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N. 1 Settembre/Ottobre 2003 1 l’O RIOLI Periodico di cultura, costume e società Diretto da Nicola Piermartini Anno 1 - Numero 1 - Euro 0,50 Settembre/Ottobre 2003 Una dedica GRAZIE NORA Q uando, insieme ad alcuni carissimi amici, maturai la decisione di fondare un'as- sociazione culturale, mi sembrò il modo più natu- rale, addirittura il più doveroso, di da- re seguito a quegli interessi che nove anni di assessorato alla cultura, per il Comune di Vallerano, mi avevano ob- bligato a coltivare. Intitolare l’associazione a Francesco Orioli, nato proprio nel nostro paese, fu un passo ancora più scontato, data la varietà dei suoi studi, tutti affronta- ti con passione ed estremo rigore dot- trinale. Più che l’omaggio ad uno dei nostri più illustri concittadini, fu pro- priamente la scelta di un Maestro a cui ispirarsi. Poi, il caso, sotto le affettuose sem- bianze di Franco Lanza, ha voluto che avvenisse l’incontro con Maria e poi con la sorella Nora, pronipoti di Fran- cesco Orioli. L’amicizia, che di lì a poco si sviluppò, è stata per me estremamente feconda sotto il profilo umano, per la ricchez- za della loro personalità, e per l’am- pliamento delle mie conoscenze cultu- rali, delle quali sentii, però, ancora il bisogno di far partecipe il mio luogo di vita. Era, in fondo, anche questa l’e- redità di quelle “Stanze con vista o prigione?” che, negli anni Ottanta, avevano aperto una stagione nuova nella vita culturale del nostro paese e i cui frutti pare stiano venendo anco- ra a maturazione. Nacque così l’idea della mostra della fotografie di Maria Orioli, allestita in occasione dell’inti- tolazione del teatro Comunale di Val- lerano a Francesco Orioli. E così è nata l’idea di questa mostra di opere di Nora Orioli. A lei va tutta la mia riconoscenza, per- ché la modestia del suo iniziale rifiuto si è poi mutata nella modestia della sua richiesta di coinvolgere altri suoi autorevoli colleghi. Una cifra in più, insomma, per questa iniziativa, con la quale la nostra Asso- ciazione spera di rendere adeguato omaggio al profondo rigore della ri- cerca artistica di Nora. Di nostro, da dilettanti desiderosi di crescere, ma anche di provocare, vor- remmo aggiungere un pizzico di pre- suntuosa diffidenza verso chi, pur nella sua invidiabile erudizione, ha perso il senso della vera competenza e con esso, forse, anche la curiosità e la meraviglia per il bello. Ci piace farlo, presuntuosamente ap- punto, con le parole stesse dell’Orioli che, nel Giugno 1817, a Padre P. Seme- ria, suo amico e collega di ricerche ar- cheologiche, così scriveva: Non temete né il tale (....) né altri; per- ché, a dirvela in confidenza, pochi sono quelli che possono parlare d’alcune di que- ste cose con quella cognizione di causa, colla quale possiamo parlare noi “. Grazie Nora, Ludovico Pacelli EDITORIALE Un progetto e un’idea per la cultura nei nostri luoghi V allerano - Teatro comu- nale: una domenica par- ticolare. Nella platea gre- mita, numerose persona- lità, tra le quali sua altez- za reale, principessa India di Afghani- stan, la marchesa Adriana Gherardini, nipote di Matilde Serao, il professor Franco Lanza, docente universitario, la signora Elsa Francavilla, nuora di Corrado Alvaro. Sul palco il professor Filippo Sallusto, il musicista e cantan- te Francesco Trumby e una presenza familiare da decenni in paese: Corra- do Alvaro. Corrado Alvaro e Napoli: è il titolo della conferenza del professor Sallu- sto per illustrare una stagione della vi- ta e dell'arte dello scrittore-giornalista calabrese. La manifestazione è stata organizzata dall'Associazione Cultu- rale Europea onlus Francesco Orioli, nel suo programma di promozione culturale. Dopo le presentazioni di Luca Poleggi, assessore alla cultura, e di Ludovico Pacelli, presidente del- l'associazione, il relatore ha letto alcu- ni passi, tratti da Itinerario italiano (1933) e Quasi una vita, premio strega nel 1951. Nelle riflessioni di Corrado Alvaro è " P ietre evocatrici di memo- rie": è il titolo della mostra fotografica di Maria Orioli, allestita nella sede dell'associa- zione culturale europea onlus "Francesco Orioli". Un viaggio tra i tesori e la quoti- dianitá di Viterbo, Vallerano, Vignanello; un viaggio della luce, ora carezzevole ora morbida, ora trionfante, potente; un viag- gio fatto di apparizioni, tra ombre traspa- renti e penombre, che velano appena angoli cristallizzati nel tempo. E la luce immortala la solitudine e la solennitá della torre di Braimondo, in Viterbo, l'im- ponenza di tratti murari, la rusticitá ele- gante di facciate di palazzi medievali. Avvolge la statua di S.Rosa, sopra Porta Romana: nel contrasto con un brano infi- nito di cielo, la Santa sembra librarsi in alto. Lame di luce su un mare d'ombra tratteggiano, in modo fiabesco, la sagoma del Palazzo dei Papi; lo scintillio di quelle lame si attenua, e scivola sulla fontana e sulla scalinata della loggia del palazzo. Poi s'insinua nel silenzio, nell'intimitá rac- colta, e maestosa nel contempo, negli stu- pori architettonici di cortili e di chiostri. Le ombre s'incuneano tra le fessure delle pietre, penetrano nei segreti di finestre e portali; il mosaico di luci ed ombre scolpi- EVENTI CULTURALI L'anima partenopea di Corrado Alvaro emersa, attualissima ancora, la vitalità napoletana, la monumentalità dell'ar- chitettura della città, così estranea alla terra, la festosità variopinta, vociante, estemporanea, aperta, viva dell'anima popolare, sempre pronta alla solida- rietà, all'aiuto reciproco. E poi il dolce far niente, che può essere interpretato come svogliatezza, e che adombra, in- vece, una filosofia di vita saldamente realistica. Ogni analisi critica è stata sottolineata da brani musicali intra- montabili, pietre angolari anch'essi della napoletanità: Monastero 'e Santa Chiara, Funiculì Funiculà, 'A città 'e Pulicenella, Zazà, Torna a Surriento, Ohi Marì, ecc. Interessanti e illuminanti sono stati al- cuni collegamenti che Sallusto ha ina- nellato tra Corrado Alvaro e Renato Fucini, Matilde Serao, Salvatore di Giacomo. L'atmosfera raccolta della scenografia, il fascino del realismo magico della scrittura di Corrado Al- varo, lo stile colloquiale ed evocativo del relatore hanno fatto volare i minu- ti. Al termine, l'intervento del sindaco, Guido Mariani, che si è complimenta- to per l'iniziativa ed ha espresso la vo- lontà dell'amministrazione di incenti- vare gli appuntamenti culturali. sce bifore e rosoni, esalta il fascino senza tempo dei sarcofagi. La luce di Maria Orioli si posa, quindi, su Vallerano: una luminositá irreale trasfigura la chiesa del Ruscello e sospende in attesa un lembo di paese in bilico su una rupe. Una prospet- tiva insolita e sognante di un vialone del giardino all'italiana di Palazzo Ruspoli, in Vignanello, proietta e dissolve la luce nel- l'infinito. Una mostra da interpretare con lo sguardo dei ricordi, della nostalgia, del cuore. Nicola Piermartini Maria Orioli BREVE NOTA BIOGRAFICA Maria Orioli nasce a Pola. Dopo aver vissuto a Venezia, si trasferisce da gio- vane a Roma, dove attualmente vive e lavora. Dopo essersi laureata in lettere e aver dedicato buona parte della sua vita all'insegnamento, ha nel tempo sempre più approfondito la sua vera passione: la fotografia. Nel 96/98 ha collaborato a "IL MONDO" di Mario Pannunzio. Da quasi Pietre evocatrici di memorie MOSTRA FOTOGRAFICA MARIA ORIOLI Vallerano - 19 Ottobre - 03 Novembre 2002 CONFERENZA DEL PROF .FILIPPO SALLUSTO di Nicola Piermartini L’Orioli: foglio bimestrale, edito dal- l’Associazione culturale europea “Francesco Orioli”, Onlus, sigla sibil- lina che significa: Organizzazione non lucrativa di utilità sociale. Prende il nome da un valleranese, che, già due secoli fa, ebbe veramente respi- ro europeo. Nato a Vallerano nel 1785, morto a Roma nel 1856, Orioli fu un ingegno multiforme, moderno, dedito allo studio, alla ricerca, all’insegna- mento, alla contemplazione, ma pronto anche all’azione. Si laureò in legge, a Roma, e in medicina a Perugia. Inse- gnò fisica e filosofia nei licei della capi- tale, ancora fisica a Bologna, archeolo- gia alla Sorbona e a Roma, psicologia a Bruxelles, fisica a Corfù. Fervente patriota, fu eletto membro del Governo provvisorio della Romagna nel 1830 e deputato della Repubblica Romana nel 1849. Fu letterato e poeta. Pochi flash, illuminanti, per delineare una vita caratterizzata dalla elevazione culturale e dall’impegno sociale. L’associazione “F. Orioli”, nata legal- mente da pochi anni, si è fregiata del nome dell’illustre scienziato vallerane- se anche per rendere immediatamente chiari gli scopi della propria costituzio- ne. L’utilità sociale va ricercata nella pro- mozione della cultura e dell’arte con spettacoli, manifestazioni, mostre d’ar- te, dibattiti, seminari, conferenze. Lo statuto dell’associazione prevede, tra l’altro, l’organizzazione di concorsi per artisti italiani e stranieri. Perché un periodico, infine? Oggi la comunica- zione avviene in tempo reale in ogni parte del mondo. Non si potrebbe comprendere, allora, la ragione della presenza di un foglio lo- cale. La ragione risiede nel fatto che la pub- blicazione nasca da fermenti locali e che intenda travalicare i confini stretta- mente paesani e provinciali. Saranno invitate personalità di vario segno ad esprimere valutazioni e consi- derazioni su argomenti dei loro settori specifici. Sarà dato anche spazio, però, a chiunque abbia da proporre osserva- zioni e commenti originali sul costume e sull’arte: sul sociale, in generale. “L’Orioli” è il tentativo di indicare un cammino, al quale, questo è l’augurio, molti arrechino il proprio contributo di sensibilità. Senza chiusure, senza stec- cati, senza distinzioni di alcun genere. segue a pag. 8 EVENTI CULTURALI s.r.l. HINNTECH SAFE HOUSE TECHNOLOGY Sede: Viale di Val Fiorita, 86 00144 Roma Tel./Fax 06.5917347 www.hinntech.com e-mail: [email protected] SOCIETÀ PER IMPIANTISTICA PROFESSIONALE E SERVIZI AZIENDALI HINNTECH SAFE HOUSE TECHNOLOGY Sede: Viale di Val Fiorita, 86 00144 Roma Tel./Fax 06.5917347 www.hinntech.com e-mail: [email protected] SOCIETÀ PER IMPIANTISTICA PROFESSIONALE E SERVIZI AZIENDALI www.orioli.it

N.1 Settembre 2003 · 2 N. 1 Settembre/Ottobre 2003 F igure sole. Donne, spesso, colte in un istante di rifles-sione, o sorprese in un foto-gramma di vita. Donne in-corniciate in

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Page 1: N.1 Settembre 2003 · 2 N. 1 Settembre/Ottobre 2003 F igure sole. Donne, spesso, colte in un istante di rifles-sione, o sorprese in un foto-gramma di vita. Donne in-corniciate in

N. 1 Settembre/Ottobre 2003 1

l’ORIOLIPeriodico di cultura, costume e società Diretto da Nicola Piermartini

Anno 1 - Numero 1 - Euro 0,50 Settembre/Ottobre 2003

Una dedicaGRAZIE NORA

Quando, insieme ad alcunicarissimi amici, maturai ladecisione di fondare un'as-sociazione culturale, misembrò il modo più natu-

rale, addirittura il più doveroso, di da-re seguito a quegli interessi che noveanni di assessorato alla cultura, per ilComune di Vallerano, mi avevano ob-bligato a coltivare.Intitolare l’associazione a FrancescoOrioli, nato proprio nel nostro paese,fu un passo ancora più scontato, datala varietà dei suoi studi, tutti affronta-ti con passione ed estremo rigore dot-trinale. Più che l’omaggio ad uno deinostri più illustri concittadini, fu pro-priamente la scelta di un Maestro a cuiispirarsi.Poi, il caso, sotto le affettuose sem-bianze di Franco Lanza, ha voluto cheavvenisse l’incontro con Maria e poicon la sorella Nora, pronipoti di Fran-cesco Orioli.L’amicizia, che di lì a poco si sviluppò,è stata per me estremamente fecondasotto il profilo umano, per la ricchez-za della loro personalità, e per l’am-pliamento delle mie conoscenze cultu-rali, delle quali sentii, però, ancora ilbisogno di far partecipe il mio luogo

di vita. Era, in fondo, anche questa l’e-redità di quelle “Stanze con vista oprigione?” che, negli anni Ottanta,avevano aperto una stagione nuovanella vita culturale del nostro paese e icui frutti pare stiano venendo anco-ra a maturazione. Nacque così l’ideadella mostra della fotografie di MariaOrioli, allestita in occasione dell’inti-tolazione del teatro Comunale di Val-lerano a Francesco Orioli. E così è nata l’idea di questa mostra diopere di Nora Orioli. A lei va tutta la mia riconoscenza, per-ché la modestia del suo iniziale rifiutosi è poi mutata nella modestia dellasua richiesta di coinvolgere altri suoiautorevoli colleghi.Una cifra in più, insomma, per questainiziativa, con la quale la nostra Asso-ciazione spera di rendere adeguatoomaggio al profondo rigore della ri-cerca artistica di Nora.Di nostro, da dilettanti desiderosi dicrescere, ma anche di provocare, vor-remmo aggiungere un pizzico di pre-suntuosa diffidenza verso chi, purnella sua invidiabile erudizione, haperso il senso della vera competenza econ esso, forse, anche la curiosità e lameraviglia per il bello.

Ci piace farlo, presuntuosamente ap-punto, con le parole stesse dell’Orioliche, nel Giugno 1817, a Padre P. Seme-ria, suo amico e collega di ricerche ar-cheologiche, così scriveva: “Non temete né il tale (....) né altri; per-ché, a dirvela in confidenza, pochi sono

quelli che possono parlare d’alcune di que-ste cose con quella cognizione di causa,colla quale possiamo parlare noi “.

