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TRIMESTRALE DI CULTURA MUSICALE EDIZ. BLUES E DINTORNI S.R.L., VIALE TUNISIA 15 - 20124 MILANO MI - ITALY - “POSTE ITALIANE S.p.A. - SPED. IN ABB. POST. - 70% DCB - MILANO” - N. 119 GIUGNO 2012 - 6,00 IVA INC. IAN SIEGAL Solo oggi è importante? TAMPA RED Ritorno a casa ALAN LOMAX Musica ed immagini ALABAMA FAME, Hinton e Blues JUKE JOINT Cultura del Mississippi Son Seals

n.119

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Rivista Il Blues 119

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TRIMESTRALE DI CULTURA MUSICALE

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IVAINC. IAN SIEGAL

Solo oggi è importante?

TAMPA REDRitorno a casa

ALAN LOMAXMusica ed immagini

ALABAMAFAME, Hinton e Blues

JUKE JOINTCultura del Mississippi

Son Seals

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il Blues - N. 119 - Giugno 2012 - 3 -

Agenda 4

Concerti 6

European BluesChallenge 2012 8

Ian Siegal 10

Son Seals 12

Alan Lomax 16

The Hill Country Picnic 17

Dentro i juke joint 18

Recensioni 20

Antologie & ristampe 32

Polvere di stelle 34

DVD 36

Sweet Home Alabama 38

Tampa Red 44

Voci dal Mississippi 46

Blues In Italy 48

Festival 50

Edizioni Blues e Dintorni S.r.l. - N. 119 - Giugno 2012

terza paginaAvremmo voluto riprendere il discorso con cui chiudevamo lo scorso numero:carta sì, carta no e magari concluderlo. Non ci siamo riusciti. Rimane il dato difatto del probabilissimo passaggio del testimone tra due generazioni che han-no, ovviamente e ci mancherebbe altro, concezioni diverse per il raggiungi-mento dell’obiettivo finale che però rimane comune: diffondere e rendere fruibi-le al meglio l’amore per la cultura della musica Blues.Quindi, mentre vi lasciamo ancora tra “color che son sospesi”, da parte nostra,con la consueta passione che ci anima ancora (nonostante sia minata dalla cri-si che il nostro portafoglio giornalmente ci rammenta, e che trova la riprova diciò nel ridimensionamento drastico se non nella sparizione di manifestazionimusicali di una certa caratura, vanto per anni della nostra estate musicale), sia-mo riusciti anche per questa volta a confezionare questo terzultimo numero del-la nostra rivista cartacea.C’è un po’ di tutto, e per giunta non sempre legato da un filo conduttore logico,perché il nostro desiderio di spaziare nei territori poco battuti rimane, dimostran-dosi in fondo la spinta determinante che ci ha fatti nascere. Così se vi presentia-mo Son Seals, da un’altra angolazione vi riproponiamo Tampa Red, vi dimostria-mo quanto poco loquace sia Ian Siegal al punto da far invidia alle “Voci dal Mis-sissippi”. Abbiamo poi finito per dare spazio alle immagini, ogni tanto ci capita masolo ogni tanto non essendo dei fan del genere, in quanto oltre alla consueta ru-brica dei DVD, vi portiamo testimonianza di due episodi a sé, il primo dedicato adAlan Lomax ed il secondo al viaggio/inchiesta nei juke joint del Mississippi.E concludiamo questo sguardo polimorfico con un breve spaccato sull’Alaba-ma, abbracciandone il passato con un luogo, i FAME Studios, un artista, EddieHinton, e riservando l’oggi per le nostre orecchie at-traverso l’ascolto del blues targato XXI° secolo.Ci è però impossibile non ricordare Giancarlo Schini-na che ci ha lasciati lo scorso 3 aprile, e se permette-te lo facciamo autocitandoci con la chiusura della re-censione del suo disco d’esordio: «…è solo un sem-plice disco di blues suonato con il cuore di chi ha an-cora una fede in cui credere» (Maurizio Pol, “Il Blues”n. 30, Marzo 1990, pag.16).

Il Blues

In questo numero

Direttore ResponsabileMarino Grandi

RedazioneSilvano Brambilla, Ennio “Fog” Fognani, Marino GrandiTel. / Fax +39 02 29514949E-mail: [email protected]

Hanno collaborato a questo numeroAntonio Avalle, Simone Bargelli, Matteo Bossi, Mar-co Denti, Matteo Fratti, Matteo Gaccioli, DavideGrandi, Giacomo Lagrasta, Enrico Lazzeri, MichelePaglia, Graziano Uliani, Ottavio Verdobbio, Luca Za-ninello.

Restyling graficoMarco Fecchio

CorrispondentiBrian Smith (GB), Renato Tonelli (USA)

Amministrazione / Abbonamenti / PubblicitàLuciana Salada - Tel. / Fax +39 02 29514949E-mail: [email protected]

Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’Edito-re garantisce la massima riservatezza dei dati fornitidagli abbonati e la possibilità di esercitare i diritti pre-visti dall’art.7 D.Lgs.196/03 scrivendo alle EdizioniBlues e Dintorni - Viale Tunisia, 15 - 20124 Milano.

FotocomposizionePinelli Printing S.r.l.StampaPinelli Printing S.r.l.Via E. Fermi, 8 - 20096 Seggiano di Pioltello (MI) -Tel. 02 926 79 33In copertinaSon Seals (Luglio 2001, foto Pertti Nurmi©)“Il Blues” è una pubblicazione trimestrale di culturamusicale delle Edizioni Blues e Dintorni S.r.l.E-mail: [email protected] web: www.ilbluesmagazine.itSede LegaleViale Tunisia, 15 - 20124 Milano MI - ItalyRegistr. del Tribunale di Milano n. 485 del 18/12/1982.ROC n. 4197 (già RNS n. 5524 dell’11/12/1996).“Poste Italiane S.p.A - Spedizione in abbonamentopostale - 70% DCB Milano”.Manoscritti e fotografie originali anche se non pubbli-cati non si restituiscono. È vietata la riproduzione, an-che parziale, di testi, documenti, fotografie e disegni.Gli articoli non firmati sono a cura della Redazione.

Associato all’USPI

Chiuso in redazione il 29/05/2012

ABBONAMENTI 20124 numeri anno solare € 24,004 numeri anno solare - posta prioritaria € 36,004 numeri anno solare - sostenitore € 52,00In qualsiasi momento dell’anno venga sottoscrit-to, l’abbonamento dà diritto comunque al ricevi-mento dei quattro numeri dell’annata in corso.Una copia € 6,00 - Copia arretrata € 6,00 (esclusi in.ri 100 e 101) - Ordine minimo 10 arretrati € 4,50cadauno solo per spedizioni in Italia (i n.ri 1-21-22-26-27-42-48-51-54-57-75 sono esauriti).Il versamento può essere effettuato tramite il contocorrente postale 43447200 intestato a:Edizioni Blues e Dintorni S.r.l. - Viale Tunisia 15 -20124 Milano MI.Non si effettuano spedizioni in contrassegno.

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- Se appare l’asterisco il Vostro abbonamentoè scaduto.- If ticket, renewal is due.*

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- 4 - il Blues - N. 119 - Giugno 2012

agenda�Eventi: Quest’anno, grazie alla

collaborazione della rivista “IlBlues”, dell’Associazione Roots ‘n’Blues e dell’Ameno Blues Festival,la finale italiana per l’EuropeanBlues Challenge 2013 si terrà il 3novembre 2012 ad Arona presso ilPalazzo dei Congressi. Le selezioniper accedere alla finale, si effettue-ranno inviando il materiale in formadigitale ad un sito web che verràsuccessivamente indicato. Info [email protected]� Voci dal Deserto, festival interna-zionale della cultura Tuareg, avràluogo dal 5 all’8 luglio a Bolognapresso la Villa Aldrovandi Mazzacu-rati. L’evento, che comprende mostree incontri, conterà anche su concertitra cui quello dell’8 con i Tinariwen.Info [email protected]

�Iniziative: Potremmo chiamarloLimbiate In Blues, in quanto sono

numerose le occasioni musicali chela cittadina di Limbiate (MI) offre perl’estate 2012. Infatti, dopo la sagradell’Oratorio apertasi lo scorso 30maggio e conclusasi il 9 giugnoscorso con sei concerti, tra cui ricor-diamo quelli degli Tea Spoon Quar-tet e di Amanda & La Banda, sarà lavolta di quella che ruoterà attorno alTram Tram Cafè il 30 giugno conBullfrog Blues, il 7 luglio con UncleTix & The Groovy Guys, il 14 lugliocon Filoblues, il 21 luglio con Joy &Zio Bros, ed il 28 luglio con Badwa-ter. In contemporanea ci sarannoanche, in località Mombello, l’8 luglioAmanda & La Banda ed il 15 luglio iBlack Cat Bone. Info 3389544367

�Lutti: Monroe Jones, cantante echitarrista, il 30 dicembre 2011 a

Cleveland, Mississippi; Big Walter“The Thunderbird” Price, cantante epianista, il 7 marzo 2012 a NorthHouston, Texas; Eddie King, cantan-te e chitarrista, il 14 marzo 2012 aPeoria, Illinois; Jerry McCain, can-

tante e armonicista, il 28 marzo2012 a Gadsden, Alabama; Giancar-lo Schinina, cantante, chitarrista,armonicista ed a lungo leader dellaLevel Blues Band, il 3 aprile 2012 aNonio, Verbania; Andrew Love,tenorsassofonista e membro deiMemphis Horns, il 12 aprile 2012 aMemphis, Tennessee; Michael “IronMan” Burks, cantante e chitarrista, il6 maggio 2012 all’aeroporto di Atlan-ta, Georgia, di ritorno dalla tournéeeuropea; Donald “Duck” Dunn, bas-sista, il 13 maggio 2012 a Tokyo,Giappone, durante una tournée.

�Novità discografiche: È oramiprossima la pubblicazione di

“Soul Land”, il nuovo doppio CDlive della Joe Castellano SuperBlues & Soul Band. Con il tour cheseguirà, previsto dal 27 luglio al 16luglio, Joe Castellano intende fe-

steggiare anche i 10 anni di vita delBlues & Wine Soul Festival. Infowww.joecastellanobluesband.com� Per inizio autunno 2012 è previstal’uscita del secondo disco della bandsvizzera di Marco Marchi & The MojoWorkers, opera che potrà avvalersidella collaborazione di Sean Carney,Steve Johnson, Andy J. Forest, Wa-shboard Chaz, etc.

�Novità editoriali: È già disponibilenelle migliori librerie, edito da Arca-

na nella collana Musica (pagg.190,Euro 16,50), “Blues! Afroamericani: daschiavi a emarginati” di Mariano DeSimone. Ne parleremo nel prossimonumero di settembre.� Il numero 218 della storica rivistaamericana Living Blues, ne segnaanche il lancio dell’edizione digitaleonline, senza per questo indicare lacessazione del classico formato car-taceo. Una doppia disponibilità quin-di, che si prefigge di andare incontroalle generazioni future.Info www.livingblues.com

�Radio: Con la trasmissione “JukeJoint”, condotta da Silvano Bram-

billa e Leo Bonazzoli, il blues ed isuoi dintorni continuano ad andarein onda ogni mercoledì dalle 21:30alle 23:00 dalle frequenze di 101.7in FM di Radio Città Bollate (MI). Latrasmissione è ascoltabile anche instreaming su www.radiocittabollate.it� Continua tutti i giorni la trasmissio-ne “Life In Blues” di Fabio Treves, inonda alle 22:00 sulle frequenze di Li-fegate Radio (www.lifegate.it).Info [email protected]� Con la trasmissione “Stazione Ra-dio Blues”, Francesco Riboldi ha ri-

preso a mandare in onda dalle fre-quenze 100.35 in FM di Radio Codo-gno, il martedì dalle 20:00 alle 21:00,la musica del Diavolo. Per gli inter-venti in diretta telefono 0377 30319.� All’interno del palinsesto di RadioPopolare Roma, che trasmette sul-le frequenze di 103.3 Mhz, Gianlu-ca Diana ha ripreso a trattare delBlues e delle sue culture con lamessa in onda domenicale, dalle21:00 alle 22:30, di “Mojo Station”.La trasmissione, che quest’anno fe-steggia i dieci anni di att ività, èascoltabile anche in streaming suwww.radiopopolareroma.it� Ogni domenica alle ore 21:00 Mar-co Ciapparelli, dalle frequenze di88.15-88.8-89.1-101 in FM di RadioPunto di San Vittore Olona (MI), curala messa in onda di “AmericanTracks” un programma dedicato allamusica blues, soul, jazz e rock. Latrasmissione, ascoltabile anche instreaming sul sito www.radiopunto.it,verrà registrata in modalità audioe video e pubblicata sul sitowww.youtube.com/radiopunto

�Rassegne: La 6a edizione dellarassegna Donne Jazz In Blues,

che avrà luogo dal 7 al 29 luglio2012 a Bertinoro (FC), vedrà impe-gnate l’8 luglio Lisa Manara & BlueJackets ospite Ricky Portera; il 15luglio Kellie Rucker Blues Band; il 21luglio Giovanna Gattuso Jazz Trio; il22 luglio Angela Watson Jazz AndBlues Band; il 29 luglio Vivian KellyBlues Band. Contemporaneamentenelle serate del 7, 14 e 21 luglio siterranno le selezioni del ConcorsoVoci Nuove Donne Jazz & Blues, lacui finale avrà luogo il 28 luglio. Infowww.naimaclub.it� Iniziata lo scorso 25 maggio conl’esibizione della Cava Blues Band eproseguita il 3 giugno con Max Pran-di Cha Tu King, la rassegna CremaBlues, si propone, attraverso la di-sponibilità di numerosi locali cittadini,quale palcoscenico ideale per i grup-pi italiani. Infatti, il 9 giugno sarà lavolta della Fabio Marza Band, il 17 diAcoustic Railroad, il 21 di FrancescoGarolfi, il 22 dei Baton Rouge ed il 24degli Acoustic Trip.Info www.orientagiovanicrema.it� L’anteprima delle 22a edizione delNarcao Blues Festival avrà luogo il12 luglio a Sassari con l’esibizionedella Keb’ Mo’ Band.Info www.narcaoblues.it

�Riconoscimenti: l’elenco com-pleto dei premiati con i Blues

Music Awards 2012 è presente nelsito www.blues.org della The BluesFoundation.

�Tour: La Peaches Staten BluesBand sarà in tour in Italia dal 3 luglio

al 5 agosto. Info 347 5352746 oppurewww.myspace.com/lucioomarfalco

NEL PROSSIMO NUMERO (FORSE):

� MANDOLIN BLUES

� INTERVISTA A QUINTUS McCORMICK

� OLD GRAY MULE

� INTERVISTA A JIMMY ANDERSON

� MIGHTY JOE YOUNG

� INTERVISTA A FIONA BOYES

� BLUE NOTES

� INTERVISTA AGLI HILLSTOMP

� MEDICINE SHOW

Giancarlo Schinina (foto Nicola Riotti©)

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- 6 - il Blues - N. 119 - Giugno 2012

MARTHAREEVESAND THEVANDELLASIl primo pensiero che abbiamo pro-nunciato, dopo aver visto il concer-to di Martha Reeves And The Van-dellas al Blue Note di Milano loscorso 31 gennaio, è stato che lasuddetta cantante neroamericana èpiù o meno coetanea di EttaJames, Mavis Staples, BettyeLavette. Una bella generazione,non c’è che dire, ma a parte lacompianta Etta, le suddette Mavise Bettye sanno ancora sommini-strare forti dosi emotive con i lorodischi e i loro concerti, mentreMartha Reeves non più. Ha vissutol’epoca d’oro della Motown, dive-nendo una sorta di reginetta delsoul/pop degli anni Sessanta, purcondividendo lo stesso “tetto disco-grafico” della “rivale” Diana Ross &The Supremes, e la sua fama èlegata ad un pugno di pezzi fra iquali i l primo della lista è quel“Dancing In The Street” che ha fat-to ballare più generazioni e che tut-tora le permette di continuare afare spettacol i . La curiosi tà diascoltarla per la prima volta dalvivo in Italia era parecchia, ma pur-troppo le già poche certezze sonosvanite in uno show adatto più chealtro ai locali di Las Vegas ed allecrociere sull’Atlantico. D’accordol’età, ma Martha Reeves non ha piùun canto che le consente, almenoin parte, di rinverdire i fasti di untempo, le sue tonalità hanno ilrespiro corto ponendo spesso rime-dio con un falsetto inespressivo.L’ennesima coppia delle Vandellas,due giovani ragazze, una nera euna bianca, non le hanno fornito ilsupporto necessario, limitandosi acantare in modo leggero e raffinato(probabilmente per non coprire lagià incerta vocalità della Reeves)senza quelle sollecitazioni tali dapoter instaurare un dialogo botta erisposta e incalzanti sottolineature.Un cenno anche ai musicisti, schie-rati come una r&b band, ma troppoaccademici e con la sezione fiatispenta e mai incisiva. Il locale erapieno e il pubblico, più di mezzaetà che di giovani, si è fatto ovvia-mente sentire con gl i applausiquando Martha Reeves giunta alterzo pezzo in scaletta ha attaccato“Nowhere To Run”, per poi perdersiin una spenta rivisitazione di “ManyRivers To Cross”, un ottimo e signi-ficativo pezzo di Jimmy Cliff al qua-

le non è stato reso il giusto ricono-scimento. Di seguito, dopo unapausa “obbligata” al bancone delbar, riparte con altri suoi hit, come“Heatwave”, “Jimmy Mack” e “I’mReady For Love”, cita Sam Cookee Marvin Gaye ma non…EttaJames scomparsa pochi giorni pri-ma. Il finale è scontato con “Dan-cing In The Street” che introducecitando i tanti cantanti che nel tem-po l’hanno incisa, affermando poiche la canzone in ogni modo è suae invita il pubblico ad alzarsi perballare e cantare. Meglio ricordarlacon le sue incisioni dell’epoca.

Silvano Brambilla

LODI BLUESFESTIVALC’è stata persino la neve a farci dacontorno, quest’anno. La formuladel blues invernale a Lodi nondemorde e rimane ancora una delleproposte stagionali più efficaci, tral’estate di proposte più o menoqualitative (ma soprattutto gratuite)e il silenzio, all’arrivo delle primefoglie cadenti. Non è così per laGroove Company e l’appuntamentoin questione si rivela tradizional-mente inaugurale del buon anno inblues già da febbraio, per gli affe-zionati di una capatina nel capoluo-go lombardo e non solo, a rinvigo-

rirne tra le nebbie i raffreddati tor-pori. Così il teatro è sempre lo stes-so, compostissimo Alle Vigne (ovenon è dato capire facilmente se siail pubblico a rendere austero il tea-tro o viceversa…) ma con la trova-ta, innovativa per quest’anno, diestendere anche ad altri eventiminori le serate nei pub della città,contestuale contorno al teatrale“mainstage” a metà mese. Un guiz-zo di gradevole conforto allora, nelritrovare anche al bar dell’aperitivodi tendenza Guitar Ray & TheBlues Gamblers il venerdì sera adue settimane, così come al caffèdi passaggio, Francesco Piu aduna settimana prima; per non parla-re del bis di appuntamenti d’apertu-ra e chiusura nel lodigiano Welling-ton Pub al blues più congeniale,rispettivamente con Gnola & Billae infine, col Davide Speranza Trio.Sicchè, tra i concerti programmati,anche alcuni artisti (oltre a quelli dicui sopra) già supporter o headli-ners nelle precedenti edizioni, tra iquali la nostra scelta (costretta omeno dalla tempistica degli affariquotidiani) caduta sul Bonfa (PaoloBonfanti) nell’elegante chiostrodella rinnovata Biblioteca Lauden-se: ad hoc per il suo raffinato e vir-tuoso stile all’acustica, ben apprez-zato dal caloroso pubblico di saba-to 28 gennaio alle 18. E non ce nevogliano le curiose proposte d’inter-mezzo, come i Ricreos, la Marza-poppi Blues o The Cyborgs, ma il

cartellone era ricco e noi, predispo-sta già da tempo la nostra assegna-zione al loggione, auspichiamoancora le sorprese del Lodi CityBlues a una prossima edizione.Intanto, alla due giorni “di portata”(10 e 11 febbraio), il venerdì l’anti-pasto era garantito dal triestinoMike Sponza, capo del trio elettricoche avrebbe preceduto l’animo souldi Big Daddy Wilson. Indi inguari-bile affinità tecnica con gli umori bri-tannici per il primo, che non ha tra-lasciato d’interloquire con una chi-tarra dal tocco particolare e conbasso e batteria di Mauro Tolot eMoreno Buttinar, scampandoci dalleennesime velleità da power trio eritrovando nei brani come “Little ByLittle” l’espressione composta diBritish Blues e Chicago Style. Mor-bido invece l’intervento soul elet-troacustico di papà Wilson che,quantunque presentato al pubbliconon completamente in forma, è sta-to piuttosto alfiere di una perfor-mance dalle gradevoli contamina-zioni: mai eccessive e condite dallesue percussioni, quanto dalla chi-tarra unplugged di Roberto Morbioli(Morblues Band). Risultato: unagravida carrellata di gospel, maiurlati dalla voce black di Big Daddy,piuttosto sussurrati in un dondoliogeneroso, a tratti prolisso, ma dal-l’eleganza che non si è risparmiata“I Heard The Angels Sing”, “CountryBoy” o “Ain’t No Slave” tra le cosemigliori.

Concerti

Veronica Sbergia, Mauro Ferrarese (foto Matteo Fratti)

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il Blues - N. 119 - Giugno 2012 - 7 -

Ma è alla sera successiva che si vafocalizzando l’esibizione di punta,non tanto nel l ’at teso nome diElliott Murphy, quanto piuttostonel la sorprendente l ine-up dagrammofono di Veronica Sbergia(ukulele, washboard e kazoo) &The Red Wine Serenaders, o permeglio dire “chitarre e orpelli vari”di Max De Bernardi, Mauro Ferra-rese e il contrabbasso di Alessan-dra Ceccala, voci e cori di tutti. Nul-la a che vedere col rockettone dellastar in serata, ma vero blues pre-bellico che ha trasformato il teatro,con la teatralità (appunto…) deicantastorie in questione, nella pla-tea d’esibizione dei Soggy BottomBoys stile film “Fratello, dove sei?”.Davvero encomiabili dunque gliinterventi, all’unisono e singoli, del-la frontwoman e delle sue spallecomiche, nell’ironia che ha reso ilquartetto artisticamente il più seriodel festival. Dalla vivace “Rain RainRain” alla sognante “Darkness OnThe Delta”, fino alla country ballad“Out On The Western Plain” nellagrintosa interpretazione della Cec-cala. Quanto di meglio, prima cheun uso del tutto inappropriato deglistrumenti acustici trasformasse difatto l’impatto scenico di Murphy e isuoi Normandy All Stars in unarock’n’rol l exhibit ion ostentata,facilmente giustificata dal cantauto-re newyorkese col fatto (ovvio…)che il rock’n’ roll è figlio del blues,riconoscibilissimo nel suo spiritofolk dalle ballad (e non potevaessere altrimenti, per un alias BobDylan), ma senza tracce di un vec-chio disco che il biondo di LongIsland pare aver dedicato tempo faa Robert Johnson …

Matteo Fratti

OTIS TAYLORBreve passaggio in Italia per OtisTaylor lo scorso marzo, noi abbiamoassistito alla serata di lunedì 12 alClock Tower Pub di Treviglio, dove ilbluesman del Colorado era accom-pagnato dai fidi Larry Thompson eTodd Edmunds rispettivamente bat-teria e basso mentre alla chitarrac’era una nuova presenza, il giova-ne Shawn Stachursky (di solito nelgruppo di Jason Ricci). In un localegremito nonostante la serata a iniziosettimana, Otis ha imbracciato ilbanjo elettrico per tutta la prima par-te del concerto, molto valida, con unrepertorio che attinge ai suoi vecchidischi più che al recentissimo “Con-traband”, di cui estrae solo un paiodi cose tra cui una “Blind Piano Tea-cher” affine, almeno strutturalmente,

ad altre pagine del suo recente pas-sato. Ecco poi le volute insistite di“Run So Hard The Sun Went Down”né poteva mancare il suo cavallo dibattaglia “Ten Million Slaves” chegode di una certa popolarità anchepresso il pubblico generalista dopol’inclusione nel film “Public Ene-mies”. Abbandonato il banjo in favo-re di una Stratocaster, le atmosferesi alleggeriscono e Otis lascia uncerto spazio anche agli assolo rockdi Stachursky, cui manca però unguizzo di creatività oltre ad un suo-no più personale, di spessore inve-ce il lavoro di Thompson alla batte-ria. Il nostro sembra di buon umore,non sono mancati nemmeno “HeyJoe” e un pezzo all’armonica cheesegue regolarmente ai concertichiamando la risposta del pubblico,“Hambone”, accenna persino “Vola-re” piuttosto divertito. Ritroviamoinfine le sempre pregnanti “MySoul’s In Louisiana” e “Rain SoHard”, ormai dei piccoli classici, pri-ma di lanciarsi in un ultimo tranceblues finale.

Matteo Bossi

FIONA BOYESLa rassegna Milano Blues 89,benemerita per aver riportato unpo’ di blues di qualità nel capo-luogo lombardo, ha accolto il 22marzo scorso l’australiana FionaBoyes, per giunta in un postoideale per una manifestazionemusicale, lo Spazio Teatro 89.Eravamo curiosi di scoprirla dalvivo dopo averne apprezzate leprove discografiche e Fiona nonha deluso le aspettative impres-sionando per dedizione e perso-nalità, con un repertorio in largaparte autografo e qualche ripresache ne d imost ra l ’ec le t t i smo.Importante anche il contributo diFranco Limido che, a parte i primibrani vissuti in solitudine dallaBoyes, l’ha affiancata con sensi-bilità e gusto all’armonica per ilresto del concerto. Fiona ha unospiccato senso ritmico, sa dosarele note e il suo stile alla chitarraacustica è una sintesi personaledi diversi e lement i , canta con

grande sincerità e passione. Avolte rivela simpaticamente qual-cosa dei pezzi, «questa canzonel’ho cantata in un bar dove nes-suno faceva caso alla musica,tranne un tizio che ci cantavasopra, beh oggi quel tale è miomarito» dice ad esempio Fionain t roducendo “Mean Wor ld ”anche il pezzo successivo, “ThePreacher” è ispirato al mar i topredicatore. La raggiunge Limidoed ecco una riuscita “Easy Baby”dalle belle dinamiche e un omag-gio a Hubert Sumlin con “Smoke-stack Lightnin’” o ancora le sue“Guys Be Wise” e “Howl in ’ AtYour Door” che deve qualcosa aRobert Bel four. Una parentesiall’elettrica slide, la chitarra è unprestito di Marco Limido, fruttauna splendida “Juke Joint OnMoses Lane” pr ima che Fionatorni all’acustico e con “I Want ToGo” di J.B. Lenoir concluda, mol-to applaudita, un bel concertoblues che avrebbe certo meritatoil tutto esaurito.

