla base della superstizione (ed è questa ladefinizione dalla quale siamo partiti) occorre riconoscere che essa si fonda sudi una, sia pur rudimentale, legge causale. Le persone credono alle supersti-

(32) Sicuramente uno degli studiosi più acuti in materia è E. De Martino, il quale inSud e Magia (per una riedizione, Feltrinelli 2002) analizza il ruolo della superstizione nel-l’Italia meridionale in contesti non solo popolari. E dello stesso A. v. pure Il mondo magico:prolegomeni a una storia del magismo, ried. Boringhieri, 1973. Ovvio, peraltro, il riferi-mento letterario a C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli.

(33) Ancora una volta si impone un riferimento letterario a « La patente » di Pirandello(1934) e alla sua trasposizione cinematografica del 1954 di Giorgio Pastina. L’indimenti-cabile jettatore è impersonato da Totò. Per una visione sociologica della superstizione comecollante sociale v. il classico volume di J.G. Frazer, The devil’s advocate. A plea for super-stition (I ed. 1927) (trad. it. a cura di C. Camporesi, L’avvocato del diavolo. Il ruolo dellasuperstizione nelle società umane, Roma 2008).

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zioni non perché sono del tutto irrazionali, ma perché esse offrono un sistemadi razionalità limitata e simplificata, che è agevolmente compreso anche dallementi meno evolute. La forza della superstizione si fonda su una logica delgenere post hoc ergo propter hoc, che consente di spiegare ciò che altrimentisarebbe incomprensibile. Sarebbe un errore pensare che questo approccio po-teva essere idoneo al mondo del passato quando era impossibile capire le ra-gioni di molti fenomeni (si pensi solo alle malattie), e non nell’era moderna,dominata dalla tecnologia e dalla scienza. È sufficiente pensare all’elevatonumero di persone — spesso dotate di una solida istruzione — le quali credo-no negli oroscopi e nell’astrologia nonostante sia ampiamente dimostrato, eda tempo, la loro totale carenza di fondamento scientifico.

5. — Se tre secoli dopo che l’Illuminismo ha lanciato la sua guerra controla superstizione, designando il diritto come uno dei suoi campioni, e la batta-glia ancora continua, la ragione non sta certo nella mancanza di intelligenza edi sforzo da parte dei giuristi.

Se qualsiasi sistema giuridico della tradizione occidentale è ancora imbe-vuto di elementi irrazionali (34), il frutto non può, semplicemente, essere ar-chiviato con una alzata di spalle. Suggerisce invece che, forse, le premesse deldiscorso (« il diritto è agli antipodi della superstizione ») sono state formulatein maniera troppo rigida e non tengono conto di molte sfumature (35).

La verità è che, come in qualsiasi guerra, non vi è un totale conflitto fraDiritto e Superstizione, e quest’ultima può vantare, dal proprio punto di vi-sta, di essere un sistema giuridico, anche se sui generis.

Il problema principale, tuttavia, sta nel fatto che, non importa quanto ildiritto sottolinei la propria struttura razionale e, per questa ragione, la suasuperiorità su altre forme di governo della società, le persone cui il diritto sirivolge, e prima ancora di esse, coloro i quali lo costruiscono, creano e met-tono in pratica, non sono interamente fedeli alla causa. La superstizione èuna forma mentale profondamente radicata e appartiene all’essere umano.Non può essere dispersa solo invocando la maestà del diritto. I due aspetti— assieme a tanti altri — coesistono ed è illusorio pensare che si possa sra-dicare ciò che appartiene, perché è sempre appartenuta, alla storia dell’uma-nità.

(34) « I giuristi sono abituati dalla loro lunga esperienza a credere a ciò che è impossi-bile »: M.S. Cohen, Transcendental Nonsense and the Functional Approach, 35 Colum. L.Rev. 809 (1935), a p. 811 (e alla nota 7 una citazione quanto mai appropriata da « Alicenel paese delle meraviglie »).