Grazie Nora,

Ludovico Pacelli

EDITORIALE

Un progettoe un’idea per la cultura neinostri luoghi

Vallerano - Teatro comu-nale: una domenica par-ticolare. Nella platea gre-mita, numerose persona-lità, tra le quali sua altez-

za reale, principessa India di Afghani-stan, la marchesa Adriana Gherardini,nipote di Matilde Serao, il professorFranco Lanza, docente universitario,la signora Elsa Francavilla, nuora diCorrado Alvaro. Sul palco il professorFilippo Sallusto, il musicista e cantan-te Francesco Trumby e una presenzafamiliare da decenni in paese: Corra-do Alvaro.Corrado Alvaro e Napoli: è il titolodella conferenza del professor Sallu-sto per illustrare una stagione della vi-ta e dell'arte dello scrittore-giornalistacalabrese. La manifestazione è stataorganizzata dall'Associazione Cultu-rale Europea onlus Francesco Orioli,nel suo programma di promozioneculturale. Dopo le presentazioni diLuca Poleggi, assessore alla cultura, edi Ludovico Pacelli, presidente del-l'associazione, il relatore ha letto alcu-ni passi, tratti da Itinerario italiano(1933) e Quasi una vita, premio streganel 1951.Nelle riflessioni di Corrado Alvaro è

"Pietre evocatrici di memo-rie": è il titolo dellamostra fotografica diMaria Orioli, allestitanella sede dell'associa-

zione culturale europea onlus "FrancescoOrioli". Un viaggio tra i tesori e la quoti-dianitá di Viterbo, Vallerano, Vignanello;un viaggio della luce, ora carezzevole oramorbida, ora trionfante, potente; un viag-gio fatto di apparizioni, tra ombre traspa-renti e penombre, che velano appenaangoli cristallizzati nel tempo. E la luceimmortala la solitudine e la solennitádella torre di Braimondo, in Viterbo, l'im-ponenza di tratti murari, la rusticitá ele-gante di facciate di palazzi medievali.Avvolge la statua di S.Rosa, sopra PortaRomana: nel contrasto con un brano infi-nito di cielo, la Santa sembra librarsi inalto. Lame di luce su un mare d'ombratratteggiano, in modo fiabesco, la sagomadel Palazzo dei Papi; lo scintillio di quellelame si attenua, e scivola sulla fontana esulla scalinata della loggia del palazzo.Poi s'insinua nel silenzio, nell'intimitá rac-colta, e maestosa nel contempo, negli stu-pori architettonici di cortili e di chiostri.Le ombre s'incuneano tra le fessure dellepietre, penetrano nei segreti di finestre eportali; il mosaico di luci ed ombre scolpi-

EVENTI CULTURALI

L'anima partenopea di Corrado Alvaro

emersa, attualissima ancora, la vitalitànapoletana, la monumentalità dell'ar-chitettura della città, così estranea allaterra, la festosità variopinta, vociante,estemporanea, aperta, viva dell'animapopolare, sempre pronta alla solida-rietà, all'aiuto reciproco. E poi il dolcefar niente, che può essere interpretatocome svogliatezza, e che adombra, in-vece, una filosofia di vita saldamenterealistica. Ogni analisi critica è statasottolineata da brani musicali intra-montabili, pietre angolari anch'essidella napoletanità: Monastero 'e SantaChiara, Funiculì Funiculà, 'A città 'ePulicenella, Zazà, Torna a Surriento,Ohi Marì, ecc.Interessanti e illuminanti sono stati al-cuni collegamenti che Sallusto ha ina-nellato tra Corrado Alvaro e RenatoFucini, Matilde Serao, Salvatore diGiacomo. L'atmosfera raccolta dellascenografia, il fascino del realismomagico della scrittura di Corrado Al-varo, lo stile colloquiale ed evocativodel relatore hanno fatto volare i minu-ti. Al termine, l'intervento del sindaco,Guido Mariani, che si è complimenta-to per l'iniziativa ed ha espresso la vo-lontà dell'amministrazione di incenti-vare gli appuntamenti culturali.

sce bifore e rosoni, esalta il fascino senzatempo dei sarcofagi. La luce di MariaOrioli si posa, quindi, su Vallerano: unaluminositá irreale trasfigura la chiesa delRuscello e sospende in attesa un lembo dipaese in bilico su una rupe. Una prospet-tiva insolita e sognante di un vialone delgiardino all'italiana di Palazzo Ruspoli, inVignanello, proietta e dissolve la luce nel-l'infinito. Una mostra da interpretare conlo sguardo dei ricordi, della nostalgia, delcuore.

Nicola Piermartini

Maria OrioliBREVE NOTA BIOGRAFICA

Maria Orioli nasce a Pola. Dopo avervissuto a Venezia, si trasferisce da gio-vane a Roma, dove attualmente vive elavora. Dopo essersi laureata in lettere eaver dedicato buona parte della sua vitaall'insegnamento, ha nel tempo semprepiù approfondito la sua vera passione: lafotografia. Nel 96/98 ha collaborato a "ILMONDO" di Mario Pannunzio. Da quasi

Pietre evocatrici di memorie■ MOSTRA FOTOGRAFICA MARIA ORIOLI

Vallerano - 19 Ottobre - 03 Novembre 2002■ CONFERENZA DEL PROF. FILIPPO SALLUSTO

di Nicola Piermartini

L’Orioli: foglio bimestrale, edito dal-l’Associazione culturale europea“Francesco Orioli”, Onlus, sigla sibil-lina che significa: Organizzazione nonlucrativa di utilità sociale. Prende il nome da un valleranese, che,già due secoli fa, ebbe veramente respi-ro europeo. Nato a Vallerano nel 1785,morto a Roma nel 1856, Orioli fu uningegno multiforme, moderno, deditoallo studio, alla ricerca, all’insegna-mento, alla contemplazione, ma prontoanche all’azione. Si laureò in legge, aRoma, e in medicina a Perugia. Inse-gnò fisica e filosofia nei licei della capi-tale, ancora fisica a Bologna, archeolo-gia alla Sorbona e a Roma, psicologia aBruxelles, fisica a Corfù. Fervente patriota, fu eletto membro delGoverno provvisorio della Romagnanel 1830 e deputato della RepubblicaRomana nel 1849. Fu letterato e poeta.Pochi flash, illuminanti, per delineareuna vita caratterizzata dalla elevazioneculturale e dall’impegno sociale. L’associazione “F. Orioli”, nata legal-mente da pochi anni, si è fregiata delnome dell’illustre scienziato vallerane-se anche per rendere immediatamentechiari gli scopi della propria costituzio-ne. L’utilità sociale va ricercata nella pro-mozione della cultura e dell’arte conspettacoli, manifestazioni, mostre d’ar-te, dibattiti, seminari, conferenze. Lostatuto dell’associazione prevede, tral’altro, l’organizzazione di concorsi perartisti italiani e stranieri. Perché unperiodico, infine? Oggi la comunica-zione avviene in tempo reale in ogniparte del mondo. Non si potrebbe comprendere, allora, laragione della presenza di un foglio lo-cale. La ragione risiede nel fatto che la pub-blicazione nasca da fermenti locali e cheintenda travalicare i confini stretta-mente paesani e provinciali. Saranno invitate personalità di variosegno ad esprimere valutazioni e consi-derazioni su argomenti dei loro settorispecifici. Sarà dato anche spazio, però,a chiunque abbia da proporre osserva-zioni e commenti originali sul costumee sull’arte: sul sociale, in generale. “L’Orioli” è il tentativo di indicare uncammino, al quale, questo è l’augurio,molti arrechino il proprio contributo disensibilità. Senza chiusure, senza stec-cati, senza distinzioni di alcun genere. segue a pag. 8

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2 N. 1 Settembre/Ottobre 2003

Figure sole. Donne, spesso,colte in un istante di rifles-sione, o sorprese in un foto-gramma di vita. Donne in-corniciate in sfondi echeg-

gianti brani suggestivi di passato, odelineate contro pareti monocrome.Oppure personaggi. In costumi sfar-zosi, da grande scena, isolati dallarappresentazione corale.O, ancora, gente comune, che diven-ta molteplicità di personaggi, osser-vata in ambienti e abbigliamenti con-sueti, ma circonfusa da atmosfere ap-partenenti soltanto alle visioni, ai so-gni.Realtà , sogno, ricordo, presente,passato, aspirazioni; fuga dal pre-sente, lampi di bellezza struggente

La pittura di Lorella CecchiniI quadri, le figure sole, una vicenda artistica

Non ricordavo ci fosserotante curve prima di ar-rivare a Vignanello. So-no passati tanti annidall’ultima volta che ho

percorso questa strada: i lunghi filari diviti alternati agli alberi di “nocciole”. Un susseguirsi incessante di rami etralci, la testimonianza della generositàdi questa terra. Prima di percorrere l’ultimo chilome-tro un cartello stradale mi indica chealla mia sinistra una tangenziale po-trebbe portarmi direttamente a Viterbosenza attraversare Vignanello e Valle-rano. Ma non ho alcuna intenzione di abban-donare la via principale: voglio ricono-scere i luoghi, rivivere le memorie, sen-tire i profumi. Vignanello appare al-l’improvviso dando la sensazione chepochi istanti prima non vi fosse. Primadi scorgere la parte più antica è neces-sario percorrere una ripida discesa chetermina al passaggio a livello. A quel

Vignanello, un paese all’improvviso

RIFLESSI D’ARTE

del passato…E simboli : presenze importanti o di-messe, per esemplificare un’idea, perconnotare uno stato d’animo.La meditazione sugli oli e gli acqua-relli di Lorella Cecchini conduce aduna introspezione, in cui la sensibi-lità di ciascuno ritrova brani di vis-suto personale, che esulano dallaquotidianità materiale, che riportanoalla mente l’illuminazione o il fasci-no di attimi.Fascino e nostalgia al cospetto di ar-chitetture senza tempo o di dettagliartistici, commoventi per cromatismie geometrie, che non sembrano uma-ni. Le opere della Cecchini invitanoad un viaggio che tutti hanno alme-no iniziato, quando il fragore del

UN RICORDO

punto sulla destra, in alto, si staglianomaestosi il Castello Ruspoli e la Colle-giata di Santa Maria. Ricordo, quandoero ancora ragazzo, che nel castello ve-niva girato un film di “cappa e spada”assai in voga come genere negli anniSessanta. Fu l’unica volta che riuscii avisitarne l’interno nel quale, intatto, sirespirava un odore di antico reso ancorpiù intenso dalle scure corazze rinasci-mentali che si stagliavano agli angolidell’immenso salone. L’immaginazio-ne faceva il resto. Il Palazzo Ruspoli(così viene indicato nelle guide turisti-che) risale al IX secolo. Intorno al ‘600 venne rimaneggiato dalVignola fino a raggiungere le attualiforme. Lo splendido giardino voluto da Or-tensia Farnese ne addolcisce i contornie ne esalta la mascolinità delle forme.Viaggiatore distratto, non proseguireverso la tua meta senza soffermarti unattimo ad ammirare la vallata fitta diboschi e seguire con lo sguardo i sen-

tieri che scompaiono oscurati dal ver-de! Più avanti, prima di giungere al bi-vio che porta a Soriano nel Cimino, viè un grande fontanone. Tanti anni fa le donne vi venivano a la-vare i panni, mentre i contadini lascia-vano che i buoi, al ritorno da una fati-cosa giornata di lavoro, si abbeverasse-ro abbondantemente. Immagini del passato fissate nellamente di un giovane che spesso provo-cano una struggente nostalgia. Andando poi verso Viterbo, dopo averlasciato Vignanello, si arriva a Vallera-no. I due paesi sono uno il seguito dell’al-tro: talmente vicini da sembrare ununico corpo, ma non è così. Un’antica rivalità divide i vignanellesidai valleranesi anche se, con il passardel tempo, quel prendersi in giro, quelvolersi sentire superiori l’uno dell’altroha lasciato il posto ad una non dichia-rata collaborazione. Vallerano antica: un susseguirsi di sca-

le in pietra consumate dal tempo, condue gioielli: la chiesa di San Vittore delXII secolo con un mirabile soffitto acassettoni del ‘400 ed il santuario dellaMadonna del Ruscello eretto nel 1605su disegno del Vignola ricco di affre-schi, di quadri e di uno stupendo orga-no baroccheggiante finemente intaglia-to. Il Santuario lo puoi ammirare al fondodi una larga strada in discesa che manmano ne svela le pure linee architetto-niche, mentre le antiche stalle, ora can-tine e botteghe di artigiani, costeggianol’ultimo tratto. All’interno della parte antica di Valle-rano, dopo un fitto intersecarsi di stret-te viuzze, si giunge in una piazzetta,dove tanti anni fa vi era un ospedale.Questa piazza è diventata un impor-tante punto di riferimento per gli abi-tanti del posto e per i turisti, perché inessa viene fatto rivivere il mistero diNatale con il presepio vivente, mentrein estate si eseguono concerti e rappre-

sentazioni teatrali. Anche se durante il giorno il caldo l’hafatta da padrone, lo spettatore può go-dere nelle prime ore della notte delleleggere folate di vento fresco prove-nienti dall’ampia valle che circonda laparte posteriore del paese. Io che sono romano, ma che amo que-sti luoghi perché ricchi di ricordi e difatti che hanno dato una svolta alla miavita ,desidererei che due paesi così bel-li si valorizzassero di più, fino a dive-nire importanti riferimenti turistici.Non devono dimenticare gli ammini-stratori che la natura di questa zona ègenerosa e lussureggiante, e chi giungedal rumore e dal caos della grande cittàvi può trovare serenità e pace ed avereil desiderio di ritornarvi per cogliere ecomprendere gli aspetti più affascinan-ti, forse con troppa leggerezza trala-sciati.

Vittorio Arista

UNA POESIA

mondo si dissolve ed ognuno, maga-ri per frazioni di secondo, prende co-scienza dell’esistenza di una dimen-sione, in cui, appunto, presente, pas-sato, anelito di superare le barrieredel tempo si fondono in sensazionidifficilmente comunicabili. Opere, oltretutto, condotte con tecni-ca sopraffina, sia quelle più tonali diqualche stagione addietro, sia quellepiù realistiche di oggi. Tecnica, che si manifesta in modoevidente nei ritratti, nei quali l’atten-ta indagine psicologica e la qualitàdegli incarnati fanno da contraltarealle preziosità cromatiche di indu-menti e di oggetti.