Matteo Bossi

Otis Taylor (foto Matteo Bossi)

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- 8 - il Blues - N. 119 - Giugno 2012

Eccoci di nuovo all’appuntamento annualedi Blues europeo che sta diventando ormaiimperdibile, ovvero l’European Blues Chal-lenge. Questa seconda edizione, dopo l’e-

sperienza positiva del 2011, si è svolta sempre aBerlino, piuttosto confortevole in questo 2012 acominciare dal clima, nel weekend del 16 e 17 mar-zo. Arrivati il giovedì ci gustiamo una cena ristretta aimembri del Consiglio di Amministrazione (abbreviatoin board, quando gli inglesi ci sanno fare!), ma quan-to sono cari i ristoranti tedeschi? O forse è solo quel-lo che è stato scelto… mah… rimarremo nel dubbio!Venerdì mattina riunione organizzativa e preparativae nel pomeriggio invece in largo anticipo al Kultur-brauerei per sistemare accrediti e gadget EBU (que-st’anno grazie agli sponsor una bellissima t-shirt).Abbuffata al buffet e le birre ad libitum non aiutano arimanere lucidi, ma il blues sgorga puntuale sulla ter-ra alemanna quando la Ismo Haavisto Band inizia ilsuo spettacolo quasi alle 20 spaccate. La prima seratrascorre piacevole come una cena tra amici, e tra levarie band siamo sempre colpiti da Lubos Bena, chenonostante i problemi tecnici ci delizia con una spet-tacolare “Picking Up Cotton”, mentre dopo il semprebravissimo Roland Tchakounte (grazie anche allavoro egregio del chitarrista, Mick Ravassat) ottimospettacolo di Marco Marchi and the Mojo Workers, di

cui ricordiamo ad esempio la carica “When You GotA Good Friend”. Una nota particolare per i Chehols,giovanissimi lituani, e le loro versioni personali e

accattivanti di “Heartbreak Hotel” e “I Ain’t GotYou”. Acclamato dal suo pubblico (un autobus dicirca 50 fan lo ha seguito dal Belgio), chiude laprima serata Lightinin’ Guy & The Mighty Gators,idolo locale, giusto mix di passione e abilità, sfo-dera classici come “Bring It On Home” per le sueammiratrici e “Me & My Blues” storia plausibil-mente vera di come la sua vita sia stata salvatadal blues.Un sabato senza sosta ai box il 17 marzo, cheinizia con l’Assemblea Generale dell’EBU, prose-gue con l’Open Market (novità di quest’anno)ovvero uno spazio dedicato nel primo pomeriggioin cui ogni paese membro ha a disposizione unbanchetto per materiale promozionale di musici-sti, festival e tutto ciò che riguarda il blues locale,e ci facciamo una bella passeggiata di nuovo finoal Kulturbrauerei per la seconda serata del Chal-lenge. Ci sono i nostri beniamini, ovvero i DagoRed, che sfortuna vuole capitano subito dopo iVasco The Patch, dalla Bulgaria, che sfornanoun rock blues divertente, carico e cantato in lin-gua madre! I nostri non si lasciano intimidire e,pur ricamando con precisione su toni d’atmosfe-ra, si dimostrano perfettamente all’altezza, contra le altre una bellissima “I’m Ready”, pur non

piazzandosi, scopriremo alla fine, sul podio. Puressendo il livello musicale più alto della prima sera-ta, è difficile riuscire a fare i giudici quest’anno (e perfortuna non siamo in giuria!!), e ancor una volta ciappassioniamo allo spettacolo dei giovani The BluesExpress dalla Danimarca. Rimaniamo però impres-sionati da Rita Engedalen & Backbone, meritata vin-citrice di questo secondo EBC, con nella band dueterzi degli Spoonful Of Blues norvegesi. La jam fina-le di rito chiuderà la serata, ed i nostri sforzi dei mesiprecedenti paiono in parte ricompensati dalla riuscitadi questa seconda fatica berlinese, e ci trasciniamoesausti fino all’albergo. Sorpresa di questa edizioneè stata la comparsa di Jeremy Spencer, un simpati-co vecchietto sorridente e minuto, ormai con pochicapelli (ricordiamo ancora la sua folta chioma), sem-pre accompagnato da una dolce e simpatica moglie,sorridente anch’essa, che scopriamo vivere in Italiaal momento e che ci ripromettiamo di andare prestoa trovare. Un pubblico numeroso e soddisfatto cilascia ben sperare per questa “creatura” ancora gio-vane, che dal prossimo anno sarà in edizione itine-rante, come a gran voce richiesto durante l’Assem-blea Generale. Ci rimane giusto il tempo per unbrunch la domenica con un vecchio amico d’univer-sità e riconquistiamo la strada di casa, felici per l’otti-mo risultato e con mille idee in testa per il blues nonsolo europeo ma anche italiano… Sperando di tro-vare terreno fertile soprattutto tra i musicisti!

European BluesChallenge 2012Un altro passo avanti di Davide Grandi

Dago Red (foto Pertti Nurmi©)

Rita Engedalen (foto Pertti Nurmi©)

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Sebbene Ian Siegal sia inglese, musicalmen-te non si sente figlio di quella generazione dimusicisti conterranei che negli anni Sessan-ta hanno ridato interesse al blues neroame-

ricano, perché come ha dichiarato nell’intervista checi ha rilasciato e che leggerete in seguito, il suo avvi-cinamento al blues è avvenuto direttamente conbluesmen neroamericani. Ovvio, dunque, che primao poi andasse nelle sacre terre del blues, guarda ca-so lo Stato del Mississippi, e l’occasione per farlo ècoincisa con le registrazioni del suo ultimo CD, “TheSkinny” (“Il Blues” n.116), realizzato con alcuni figlid’arte: Cody Dickinson, Garry Burnside, Robert Kim-brough, Rodd Bland. Nuove generazioni al di qua edi là dell’Atlantico che si sono incontrate per conti-nuare a percorrere la strada tracciata dai gloriosi pa-dri, naturali per Garry, Robert, Cody e Rodd, o spiri-tuali per Ian, quest’ultimo tornato in Italia lo scorso 18febbraio al Bloom di Mezzago (MI).

IL CONCERTOAttraverso la proposta di un prezzo del bigliettopopolare, che spesso sconfina nell’offerta di con-certi gratuiti, il suddetto locale annovera fra i tantivantaggi quello di avere frequentatori di ogni età,ragazzi e ragazze, uomini e donne, tutti intenti agodere della musica dal vivo ed a sostenere l’arti-sta di turno.E’ successo anche per Ian Siegal, accompagna-to in quest’occasione, e speriamo non sia l’ulti-ma, dall’ottimo Mike Sponza Trio. Per dovere diinformazione, ricordiamo che la serata ha avutoinizio con il trio elettroacustico dei Blues Clues.Più si ascolta il Mike Sponza Trio, lui chitarra evoce, Mauro Tolot basso e Moreno Buttinar bat-teria, più ci rendiamo conto di quanto il terzettosia uno delle migliori risorse (anche oltre i confininazionali) del blues di oggi, perché non ha presola più agevole via di uno scontato rock/blues, ma

con professionalità ha acquisito un capitolo fon-damentale, sottrarre note a favore del feeling edella sobrietà per un convincente amalgama frapassato e presente. Tutto questo lo ha conferma-to eseguendo “When It All Comes Down” (diB.B.King), mentre subito dopo Sponza ha ricor-dato la sua prima volta al Bloom nel 1997 accan-to al mai dimenticato Guido Toffoletti, poi congiusta enfasi, ha introdotto Ian Siegal. Il musici-sta inglese che, nonostante sia stato nominatonel 2011 dalla The Blues Foundation nella cate-goria “Best Contemporary Blues Album” nell’am-bito della 33a edizione dei Blues Music Awardsper il suo disco “The Skinny”, non ha modificatoaffatto la sua personalità. Poche parole e nessundialogo con il pubblico. Lui va sul palco per suo-nare la chitarra elettrica con l’immancabile bottle-neck al dito e cantare con la voce arrochita efumosa, in maniera diretta, senza ornamenti

superflui; il blues in stileChicago, quello più ipnoticodelle colline del Mississippi,il rock’n’roll più grezzo finoal soul più viscerale. Partecon una tagliente versionedi “Stop Breakin’ Down”,pesca pezzi autografi daisuoi CD, fa scivolare lo sli-de sulle corde della chitarraomaggiando MuddyWaters, canta pensando aHowlin’ Wolf, esegue soloun pezzo da “The Skinny”,la lunga ed ipnotica “HoundDog In The Manger”,accenna, “Bring It On HomeTo Me” di Sam Cooke e sulfinale di un concerto travol-gente ricorda Etta Jamescon “I’d Rather Go Blind”.Gli riesce tutto bene, ancheper merito del trio di Spon-za che non si distrae unattimo nel sostenere le suepenetrazioni stilistiche, chediventano “obbligatoriamen-te” più convenzionali, allor-ché invita sul palco l’armo-nicista e amico Franco Limi-do della Family Style, concui suona insieme un pugnodi standard blues. Ian Sie-gal concede tre bis eseguitida solo con chitarra elettri-ca, due sono ballate più sulversante cantautorale, el’ultimo è una istintiva ver-sione di “Forever Young” diBob Dylan. Poi se ne va,definitivamente, con quelsuo passo incerto, perchélo aspetta in camerino

Ian SiegalInglese, giovane e figlio del Blues... di Silvano Brambilla

Mike Sponza, Ian Siegal (foto Antonio Avalle)

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un’altra sigaretta e l’ennesimo bic-chiere.

L’INTERVISTASei sempre stato un’artista perso-nale con una tua visione musicale,fosse essa elettrica o acustica nonimporta. Le tue influenze arrivanodall’ascolto dei musicisti inglesidel periodo del British Blues, oppure diretta-mente dai Bluesmen neroamericani.Mi sono ispirato direttamente al blues neroameri-cano, la mia generazione ha avuto l’opportunità discavalcare il British blues e andare direttamenteancora più indietro. Non abbiamo dovuto scoprireil blues tramite, che so, John Mayall o i FleetwoodMac, siamo andati direttamente alle origini, aMuddy Waters, B.B. King ecc.

Ci piace l’accompagnamento scarno dei tuoidischi che ben si lega con la tua voce incisiva.E’ una scelta voluta o ti viene naturale.Mi viene naturale questo approccio scarno e incisivo,non ci penso molto, mi viene così e così lo faccio.

Nel 2005 hai pubblicato, “Shake Hands WithThe Devil”, il CD è autoprodotto, è dal vivo esuoni da solo in acustico. Da “Meat & Pota-toes” i tuoi dischi escono per l’etichetta Nuge-ne e sono più elettrici, è stata una tua sceltaoppure è la politica dell’etichetta.Scelgo io il suono da avere nei dischi a seconda dicome mi sento, sono libero di fare cose in acusticoo in elettrico.

A un certo puntosei andato nel Mis-sissippi dove hairegistrato, “TheSkinny”, con CodyDickinson & Co,

un gran bel disco, come sei riuscito a fonderele tue radici inglesi con il blues delle colline.Sono sempre stato attratto da quel tipo di blues,quello di Burnside e Kimbrough ma anche deiNorth Mississippi Allstars. Per me è stato dunquenaturale arrivare a quel tipo di sonorità, che non èDelta Blues o Chicago Blues, è una specificasonorità, a volte suonata con un solo accordo econ la quale mi trovo a mio agio.

Quando eri nel Mississippi hai avuto contatti ehai suonato con qualche vecchio bluesman.No, ho incontrato solo Hubert Sumlin.

Abbiamo notato che ti piacciono lescarpe, sono sulla copertina di“The Skinny” e addirittura per ilCD, “Swagger” sono in copertinae all’interno. C’è un collegamentocon il tipo di musica che suonioppure sono una tua passione.Effettivamente non ci avevo mai

pensato, ed è vero. Sono un feticista di scarpe,non avevo mai fatto caso a questa cosa, me l’haifatta notare tu, l’ho fatto in maniera inconsapevole.

Sono scarpe Italiane?No, americane.

Hai mai suonato con qualche bluesman ingle-se degli anni sessanta.Sì, con parecchi, fra questi mi piace ricordare, DaveKelly e Paul Jones.

Hai mai sentito parlare del bluesman italiano,Guido Toffoletti? Nell’ambiente del blues ingle-

se era molto conosciuto e apprezzato. ConGuido, tu e Mike Sponza avete in comune unacosa, avete legami anche con musicisti dell’E-st Europa. Tu Ian, sei amico del musicistaungherese, Ripoff Raskolnikov del quale haiinciso un suo pezzo, “Horse Dream”. Pensiche l’Europa dell’Est sia una nuova frontieradel blues.

Il blues è molto popolare nell’Est Europa, ci sonodei buoni musicisti e c’è una buona situazione, manon so dirti se è una nuova frontiera del blues.

C’è un motivo per il quale suoni di più conmusicisti bianchi che neri.Non c’è nessun motivo, il colore della pelle non hanessuna importanza, suono indifferentemente siacon gli uni che con gli altri. In “The Skinny”, c’èCody Dickinson, come Garry e Duwayne Burn-side, Robert Kimbrough, Rodd Bland.

P.S.: Un particolare ringraziamento a Mike Sponzaper la disponibilità e per l’aiuto durante l’intervista.

«…il colore dellapelle non hanessuna importanza,suonoindifferentemente siacon gli uni che congli altri.»

« Sono sempre statoattratto da quel tipodi blues, quello diBurnside eKimbrough…»

Ian Siegal (foto Antonio Avalle)

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Introduzione

La tradizione blues nella co-siddetta Terra delle Oppor-tunità (Arkansas/Land ofOpportunity) non ebbe mai

lo stretto retroterra cultural-musicaledei vari stilemi texani, mississippianio del Tennessee. Musicisti originaridel lo Arkansas come Robert Ni-ghthawk, Floyd Jones, Casey BillWeldon,ecc., dovettero emigrare incerca di fortuna ed opportunità di la-voro. Solamente in seguito al succes-so di radio locali come la leggendariaKFFA nell’area attorno ad Helena, siconcentrarono una serie impressio-nante di musicisti di blues dai nomi al-tisonanti. Il vero catalizzatore di que-sto fenomeno musicale fu senz’altrol’armonicista Rice Miller meglio cono-sciuto come Sonny Boy Williamson n.2, ma anche guys come Robert JuniorLockwood, il pianista Lazy Bill Lucas,Driftin’ Slim, Houston Stackhouse,Joe Willie Wilkins, Peck Curtis,ecc.,fecero la loro parte in quegli anni av-venturosi per consolidare uno stilemusicale locale. Con lo spostamentodel Blues verso le città del Nord ci fu-rono, almeno sino alla metà degli an-ni ‘40, anche gli spostamenti dei blue-smen e delle loro famiglie. In questoesodo verso le città del Nord dobbia-mo nominare anche bluesmen piùgiovani come il batterista Willie Smithe i chitarristi Buster Benton, SammyLawhorn, Luther Allison ed il nostroFrank Son Seals (1).

“Osceola rock” - L’infanzia tra-scorsa in una piccola cittadinadell’ArkansasJim Seals, il padre di Frank Son Seals, nei lontanianni’40 faceva parte dei leggendari Rabbit FootMinstrels e nel contempo gestiva un club a WestMemphis, Arkansas. Nel 1940 la famiglia Seals sitrasferì a Osceola, una piccola cittadina del-l’Arkansas circondata da immensi campi di cotoneche fiancheggiavano la leggendaria Highway 61 eche in seguito Son Seals celebrerà in “CottonPicking Blues”, un brano che inciderà nel suo pri-mo disco intitolato “The Son Seals Blues Band”(Alligator 4703/1973). Jim Seals ad Osceola aprì ilDipsy Doodle Club e Frank Son Seals, il più giova-ne dei 13 figli dei coniugi Seals, nacque il 13 ago-sto 1942 nella casa paterna che era situata pro-prio dietro il locale.

«Mio padre era un musicista. La maggiorparte della sua gioventù la trascorse con ilRabbit Foot Minstrels Show di F.S. Walcott.

Conosceva tutti i vecchi artisti. Ma Rainey,Red Foxx ed un batterista chiamato Fat, miparlava molto di loro quando ero piccolo.Faceva anche qualcosa sul palcoscenico.Era un buon ballerino. Suonava il piano, lachitarra, i tamburi ed il trombone, era ungrande musicista. A West Memphis gestivaun locale dove nei weekend si suonava ilblues. Quando questo locale fu demolito, sitrasferì a Osceola e quello fu il luogo dove luie mia madre si conobbero e si sposarono».

Il bluesman Son Seals, quando si creò una solidafama in quel di Chicago era solito ricordare connostalgia gli anni della sua infanzia trascorsi adOsceola nel club paterno, dove «c’era un piano edanche una vecchia chitarra con la quale io gioche-rellavo. Ma quello che io volevo veramente suona-re erano i tamburi e quando avevo 11 anni (1953)

mio padre mi comprò una batteria aMemphis. Solamente nel 1957 comin-ciai ad interessarmi alla chitarra. Conessa accompagnavo le canzoni deljuke-box o mio padre al piano». Se ladisgregazione famil iare era unacostante nelle comunità nere degliStati del Sud in quegli anni, la famigliaSeals era senza dubbio un’eccezioneed il legame che univa il giovane Soncon il padre fu consolidato dalla stes-sa passione che li univa:la musica deldiavolo.

«Si potrebbe affermare che fu miopadre a mettermi sulla giusta strada.Mi insegnò tutto, proprio dal principio.Come accordare la chitarra e maneg-giare la tastiera del piano. Mi facevasuonare un accordo per ore …Io miannoiavo da morire e gli dicevo: “Escoa giocare con gli altri ragazzi.” Madevo ammettere che aveva ragione,quando facevo gli esercizi con la chi-tarra, invece di andare su e giù con ledita, mi faceva stare su di un accordofinchè lo sentivo anche quando dormi-vo. Al mattino, appena sveglio, affer-ravo la chitarra e riuscivo subito a farequell’accordo».

“I Hear Some Blues Downstairs”/IlDipsy Doodle Club: una scuola divitaIl Dipsy Doodle club di Osceola,Arkansas, aveva regolarmente inprogramma le esibizioni di artistiblues del calibro di Sonny Boy Wil-liamson, Robert Nighthawk, Joe HillLouis e Albert King. Si narra cheall’età di 13 anni Son Seals accom-pagnasse alla batteria i l grande

Ramblin’ Bob quando l’errabondo bluesman face-va tappa a Osceola nel locale di Jim Seals. Unodei bluesmen che influenzarono maggiormente ilgiovane Frank fu senza ombra di dubbio AlbertKing, che ebbe una delle sue prime esperienzeprofessionali con un gruppo chiamato Yancey’sBand, che era solito esibirsi nei dintorni diOsceola. Dopo aver trovato lavoro nelle costru-zioni come guidatore di bulldozer, Albert Kingformò un’altra band chiamata The Groove Boysdove militarono alcuni musicisti che gravitavanonei dintorni di Osceola come L.T. Taylor, JuniorAnderson, L.V. Parr, Stevie Tucker e Bob Starr.The Groove Boys si esibivano regolarmente alDipsy Doodle Club, e di lì a poco il giovane Sonsi trovò a partecipare ad estenuanti jam-sessionnel fumoso locale del padre in qualità di batteri-sta, stringendo un rapporto di amicizia con ilgrande bluesman. In seguito Albert Nelson a.k.a.

Frank Son SealsL’uomo dalla chitarra verde Cadillac di Ottavio Verdobbio

Son Seals (Maranello, 23-03-1983, Foto Marino Grandi)

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Albert King utilizzò il giovane batterista nella suablues band, e Son Seals registrò con il bluesmandi Indianola il secondo disco di Albert per la StaxRecords: il pluridecorato “Live Wire/Blues Power(Stax 2003), contenente il famoso monologo diKing, una specie di sermone profano rivolto alpubblico acclamante che recita così:

“When you’re playing the Blues, they’re sostrong, that’s the reason they call it Bluespower and would you believe, I inventedBlues power”. (2).

Frank Son Seals voleva a tutti i costi diventareanche un grande chitarrista, e all’età di 18 anniformò una band e trovò un ingaggio per 4 sere allasettimana in un locale chiamato Chez Paris Club aLittle Rock, Arkansas, e questo ingaggio andòavanti più o meno per 4 anni. Nel 1963 il chitarri-sta di Osceola raggiunse Chicago, e soggiornò percirca sei mesi a casa di una delle sorelle e comin-ciò a frequentare i locali del Southside e del West-side e si unì ai Roadmasters del suo vecchio ami-co Earl Hooker.Se indubbiamente Albert King, Hound Dog Taylore l’inimitabile Earl Hooker furono i suoi fondamen-tali punti di riferimento dal punto di vista chitarristi-co, il contatto con altri musicisti che gravitavanonegli oscuri locali del ghetto quando calava l’oscu-rità e si accendevano le sfavillanti luci al neon, fusenza dubbio basilare per il giovane Frank Seals.Ad un giovane alle prime armi la vicinanza di blue-smen come Lefty Dizz, Big Red Smith, Junior Wel-ls, Joe Carter e Johnny Little John, ecc., fu fonda-mentale e Chicago era il luogo adatto per concre-tizzare un sogno che ad Osceolasembrava ancora così confuso.

«Mi sono convinto di non tentare piùdi imparare da altri chitarristi. Mi pia-ce sentire altri musicisti, ma ora nonfaccio più come una volta quandocorrevo a casa e, presa la chitarra,tentavo di suonare quello che avevoappena sentito. Voglio io stessocreare le mie cose, voglio dare lamia interpretazione al Blues».

Il suo soggiorno nella Windy City fu bru-scamente interrotto dall’aggravarsi dellecondizioni di salute del padre, e SonSeals fu costretto a ritornare in Arkan-sas e riprese a suonare con il suo vec-chio gruppo in locali come il Blue Goo-se e l’Harlem Club.

Ritorno a Chicago

«Da un mucchio di bidoni dell’oliotagliati, che stavano lì vicino; si span-deva in tutte le direzioni l’inconfondi-bile ricco odore di barbecue. “WhatHave I Done Wrong” di Magic Sam,si diffondeva nell’aria da qualchealtoparlante invisibile, come se stes-sero suonando la musica della miaentrata in scena prima della batta-glia» (3).

Nel 1971 Frank Son Seals, dopo lamorte del padre, ritornò a Chicago e sistabilì nel Southside e cominciò a fre-quentare locali come l’Expressway

Lounge e il Psychedelic Shack, dove saliva sulpalco con guys come Taylor e Howlin’ Wolf Jr. Inquesto periodo della sua vita il Blues non garanti-va al giovane la possibilità di pagarsi un affitto ecosì si trovò un day job come operaio edile, men-tre ebbe la possibilità di suonare con Hound DogTaylor quando il vecchio Theodore si scazzottavacon il chitarrista Brewer Phillips e Mr. Phillipslasciava temporaneamente gli Houserockers, giu-rando che non sarebbe più tornato a suonare conquel vecchio energumeno. Qualche anno dopo eprecisamente nel 1973 Son Seals ed il bassistaBob Simmons subentrarono agli Houserockers diTaylor come houseband all’Expressway Lounge e

questo fu possibile solamente dopo il successo delprimo disco inciso da Hound Dog Taylor per lanascente etichetta Alligator di Bruce Iglauer.

Un locale chiamato “Flamingo Club” e la magiadel SouthsideIn un locale chiamato Flamingo Club, situato tra la53rd e Calumet; ogni notte saliva sul palco la SonSeals Blues Band e come per magia l’atmosfera sisurriscaldava in tutto il Southside ed anche i vicolipiù maleodoranti e bui si illuminavano all’improvvi-so di luce propria. E fu proprio in questa atmosferacarica di tensione, che un tizio chiamato WesleyRace decise di fare una telefonata dal locale.

«Bruce, ora voglio che tu ascolti».Wesley urlava tenendo la cornetta deltelefono orientata verso ilpalco…Dopo aver ascoltato per 10minuti Bruce Iglauer si mise a gridare:«Who the hell is that?» al che WesleyRace in trance replicò: «That? That isSon Seals”!».

Se l’agiografia blues é ricca di questeleggendarie e fantasmatiche situazio-ni, è pur vero che la scoperta musicaledi Son Seals fu indubbiamente moltoimportante, perchè dimostrava ancorauna volta che il Blues di Chicago agliinizi degli anni ’70 era più vivo che maie che giovani musicisti ma anchemisconosciuti veterani che vivevano aimargini dello showbiz, erano ansiosi difar conoscere la loro musica e quindiera giunto il momento di portare instudio artisti come Hound Dog Taylor,Frank Son Seals, Fenton Robinson,Big Voice Odom, Vernon Harrington,Big Leon Brooks, Hip Linkchain, AlvinNichols, ecc.

Il Rinascimento del Blues a Chicago

«Ci sono mille problemi da risolvereed uno di questi sono i musicisti diblues. Anzitutto sono molto di più ibuoni suonatori di blues che il dena-ro e i posti disponibili.Ed ecco la ragione per cui ingaggiocomplessi come Otis Rush, SamLay, J.B. Hutto, Son Seals, Jimmy

Lacy Gibson, Ike Anderson, Son Seals, Snapper Mitchum (1979, foto Pertti Nurmi©)

Son Seals (2001, foto Pertti Nurmi©)

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Dawkins, Blueblood Mc Mahon, Magic Slim;uomini di cui ci si può fidare. Questo é moltoimportante, perchè tanti di questi padroni dilocali ti licenziano facilmente e perciò è moltoimportante per me guadagnare la loro stimae fiducia». (Bob Riedy/pianista).

L’esordio discografico della Son Seals Blues Band(Alligator 4703/1973) fu strabiliante e per certi ver-si veramente inaspettato, ed ancora oggi questoalbum rimane forse il migliore inciso dal giovanechitarrista di Osceola. Composizioni come “SittingAt My Window”, “Your Love Is Like A Cancer”,“Cotton Picking Blues”, oppure lo strumentale “HotSauce”, a distanza di quasi 40 anni, non perdonola loro carica emozionale ma sono il prototipo diun blues contaminato ma realmente presente neltessuto culturale e musicale della metropoli. Inquegli anni l’Alligator non produceva ancora lamusica seriale dei nostri giorni, ma dava la possi-bilità ad artisti come il Fenton Robinson di “Some-body Loan Me A Dime” e “I Hear Some BluesDownstairs” (AL 4705/AL 4710) oppure l’HoundDog Taylor (AL 4701/AL4704) dei primi dischi eanche al grande Big Walter Horton ((AL 4702), diuscire dall’anonimato e dal conseguente oblio.«Ancora oggi migliaia di musicisti suonano il Bluesalla maniera di B.B.King. Lo stile di B.B. King éveramente stupendo. Allo stesso tempo se iodovessi continuare per il resto della mia vita a suo-

nare con il suo stile,farei quello che tan-tissimi altri fanno; epotrei anche esserechiamato B.B. KingJunior. Io la pensocosì. Se gli altri cer-cano di imitare B.B.King, perché un gior-no non potrebberoimitare Son Seals? -perché non potreiessere io il respon-sabile di un cambia-mento nello stile delBlues? - Questo èquello che penso emi sforzo di raggiun-gere».Se gli album seguen-ti come “MidnightSon” (Al 4708) o“Chicago Fire” (AL4720) non manten-gono le aspettativedell’album d’esordio;in “Live And Burning”(AL 4712), registratodal vivo al WiseFools Pub, localesituato nel Northsidesu Lincoln Avenue, ilchitarrista nella con-geniale dimensionelive, annichilisce l’a-scoltatore con i suoirauchi e potentihardblues ad altotasso energeticocome si evince dabrani come “FunkyBitch”, “Hot Sauce”,“I Can’t Hold Out”

(Elmore James) o “Help Me Somebody” in cui isuoi fendenti alla chitarra sono perfettamenteassecondati da una band stellare composta dagrandi comprimari della scena blues di Chicagocome il potente sassofonista A.C. Reed, Lacy Gib-son, senza dimenticare Snapper Mitchum al bassooppure l’ex James Cotton Band Alberto Gianquin-to al piano in “Last Night”. Nel corso degli anni ilchitarrista di Osceola si avvierà ad una pienamaturità non solo strumentale ma anche vocale,ed il suo baritono ruvido e ringhiante raggiungeràvette di eccellenza nell’ultimo album inciso per l’e-tichetta Alligator, un live intitolato “SpontaneousCombustion” (Alligator 4846/1996) registrato alBuddy Guy’s Legend di Chicago. Frank Son Sealsinciderà per l’etichetta di Bruce Iglauer un totale di8 dischi, ma se escludiamo alcuni episodi di “BadAxe” (Alligator 4738) come “Cold Blood” e la coverdi “Person To Person”, ma anche il suo potente erauco baritono che impreziosisce “Life Is Hard”,contenuto in “Nothing But The Truth” (Alligator4822), le sue rimanenti incisioni su Alligator sonoavvolte dalla foschia di una rassicurante routine eserialità.Album come “Chicago Fire” (Alligator 4720) e“Bad Axe” (Alligator 4738) ripropongono i suoiblues lenti che vengono alternati a potenti bluescon la solita ed adeguata ritmica funky. Dopo l’u-scita sul mercato di “Livin In The Danger Zone”(Alligator 4798/1991), i rapporti tra il musicista di

Osceola e Bruce Iglauer si deteriorano, edanche se negli anni Novanta uscirono altri duedischi per l’alligator (“Nothin But The Truth” e“Spontaneous Combustion”), Frank Son Sealsnella seconda metà del decennio dovrà vivere inuna drammatica e pericolosa “danger zone” dis-seminata di eventi critici che lo porteranno ad unpasso dalla morte. Nel gennaio del 1997 la suaex moglie gli sparò mentre stava dormendo, per-chè credeva che il bluesman avesse una relazio-ne con un’altra donna, ma il destino fu benevolocon Son Seals: infatti la pallottola si conficcò nel-la mascella e dopo circa sei settimane di degen-za, il musicista ritornò ad esibirsi con assiduitànel circuito dei locali del South e Westside.Nell’estate del 1999 le condizioni di salute delmusicista si aggravarono a cause del diabeteche lo affliggeva da più di 15 anni, ed a FrankSon Seals venne amputata la gamba sinistrasotto il ginocchio, ma l’uomo di Osceola aveva lapelle dura e dopo circa due mesi era ancora ingrado di salire sul palco con l’aiuto delle stam-pelle.

«Ora sto bene. Mi sono imposto di non farmitrascinare completamente in fondo da ciòche mi è successo. Ho ripensato a ciò chemi diceva mio padre: - Finché respiri, figliolo,hai ancora una possibilità - ».