(35) « Perché tanti giuristi e non-giuristi insistono nell’affermare che ora la certezzagiuridica esiste, o può esistere, in misura assai maggiore di quanto esista o anche solo pos-sa? Perché questo inestinguibile desiderio per una stabilità giuridica palesemente irrag-giungibile? » (J. Frank, Legal Thinking in Three Dimensions, 1 Syracuse L. Rev. 9 (1949)(a p. 20).

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La superstizione esiste perché sta nelle menti degli uomini e delle don-ne.Alla constatazione che (anche) il diritto è superstizioso (36), la rispostaquasi di sfida sarebbe: « E cosa c’è di strano? ».

6. — Se queste conclusioni possono forse apparire scontate, si puòtentare di vedere le cose da una diversa prospettiva. La ricerca degli ele-menti superstiziosi nel diritto costituisce un esercizio teorico per vedere finoa che punto si possono espandere nozioni che appaiono essere in totale op-posizione. Il giurista — che non è un sociologo — non si interessa alla su-perstizione e alle pratiche superstiziose in quanto tali, ma le utilizza comeun elemento esterno per meglio comprendere la propria materia, le suecomponenti, i suoi confini, le sue misure. La questione, dunque, è più pro-fonda e meno provocatrice di quanto sembri. Fino a che punto il diritto èun sistema razionale? Quand’è che cessiamo di considerare una regola oun ordine intrisamente giuridico (e dunque legittimo) e lo consideriamo ir-razionale, arbitrario e dunque illegittimo? E quando, invece, riteniamo giu-sto, e quindi naturalmente ed intrinsecamente lecito, seguire sentimenti,passioni, istinti?

Alla domanda, la quale va alle fondamenta della civiltà occidentale (sipensi solo all’Antigone di Sofocle) si tenta di dare risposta da secoli da partedi filosofi e teorici del diritto. Un breve saggio può essere lo spunto per mette-re a fuoco un aspetto che è oggetto di crescente indagine in altre scienze escienze sociali, e che di recente ha interessato anche i giuristi.

Siamo tutti abituati ad utilizzare la metafora del bonus pater familias ele sue numerose variazioni, talvolta anche umoristiche o caricaturali. Cometutti i cliché (la versione di common law essendo il « reasonable man on theClapham omnibus »), di tempo in tempo richiede di essere riesaminata perdarle un significato attuale.

L’esercizio che dunque si propone è se il « buon padre di famiglia » fossesolo in parte « ragionevole », ed anzi fosse « irragionevole », « irrazionale » oaddirittura superstizioso, come si dovrebbe interpretare il diritto? (37).

Non si tratta di un esercizio di fantasia, in quanto è uno dei punti di par-tenza di quella crescente branca di studi definita « behavioral economics », eche attira sempre maggiore attenzione da parte degli economisti. L’aspetto

(36) « I concetti giuridici sono entità sovrannaturali che non hanno alcuna esistenzaverificabile se non alla luce della fede » (M.S. Cohen, Transcendental Nonsense and theFunctional Approach, 35 Colum. L. Rev. 809 (1935), a p. 821.

(37) « Per riformare il nostro sistema giudiziario è necessario iniettare, per quanto pos-sibile, più ragione e più giustizia nella sua quotidianità (...). Occorre guardare a — e nondistogliere lo sguardo da — gli elementi non-razionali e non-idealistici che svolgono unruolo nel governo delle corti » (J. Frank, Legal Thinking in Three Dimensions, 1 SyracuseL. Rev. 9 (1949) (a p. 24).

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più interessante di questo filone delle scienze sociali è l’intersezione con glistudi di neuroscienze i quali, in maniera sempre più approfondita cercano dicomprendere i fondamenti biologici della natura umana e dei comportamentidei singoli (38).