N. P.

Una pallidissima, eterea, consumatadal sentimento e dal sacro fuoco per ilteatro; l'altra sanguigna, prepotente,smaniosa di affermarsi e di mantenerela fama conquistata con le unghie e coidenti. Una, frutto di un'infanzia pove-rissima; l'altra, cresciuta negli agi, masenza affetto. L'una è Eleonora Duse;l'altra Sarah Bernhardt. Due muse im-mortali del teatro. Sono rivissute, sa-bato scorso, nel dramma in un atto,"Duetto", di Otho Eskin, regia di Fla-vio Cipriani, nello spettacolo organiz-zato nel teatro comunale dall'associa-zione culturale europea onlus "Fran-cesco Orioli" per celebrare l'intitola-zione del teatro al genio, l'Orioli ap-punto, nato a Vallerano nel 1785. Cri-stina Cerri Ciummei e Miriam Nori,che hanno interpretato la Duse e laBernhardt, hanno connotato con pas-sione e con realistiche modulazioniespressive un segmento della vita del-le due artiste. Si incontrano in un mo-mento di grande invenzione teatrale:la Bernhardt è morta da un anno. Larivalitá che le aveva divise nella vitacontinua, dunque, anche dopo la mor-

RECENSIONE

te di Sarah. Con frequenti e limpidiflash-back, il dialogo tra le due rinver-disce stagioni e sofferenze della vitatrascorsa: l'infanzia traboccante di an-sie, i sogni, la gloria, la fragilitá anchenel trionfo, il disperato bisogno d'a-more. E appare Gabriele D'Annunzio,il sodalizio artistico e affettivo con laDuse, il tradimento con la Bernhardt,l'abbandono. Due vite diverse, segna-te da tormenti continui, anche se di se-gno differente: tormenti, dai quali siplasmò un arricchimento spirituale,che elevò le due "divine" alla gloriaeterna. In definitiva, due donne fragi-li, pur se di una fragilitá diversamen-te mascherata; due donne alla ricercaangosciosa, interminabile di se stesse.Buona la prova di Oliviero Piacenti,che ha conferito carattere ai vari per-sonaggi, tra i quali D'Annunzio. Gliapplausi finali, calorosi e prolungati,hanno testimoniato il coinvolgimentoe l'apprezzamento del pubblico.

Nicola PiermartiniTeatro Comunale Francesco Orioli

Vallerano 19 Ottobre 2002

Vignanello

ogni mattino

mi affaccio sul giardino

vedo Santino

intento al lavoro

figlio di Marino

figlio d’Arte

ed ora Maestro

del proprio destino.

Mi riempio di luce

nelle mie vene si ferma

la storiail tempo non scorre

i vivi sono qui con i morti

i padri ed i figli

si riuniscono in me

in questo attimo luminoso

ove si compie

il miracolo

di una serenità

senza tempo

Vignanello 2002

Dado Ruspoli

"Duetto" di Otho Eskin regia di Flavio CiprianiMeditazione e poesiaSiamo convinti che la nostra vita sarà migliore quando saremo sposati, quando avremo unprimo figlio o un secondo. Poi ci sentiamo frustrati perché i nostri figli sono troppo piccoliper questo o per quello e pensiamo che le cose andranno meglio quando saranno cresciuti.In seguito siamo esasperati per il loro comportamento da adolescenti. Siamo convinti chesaremo più felici quando avranno superato quest'età. Pensiamo di sentirci meglio quando il nostro partner avrà risolto i suoi problemi, quandocambieremo l'auto, quando faremo delle vacanze meravigliose, quando non saremo piùcostretti a lavorare. Ma se non cominciamo un a vita piena e felice ora, quando lo faremo?Dovremo sempre affrontare delle difficoltà di qualsiasi genere. Tanto vale accettare que-sta realtà e decidere d'essere felici, qualunque cosa accada. Alfred Souza dice: "Per tantotempo ho avuto la sensazione che la mia vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Mac'erano sempre ostacoli da superare strada facendo, qualcosa d'irrisolto, un affare che ri-chiedeva ancora tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati. In seguito la vitasarebbe cominciata. Finalmente ho capito che questi ostacoli erano la vita."Questo modo di percepire le cose ci aiuta a capire che non c'e un mezzo per essere feli-ci ma la felicita è il mezzo. Di conseguenza, gustate ogni istante della vostra vita, e gu-statelo ancora di più perché lo potete dividere con una persona cara, una persona mol-to cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita, e ricordatevi che il temponon aspetta nessuno. Allora smettete di aspettare di finire la scuola, di tornare a scuo-la, di perdere 5 kg, di prendere 5 kg, di avere dei figli, di vederli andare via di casa.Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi, didivorziare. Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere unanuova macchina o una casa nuova. Smettete di aspettare la primavera, l'estate, l'au-tunno o l'inverno. Smettete di aspettare di lasciare questa vita, di rinascere nuova-mente, e decidete che non c’è momento migliore per essere felici che il momento pre-sente. La felicità e le gioie della vita non sono delle mete ma un viaggio.

Un pensiero per oggi: lavorate, come se non aveste bisogno di soldi; amate, comese non doveste soffrire; ballate, come se nessuno vi guardasse.

a cura di G. Bilo

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N. 1 Settembre/Ottobre 2003 3

GIACOMO MAURO GIUFFRA, MISCHA FAUST, ELIO RIZZO, MARIO VEROLINI

Nora Orioli Speciale

e

Allegato al n. 1 de L’Orioli Periodico di cultura, costume e società Settembre 2003

ORIOLIDi Nora Orioli ricordavamo i dipintiesposti l’anno scorso alla “Don Chi-sciotte”, e quelli più recenti della“Quadriennale”: tavolette che nei co-lori vividi e appassionati soffocavanouna minuzia breugeliana. Nelle litografie esposte ora al “Carpi-ne”, tra cui la serie dei Sette PeccatiCapitali, alla citazione del fiammingopossiamo aggiungere quella, più per-tinente, degli “omini” di Rosai, peruna sorta di penetrante, quasi cattivoinsistere su ciascuna fisionomia, allaricerca di motivazioni psicologicheche si fondono poi in una corale unitàdi giudizio. Ma vorremmo sottolinea-re come nella grafica l’unità sia anche,e soprattutto, formale.

Guido Giuffrè

Tratto da

La Fiera LetterariaGiovedì 28 Aprile 1966

Tratto da

Europeo6-7 Febbraio 1987

Tratto da

Daily News15 Maggio 1981

FINALMENTE ÈRITORNATA NORAReca la firma del poeta Gérard Macé e ladata 1981 la conferma più puntuale delgiudizio positivo che, in non molti pur-troppo, fin dagli anni Sessanta, demmosulla singolare spiritualità e finezza del-la pittura di Nora Orioli. La quale neglianni Sessanta aveva superato la quaran-tina, essendo nata a Pola nel 1925. E piùin generale occorre, sempre purtroppo,prendere atto della circostanza tuttaprovincialmente italica che a valorizza-re l’arte della Orioli sono stati in mag-gior numero critici francesi, svizzeri esoprattutto tedeschi. Tanto è vero chel’attuale mostra della Orioli alla galleriaAstrolabio di Messina è la prima che el-la ha modo di tenere in Italia dopo cin-que anni di nostrana disattenzione alsuo lavoro, sempre più concentrato indipinti di una intensissima qualità for-male e invenzione poetica. Del resto,quando Domenico Gnoli era ai suoiesordi, chi s’accorse di lui nella provin-cia italica astratto-informale? Di lui s’ac-corsi sì un italiano ma negli Stati Unitid’America: lo scrittore Furio Colombo.E così mi piace ricordare che fu unoscrittore, uno dei “tamburini” della rivi-sta “La Ronda”, negli anni Venti, Anto-nio Baldini, ad accorgersi della Orioli.Ecco uno scritto del 1958: “Cara Nora,mi consenta farle due confessioni, unadi seguito all’altra; e in effetti una den-tro l’altra. Prima confessione: la sua pit-tura non la direi fatta precisamente perme; seconda: le sue pitture continuano afarmi la migliore, per intensità e durata,delle compagnie, e il torto è certamentemio: di non saper interamente condivi-dere il suo professato gusto dell’antigra-zioso, ma altrettanto certamente tuttosuo è il merito di avermene fatto tanto

rapidamente partecipe con la sua pittu-ra: scoperta di una grazia tanto più se-greta e toccante, espressa dalle “drama-tis personae” , del suo mondo pittorico,prigioniere della più fonda malinconia,che veramente io non mi spiego in qua-le misteriosa regione dell’animo di unagiovane bennata come lei le sia andate apescare, con l’amo della sua commise-rante ed ironica indulgenza …“ Erano gli anni Cinquanta e a parlare di“dramatis personae” in un dipinto c’erada farsi linciare. Nora Orioli è stata diquelli che del linciaggio e dell’obliohanno fatto una questione di orgogliocreativo: e la sua resistenza, del tutto au-tonoma rispetto a quella di altri, è dive-nuta, come Baldini aveva ben inteso,poetica “durata”.

Antonello Trombadori

GUIDO GIUFFRÈ ANDNORA ORIOLIThe two artists whose works are at Stu-dio S offer a different sort of visual expe-rience. It is less emotional and more in-volved with admiring the technical skillof Guido Giuffrè and Nora Orioli. Giuf-frè’s drawings and etchings are all land-scapes. What he has under frame, howe-ver, seems more a world of fantasy. Thismay be because he places reverse ima-ges of the same scene side by side. Thetree, for example, changes completelyfrom the drawing which he has reversedand executed as an etching. Giuffrè pre-sents us with a magic show. The sombercolors and lucitefinish of Nora Orioli’stiles focus directly upon mythologicalsubjects. The gold and silver tingesenhance the ancient fantasies she pre-sents in looking-glass fashion. Most inte-resting is her tile of the artist lying dead.His unfinished canvas is an attempt tocopy Picasso’s Guernica. Orioli, howe-ver, succeeds. In so doing, she has madea strong statement about art. It does notreproduce the world as it is, it recreatesand shapes the forms we see into so-mething entirely new.

Joan Nickles

Tratto da

Il Giornale d’Italia20-21 Aprile 1966

LITOGRAFIE DINORA ORIOLIAlla Galleria “Il Carpine”, validamentediretta da Carmine Siniscalco, figurano, indue “personali” di particolare interesse, lelitografie di Nora Orioli e una serie di teledi Henriette Florian.La Orioli, nata a Pola, ha studiato a Vene-zia e vive a Roma dove, nel 1953, ha tenu-to la sua prima mostra di dipinti e disegni,seguita nell’ultimo decennio da numerosealtre “personali” tenute a Milano, Parigi,Princeton, New York, ancora Roma. Hapartecipato anche, sempre con successo dicritica e pubblico, a varie “collettive”in

Italia e all’Estero, tra le quali l’esposizionenel 1962 “Disegno italiano oggi”, che daNew York ha fatto il giro delle principalicittà degli Stati Uniti. In queste venti lito-grafie a colori – che comprendono anche,in altrettante tavole, un’interpretazionespiritosamente aggiornata dei Sette pecca-ti capitali – la Orioli conferma brillante-mente, e spesso supera, le sue già notequalità di esperta disegnatrice, di osserva-trice acuta, di eccellente psicologa. Sia neigià citati peccati, tinteggiati con molta fi-nezza, sia nelle litografie a fondino di co-lore, quali ad esempio “Il buon padre”,“La passeggiata”, “Il ballo”, “La trattoria”,la scorrevolezza d’un segno sempre gu-stoso, l’originalità e la freschezza dell’in-venzione, l’immediatezza di caratterizza-zione pongono questa artista tra i più quo-tati grafici, italiani e stranieri, del nostrotempo.

Tratto da

Il Giornale d’Italia21-22 giuno 1974

NORA ORIOLIAllo “Studio S.” – Arte contempora-nea” di Via della Penna 59, diretto dalbravo Carmine Siniscalco, è presentecon una ventina di oli e altrettantetempere la pittrice Nora Orioli, dellaquale finora – pur non ignorando isuoi crescenti successi all’estero - co-noscevano soltanto la bellissima seriedi litografie, in nero e a colori, da essaesposte nel 1966 alla Galleria “Il Car-pine”, di cui era allora direttore lostesso Siniscalco.Ricordiamo di aver molto ammiratoquelle lito, nelle quali la Orioli – giànota per le sue qualità di esperta dise-gnatrice e per la sua acutezza di osser-vatrice e di psicologa – superava sestessa come grafica, dimostrando nelcontempo una non comune sensibilitàanche nei riguardi del colore, soprat-tutto nelle deliziose e spiritose scenet-te (tinteggiate con attenta finezza) diuna sua interpretazione in chiave mo-derna dei Sette Peccati Capitali. Anche nell’attuale mostra di dipinti fi-gura una serie di scenette analoghe (lesette opere della misericordia spiri-tuale), le quali - così come gran partedelle altre opere, dall’ineffabile saporefiammingo - sono indubbia testimo-nianza della squisitezza di qualità e ditecnica raggiunta della Orioli in cam-po stretta mente pittorico, dove, comequesti dipinti chiaramente dimostra-no, ha saputo portarsi a un livello noncerto inferiore a quello che, in campografico, la pone non da ieri tra i piùquotati artisti del settore. E, quel chepiù conta, a tanto essa è riuscita agiungere senza conflitti o compromes-si, senza perplessità apparenti o inter-ruzioni evolutive, che è il segno, tra-sferito nel colore, trasformato si puòdire, in colore (che dal segno mutuatutta la freschezza d’invenzione), con-tinua a scorrere entro le nitide stesurepiù vivo e gustoso che mai, intattonella sapidezza e nel vigore originari. Nora Orioli (che da sette otto anni nonesponeva in Italia) è nata a Pola , hastudiato a Venezia e dal 1956 risiede aRoma, dove ha tenuto, nel 1953, lasua prima personale, alla quale hanno

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4 N. 1 Settembre/Ottobre 2003

SEI PITTORI PER UN“ALTRO MONDO”Tra le numerose collettive di Natale chein questi giorni le gallerie d’arte ci offro-no, raggruppando firme di tendenze di-verse, di correnti contrastanti e di valo-re artistico spesso discutibile troviamoun’eccezione che, a nostro avviso, è de-gna di nota.Si tratta di una collettiva di sei pittoripresentati alla “ Studio S” (via della Pen-na, 59) con olii, tempere e disegni. Indi-pendentemente dalla notorietà i sei arti-sti, cioè Bruno Caruso, Franco Gentilizi,Mauro Giuffra, Carlo Guarienti, NoraOrioli e Colette Rosselli costituiscono,con queste opere, un tutto unico ottima-mente armonizzato che sviluppa un pre-ciso discorso artistico. Una breve presen-tazione di André De Mandiargues ed unavvertimento della galleria diretta daCarlo Siniscalco ci informano che questaesposizione, nata a Parigi per presentaresei artisti italiani uniti da una ricerca so-stanzialmente comune che, al di là diogni etichetta, li porta a rappresentare“l’altro aspetto del mondo reale”, vieneriproposta sostanzialmente intatta alpubblico romano. Le opere sono tutte dialto livello e, come abbiamo detto, coe-renti nella loro unità a una linea di con-dotta artistica precisa. Non possiamoqui, per ovvie ragioni di spazio, svilup-pare un discorso critico su sei artisti, delresto già noti. Ci sembra però doverosodire che Bruno Caruso presenta operenuove nella impostazione e nella tecni-ca, che il giovane Mario Giuffra cheavemmo modo di ammirare, qualcheanno fa in una mostra alla “Trifalco”, percerte sue raffinatezze di disegno, cercaora spazi più ampi ed esperimenta nuo-ve suggestioni con la tecnica della tem-pera. La raffinatezza di Carlo Guarientie il gusto di Nora Orioli sono ampia-mente documentati.Un discorso particolare ci sembra di do-ver fare su Colette Rosselli, una pittriceche unisce all’abilità tecnica, alla impo-stazione organica del quadro (sono tuttidi piccola dimensione) un a sua partico-lare invenzione ai limiti del surreale. Fi-gure di animali che si inseriscono nelpaesaggio, diventando protagonistiprincipali di esso. L’immagine che si fapietra come sfinge ed idolo di un mon-do disabitato.Colette Rosselli non accetta le propor-zioni di una realtà convenzionale. Ci

fatto seguito numerose altre a Milano,Parigi, Princeton, New York. Ha parte-cipato anche a varie collettive in Italia eall’estero, tra cui nel 1959, l’VIII Qua-driennale romana, e nel 1962, l’esposi-zione “ Il Disegno italiano oggi” che daNew York ha fatto il giro delle princi-pali città degli Stati Uniti.