Son Seals is back in town

«Il batterista all’improvviso attaccò e il brusiotacque. Il bassista gli andò dietro, poi siaggiunse l’armonicista e la chitarra. Contro ilmicrofono era appoggiata una chitarra nera.Un uomo snello uscì sul palco. Era tuttovestito di nero, con un cappello da cowboy eun pesante medaglione d’argento. Si chinò,prese in mano la chitarra nera…e la follaesplose in delirio…La maggior parte dei can-tanti di blues inizia con un pezzo ritmato, perscaldare la platea. Lui invece cominciò con“Bad Blood”, una ballata che trapassava ilcuore. Le sue lunghe dita erano come pietrefocaie contro l’acciaio delle corde. Facevanoscintille…Riuscivo quasi a vedere le notescorrere dalla chitarra nera, un nastro liquidodi miele e panna, teso sopra spazi di cemen-to e filo spinato». (Andrew Vachss, La ven-detta di Burke).

L’uomo con la chitarra nera aveva sconfitto la sfor-tuna e il dolore, ed ora era pronto a riconquistare ilposto che gli spettava di diritto nel panoramamusicale di Chicago e conseguentemente nelmondo spietato dello showbiz.

«…Il pubblico continuava a chiedere un bisdopo l’altro e lui continuava a concederli. Allafine si inchinò leggermente, si toccò l’orlo delcappello e sparì dietro al palco. ”Son Seals!”gridò il presentatore, mentre lui se ne anda-va con la chitarra in mano» (4).

La rinascita di Son Seals, come uomo ed artista, èindubbiamente dovuta ad una serie di fattori comeil cambio di etichetta e le sue nuove idee musicaliche dovevano concretizzarsi nel nuovo disco incisoa New York per i tipi della Telarc, che venne pro-dotto dallo stesso musicista e dal chitarrista JimmyVivino. Un altro dato importante da tenere in consi-derazione fu senz’altro il rapporto di amicizia e di

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Son Seals (1979, foto Pertti Nurmi©)

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stima con lo scrittore Andrew Vachss, che nei suoiromanzi ha sempre dato largo spazio al Blues e aisuoi interpreti. Ricordiamo che la colonna sonoradelle avventure di Burke, l’antieroe creato dalloscrittore è costantemente imperniata sui blues chelo confortano e lo accompagnano mentre dà lacaccia a pericolosi killer e pedofili lungo i sentierisordidi della metropoli dove impera il crimine, e laperversione sessuale è avvolta dall’eccitantemagnetismo della seduzione del male.

«La radio continuava ad andare. Prima laPaul Butterfield Blues Band con “Our Love IsDrifting”. Il nostro amore stà andando alladeriva. Poi Bo Diddely con “Before You Accu-se Me” - prima che tu mi accusi. Come se ildisc-jokey sapesse che ero “in ascolto” » (5).

L’album registrato per l’etichetta Telarc usci sulmercato nel 2000 con il titolo profetico di “Lettin’Go” (Telarc 83501), e a riprova del fatto che l’eti-chetta di Cleveland puntasse molto sul rilancio delmusicista, notiamo che in un sampler intitolato“Telarc’s Got More Blues/New Blues For 2000”(Telarc 83503) il bluesman di Osceola è uno deipochi che é presente con due titoli e precisamente“Lettin’ Go” e “Dear Son”. In questo periodo la pro-mozione dell’artista proseguì con l’uscita della rivi-sta Audiophile Sound (Giugno/Agosto 2000) chegli dedicò la copertina e tre brani contenuti nel CDabbinato alla pubblicazione (“Bad Blood” - “Lettin’Go” - “Bad Luck Child”).“Lettin’ Go” fu il primo disco in studio dopo più dicinque anni di assenza dalle sale di registrazione,ed è composto di 14 canzoni e si avvale della col-laborazione dell’amico Andrew Vachss che è l’au-

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tore dei testi di due brani cardine come “BadBlood” e “Doc’s Blues”, mentre l’unica canzone giànota consiste nella ripresa di un suo vecchio clas-sico, ovvero “Funky Bitch”, in cui è presente il chi-tarrista Trey Anastasio, membro del gruppo rockPhish.

«Stavamo suonando a Rockville, Illinois. etra il pubblico c’erano dei ragazzi che conti-nuavano a gridare, richiedendo quel moti-vo…poi scoprimmo che avevano ascoltato iPhish eseguire quella canzone».

Il vecchio Frank Son Seals non era minimamentecambiato. Forse le avversità della vita lo avevanoindurito ancora di più come traspare dalla cruda espietata interpretazione vocale del brano di aper-tura intitolato “Bad Blood”, e se “Lettin’ Go” é sola-mente un blues radio oriented con forti accentifunky, notiamo che con “Bad Luck Child” la staturavocale e strumentale di Seals esplode con prepo-tenza e voracità nel narrare gli attimi di sofferenzapassati, nel tentativo di riscattarsi e di essere risar-cito per tutti i torti subiti.La rabbia é benzina nel cervello e nella chitarradel bluesman di Osceola, e tutto ciò traspare neldrammatico incidere il blues come “Give The DevilHis Due” e nell’autobiografica “I Got Some Of MyMoney”, dove trapela tutta la sua pena e sofferen-za. La sua musica é un audace concentrato diSouthside blues, hardblues condito da una pos-sente ritmica funky con l’aggiunta di fiati ad hoc:un melting pot delle visioni musicali che covanosotto la cenere di una Chicago ormai in fiamme esenza speranza.«Non ho intenzione di allontanarmi troppo da ciò

che faccio, finché esisterà il blues. Ma voglio purerealizzare tutto ciò che sento di musicale. Se miviene una buona idea, desidero metterla alla provaio stesso, anche presentandola al pubblico primadi registrarala. Questo è ciò che è accaduto con ilbrano country & western (“Rockin And Rollin’ Toni-ght”): l’ho eseguito molte volte per verificare comeavrebbe reagito il pubblico, ed esso mi ha dimo-strato di adorarlo.» Dopo l’ottimo riscontro cheebbe “Lettin’ Go”, il bluesman continuò a suonare isuoi blues per altri anni e Burke lo rivide al Flamin-go Club fra la 53rd e Calumet in una gelida seratadegli inizi di dicembre dell’anno 2004; questa ful’ultima volta che lo ascoltò. Infatti il bluesman diOsceola si spense a Chicago il 20 dicembre, pochigiorni prima di Natale. Burke apprese la notiziadella morte di Son Seals la notte di Natale, quan-do guidando la sua Corvette si sintonizzò su unodei programmi di Blues trasmessi dalla KBOO nel-le ore piccole.Dalle casse, Son Seals ringhiava “Before The Bul-lets Fly” e Burke, mentre si accendeva l’ennesimaCamel senza filtro, sorrise al pensiero di queluomo vestito di nero con gli zigomi pronunciati e labarba seduto da solo nel camerino del locale men-tre stava fumando un sottile sigaro nero.

POST SCRIPTUMSon Seals suonava una chitarra Guild con amplifi-catore Fender e la sua chitarra nella luce fioca deiclub sembra nera ma il bluesman ci teneva a pre-cisare che era color verde Cadillac.«Possiedo quella chitarra da 25 anni. Una voltame la rubarono, e dovetti fare il diavolo a quattroper recuperarla. L’ho fatta revisionare e mi piace ilsuo suono.».

NOTE

1) cit., da “Luther Allison/Soul Fixin’ Man”, IlBlues n. 63, p. 11.

2) «Quando tu suoni i blues, sono così forti, que-sto è il motivo per cui lo chiamano Blues

4) cit., da “La vendetta di Burke” di AndrewVachss, Sperling & Kupfer Editori.

5) cit., da “Contro il Male”, di Andrew Vachss,Sperling & Kupfer Editori, pag. 253.

Power. E potete crederci se vi dico che hoinventato il Blues Power».

3) cit., da “Contro il Male” di Andrew Vachss,Sperling & Kupfer Editori, pag. 177

DISCOGRAFIAOpere Soliste LP1) Son Seals Blues Band (Alligator 4703)-USA-2) Midnight Son (Alligator 4708)-USA-3) Live And Burning (Alligator 4712)-4712-4) Chicago Fire (Alligator 4720)-USA-5) Bad Axe (Alligator 4738)-USA-

Opere soliste CD1) Living In The Danger Zone (Alligator 4798)-USA-2) Nothing But The Truth (Alligator 4822)-USA-3) Spontaneous Combustion (Alligator 4846)-USA-4) Lettin’ Go (Telarc 83501)-USA-

Antologie e collaborazioni LP1) Blues Deluxe (XRT 9301)-USA-2) The Blues, Vol, 6 (Sonet 157.102)-GB-2LP-

Antologie e collaborazioni CD1) Artisti Varî: Houndog Taylor/A Tribute (Alligator 4855)-USA-2) Artisti Varî: Telarc’s Got More Blues (Telarc 83503)-USA-3) Artisti Varî: Audiophile Blues (Audiophile/Telarc 012)-USA-4) Artisti Vari: Hey Bo Diddley A Tribute (Evidence 26124)-USA-5) Deluxe Editions (Alligator 5611)-USA-

Musicassette1) Live At B.L.U.E.S. (Blues R&B 93702)-USA-

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Figura di cui abbiamo spesso parlato su que-ste pagine, Alan Lomax è stato molte cose,per usare un termine anglofono lo si potreb-be definire folklorist, in ogni caso non è sta-

to solo un archivista, collezionista, etnomusicologo eproduttore, quanto soprattutto qualcuno che avevauna passione sincera per qualsiasi forma di musicapopolare, nel senso più alto del termine. Era di certouna figura complessa animata da dedizione per do-cumentare e diffondere la musica che tanto lo affa-scinava, malgrado qualche aspetto controverso dellasua personalità, tutti gli appassionati di musica gli de-vono qualcosa.A dieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta nelluglio 2002, lo ricordiamo con due diversi film inDVD, il primo dei quali è una produzione olandese diqualche anno addietro intitolata, “Lomax The Son-ghunter” (DaVid-Rounder) firmata dal documentari-sta Rogier Kappers. Nato con unapproccio più convenzionale, comefilmato sulla vita e l’operato diLomax, il progetto ha preso unadirezione differente dopo che Kap-pers andò a trovare un Lomaxottantaseienne un anno prima dimorire, sereno nel suo buen retiro inFlorida ma quasi incapace di parlarein seguito all’emorragia cerebraleche lo aveva colpito alcuni anni pri-ma. Kappers decise allora di riper-correre le tracce dei soggiorni euro-pei di Alan negli anni Cinquanta,cercando in quegli stessi luoghi ditrovare persone che avessero regi-strato musica tradizionale per luiall’epoca o loro familiari superstiti. Siè messo in strada su un vecchio fur-goncino Volkswagen, con una fotodi Lomax sul cruscotto, dapprimanel nord della Scozia e nelle Ebridi,rileggendo i passi dei diari o dellelettere che teneva nel corso dei viaggi. Di incontro inincontro passa poi in Spagna, dove il ricordo delpassaggio di questo americano così interessato allevecchie canzoni è ancora vivido, e quando Kappersfa ascoltare le loro incisioni di un tempo ad alcunesignore, la loro emozione è quasi toccante. Di gran-de interesse la parte italiana, in Sicilia e Calabria inpiccoli villaggi in cui Lomax era passato nel 1954,l’incontro col registra Vittorio De Seta (scomparso loscorso anno) che in quegli stessi anni aveva giratodocumentari sui pescatori siciliani e aveva incontratoLomax e Carpitella. Le immagini dei viaggi sonoalternate ad altre dell’anziano protagonista in Flori-da, i ricordi della figlia Anna, dei suoi amici, tra cuil’arzillo Pete Seeger e alcuni collaboratori. Un beldocumentario, da cui traspare l’ammirazione delregistra per il suo soggetto, evita però di idealizzarlocerca piuttosto di coglierne la visione e le intuizioni.

Per il bluesofilo segnaliamo che qui la tradizioneafroamericana è presente solo in modo tangente,però è un film che fa comprendere appieno l’enormelavoro di conservazione della tradizione orale delleculture sommerse, e di come fosse riuscito nel suointento di assicurare pari dignità alla musica popola-re rispetto a quella cosiddetta colta.Il secondo film, “The Land Where The BluesBegan” (Media Generation-Cultural Equity), è statoinvece realizzato da Lomax stesso, con JohnBishop e Worth Long per la televisione pubblica delMississippi nel 1979 poi trasmesso dal network pub-blico nazionale, PBS e rimontato per un ulteriorepassaggio sul piccolo schermo nel 1990. Questaedizione in DVD in occasione del trentennale delfilm contiene oltre al film originale di un’ora circa,moltissimo materiale aggiuntivo estratto dalle oltretrentacinque ore di pellicola ricavate nell’arco di un

mese tra agosto e settembre 1978. Rivederlo oggi,è come salire a bordo della DeLorean di “Ritorno alFuturo” ed essere trasportati nel Mississippi di oltretrent’anni fa, per strade di campagna, picnic, chiese,prigioni, fattorie, lungo gli argini, davanti al portico diJack Owens…Colpisce (come già per i filmati coeviraccolti da Ferris), la forza delle voci e delle storieche portano con sè questi uomini e donne, uno pertutti il volto fiero di Beatrice Maxwell mentre raccon-ta la sua vita di contadina. La relazione tra la vita ela musica è molto stretta, tanto è vero che molte atti-vità vengono condotte con essa, dall’arare nei cam-pi, al tagliar legna al lavoro sui binari della ferrovia. Ilfilm restituisce, pur brevemente, una forte percezio-ne della condizione sociale vissuta nel Mississippirurale di quel periodo, senza troppa pedanteria néromanticismi, la voce fuori campo di Lomax si limitainfatti a pochi interventi di raccordo e commento

narrativo. Che bello vedere Jack Owens (inizialmen-te molto diffidente, come Lomax racconta nel suolibro omonimo, Jack negò con decisione di essereun musicista) suonare con l’amico Spires e raccon-tare che lui ha «imparato tutto nei campi, in città nonci sono quasi mai stato», o Sam Chatmon, venera-bile vegliardo con la lunga barba bianca, parlare didonne e blues e suonare ancora con grande sciol-tezza, del resto era ancora molto attivo si vedano lesue incisioni per Albatros, Rounder o L+R. R.L.Burnside si vede brevemente mentre suona sullosfondo di un campo recintato, molto simpaticoEugene Powell, conosciuto discograficamente neglianni Trenta come Sonny Boy Nelson, che oltre asuonare racconta con gusto qualche aneddoto dalsuo passato. Niente affatto semplice da filmare, macatartica, la sequenza in chiesa dove un reverendotiene un sermone in crescendo capace di indurre

uno stato quasi di trance in alcunifedeli. Bellissima anche la scena dichiusura ripresa ad un picnic diOtha Turner, la sua musica fife &drum e un ballerino di fianco cheanticipa il moonwalking di MichaelJackson. Sarà utile menzionare chetra gli extra si possono vedere filma-ti sul making of e il montaggio delfilm, raccontati al giorno d’oggi daJohn Bishop che ironizza sulle diffe-renze tecnologiche, in particolareriguardo al montaggio; ci sonosoprattutto due ore complessive difilmati musicali, per intero, non quin-di soltanto gli spezzoni che com-paiono nel film. Cosa molto apprez-zabile, visto che spesso si avrebbevoglia di godersi tutta la performan-ce di un musicista. La parte più con-sistente è dedicata a Jack Owens eSam Chatmon, il primo è superlati-vo in “Can’t See Baby” (intitolata

chissà come mai “Kansas City Blues”) e “CherryBall” sempre con l’accompagnamento simpatetico diBud Spires. Il secondo, che raramente è stato filma-to, regala alcuni pezzi di storia del blues, suonavacoi suoi fratelli, assurti a classici, tra cui“Sitting OnTop Of The World”. Due soli i pezzi di Burnside,entrambi splendidi, citiamo almeno “Jumper On TheLine”. Di pari impatto sono i filmati di gospel rurale,di piccoli gruppi come i Friendly Brothers con la lorol’interpretazione di “Where Shall I Be?”, che smuo-verebbe davvero anche l’uditorio più compassato.Questa è, riprendendo un commento di Lomax,«musica che una volta ascoltata è impossibiledimenticare», il DVD merita, immancabilmente, unposto nella filmografia di ogni appassionato; troveràla sua collocazione accanto a titoli come “Mississip-pi Blues”, “Deep Blues”, “Feel Like Goin’ Home” ,“You See Me Laughin’” e “M For Mississippi”.

Alan LomaxCacciatore di suoni di Matteo Bossi

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In occasione del BluesRules, festival svizzerodi blues undergroundche si svolge tutti gli

anni a Crissier, abbiamo inter-vistato Kenny Brown e lamoglie Sara Davis. Non cisiamo fatti intimidire dalla car-riera musicale di Kenny, nonindifferente dato il grandenumero di musicisti importanticon cui ha collaborato, eabbiamo approfittato dellapresenza di Sara per sapernedi più sulla storia dell’HillCountry Picnic.Questo festival, dedicato inte-ramente alla hill countrymusic, ha all’attivo dal 2007ben 5 edizioni ed è uno deipiù importanti promotori diquesto genere musicale che, grazie anche a musi-cisti come Jon Spencer, The Black Keys, North Mis-sissippi Allstars, Hill Country Revue e Hillstomp sista diffondendo sempre di più, soprattutto tra i gio-vani. Questa diffusione sta favorendo la conserva-zione della musica e della cultura afroamericana, ene è prova il fatto che moltissime band in giro per ilmondo traggono ispirazione da questo generemusicale e i dai suoi capostipiti.Ebbene si, parlo anche di cultura perché, a differen-za di tutti gli altri blues festival nel mondo, l’HillCounrty Picnic si distingue dal fatto che insieme aimusicisti vengono anche le loro famiglie per ritrovar-si insieme almeno una volta all’anno. Esattamentecome succedeva a metà del secolo scorso, quandodiverse famiglie afroamericane si riunivano durante iweekend per mangiare, suonare e bere insieme neipicnic. Ascoltiamo quindi cosa hanno da dirci suquesto festival che, da piccola realtà, si sta trasfor-mando rapidamente in uno dei festival più interes-santi del panorama underground degli Stati Uniti.

Come è nato l’Hill Country Picnic Festival?Kenny: Suonando la musica delle colline del Missis-sippi mi sono accorto di quanto interesse ci fosseper questa musica. Mi sono stupito di vedere cosìtante persone, anche al di fuori degli Stati Uniti,appassionate di questo genere musica-le. Inoltre, siccome al tempo non c’eranessun festival in Mississippi dedicatoa questa musica, ho organizzato unparty a casa mia con un sacco di per-sone e chiesi loro cosa ne pensavanodi provare a mettere in piedi un festivaldedicato all’Hill Country Music. La mag-gior parte di loro mi disse che era un’ot-tima idea. Sara poi prese in mano la

situazione, e disse che se volevamoorganizzare un festival dovevamo farecosì e così, ed alla fine lei organizzò tut-to. La prima edizione durò un giorno,mentre il secondo anno riuscimmo afare due giorni di festival con più musici-sti. Ricordo che si esibirono 23 o 24band in due giorni. Ma fu Sara a cominciare e a far-ci lavorare insieme.

La maggior parte delle band che si esibisconoal picnic vengono dal Mississippi. Sappiamoperò che avete chiamato anche gruppi da altristati come i Goshen, che band vi interesserebbeavere al vostro festival?Sara: Si, qualche band non mississippiana si è esi-bita da noi. Ricordo che i Goshen erano in tour livicino ed erano nostri amici, così li abbiamo invitatial picnic. In generale noi vogliamo focalizzarci sullaHill Country Music. Ci sono tantissime band che ciscrivono per partecipare al picnic. Diciamo che noisiamo una organizzazione no profit che vuole man-tenere l’attenzione sui musicisti che vengono dalMississippi.

Non è facile organizzare un festival con cosìtanti musicisti, cosa vi richiede più tempo?

Sara: Ottenere i soldi per farlo. E’ lacosa più importante, senza quello ilresto poco importa. Per fortuna abbia-mo molti volontari che ci aiutano duran-te il festival.Non importa da quanto tempo stai pia-nificando l’organizzazione, l’ultima setti-mana deve essere fatto quasi tutto ilresto. Puoi lavorare più che puoi prima,ma poi in quel periodo si è sempre mol-

to impegnati a coordinare glialtri.

Che cosa rende il vostrofestival diverso dagli altriescludendo la musica?Kenny: L’evento che organiz-ziamo è come una riunione difamiglia e un music festivalinsieme, è per questo che loabbiamo chiamato picnic.Esattamente come le famiglieafroamericane della zona chesi ritrovavano il venerdì e pertutto il weekend cucinavano esuonavano assieme.Sara: Molti dei musicisti chesuonano da noi si conosconoe il picnic è una delle pocheoccasioni che hanno perincontrarsi tutti insieme. La

maggior parte di loro arriva con la fami-glia e resta qui per tutto il weekend. E’come una riunione famigliare.Kenny: Si, come una grande riunionefamigliare blues.

È come il continuo del picnic che sisvolgeva a casa di Otha Turner?Kenny: Si.Sara: Si esatto, è proprio così. La famiglia Turnerviene al nostro picnic e una volta all’anno noi andia-mo al picnic organizzato da loro.

Cosa pensate sul futuro della Hill CountryMusic?Kenny: Ci sono tante persone che si stanno avvici-nando all’hill country. Penso che il tour con JonSpencer sia servito a fare si che molti giovani siavvicinassero a questo genere. Forse non conosco-no bene il passato di questa musica, ma possonocomunque approfondire se gli interessa. Ci sonomolte persone che suonano l’hill country in giro peril mondo adesso.Sara: Abbiamo visto che al picnic c’erano personeprovenienti da 37 stati differenti e da 7 differentinazioni radunate tutte insieme per quest’evento.Sono stupita di vedere una distribuzione geograficacosì variegata dell’audience del nostro festival.Kenny: Abbiamo persone che vogliono venire asuonare dal Sud America, dall’Australia e persinodalla Croazia. Purtroppo non abbiamo il tempo e isoldi per averli a suonare da noi. Penso che oral’hill country sia uno dei pochi sottogeneri del bluesancora in vita. E spero che con il nostro apportocontinui a vivere anche in futuro.

(Intervista realizzata il 28 maggio 2011a Crissier, Svizzera)

Storia di unFestivalINTERVISTA Sara Davis & Kenny Brown: i fondatori di The Hill Country Picnicdi Michele Paglia e Giacomo Lagrasta

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«…siamo unaorganizzazione noprofit che vuolemantenerel'attenzione suimusicisti chevengono dalMississippi.»

« La maggiorparte di loro (imusicisti) arrivacon la famiglia eresta qui per tuttoil weekend.»

Sara Davis, Kenny Brown (foto Giacomo Lagrasta)

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Se “M For Mississippi” (“Il Blues”n.105) vi era piaciuto, “We JukeUp In Here!” non vi deluderà af-fatto. Infatti, al di là della confe-

zione accurata contenente il DVD (contanto di sottotitoli in italiano curati daSebastiano Pezzani), un CD con la co-lonna sonora ed un libretto di 20 pagineprivo dei consueti luoghi comuni auto-celebranti, è la prima volta che ci capitadi vedere un documentario in cui i pro-tagonisti sono i locali ed i loro proprieta-ri e non tanto i musicisti che vi appaio-no. Cioè, “We Juke Up In Here!” possie-de il grande merito di raccontare da“dentro” quello che sta accadendo nelmicrocosmo dei juke joint. È ciò accadein questo curioso viaggio che gli infati-cabili Roger Stolle e Jeff Konkel com-piono, assistiti dagli insostituibili Da-mien Blaylock e Lou Bopp dietro lamacchina da presa e Bill Abel dietro ilmixer dello studio di registrazione vo-lante. Ma in realtà gli spostamenti e gliincontri di Roger e Jeff altro non fannoche mettere in luce la fine di un’epoca:quella dei juke joint. Il documentario ini-zia con Red Paden (proprietario delRed’s Lounge di Clarksdale, che cono-scemmo nel 2003 “Il Blues” n.87,pag.41) che apre la porta del suo locale (dove nelfrattempo è sparito il tavolo da biliardo…) decan-tandone, con quella piacevole cialtroneria che nelloscorrere delle immagini e delle sue parole ce lo faràapprezzare sempre più, i fasti dovuti sia agli ospitiche al proprio amore per il blues. Ed è proprio luiche accompagna Stolle e Konkel a Mark, paesino a16 miglia ad est di Clarksdale, dove mostra loro ilsuo locale precedente, il Red Wine, chiuso ormaida tempo perché lo sceriffo, quello nuovo, gli impo-se un orario di chiusura per lui inaccettabile e, pro-babilmente, una maggior attenzione al tipo di clien-tela che lo frequentava. Ma ciò che emerge benpresto in maniera prepotente dagli altri due jukejoint visitati, Po’ Monkey Lounge a Merigold ed il DoDrop Inn a Shelby (quest’ultimo diventato un bardopo essere stato immortalato con Wesley Jeffer-son in “M For Mississippi” solo 3 anni fa), è l’irrea-lizzabilità di essere ancora luoghi in cui sia possibi-le suonare dal vivo. Dominano i dee-jay (venerdì esabato soprattutto), o come afferma Willie Sea-berry proprietario del Po’ Monkey «posso affittare il

locale, ma chi vuole la bandse la deve pagare lui». Il di-scorso è semplice e, ridotto al-l’osso, suona così: siccome inzona non c’è lavoro, di conse-guenza non ci sono soldi.Quindi per riempire il locale

devi tenere i prezzi bassi ed al diavolo la musica dalvivo. Questa situazione, già accennata da Jimmy“Duck” Holmes in “M For Mississippi”, viene qui ri-badita dallo stesso Holmes che afferma come il suoBlue Front Cafe di Bentonia dopo 60 anni di con-

certi live è costretto a ridurre al minimo il blues acu-stico e puntare sul r&b elettrico. Ma il perché dellachiusura di molti locali, e la trasformazione di alcunidi loro in semplici bar, è possibile leggerla anche at-traverso le parole dei musicisti che si alternano alRed’s Lounge, in quanto se tra i vecchi c’è ancora ilricordo del tempo che fu «in cui ne sentivi l’odore dibirra rancida e sigarette un miglio prima» o dellamancanza, oggi, del «sapersi divertire».Comunque c’è un fatto incontrovertibile. La musicache esce dall’unico juke joint del Mississippi ancoraimpegnato nella sua funzione originaria, il Red’sLounge («Ground Zero assomiglia solo ad un jukejoint» Anthony “Big A” Sherrod), in funzione dellasua semplicità o forse proprio per quello, ti fa sentire“a casa”, chiunque tu sia e da qualunque parte delmondo tu venga. E se Lil’ Poochie ed HezekiahEarly lo dimostrano palesemente, diventa logico chePaden desideri passare il testimone unicamente achi ami questa musica soltanto se suonata così.Inevitabile, a questo punto, che il film si concludacon Red che invita Stolle e Konkel ad andarsene,(è ormai notte fonda) «di voi ne ho avuto abba-stanza per un’altra vita», chiude il locale, sale inauto, si allontana e noi ne seguiamo le sue luciposteriori finchè svaniscono sullo sfondo. Ma sia-mo sicuri che, tra un’imprecazione e l’altra, Padendomani riaprirà il suo Red’s Lounge. Non può nonfarlo. È l’ultimo juke joint del Mississippi.

Fine di un’epoca?Immagini e parole da dove tutto è cominciato ed ora sta finendo di Marino Grandi

Jeff Konkel, Red Paden, Roger Stolle (Red’s Lounge, Clarksdale)

«in cui nesentivi l’odoredi birrarancida esigarette unmiglio prima»

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recensioni

TAIL DRAGGER &BOB CORRITORELongtime Friends In TheBluesDelta Groove 150 (USA)-2012-

I’m Worried / Sugar Mama / BirthdayBlues / She’s Worryin’ Me / ColdOutdoors / So Ezee / Through WithYou / Done Got Old / Boogie WoogieBall / Please Mr. Jailer.

Lo avevano anticipato nell’intervi-sta pubblicata nello scorso numerode “Il Blues”, questo album di stu-dio che suggella una bella amiciziaed ora le registrazioni che circola-vano come autoproduzione al festi-val di Lucerna, hanno trovato unapprodo ufficiale presso la DeltaGroove. Non possiamo che ralle-grarcene perché la formazionemessa insieme dal versatile BobCorritore è di alto livello; allineainfatti Brian Fahey alla batteria, gliottimi Chris James & Patrick Rynn,Kirk Fletcher alla chitarra e ad ele-vare di un gradino il tutto, i tocchidi Henry Gray al piano. Un beldisco di Chicago Blues, con lastessa formazione molto apprezza-ta sul palco del festival elvetico anovembre, con un surplus di origi-nali, anche se non tutti nuovi, a fir-ma di Tail Dragger. La sola cover èla classica “Sugar Mama” di JohnLee “Sonny Boy” Williamson, in cuiGray dà una mano anche a livellovocale; splendidamente condottala rivisitazione del suo 45 giri d’e-sordio,“So Ezee”, (un originale del-l’amico Jimmy Dawkins, qui peròaccreditato a Tail Dragger), gusto-so i l d ia logo tra le chi tarre diJames e Fletcher ed infine Corrito-re a condire il brano con sapidi fra-seggi di armonica. L’unico piccolodifetto, a voler essere pignoli, èuna certa tendenza di Tail Draggerad uniformare i brani, tenendo con-to che si tratta in maggioranza ditempi medi o lenti e quasi nellastessa tonali tà. Provvidenzialevariazione e per questo benvenuto,il “Boogie Woogie Ball” col piano diGray a condurre con classe e dina-mismo il brano. Eff icaci anche“Cold Outdoors” che ricordavamo

sul suo disco, splendido, per la St.George e “Please Mr. Jailer”, wol-fiana fino al midollo, in cui il cantodi James Yancy Jones graffia dapar suo e la band, impeccabileancora una volta, gli gira attorno. Ildisco tiene fede alle promesse,blues semplice e gustoso, testimo-nianza di una vera amicizia “inblues”.