In contrasto con la visione del tutto astratta dell’homo oeconomicus, laquale è alla base delle teorie neo-classiche e di molte loro evoluzioni, i nuovistudi partono dal presupposto che nelle loro decisioni economiche uomini edonne, professionisti ed imprese sono spesso, e deliberatamente, non razionali(nel senso classico del termine (39)) ed effettuano le loro scelte usando dei pa-rametri che non portano alla massimizzazione dei risultati (in senso economi-co) ma forniscono un risultato ritenuto più soddisfacente (40).

Prima di inoltrarsi su questo cammino è necessaria una premessa meto-dologica. Una delle principali ragioni di incomprensione fra giuristi ed econo-misti è che mentre il diritto è prescrittivo, l’economia è descrittiva. Il diritto inprimo luogo è deontico, ed in secondo luogo funzionale. Pre-esiste ai compor-tamenti sociali anche se il suo scopo è indirizzarli o impedirli. L’osservazionedei fatti economici e sociali è importante, ma non necessariamente — anzi as-sai di rado — vi è una corrispondenza fra ciò che succede e la legge che vieneemanata (41). Una regola che si limiti realisticamente e semplicisticamente —a fotografare l’esistente è di scarsa utilità. Non utilizziamo il diritto principal-mente come strumento per conoscere le cose come sono, ma per stabilire comedevono essere.

(38) V. J.R. Waldbauer, M.S. Gazzaniga, The Divergence of Neuroscience and Law, 41Jurimetrics 357 (2001). Per una presentazione delle questioni in italiano v. L. Capraro, V.Cuzzocrea, E. Picozza, D. Terracina, Neurodiritto. Una introduzione, Torino 2011.

(39) Questo l’incipit dell’articolo di C. Jolls, C.R. Sunstein, R. Thaler, A BehavioralApproach to Law and Economics, 50 Stan. L. Rev. 1471 (1998). « L’analisi economica deldiritto solitamente procede secondo gli assunti dell’economia neo-classica. Ma l’evidenzaempirica porta a dubitare di questi assunti. Le persone dimostrano una limitata razionali-tà, percezione dei propri interessi, forza di volontà ». E queste le conclusioni di G.M.Hayden, S.E. Ellis, Law and Economics After Behavioral Economics (55 U. Kan. L. Rev.674 (2007): « L’evidenza empirica dell’economia comportamentale è sufficientemente soli-da per poter concludere che alcuni dei postulati della tradizionale teoria economica sonoerrati ». Si potrebbe dunque adattare la famosa frase di J.H. von Kirchmanm: « Tre righe dievidenza empirica e intere biblioteche di Law & Economics vanno al macero ». Non è uncaso che uno dei principali artefici di questa « biblioteca » esprima un parere negativo sutale approccio: v. R. Posner, Rational Choice, Behavioral Economics and the Law, 50 Stan.L. Rev. 1551 (1998).

(40) Per una forte critica alla teoria secondo cui un tale esito può essere spiegato attra-verso le neuroscienze v. M.S. Pardo, D. Patterson, Philosophical Foundations of Law andNeuroscience, 2010 U. Ill. L. Rev. 1211 (a pp. 1235 ss).

(41) Con riguardo alle neuroscienze si v. l’osservazione di J.R. Waldbauer, M.S. Gazza-niga, The Divergence of Neuroscience and Law, 41 Jurimetrics 357 (2001): « Gli argomentirelativi all’azione individuale e alla responsabilità giuridica sono il prodotto della nostrasensibilità giuridica, non dell’indagine empirica » (a p. 358).

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Le « leggi » economiche invece descrivono il funzionamento dei mercatie degli agenti economici e contano nella misura in cui riflettono fedelmenteciò che normalmente accade — e dovrebbe accadere — in talune circostan-ze. Sono « leggi » corrette quando i dati sui quali fondano sono stati corret-tamente raccolti ed interpretati. Si può ragionevolmente ritenere che, datauna serie di fatti certi in ordine al comportamento dei singoli attori (governi,imprese, famiglie, individui), qualora questi si ripresentino si produrrannoeffetti simili.