LIEVI, PERFETTEFIGURE DIPINTECOME LACCALe figure umane che riescono ad arri-vare fino a noi, come alito su vetro, al-la superficie dell’immagine dipinta conuna levigatezza pari a quella delle lac-che, sembrano venire da lontananze eprofondità desolate e infinite. Si affac-ciano sorprese e stupefatte come se fos-sero approdate ad una soglia crudeledove non ci sono più miti. I dipinti dipiccolo e medio formato sono costruitivelatura su velatura, in mesi e mesi dilavoro e con un processo, una ascesa,dall’interno verso l’esterno. Lo spazio èfulgore dorato di terre argillose che ri-mandano attraverso la nebbia la lucedel sole. L’immagine di natura vale co-me metafora di un processo psichicoprofondo e faticato di liberazione. Ed èesaltante per la pittrice che l’ha vissutadipingendo e per noi che guardiamo,come costruita evidenza di una poten-za dell’immaginazione che può flottarenel tempo e raccontare, come se so-gnasse, dell’esistenza e della condizio-

Tratto da

L’Unità4 giugno 1981

NORA ORIOLINora Orioli, infine, è un’artista colta,erudita, letterata, dalla raffinata sa-pienza pittorica. Le sue opere, olii sutavola e tempere su carta, ci ricondu-cono indietro nel tempo, in un mondomitologico sospeso tra luci bruno –dorate e appartenente ad un antico so-gno, sognato forse in precedenti rein-carnazioni. L’inebriante pulviscolo lu-minoso, come un rosolio offerto inun’ampolla di cristallo, attutisce il cla-more della vita e lo riconsegna, attuti-to, a ricordo; la luce sembra veniredall’interno, da lontano, e assorbe,con antichi e magici sortilegi, ognisuono e colore esterno. Si prova lostesso effetto riposante che ci procurala musica di un flauto o di un oboe: isensi sono catturati dalla nostalgia delmito di una forza vitale spentasi persempre. Il gusto per l’arte “bella” eper il “museo” spinge Nora all’allego-ria, non alla favola; alla commozione,raggelata, per l’epopea, non alla sinte-si folgorante del verso.

Marcello Valentini

ne umana così solitaria e così struggen-te nel suo desiderio di amore e di libe-razione. Il nostro è un tempo molto du-ro, violento, spietato: ma talora dallacostrizione più orrida vengono fuori isogni più straordinari e puri. Di pittu-ra figurativa oggi ce n’è tanta. Un’allu-vione. Nora Orioli dipinge figure chevengono da lontano e dal profondo manon può essere etichettata nel manieri-smo figurativo.

Dario Micacchi

Tratto da

L’Umanità29 maggio 1981

Nora Orioli lavora da so-la. Con questo si inten-de che essa non appar-tiene a nessuna scuola,a nessun gruppo o mo-

vimento che, fra i tanti, si sia esplicita-to negli ultimi cinquant’anni. (Sebbene,naturalmente, si possano trovare riferi-menti ad altri nella sua pittura: da BenShan per certi personaggi, mondi e in-quadrature, a Toulouse Laurec per cer-ti tagli netti del disegno, a qualche no-vecentista del più sobrio gusto liberty,laddove la sagomatura quasi decorati-va dei personaggi si avvicina di più al-la stilizzazione).Ma si intende anche altro. Quando unartista non partecipi di modi o formesviluppate attraverso uno scambio atti-vo e continuo fra componenti di grup-po, la sua ricerca si fa anche più diffici-le di sempre, più personale, pericolosa,in una parola solitaria. Gli errori sonodi più lunga durata, le conquiste ina-lienabili.Nora Orioli ha dunque dovuto trovareda sola il suo linguaggio o, che fa lostesso, il suo giusto rapporto con larealtà da rappresentare.Schiva, sensibile, diffidente, paziente,comincia con un’ironia un po’ pateticae, a volte, macchiettistica. Ed ecco le or-fanelle nel parco, le prime coppiette,un battello infiorato di bandiere. Magià con quel suo gusto particolare delcontorno deciso di campiture unifor-mi, lavorate fino all’effetto di unosmalto. Perché occorre dir subito chel’artista lavora molto e piano.Questo lavoro, appunto, costituisceuno dei pregi dei suoi quadri, siano es-si vecchi o recenti. Mesi e mesi di un la-voro che insensibilmente, come la stes-sa materia, finisce per avere un suo pe-so specifico, risolvendosi nell’esattez-za, nella tecnica raffinata, nella formaconclusa e quasi rispondente a un’esi-genza astratta di equilibri, nei coloriscelti con una sensibilità tonale di re-miniscenza veneta, anche se, a volte,bianchi e neri (che non sono mai bian-chi e neri puri) si trovano in contrasto.Ogni quadro risulta perciò da una len-tissima, accurata elaborazione e da unalunga serie di tentativi.

IVREA Centro Culturale Olivetti Roma 10 Aprile 1958

Ma a poco a poco l’ironia della Orioli sicomplica: quel mondo apparentementeinnocente e festoso di marinai, di serve,di modiste, suonatori e carabinieri, purconservando la sua compostezza, divie-ne più forte; il personaggio si isola, si in-grandisce, quasi senza sfondo, a volteaddirittura tagliato dalla cornice.E qui di vorrebbe fare anche un altro di-scorso: è, quella di Nora Orioli, una pit-tura realistica, nel senso moderno dellaparola? Diremmo di no. Perché il perso-naggio così inquadrato è sì il pescatore oil domatore (con, ormai, una nuova tri-stezza nel volto) ma anche, per la suafunzione rigorosamente formale e pernon so che leggero sfociamento dei trat-ti, che alterazione delle proporzioni rea-li, un emblema. Quasi che il dramma,continuamente attenuato da un’illusio-ne di gentilezza, si fissi nei termini di unsentimento nostalgico, sognante, imper-sonale.L’ironia dunque si fa diffusa tristezza.Così, anche nei più disperati, come gliubriachi, o nei frenetici, come il suonato-re di trombetta, la malinconia vela e trat-tiene le figure in una certa rarefazione.Che spesso, poi, diventa poesia.Finalmente, dalla discesa di Nora Oriolida Venezia a Roma, ci provengono tem-pere: dove la sua vena si arricchisce diun appena appena accennato barocchi-smo, (la signora mondana ci fa venire inmente il vago sghimbescio di Scipione, ilsuo graficismo fantastico e prezioso), odi un contrasto fra sfondo e primo pia-no, sempre levigato quest’ultimo, maquello più mosso nella pennellata, piùaccidentato e riempito, quasi che con fi-nestre o macchine si affacci alle spalledel personaggio un sospetto di disordi-ne, di movimento, di turbamento in-somma della sua emblematicità.Con garbo, col gusto del racconto maidel tutto eliminato, il mondo dell’artista,o meglio il suo rapporto col mondo, sidrammatizza. Qualcosa si insinua oradietro i pacati, tristi, rotondi volti degliuomini e delle donne: case, spazi confu-si, piccoli e lontani stridori, come suonidi un mondo farraginoso che penetrinoin una stanza malgrado le imposte acco-state. Ed è qualcosa che rende più tristela tristezza, più ironica l’ironia, più soli-

taria la solitudine. Ma ciò che si con-trappone all’unità del personaggio, al-la sua elasticità, messa a punto senti-mentale, non è forse il mutamento? (In-terno o esterno che sia, rappresentatoin termini astratti e figurativi).Di qui, ci pare, i soggetti di Nora Orio-li perdono il carattere originario ditranquilla rinuncia, di fragile e formaleumorismo, o assenza, per aprire, sep-pure sommessamente e quasi senza sa-perlo, un dialogo con l’imprevedibile.

Brianna Carafa

Cara Nora,mi consenta di farle due confessioni, una diseguito all’altra; e in effetti una dentro l’al-tra. Prima confessione: la sua pittura nonla direi precisamente fatta per me; seconda:le sue pitture continuano tuttavia a farmila migliore, per intensità e durata, dellecompagnie, e il torto è certamente mio; dinon sapere appieno condividere il suo pro-fessato gusto dell’antigrazioso, ma altret-tanto, certamente, tutto suo è il merito diavermene fatto tanto rapidamente partecipecon la sua pittura: scoperta di una graziatanto più segreta e toccante – espressa dal-le “dramatis personae” del suo mondo pit-torico, prigioniere della più fonda malinco-nia – che veramente io non mi spiego inquale misteriosa regione dell’anima, unagiovane bennata come lei se le sia andate apescare con l’amo della sua commiseranteironica indulgenza: dico il mondo di queicantastorie, venditori ambulanti, pescatori,camerieri di caffè, ciclisti, soldati con la fi-danzata, creature tutte osservate con unapenetrazione insieme accanita ed affettuo-sa, quasi esponenti di una sua bonaria no-vellistica.Particolarmente osservabile io trovo, nellafattura delle sue opere, il misurato impegnocol quale di volta in volta lei sceglie e inve-ste e sequestra e costringe i suoi tipi in queltanto di spazio e non più che abbisogni alrespiro di ciascuno, intrattenendoci al casosuo con l’insistenza d’uno sguardo che nonci perdoni di distrarcene; e la compatta co-lorazione, non ignara di raffinata prezio-sità, che strettamente concorre all’unitàdella rappresentazione.

Antonio Baldini

Tratto da

Il Tempo30 Dicembre 1976

sembra effettivamente, la fedele trascrit-trice di un “altro mondo”, con nuove di-mensioni e possibilità. Una pittura, indefinitiva, che segue un pensieroprofondo senza per questo perdere nul-la in freschezza e genuinità. Questa pit-trice è, pertanto, positivamente inseritain un’esposizione che, a nostro avviso, sipropone di suscitare pensieri e senti-menti fuori dalle astrazioni “costruite”solo per giustificare vuoti di certa nostrapittura contemporanea.

Toni Bonavita

NORA ORIOLI(alla Galleria “Don Chisciotte”)Una pittura di rara compiutezza e pre-ziosità è quella di Nora Orioli, unapittrice di gusto e di solida formazio-ne che ha esposto alla Galleria “DonChisciotte”. Sarebbe stato facile cade-re nell’illustrazione o nella decorazio-ne affiancando, così come ha fatto laOrioli, brani di cronaca ad una straor-dinaria cura materiaca: ma la serietàdel metodo e la qualità direi “storica”della composizione hanno allontanatoil rischio. I disegni, anche se eleganti evivaci forse hanno risentito di una le-zione (Ben Shahn, Grosz) accettatatroppo passivamente, ma gli olii sonooriginali ed autentici, capaci di ricor-dare positivamente certa pittura olan-dese e fiamminga senza per questo ri-calcare una eguale intenzione psicolo-gica.

P. S. B.

Tratto da

Notiziario d”ArteLuglio Agosto 1965

Lettera di Mario Lattes a Nora OrioliNora carissima, grazie, intanto, ancora, della tua telefonata di iersera e delle preoccupazioni chehai per me. Ma la faccenda dei miei silenzi sta così, a parte ogni tanto una lettera scompare –credo – il fatto di pensarti così spesso (una sorta di pensiero diario, metti) sta per me in luogodi lettere che perciò penso di avere scritto. Sono al settimo cielo nel sentire di una tua prossimamostra. (Unica nube è che il “mercato” – almeno qui – è debolissimo o addirittura inesistente,e non vorrei che un troppo modesto risultato pratico – ma facciamo gli scongiuri! – ti debba poiabbattere etc. ). La notizia che mi hai dato rimane esaltante: seguo che sei sempre padrona del-la tua straordinaria vitalità e certezza della vita e della pittura. Non ti faccio auguri (riguarde-rebbero soltanto la parte pratica dell’impresa) perché il miglior adempimento di ogni auguriosta già nella tua decisione! A proposito di mostre: io non so se tu ami l’incisore Galino. Ha fat-to una mostra qui – una quarantina di incisioni che lo indicano un artista compiuto, poetico,provetto, serissimo. Non ne ha venduta una. Per protesta contro il pubblico (pubblico di gen-taglia che ha scialato e sperperato nel modo più cialtronesco sui più cialtroni dei finti “artisti”)ne ho dunque – ieri – comperata una io. Non mi bastava il cuore di veder chiudersi quella mo-stra senza un cenno di assenso. Fatto è che “il pubblico” non capisce nulla se non quella checrede essere la propria immagine (diffusa parola fra tante di recente stampo, altrettanto idiotee pretenziose) e per la quale ha profuso denari, orecchie, giaculatorie pseudo–critiche sui piùmascalzoneschi accroccatori di gadgets quando l’aria tirava ricca e altrettanto innamorato, og-gi, dell’altro verso della medaglia: la crisi. Sempre più il nostro appare un laido paese, intento a quello che gli appare di politica, lavoro equant’altro e che è invece soltanto una farsa, un vaudeville, stampato su “Beautiful” e “FalconCrest”. Ebbene, tornando al discorso di prima: io ho sempre, in questi mesi, parlato con te di tutto que-sto e, dall’altro giorno, di quel povero acquisto fatto di una incisione di Galina. Se da tutto que-sto siano nate delle lettere non so, e ti prego di credermi. Forse non è per niente chiaro quello che ti ho scritto ma, se rileggi, qualcosa te ne verrà fuori adirti che – lettere o non lettere – tu sei la mia corrispondente di ogni giorno, di ogni sdegno, diogni (amara) risata nella faccia dei nostri “politici” (da teatro delle marionette) e dei nostri ar-tisti furbi e patetici burattini dalla cui schiera – ora lo capisci, no – ho dovuto chiamarmi fuori,per chiarezza e decenza (non che qualcuno ci badi, lo so).(Non che l’editoria - zona pratica - offra spettacoli più consolanti, ma che debbo fare: espatria-re? Mi piacerebbe, non credere. Di preferenza verso un paese di cui non conosca la lingua.) Per-donami (l’esterno) silenzio e abbiti il mio abbraccio più affettuoso. Ricordami a tua sorella che– se ho ben capito – esporrà con te.