Matteo Bossi

RITA CHIARELLIMusic From The Big HouseSoundtrackMade Iris Music 0007 (CND)-2011-

Rita’s Journey / These Four Walls /Mississippi Boy / Don’t Let HimCatch You (with work undone) / Mer-cy Blues / Harvest / Rest My Bones /Glory, Glory / Rain On Me (prison-yard rehearsal) / Rain On Me / ILove You Still / Midnight Special /Convicted.

La blueswoman bianca canadeseRita Chiarelli, dieci anni fa decisedi percorrere la via più famosa delblues, la Highway 61, per venire astretto contatto con una realtàmusicale e culturale alla quale èlegata artisticamente. Il suo pere-gr inare l ’ha condotta dentro i lfamigerato Louisiana State Peni-tentiary conosciuto anche con ilnome di Angola, luogo che cirimanda ai Lomax, padre e figlio, iquali attraverso le tante registra-zioni raccolte, fecero sì che i dete-nuti afroamericani cantori di bluese musica sacra, provassero quelsenso di libertà almeno nella parteespressiva. Furono sempre loro ascoprire nel suddetto penitenzia-rio, Leadbelly. Nel suo piccoloanche la Chiarell i ha fatto unaencomiabile operazione del gene-re, con l’aggiunta di riprese videoper un documentario che dovrebbeuscire quest’anno. Lo speriamo,così da poter leggere i nomi evedere i volti di quei musicisti chein questo bel CD si celano anchedietro il nome di qualche gruppo,probabilmente formatosi proprio incarcere. Le tracce sono tredici, e

la Chiarelli oltre ad aver curato leregistrazioni è presente anchecome cantante. S’inizia però conuno strumentale, breve, melodico,suonato da un piano, e con dellevoci in sottofondo, forse quelle deidetenuti, al quale fa seguito unottimo blues acustico dall’esplicitotitolo, “These Four Walls”, compo-sto e cantato con passione dallaChiarell i. Poi tocca a loro, agliinmates, liberare l’energia e il pri-mo gruppo, nonostante si chia-masse Jazzman, fa del blues dallecoordinate moderne ma dal suonospigliato e ballabile in “MississippiBoy”, mentre con i Pure HeartMessenger si passa ad un climagospel dove sono più le voci chegli strumenti a convincere come in“Don’t Let Him Catch You” e “Har-vest”, di seguito a loro si aggiungela Chiarelli e il binomio è vincentesia nella intensa, “Rest My Bones”che nell’enfatico traditional, “Glory,Glory (Hal le lu jah)” . Di nuovoblues, un notevole slow, “MercyBlues” cantato dalla Chiarelli (pen-sando a Janis Joplin), accompa-gnata dai Jazzman. C’è anche delcountry con la ballata “I Love YouStill”, dove Rita canta ed i LittleCountry suonano, prima del granfinale, tutti insieme come AngolaInmates, più l’artefice di questoCD, per “Midnight Special”.

Silvano Brambilla

DR. JOHNLocked DownNonesuch 530395 (USA)-2012-

Locked Down / Revolution / Big Shot/ Ice Age / Getaway / Kingdom OfIzzness / You Lie / Eleggua / MyChildren, My Angels / God’s SureGood.

Che Dr. John sia una leggenda aNew Orleans e dintorni non è unanovità, ma che questo pianista cheha saputo attraversare decadi evari generi musicali con grandedisinvoltura e talento sappia pro-porre a 70 anni un album modernoe per certi versi innovativo non ècosa scontata: anzi, più ascoltiamo“Locked Down” e più ci convincia-mo che il vecchio Mac resta una

delle personalità di riferimento nelpanorama musicale non solo ame-ricano, non solo blues. Come giàaltre volte ci è capitato, recensia-mo volentieri prodotti che, pur nonseguendo le canoniche dodici bat-tute, hanno un linguaggio che èchiaramente debitore al blues, e dicui inevitabilmente condividono ivalori; in questo caso poi l’apportodel produttore Dan Auerbach, chi-tarrista dei Black Keys, ha incisoprofondamente nel risultato finale,anche per l’ importante cambia-mento apportato nella realizzazio-ne dei brani: all’inizio i due con laband si sono concentrati esclusiva-mente sulla musica, ignorandototalmente le parti vocali, per poiritornare in sala d’incisione dopoalcune settimane e completare iltutto. Da questo punto di vista ilrisultato è probabilmente abba-stanza distante da altri dischi di Dr.John, ma quello che più colpisce anostro avviso è la ricchezza dispunti che ne emergono: ci sonomoltissimi spezzoni sonori, spessonella forma di piccoli groove, trameaccennate e poi riprese, il tuttocaratterizzato dalle differenti tastie-re utilizzate (quasi mai il pianofor-te), volutamente alla ricerca di suo-ni vintage, proposti però con gran-de moderni tà. Ogni canzonedunque riserva una sorpresa, dal-l’iniziale title track, che segna finda subito un’azzeccata commistio-ne fra jazz e r&b, funky e un pizzi-co di psichedelia che non guasta,fino alla conclusiva “God’s SureGood”, che racchiude nuovamentequesto melting pot: in mezzo tan-tissime idee, piccole grandi intui-zioni da raccogliere e gustare,come nell’interessante “Revolu-tion”, con quelle sonorità di chitar-ra e tastiere che ci r imandanoindietro di quasi mezzo secolo. If ia t i d i “Big Shot” cadenzanocostantemente le battute di questoblues, lasciando le voci in eviden-za, per poi proporre gli afflati pro-gressive in “You Lie”, non solo pergli interventi del sax, ma per certearchitetture sonore che rimandanoal Canterbury Sound degli anni‘70. L’anima più rock si manifestanell’intrigante “Getaway”, che sem-bra quasi preparare il terreno a“Kingdom Of Izzness”, un bluesintrigante con i Doors dietro l’ango-lo, mentre funk e cambi di ritmo siincrociano ripetutamente, come in“Eleggua”, brano che va riascoltatocon attenzione. Complimenti dun-que Dr. John, per la capacità diinnovare, sperimentare, cambiarepur restando coerente con il pro-prio stile: uno stimolo sicuro ancheper tutte le giovani generazioni diartisti, non solo di New Orleans edintorni.

Luca Zaninello

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il Blues - N. 119 - Giugno 2012 - 21 -

ERIC BIBBDeeper In The WellDixie Frog 8720 (F)-2012-

Bayou Belle / Dig A Little Deeper InThe Well / No Further / Sinner Man/ Boll Weevil / In My Time / EveryWind In The River / Sittin’ In AHotel Room / Could Be You, CouldBe Me / Money In Your Pocket /Music / The Times They Are AChangin’ / Movin’ Up.

A volte ci si chiede come mai unmusicista come Eric Bibb sia venu-to a stare in Europa, per la preci-sione in Finlandia (ma qualcherisposta un po’ meno retorica delladomanda la sapremmo trovare..).Certo è che nel mentre riflettiamo,ce lo ritroviamo di nuovo oltreocea-no con un ensemble di musicistidella Louisiana, agli studi CypressHouse dell’amico Dirk Powell & co.in quel di Pont Breaux, Louisiana,appunto. Il suo abbigliamento dapescatore del Mississippi ce lo col-loca sempre là, nel nostro immagi-nario filoamericano, quantunque ilsuo lavoro discografico si sia svoltoultimamente, il più delle volte, tra lenostre lande nordiche e la Francia.Ma benché la cosa ci faccia sentirepiù che mai legati agli stereotipi,non c’è niente di meglio che sentir-lo in un disco che riporta a casa lasua musica, quasi suonasse megliointrisa di quell’aria e quell’umiditàche traspira dalle bayou countriesfotografate nella terza di copertina.Un personale “..oh, finalmente!” misuona persino con qualche pregiu-dizio nei confronti dell’europeismomusicale, ma il blues, lo sappiamo,è internazionale; tralasciamo peròla parola “globalizzato”, visto che iregionalismi, anche per il blues,sono quelli che ce lo rendono vivoe variegato, contro all’omologazio-ne stessa del l ’aggett ivo di cuisopra: una differenza fondamenta-le, quasi come quella che ci passatra le parole “prodotto” e “cultura”.E quello che suona Eric, anche sta-volta somiglia di più alla secondache alla prima, ovunque egli si trovie come magistrale interprete dell’i-dioma afroamericano, qui accom-pagnato da altri artisti americanima conosciuti, guarda un po’, ad

una trasmissione inglese. Sonoloro che fanno la differenza (inquanto musicisti e non in quantoamericani) e dalle tracce evocanogli umori cajun della stessa “BayouBelle” o sudisti come “Dig A LittleDeeper In The Well”, arrivando, con“No Further”, a impantanarsi dav-vero in profondità bluesy anticipantii traditional (comme d’habitude, permr. Bibb..) “Sinner Man” o la storica“Boll Weevil”. Quando poi ascoltia-mo “Sittin’ In A Hotel Room”, l’al-bum tocca i vertici melodico – com-positivi a cui l’artista ci ha abituati,più vicino al tocco e alla sensibilitàPiedmont Style ma che, pur con lacover di Taj Mahal “Every Wind InThe River” o l’eterna dylaniana“The Times They Are A Changin’”,ce lo rendono songster a pieno tito-lo. E cittadino del mondo.

Matteo Fratti

OTIS TAYLOROtis Taylor’s ContrabandTelarc 33188 (USA)-2012-

The Devil’s Gonna Lie / Yell YourName / Look To The Side / RomansHad Their Way / Blind PianoTeacher / Banjo Boogie Blues / 2 Or3 Times / Contraband Blues / LayOn My Delta Bed / Your 10 DollarBill / Open These Bars / Yellow Car,Yellow Dog / Never Been To Africa /I Can See You’re Lying.

A cadenza quasi annuale Otis Tay-lor aggiorna con nuovi capitoli lapropria storia, siamo ormai giunti aldodicesimo album col “Contraband”in questione. Nonostante i ritmi dipubblicazione sostenuti, va ricono-sciuto a Otis di essere rimastofedele ad uno stile molto personale,introducendo di volta in volta dellepiccole varianti che rendessero dif-ferente ogni progetto, pensiamo aivioloncelli usati su “Double V”, allacollaborazione col trio del pianistajazz Jason Moran in “PentatonicWars & Love Songs” o alla riletturadel proprio passato col precedente“Clovis Peaople Vol.3”. Non ha maismarrito l’attenzione per tematichescure e poco convenzionali nè lacapacità di raccontare delle storiein un modo immediato, come un

Dark Night / On The Down Low /Tumblin’ Down The Road.

Nato a Chicago nel 1952, Stude-baker John è l’eccellente interpretedi un blues ruvido e diretto, senzaorpelli ma giocato tutto sulle ritmi-che e su interessanti invenzionisonore. Queste caratteristiche, lacapacità di far vibrare le ance del-l’armonica e le corde della chitarracon eguale sensibilità e la notevoleverve creativa fanno di questo arti-sta, che i lettori questa rivistaconoscono bene, uno degli inter-preti più originali nel panoramamusicale della Città Ventosa. Dopoanni spesi “on the road” e dopoaver licenziato tanti album di valo-re, il nostro John ha fatto centronell ’eccel lente “Maxwell StreetKings” (Il Blues n. 115), pubblicatoper la Delmark, che era – come sievince dal titolo – un omaggio aitempi leggendari in cui musicistiblues di ogni estrazione spendeva-no il loro talento nei mercati diMaxwell Street. Sempre per l’eti-chetta di Bob Koester, esce oggi“Old School Rockin’” che, comespiega lo stesso autore, vuoleessere un omaggio a quel «rockin’blues che aiuta la gente a dimenti-care i suoi problemi… un soundche si è sviluppato fra la fine deglianni ‘60 e l’inizio dei ‘70, quando ilblues grezzo ha influenzato tantiartisti contemporanei» (traduzionelibera e un po’ riassunta, ma rendeil concetto). Ammetto che per gustipersonali ero più interessato alprogetto legato a Maxwell Street,ma devo dire che anche in questoalbum Studebaker John ha evitatogli stereotipi ed è riuscito a inner-vare la sua musica con quel suonoruvido e immediato che lo contrad-distingue. Anche la voce particola-re, nasale e ovattata a un tempodel leader contribuisce a renderemolto personali le canzoni (quat-tordici, tutte autografe) qui conte-nute. Ciò che invece non mi con-vince in questo progetto, e ne limi-ta le potenzialità, è l’eccessivadurata dei singoli brani e l’assenzadi un vero slow, fatta eccezioneper “Mesmerized”, discreta ma unpo’ troppo levigata, e l’anomala etipicamente “sua” “Disease CalledLove”. Il resto è una cavalcata rit-mica che si mantiene quasi sem-pre su ottimi livelli considerando ibrani uno per uno, ma risulta unpo’ difficile da ascoltare tutta d’unfiato. Nonostante questo, possia-mo dire che Studebaker John hafatto centro anche stavolta e che ilCD si ascolta con piacere. Magariotto brani oggi e sei domani, perr iposare un po’ le orecchie eapprezzare tutto il dischetto comemerita.

Paolo Cagnoni

pittore a cui bastino pochi tratti perevocare certe atmosfere e l’indefi-nitezza ne accresca la suggestio-ne. È così anche per queste nuovecanzoni, che dal punto di vistasonoro evidenziano in maggioranzauna base acustica, su cui si inne-stano, in varia combinazione i col-laboratori abituali, alcuni dei qualilo accompagnano anche nei tour.Fanno la differenza, in positivo, gliinterventi di Chuck Campbell allapedal steel, ad esempio in “Your 10Dollar Bill”, quelli di Ron Miles allacornetta ma anche il djembe diFara Tolno si ritaglia un ruolo ritmi-co non secondario in un paio dioccasioni. Ci piace spendere qual-che parola per la scarna e lanci-nante “2 Or 3 Times” costruita sol-tanto su pochi accordi dell’acusticadi Otis, qualche nota di basso e illavoro minimale, di cimbali, del bat-terista Larry Thompson, che produ-ce un effetto straniante rispetto altesto, un racconto di vanteria eroti-ca. Gli amori nelle storie taylorianesono spesso sfide aperte ai luoghicomuni, contrastati, interraziali,minacciati dalle condizioni econo-miche, in tal senso ecco “YellowCar, Yellow Dog” dolente e quasicinematografica per le immaginiche richiama alla mente. Qualchemomento ripropone sì giri già speri-mentati, ma rivestiti di arrangia-menti affatto banali, “Look To TheSide”, oppure la stessa “Contra-band Blues”, storia di schiavi usaticome merce di contrabbando daisoldati nordisti durante la guerracivile, dove il violino di Anne Harrislascia la propria impronta. Nel com-plesso, un album solido, piuttostovario, al quale, chi ama il suo tran-ce-blues si accosterà con soddisfa-zione

Matteo Bossi

STUDEBAKER JOHNOld School Rockin’Delmark 818 (USA)-2012-

Rockin’ The Boogie / Disease CalledLove / Fire Down Below / Rockin’Hot / Fine Litt le Machine / OldSchool Rockin’ / She Got It Right /Deal With The Devil / I Stand Alone /Mesmerized / Brand New Rider /

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recensioni

LITTLE FREDDIE KINGChasing Tha BluesMadeWright 67 (USA)-2012-

Born Dead / Crackho Flo / LousianaTrain Wreck / Got Tha Blues On MyBack / Pocket Full Of Money / BackIn New Orleans / King Freddie’sShuffle / Great Great Bamboozle /Night Time In Treme / Bywater Crawl/ Standin’ At Yo Door / Mixed BucketOf Blood (bonus track).

Little Freddie King dopo l’ottimo CDintitolato “At Home In The NewOrleans Musician’s Vil lage”(MMCD120) in puro e direttodownhome style, accompagnatosolamente dalla chitarra di Tim Duffy,ritorna in studio con una band forma-ta dal batterista produttore “Wacko”Wade Wright, dal bassista Anthony“Sheet’s” Anderson e da RobertLewis Di Tullio all’armonica. In que-ste tracce sonore i blues di LittleFreddie King parlano, sussurrano,gridano e piangono come si evincedall’incidere ipnotico di brani come“Born Dead”, “Louisiana TrainWreck”, “Got The Blues On MyBack” e “Standin’ At Yo Door”; poi-ché il blues dovrebbe negare a prioriper la sua stessa origine e prove-nienza, ogni estetica passiva ededonista del bello e sublime in sé eper sé: non esiste stupore e meravi-glia intellettuale per le sonorità che ilblues promana, ma vi è solo consa-pevolezza della cruda realtà socialeed individuale che circonda odovrebbe circondare un vero blue-smen Little Freddie King ha pagatotutti i debiti durante la sua travagliataesistenza ed è ancora con noi percontinuare a suonare i suoi lowdowndirty blues sia sottoforma di ipnoticiboogie come “Great Great Bam-boozle”, oppure ricordando il grandeSlim Harpo e la sua “I’m A King Bee”con il brano “Pocket Full Of Money”.L’essenzialità strumentale scandisceassieme alla voce il tempo del blues,tempo come sintomo disperato didisagio, precarietà, tempo di situa-zioni sociali molte volte spietate ecrudeli (vedi il dopo Katrina) e inquesto lavoro dell’anziano bluesmannon troverete sicuramente poderose

schitarrate tutta tecnica ma nientecuore, né tantomeno sonorità patina-te ed asettiche che certamente nonsi addicono alla storia reale deiblues. Questo bluesman è sicura-mente lontano dalle luci abbagliantidel monopolio musicale attuale, maè autentico e vitale come i suoiblues; dategli una possibilità acqui-stando questo CD intitolato “ChasingTha Blues”.

Ottavio Verdobbio

LEWIS FLOYD HENRYOne Man & His 30w PramAdjust 001(GB)-2011-

Sacred Gardens / Rickety Ol’ Roller-coaster / Man’s Ruin / GuardianAngels / Good News / Short SpaceOf Time / Sentimental Values / Mag-ic Carpet / The Devil’s Workin’ /Went To A Party / Way Out There /Miss Dual Carriageway.

Non vorrei sembrare duro, ma la sto-ria di uno come Lewis Floyd Henryappare come un copione già speri-mentato, e c’è da immaginarsi cosagli sarebbe accaduto in giro per loStato del Mississippi. Probabilmenteavrebbe corso il rischio di cambiarelavoro? Il musicista c’è tutto, ma inAmerica effettivamente le cose gira-no diversamente, guarda gentecome K.M. Williams e se lo sta chie-dendo anche Eric Deaton. E severosimilmente un bel giorno LewisFloyd avesse visto sulla BBC la tra-smissione di Jools Holland con ospi-te Seasick Steve e si fosse detto:“ma ci potrei essere anche io al suoposto e in più sono anche inglese,potrebbe spettarmi di diritto…”, ealla tuta da benzinaio e alla chitarraa 3 corde avesse preferito un belcarrozzino usato con tanto di amplifi-catore che fa scena, copertina esoprattutto tanto blues da strada. Maa quanto pare, per la cronaca, i fattisono andati diversamente, e per lestrade di Londra, mentre intrattene-va i passanti alle uscite della metro-politana qualcuno si è accorto vera-mente di Lewis. Sotto contratto dauna piccola casa discografica, AdjustRecords (Uk House-Techno-Tribal

label), ha pubblicato un lavoro daltitolo emblematico “One Man & His30w Pram”, prodotto da FergPeterkin, non proprio uno dei tanti, ein poche settimane sono arrivati igiudizi positivi di Mojo, e altrove nonsono mancati consensi, con qualchesuperlativo euforico (come… «il figlioillegittimo di Jimi Hendrix dalla vocetuonante…»). Tornando sulla terra evisto sotto una lente oggettiva, LewisFloyd Henry suggestiona con sem-plicità e carisma, canta canzoniautografe facendo un po’ tutto dasolo, voce e chitarra ed accompa-gnandosi energicamente dalla batte-ria. Il risultato sa di blues, attraversol’essenzialità di “Rickety Ol’ Roller-coaster” e in “Good News”, un branoeseguito per due che potrebbe farimpallidire i migliori White Stripes, onel blues sporco di “The Devil’sWorkin’”. Anche se l’album spazia digran lunga su sonorità mediamentepiù rock, sovente elettriche e stra-daiole, con tanto di Jimi Hendrix nelcuore:“Went To A Party” e “MagicCarpet”, e andando anche oltre condivagazioni punk o tinte di dura psi-chedelia “Miss Dual Carriageway”,intervallati da morbidi rock come“Way Out There”. Un’interessanterivelazione della fine dello scorsoanno. L’album è disponibile anche inuna caratteristica versione in doppiovinile, che include anche la versionein CD.

Antonio Avalle

LEBLANCLeblancGabbiano Jonathan 01 (ITA)-2012-

Dark Well / Rock Me Baby / Don’tLet Go / Somebody To Love / I’dRather Go Blind / Part Time Lover /This Is A Man’s World / The RisingSun / Bad Luck City / Jambalaya.

Fascino e sostanza; queste le primesensazioni avute dopo l’ascolto delnuovo progetto di Ty Leblanc natosotto la produzione di Gianluca DiMaggio (managment del TrasimenoBlues Festival). La giovane cantanteoriginaria della Louisiana, già ci ave-va incantato durante la partecipazio-ne alla passata edizione del festivallacustre grazie alla sua potenza

vocale, una sensualità innata e lafacilità nel “sostenere” il palco, carat-teristiche indiscusse delle grandipersonalità; impressioni confermateanche in altre performance alle qualiabbiamo assistito.L’album, dalle accese tinte soul erhythm & blues, è inevitabilmentestrutturato anche sulla forte presen-za dei suoi strumentisti (il meglio ela storia del blues di casa nostra);Pippo Guarnera, Vince Vallicelli,Leon Price e Nick Becattini. Sonocinque le originali presenti (quattroscritte dalla stessa Ty) mentre irestanti cinque classici racchiudonola parte più blues del CD; particolar-mente riuscita la versione di “RockMe Baby”. Come sempre però sof-fermandoci con più attenzione nellaporzione inedita, qui spicca “Some-body To Love”, ritmata ballata soul-funk dalle soluzioni rock dove lavoce di Leblanc grazie ad un’invi-diabile dinamicità ed estensione siintegra in modo perfetto all’armoniadegli accordi…brano che dal vivoassume un grande impatto emozio-nale.Melodie e situazioni soul (old-school) in “Don’t Let Go”, tracciascritta insieme a Nick dove risuona-no tutte le influenze delle voci regi-ne del passato, da Aretha a Etta;brano questo che si contrappone a“The Rising Sun”, composta in col-laborazione a Guarnera, dalle con-notazioni più jazz e r&b. ”Dark Well”è invece il giusto modo di iniziareun lavoro; rock ‘n’ roll “scanzonato”e vitale, ricco di ironia e mestiere!Concludendo questo album omoni-mo firmato Ty Leblanc ci presentaun’indiscutibile talento vocale capa-ce di sorprendere nei più vari stile-mi afro-americani; una protagonistagià matura e convincente, certa-mente pronta per le grandi masseanche se noi ci auguriamo restisempre legata al blues.

Simone Bargelli

ANDERS OSBORNEBlack Eye GalaxyAlligator 4936 (USA)-2012-

Send Me A Friend / Mind Of A Junkie/ Lean On Me / Believe In You /When Will I See You Again? / Black

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Tar / Black Eye Galaxy / Tracking MyRoots / Louisiana Gold / Dancing InThe Wind / Higher Ground.

La carriera di Osborne si è sviluppa-ta in quel di New Orleans a partiredai primi anni ‘90, quando vi si sta-bilì in forma definitiva, lasciando laSvezia dove era nato nel 1966: ilcontesto familiare è stato certamen-te favorevole per la sua crescitamusicale, dato che il padre era unbatterista professionista, e i tantigeneri che il giovane Anders si trovòad ascoltare contribuirono a caratte-rizzare successivamente il suo stile.Fin da giovane il chitarrista ha privi-legiato le sonorità elettriche, virandosovente verso l’hard rock, ma man-tenendo costantemente la portaaperta ad altri generi, fino anche arealizzare album molto intimistici;queste stesse caratteristiche le ritro-viamo nuovamente nel suo ultimolavoro che qui vi presentiamo: l’ini-zio è demandato a un brano dalpiglio quasi zeppeliniano, che ritornasimilmente in “Black Tar”, qui condistorsore a manetta e sbavaturegrunge. “Mind Of A Junkie“, se nonfosse per la voce, sembrerebbeessere uscito dalla penna di NeilYoung, ha tutte le caratteristiche dialcuni suoi brani classici (dura 7:30”,ma non è il più lungo) costruito sudue accordi in minore con un assoloche si sviluppa in lunghi spazi dilata-ti. Seguono quindi un paio di ballate,diverse nelle loro caratterizzazioni,ma molto orecchiabili, certamentedebitrici della scuola dei numerosicantautori a stelle e strisce, uno stileche viene riproposto pure in“Tracking My Roots” e nella tracciasuccessiva, brani più intimistici, gra-devoli, in cui la sottolineatura èlasciata a strumenti come l’armonicao la chitarra acustica in “LouisianaGold”; in mezzo al CD troviamo latitle track, una mini suite che propo-ne inizialmente la stessa atmosferaper raggiungere poi toni quasi psi-chedelici specie nel lungo assolo di7 minuti, che ci ha fatto venire inmente le lunghe cavalcate chitarri-stiche di Jerry Garcia e dei GratefulDead. La seconda metà dell’albumè contraddistinta dunque da atmo-sfere più tranquille, acustiche, e lastessa conclusione è lasciata adaltre due ballate molto piacevoli,“Dancing In The Wind” introdotta daun’armonica solitaria per concluder-si poi coralmente, e quindi la delica-ta “Higher Ground“, caratterizzatadallo struggente violino di StevieBlacke e dall’intensa voce dellostesso Osborne, brano dai toni qua-si religiosi che regala un senso dipace profondo. “Black Eye Galaxy”è un album in cui l’autore si raccon-ta in maniera molto diretta e perso-nale: il blues è qui appena accenna-to (a volerlo proprio cercare), ma

oseremmo quasi dire che Anders simette a nudo, aprendo all’ascoltato-re i propri sentimenti, regalandociun’opera sincera, che certamentemerita di essere ascoltata.

Luca Zaninello

CANDY DULFERCrazyEt’ceteraNow 6006 (NL)-2011-CD+DVD-

CD 1: Stop All That Noise/ Crazy /Hey Now / Flame / Good Music /Complic8ed Lives / Calling NextDoor / Electric Blue / In Or Out / I Do/ Rocket Rocket / No End / Open Up/ Please Don’t Stop / Too Close.CD 2 :Bonus DVD: Candy MeetsMaceo Parker.

Ritorna il brillante sassofono dellabella olandesina Candy Dulfer, dopoil valido “Funked Up! recensito neln.108 (pag.27), con una dozzina dibrani, che, a differenza del passato,presentano, in certi casi, eleganti ecorpose venature rock effettuate dalproduttore Printz Board, già alla cor-te, per una decina di anni, del gruppodei Black Eyed Peas. Peraltro il saxalto continua ad offrire preziose edefficaci volute soul, jazz e r&b ed èproprio, dopo il minuto di solitario fra-seggio allo strumento (“Stop All ThatNoise”), che erutta il serrato e coin-volgente errebì della title-track duetta-to da Board e la Dulfer; sulla stessaonda troviamo anche il buon stru-mentale “Flame”, seguito dall’efferve-scente “Complic8ed Lives”. Dal funkymarcato di “Good Music”, dove al duogià citato si aggiunge come vocalistMario “Tex” James, si passa a quellopiù serrato di “I Do”, dove Candyinsieme a Monn Baker si alterna alsuo sax pungente; più morbido edavvolgente si pone “Rocket Rocket”,e qui il ritmo è scandito dal bassofunkeggiante di Caleb Speir, che sup-porta anche quello di “In Or Out”. Ilblues compare, invece, con il clarinet-to, ed il relativo ed ossessivo giro,ancora di basso, di Tim “Izo” Oringd-greff, alternato tra figure jazzy delsassofono ed un’interessante rappingcentrale dei vocalist, nel sincopato“Electric Blue”. A seguire l’atmosfera

BOB MARGOLIN WITHMIKE SPONZA BANDBlues Around The WorldVizzTone 11(USA)-2012-

Lost Again / Blues Lover / Down InThe Alley / Rather Than Being Free /While You’re Down There / Ice OrFire / Crazy ‘Bout You Baby / Rollin’and Tumblin / It’s Hard To Be OnThe Road / Hard Feelings / TheDoor Was Open / Love In Vain.