L’economia, dunque, come tutte le scienze sociali, non fissa regole ma leindividua (42). Per questa ragione da un lato i giuristi sono incerti nel com-prendere e descrivere fenomeni sociali, e dall’altro gli economisti non sono at-trezzati, nella loro forma mentis, per stabilire regole. Queste differenze emer-gono chiaramente nel diritto della concorrenza, dove occorrono entrambe lecompetenze (economiche e giuridiche), ma esse tendono a sovrapporsi e cia-scun attore vuole prendersi il ruolo di primadonna.

Si comprende dunque che l’agente razionale nella teoria economica, noncorrisponde sempre al reasonable man o al bonus pater familias nel diritto. Egli studi sempre più importanti che nel campo economico vengono fatti sulla« razionalità limitata » dovrebbero aiutare a rimeditare, ad un livello genera-le, il significato da dare al secondo termine il quale ha una valenza essenzialein tutti i sistemi giuridici.

Uno degli esempi più evidenti è quello dei contratti con i consumatori ela inarrestabile legislazione che l’Unione Europea ha emanato negli ultimi 25anni. A voler semplificare al massimo la divergenza basta confrontare i pre-supposti: la teoria tradizionale del contratto si fonda sulla uguaglianza delleparti le quali sono perfettamente in grado di badare ai propri interessi e con-cludere qualsiasi accordo — purché non illecito o immorale — ritengono sod-disfi le proprie esigenze. Il diritto offre alle parti un quadro generale di normee la tutela giudiziale, ma solo in casi eccezionali porrà nel nulla il contrattoche è stato liberamente stipulato fra le parti. Al contrario la teoria consumeri-stica postula l’ineguaglianza sostanziale fra le parti la quale richiede di esserecontrobilanciata da una trama molto fitta di norme imperative le quali mira-no a proteggere il consumatore dalla prevaricazione dell’impresa e dalla pro-pria inesperienza e irrazionalità (43). Peraltro i contratti con i consumatori

(42) Se si applica il principio alle neuroscienze questo implica che « le regole cognitivedi cui ci parlano le neuroscienze non costituiscono una guida per compiere delle analisi ra-zionali, ma piuttosto sostituiscono tale analisi ». « Nell’assumere tale posizione le neuro-scienze divergono irriconciliabilmente dal diritto per quanto riguarda il comportamentoumano » (J.R. Waldbauer, M.S. Gazzaniga, The Divergence of Neuroscience and Law, 41Jurimetrics 357 (2001) a p. 362).

(43) Ma v. pure S. Deakin, Contracts and Capabilities: An Evolutionary Perspective onthe Autonomy-Paternalism Debate, 3 Erasmus L. Rev. 141 (2010) secondo cui « I consu-matori in generale non si comportano irrazionalmente nell’attività contrattuale, ma sempli-cemente essi agiscono sulla base di informazioni limitate o in un contesto di squilibrio con-

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non costituiscono più un settore isolato del diritto ed espandono i loro princi-pi di fondo alle relazioni pre-contrattuali (la disciplina della pubblicità) e agliilleciti extracontrattuali (la responsabilità del produttore) (44).

Si guardi ora alle regole basilari della micro-economia neo-classica: a li-vello di mercato al dettaglio gli attori sono razionali e fanno le loro scelte libe-ramente sulla base di elementi obiettivi e misurabili, e dunque razionali; co-me il prezzo, la qualità, la convenienza. Se si parte da questo assunto si cogliesubito lo iato fra teoria economica e sistema normativo: quest’ultimo postulache i consumatori non sono agenti razionali o che, almeno, è probabile checompiano scelte irrazionali, dalle quali devono essere protetti. Con questepremesse numerose direttive comunitarie fanno riferimento ad elementi estre-mamente soggettivi i quali vengono oggettivizzati attraverso disposizioni nor-mative. È agevole estrarre una serie di esempi:

i. le « aspettative » del consumatore verso il prodotto (45)ii. l’informazione economica che è « suscettibile di trarre in inganno »

il consumatore ovvero è « suscettibile di influenzare il suo comportamentoeconomico » (46)

iii. la pubblicità non dovrebbe « sfruttare l’inesperienza e la creduli-tà » dei minori (47)

iv. la pubblicità « non dovrebbe sfruttare la particolare fiducia che iminori ripongono nei genitori » (48)

v. è necessario proteggere i « consumatori i quali sono particolarmente

trattuale. Il diritto interviene per superare le esternalità e le asimmetrie informative » (a p.142).

(44) Le questioni che si pongono in un contesto extra-contrattuale possono essere signi-ficativamente diverse da quelle contrattuali: v. see M.G. Faure, Calabresi and BehaviouralTort Law and Economics, 1 Erasmus L. Rev. 75 (2008). Se però le si vedono in una pro-spettiva remediale i due settori spesso si sovrappongono. Si consideri pure la crescente ten-denza, nell’Unione Europea, a stabilire regole speciali di responsabilità con finalità di pro-tezione degli interessi dei consumatori (ad es. la responsabilità del produttore, la responsa-bilità del vettore aereo.

(45) Direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamentodelle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materiadi responsabilità per danno da prodotti difettosi.

(46) Art. 2, comma 2o, Direttiva 450/84/CEE relativa al ravvicinamento delle disposi-zioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubbli-cità ingannevole.

(47) Art. 16, lett. a) Direttiva 552/89/CEE relativa al coordinamento di determinate di-sposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’eser-cizio delle attività televisive.

(48) Art. 16, lett. c) Direttiva 552/89/CEE relativa al coordinamento di determinate di-sposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’eser-cizio delle attività televisive.

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vulnerabili alla pratica o al prodotto cui si riferisce a causa della loro infermi-tà mentale o fisica, della loro età o credulità » (49).

Tutto ciò può sintetizzarsi nella definizione: « consumatore medio che ènormalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo con-to di fattori sociali, culturali e linguistici » (50).

Questi vari aspetti possono essere ora ordinati:a) Il diritto privato presume che tutte le persone fisiche le quali abbia-

no raggiunto la maggior età siano razionali, ed agiscano razionalmente. Per-tanto assumono su di sé le conseguenze, giuridiche e fattuali, dei loro com-portamenti, in particolare nel campo dei rapporti patrimoniali.

b) La behavioural economics, sostenuta dalle neuroscienze, ci dice in-vece che vi è una vasta classe di persone fisiche, qualificate come consumato-ri, la quale possiede una razionalità limitata (51), soprattutto perché tende asottovalutare i rischi connessi alle proprie azioni economiche, o perché attri-buisce importanza ad elementi non razionali (52).

c) La reazione del legislatore, nell’Unione Europea, solo in parte pun-ta a prevenire comportamenti economici irrazionali attraverso l’educazionedel consumatore e la sua informazione (53); prevalentemente, invece, dà peracquisito il fatto che questi comportamenti irrazionali esistono e sono perma-nenti. Pertanto introduce apposite misure per prevenire o ridurre le conse-guenze negative (per il consumatore) della sua irrazionale condotta economi-ca (54). Per tornare al punto di partenza di questo articolo non si mira più a

(49) Art. 5, comma 3o, Direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese econsumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE e il regolamento (CE) n. 2006/2004 (direttiva sulle pratiche commercia-li sleali).

(50) 18o Considerando alla Direttiva 29/2005/CE dell’11.5.2005 sulle pratiche com-merciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno che giuridifica la nozione di« buon consumatore ».