Tuo Mario

Tratto da

Comunicato Stampa della Mostra Ex chiesa degli Almadiani Viterbo

...”oggi si ritorna, dopo che molti artistidel ‘900 avevano rigettato la “ma-nualtà” per abbracciare l’arte concet-tuale, comportamentale, video-arteecc., a comprendere che l’arte vive delsuo indissolubile rapporto fra mente emano, fra lavoro ed intelletto ed in que-sto senso la vera discriminante non èfra artisti astratti e artisti figurativi, matra coloro che sanno usare la mente e lamano, qualsiasi tipo d’arte facciano, ecoloro che non sanno farla”.

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N. 1 Settembre/Ottobre 2003 5

Vi sono alcune forme d’ar-te che bisogna accettareper il loro significato, perciò che ci raccontano diun persona umana, per la

conoscenza che ci permettono di farecon una individualità, e meglio, conun animo.V’è dunque una pittura quasi “da leg-gere” , caratteristica del tempo nostro,come v’è una pittura in regola con tut-te le tecniche ma con un’ispirazionepersonale, e che, audacissima, è lanuova accademia degli irregolari.Questo discorso vale per tutte le arti, acominciare dalla letteratura.Si potrebbe aggiungere che nel mondod’oggi, il mercato della pittura in ognipaese, e con tanti mercati quante sonole città capaci di una loro civiltà più o

meno domestica e intellettuale, quelmercato obbedisce all’esigenza che haciascuno di vedersi circondato delletestimonianze e apparenze di vita e disentimenti e degli ideali di civiltà; eche perciò come a volte un libro è va-lido anche soltanto per qualche branoo un suo particolare accento, un qua-dro diventa nostro amico e compagnoper un suo sentimento e addiritturaper un suo colore. Meglio ancora, quando rivela una per-sonalità che diventa amica come inquesti quadri Nora Orioli una giovaneche vive a Venezia. Chi scrive questerighe non la conosce. Ma ha finito percercare di capirla come di una personadi cui vi sia da imparare qualche cosa,e per esempio un’intimità e un racco-glimento così rari ai nostri tempi, e

Galleria Gian Ferrari Milanomeglio ancora cercare di decifrare ilsegreto delle reazioni di fronte agliesperti della vita, un dono che è l’in-canto delle prime reazioni d’ un arti-sta, il segreto fuggitivo che si ricer-cherà poi sempre senza rendersi maiconto di chi sia fatto, con le sue illu-sioni e insieme con la sua chiaroveg-genza.Che cosa significa come dato umano,segno di un carattere e di una espe-rienza, quella visione di uomo e don-na in un’atmosfera fluida ed evane-scente?Nora Orioli vi guarda come dauna grande lontananza, da una solitu-dine in cui non si concede neppuretroppe curiosità. Tra i più eloquentisegni della pittura contemporanea,v’è proprio quello che essa rifiuta: lasembianza umana e la coppia umana

– v’è qualcosa di straziante in questacoppia messa insieme da una sortepiù complessa di ogni naturale vicen-da; e non volerla rappresentare contutte le possibili deformazioni di unepoca convulsa. Nora Orioli sentequesto a modo suo, e i suoi passanti simuovono in un’atmosfera che non èsoltanto quella della Venezia in cui vi-ve – altro carattere della pittura di og-gi, come della letteratura, è di trasfor-mare i fatti locali che un tempo confi-navano con il dialetto e il colore, infatti universali; la particolarità localenon è che un accento nel complessouniversale cui tende il mondo d’oggi,il segno di una civiltà fra tante tuttepreziose nell’aspirazione più autenti-ca d’oggi, un patriottismo che abbrac-cia tutte le patrie della terra, le spe-

Nora Orioli GuidoGiuffré: impalpabil i atmosfereN

ora Orioli e Guido Griuf-frè, allo Studio s in viadella Penna 59, hanno incomune l’eccezionalequalità del “mestiere” –

nel senso più nobile del termine - concui esprimono la visione poetica delmondo che li anima ed un’impalpabileatmosfera che circonda di luci nebulosele realtà dei loro sogni. Sono due artisti“nuovi”, anche se già noti al pubblico edalla critica, che si ricollegano, rispettiva-mente, al mondo classico della pittura edel disegno. Nora Orioli si ripresenta aRoma, dopo sette anni, con qualche tem-pera ed una serie di olii su tavola domi-nati da velature e trasparenze che sem-brano proteggere il mondo intimo del-l’artista dalle aggressioni esterne: pocheriuscite opere di fronte alle quali si restapiù sbalorditi che ammirati, per la qua-lità pittorica e per la ricchezza di riferi-

menti culturali da cui sono pervase. Quale miglior presentatore al catalogoin questo caso di un poeta, Gerard Macè,che di fronte a questa artista estranea al-la facilità e all’eccesso, ha saputo trovareespressioni di critica poetica che entranonaturalmente a far parte delle visionidella Orioli? “Il mondo dipinto da Nora Orioli – scri-ve il Macè – lo diresti colpito quasi dal-l’amnesia, e questa folgore obliata illu-mina tutto l’insieme, è una luce chegiunge sempre dal fondo della tela, co-me un ricordo ancora palpitante dietroun paesaggio di ruderi, a rischiarare unaarcheologia molto personale”.Guido Giuffrè, saggista e critico d’arte,alla sua seconda esposizione romana (alla prima è stato presentato da LorenzoVespignani), ha come madrina allo Stu-dio S. Lorenza Trucchi che mette in rilie-vo della sua opera grafica – dise-gni e in-

L’arte deve trattare dellarealtà nel senso comunedella parola, cioè di co-se che sono reali? Se-condo John Cage per fa-

re dell’arte si deve soltanto afferrare larealtà.Siccome questa realtà non è afferrabi-le completamente se ne estraggonodei frammenti accostandoli quindi inun collage. Il risultato è necessaria-mente arbitrario. L’arbitrarietà è d’al-tro canto addirittura programmaticaper il pensiero postmoderno. Una co-sa del tutto diversa è l’atteggiamentoconscio della tradizione che vienescelto anch’esso ma si trova in unaconnessione interiore con i prototipiprescelti. Il tradizionalismo nel casoestremo può diventare reazionario,dove non rimuove il proprio rapportocon ciò che è contemporaneo, puòperò crescere organicamente dal tra-mandato. E dove esiste sostanza arti-stica una posizione del genere puòprodurre creatività autonoma e persi-no qualcosa di veramente nuovo.L’artista che presentiamo qui la consi-dero legata alla tradizione in questosenso, legata proprio nei suoi trattipiù salienti alla tradizione culturaledella sua patria, l’Italia. Nora Orioli, ènata in Istria, nell’antica Pola, cresciu-ta però a Venezia, dove riceve gli im-pulsi determinanti per il suo sviluppoartistico.In cima alla fila dei suoi avi spiritualitroviamo Giovanni Bellini che ha in-fluenzato anche Albrecht Durer, Mi-

chelangelo, Caravaggio, l’inventore diun realismo dal drammatico chiaro-scuro appartiene al gruppo di maestriammirati da lei assieme agli impres-sionisti francesi e agli espressionistitedeschi, prima di tutti Georg Grosz,specialmente per la grafica. Come di-segnatore pur l’americano Ben Shanmolto noto durante gli anni cinquan-ta. Ma non potrete scoprire un’in-fluenza diretta di questi artisti in nes-suna delle opere presentate. Infatti,Nora Orioli ha trovato un linguaggiodel tutto autoctono. In che cosa consi-ste la contemporaneità chiederete giu-stamente. Io lo vedo nel carattereframmentario. Viviamo in un’epoca,in cui è andata perduta una visioneomogenea del mondo. Quello che unavolta, all’incirca fino all’inizio del 19°secolo presentava una relativa unifor-mità, un accordo su determinati valo-ri fondamentali, è oggi frantumato ininnumerevoli sfaccettature. Così av-viene che anche nell’arte un’immagi-ne omogenea ed intatta dell’uomonon può più venire realizzata in modocredibile. La borghesia del 19° secoloha cercato ancora una volta di produr-re nell’arte un’immagine omogeneadell’uomo, in un esaltazione eroica,come Wagner lo presentava nel teatromusicale. Nietzsche nella filosofia,Rodin nella scultura. All’inizio del 20°secolo questo sforzo artificiale non erapiù sostenibile e l’immagine del mon-do e dell’uomo si frantuma in milleframmenti, un fatto che trovava un’e-spressione visiva nel cubismo.

Le composizioni di Nora Orioli, spe-cialmente i disegni e gli acquerelli, ap-paiono a prima vista come formazioniastratte o come resti di affreschi. Nelleopere più elaborate, nelle tempre e ne-gli oli, compaiono sempre ripetuta-mente parti che non sono facilmentedecifrabili per quanto riguarda il lorocontenuto, ma che sono sfocate e han-no una loro funzione soltanto nel con-testo artistico- pittorico. Questa ten-denza viene accentuata ancora dallo“sfumato” che fa sparire il tratto e de-termina l’atmosfera singolarmentedensa dei suoi dipinti. Questo è l’ere-dità veneziana. Non per nulla i mae-stri dello sfumato sono da lei ritenuticome sommi : Tiziano, Giorgione,Leonardo. Tecnicamente queste operenascono tramite un procedimento in-finitamente faticoso e lento, che oggipraticamente nessuno è più in gradodi eseguire, durante il quale per gli oliuno strato di vernice traslucida vienesovrapposto all’altro, così, come per letempere tratteggio viene collocato so-pra tratteggio, alla maniera degli anti-chi maestri.E allo stesso modo nasce la concezio-ne intellettuale del quadro : in un av-vicinamento graduale e cauto al sog-getto. La maturazione richiede spessodegli anni, è come un cercare a tento-ni. Se il paragone paradossale è per-messo: l’artista vede come un cieco,afferra la propria visione mediantel’occhio interiore! L’osservazione delmondo esterno le serve per raccoglie-re materia percettibile. Durante la fase

ranze dell’umanità di domani.Troppo gravi discorsi per una giovanepittrice. Ma quel pescivendolo vene-ziano, che si capisce veneziano dal ta-glio e all’atteggiamento del viso, su-perstite di una vecchia commedia incostume, ma con i suoi occhi che han-no veduto troppo e sanno; quella filadi orfanelle; quella ragazza della mo-dista. Il venditore di caramellato ve-duto in una dimensione più grandedel verosimile è ancora quello scono-sciuto, un mostruoso che rappresentail donatore di illusioni di tutte le età, eforse l’uomo per la donna; o almeno ladonna che sente la grandezza, il mi-stero,la paura e il fascino della vita co-me Nora Orioli.

Corrado Alvaro

Me ne ricordo; all’incir-ca venti anni fa NoraOrioli mi aveva mo-strato alcuni quadrifigurativi, dipinti con

molta cura ed i cui personaggi – ciclisti,saltimbanchi, gente della strada - crea-vano una specie di ponte tra il mondodel Doganiere Rousseau e quello diVittorio De Sica. Mi venne allora l’ideache se avessi fatto conoscere NoraOrioli al mio amico Leo Longanesi,questi, del quale conoscevo i gusti,avrebbe senza dubbio scoperto in NoraOrioli il grande pittore italiano del suotempo e le avrebbe dato un ben merita-to successo, contro moda. Si. Ma noavevo pensato al fatto che il Longanesidel Borghese non aveva più nulla in co-mune con quello dell’Italiano, e chenon sarebbe stato capace di riconoscerein Nora Orioli quel che il primo avreb-be immediatamente visto con sicuroentusiasmo. La Orioli ha seguito d’al-tra parte la sua strada, senza bisogno diessere guidata da Longanesi o da alcunaltro, con una lentezza minuziosa chenon è la meno importante delle suequalità pittoriche ed alla quale ci sem-bra ella deve questa specie di forza si-lenziosa che è anche forza di persua-sione, come preghiera di un bambinomuto.Oggi ho davanti a me le opere più re-centi di Nora Orioli, pitture e tempere.Il cambiamento principale è avvenutonel senso di un approfondimento, equando uso questo termine lo intendotanto sul piano spirituale che su quellopittorico. La divertente innocenza dellescene e dei personaggi di Rousseau,l’atmosfera sorridente di quella che si èvoluta denominare pittura “naive”, unvento temporalesco le ha cacciate fuoridalle cornici che racchiudono i nuovi

A proposito di Noraquadri di Nora Orioli, e scopro in essiun clima drammatico che mi commuo-ve, mostrandomi che il pittore è uscitodall’infanzia felice e ha raggiunto l’etàin cui l’arte è espressione metafisica.L’apprensione della vita e quella dellamorte sono qui riunite inestricabilmen-te, quanto lo sono una pazienza im-mensa ed una crudeltà che ha il tagliodi una lama di coltello e l’ardore di unafiamma. Inoltre, in questo universo cheè allo stesso tempo il prenatale e d’oltretomba, tutto è stranamente sospeso.Un altro mondo, come diceva il grandeKubin; un mondo dove il fantastico èaltrettanto naturale quanto il levarsidel giorno ed il cadere della notte.Come sono dipinti questi quadri singo-lari, non saprei dirlo con l’esattezza chevorrei, ma immagino che la Orioli amisovrapporre, le une sulle altre, pennel-late minute come fanno i cinesi che la-vorano la lacca. E’ questa, in ogni caso,l’impressione che l’occhio riceve dallamateria quasi diafana nella quale pren-dono forma i personaggi. Una simileapparizione nell’ambito della materia,una simile creazione della figura dauna materia materna come la notte, leavevo trovate soltanto nell’opera di ar-tisti molto rari, lo scultore MedardoRosso, il disegnatore ed incisore HansBellmer. Per quanto questi due sianolontani da Nora Orioli, vorrei che siprendesse in considerazione la paren-tela che qui propongo, perché, per quelche mi riguarda, questa parentela miha aiutato a meglio comprendere l’artedi Nora Orioli, che avevo ammirato fi-nora con una conoscenza troppo su-perficiale della sua opera. Ammirarenon basta; bisogna tentare di compren-dere per arrivare ad amare.