Mike Sponza, dopo aver accompa-gnato dal vivo musicisti non italiani,quando può mette il sigillo con delleregistrazioni, usandole poi o per undisco intero, o per inserirle nei suoiprogetti comunitari, “Kakanic Blues”

si fa più pacata, in ottica nu-soul, conlo slow di “No End” ed è sempre “Izo”,questa volta al flauto, ad innervarel’interessante reggae-rock di “HeyNow” ancora con la voce di Board. Siritorna, quindi, al funky, questa voltapiù ammorbidito, di “Please Don’tStop” e la pregevole tromba di JanVan Duikeren che svolge il back-ground rockeggiante unitamente alsintentizzatore di Chance Howard,quest’ultimo anche in veste di vocali-st, sempre con Candy. La chiusura èaffidata alla ballata “Too Close”, anco-ra sullo stile del soul odierno e dellosmooth-jazz, con la sassofonista diAmsterdam sempre sugli scudi. Alle-gato a questo valido ed innovativodischetto, troviamo un DVD (poco piùdi una ventina di minuti) che testimo-nia l’incontro di Candy con MaceoParker a Kinston, North Carolina,dove l’ex-sassofonista di JamesBrown vive; mentre Parker raccontaepisodi della sua vita scorrono foto difamiglia, spezzoni di filmati del Padri-no del Soul, del trombonista FredWesley, di George Clinton, del fratelloMelvin, batterista, e della madre. Il fil-mato termina con un duetto al sas-sofono tra Candy e Maceo, circondatidai ragazzini del posto.

Fog

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recensioniieri, “European Blues Convention”oggi. Con Bob Margolin però è statosorprendentemente spiazzato, per-ché non si aspettava che l’ex chitar-rista di Muddy Waters prendesse luil’iniziativa di realizzare un CD con leincisioni fatte in Slovenia l’annoscorso, dopo un tour (organizzatodallo stesso Sponza) in Ital ia,Austria, Ungheria, Serbia, Croazia eSlovenia. Uno della statura di BobMargolin è meta ambita da moltibluesmen, parliamo di quando vienein Europa, e lui dal vivo si concedevolentieri, ma poi dopo le congratu-lazioni di rito, tutto finisce. ConSponza e i suoi bravissimi musicisti,Moreno Buttinar batteria e MauroTolot basso, la collaborazione inve-ce ha avuto un seguito perché si èinstaurato un rapporto che Margolinfra le note di copertina ha definitomagico e molto ispirato. Questedunque sono le ragioni fondamentaliche testimoniano questo buon CDdove il blues tradizionale, suonatocon naturalezza fra linee elettriche eacustiche, è variegato e stuzzicatoanche da una sobria modernità, edesposto da un convincente Margo-lin, confortato dall’ottima presenza diSponza & Company, musicisti ormaidi livello internazionale ed a loroagio in ogni condizione. La scalettacon pezzi perlopiù autografi, si aprecon la corposa “Lost Again”, cui faseguito l’elettroacustica medio lenta“Blues Lover”, che vive dei buoniapporti di chitarre con o senzaamplificazione. Stessa situazione,ma più preferibile della precedente è“Rather Than Being Free” (di e can-tata da Sponza). Con “While You’reDown There” e “Ice Or Fire” si tornasui passi elettrici dal ritmo snello,con un po’ shuffle e un po’ di funky,Margolin e Sponza continuano adintendersela alla grande e la sezio-ne ritmica è esemplare come delresto per tutto il CD. Uno dei pas-saggi più alti dell’album è la versio-ne acustica di “Crazy ‘Bout YouBaby”, mentre l’immancabile pensie-ro a Muddy Waters è palese conuna buona e contratta versione di“Rollin’ And Tumblin’”, che cede ilpasso al rock’n’roll cantato da Spon-za, con inserti vocali di Margolin, di“It’s Hard To Be On The Road”. Leregistrazioni fatte in Slovenia si chiu-dono con un veloce blues dai trattirockabilly di “The Door Was Open”,ma Margolin tornato a casa ha volu-to aggiungere la sua versione acu-stica di “Love In Vain” accompagna-to da Richard “Rosy” Rosenblattall’armonica. Può apparire strano adirsi, ma Bob Margolin ha ritrovatouna buona vena proprio accanto aimusicisti italiani della Mike SponzaBand!

Silvano Brambilla

CAROLINA CHOCOLATEDROPSLeaving EdenNonesuch 7559-79627 (USA)-2012

Riro’s House / Kerr’s Negro Jig /Ruby, Are You Mad At Your Man? /Boodle-De-Bum Bum / Country Girl /Run Mountain / Leaving Eden /Read’Em John / Mahalla / West endBlues / Po’Black Sheep / I TrulyUnderstand That You Love AnotherMan / No Man’s Mama / Briggs’ CornShucking Jig / Camptown Hornpipe /Pretty Bird.

Anche se la copertina sembra un po’ripetere un clichè abusato dallaband, ricordando sia le foto edite daScott Barretta nella rivista LivingBlues, che sembrare la versionesporca dell’elegante copertina di“Heritage” di qualche anno fa (“IlBlues” n.106), questo “LeavingEden” sa mettere finalmente un po’tutti d’accordo. Il precedente “Genui-ne Negro Jig” (“Il Blues” n.110),album premiato e alquanto soprav-valutato, ci aveva lasciati un po’interdetti con il suo involucro infarci-to da tinte pop ed immerso in qual-che tiepida atmosfera folk blues.Intanto però avevamo apprezzato lepotenzialità dei Carolina con i primidue album che lasciavano sperarebene, in quanto contenevano spuntidi interesse che ci avevano indottiad avvicinarli per un intervista (“IlBlues” n.106). Oggi Rhiannon Gid-dens e Dom Flemons mettono ordi-ne alle loro idee, all’amore per la tra-dizione, e pur perdendo JustinRobinson, alle prese con un bizzarroprogetto da solista con un terzettod’archi, realizzano il loro lavoro piùcompleto, più fruibile e di gran lungameno ripetitivo rispetto agli esordi,intenso e più appassionato rispettoall’insipido “Genuine Negro Jig”. Lealtre novità sono l’ingresso in squa-dra di rinforzi come Hubby Jekins eAdam Matta, tra corde e percussioni,e in più troviamo la presenza dellemani esperte di Buddy Miller, figuramolto legata alla produzione dellatradizione “bianca” americana. Altranota positiva è la maggiore centralitàdi Rhiannon Giddens, voce inappun-

tabile quanto il suo contributo albanjo. Il repertorio dell’album è sem-pre focalizzato su traditional e sucover, poco inflazionate, con il pizzi-co di qualche brano autografo come“Country Girl”, l’unico episodio cheper orecchiabilità li avvicina a queimomenti hip pop presenti nel prece-dente album. Il resto è pesato equa-mente tra blues, folk e bluegrass. Ibrani più illuminanti e vicini al nostrocredo sono sicuramente la strumen-tale “Kerr’s Negro Jig”, il rielaboratotraditional “Boodle-De-Bum-Bum”(associato a Ben Curry), una jugsong cantata da Don Flemons, ilmanifesto folk blues di “Ruby, AreYou Mad At Your Man?” (di CousinEmmy), l’effervescente sensualità di“West End Blues”, vecchio strumen-tale di Etta Baker e Wayne Martin esu cui Rhiannon Giddens ci ha inte-grato parole e voce, mentre la balla-ta semplice e gutturale di “Mama NoMan”, avrebbe potuto essere inter-pretata con i medesimi risultatianche dai nostri Red Wine Serena-ders. Infine merita una citazione tut-ta sua il canto crudo di sole voci“Read Em John”, canzone recupera-ta dagli archivi di Alan Lomax. Tornala fiducia sulle gocciole di cioccolatodella Carolina e sulle loro attraentipotenzialità.

Antonio Avalle

DAVIS COENJukebox ClassicSoundview 1005 (USA)-2010-

Better World / Don’t Ever Be Sorry /Cool With Me Tonight / Long LostFriend / Stranger In My Home / BadLoser / Waitin’ On A Fire / TightTimes / By And By / Big Leg Woman/ After Hours.

Coadiuvato da Jimbo Mathus, il chi-tarista Davis Coen, ormai trapiantatonel Sud degli States, ci offre un lavo-ro di downhome blues che fonde, avolte un mood alla Mississippi JohnHurt mescolato all’attitudine ameri-cana, un po’ figlia di Ry Cooder, chetanto va per la maggiore, oggi, sulmercato indipendente americano.L’aspetto più contaminato con il mel-ting pot roots lo si evince da “Don’tEver Be Sorry”, ad onor del vero,

piuttosto scolastica; da “Bad Loser”,più verace e dal midtempo, moltobello, di “Waitin’ On A Fire”. Un po’ asè stante è il funky sincopato in stileDr. John di “Better World”. In stileDelta Blues abbiamo pagine grade-volissime come “Cool With Me Toni-ght”, grezzo e cooderiano; “StrangerIn My Home” e “By And By”. Vicever-sa più di stile downhome abbiamo“Big Leg Woman” e la cover diArthur Crudup “After Hours”. Moltovicino al mood di Jesse Fuller è lostupendo country blues di “TightTimes”, mentre una sorta di fusionetra lo spirito di Mississippi John Hurte una vena country roots dimora nelbel brano “Long Lost Friend”. Nonun disco eclatante, ma sicuramentegenuino, lontano dagli inutili svolazzidei vaughaniani.

Enrico Lazzeri

EDDIE C. CAMPBELLSpider Eating PreacherDelmark 819 (USA)-2012-

I Do / Spider Eating Preacher / CallMy Mama / Cut You A-Loose / SoupBone (Reheated) / I Don’t Under-stand This Woman / Boomerang /Starlight / Skin Tight / All My Life /My Friend (For Jim O’Neal) / Down-town / Brownout / Been Gone ALong Time / Playing Around TheseBlues.

Buon disco di Eddie C. Campbell, ilsuo secondo per la Delmark, più dialtri una questione di famiglia e diaffetti, prodotto dall’amico di vecchiadata Dick Shurman, vi hanno parte-cipato infatti la moglie di Eddie, Bar-bara Mayson al basso in metà deibrani, il figlio David al violino in duepezzi. Inoltre come ospite specialeun grande chitarrista di cui Eddie è ilpadrino, Lurrie Bell il quale da ragaz-zino suonò il basso nel famoso esor-dio su LP di Eddie, l’indimenticato“King Of The Jungle”. Band funzio-nale con anche una sezione fiati,usata solo in una manciata di canzo-ni, lo stile di Campbell alla chitarra èlegato al West Side primigenio, sen-za concessioni moderniste. Interes-sante anche la scelta delle cover,soprattutto per quanto riguarda unariuscita rivisitazione degli Ohio

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Players “Skin Tight” irrorata di funkycoi fiati a far la loro parte e postasubito accanto, ecco uno dei classi-ci, minori solo per notorietà non cer-to per bellezza, firmati del compiantoJimmie Lee Robinson, “All My Life”;Eddie ne dà una versione di grandesensibilità e dosa a puntino le note,liquide, della sua chitarra, sostenutodalle tastiere minimali di DarrylCoutts. Encomiabile anche la suc-cessiva “My Friend (For JimO’Neal)”, su un ritmo alla Bo Diddleyè un tributo e un ringraziamentorivolto appunto al fondatore di LivingBlues che ha sempre creduto in lui eora attraversa seri problemi di salu-te. L’ascolto scorre senza forzature esi chiude con un duetto acustico trapadrino e figlioccio, con Lurrie all’ar-monica nel brano “Playing AroundThese Blues” che sembra nascerecome qualcosa di colloquiale, spon-taneo e pieno di simpatia, o almenotale è la sensazione che trasmette.Bello dunque ritrovare un musicistadel calibro di Campbell, qualcunoche non esasperi i suoni e le notema le lasci fluire dove serve, senzapreoccuparsi di effetti o velocità, masolo del giusto feeling. Sarebbeauspicabile rivederlo anche sui pal-chi di qualche festival italiano.

Matteo Bossi

DIONTank Full Of BluesBlue Horizon 16787 (USA)-2011-

Tank Full Of Blues / I Read It (In TheRolling Stone) / Holly Brown / Ride’sBlues (For Robert Johnson) / TwoTrain / Do You Love Me Baby / YouKeep Me Cryin’ / My Michelle / MyBaby’s Cryin’ / I’m Ready To Go /Bronx Poem.

Continua il ritorno alle origini cheDion Di Mucci ha iniziato, con gran-de coraggio, qualche anno fa (“IlBlues” n.ri 95 e 102). Ma la prosecu-zione del discorso avviene con quelcompleto ribaltamento compositivoche noi, fedeli alli linea e spessodisillusi, attendevamo. Se sinora neisuoi album erano le cover a domina-re, qui sono i pezzi autografi che,sebbene condivisi in parte con MikeAquilina, ammontano a ben 9 sugli

11 brani presenti. Sarà forse pocoper la generazione di X-Factor, mavorremmo non tanto vede-re/ascoltare i loro prodotti a 72 anni,ma soprattutto gustarne la bontà.Senza per questo voler fare undiscorso generazionale di parte, l’exragazzo del Bronx ci regala, di nuo-vo, un album con i fiocchi. Articolatonella consueta formazione a trio,“Tank Full Of Blues” è l’esempio dicome anche i bianchi possano darvita ad opere strumentalmente mini-mali, in cui c’è spazio solo solo perle note essenziali ed al massimo sigioca a sottrarle anziché aggiunger-le. Prendete ad esempio il tempomedio/lento, ma ben scandito, di “IRead It (In The Rolling Stone)”, e virenderete conto di come la sua vocenarrante salga e scenda di tono lun-go lo scorrere delle note sfiorate, mainsinuanti, della sua chitarra. O laintensa rilettura di “Two Train” (med-ley tra “Still a Fool” di Muddy Waterse “Ramblin’ On My Mind” di RobertJohnson) in cui il suo canto, che nonvuole essere ciò che non può (nero),riesce ugualmente a trasmettere lapartecipazione, sincera, che Dionsta vivendo nell’interpretarla. Ma c’èspazio anche per il ritmo del viaggio,del movimento, che permea “YouKeep Me Cryin’”, con la chitarra delleader e la sezione ritmica impegnatinell’emozionalità necessaria, senzaun passaggio di troppo. Contraltarea ciò è il taccuino dei ricordi cheDion sfoglia con “Bronx Poem”, unoslow dove chitarra e parole, chesembrano rispettarsi a vicenda, trac-ciano immagini di ieri vivide e maiscontate. Tuttociò, e molto altro, ècontenuto in 44 minuti e 33 secondi,a dimostrazione che non è la duratadi un prodotto che ne attesta la qua-lità.

Marino Grandi

NATHAN JAMES & THERHYTHM SCRATCHERSWhat You Make Of ItDelta Groove 151 (USA)-2012-

Chosen Kind / What You Make Of It /Black Snakin’ Jiver / Later On / GetTo The Country / Make It On YourOwn / Rhino Horn / Pretty BabyDon’t Be Late / Blues Headache /

JOE LOUIS WALKERHellfireAlligator 4945 (USA)-2012-

Hellfire / I Won’t Do That / Ride AllNight / I’m On To You / What’s ItWorth / Soldier For Jesus / I KnowWhy / Too Drunk To Drive Drunk /Black Girls / Don’t Cry / Movin’ On.

Questo lavoro segna il debutto diJoe Louis Walker con l’Alligator che,dopo un quarto di secolo di carriera,dimostra di essere sempre un musi-cista appassionato, incisivo, conancora tanta voglia di percorrere lestrade del blues: d’altronde il giova-ne Joe Louis (è nato il 25/12/1949)ha sicuramente vissuto una stagionemusicale assai ricca e stimolante,incontrando decine di musicisti fon-damentali della Bay Area che hannoinciso profondamente nella sua cre-scita musicale. Così il CD parte sen-za esitazioni proprio dalla scop-piettante title track, caratterizzatadall’assolo di chiara influenza hen-drixiana, come coglieremo nuova-mente in qualche altro episodio.Ma se la matrice blues permea lamaggior parte delle tracce, comenell’incisiva “I’m On To You“, guidatadall’armonica dello stesso Walker,l’album si caratterizza per la varietàdi umori che esso sa offrire e dun-que ben venga lo slow di “I Won’t DoThat“ che, oltre all’assolo di grandeintensità, ci offre un’ottimo esempiodelle qualità vocali del nostro, nuo-vamente in evidenza anche nei tonidrammatici di “What’s It Worth“, piut-tosto che nell’avvolgente “I KnowWhy“ che strizza l’occhiolino al soul.Ci sono chiari riferimenti al rock, conmomenti particolarmente accattivanticome in “Ride All Night“, un pezzoche potrebbe tranquillamente essereuscito dalla penna di Jagger/Ri-chards, ma pure in “Soldier ForJesus“ sporcato di gospel, fino aquella “Don’t Cry“ che sbanda, sep-pur in modo abbastanza piacevole,verso un’easy listening ballabile.Non mancano infine episodi più leg-geri, ma sempre gradevoli, come lospumeggiante “Too Drunk To DriveDrunk“, un divertente blues caratte-rizzato dal dialogo fra la chitarra e ilpianoforte di Reese Wynans cheritroviamo volentieri, o anche il suc-

Pain Inside Waltz / I’m A Slave ToYou / First And The Most / You LedMe On / Tri-Tar Shuffle Twist.

Ancora un centro per la DeltaGroove, questa volta a segno conNathan James. L’autore ben spiegail progetto nelle note di copertina:dopo anni di blues acustico, i ldesiderio di mettere insieme unaband per mescolare Delta, EastCoast Piedmont e r&b’50-’60. Il pri-mo plauso va alle scelte di pro-duzione ed al missaggio davvero“americano”: volumi aperti per glistrumenti e frequenze medio-basseenfatizzate, dove soprattutto lavo-rano le chitarre di Nathan; appenasotto la voce, quasi fosse nonamplificata, a trovare l’effetto jukejoint. I brani sono arrangiati confreschezza e veleggiano tutti tra ilbuono e l’ottimo; il trio gira alla per-fezione (eccellenti Troy Sandow albasso e Marty Dodson alla batte-ria) e infila variazioni a raffica pref-erendo, appena possibile, caderesul tempo tagliato. Abbastanzaagevole r icondurre le canzoniall’uno o all’altro genere tra quellicitati da James, sin dall’Hill Coun-try Blues del le pr ime “ChosenKind” e “What You Make Of It”,dove Nathan grattugia a dovere lawashboard-guitar che si è fatto acasa (in pratica, una elettrica dallaforma cigar box, con il top a wash-board). Per l’amor di Dio NON fatecome me e non ascoltate “Get ToThe Country” in macchina - è venu-ta dura spiegare all’Agente dellaStradale che, pur ballando appesoallo specchietto retrovisore, riusci-vo a guidare in sicurezza. Ciascu-na delle citate vale il prezzo delbiglietto e non sono da meno ibrani in st i le Piedmont: “BlackSnakin’ Jiver” e “Pretty Baby Don’tBe Late”, dove un kazoo zan-zaroso, ubriaco e perfetto trasfor-ma il divertimento in vero spasso.Al torrido riff di “Rhino Horn” misono fiondato in negozio per com-prare chitarra, amplificatore e bot-tleneck. Posso confermare chel’apprendimento richiede sacrificio:mi è costato 4.000,00 euro, ma oraso che è meglio lasciar fare a chi didovere. Megl io avrei fat to adascoltare il brano fino alla fine pergodermi la sterzata talkin’ blues(ho comunque ritrovato il buonu-more con i l ¾ di “Pain InsideWaltz”). La voce di James e la suaclasse alla sei corde non fanno unapiega quando entrano a piedi pariin territorio r&b, già con la ballata“Later On”, più avanti con “I’m ASlave To You” e “First And TheMost”. Pur vero che siamo a metàanno, ma anticipo tutti e non temosmentite nel candidare “What YouMake Of It” per la top ten 2012.

Matteo Gaccioli

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recensionicessivo “Black Girls“, molto ben gio-cato sui fraseggi della slide e gliintermezzi delle fanciulle del coro. Ilfinale è lasciato al vecchio cavallo dibattaglia del compianto Rory Galla-gher, quella “Movin’ On“ che JoeLouis interpreta con personalità,dandone una rilettura decisamentemoderna, nuovamente coadiuvatoda alcuni interventi puntuali del pia-noforte. Grande personalità emestiere caratterizzano anche que-st’ultimo lavoro del chitarrista di SanFrancisco che certamente non delu-de, conferma quel sound che datempo lo caratterizza con soluzionistilistiche sempre interessanti.

Luca Zaninello

DAVID MAXWELL& OTIS SPANNConversations In BluesCircumstantial (USA)-2010-

Marie / Otis In The Dark / Transition#1 / Off The Cuff / Walking TheBlues / Transition #2 / Cow CowBoogie / David In The Dark / Otis’sGreat Northern Stomp / Get YourHands Out Of My Pockets / TwistedTendons / Walk That Walk / SpanAnd Bob / Transition #3 / Take MeOn Home / Thank You Otis.

In un precedente articolo lamentava-mo l’assottigliarsi dei rappresentantidell’arte del piano blues, qui troviamouno dei più stimati pianisti in attività,David Maxwell, noto soprattutto comesideman (Freddie King, James Cot-ton, Ronnie Earl…) ma con qualcheproduzione a proprio nome nel corsodi una ormai lunga carriera. Questoprogetto lo ha pensato, crediamo,come una sorta di omaggio a coluiche ha cambiato la sua visione dellamusica e il suo modo di suonare, OtisSpann appunto. Maxwell ebbe mododi conoscerlo direttamente nellaseconda metà degli anni Sessanta edi assimilarne le particolarità stilisti-che. Il disco è interamente strumenta-le e Maxwell è l’unico strumentista deldisco tranne per quattro tracce in cuicompare proprio Spann, in una dellequali con Robert Lockwood alla chi-

tarra. Non si tratta di inediti, è beneprecisarlo, ma di un dialogo virtualeche Maxwell ha imbastito estrapolan-do dei brani dalle sessioni di Spannper l’etichetta Candid nei primi Ses-santa; operazione discutibile, malgra-do animata dalle migliori intenzioni; isuoi interventi almeno non si possanodefinire invasivi, ma non ci sembraincidano sul valore intrinseco dellamusica . Nel resto del disco troviamocomposizioni di Maxwell stesso,sovente rielaborazioni di temi diSpann, “David In The Dark”, che fun-gono da dimostrazione, se ve ne fos-se bisogno, della maestria e capacitàtecniche e stilistiche raggiunte. Èindubbiamente pianista molto educa-to, non scevro da influenze diverse, asuo agio sia nei boogie, “Cow CowBoogie” che nei momenti più medita-tivi, splendida in tal senso“Take MeOn Home”, forse l’apice espressivodell’album. Rimane in parte la sensa-zione della tipologia di disco realizza-to in primis per sé stesso e per rende-re onore al più rilevante pianistablues del dopoguerra, elementi checomunque gli amanti del pianopotrebbero apprezzare.

Matteo Bossi

SHARON LEWIS& TEXAS FIREThe Real DealDelmark 816 (USA)-2011-

What’s Really Going On? / The RealDeal / Do Something For Me / CrazyLove / Mother Blues / Blues Train /Please Mr. Jailer / Mojo Kings / Sil-ver Fox / You Can’t Take My Life /Ain’t No Sunshine / Don’t Play ThatSong / Angel.

Buon disco ma fortemente di manie-ra per questa cantante soul/blues,accompagnata da un’ottima bandche vede anche, in alcuni brani,ospiti di rispetto come l’armonicistaBilly Branch ed il chitarrista DaveSpecter. La voce della nostra è mol-to espressiva, risposa, ma sa rag-giungere un potenziale powerful.Qualche cover e poi brani originalicome l’apertura di “What’s ReallyGoing On?”, southern soul in stile

Stax/Atlantic, come anche “BluesTrain” dal piglio funkeggiante. Deci-samente notevole è la rilettura delgrande r&b anni Cinquanta di Wyno-na Carr, “Please Mr. Jailer” che esal-ta le doti vocali della Lewis. Moltotarantiniano è il soul teso e notturnodi “Do Something For Me”, che ricor-da certe pagine di Marlena Shaw odi Ann Peebles. Se “The Real Deal”è un soul funk che ricorda lo spiritodi certe cose di Betty LaVette, vice-versa molto calligrafica è la cover diVan Morrison, “Crazy Love”, come diaccademismo e di manierismo sof-frono “Mother Blues” e ed ilsoul/blues di “You Can’t Take MyLife”. Vivace r&b è “Mojo Kings”,mentre il jazz stempera il soul di“Silver Fox”. Sorprende non poco laversione reggae style del classico diBill Withers, “Ain’t No Sunshine”.Proveniente dall’Atlantic come gustoè il soul di “Don’t Play That Song”,dai repertori di Aretha Franklin e diBen E. King, mentre piuttosto dimaniera è la soul ballad di “Angel”.Un disco discreto, non certo da tra-scurare.

Enrico Lazzeri

THE JB’s & FREDWESLEYThe Lost Album featuringWatermelon ManHIP-O Select/ Polydor 0016192(USA)-2011-

Watermelon Man / Sweet Loneliness/ Secret Love / Seulb / You’ve Got AFriend / Transmograpification / UseMe/ Get On The Good Foot / Every-body Plays The Fool / Bonus Tracks:Alone Again (Naturally) / Back Stab-bers / J.B.Shout / Funky & Some.

Rivedono la luce, dopo una quaran-

tina d’anni, i brani che il trombonistadi James Brown, Fred Wesley, ave-va inciso con i JB’s nel lontano1972 ed il relativo padellone era giàstato catalogato come People 5603,numero che, all’ultimo momento,venne assegnato, per motivi scono-sciuti, all’ottimo “Doing It To Death”,uno dei 33giri più validi dei musicistidel Padrino del Soul. Qui, dovedominano gli strumentali, l’incipit ècostituito da una rilettura di spesso-re del famoso brano del pianista edorganista jazz, Herbie Hancock, giàcitato nel t i tolo e peraltro giàimpresso su 45 giri, e svolto conestrema efficacia nel suo coinvol-gente percorso funkeggiante: brilla-no e si esaltano oltre al trombone diWesley, il possente ed articolatobasso di Fred Thomas e la chitarradi Jimmy Nolen, ricordando che ilruolo del batterista è qui ricoperto,cosa non usuale, dal lo stessoJames Brown. Con volute del tuttojazzate si dipana, invece, lo slowswingante di “Sweet Loneliness”,sostenuto dal morbido e convincen-te fraseggio delle lucenti trombe diRandy Brecker e di Jon Faddis, econ il maestoso Ron Carter che,dall’alto del suo basso tradizionale,detta i tempi del brano insieme allabatteria elegante e pulita di SteveGadd. Anche i successivi “SecretLove” e “Seulb” si muovono nellastessa stessa direzione e con gliillustri jazzmen appena citati, privi-legiando il lato orchestrale dellacomposizione che si muove nel-l’ambito boppistico, mettendo anco-ra in mostra un paio di pregevoliassolo della metronomica di Gadd.Nello stesso contesto è interessan-te l’adattamento di “You’ve Got AFriend” della country-girl CaroleKing, dove trova spazio l’interventodi spessore del pianista Pat Rebil-lot. Ci si rituffa, con il trombone, nelfunky browniano dell’effervescente“Transmograpification” (del jazzmanDave Matthews), che si ripete nellacover di “Use Me” di Bill Withers,dove rinfoltiscono l’orchestra nomicome Lew Soloff (alla tromba) eCornell Dupree (chitarra); il JamesBrown più autentico lo ritroviamo,infine, nel ribollente ritmo di uno deisuoi classici “Get On The GoodFoot”, e, quindi, una colorata edavvolgente “Everybody Plays TheFool” chiude il vecchio vinile con levoci appropriate di Hilda Harris edel più famoso Hank Ballard. Que-sto dischetto, prezioso per gl iappassionati del soul e del funk (eanche del jazz), chiude con quattrobonus, già pubblicati per juke-box,dove emergono un’ottima “BackStabbers”, hit degli O’Jays, e la friz-zante “J.B. Shout” del duo Brown-Wesley.

Fog

Chi desidera sottoporre CDDVD da recensire è pregato diinviarli, possibilmente in duplicecopia, a IL BLUES - RubricaRecensioni - Viale Tunisia, 15- 20124 Milano.Si prega di non inviare ai singo-li recensori materiale destinatoalla recensione su “IL BLUES”.

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MARCO MARCHI &THE MOJO WORKERSListenin’ To My SoulAutoprodotto (CH)-2011-

Intro / I Can’t Be Satisfied / BankersBlues / Dead Cats On The Line / I GotMy Mojo Working / Sporting Life Blues /My Babe / Crossroads Blues / CocaineBlues / Write Me A Few Lines / PoliceDog Blues / Dedicated To Greta.