(51) Solo le persone fisiche si comportano in modo non razionale? Le imprese possonoagire irrazionalmente o sono semplicemente « ingorde »? V. N. Huls, Consumer Bankrup-tcy: A Third Way Between Autonomy and Paternalism in Private Law, 3 Erasmus L. Rev. 8(2010) (a p. 16 con particolare riguardo alla crisi sub-prime negli Stati Uniti); nonché A-S.Vandenberghe, The Role of Information Deficiencies in Contractual Enforcement, 3 Era-smus L. Rev. 71 (2010) (a p. 80).

(52) Vi sono tuttavia taluni autori i quali negano che l’economia comportamentale pos-sa dirci molto di più della tradizionale teoria dei prezzi: J.D. Wright, Behavioral Law andEconomics, Paternalism, and Consumer Contracts: An Empirical Perspective, 2 NYU J.L.&Liberty 470 (2006).

(53) O. Bar-Gill, F. Ferrari, Informing consumers about them selves, 3 Erasmus L. Rev.93 (2010) insistono in modo particolare sulla necessità di maggiori informazioni individua-lizzate relative all’uso del bene o del servizio. Un concetto peraltro espresso da Lord Den-ning 40 anni fa con i concetti di « undue influence » e di « independent advice » in LloydsBank v. Bundy [1975] QB 326 (CA); e al diritto francese circa 30 anni fa con la nozione di« devoir de conseil », che è molto di più di un generale obbligo di informazione.

(54) La Direttiva 29/2005/CE dell’11.5.2005 sulle pratiche commerciali sleali nel mercato

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sconfiggere la superstizione ma la si considera un elemento intrinseco dellanostra società, e si tenta, attraverso la legge, di proteggere tali soggetti dallaloro creduloneria.

d) Questo porta, in conclusione, a riflettere sul paternalismo giuridi-co (55) che si sviluppa in Europa proprio ai tempi dell’illuminismo e trova lasua prima espressione nei sovrani « illuminati » del XVIII secolo (56). Unavolta che le condotte non razionali sono oggettivate dalla teoria economica edalle ricerche neuroscientifiche, e si fornisce anche qualche modesto datosull’asseritamente indebito vantaggio che taluni attori economici traggonodalla situazione, il legislatore interviene con intenzioni salvifiche (57). Alle

interno all’art. 5, comma 2o, sanziona una pratica commerciale quando è falsa o è idonea a fal-sare inmisura rilevante il comportamento economico. Per una approfondita analisi v. R.Cate-rina, Processi cognitivi e regole giuridiche, in 2007 Sistemi Intelligenti, vol. 3, p. 381.

(55) Per un recente riesame della questione, con riferimento ai principali lavori teoricisull’argomento v. A. Ogus, W.H. van Boom, Introducing, Defining and Balancing ‘Auto-nomy v. Paternalism’, 3 Erasmus L. Rev. 1 (2010); nonché numerosi altri scritti di A. Ogus,tra cui The paradoxes of legal paternalism and how to resolve them, 30 Legal Studies 61(2010). Il dibattito fra gli studiosi americani è particolarmente intenso. Nella mole di scrittisi vedano, moderatamente a favore C. Jolls, C.R. Sunstein, R. Thaler, A Behavioral Ap-proach to Law and Economics, 50 Stan. L. Rev. 1471 (1998) (con conclusioni aperte a p.1546); C.R. Sunstein, Boundedly Rational Borrowing, 73 U. Chi. L. Rev. 249 (2006); C.F.Camerer, Wanting, Liking and Learning: Neuroscience and Paternalism, 73 U. Chi. L. Rev.87 (2006); O. Bar-Gill, The Behavioral Economics of Consumer Contracts, 92 Minn. L.Rev. 749 (2008). Nettamente contrari R. Posner Rational Choice, Behavioral Economicsand the Law, 50 Stan. L. Rev. 1551 (1998); S. Issacharoff, Can There Be a BehavioralLaw and Economics?, 51 Vand. L. Rev. 1729 (1998) (« Sarebbe davvero ironico se la mag-giore conoscenza sulla complessità delle decisioni umane diventasse la giustificazione persottrarre ai singoli la loro, ancorché imperfetta, libertà di decidere », a p. 1745); R.A. Ep-stein, Behavioral Economics: Human Errors and Market Corrections, 73 U. Chi. L. Rev.111 (2006). Un atteggiamento attendista può trovarsi in M.A. Edwards, The Law, Marke-ting and Behavioral Economics of Consumer Rebates, 12 Stan. J. L. Bus. & Fin. 422(2006). Il livello altamente ideologico ed astratto del dibatitto negli Stati Uniti pro e controil paternalismo è messo in luce dall’incipit di S. Deakin, Contracts and Capabilities: AnEvolutionary Perspective on the Autonomy-Paternalism Debate, 3 Erasmus L. Rev. 141(2010) (« Le giustificazioni paternalistiche costituiscono una parte, ma solo una parte,della scelta di tutela selettiva del diritto contrattuale. Tale scelta selettiva è stata una ca-ratteristica di tutti i moderni sistemi di diritto contrattuale, anche all’apice del laissez-faireottocentesco ». Concetti simili sono messi in luce, sulla base di solidi riferimenti storici aldiritto inglese da S. Waddams, Autonomy and Paternalism from a Common Law Perspecti-ve: Setting Aside Disadvantageous Transactions, 3 Erasmus L. Rev. 121 (2010).