André Pieyre de Mandriargues

della preparazione interiore – durantela quale talvolta non è necessario pro-durre nemmeno una linea – il conte-nuto si addensa gradualmente, co-mincia l’appropriazione, ispirata dalvissuto, dal sogno, dalla letteratureoppure da altre cose che la toccano. Esuccessivamente viene il lavoro, ilraggiungimento infinitamente lungo efaticoso della forma. Un processo chenon di rado necessita di anni, sempreperò dei mesi. Con inaudita insistenzapersegue il condensarsi della forma,finchè non c’è da cambiare neppurepiù un puntino. Questa maniera di la-vorare non richiede soltanto una di-sciplina enorme, ma anche un impie-toso senso di autocritica. Il risultatoappare come la cosa semplice realiz-zabile con difficoltà.L’intensità del processo operativo haperò anche bisogno di un’intensitàdell’osservazione. Uno dei più grandimaestri della dinastia Tang ha dipinto,si dice, un paesaggio davanti agli oc-chi dell’imperatore. Quando l’avevafinito, è entrato nel suo quadro, proce-

deva camminando sparendovi dentro.La leggenda ripropone una concezio-ne della pittura del paesaggio dell’an-tica Cina: un quadro dovrebbe quindiessere dipinto così che si potrebbecamminarvi dentro. Di questo generesono i quadri di Nora Orioli. Quelloche dà l’impressione di essere un or-namento astratto, si apre a colui che sifa coinvolgere, lui può entrare e anda-re a spasso al suo interno, facendoscoperte sempre nuove. E un’arte che cresce in un mondo ap-partato e nel silenzio, uno sviluppo in-sistente e lenti di un proprio mondopoetico. Nasce da cambiamenti picco-lissimi di forme tradizionali eseguitipasso dopo passo, proprio come in unprocesso chimico dove basta sostituireuna molecola per creare un altro com-posto.Dalla densità e dalla sostanza di que-ste opere si riconosce che per la lorocreatrice vita e arte sono inseparabili.

Bernd Rosenheim(Traduzione Lia Drexler- Culotta)

cisioni – il “gusto dell’immagine che hariacquistato una evidenza ed un nitorequasi ottocenteschi”, in una corrispon-denza profonda con la natura, corri-spondenza maturata e arricchita dallameditazione e nella lontananza. Il natu-ralismo di Giuffrè non è ripresa dal veroma realtà ricreata dalla memoria e dalsentimento. I suoi disegni a matita sonoil risultato di un lavoro paziente e tena-ce vivificato da un’emozione interiore,opere “ripensate” che offrono della na-tura una visione spirituale. Non si puòoggi, di fronte alle tavole della Orioli edai fogli di Giuffrè, non essere affascinatidalla nobiltà di una tradizione d’arte cheè frutto di ispirazione e di lavoro, l’unaquale espressione sincera di vita interio-re e l’altro quale tramite di questaespressione. Orioli e Giuffrè due artisti.

C. B.

Su Nora “Quel che è chiaro e conciso non puòtrattare della realtà perché la realtà ècircondata dal mistero” – James Joyce

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6 N. 1 Settembre/Ottobre 2003

Nora Orioli Olii e tempere 1980 -1995U

na frustata alla mia pi-grizia di vecchio, spino-sa Nora, è venuta dallanotizia della tua mostra.Ed era pure tempo.

Sono già alcuni anni che un conoscitordi pittura, si sa non facile né morbidonei suoi giudizi come AntonelloTrombadori, deplorava la noncuranzadei critici di casa nostra nei riguardidelle cose tue, così stimate, invece fuo-ri d’Italia.

Una pittura per niente facile, eviden-temente, per quella misteriosa armo-nia dei contrari che vi si scorge. Cioèuna perizia artigianale indiscussa dipennello, minuta, straordinariamenteprecisa, puntuale appunto, che riescea dare al cromatismo dei tuoi quadriun incanto tonale (non per nulla ti seipure formata a Venezia); mentre allefigure e ai paesaggi dà un’imprecisio-ne di sogno di eccezionale suggestio-ne poetica: musica, cara Nora, come

una melodia che trovi i suoi armoniciin accordi tonali d’organo; un’atmo-sfera che si attua e si dissolve attra-verso ogni singola accuratissima nota.Mi ha fatto bene al morale – scusa lafrase- riconoscervi anche in astrattoelementi di poetico classicismo (daipaesaggi alle figure, dal Mosè del “ro-veto ardente” all’Erminia e Tancredi,dai cavalieri ai centauri) che si fannosimboli, sogni concettuali. Più ditrent’anni fa te li riconosceva- drama-

tis personae- l’accorto Antonio Baldi-ni, con coraggio inusitato ai suoi tem-pi. E la pittura ha sempre affinato que-st’astrazione d’ombre di platonica ca-verna.Grazie dunque, cara vecchia amica, diaverci riportato la tua animosa fidu-cia nei miti immortali di giovinezza.E mi auguro che anche chi è più gio-vane di noi nelle tue cose possa rico-noscerli.Tra un bicchiere di vino vecchio e due

caffè mezza nottata è già andata via.E, non potendo, nel silenzio dormien-te di un giardinetto-cortile urbano,scrivere rumorosamente a macchina,mi è toccata l’ulteriore fatica di rico-piar queste note: un bel sogno di sti-ma. E comunque, ti vadano oppureno (tagliale e cucile come ti pare), tisaluto con il consueto affetto ed anchemaggiore considerazione.

Michele Pardo

Mischa Faust è nato ad Antibes, in Francia nel1958. La sua formazione culturale si è, però, tuttasviluppata in Germania essendo nato da genitoritedeschi anche se gran peso nella sua preparazioneartistica hanno avuto l’Italia e la Francia. Da alcunianni concentra la sua intensa attività artistica suldisegno. Ha esposto nel 1985 presso la Galleria Ya-nika e nel 2000 presso la Galleria Palladio. Attual-mente vive e lavora a Cluny, in Borgogna.

OPERE ESPOSTE1. Riccio crocefisso in cima di Babilonia, 2003, pit-

tura ad olio, cm 107x1032. Metamorfosi di San Pietro, 2003, pittura ad

olio, cm 120x803. Trinità marittima, 2002, pittura ad olio, cm

120x80

Mischa FaustL e opere del pittore francese, plastica divagazione onirica,catturano per raffinate citazioni da Savinio, di cui recuperacerta ironica visionarietà o da Dalì, nella evidente struttura“a palcoscenico” delle sue costruzioni. Nelle tele di Mischa,protagonista è l'inconscio, traslitterato in immagini che, purmovendo dal tradizionale approccio naturalistico, si ridefi-niscono in oggetti apparentemente inconciliabili tra loro.Oggetti/monadi che in quanto tali indirizzano nella ricercadi un codice, individuabile nel sogno ovvero una parte es-senziale dell’esistenza dell’uomo, in cui poter soddisfarepienamente ciò che accade.Il surrealismo di Faust può essere letto come “mezzo di li-berazione totale dello spirito e di tutto ciò che gli rassomi-glia”, come ha sottolineato Nadeau. Anche se il suo “auto-matismo” non è procedimento assoluto per sottrarre al do-minio delle facoltà coscienti l’elaborazione dell’opera, comein Mirò; ma esso riecheggia Magritte, cui attinge nella ca-pacità di costruire una vera e propria scienza della visione.

Consuelo Lollobrigida

Giacomo Mauro Giuffra è nato a Chiavari nel 1948. Ha studiato al SeminarioMinore di Genova e all’Istituto d’Arte di Chiavari. Ha frequentato l’Accade-mia Ligustica di Belle Arti di Genova. Dal 1973 vive e lavora a Roma.

OPERE ESPOSTE1. Il deserto dei Tartari, 1981, tecnica mista, cm 91x76 (collezione privata)2. Promenade, 1978, tecnica mista, cm 73x100 (collezione privata)3. Il messaggero, 1978, tecnica mista, cm 82x62 (collezione privata)4. Paesaggio, 1987, tecnica mista, cm 51x36 (collezione Orioli)5. Cantico di Daniele, 1975, tecnica mista, cm 38x28 (collezione Orioli)

Giacomo Mauro Giuffra

Elio Rizzo è nato a Paola nel 1942, vive e lavora a Roma.Di origine siciliana ma romano di adozione dal 1960, ha stu-diato presso l’Istituto d’Arte di Roma sotto la guida di Leon-cillo e all’Accademia di Belle Arti di Roma con Fazzini. Dopoaver sperimentato varie tecniche della ceramica e della pittu-ra, dal 1984 si dedica all’antica tecnica della tempera all’uovosu tavola. Acquarellista, si dedica anche a disegni con puntadi metallo, argento e oro.

OPERE ESPOSTE1. Primavera, 2000, tempera all’uovo su tavola, cm 99,5x782. Perduti ad Alberoburgo, 2000, tempera all’uovo su tavola,

cm 95x823. Tempesta di mare, 1999, tempera all’uovo su tavolao, cm

90x844. Alba finlandese, 2000, tempera all’uovo su tavola, cm

110x85

Elio Rizzo

Mario Verolini è nata a S.Benedetto del Tron-to nel 1946. Ha studiato presso la facoltà diArchitettura di Roma.Vive e lavora a Roma.

OPERE ESPOSTE1. Ma dove incontreremo di nuovo il Risor-

to?, 1989, olio su tela, cm 130x1702. Adamo, 1993, tecnica mista su carta, cm

31x573. “…non sum dignus…”, 1986, olio su tela,

cm 105x1504. Magnificat, 1989, olio su tela, cm 105x150

Mario Verolini

Una prima impressione dei disegni di Mau-ro Giuffra è che egli abbia realizzato appie-no quell’aeropittura a cui aspiravano i futu-risti: non son forse queste le immagini dellaterra vista da una distanza di migliaia di me-tri? A questa impressione macrocosmica sialterna l’opposta: non stiamo osservando almicroscopio la vita infinitesima d’un tessutovitale, d’un microcosmo? Si è mai l’arte ade-guata con tale aderenza ai processi della na-tura? Se dinanzi a molti quadri astratti vienfatto di osservare che, sì, c’è un ritmo, unaparvenza di vita organica, ma guardate laperfezione dei cristalli, dei mirabili schemiche si rivelano nei fiocchi di neve, nellastruttura dei minerali e delle madrepore!Qui tale paragone non può addursi a umi-liazione del pittore: la sua mano ha gareg-giato con la forza creatrice della natura, enon ne è rimasta sconfitta.

Mario Praz

Elio Rizzo è un uomo strano. Difficile dire perché un uomo stra-no sembra strano. Elio Rizzo è candido, generoso e buono - ba-sterebbe questo a renderlo strano. Se l’uomo strano è pittore - co-me Rizzo è - si guardano le sue pitture per trovare la spiegazio-ne della sua stranezza. Ma l’arte è strana per se stessa.Forse è quella testa da imperatore romano, mentre gli occhi e idiscorsi (anche i più quotidiani e soliti) sono di un cristiano cosìvero che sorprende e commuove.Si guardano - dicevo - i suoi acquerelli e i suoi disegni. Traccefantastiche, vere come soltanto la fantasia può trovare. Magritocchi di colore per raffigurare castelli, cieli, tronchi d’albero:evanescenti fughe di matita perché trascorrano nuvole in viag-gio, fumi, nebbie. Ma con quale decisione immutabile incise, conquale esattezza!Rizzo è un rigoroso cultore di tecniche: dalla punta d’argento al-le devote preparazioni del cartoncino. E in queste ricerche si mo-stra il suo circospetto riguardo per l’arte, l’umiltà con cui l’arti-sta sembra chiedere il permesso di fare ciò che fa, di tentare laporta che per lui è il più alto dei varchi umani

Mario Lattes

Le forti luminosità, le nere masse dense, le velature che danno profon-dità all’immagine e che ne rendono ancora più rarefatta la percezionearticolano le superfici con decisi effetti spaziali, in una «dialettica trasuperficie e profondità», sono le parole di Verolini: «ecco delinearsi ilproblema della forma, l’affiorare di una geometria manifesta che re-gola gli equilibri dell’immagine».Una tensione visionaria anima questi paesaggi, un senso dei forti con-trasti della natura e al tempo stesso un riaffiorare di memorie, ancheletterarie, e di trasfigurazioni simili all’inquietudine del sogno.Il processo simbolico attraverso cui il pittore ricrea la natura sulla telaconsiste in una serie di corrispondenze, emotive e formali, in unaastratta, geometrica definizione dello spazio, in una altrettanto astrat-ta costruzione delle immagini e distribuzione cromatica. Alla fine èaria, luce, paesaggio.

Claudia Terenzi

Magnificat, un dipinto di singolare fattura, ai limiti dell’astrazione,dove sulla scia di Empedocle e di Platone, Verolini dimostra che la na-tura è geometria pura.

Carlo Melloni

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LA CRITICA LETTERARIA

N. 1 Settembre/Ottobre 2003 7

Quali sono stati i tempi e lecaratteristiche dell'indu-strializzazione italiana?Quali istituzioni ne hannodeterminato gli sviluppi?

Sono questi alcuni dei temi esaminatida Rolf Petri nella sua Storia economi-ca d'Italia. Lo studioso tedesco, analiz-zando il processo di industrializzazio-ne, lo colloca in un ben definito lassotemporale - tra il 1918 e il 1963, l'epilo-go della prima guerra mondiale e la fi-ne del cosiddetto "miracolo", e mettein rilievo il ruolo propulsivo che vi hasvolto la grande industria, la sola ingrado di introdurre le tecnologie inno-vative e redditizie grazie a un alto li-vello di accumulazione e all'efficienzadella sua organizzazione produttiva.

Al processo di industrializzazione hainoltre offerto un contributo di fonda-mentale importanza tecnocratica che,alla guida della banca centrale e del-l'impresa pubblica, stata sostenitricedi un "orientamento mercantilista".Vale a dire, di un indirizzo di politicaeconomica caratterizzato da stabilitàmonetaria, equilibrio dei conti con l'e-stero, riduzione del debito pubblico,bassi salari e consumi assai moderati:tutte condizioni che avrebbero resopossibile il rapido aumento del rispar-mio e la sua altrettanto rapida trasfor-mazione in investimenti. Sotto questoaspetto, Petri non individua cesurenella politica economica tra gli annitrenta e cinquanta, tanto da scrivere:"A rappresentare senza molto clamorela continuità sostanziale degli orienta-menti era deputata soprattutto la tec-nocrazia della banca centrale e dell'in-dustria di Stato. Capaci di esprimeresimpatie liberali, socialdemocratiche,fasciste, poi soprattutto cattoliche, isuoi esponenti avevano però sempremantenuto una propria autonomia,agendo più dietro le quinte che nonsul palcoscenico politico". Un'autono-mia volta a realizzare l'industrializza-zione dell'economia nazionale.