Se escludiamo i veterani, non comeetà, ma come esperienza, Bat Batti-ston, Philipp Fankhauser, Andy Egerte qualche altro di cui ci sfugge ilnome, di altri bluesmen svizzeri non cisono mai pervenute notizie concrete,salvo aver avuto l’occasione neglianni di assistere a qualche loro esibi-zione sui tanti palchi dei festival bluesdella Confederazione Elvetica. Acco-gliamo dunque questo trio nato nel2009 per volere di Marco Marchi, chi-tarra acustica, resofonica e voce, cheinsieme a Claudio Egli all’armonica ePeo Mazza, batteria, percussioni ewashboard, ha rivisitato dieci coverpescate fra il repertorio elettrico edacustico, accomunandole ad unavisione tradizionale ornata da un’at-mosfera, creata costantemente da unimpegno collettivo, sobria ma esigen-te nella ricerca di genuinità. MarcoMarchi e soci si muovono con discre-zione e naturalezza in più situazionistilistiche, Delta Blues, Piedmont, rag-time, con le quali hanno saputo crearedi nuovo interesse per alcuni bluesdivenuti molto popolari, “I Can’t BeSatisfied”, “My Babe”, una versionepersonalissima di “Crossroads Blues”e una pregevole “Write Me A FewLines”. Accanto a questi fanno bellamostra altri blues non ordinari come“Bankers Blues” (di Rory Gallagher),“Dead Cats On The Line” (di TampaRed), “Cocaine Blues” (di Rev. GaryDavis) e “Police Dog Blues” (di BlindBlake). Il CD è aperto da un breveintro che in maniera più estesa vienemesso alla fine, è uno strumentale diMarco Marchi dal titolo, “DedicatedTo Greta”. Abbiamo gradito, e li invi-tiamo a proseguire nel percorsointrapreso, dando magari più spazioa composizioni personali. Per contattiwww.myspace.com/marcomarchithemojoworkers

Silvano Brambilla

MZ DEELetters From The BootlandAutoprodotto (I)-2012-

Nothing But The Radio On / Sugar-man Sugarman / I’d Rather Go Blind/ Hit Rock Bottom / In all My Dreams/ Sticky Situation / That’s The WayGod Planned It / Going Down Slow /Desire Street / I Love You MoreThan You’ll Ever Know / Keep YourGirlfriends Away From Me / If I Nev-er See You Again (It Will Be TooSoon).

È un qualificato artista MaurizioPugno, non solo come chitarrista,ma anche come autore e arran-giatore, realtà queste che gli per-met tono d i r idare smal to eri/avviare l’interesse di alcuni arti-sti americani, a casa loro, comenella Europa unita. Con modestiae competenza sa evidenziare illoro lato stilistico, lo ha fatto perSugar Ray Norcia e Mark DuFre-sne con il precedente CD, “KillThe Coffee” con un’ambientazioneblues, e lo ha fatto ora per la can-tante neroamericana, Mz Dee piùincline al soul e r&b. Nella suamissione Pugno è coadiuvato daisuoi val id iss imi comprimar i , i ltastierista Alberto Marsico e il bat-terista Gio Rossi, la sezione fiati(The Cape Horns) con due sax,trombone e tromba (il fratello diMaurizio, Mirko) la quale per con-v inz ione e tenuta è par i a l lemigliori sezioni fiati del soul/r&b diMemphis e, qua e là, il trio vocalefemminile The Sublimes. Ovviodunque che Mz Dee si è trovatanelle migliori condizioni per espri-mere il suo canto maturo e mute-vole, ma quello che più si notanelle dodici tracce, otto autografe(Pugno/Mz Dee) e quattro cover èla parte italiana, musicisti in gradodi annodare in maniera esemplareil passato con il presente già inapertura con il r&b “Nothing ButThe Radio On”. Con “I’d RatherGo Blind” l’emotività affiora pen-sando a Etta James e, a com’èstato rivisitato un simile gioiellino,ottima Mz Dee, l’assolo e l’accom-pagnamento di Marsico, il pene-trante intervento di Pugno, l’eccel-lente tocco dei tamburi di Gio

JANIVA MAGNESSStronger For ItAlligator 4946 (USA)-2012-

There It Is / I Won’t Cry / Make ItRain / Whistlin’ In The Dark / I’mAlive / Ragged Company / You GotWhat You Wanted / I Don’t Want ToDo Wrong / Thought I Knew You /Dirty Water / Things Left Undone /Whoop And Holler.

È ormai noto che Janiva Magness èuna stimata cantante, è socialmenteimpegnata in un programma per lacura dei bambini dati in affido, negliultimi anni ha ricevuto parecchi rico-noscimenti ed ha trovato, grazie alla

Rossi, la linea dei fiati e le delica-te voci femminili. Con toni con-temporanei si rimane nell’atmo-sfera soul ballad di “In All Of MyDreams”, dopo il blues scandito“Hit Rock Bottom”. L’intro chiesa-stico dell’Hammond ed il suo pro-sieguo, notifica una bella versioneda l la emanaz ione gospe l d i“That’s The Way God Planned It”di Billy Preston, per passare poiad una rivisitazione finalmentenon standard izzata d i “GoingDown Slow”, qui leggermente piùritmata e con il sempre preziosoapporto dei fiati. C’è ancora lozampino di Marsico nella sceltadella cover “I Love You More ThanYou’ll Ever Know”, perché è di AlKooper, altro tastierista come BillyPreston. Il New Orleans sound in“Desiree Street” e il r&b da bigband anni quaranta in “Keep YourGirlfriends Away From Me”, con-tribuiscono a declamare l’esitopositivo del CD che viene chiusoda un’altra efficace soul ballad, “IfI Never See You Again (It Will BeToo Soon)”.Per contatti www.mauriziopugno.it

Silvano Brambilla

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recensionimusica, la forza di riscattarsi da unavita che dopo averle tolto tanto lasta, finalmente, ripagando. Qualcheanno fa è arrivata alla Alligator chele ha pubblicato gli ultimi tre CD(compreso questo) con la conse-guente definitiva spinta in termini dipopolarità, divenendo un’icona delblues contemporaneo con risvoltisoul e r&b. Il CD in esame però sipresenta sulla linea dei precedenti,in quanto si inizia a sentire una stan-dardizzazione strutturale, i pezzisono arrangiati in funzione di sono-rità palesemente moderne, dove tut-to è prevedibile per una propostageneralista, a discapito del feeling.Janiva non fa mancare la sua gene-rosità e passione con un canto leg-germente velato, mentre i musicisti,schierati in elettrico ed impegnatianche ad accompagnare con le voci,adempiono con consuetudine il lorodovere, facendo mancare qua e làdel carattere. Fra le dodici tracce,sono pochi i momenti sui quali sof-fermarsi, si scivola via sugli accentiritmici convenzionali di “There It Is” esu quelli lenti di “I Won’t Cry” (duedei tre pezzi firmati da Janiva), men-tre la cover di Tom Waits “Make ItRain” vive per una buona interpreta-zione al canto. “Whistlin’ In TheDark” (terzo pezzo autografo), è solouna bella canzone pop che si fadimenticare dalla seguente buonarivisitazione, percussiva e oscura, di“I’m Alive” di Shelby Lynne che, se lamemoria non ci tradisce, è una can-tante country. Janiva ha pescatoanche nell’ampio e stimolante reper-torio di Ike Turner, “You Got WhatYou Wanted” è il pezzo, ma il passosoul/blues dato è lontano dall’e-spressione corroborante della stori-ca coppia Ike e Tina Turner. Ancoraatmosfere soul/blues in “I Don’t WantTo Do Wrong” e questa volta è unabuona ballad, sia per il canto che perl’accompagnamento. Sul finale delCD si trova la parte migliore, un altrooscuro e torpido blues, “Dirty Water”,un’altra ballad introdotta dalla solaJaniva al canto, e una trascinante“Whoop And Holler”, una sorta dicanto di lavoro.

Silvano Brambilla

HERITAGE BLUESORCHESTRAAnd Still I RiseRaisin’ Music 1010 (F)-2011-

Clarksdale Moan / C-Line Woman /Big-Legged Woman / Catfish Blues /Go Down Hannah / Get RightChurch / Don’t Ever Let NobodyDrag Your Spirit Down / GoingUptown / In The Morning / LeveeCamp Holler / Chilly Jordan / HardTimes.

La foto di copertina potrebbe trarrein inganno. Caso risolto: non abbia-mo di fronte i parenti dei CarolinaChocolate Drops, anche se il richia-mo alla copertina del loro album“Heritage” (“Il Blues” n.106) sembraeffettivamente evidente. Seppur aldebutto la Heritage Blues Orchestra,basata a New York City, non è pro-prio formata da novellini. Il collettivo,guidato dai tre musicisti e vocalist dicolore in copertina, è formato dalpolistrumentista Bill Sims Jr. (che hagià pubblicato un album omonimo dasolista nel 1999), da sua figlia Cha-ney Sims (diverse collaborazioni conOdetta, Bernard “Pretty” Purdie, GuyDavis) e dal più noto dei tre JuniorMack (Allman Brothers Band, JoeLouis Walker, Derek Trucks, MagicSlim, Honeyboy Edwards, Jeff Hea-ley e altri). La band è allargata conla presenza di Vincent Bucher all’ar-monica, Kenny “Beedy Eyes” Smithalla batteria (rapidamente diventatotra i più ricercati batteristi in circola-zione), e una sincronizzata sezionefiati composta da Bruno Wilhelm(sax tenore e arrangiamenti), KennyRampton (tromba), Steve Wiseman(tromba), e Clark Gayton (trombone,sassofono e tuba). Si conviene suquanto setacciato nella tradizioneblues e nell’universo di cover, ripro-ponendo sovente questo sacrorepertorio con fedeltà e senza lamedesima passione. Agli HOB l’ope-razione invece riesce con disinvoltu-ra, senza aggiungere e togliere nullaa quanto già ascoltato, ma mostran-dosi in modo singolare con etti dipuro sentimento, consapevoli chenulla o poco si può aggiungere aquanto già sentito. Quest’album fun-ziona perché sa emozionare lam-bendo l’universo della musica afroa-mericana. Dalla grinta del countryblues a quella più cocciutamenteurbana, dalle atmosfere sfacciate diNew Orleans a canti di lavoro convoci e battiti di mani, per rifiorire suinfusi di jazz e ritornare a pulsantitamburi per ripercorrere la radice ditutto questo. L’introduttiva “Clarksda-le Moan” di Son House scarica brivi-di a fior di pelle, avvincente invece larilettura di “C-Line Woman” ricordata

di solito con la versione di NinaSimone. In mezzo classici prove-nienti dal song book di MuddyWaters, la rilettura di “Catfish Blues”piace e convince la work song “GoDown Hannah” ripresa dagli archividi Alan Lomax. Bill Sims prende lavoce solista su “Going Uptown”, unacanzone tradizionale sulla discrimi-nazione minorile, ogni singola trac-cia delle dodici presenti potrebbeessere dettagliatamente riportata. Inchiusura scopriamo i sette minuti di“Hard Times”, che evolve su unostrato acustico per spingersi in unajam dai colori jazz, il contributo deifiati resta discreto e mai invasivo intutto l’album. Allora siamo pronti aripartire dal primo brano: “Clarksda-le, Mississippi, è e sarà sempre lamia casa - ed è la ragione per cui misenti qui intorno seduto a gemere”(Son House).

Antonio Avalle

THE EXCITEMENTSSamePenniman 003 (E)-2012-

Take The Bitter With The Sweet / IDon’t Love You No More / I Do TheJerk / Never Gonna Let You Go /Wait A Minute / Let’s Kiss And MakeUp / Fat Back / Won’t You Let MeKnow / From Now On / I Want To BeLoved / If It Wasn’t For Pride / LoveIs Here To Stay.

Grande soul band di Barcellona,capitanata dalla voce asciutta epotente di Koko Jean Davis che sistaglia su una registrazione analogi-ca in mono e molto secca nel suonoe questo mi fa pensare che, con unaproduzione migliore in termini finan-ziari, senza snaturarne l’essenza,questa band avrebbe un suonoancora più travolgente. La sezionefiati spinge a meraviglia e tutto ilsuono va verso l’attitudine del dan-cefloor e del party che sono l’animadella scena Northern Soul. In Spa-gna c’è un grande giro legato alsoul, specie in serate, club, collezio-nisti, soul dancers, etichette, tant’èche, nell’underground, ha soventesuperato USA e Regno Unito chespesso sono fari solo di cartone eche vivono della rendita di un mito,

ma i fatti e la realtà, a volte, sono indisaccordo col nostro mito. L’unicapecca, se tale può essere, data laforza del disco, è la sola presenza dicover. Una sola soul ballad: “NeverGonna Let You Go” e poi via con ledanze. Ottimo l’uptempo di “TakeThe Bitter With The Sweet”, grandebrano Northern Soul, poi soul grooveritmato, scarno, ma efficace di “IDon’t Love You No More” di HB Bar-num. Di stile early Motown è “I DoThe Jerk”, mentre un bel soul funk è“Wait A Minute”, tratta anche come45 giri. Vicini al suono Stax sono“Let’s Kiss And Make Up” e “I WantTo Be Loved” di Rufus Thomas.Notevole lo strumentale funky soul di“Fat Back”, mentre un’altra grandepagina di Northern Soul è “Won’tYou Let Me Know”. “From Now On”di James Brown è un classico funksoul, mentre “If It Wasn’t For Pride” èil classico Northern Soul pensato perla pista. Chiude un soul funk primiti-vo che è “Love Is Here To Stay”.Gran bel disco che fa il paio conSharon Jones e sta portando il soulclassico e vintage in auge, in unascena discografica che aveva presouna vena troppo plastificata, ma ilmerito va sempre però alle indielabels. Per gli amanti di un soul daballo, vero, da sudare sulla pista.

Enrico Lazzeri

CURTIS SALGADOSoul ShotAlligator 4947 (USA)-2012-

What You Gonna Do?/ Love ComfortZone / Getting’ To Know You / SheDidn’t Cut Me Loose / Nobody ButYou / Let Me Make Love To You /Love Man / He Played His Harmoni-ca / Baby, Let Me Take You In MyArms / Strung Out / A Woman OrThe Blues.

Infilare nel lettore l’ultimo di CurtisSalgado è un “tuffo al cuore” o …uno “sparo nell’anima”: potrebbe leg-gersi anche così il titolo che il men-tore dei Blues Brothers da al suolavoro nel passaggio all’AlligatorRecords di Chicago. Ed è con unagodibile verve di cover e non che, inquasi una dozzina di tracce, l’orche-stra dell’armonicista di Eugene, Ore-

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gon, rivisita con grinta la musica conla quale anni fa il “Blues Male Artistof the Year 2010” coinvolgeva il pub-blico nei locali di Portland e dintorni,diventando amico e ispiratore dellostesso John Belushi, alias JolietJake nel famosissimo film musicaledi John Landis, anni ‘80. Il riconosci-mento di cui sopra arriva poi airecenti Blues Music Awards coldisco “Clean Getaway”, ma a dettadi qualcuno, l’ultimo album è ancoradi più. Lasciamo allora a quanto digiurie ufficiali di fare i conti con lastoria, e se vogliamo valutare ogniopera a sé (e un performer a tuttotondo) questo “Soul Shot” non sirisparmia affatto, selezionando accu-rate reinterpretazioni ormai assimila-te da tempo, senza mai far distoglie-re l’attenzione dalle tracce autogra-fe. Come “Love Comfort Zone”, chenon apre, ma arriva già “in mediasres” con una strada spianata daicolori del Southside a firma BobbyWomack per l’energica “What YouGonna Do?”. La seconda traccia, delnostro, scalda quindi gli animi a colpidi funky groove urbano, ondeggiantesu organo di Mike Finnigan e l’impe-to iniziale prosegue all’ alternanzatra una “Gettin’ To Know You” e la“She Didn’t Cut Me Loose”, dov’èStevie Wonder a far da scuola all’ar-monica cromatica, esemplare per ilCurtis del brano in questione. Gran-de è poi l’omaggio, tra quelli in sca-letta, a un Otis rifatto con l’energia diJames Brown per “Love Man”. E pri-ma che il binomio “Baby, Let MeTake You In My Arms”/”Strung Out”si abbandoni al sentimento, “HePlayed His Harmonica” risuscita unvero funky autografo e “A Woman OrThe Blues” ha l’umiltà di chiudere,stavolta, un disco aperto con unacover e, contrariamente a quantovoglia far credere, non sulla scia matra i maestri del soul.

Matteo Fratti

CLARENCE MILTONBEKKEROld SoulPlaying For Change 3247 (USA)-2012-

Any Other Way/ Yes We Can Can /One More Heartache / I Wish Some-

one Would Care / Who Is He (AndWhat Is He To You) / Try A Little Ten-derness / Everybody Loves A Winner/ Tomorrow’s Dream / Can’t Help ButLove You / Shine On Me / Hold On,I’m Coming.

Questo brillante soulman di colore,proveniente dal Suriname, dovenasce nell’aprile del 1969, e si stabi-lizza in Olanda, ad Amsterdam, loabbiamo conosciuto grazie alla lasua presenza (tra molti altri artisti)nel DVD “Playin For Change 2”,associazione benefica sorta persostenere ed aiutare i bambini di tut-to il mondo (vedi recensione di Silva-no Brambilla nel n.117 a pag.39).Già il titolo di quest’ultimo lavoro diBekker, fa capire l’ambito nel qualesi muove l’artista e cioè una rivisita-zione di brani, più o meno classici,della musica dell’anima. La scalettainizia con uno degli architetti delSound Stax, William Bell, il cui friz-zante tempo veloce di “Any OtherWay” fa coppia con la splendida, inti-mista ed avvolgente, soul-ballad daifiati cangianti di “Everybody Loves AWinner”, con la presenza dell’ottimobassista Reggie McBride, che èanche co-produttore del dischetto.Rimanendo in quel di Memphis, tro-viamo un’eccellente rilettura di “Try ALittle Tenderness”, brano a suo tem-po svolto dal grande Otis Redding, el’hit esplosivo dell’altrettanto graffian-te duo Sam & Dave, “Hold On, I’mComing”. Ancora nella città sul Mis-sissippi, passiamo al soul-gospel diAl Green (già alla corte della HIRecords di Willie Mitchell) con lacover dell’errebì solare e ritmato di“Tomorrow’s Dream”, ancora puntua-lizzato dalla sezione fiati e con pre-vegevole assolo all’organo di CarlosMurguia. Saliamo, quindi a Detroit edalla Motown, per la buona rivisitazio-ne di due brani dal repertorio delcampione di quest’etichetta, MarvinGaye, e cioè il tempo effervescentee veloce di “One More Heartache” ela ballata northern-soul di “Can’tHelp But Love You”, dalle venaturepop. Il sud è rappresentato, invece,da due composizioni di Allen Tous-saint ed Irma Thomas: dell’illustrecompositore e pianista di NewOrleans, Clarence rivisita unafunkeggiante e pungente “Yes WeCan Can”, mentre della Regina dellaCittà del Delta, la scelta è cadutasulle raffinate volute dello slow “IWish Someone Would Care”. Laripresa del piacevole up-tempo “WhoIs He (And What Is He To You)” diBill Withers e l’unico brano compostoda Bekker, “Shine On Me”, un r&bdalla lucente tromba di Darrell Leo-nard, chiudono questo valido com-pact-disc. Rimaniamo in attesa, dopole doti vocali, di poterne apprezzareanche quelle compositive.

Fog

ballata, i tratti acustici di “Tender OfThe Most”, fino alla freschezza dellaconclusiva “Precious Times”, chemette nuovamente in risalto lequalità del pianista Jimmy Pugh. Sela voce della McClellan è probabil-mente lo “strumento” più in evidenzadi questo CD, ogni traccia meritaattenzione e un ascolto approfondi-to: spesso il blues è una sorta dipunto di partenza per poi sviluppareil brano rendendolo gradevole fin dalprimo ascolto grazie all’attenzionemessa negli arrangiamenti, anche seci piace ricordare che alcuni passag-gi vengono apprezzati man manoche la canzone risulta familiare.

Luca Zaninello

MARK NOMADTorch TonesBlues Star (USA)-2011-

Love U Truly / Don’t Say It / GeminiBlues / Poetry In Motion / The Wait-ing / Real Thing / Cactus Flower /Chinese Checkers / Took More ThanYou Gave / What Have I DoneWrong / I Got Over You / All One.

Settimo album per Mark Nomad. Orig-inario di Chicago, negli anni ’70 divideil palco con i nomi più noti del blues;fonda la rock-band dei Little Village,omonima dell’altra, più famosa e stel-lare, formata da Cooder/Hiatt/Lowe/Keltner nel 1992. Con “Torch Tones”regala alle stampe 12 brani originaliincentrati sugli affari di cuore; l’autoresi muove tra blues genericamenteinteso, funk e rock, a tutti legato inegual misura. L’album ha un anda-mento irregolare: apre il noioso r’n’b“Love U Truly” (sentiti 0’24”, sentitotutto il pezzo), mentre suonano benele successive “Don’t Say It” dall’anda-mento Texas, ed il simpatico shuffle“Gemini Blues”. Il breve strumentale inchiave acustica “The Waiting” è eccel-lente, trasmette sentimenti in bassafrequenza quasi fosse un pezzo diBlind Willie Johnson, linguaggio chegià in passato Nomad ha dimostrato diben conoscere con l’album “AcousticLand”. Pollice verso per il rock-blues“Poetry In Motion”, arrangiato congrettezza ed ancor più rovinato dalcantato di Mark. Una voce pulita ecoccolosa, la sua, che non funziona

BEVERLY McCLELLANFear NothingJunk Drawer 40486 (USA)-2011-

I See Love / Lyin’ To / It Ain’t Me /Nobody’s Fault But Mine / I Can’tHide Me / Well Wondered / Love WillFind A Way Out / Come To Me / IWill Never Forget / Tender Of TheMost / Precious Times.

Nome forse poco noto al pubblicoitaliano, la McClellan ha però unbackground di tutto rispetto: ha svi-luppato le sue qualità canore sotto laguida di Christina Aguilera e, oltre aessere stata fra le finaliste della pri-ma stagione del talent show ameri-cano The Voice, aveva all’epoca giàregistrato 5 album indipendenti; èinoltre una polistrumentista piuttostocompleta. Quello che salta subitoall ’occhio dalla copertina è lapredilezione per i tatuaggi, questiultimi fatti in particolare per onorarela nonna paterna, che era una nativaamericana (appartenente aiMohawk): essi rappresentano lavarietà e i diversi aspetti della suaeredità, tant’è che anche altrefotografie ritraggono le sue bracciacolorate più che lei stessa.Musicalmente parlando l’album inquestione offre diversi spunti, tesisoprattutto a sottol ineare laversatilità della sua voce: ne è unchiaro esempio “Lyin’ To” che usauna struttura blues di base perspaziare poi su altri terreni, comeappare analogamentenell’accattivante “It Ain’t Me”, dallechiare venature funky. Ma con“Nobody’s Fault But Mine” Beverlyoffre un chiaro esempio delle suequalità interpretative, rendendo congrande freschezza questo classicoslow di Blind Willie Johnson; lecomposizioni seguenti sono scritteda lei stessa, per cui possiamoapprezzare delle canzoni briose ecoinvolgente come “I Can’t Hide Me”e “Love Will Find A Way Out”, con lapresenza in quest’ultimo di Keb Mo.L’accattivante “Well Wondered”mostra l’aff iatamento dellaformazione, che garantisce in tuttol’album un sound solido, con buonacura negli arrangiamenti e neidettagli: ne sono un’ulteriore confer-ma “Come To Me”, un’appassionata

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recensioniper tutte le stagioni e che fa usciremaluccio anche brani in stile Deltacome “Took More Than You Gave” e“All One”. All’opposto per la chitarra:Nomad è versatile e sempre di buongusto quando imbraccia elettrica edacustica; non da meno il suo slide,che replica - alla perfezione, si direbbe- il suono Allmann. Arrangiamenti edassolo segnano sempre un punto pos-itivo. Nei brani più funk/rockeggiantialeggia la sensazione del già sentito ecosì le buone prove di “ChineseCrackers” e “Cactus Flower”, maquesto non incide perché il lavoro èonesto. Fra tutti pesano una manciatadi pezzi che non consentono all’albumdi decollare.

Matteo Gaccioli

LARRY BURTON500 Miles Of HighwayLost World Music 020 (USA)-2011-

Come Inside My Room / High HeelsAnd Tight Blue Jeans / I’ve Got YourBody (He Has Your Mind) / You’reSo Mean To Me / Pipe Dream / DarkClouds / I Should Have Known /Going Back Home / Good Idea AtThe Time / You Hurt Me So Bad /The Blues Just Stay The Same / 500Miles Of Highway.

Nativo del Mississippi, ma prestoemigrato a Chicago, Larry Burton èsicuramente uno che può vantarenumerosissime collaborazioni, siasu disco che dal vivo: impossibilecitarle tutte, ma se si vuole identifi-care un periodo che ha lasciato unsegno decisivo quello parte dallafine degli anni ‘60, introdotto dal fra-tello maggiore, sassofonista, nellascena musicale dei club locali. Ma èsoprattutto la figura di Albert King edei musicisti che ruotarono attornoa lui nei decenni successivi chehanno consentito a Larry di farsi unnome e di muovere i suoi passi lun-go le numerose strade del blues;ben più delle 500 miglia di autostra-da evocate dal titolo di questo suoultimo lavoro con cui ci proponeuna dozzina di ottime composizionioriginali. L’apertura è lasciata a unpiacevole rock blues, che forse rap-

presenta l’umore predominante nel-l’album, con la chitarra che ben sot-tolinea il cantato del leader e siesprime in assolo misurati e senzasbavature; si prosegue sulla stessastrada con “High Heels And TightBlue Jeans” e più tardi con “DarkClouds”, dove si spinge un po’ dipiù sull’acceleratore, ma semprecon gran mestiere. Una caratteristi-ca saliente è anche nei diversi statid’animo che Burton e la sua band cipropongono: gli slow di “I’ve GotYour Body” e “Going Back Home”sono abbastanza differenti tra diloro ma offrono la stessa caricaemotiva, in particolare nei contrap-punti regalati dal pianoforte di TonyLlorens, strumento che vogliamoricordare protagonista nel diverten-te “Good Idea At The Time” qui peròsuonato da Jay Spell; analogamen-te l’allegro blues di “You’re So MeanTo Me” è il classico brano che ci fabattere il tempo col piede senzache ci se ne accorga. I rimandi aimusicisti che l’hanno influenzatonon mancano di certo, basta ascol-tare “I Should Have Known” piutto-sto che “You Hurt Me So Bad”, ecomunque quel senso di deja vunon guasta affatto; la coesione delgruppo apprezzata fin dalle primenote si mantiene costante su tuttele tracce, anche nell’interessante“The Blues Just Stay The Same”,che inizia con i sapori del nativoMississippi per il primo minuto suo-nato solo da Burton, ma che si chiu-de con toni decisamente più forti,pur mantenendo lo stesso carattereombroso. Il finale è lasciato a unaltro intenso slow che offre nuova-mente spazi di apprezzamento perle qualità del cantante/chitarrista,che si trova decisamente a proprioagio in spazi così dilatati e che cer-tamente non sente i suoi 60 anni,se non nella maturità stilistica chelo contraddistingue.

Luca Zaninello

THE DELTA SAINTSThe Delta SaintsDixieFrog 8712 (F)-2011-

A Bird Called Angola / Good In

White / Company of Thieves / Step-pin’ / Momma / Pray On / VoodooWalk / Callin’ Me Home / SwampGroove / 3,000 Miles / Train Song.

Entriamo in possesso di questo CDdei “Santi del Delta” proprio mentre,sul loro sito, è annunciata la prossi-ma uscita di un nuovo lavoro contanto di DVD allegato. Quello di cuisto scrivendo adesso invece è undischetto autoprodotto ristampato edistribuito in Europa dalla DixieFrog.I The Delta Saints sono un quintettoproveniente da Nashville, si diconoispirati dal southern soul e definisco-no la loro musica un “bayou rock” -nel quale le innervature blues sonomolto evidenti. Questi elementi miincuriosivano, perciò partivo con unasorta di pregiudizio positivo nei con-fronti della band. Devo confessareperò che, dopo l’ascolto, sono sortealcune perplessità. L’attacco di “BirdCalled Angola” in realtà è potente ecattura sin dai primi riff rabbiosi didobro, chitarra e armonica: risaltasubito la somiglianza con la“Shake’em On Down” di Fred McDowell, che ha certamente ispirato iSaints. Però, purtroppo, risaltaanche quello che a mio parere saràil tallone d’achille dell’album: la vocedi Ben Ringel, che canta bene ma èdotato di una tonalità “bianca” un filotroppo alta e pulita, nonostante gliencomiabili sforzi che fa per abbrut-tirla e per sporcarla. Infatti la partevocale “viene fuori” in modo piùnaturale, ahimè, nei pezzi in cui iDelta Saints propongono un rockduro un po’ fuori contesto e nontroppo originale, come in “Good InWhite” o in “Voodoo Walk”. Le cosegirano molto meglio nel rock-blues-swamp lento e cadenzato di “Mom-ma” o nella notturna “Pray On”, conun ottimo gioco in soffusa rincorsa dichitarra, percussioni e armonica.Peccato per la voce che non riescea scurire il tutto - come sarebbe sta-to opportuno in un’atmosfera cosìcrepuscolare. Fra le cose migliorisegnalo anche l’acustica “3.000Miles” e la scatenata “Train Song”.Di certo questi ragazzi hanno talentoe il dischetto offre più di un buonmomento, ma nella loro propostamusicale ci sono ancora alcunecose da registrare, perché quandosuonano hard rock escono dal semi-nato e non convincono più di tanto.Quando invece virano opportuna-mente verso il bayou blues-rockhanno un sound coinvolgente e rug-ginoso. Servirebbe però qualcheaccorgimento per rendere piùprofonda e piena la parte vocale:per esempio, cantando qualche bra-no nel microfono dell’armonica, ocercando una seconda voce chefaccia da complemento a quella diRingel.