(56) Si v. ex multis Jean-Jacques Rousseau, Le contrat social, cap. VI. In termini similiv. A. Ogus, The paradoxes of legal paternalism and how to resolve them, 30 Legal Studies61 (2010), a p. 65.

(57) Si tratta di una valutazione diffusa: v. G. Wagner, Mandatory Contract Law: Fun-ctions and Principles in Light of the Proposal for a Directive on Consumer Rights, 3 Era-smus L. Rev. 47 (2010) (Gli interventi regolamentari sono giustificati non « dal fatto che viè una parte “debole” ma piuttosto perché l’auto-determinazione razionale è menomata o arischio » (a p. 70)).

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superstizioni dei singoli se ne sostituisce una nuova, la « magia legislati-va » (58).

(58) Una ultima considerazione. Mentre si rimane sempre ammirati guardando alla ric-chezza e all’inventiva del dibattito fra gli studiosi americani e si vorrebbe possedere la stes-sa energia intellettuale, al tempo stesso e in contrasto si rimane colpiti da quanto provincia-le sia questo dibattito, ristretto fra le mura del pur bellissimo giardino chiuso dalle undicicorti d’appello, la Corte Suprema ed alcune dozzine di prestigiose riviste giuridiche. Mentrequalsiasi giurista europeo di un certo livello sente il dovere di almeno cercare di capire checosa succede al di là dell’Atlantico, raramente anche i più eminenti giuristi americani so-spettano che esiste vita giuridica anche al di fuori del loro paese e che, con riguardo a talu-ni aspetti, ci potrebbero essere ancora delle lezioni da imparare dai sistemi giuridici euro-pei. Il caso dei contratti con i consumatori e della regolamentazione paternalistica è un tipi-co esempio: anziché vivere nel dubbio se sia preferibile o no regolarli, un attento e impar-ziale confronto con il modello europeo potrebbe essere di un qualche aiuto. Per una signifi-cativa eccezione v. J.Q. Whitman, Consumerism versus Producerism: A Study in Comparati-ve Law, 117 Yale L. J. 340 (2007). Ciò, ovviamente, non significa affatto che il modellodell’UE sia preferibile, anzi (v. retro al par. 1 e, in precedenza, V. Zeno-Zencovich, N. Var-di, EU Law As a Legal System in a Comparative Perspective, in 19 Eur. Bus. L. Rev. 234(2008); piuttosto serve ad evidenziare quanto poco la metodologia comparata sia conside-rata dai giuristi statunitensi.

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