Egli rilegge dunque molti eventi allaluce degli sforzi finalizzati alla diffu-sione e crescita dell'industria: la "bat-taglia del grano", lanciata nel 1925, mi-rava per esempio a eliminare il fardel-lo delle importazioni alimentari chetanto pesava sulla bilancia dei paga-menti minando, insieme al valore del-la moneta, la formazione del rispar-mio da destinare agli investimenti, co-sì come i piani autarchici, elaborati trala fine del 1935 e l'autunno del 1937,intendevano migliorare i conti con l'e-stero, liberando in questo modo risor-se da impiegare nell'industria.

Il secondo dopoguerra vide intensifi-carsi lo sforzo finanziario dello Stato,che negli anni tra il 1959 e il '63 arrivòa coprire il 22,4% degli investimentifissi lordi, mentre nel periodo 1951- 60i vari sussidi contribuirono per il12,5% al valore aggiunto delle impre-se. Il grosso di tali investimenti e sus-sidi era però diretto alla grande indu-stria - in particolare al settore metal-lurgico, meccanico, chimico ed ener-getico -, che si connotava per processiproduttivi capital intensive. Gli effettioccupazionali degli investimenti sta-tali rimasero dunque modesti, mentrele piccole e medie imprese assorbironosolo una parte della manodopera pre-sente sul mercato. Di conseguenza,prima del 1962, i salari aumentaronoin media del 2% annuo, rispetto al 10-

11% fatto registrare dagli investimenti.Solo a partire dai primi anni sessanta iconsumi contribuiranno in manieraconsiderevole alla crescita, pur nonraggiungendo la vivacità degli investi-menti.

A proposito poi delle esportazioni, vamesso in evidenza come il "miracoloitaliano" non ne sia stato trainato. Pe-tri osserva comunque al riguardo chefurono proprio le branche agevolatedall'intervento dirigista dell'epoca au-tarchica e bellica a ottenere i maggiorisuccessi sia nella produzione che nellacapacità di esportare. E conclude so-stenendo "che fu solo in base alle ca-pacità tecniche e organizzative accu-mulate nei quindici, vent'anni prece-denti che i settori meccanico, metallur-gico, chimico ed energetico poteronotrarre pieno giovamento dall'aperturaeconomica a dalla creazione del mer-cato comunitario".

Riassumendo, la tecnocrazia che si eraformata all'IRI negli anni trenta attor-no a Beneduce, Giordani, Menichella,Sinigaglia, Saraceno, e che nel dopo-guerra trovò la piena collaborazionedi uomini politici come Pietro Campil-li ed Ezio Vanoni, portò a compimentoil processo di industrializzazione se-guendo una linea strategica nettamen-te distinta sia dalle politiche keynesia-ne - in quanto puntava al rafforza-mento dell'offerta privilegiando il ri-sparmio, l'accumulazione e l'avanza-mento tecnologico in un Paese poverodi materie prime -, sia da quelle liberi-ste - poiché sosteneva la necessità delprotezionismo e dell'intervento statalenel contesto produttivo. Si trattava, in-somma, di creare una base industrialepiù solida rafforzando i settori ritenu-ti deboli. In seguito, grazie ai progres-si tecnici ottenuti dai vari piani di in-vestimento, e ai minori costi energeticiderivanti dall'assetto internazionalescaturito dalla seconda guerra mon-diale, fu possibile allentare e rimuove-re progressivamente le protezioni, cherimasero salde solo per pochi compar-ti, come quello dell'industria automo-bilistica. Poi, a partire dal 1963, saran-no i considerevoli e crescenti deficitdella bilancia commerciale a metterein crisi il modello mercantilista.

Le tesi di Petri, già parzialmente espo-ste in un suo saggio del 1997, appaio-no interessanti e convincenti. Certo,nel corso degli anni settanta e ottantal'industria pubblica si sarebbe distintasoprattutto per clientelismo e ineffi-cienza, dal momento che fu chiamataa svolgere in primis una funzione an-ticongiunturale ben lontana dal mo-dello di Beneduce e Menichella, con-tribuendo in tal modo al dissesto deiconti dello Stato. L'Italia ha così rinun-ciato ad adottare una politica indu-striale: di conseguenza il Paese, untempo competitivo in settori quali lachimica fine, la farmaceutica e l'infor-matica, sembra oggi impegnato, con lesue piccole e medie imprese, a produr-re prevalentemente manufatti dal mo-desto contenuto tecnologico. Ci sichiede, però, per quanto ancora riu-scirà a reggere la concorrenza di na-zioni che sono spesso in grado di rag-giungere standard qualitativi accetta-bili e possono contare inoltre su forzalavoro giovane, abbondante e a bassocosto.

Enrico Paventi

LA RECENSIONE

Tale l’impressione prodottadai “Sette di Tebe” in ungreco coevo, il retore Gor-gia, che di sensibilità lette-raria ne aveva tanta ed ef-

fervescente: ripensò figure mitiche ce-lebri, proponendole ai suoi contempo-ranei sotto una nuova prospettiva e fuil creatore della prosa d’arte. Questatragedia egli la poteva apprezzare di-versamente da noi: quando fu creata,nel 467 a.C., concludeva una trilogialegata relativa alla vicenda di Laio e diEdipo ed era seguita da un drammasatiresco sulla Sfinge. La visione com-plessiva che lo spettatore antico trae-va dalla rappresentazione congiuntapermetteva di cogliere i fili sottesi allalunga e complessa vicenda e in parti-colare il motivo della colpa umanapropagatesi nel “genos”. E’ un privile-gio, che a noi moderni non è toccatoper questa tragedia: ne godiamo nellalettura della trilogia dell’“Orestea”.

Il giudizio di Gorgia è motivato dal-l’atmosfera cupa che domina la scena,con la preparazione allo scontro ar-mato e l’esito funesto del duello fra-tricida. La maledizione che incombesui figli di Edipo, Eteocle e Polinice,di doversi spartire il regno col ferro, siattua nel tentativo di recuperare il do-minio su Tebe, che lo scacciato Polini-ce tenta con l’aiuto degli Argivi con-tro il fratello usurpatore Eteocle. Ildramma si apre con le accorate paro-le rivolte da costui agli uomini di Te-

be perché difendano la loro patria e iluoghi sacri nello scontro imminente.La cittadella è difesa naturalmentedalla conformazione del suo sito e damura fortificate su cui si aprono setteporte. Sette eroi argivi le attaccheran-no, e sette tebani dovranno difender-le. La sorte ha scelto i primi, Eteocle isecondi: dunque l’azione dei perso-naggi riunisce in sé l’ethos, la sceltaumana, e la motivazione soprannatu-rale, la moira.

Contrapporsi al virile ardimento diEteocle e al suo iniziale atteggiamentopositivo si spiegano i canti lugubri eangosciati del coro di vergini tebane.Esse introducono il tema dell’invoca-zione alle divinità tutelari, rito che inmolti culti si apre con la vestizionedelle statue degli dei con pepli e coro-ne offerte dai fedeli. La scena è cosìdominata dai simulacri, posti sedutiin cerchio ai bordi dell’orchestra aconchiudere lo spazio urbano, evoca-ti in disposizione simmetrica con ungusto che accomuna Eschilo agli au-tori dei gruppi scultorei del Partendo-ne e del tempio di Zeus ad Olimpia.Le vergini tebane chiudono il primostasimo figurandosi il peggio, nel sus-seguirsi di immagini di schiavitù edeportazione. I personaggi che dannoil titolo al dramma vengono trattati inuna consistente sezione centrale sottol’artificio di un dialogo tra Eteocle eun messaggero che gli riferisce quan-to ha visto ai varchi e chi dei guerrie-

ri presso quale di essi. Si sgrananocon arcaica solennità sette coppie dia-logiche e campeggiano le descrizionidegli studi dei guerrieri argivi con gliemblemi che costituiscono i primi se-gni d’identità del loro corpo. Crescegradualmente il terrore con gli inter-venti del coro, e la presentazione delsettimo guerriero segna il culminedella tensione oltre che la trasforma-zione di Eteocle da saggio reggitoredella città in cosciente succube delproprio destino. Egli sceglie sé stessocome avversario di suo fratello; lascelta personale si conforma al fato.L’emblema più significativo, una per-sonificazione di Dike, la Giustizia, se-gna staticamente il culmine della ras-segna. Pur avvertito, Eteocle non re-cede; pur conscio della sua fine, man-tiene il suo amor fati e conclude: Nonè dato sfuggire ad una sciagura,quando un dio la manda?

L’ultima parte della tragedia, secondouno schema proposto da West, consi-ste nel completamento della vicendacol resoconto del conflitto fratricida econ le lamentazioni funebri. La scenafinale della partenza per la sepoltura,pur rientrando nello schema, è statadalla critica giudicata spuria, raccor-do libresco con l’episodio della sepol-tura di Polinice da parte di Antigone,che tanta fortuna ebbe con la tragediadi Sofocle.

Filippo Sallusto

TEATRO

Mi trovavo con degliamici in vacanza aCefalù e decidemmodi visitare Segesta.Avevo già visto molti

anni prima il tempio ed il suo ricordoera nitido nella mia mente. Mi era ap-parso all’improvviso ad una svoltadella strada sul tardo pomeriggio e lapietra, resa dorata dal sole al tramon-to, sembrava irradiare bagliori difiamma.Il luogo era straordinario, perché tuttoera rimasto intatto e la posizione ele-vata permetteva di spaziare con la vi-sta sul paesaggio circostante. La ram-pa di accesso poi aveva un che di mi-stico e le imponenti agavi che la deli-mitavano aumentavano questo sensodi sacralità.

Ero curiosa di vedere se il monumen-to dorico avrebbe suscitato in me lastessa impressione, ma rimasi delusa,perché un cartello all’ingresso avverti-va i visitatori che l’area archeologicachiudeva un’ora prima del tramonto epurtroppo erano passate da poco lediciannove. La mia delusione si tra-sformò ben presto in soddisfazionequando appresi che stava iniziando larappresentazione de “ I sette controTebe” di Eschilo. Lo scenario apparivastraordinario, in quanto il palco era al-lestito davanti alla splendida fuga dicolonne doriche. “ I sette contro Te-be”, interamente realizzata da mae-stranze ed attori siciliani, diretta daAurelio Pes e recitata, per nostra for-tuna, in italiano, rappresentava ladrammatica vicenda di Eteocle e Poli-

nice, fratelli rivali, e della loro sorellaAntigone che, in nome dell’amore fra-terno, trasgredì le regole dello stato ediede sepoltura a Polinice, condanna-to a rimanere insepolto e preda di ra-paci per avere tradito la patria.Nella seconda parte dello spettacolo,quando l’eroina Antigone si presentòsulla scena, la suggestione fu massi-ma, in quanto gli attori si stagliavanocome drammatiche statue contro lecolonne sapientemente illuminate.Alla fine un lungo applauso salutò lacompagnia teatrale e negli spettatoriforse subentrò quel senso di catarsi,che gli antichi Greci provavano dopola rappresentazione di una tragedia.

Francesca Rossi

I Sette contro Tebe

Piena di Ares

Rolf Petri: Storia economica d'Italia.Dalla Grande guerra al miracolo economico(1918 - 1963). Il Mulino Bologna 2002, pp. 369, ? 19.

Page 8: N.1 Settembre 2003 · 2 N. 1 Settembre/Ottobre 2003 F igure sole. Donne, spesso, colte in un istante di rifles-sione, o sorprese in un foto-gramma di vita. Donne in-corniciate in

8 N. 1 Settembre/Ottobre 2003

L’Associazione CulturaleEuropea “FrancescoOrioli” o.n.l.u.s., costi-tuita nell’anno 2000,persegue esclusivamen-

te finalità e solidarietà sociali nel cam-po della promozione culturale e del-l’arte. La sua attività spaziadalla realizzazione e ge-stione di spettacoli al-l’organizzazione dimanifestazioni, semi-nari, rassegne, mo-stre, festival, concor-si, con l’intento dipropagandare e va-lorizzare ogni aspettoculturale ed artistico.L’ associazione intendeanche organizzare riunio-ni e conferenze con persona-lità del mondo della cultura e isti-tuire Premi nel campo artistico e lette-rario. Attenzione speciale sarà riserva-ta alla tutela e al recupero del patri-monio artistico del territorio come

mezzo di salvaguardia delle tradizio-ni, di arricchimento individuale e dipromozione turistica. Perché il nome“Francesco Orioli”? Nato a Valleranonel 1783, morto a Roma nel 1856, fisi-co, medico, etruscologo, storico, poe-ta, saggista, drammaturgo, poeta e fi-

lantropo, Orioli è stato una trale ultime incarnazioni del-

l’universalismo umani-stico, interprete di unacultura globale chenulla rifiuta di quan-to eleva l’uomo ver-so la scienza, la crea-tività, la liberalità, lagiustizia e la bellezza.

Dato l’orizzonte euro-peo delle sue esperien-

ze, il suo nome si racco-manda anche nel segno del-

l’attualità interdisciplinare ed in-ternazionale come modello per un so-dalizio valleranese e viterbese, che nel-la cultura persegua ad ampio raggio ivalori che informarono la sua vita.