Paolo Cagnoni

SHARRIE WILLIAMSOut Of The DarkElectro-Fi 3426 (CDN)-2011-

Can’t Nobody / City Limit Musician /Out Of The Dark / What’s WrongWith You / Need More Money /Although Sing The Blues / ProdigalSon / Gone Too Long / Gatekeepers/ What Kind Of Man / Breakin’ Out /Choices / My Old Piano / R.I.P.

Si avvale di una formula easy, la can-tante del Michigan, erede di certo qualblues al femminile che nonostante l’in-terpretazione, si dipinge di toni a volteun po’ di maniera. Si muove allora neidintorni del soul questo “Out Of TheDark”, che è anche una title-track pre-sa a prestito da Walter “Wolfman”Washington, e più di una dozzina dialtri brani autografi un po’ orientati alpop. Sfumature di un facile ascolto,che rendono familiari i brani in que-stione anche a una prima “lettura”audio della lady al quarto album, dopo“I’m Here To Stay” e recenti problemidi salute. I riferimenti passano così daBillie Holiday a Koko Taylor, come nonpoteva essere altrimenti per questablues-femme spesso di stanza inEuropa, e in questo disco accompa-gnata poi dal buon lavoro chitarristicodi Lars Kutschke, che è anche coau-tore di alcune delle tracce in questio-ne. E “Gatekeepers”, per esempio,con l’energica “Prodigal Song”, è tra lepiù rhythm & blues dell’ensemble, cuisi aggiungono altri richiami inveceesclusivamente più blues sul finale,come “What Kind Of Man” o la sfer-zante “Breakin’ Out”, con la definitiva“R.I.P.”, dedicata a tutti gli addetti ailavori che hanno spianato la via dellamusica nera. Il resto viene piuttostoammorbidito con ripuliture di arrangia-menti cristallini, echi funk e danzerec-ci, che passano dal terzetto d’apertura(“Can’t Nobody”, “City Limit Musi-cians” o la stessa title-track), fino allaretorica un po’ mielosa di “Gone TooLong” o di “Choices”, comunque ese-cutivamente impeccabili. Ma la songpiù azzeccata, quanto all’assaggiointroduttivo da un contesto ove la Wil-liams si riveli invero portavoce di unatradizione, è nella “My Old Piano”dagli echi di vaudeville o grammofo-no, e un ricordo in bianco nero diblues classico al femminile (che poi

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sfronda in un più scontato rock’n’roll,ma questa è un’altra storia…).

Matteo Fratti

TINY LEGS TIMOne Man BluesTLT Productions 001 (B)-2011-

Something’s Burning / Ocean / TheHappiest Man In Town / Standing AtThe Crossroad / Easy To Catch As AFool / A Little Bit Of Lovin’ / Poor Boy/ One Step At A Time / Everybody’sDrinking / I Believe / Evil / Ramblin’On My Mind / Hardcore Blues /Roadtrip Part 1.

Il primo aggettivo che ci viene in men-te aprendo questo CD e quindi ascol-tandone la musica è “essenzialità”:Tiny Legs Tim è il nome adottato dalmusicista belga Tim De Graeve, natoanagraficamente nel 1978, ma cheaffonda le sue radici musicali almenomezzo secolo prima e certamentenon nelle fredde Fiandre ma nel Deltadel Mississippi. A un’occhiata superfi-ciale tutto è molto scarno, dalla coper-tina nera su sfondo blu (dove il testorisulta quasi illeggibile) alle stringatenote interne fino allo stesso sito inter-net dell’autore, praticamente vuoto;l’ascolto dell’album poi conferma cheil nostro si avvale solo della sua chi-tarra e voce. Il disco si apre con unblues molto cadenzato nel quale Timusa la pennata della mano destra sul-le sei corde con una modalità che

definiremmo “percussiva”, una carat-teristica che ritroviamo anche nel bra-no seguente e in altri successivamen-te. “The Happiest Man In Town” sicaratterizza per il suo incedere ipnoti-co, mentre “Easy To Catch As A Fool”è una ballata triste, dove le note dellachitarra sottolineano il lamento dellavoce. “A Little Bit Of Lovin’” è decisa-mente più allegro, introdotto dall’ar-monica che Tim riprende per sviluppa-re poi l’assolo centrale, così come ilsuccessivo “Poor Boy” si sviluppa suun fraseggio di fingerpicking. Arrivatiperò a metà dell’ascolto dobbiamorilevare un limite che verrà poi confer-mato dagli altri pezzi: il suono dellachitarra è a nostro avviso troppomonocorde, nel senso che in 14 com-posizioni il nostro non si è posto la bri-ga di inserire un effetto o di offrire unaqualche variazione alle sonorità pro-poste. C’è qualche rara eccezionecome nella cavalcata di “I Believe”che offre una seppur minima variazio-ne, come nella rilettura di “Ramblin’On My Mind”, l’unica cover presentein questo lavoro; per il resto c’è unagrande abbondanza di uso della slidee a nostro avviso alcuni passaggisono un po’ troppo ripetitivi, tanto chetalvolta non ci si accorge neppure chesi è passati all’ascolto del brano suc-cessivo, avendo mantenuto lo stessoaccordo di base. Purtroppo il limite diquesti one man blues è nella monoto-nia, che si annida dietro l’angolo eanche per il giovane musicista belgadobbiamo rilevare un po’ di luci e diombre in questo album d’esordio.

Luca Zaninello

Non da oggi, la scena blues di Chi-cago ha sempre accolto e conside-rato i musicisti venuti da fuori chevogliono vivere e suonare lì, italia-ni compresi, ricordiamo l’esperien-za di Nick Becattini che divenne ilchitarrista della Son Seals BluesBand e di Tony Mangiullo, proprie-tario di uno dei più famosi club dib lues, i l “Rosa’s” . Breezy almomento è l’unico europeo chesuona a tempo pieno nella WindyCity e non c’è bluesman o blue-swoman che non ha accompagna-to. Ed è con qualcuno di loro, piùuna sezione fiati, che ha volutocondividere la soddisfazione delsuo primo lavoro solista che nondà una spinta innovativa al Chica-go Blues, ma in cui piuttosto provacon sincera passione a ripercorre-re in un contesto attuale i tradizio-nali passi, dove va sottolineatoquanto la sua personalità di chitar-rista non è mai preminente, maequilibrata e funzionale ad un con-dizione stilistica che, però, sulladistanza non è esente da una certaripetitività. Fra i dieci pezzi segna-liamo l’iniziale, “You’re Gonna Lea-ve Me” dalla classica forma mediolenta, con armonica (QuiqueGomez) e piano (Marty Sammon),per poi divenire scattante con i fiatie accompagnamento vocale.Anche nella successiva “24 DaysLater”, Breezy cambia in corsa, maqui poco convince passare daltempo slow, con Linsey Alexanderal canto, a quello più veloce con ilchitarrista italiano che si posizionaanche davanti al microfono. In“Why Did You Go”, altro classicotempo medio, Rockin Johnny suo-na la chitarra e Lurrie Bell ha unaparte solo al canto, mentre in“Playing My Game Too”, sempreBell, dà un bel contributo con lachitarra. C’è anche l’elegante BobStroger in “Going Back To Alaba-ma” e il chitarrista Guy King nellacalma strumentale “Marilipes”.

Silvano Brambilla

BREEZYPlaying My Game TooAutoprodotto (USA)-2011-

You’re Gonna Leave Me / 24 DaysLater / Cheating On You / Why DidYou Go? / Lost For You Darling /Going Back To Alabama / My TearsCan’t Bring Her Back / Palying MyGame Too / My Poor Heart Cries /Marilipes.

Dietro al soprannome “Breezy”, sicela un chi tarr ista/cantante diRoma, Fabrizio Roda, che setteanni fa dopo l’apprendistato invarie formazioni rock/blues dellasua città, decide di trasferirsi negliStati Uniti per prendere il “patenti-no” di bluesman. Prima tappa NewYork, dove nel giro di un anno suo-na nei locali del Lower East Side edel Greenwich Village con un grup-po di nome Inventing Eve. Ma èChicago la meta, dove arriva nel2007 e da lì a pochi mesi incontrail bluesman Linsey Alexander, conil quale inizierà una fitta collabora-zione dal vivo (divenendo in segui-to il suo band leader) in giro per gliStati Uniti, con apparizioni nei piùimportanti Blues Festival. Nell’e-state del 2010 Breezy partecipaalle registrazioni dell’anziano blue-sman per il CD “If You Ain’t Got It”,e nel gennaio di quest’anno la Lin-sey Alexander Blues Band firmacon la Delmark per un nuovo CDcon Buddy Guy in veste di ospite.

Via Galimberti, 37 - 13900 Biella (BI) - � (015) 405395 Fax 8493901e-mail: [email protected] - sito web www.papmoon.com

Chi desidera sottoporre CDDVD da recensire è pregato diinviarli, possibilmente in duplicecopia, a IL BLUES - RubricaRecensioni - Viale Tunisia,15 - 20124 Milano.Si prega di non inviare ai singolirecensori materiale destinatoalla recensione su “IL BLUES”.

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EDDIE CUSICLeland Mississippi BluesWolf 120.934 (A)-2012-

Lo ricordavamo nel 2005 a Green-ville sul palco del Mississippi Delta& Heritage Festival quando, incompleta solitudine durante il suobreve set (reso ancora più brevedal nostro ritardo nell’arrivo), ci eraapparso penalizzato ulteriormentedal caldo dell’ora di pranzo, al pun-to che l’odore del cibo ed il rumoredelle mandibole in funzione nesovrastavano sia il canto che ilsuono del la chi tarra acust ica.Meno male che la Wolf, ristampan-do “I Want To Boogie” (Hightone1005, “Il Blues” n.65), realizzato daMatthew Block ed aggiungendovi ilbrano “Gonna Loose A Good Man”presente nell’antologia “From Mis-sissippi To Chicago” (Hightone1008, “Il Blues” n.67), ha ridatospazio a questo elusivo bluesmanmississippiano. Infat t i , s ino al1998, Eddie poteva contare unica-mente su tre tracce pubblicate, dicui due per merito dell’etichetta ita-liana Albatros e di Gianni Marcucci(“Mississippi Delta & South Ten-nessee Blues” Alb 8387 e “I GotThe Blues This Morning” Alb8461), ed il restante in “LivingCountry Blues Vol.2” (L+R 42.032).Cusic, oltre a confermarsi artista incui l’idioma blues ha trovato il giu-sto equilibrio tra voce e chitarra,abolendo le forzature effettistiche,lascia intuire quanto valore assu-mano brani che conosciamo quasiesclusivamente nelle versioni elet-triche, “Hoochie Coochie Man”,“You Don’t Love Me”, “Big BossMan”, “You Don’t Have To Go”,“Good Morning Little School Girl”,allorché vengono ricondotti alladimensione acustica riacquistandoquella semplicità originaria chel’urbanizzazione aveva abilmentemascherato. Ma di lui piaccionoanche “Reconsider Baby” di Fulsoned i due traditional “Catfish Blues”e “Little Angel Child”, entrambi rivi-sitati in perfetto stile downhome.Bentornato Mr. Cusic.

Marino Grandi

ETTA JAMESLosers WeepersKent 361 (GB)-2011-

Questa non è già una ristampa postu-ma di Etta James, perché fa parte diuna operazione di reintroduzione disuo materiale nel mercato discografi-co avviata sul finire dell’anno scorso.Col senno di poi, l’iniziativa per manodella Kent non era probabilmentecasuale. La notizia di abbandonare lavita artistica per l’aggravarsi dello sta-to di salute della James era un dato difatto e dunque, come è consuetudinenella totalità della musica, il businessdiscografico si fa trovare pronto. Ildisco in questione uscì per la Chessnel 1970, in un momento per lei moltotormentato per seri problemi di droga,al punto che se mise in discussioneanche la sua dignità, non piegò la suaforza nel voler continuare a cantare ilsoul come il blues e il r&b, generi,questi, che stavano per essere messiai margini dalla nascente discomusic,della quale Etta James si è sempretenuta lontana nonostante le garantis-se prospettive di rilancio. La ripubbli-cazione in questione è composta dalleundici tracce originali dell’omonimoalbum Cadet 347, a cui sono stateaggiunte undici bonus tracks prove-nienti sempre da registrazioni effettua-te nei primi anni Settanta. Non c’èbisogno di sottolineare quanto anchequeste sue interpretazioni siano dialto livello, e mai messe in discussio-ne neanche quando gli arrangiamentisono più estesi, perché il suo cantoera irruente e rabbioso, quanto inten-so e avvolgente e perché quei trattistilistici della musica nera erano perlei fonte di riscatto da una vita disordi-nata, ma artisticamente sempreintransigente. Il r&b più resistente di“Take Out Some Insurance” apre lascaletta che compone originariamente“Losers Weepers”. Di seguito, se l’at-mosfera si fa raffinata nel blues lentodi “I Got It Bad And That Ain’t Good”,lei al canto è superba nel mantenerele sue peculiarità, che illumina nellesoul ballad come la title track e in“Hold Back My Tears”. Tra le bonustracks c’è uno dei suoi successi, l’otti-mo “The Love Of My Man”, il pugnace

r&b “Tighten Up Your Own Thing”, lacadenzata “W.o.m.a.n” e le persona-lizzazioni di “I Found A Love” (WilsonPickett) e “Tell It Like It Is” (AaronNeville). Che ristampa!

Silvano Brambilla

JIMMY “DUCK” HOLMESBack To Bentonia - 5thAnniversary Deluxe EditionBroke & Hungry 13009 (USA)-2011-

D’accordo, cinque anni sono forsepochi per festeggiare la nascita dellapropria etichetta con una “Deluxe Edi-tion”. Ma Jeff Konkel, il poliedrico(visto anche il suo impegno nel cam-po della produzione di documentaritra cui il premiato, giustamente, “ MFor Mississippi” ed il neonato “WeJuke Up In Here!”) proprietario, havoluto ricordare il primo lustro di vitadella sua creatura ricuperando l’albumd’esordio sia suo come discograficoche di Jimmy “Duck” Holmes qualeinterprete, quest’ultimo noto più chealtro sino ad allora quale proprietariodel Blue Front Cafe a Bentonia, Mis-sissippi. Che l’opera ci fosse piaciutafu chiaro sin da allora (“Il Blues” n.95),per cui se la confezione cartonata èpiù curata dell’originale ed i quattrobrani inediti possono tentare i comple-tisti, diremmo che diventano quasi unobbligo all’acquisto per chi ne fosseancora sprovvisto. Infatti, sottacendosulle tracce già edite di cui parlammoa suo tempo, dobbiamo dire che letracce inedite non sono i soliti fondi dimagazzino uso riempitivo del minu-taggio. Infatti “Whiskey And Women”e “Rambling On My Mind” sono duetempi medi realizzati dal duo Holmes-Spires in perfetto stile casalingo (laseconda traccia più scandita), mentre“Everyday (Blues All Day Long)” ciconsegna un Holmes che riscatta lasolitudine con una interpretazionevocalmente e strumentalmente carica.Notevole la scarna rilettura di Key ToThe Highway”, dove Jimmy è accom-pagnato dal maestro dell’essenzialitàalla batteria, ovvero il rimpianto SamCarr che in queste situazioni andavaa nozze.

Marino Grandi

ARTISTI VARÎThe Flash Records StoryAce (Top2-1309)-GB-2CD-

La Ace inglese, specializzata in ope-razioni del genere, ha editato duedischetti dedicati all’etichetta Flashdi Los Angeles, contenenti 60 branidi blues, doo-wop, r&b, jive e cha-cha-cha (!). Creata da Charlie “Fla-sh” Reynolds nel proprio locale, unnegozio di dischi al 623 di East Ver-non Avenue nel sud della città, laFlash pubblicò, tra il 1955 ed il 1959,una trentina di singoli contenuti nel-l’antologia, insieme a 5 inediti. Scor-rendo il primo compact, senza dub-bio il 45 giri migliore è quello delbluesman Sidney Maiden; al frizzan-te blues di “Hurry, Hurry, Baby”, dovespicca l’armonica del nostro, si con-trapppone il graffiante e corrosivoslow di “Everything Is Wrong”. A ruo-ta troviamo altri due interpreti dellamusica del diavolo, B Brown con isuoi McVouts e Haskell Sadler: il pri-mo ci offre l’ottimo chitarrismo boo-gie di “Good Woman Blues” e l’ele-gante “Mambo For Dances”, mentreil secondo ci porta uno shuffle inner-vato dall’armonica, “Gone For Good”e l’intimista slow di “Do Right Mind”.Il settimo brano “Counting My Tear-drops” ci consegna i datati TheJayhawks, gruppo di doo-wop, e sul-la stessa linea troviamo anche gliEmanon “4”; non male, al contrario,la voce di Sheryl Crowley con il suojazz-blues stile Charles Brown (“JustA Night Girl” e “It Ain’t To PlayWith!”), via solcata anche dall’honkerMaurice Simons con “Flashy” e daGus Jenkins con “You Told Me”. Ilsecondo CD apre con il boogie(“Mr.Boogie”) di Judge Davis e, tragli altri, ci propone il valido jump diMamie Jenkins dal titolo “Jump WithMe Baby” e, con il cognome delmarito Perry, le avvolgenti ballate di“I’m Hurted” e “My Baby Waited TooLong”. E poi, tra i brani dei gruppiThe Hornets, The Poets, TheCubans e gli Arrows, assai commer-ciali, spicca il valente blues ossessi-vo del chitarrista elettrico Frank Pattnel mid-tempo ipnotico (ricorda ilsound della Fat Possum) delle 2 par-

antologie & ristampe

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ti di “I’m Your Slave”, con l’apportodel pianismo autorevole di GusJenkins. Patt si ripete, quindi, in“Just A Minute Baby”, dal fraseggioalla B.B.King e nel marcato e suppli-chevole “Don’t Have To Cry NoMore”. Uno sguardo curioso edattento sulla realtà minore della cittàdegli angeli.

Fog

LAVERN BAKERLaVern+Rock & RollHoodoo 263389 (GB)-2011-

Le fattezze di un cofanetto in un CDsingolo. L’inglese Hoodoo ha raccol-to due dischi di LaVern Baker, uscitiper l’Atlantic nel 1956 e nel 1957,più quattro bonus tracks (sempredello stesso periodo) per un totale ditrenta pezzi, accompagnati da unlibretto di sedici pagine con foto acolori e bianco e nero, copertine didischi, locandine di suoi concerti, lalista dei musicisti delle varie sessioncon luogo e date delle registrazioni euna biografia scritta da Gary Blai-lock. Certo, un vero cofanetto avreb-be ripercorso per intero la sua car-riera discografica conclusasi nei pri-mi anni Novanta (è scomparsa in unospedale di New York il 10 marzodel 1997), ma il momento di maggiorsuccesso lo ha ottenuto proprio neglianni Cinquanta, perché rispetto allesue titolate colleghe, Ruth Brown,Big Mama Thornton, Big Maybelle,Dinah Washington, aveva una mul-tiforme inflessione stilistica: dinami-ca per il rock’n’roll, squillante per ilr&b, intensa per il blues, raffinata perle ballad. Purtroppo però anche leicome la maggior parte degli artistineri, ha sofferto la discriminazionedelle radio che vietavano la messain onda delle loro canzoni, preferen-do trasmettere cantanti bianchi iquali imitavano e suonavano lecover dei suddetti artisti neri! Era l’A-merica puritana, quella ancora forte-mente razzista, quella del maccarti-smo, della caccia alle streghe, maanche l’America di una nuova gene-razione che non ne voleva sapere divincoli. Era infatti il periodo di Ameri-

can Graffiti e la musica che ascolta-vano e ballavano i giovani era mes-sa in onda da quel fantomatico discjokey, Lupo Solitario, e dall’autorevo-le Alan Freed, il quale nell’aprile del1955 invitò nel suo show, insieme adaltri artisti neri, anche LaVern Baker.La sua apparizione fu un successo,che si tramutò ben presto in un ritor-no nelle classifiche di vendita e nellasua prima tournèe fuori dagli StatiUniti. Questa bella antologia è unimportante tassello artistico di unavivace cantante, ma al tempo stessoè anche un pezzo di storia dellamusica neroamericana e un potentediffusore dei cambiamenti in attonegli anni Cinquanta.

Silvano Brambilla

LADYSMITH BLACKMAMBAZO AND FRIENDSLadysmith BlackMambazoAnd FriendsInakustik 9111 (D)-2012-2CD-

E’ ovvio che ritornare sui LadysmithBlack Mambazo con questa antolo-gia, in cui i Friends sono spessomolto più famosi di loro, dopo averascoltato il “Live At Montreux” (“IlBlues” n.94) e l’ancora più straordi-nario “Long Walk To Freedom” (“IlBlues” n.95) non può che farci sorri-dere. Soprattutto perché l’operazio-ne commerciale sottesa finisce pertrasformarsi in una elegia del grup-po sudafricano, che si dimostra ingrado di togliere le ragnatele dellaconsuetudine da brani che ne eranosepolti, ricollocando gli “amici” alruolo di partner (addirittura nonsempre indispensabili) anziché distar. Tra gli esempi lampanti diquanto detto possiamo ascriverel’incredibile rilettura di “Ain’t No Sun-shine”, le voci che si doppiano conquella di Emmylou Harris in “Ama-zing Grace/ Nearer My God ToThee”, la musicalità con cui sosten-gono Lou Rawls in “Chain Gang”, latrascinante ricostruzione live di“Sweet Low Sweet Chariot” con Chi-na Black, la riproposizione di“Homeless” in due versioni diverse

SMOKEY ROBINSONSmokin’ - The Solo Album:Vol. 5Hip-O-Select 0015492 (USA)-2011-

E’ indiscutibile che Smokey Robinsonsia stato una delle figure più importantinel definire lo stile e il successo dellaMotown, nei ruoli di autore, produttoree cantante, prima come leader deiMiracles e poi da solo. La sua disco-grafia è sterminata, dal 1961 al 1990ha inciso solo per l’etichetta di Detroit,che lasciò nel 1991 insoddisfatto deicambiamenti in atto. La Hip-O-Select,specializzata in ristampe ha messomano anche a del materiale di Smokeye questo, segnato come vol. 5, macome i precedenti senza tralasciare iltitolo originale, è il doppio live registratocon un ampio organico di musicisti alThe Roxy di Hollywood nel 1978 epubblicato dalla Motown lo stessoanno. Sappiamo che Smokey Robin-son non fa parte di quella schiera disoulman di stampo sudista dallo stilefangoso e enfatico, il suo essere inter-prete del canto neroamericano ha unaconfigurazione soul/pop con leggeritratti di r&b dai contorni raffinati ma conevidenti segni di intensità. Questo livecon tracce anche del periodo Miracles,è stato registrato in pieno fermento del-la disco music e se in qualche passag-gio lo si nota per il clima che pervadenegli adattamenti musicali, è comun-que la qualità a prevalere pronunciatada una interpretazione vocale di classecome dimostrato nei momenti più intimidalle atmosfere rarefatte: “The TracksOf My Tears”, “The Agony And TheEcstasy” (qui Smokey è superbo),“Daylight And Darkness”, “Bad Girl /(You Can) Depend On Me”, “Ooo BabyBaby” e “Baby Come Close”. Di livellorisulta anche “Quiet Storm” doveSmokey amplia le sue qualità vocali e imusicisti lo assecondano con un passomedio lento, che si evidenzia anche in“Madam X”, mentre nella celebre “TheTears Of A Clown” e “I Second ThatEmotion” c’è del r&b più contenuto stileMotown. Chiudiamo con “Vitamin U”carica di un stuzzicante clima soul. UnCD esaustivo sulla carriera di SmokeyRobinson.

Silvano Brambilla

tra cui quella con Sarah McLachlansupera per intensità quella dell’auto-re stesso Paul Simon. Tra le traccemeno note eccellente l’africanitàche pervade “Mbube” con TajMahal, “Schlabelela Hosana” con laprofonda voce di Nana “Coyote”Motijoane e l’epilogo tutto al femmi-nile di “Mamizolo” con le Women OfMambazo. Un’opera che può aprireorizzonti musicali nuovi, ma le cuinote interne avrebbero potuto, dovu-to diremmo, fornire le fonti discogra-fiche originali da cui sono stati attintii vari brani che la compongono, per-mettendo in tal modo al probabileacquirente di procedere a futuriacquisti mirati.

Marino Grandi

EDDIE TAYLORSo Called FriendsWolf 120.828 (A)-2012-

Abbiamo quasi sempre seguitoEddie Taylor Jr. nel corso del suoexcursus musicale, nel quale perònon riusciva mai completamente astaccarsi da una certa rigidità inter-pretativa che finiva, in tal modo, perdare origine a prodotti discograficisimilari. E questa raccolta non sfug-ge alla regola. Nemmeno i cinquepezzi inediti, temporalmente più vici-ni a noi, riescono a risollevare le sor-ti di un Chicago Blues da mezzasera, privo di mordente, condito dachitarre pulite, voce monocorde,accompagnamenti precisi. Infatti se,tra il materiale nuovo, la comunicati-va sembra prendere quota in“Mistress Blues” e nello slow “SoCalled Friends”, tra le rimanenti diecitracce già pubblicate meritano diessere ricordate la cover di “Goin’Upside Your Head” di Jimmie Reed,anche per merito dell’armonica diMartin Lane, l’ascoltabile versione di“Easy Baby” di Magic Sam e “My Lit-tle Machine” di John Lee Sonny BoyWilliamson, nuovamente grazie adun armonicista in questo caso Har-monica Hinds. Chicago Blues musi-calmente (s)confortante. O perlome-no che non fa per noi.