Per informazioni ed eventuali adesioni si prega si consultareil sito www.orioli.it o contattarci tramite le nostre

e-mail: [email protected] [email protected]

Infoline 335.414687 fax 0761.751914

Nel millenovecentoset-tantotto presi in affitto,nella parte vecchia diVallerano, una piccolacasa; le finestre erano

occhi aperti su di un paesaggio bellis-simo, intatto, quasi impenetrabile; midissero che quella località era denomi-nata Pantaniccio. La casa era spartana,l’avevo presa per custodirvi i mieiamati libri, vi soggiornavo unicamenteper leggere. Sì, perché Vallerano, pae-se di passaggio, ha un piccolo scrigno:il suo centro storico, che ispira la lettu-ra, la riflessione: no a caso ha dato i na-tali all’insigne Francesco Orioli; grandiscrittori come Corrado Alvaro, LiberoBigiaretti, Jan Shulz vi hanno soggior-nato, amandola.Nei primi anni ’80 mi trasferii a Vasa-nello poi a Penna in Teverina, ma Val-leranno era sempre nel mio cuore. Ri-tornai nel millenovecentoottantasettee nelle sere d’estate, per assistere aduna manifestazione curata ed interes-sante: “Stanze con vista o prigione?”“Provocazioni letterarie di un paeseche poco invidia alla città” che quelvulcano di Ludovico Pacelli, all’epocaassessore alla cultura, aveva ideato eportato avanti con passione ed intelli-genza fino al millenovecentonovanta-

UN RICORDO

quattro. Poi, aimè, tutto finisce, cosìniente più spettacoli stimolanti, intri-ganti, serate che avevano fatto di Val-lerano luogo di incontro con artisti,musicisti, danzatori ed intellettuali diprim’ordine. Ma il ricordo di quelleconversazioni è rimasto vivo fino alnuovo millennio. Finalmente nel due-milauno le cose sono cambiate: l’am-ministrazione, retta dal sindaco, dottorGuido Mariani, con l’apporto dell’as-sessore alla cultura il dottor Luca Po-leggi, si è mostrata particolarmentesensibile alle tematiche culturali, cosìVallerano torna ad essere un polo diattrazione: si sta riorganizzando la bi-blioteca, si cercano sponsor per realiz-zare restauri, si fanno concerti, mostre,spettacoli di marionette per ragazzi, ilcorso di teatro diretto da FrancescoMencaroni. Ludovico Pacelli realizzaun suo sogno generoso: l’associazioneculturale europea intitolata a “France-sco Orioli”. I progetti sono tanti edambiziosi: mostre, convegni, e questogiornale L’ Orioli, che si appresta a di-ventare un punto di scambio di infor-mazione e di arricchimento sia perVallerano, “Paese che poco invidia lacittà”, che per tutta la provincia.

Daniela Iacono

Pomeriggio volato in un soffio.La cornice: Palazzo Valentini,sede della Provincia, a Roma,a due passi da Piazza Vene-zia. Un avvenimento romano,

ambientato in paese: perché? Nell'am-biente raccolto della biblioteca, qualchegiorno fa, un pubblico scelto era accorsoalla presentazione del libro "Scritture eanime di fine millennio": un florilegio dicommenti su scrittori e poeti del profes-sor Franco Lanza. Il professor Lanza: ec-co il legame tra la manifestazione roma-na e Vallerano. Qui il libro era stato pre-sentato per la prima volta due mesi orsono, nella sala Libero Bigiaretti, a curadell'Associazione Culturale Europea"Francesco Orioli" onlus. Ed il presiden-te, Ludovico Pacelli, non ha volutomancare all'appuntamento nella Capita-le. Il professor Lanza, per tutte le edizio-ni, è stato una colonna della rassegnaculturale "Stanze con vista o prigione?",organizzata da Pacelli, per un decennioassessore alla cultura del Comune. A Pa-lazzo Valentini la scrittura elegante e co-municativa di Lanza e la sua originalecapacità critica sono state sottolineateda personalità d'eccezione: ErmannoPaccagnini, critico notissimo, GiuseppeFarinelli e Luigi Martelli, esimi docentiuniversitari, Francesco Mercadante, mo-deratore e presidente del sindacato libe-

40 anni espone i suoi lavori in tutta Ita-lia., tra cui si segnalano nel 96 "PeriferiaRomana" alla Biblioteca Comunale diMilano; nel 980-85-88 "Paesaggi" al "Fo-togramma" di Roma e nel 99 allo StudioCasile di Milano; nel 995 "Francia-fram-menti visivi" alla galleria "Yanika" diRoma; nel 998 "Immobilità e silenzio" al-la galleria "Palladio" di Roma. Hannoscritto di lei Giuseppe Turroni, Luigipaolo Finizio, Gabriella Leto, Udo Stei-gner, Renato Casarotto, Vincenzo Fazio.

BREVE NOTA CRITICALa fotografia è un attimo rubato al tem-po. Fermato per sempre sulla carta, iltempo, imbrigliato nel suo scorrere, ciracconta le cose al momento dello scat-to.Quell'attimo, ormai scorso, si è fermatosulla carta, e ci racconta di un passato,vicino o remoto, che, ora e domani, tor-na a scorrere e passare.Una statua, scultura o monumento, è unattimo in tre dimensioni, più lo spazioche la avvolge. E' un qualcosa di assolu-tamente immobile e silenzioso. Eppure,nel suo assoluto, torna ad essere cosìpresente da far parlare di sé anche lospazio che lo circonda. Dinamismo ostaticità. Azione o immobilità. Silenzio onote.Una statua, ferma sul suo piedistallo,non si muove, è ferma ed immobile, persempre. Può però accadere che, come inquesti giorni accade, il tempo, nel suoscorrere, si sia fermato a dialogare con lestatue. Come a teatro, come in un mu-seo, come in una vetrina. Quell'attimoper sempre immobile, scrutato ed inda-gato nella sua assolutezza, viene delica-tamente scosso, come una clessidra ruo-tata, lasciandosi penetrare e nuovamen-te definire, senza perdere quell'equili-brio assoluto. Maria Orioli è l'artefice di-screta di questo silenzioso dialogo, diquesto elegante bisbiglio che accarezzale sue fotografie.

Giuseppe Ametrano

... La Orioli in queste immagini fatte dimusica ci parla a bassa voce. Ci fa im-mergere nell'oblio d'immensi spazi ne-vosi senza chiassosità o prepotenti ru-mori. Grandi fotografi, dagli Alinari aiBrogi ai fratelli d'Alessandri, si sono ci-mentati nell'interpretare, tra documen-tazione e realizzazione artistica, la scul-tura. Maria Orioli coglie e ferma losguardo: le statue riprendono formanello spazio, fondendosi e creando im-magine nell'immagine. Più che in co-struzioni visive in costruzioni di atmo-sfere, Maria afferra nella pietra, addo-mesticata e divinizzata dall'uomo, unrapporto tra vita, materia e ambiente.Quindi una lettura dell'arte non avul-sa, ma in diretto rapporto luogomemo-ria. Eleganza, forza, limpida melanco-nia nello sguardo al difficile soggettodella staticità, è quello che ci sussurraMaria Orioli nelle sue fotografie.

Vincenzo Fazio

Le passioni mai sopite:Vallerano, la cultura, Ludovico Pacelli

l’ORIOLIPERIODICO DI CULTURA, COSTUME E SOCIETÀ

Anno 1 - N. 1 Settembre/Ottobre 2003Iscritto al tribunale di Viterbo al N. 513 delRegistro Stampa con decreto del 7-2-2003

SedeVia Gramsci 11 - 01030 Vallerano (VT)

Sede amministrativa“Francesco Orioli”

(associazione culturale europea onlus) editingVia Gramsci 11 - Vallerano (VT)

CF 90055020565www.orioli.it

E-mail: [email protected]:[email protected]

Consiglio di amministrazioneLudovico Pacelli presidente

Vittorio Arista vicepresidente

Nicola Piermartini Direttore responsabile

Progetto grafico Rosanna Cori

Hanno collaboratoFrancesca Rossi, Filippo Sallusto,

Silvia Camicia, Vittorio Arista, SandroPiccioni, Franco Lanza, Rosanna Chieruzzi,

Enrico Paventi, Emili Edoardo, DanielaIacono, Stefania Iurescia

UN’INAUGURAZIONE

Vallerano - Un pomeriggio.Nel nome di FrancescoOrioli, medico, filosofo, ar-cheologo, letterato, politi-co valleranese, che segnò

in vari campi, in patria e all'estero, laprima metá dell'Ottocento. A lui è statointitolato il teatro comunale, su iniziati-va dell'associazione che si fregia del suonome, di concertocon l'ammini-strazione comu-nale. Alla pre-senza delle pro-nipoti dell'Orio-li, Maria e Nora,e di numeroseautorità, è statascoperta l'imponente targa, ideata dal-l'architetto Antonietta Stefania Iuresciae realizzata dalla ditta Fratelli Tessicinidi Lugnano. Nel corso della cerimonia,benedetta dal parroco, don AmpelioSantagiuliana, l'assessore alla cultura,Luca Poleggi, ha sottolineato l'impor-tanza che il teatro riveste per la crescitaculturale del paese, uno tra gli obiettiviprimari dell'Amministrazione. "L'intito-lazione ad Orioli - ha detto, fra l'altro,Poleggi - è un riconoscimento all'inge-gno del nostro cittadino, ancora non ap-prezzato nella sua giusta dimensione".

Il presidente dell'associazione "France-sco Orioli", Ludovico Pacelli, ha spiega-to che la valorizzazione del teatro è unotra gli scopi fondamentali dell'associa-zione. Fu proprio Pacelli, assessore allacultura nei primi anni '90, a realizzare laristrutturazione del teatro comunale. Ilsindaco, Guido Mariani, infine, ha pro-posto una rapida carrellata sui vallera-

nesi illustri, dalCinquecento adoggi, e su artistiche hanno sceltoVallerano qualepatria d'adozio-ne, come Corra-do Alvaro e Libe-

ro Bigiaretti. Allacerimonia è seguita l'inaugurazione del-la mostra fotografica di Maria Orioli, al-lestita nella sede dell'associazione. Du-rante il rinfresco, sono stati offerti ai pre-senti i vini doc delle cantine vignanelle-si "Colli Cimini" e "Covivi". In serata,ancora il teatro comunale al centro del-l'attenzione con l'atto unico "Duetto",molto apprezzato, di Otho Eskin, per laregia di Flavio Cipriani, interpretato daMiriam Nori, Cristina Cerri Ciummei eOliviero Piacenti.

Nicola Piermartini

Inaugurazione Teatro Orioli Vallerano - 19 Ottobre 2002

EVENTI CULTURALI

segue da pag. 1

IL LIBRO

Ritratti in punta di penna: la fatica letteraria di Franco Lanza

ro scrittori italiani, organizzatore dellamanifestazione. Avvincenti, profondi,appassionati sono stati definiti i profilidegli artisti, tracciati da Lanza con con-vinzione e in punta di piedi, nel con-tempo, in segno di rispetto di tanti per-sonaggi, che hanno contrappuntato laletteratura italiana in questo secolo e neiprecedenti. Petrarca, Manzoni, Rebora,Ungaretti, Leopardi, Montale, Paolo VI,Flaubert, Rieckle, Mann, Dostoevskij,Luzi, Sansone, Sitane, Turoldo: soltantoalcune delle "anime", che Lanza ha scru-tato con entusiasmo, passione e stupore.Caratteristiche, che le settantacinqueprimavere hanno lasciato intatte e cheguideranno ancora Lanza nella letturadel romanzo senza fine del progressodello spirito umano. Nelle parole di rin-graziamento, Lanza si è manifestato, an-cora una volta, ricercatore appassionato,colto e disincantato.

Nicola Piermartini

NdR: FRANCO LANZA, allievo di Mario Apollonioe di Giovanni Getto, come ordinario di LetteraturaItaliana ha insegnato a Palermo, Salerno e Viterbo.Ha dedicato studi a Dante, Alfieri, Manzoni, Leopar-di, D'Annunzio e diversi lirici e narratori dell'età ba-rocca; tra i moderni Onofri, Rebora e gli ermetici. Ha pubblicato anche Paolo VI e gli scrittori (1994). Legato affettivamente a Vallerano in quanto Diret-tore Scientifico per tutte le otto edizioni della Ras-segna "Stanze con vista o prigione?".

L’ASSOCIAZIONE

Forse non molti sanno che questo piccolo gioielloarchitettonico recentemente restaurato ha svoltoun ruolo di primo piano nella vita della comunitàvalleranese, la quale, pur in momenti difficili dalpunto di vista storico ed economico, quando lasoddisfazione delle necessità primarie era la prin-cipale preoccupazione quotidiana, ha potuto tra-scorrervi e gustarvi a pieno i rari momenti dispensieratezza. Il teatro sorse per iniziativa di set-te famiglie benestanti del paese, come ricordava ildrappo dipinto posto sopra il sipario che recitava:Settemplice concordia, se tu reggi le menti, sonliete le famiglie e in pace son le genti.Altra cosa poco nota è che le famiglie in questio-ne, o meglio alcuni dei loro componenti, avevanoaddirittura costituito la “Società dei Dilettanti”; lacompagnia, di cui si trova menzione negli antichitesti della Delegazione Apostolica degli anni tra il1785 e il 1882, risultava essere composta dai se-guenti attori: Lucia e Rosa Marcucci, FrancescaPieri, Maria Pigliucci, Caterina Spreca, FedericoCostanti, Alessandro Ercoli, Augusto Floridi,Francesco Grugnardi, Ottavio Petrucci, AngeloPieri, Domenico Mecocci, Orsino Spreca e PaoloTiraterra. Dallo stesso documento (una sorta diagenda giornaliera degli avvenimenti, oggi con-sultabile presso l’Archivio di Stato di Viterbo) siapprende che, il 17 marzo 1853, tale Società ri-chiedese permessi speciali alla Magistratura e alPriore di Vallerano per eseguire delle rappresen-tazioni teatrali in particolari occasioni di festa.Prima di questa data, invece, particolari inerentialle origini del teatro si trovano solo negli atti delnotaio Vincenzo Falaschi, operante nella primametà dell’Ottocento e intestatario egli stesso dello

Il Teatro Comunale di Vallerano un po di storiastabile. Nelle registrazioni dei suoi atti riportatesempre nei testi della Delegazione Apostolica,leggiamo infatti che Vallerano adottò per la pri-ma volta la numerazione civica nel 1851, quandoappunto il Falaschi — contrariamente alla suaabitudine di porre soltanto la dicitura “Parroc-chia Sant’Andrea” come indirizzo del luogo incui rogava — il 26 agosto vi unì il numero civico9, mentre il 22 dicembre successivo aggiunseespressamente l’indicazione “Via del Teatro”: èquesta, dunque, la prima attestazione diretta del-la sua esistenza, che permette di fissarne con unacerta sicurezza la data di nascita.Fin dalle origini l’edificio ebbe il suo bel palco-scenico rialzato, con il sipario di velluto rosso, gliscenari dipinti intercambiabili e i due ordini dipalchi destinati alle autorità comunali e alle fa-miglie possidenti: era un teatro vero, in cui com-pagnie girovaghe di “guitti” venivano a rappre-sentare opere famose quali “Le due orfanelle”, “Idue sergenti”, “Morte civile”, “Addio, giovinez-za”, e dove recitarono anche compagnie locali,come la Filodrammatica di don Secondo Nisini,che amava far rappresentare la storia di S. Vitto-re e di S. Corona ai giovani valleranesi dell’epo-ca; un teatro vero che è stato spettatore ocularedella vita di una popolazione, e che ha visto na-scere odi, amori e amicizie durante feste, veglio-ni e concerti musicali. Certamente la soddisfazio-ne più grande sarebbe fare nuovamente di questopiccolo teatro il fulcro della nostra Vallerano; conquesto spirito e verso questo preciso obiettivo, al-lora, dovranno essere intese le iniziative delle di-verse Amministrazioni che si sussederanno allaguida della nostra comunità.