Marino Grandi

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POLVERE DI STELLE

Di pregio è, certamente, il r&r diFats Domino che troviamo in“The Imperial Singles /Volume

4/ 1959-1961”(Ace 1306); l’antologia(la quarta ed ultima di una serie com-prendente i 45 giri Imperial dell’artistadella Crescent City) debutta con losplendido “I’m Ready”, seguito daglieffervescenti “I’m Gonna Be A WheelSome Day” e “Be My Guest”. Eccel-lenti, tra gli altri, anche “Country Boy”,dal graffiante sassofono, e gli slow “IfYou Need Me”, ”Before I Grow TooOld” e “Walking To New Orleans”. Piùserrati e coinvolgenti “My Girl Jo-sephine” e “Ain’t That Just Like AWo-man”, che anticipano la solare ballatadi “What APrice”, mentre, poi, le com-posizioni del ’61 segnano una flessio-ne compositiva. Tuttavia l’interessan-te “Let The Four Winds Blow” e la rit-mata “Good Hearted Man” sonotutt’altro che da buttare.Molte delle sue canzoniDomino le compone incoppia con DaveBartholomew ed a que-st’ultimo ancora la Ace(1303) dedica una rac-colta dei brani più cono-sciuti, dal titolo “The BigBeat - The Dave Bartho-lomew Songbook”. L’a-pertura è, infatti, costitui-ta dal famoso ed elegan-te r&r “The Fat Man”,eseguito da Fats, e,quindi, scorrendo la sca-letta, fermo restando chemolti pezzi sono assaidatati ed altri troppo fra-gili, segnaliamo dappri-ma il buon r&r di SmileyLewis “Down The Road”,seguito dalla commer-ciale “My Ding-A-Ling”dello stesso Bartholo-mew e dalla levigata bal-lata “Valley Of Tears”di Buddy Holly.E’ la volta, poi, di Roy Brown, anchelui con un r&r leggerotto (“Let TheFour Winds Blow”), così come BobbyMitchell ed il relativo “I’m Gonna Be AWheel Someday”. Non male, al con-trario, il marcato r&b di “The Monkey”,vocalmente rappeggiato da DaveBarthelemew, seguito, però da un lan-guido “Witchcraft” di Elvis Presley, mada un interessante “Blue Monday” diGeorgie Fame & The Blue Flame.Jerry Lee Lewis, a seguire, esponeuna frizzante “Hello Josephine”, men-tre Brenda Lee da vita ad una solare edelicata “Walking To New Orleans”.Altri brani famosi portano il nome di“I’m In Love Again” di Tom Rush e di“Sick And Tired”, quest’ultimo dalledondolanti volute reggae, scritto con ilsoulman Chris Kenner e ricamato dal-la bella voce di Neville Grant. Di uncerto spessore anche l’errebì “Grow

Too Old” di Bobby Charles, e, quindi,si termina con “I Hear You Knocking”,altro r&b molto noto, di Dave Ed-munds.Il chitarrista Paxton Norris, dal suddel Michigan, con il suo “Something’sGotta Give” (Autoprodotto 2011) pro-pone brani di un buon e misurato rock& blues, ma anche composizioni av-volte dal respiro del Detroit Sound.Tra i primi spiccano l’introduttiva title-track, seguita da “Going To Pensaco-la”, “These Funking Blues” e l’efferve-scente “What You Talking Bout’Wil-lis?”. Dal taglio soul, invece, si evi-denziano il ritmato “Living Tight”, lacover dell’intrigante ballata “Love Li-ght” già nel repertorio di Bobby Blande lo slow suadente di “Your My Girl”.Da non tralasciare anche anche la ri-lettura di “My Credit Didn’t Go Throu-gh”, solare soul-blues a suo tempo

condotto da Freddie King, bluesmandi riferimento, insieme ad Albert King,nell’interessante stile chitarristico diNorris.Ogni anno, nel periodo estivo, si svol-ge a Fargo, la metropoli più popolosadel North Dakota, un festival blues edell’edizione del 2006 (18 e 19 ago-sto) la Gweedo Records ci proponeuna rassegna degli artisti presenti inun compact dal titolo “Bootleggin’The Blues - The 11th Annual FargoBlues Festival” (43205) . Spicca su-bito agli occhi la presenza del grandePinetop Perkins, che brilla con il suoserrato ed elegante pianismo nel vi-brante tempo veloce di “Big Fat Ma-ma”, supportato da una luccicante ar-monica. Di spessore è anche il bluescorrosivo di “Under Pressure”, dall’in-cedere marcato e dalle venature rock,del valente Duwayne Burnside e lasua Mississippi Mafia. Tra i gli altri

presenti, da non tralasciare il bluesavvolgente e ritmato di “Six String Te-lephone” di Little Bobby & The Storm,con una pregevole armonica, proba-bilmente (il dischetto è completamen-te privo di note !...) di Glen Bowen. Ot-timo anche il blues funkeggiante egraffiante alla Luther Allison di “I Ca-me Here To Play” dei Deep WaterReunion, che ritroviamo, più avanti,nello slow incisivo e sermoneggiantedi “Blind Dog Bite”.Da Tulsa, Oklahoma, il cantante-chi-tarrista Scott Ellison con l’ultimo la-voro “Walkin’Through The Fire” (JSE21204), ripropone il suo valido errebì,talvolta dalle volute blues, alternato abrani dall’incedere più rockeggiante; ilprimo ha le sue migliori proposizioniin “Hits Like Dynamite”, “Big Big Lo-ve” e “The Man Who Shot MustangSally”, con tanto di sezione fiati, men-

tre il secondo meglio si estrinsecanella ficcanti “Sweet Thunder” e “TurnOut The Lights”, nella title-track e nel-la marcata “Trouble Times”.Trasferitosi da Boston a Parigi, il chi-tarrista e vocalist Peter Nathanson inquesto lavoro in solitario “A DrinkingMan’s Friend” (Mosaic Music 394952)esprime tutto il suo valore di artistaacustico ed intimista. Il campo è assaipiù vasto di quanto sia unicamente ilblues, per quanto il primo brano che civiene incontro è un tema tipico deibluesmen, “Drunk Women, GoodWhiskey And Beer”, con a ruota il bril-lante “My Sweet Love Ain’t Around”ed il pulsante “I’ve Been Wronged”. Siprosegue, quindi, con il canto dispe-rato di “You Killed The Love In Me” ela cover splendida e suadente di “Co-me On Into My Kitchen” del leggenda-rio Robert Johnson, e la lirica scan-sione della ballata “Dee Baby”. Qual-

che numero di catalogo precedente(394942) e troviamo “The Best Of:Peter Nathanson”, che comprendecomposizioni tratte dai 4 album pre-cedenti: “Houdoo Guru” (2001), “Ri-viera Rose” (2003), “UrbanBlues”(2007) e “Under The Acid Sky”(1998). Il sound elettrico presenta, atratti, minor intensità, anche se“Swamp Kind” è un blues dall’incede-re incisivo, “Doreen” un veloce e scol-pito r&b e “Singing And Playing TheBlues” un tempo eccitante con la suaenergica armonica. Lo stesso stru-mento permea anche il blues di Chi-cago di “Houdoo Guru”, mentre l’ince-dere funky sostiene “Walking Blues”ed infine più pacato e dalle venaturerock sudiste si presenta il lento “BluesFor You”. La chiusura di questo inte-ressante e valido compact è appan-naggio di un rock-blues alla Hendrix

dal titolo “Not The RightTime”.Da Barcellona BlasPicòn & The Junk Ex-press ci propongono l’ul-timo lavoro con il solonome della band (Auto-prodotto 31175-2011); illeader (voce ed armoni-ca) conduce la sua band,che annovera anche lavalida chitarra di OscarRabadàn, sui sentieri diun blues brillante che fariferimento al ChicagoStyle. Un gradino sopragli altri, peraltro di buonafattura, si evidenziano ilvigoroso tempo lento di“Low-Life ParadoxBlues” ed il vibrante rit-mo di “Driftin’With TheFlow” e “Ain’t GonnaCry”, mentre il sassofonodel Mississippi ricamal’incedere effervescente

di “My Heart Is Shy” e di “The JunkExpress”.Una compilation riguardante i primialbum della soul-woman Joss Stone(“The Best Of Joss Stone 2003-2009”) è stata pubblicata dalla Vir-gin/Emi (71046-26): il sound, a partel’ottimo primo album di covers di clas-sici soul “The Soul Sessions”, mani-festa un incedere dai tratti pop e dajuke-box. Dell’album appena citato sievidenziano “Fell In Love With A Boy”e “Super Duper Love”, rispettiva-mente uno slow marcato dalle colori-ture funky ed una solare ballata; da“Mind ,Body & Soul”, viene tratto an-cora il soul avvolgente e lirico di “Ri-ght To Be Wrong” (vedi Polvere diStelle del n.94), mentre l’errebìfunkeggiante di “Tell Me ‘Bout It” pro-viene dal dischetto “Introducing…Joss Stone”.

Fog

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12-19.08.20126

• Lucky Peterson Band feat. Tamara Peterson (USA)

• Tom Principato & Fred Chapellier Blues Band (USA/FR)

• Drew Davies & Rhythm Combo (FR/GB)

• Jethro Tull’s Mick Abrahams (GB)

• Silvan Zingg Trio feat. Mike Sanchez (CH/GB)

• Todd Sharpville Band (GB)

• Ronnie Jones Big Band (USA/I)

• Red Hot Blues Sisters (CAN)

• Egidio Juke Ingala & The Jacknives (I)

• Delta Mojo Blues duo (CH)

• James Thompson Project (USA/I)

• The Red Wine Serenaders (I)

• Diatriba (I)

Tourist Office Tenero e Valle Verzascain collaborazione con Tenero Music Nights

Condizioni e informazioni:Tel. +41 (0)91 745 16 61www.tenero-tourism.ch

Assicurati un Pass gratuito per Tenero Music Nights 2012Pernotta almeno 2 notti in un albergo o campeggio della nostra regione, tra il 14 e il 16 agosto 2012 e ricevi in omaggio un pass dal valore di CHF 20.- per i concerti del 15 e 16 agosto.

Programma e info: www.musicnights.ch

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SEASICK STEVEWalkin’ ManRhino 825646634026 (GB)-2011-CD+DVD-Quando hai seguito con attenzione unartista, ti eviti tranquillamente l’acqui-sto di un suo “The Best”, raccolta tal-volta superflua. Per Seasick Steve,musicista apprezzato sin dalle sueprime incisioni (“Il Blues” n. 100, 101),allora aveva sessant’anni, per festeg-giare i suoi primi dieci anni di produ-zione è stata pubblicata una raccolta,inutile nella sua veste singola più ap-petibile, troppo facile cascarci, nel for-mato noto come de luxe. Il doppio in-vece, oltre a ripercorrere con una se-lezione dei suoi migliori brani editi,ventuno brani per quasi ottanta minu-ti di musica, presenta un DVD ad altapresa emotiva, “Live At Brixton 02Academy”. E’ pur vero che siamo abi-tuati alle brizzolate performance diB.B. King e, permettetemelo, di gentecome Leonard Cohen, ma veder all’o-pera Seasick Steve, all’anagrafe Ste-ve Would classe 1941, si corre il ri-schio di restare incollati allo schermoprivandoci di ogni distrazione. Ener-gia e potenza pervadono questo or-mai settantenne, perché solo così sipuò esprimere un suono che sa diJ.L.Hooker e R.L. Burnside, ma che ènoto a questo punto come quello di

Seasick Steve. Un ritratto ci sembradoveroso, dopo dieci anni di produ-zione che lo hanno portato dalle stra-de, anche le più sudice d’America aipiù blasonati festival targati Gran Bre-tagna. Nel Regno Unito ha ritrovatoamore, dignità e una professionalità,lieto fine di una storia travagliata, fattadi tarde soddisfazioni discografiche,giunte solo dopo sei anni dalla suodebutto nel 2001 con i The Level De-vils, l’album “Cheap” poi ristampatosolo cinque anni più tardi (“Il Blues”n.101). In seguito a una tormentatainfanzia in conflitto con un patrignosubentrato al padre, pianista di boo-gie woogie, quando aveva appenaquattro anni, all’età di tredici anni halasciato casa per evitare di ucciderlo.Steve Wold si è ritrovato da adole-scente a fiorire tra lavoretti casuali esuonando il suo blues utilizzando chi-tarre cheap comprate per pochi dolla-ri. Chitarre che utilizza tuttora, unesempio emblematico a cui viene as-sociato è la Three-String TranceWonder, una sorta di rottame rossoche assomiglia ad una Fender Coro-nado o a una Teisco Ep-7, ridotta a trecorde con un vecchio pickup Har-mony attaccato con lo scotch, una se-miacustica utilizzata con un’ampli Ro-land Cube a transistor. Secondo i suoiracconti fu comprata per 75 dollari aComo, Mississippi, da un tipo di nomeSherman, che poi gli riferì che l’avevaacquistata a 25 dollari il giorno prima.Da quel giorno, Steve Wold suonòquella chitarra senza aggiungere nul-la al suo suono e soprattutto all’accor-datura basata sulle tre corde originali.Nel DVD è possibile vederlo in azioneanche con la One Stringed, scatolettaartigianale guidata da una sola cordastrapazzata con un bottleneck (so-vente rappresentato da un cacciavite)e creata per lui da James “Super

B.B. KINGLiveAt The RoyalAlbert Hall 2011Shout! 06002527958354 (USA)-2012-CD+DVD-

Aderendo totalmente alla legge delcontrappasso, dopo il primo DVD diSeasick Steve non potevamo che pre-sentarvi l’ultimo di B.B.King. Non desi-deriamo, con questa scelta, inscenareparagoni improponibili, ma solo farvi vi-vere, visivamente, dimensioni diverse.Il vecchio re è stanco, e chi non lo sa-rebbe ad 86 anni, al punto che il reper-torio è ridotto ad un ripasso essenzialedi una carriera ultrasessantennale econdito da ampie pause discorsive.Non ha bisogno di pubblicare nuovi di-schi (il centinaio alle spalle lo ha giàconsegnato alla storia), ma la voglia disuonare e la capacità di essere felicesul palco non l’hanno ancora abbando-nato. Ed è dietro questa fiammella, ine-stinguibile per ora, che va visto il con-certo a Londra del 28 giugno scorso al-la Royal Albert Hall qui presente. Chepoi le esigenze di mercato o meno gliaffianchino gli ospiti di turno (DerekTrucks, Susan Tedeschi, Ron Wood,Slash, Mick Hucknall), crediamo che infin dei conti costoro altro non abbianofatto che essere l’omaggio meritato al-l’ultimo monarca del Blues, non spo-stando più di tanto il numero dei pre-senti. Musicalmente parlando impossi-bile non citare la sua personale versio-ne di “Key To The Highway”, la sua vo-ce potente quando intona “See ThatMy Grave Is Kept Clean”, poi la “RockMe Baby” con Trucks e signora (eccel-lente la prestazione vocale della Tede-schi in tutto lo show, mentre il marito ciè parso troppo impegnato a dimostrarela sua bravura), l’eterna “The Thrill IsGone”, mentre troppo lunga la “B.B.Jams With Guest” e lo scontato finaleaffidato a “When The Saints Go Mar-ching In”. Il video, che si conclude conle interviste a tutti i protagonisti dellaserata, è principalmente indicato aineofiti ed ai completisti, in quanto po-trebbe essere per i primi la chiave divolta che può indurli ad un viaggio a ri-troso nel tempo e scoprire il Re, maga-ri anche solo discograficamente, almassimo del fulgore.

Marino Grandi

Chikan” Johnson, ammiratela nellarovente versione di “Diddley Bo”. Nelvideo si può ammirare anche una pic-cola scatola di legno dove batte il pie-de, stomp box, abbellita con la targadi una moto del Mississippi. Dopo tan-to girovagare, arriva poi in Norvegia ecorona un amore importante con unmatrimonio, lei si chiama Elisabeth(donna a cui è dedicato anche un EP“Songs for Elisabeth” - Atlantic Re-cords, Rykodisc 2010 5051865763123,una raccolta di editi). Poco dopo so-praggiungerà un infarto che interrom-perà la sua attività musicale. Solleci-tato proprio dalla moglie, Steve tornain pista incidendo il suo primo albumda solista “Dog House Music” (“IlBlues” n.100) e iniziando ad accoglie-re inviti tra festival e apparizioni televi-sive (sintomatica la partecipazione alJools Holland’s Hootenanny Show,che raccoglie consensi e apre le por-te ad un successo imprevisto). Inizial-mente preferisce esibirsi in perfettasolitudine sfoderando con onore lasua tre corde. Ama suonare da solo,per sentirsi libero, per il piacere di im-provvisare con il pubblico e intrapren-dere cambi di ritmo sporadici. Le primeimmagini del DVD infatti lo ritraggononella sua entità piena e libera, con l’in-terpretazione solitaria di “Man FromAnother Time”, potrebbe bastare ve-derlo da solo, ma non è così. All’incan-tatore d’età si aggiunge alla batteriaDan Magnusson (già con i Level De-vils), che potenzia la dose e il decollodel concerto, da vedere “Big GreenAnd Yeller” (da notare i piatti di Ma-gnusson completamente usurati), si-tuazione che raggiunge l’apoteosi nel-la successiva “Happy To Have A Job”,tra Dan e Steve c’è una sintonia per-fetta. Il palco si affollerà con la presen-za occasionale del figlio Paul MartinWold (washboard e chitarra) e del con-trabbasso guidato dalla bella Amy LaVere, interprete emozionata di “NeverBeen Sadder”, cavalcata rock bluestratta da un suo album “This World IsNot My Home”, seguita sul finale dallaversione, già edita su CD, della coverdi Hank Williams di “I’m So LonesomeI Could Cry”. Tra le sedici tracce ritro-viamo momenti più romantici come“Walkin’ Man”, e più tirati come “Ghig-gers”, pura energia, o “Cut My Wings”,dove l’utilizzo della tre corde trasmet-tono senza esitare piacevoli formicoliia fior di pelle. Il video, che presentaanche un corto di trenta minuti, “Brin-ging It All Back Home” in cui SteveSeasick ripercorre luoghi e situazionidel suo passato, è dedicato alla me-moria di Charlie Gillett, storico giorna-lista del rock inglese, autore del libro“The Sound Of The City” e dj di RadioLondra con la trasmissione “HonkyTonk”, scomparso l’anno scorso.

Antonio Avalle

DVD

L’inserzione sopra riportata costituisce un servizio senza corrispettivo, ai sensi dell’art. 3, primocomma, del DPR 26/10/72 n. 633

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Dopo la città di Memphis, adagiata sul Grande Fiume, con la fertile regione del Delta del Mississippi, e Chicago, la metropoli sul lago Michigan,il nostro occhio si sofferma sul soul ed il blues, provenienti da quello che fu lo Stato della prima capitale della Confederazione Sudista e cioèl’Alabama. A Montgomery venne, infatti, eletto, il 18 febbraio del 1861, il primo Presidente dell’Unione nella persona di Jefferson Davis e quivenne edificata la prima White House al 644 di Washington Avenue e sempre da qui partì l’ordine di fare fuoco su Fort Summer, episodio cru-

ciale che diede il via alla Guerra Civile tra Nordisti e Sudisti. Sempre in questa stessa città, molti anni dopo, nel 1955, il paladino della libertà della gen-te di colore, il pastore protestante di una chiesa battista, il Dr. Martin Luther King organizzò un boicottaggio dei bus cittadini, che segnò un momento fon-damentale della lotta pacifica per l’uguaglianza della razza. La scintilla che aveva scatenato la protesta era stato il famosissimo episodio di Rosa Parks,alla quale era stato negato di rimanere seduta in un posto riservato ai bianchi. Sempre nell’ambito della rivolta nera, rimane negli annali, purtroppo, an-che la marcia di protesta da Selma a Montgomery del 1965, bloccata dalla polizia con molti feriti ed un morto (n.d.r. “Bloody Sunday”). A livello musica-le, la zona dell’Alabama è certamente inferiore a quella del Mississippi e della Windy City, ma ciò non ci impedirà di intrufolarci, grazie alla biografia del-l’Otis Redding bianco, Eddie Hinton, redatta da Silvano Brambilla, profondo conoscitore di blues, soul e gospel, e di rovistare tra le incisioni della leg-gendaria casa discografica FAME. Infine, dopo questa iniezione di storia, chiuderemo la nostra incursione in Alabama con l’attualità, e lo faremo attra-verso le recensioni dei prodotti discografici, che più diversi non si può, di Debbie Bond, SharBaby e di Microwave Dave.

Sweet HomeAlabama

La prima Casa Bianca della Confederazione (Montgomery, foto Davide Grandi)

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Il soul degli Studios di Muscle Shoals di Fog

Èla fine degli anni Cinquanta, quando tre amicidi Florence, Alabama, amanti del r&b e della

musica nera, e musicisti in un gruppetto chiamatoFairlanes, dove canta un certo Dan Penn, decidonodi creare uno studio di registrazione per dare sfogoalla loro passione: Tom Stafford, Rick Hall e BillSherrill, questi i loro nomi, creano un laboratoriomusicale in un appartamento al primo piano di unpalazzo che ospita, al piano strada, un drugstore diproprietà del padre di Stafford. Fondano, quindi, laFAME (Florence Alabama Music Enterprise), ma,ben presto, Rick Hall diventa unico titolare, e sisposta, nel 1960, nella vicina Muscle Shoals, sem-pre in un locale piano terra ad uso commerciale. Lacompilation editata dalla Ace con il titolo “The FA-ME Studios Story - 1961-1973 / Home Of TheMuscle Shoals Sound” (Ace /Kentbox 12) ci rac-conta il glorioso percorso dell’etichetta in questoeccellente cofanetto composto da 3 compact ed 84pagine di note, foto e discografia.Il primo CD, “Steal Away”, prende il nome dall’omo-nimo brano svolto (nel 1964) dall’elegante soulmanJimmy Hughes ed è un’eccellente soul-ballad, ma-gistralmente condotta dal falsetto pregevole esouthern dell’autore. L’incipit risale, tuttavia, all’an-no 1961, allorché venne organizzata una sedutacon il cantante Arthur Alexander, dove venne regi-strata la delicata ballata country-soul “You BetterMove On”, che ebbe un ottimo riscontro di pubblicoe che verrà, anche, ripresa molti anni dopo da Wil-ly De Ville. Nello stesso periodo accanto a Hall tro-viamo il già citato Dan Penn, che è anche composi-tore, e Quin Ivy, dj di una stazione radio di Shef-field, che iniziano a prestare la loro collaborazione,e nel ’63 gli studi si spostano al 603 di East AvalonAvenue ed in quel tempo la house-band è compo-sta da Jimmy Johnson alla chitarra, Junior Lowe albasso, Spooner Oldham alle tastiere e RogerHawkins alla batteria. Ma è con il suo gruppo chemirabile, fastoso e lirico, emerge lo slow “HoldWhat You’ve Got”, che diede inizio alla trionfalecarriera di Joe Tex, e prima di lui si evidenziano ilfrizzante country di “Let Them Talk” di Penn ed e aseguire il serrato e ribollente (inedito) errebì, conpregevole assolo di sax, di “A Man Is A Mean,Mean Thing” della brillante soul-woman BarbaraPerry. I tempi veloci proseguono, quindi, con conti-nuità in “Fortune Teller” dei The Del-Rays, in“Funny Style” di Bobby Marchan ed in “Almost Per-

suaded” di June Conquest. E’ la volta, quindi, dellaballata “Let’s Do It Over”, eseguita magistralmenteda Joe Simon, che era stato indicato, all’epoca, co-me il successore del grande Otis Redding. Simonregistra nel 1965, lo stesso anno nel quale QuinIvy, con il benestare di Rick Hall, apre i Quinvy Stu-dios nella vicina Sheffield dove nascerà la mitica“When A Man Loves A Woman” per Percy Sledge.Molti artisti, alla luce del successo di Sledge, con-vergono a Muscle Shoals e così troviamo il pupillodi Redding, Arthur Conley, presente nel compactcon l’incalzante r&b di “I Can’t Stop (No,No,No)”.Quindi, tra gli altri, segue il fulminante e corrosivo“Land Of 1000 Dances” del grande Wilson Pickett,che atterra in Alabama, proveniente dalla GrandeMela, accompagnato dal vice-presidente dell’Atlan-tic Jerry Wexler, anch’egli stupito ed incuriosito perquello che accadeva, musicalmente, nella zona.Siamo intanto arrivati al 1966, ed i brani del secon-do compact sono compresi tra quell’anno ed il1968. Il titolo del dischetto è “Slippin’Around” dalcolorito e vivace r&b di Art Freeman, ma, in realtà,si parte con il botto e cioè il mirabile e lirico democountry-soul di “You Left The Water Running” diOtis Redding, che il georgiano incise unicamentesu 45 giri (ma oggi lo si può trovare nel cofanetto“Otis!” della Rhino/Atlantic) e che costituisce l’unicasua registrazione ai Muscle Shoals. Dopo il frizzan-te tempo veloce di “A Shot Of Rhythm & Blues” del-l’ex Drifters Clyde McPhatter, di spessore è anchel’avvolgente tempo lento sullo stile di Otis ,“WithoutA Woman”, che Kip Anderson interpreta, corrosivoed esaltante come da manuale del soul, genereomaggiato, subito dopo, dalla famosissima e ruti-

lante “Sweet Soul Music” da Arthur Conley, dai fiatilucenti (a proposito di questi strumenti, le sezionipiù utilizzate per le varie registrazioni sono iMemphis Horns ed i Muscle Shoals Horns, nei qua-li troviamo, tra gli altri, le trombe di Wayne Jackson,di Gene “Bowlegs” Miller e di Harrison Calloway, edi sassofoni di Andrew Love e di Floyd Newman). Aquesto punto è l’ora del soulman di punta della Fa-me, e cioè Clarence Carter, del quale si propone,dapprima, uno dei brani in duo con Calvin Scott,“Thread The Needle”, relativo agli inizi carriera, al-lorché il cantante non vedente di Montgomery nonriusciva a trovare un hit da classifica, e poi con ilsuccesso, al quale approderà solitario, del famosocountry & soul di “Slip Away”, dallo splendido sot-tofondo creato dall’organo di Carter. Prima, però,una lirica e mirabile Aretha Franklin scende da NewYork per “I Never Loved A Man (The Way I LoveYou)”, una rutilante Etta James espone la sua fa-mosissima e pirotecnica “Tell Mama” e la regina diNew Orleans, Irma Thomas, offre il marcato ince-dere di “Cheater Man”. Sempre per quanto riguardala vocalità femminile, brilla il ritmato di Jeanie Gree-ne, “Don’t Make Me Hate Loving You”, insieme alradioso soul chiesastico di “As Long As I Got You”,eseguito alla grande dalla chicagoana Laura Lee,ex componente del gruppo gospel dei MeditationSingers. Sempre proveniente dalla Città Ventosa,seppure originaria dell’Alabama, anche Mitty Col-lier svolge in ”Take Me Just As I Am”, un’ottima egraffiante ballata (inedita). Passando al canto ma-schile, di grande impatto è il blues veloce “Miss YouSo” con il falsetto penetrante e stimolante di TedTaylor, artista, ingiustamente non valorizzato, dellaterra di Louisiana. Altri soulmen di spessore rispon-dono ai nomi eccellenti di Don Covay e di Otis Clay:il primo è presente con un vibrante ed intimista len-to stile Stax, mentre il secondo riprende con il suopossente tenore vocale “Do Right Woman, Do Ri-ght Man”. Sulla stessa linea troviamo le ballate souldi ”Don’t Lose Your Good Thing” dei Blues Busters,e di ”Once In A While” di Spencer Wiggins. In quelperiodo, intanto, erano variati i componenti delgruppo casalingo con l’arrivo di David Hood al bas-so e Barry Beckett alle tastiere a sostituire rispetti-vamente Albert Junior Lowe e Spooner Oldham; enel frattempo negli studi di Ivy lavora come ses-sionman il giovane Eddie Hinton, che per la sua vi-cinanza allo stile di Otis Redding, potrebbe tran-

FAME Studios FAME Studios

Down in Alabama

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Un missionario bianco nella musica neroamericana di Silvano Brambilla

Eddie Hinton

quillamente proporsi come soul-singer, cosa chefarà, con successo, più tardi.Ed eccoci, così, al terzo e conclusivo capitolo, checomprende brani dalla fine del ‘68 al 1973, anno nelquale la FAME conclude il suo cammino di casa di-scografica front-line; il titolo “Get Involved” vienetratto dal 45 giri del viso pallido George Soulé, malo svolgimento di questo errebì ha, purtroppo i trattidella languidità delle volute pop. Grandissima inve-ce è la famosa cover di “Hey Jude” di WilsonPickett, con l’inarrivabile slide di Duane Allman ePickett che svolge il suo peculiare screamin’ corro-sivo. Intanto Clarence Carter prosegue la sua av-ventura e qui troviamo l’up-tempo “Snatching ItBack”, ed a ruota un valido James Govan con l’er-

rebì di “Wanted: Lover (No Experience Neces-sary)”. Non da meno l’eccellente soul “I’m Just APrisoner” di Candi Staton, nell’anno (1969) in cui laritmica dei FAME forma la Muscle Shoals RhythmSection e viene sostituita dalla Fame Gang (i chi-tarristi Junior Lowe e Travis Wammack, il basso diJesse Boyce, le tastiere ed il pianoforte di ClaytonIvey e la batteria di Freeman Brown). La sede deinuovi studi è, adesso, il numero 3614 della JacksonHighway ancora a Sheffield ed il nuovo nome è Mu-scle Shoals Sound Studios, e vi troveranno spazioanche artisti rock e pop (la prima è Cher). Prose-guendo con il compact, Clarence Carter confezionaun altro hit, il country-soul “Patches”, successo chearriderà anche agli Osmonds con l’evanescente

“One Bad Apple”, mentre Spencer Wiggins elaboraun’eccellente ed intensa rilettura dello slow “I’dRather Go Blind”. Prima della conclusione del di-schetto, da segnalare l’illustre presenza di uno deire del r&r, Little Richard, che soggiornò a MuscleShoals, nel marzo del 1970, e di Lou Rawls, il primoper incidere il frizzante “Greenwood, Mississippi”,ed il secondo per proporre una geniale versionefunk del lento “Bring It On Home To Me” di SamCooke. Intanto iniziano ad arrivare per registrare al-tre etichette non solo più esclusivamente di soul-men e soulwomen, come Solomon Burke, gli Sta-ple Singers, Millie Jackson, etc, ma anche di artistirock, primi fra tutti i Rolling Stone e, quindi, i vari Si-mon & Garfunkel ,Willie Nelson, Bob Dylan ed altri.

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Il missionario è colui che si dedica con abne-gazione alla diffusione di una idea, adempien-do a ciò con particolare spirito di sacrificio. Aquesto punto, pensiamo che Eddie Hinton sia

una delle figure alle quali calza meglio il significatodel suddetto sostantivo.

Tutto comincia, per caso, in FloridaAll’inizio si fa una certa fatica a ricordare lo Statodella Florida come una terra feconda di musica emusicisti, perché nell’immaginario collettivo, graziea film e telefilm che ne hanno messo in mostra lasovrabbondante presenza femminile, ha finito per

essere uno dei luoghi più ambiti per le vacanze, ov-viamente per facoltosi americani ed europei. Masappiamo anche che è uno degli stati chiave perl’elezione del Presidente degli Stati Uniti, che lì sitrova la più numerosa comunità cubana che è in di-saccordo con la linea politica di Fidel Castro, e chec’è Cape Canaveral. Approfondendo poi l’aspettomusicale, ci rendiamo conto che quella zona degliStati Uniti, ha fatto la sua parte, perlomeno nel “ri-lasciare” certificati di nascita e di residenza, inquanto in varie località della Florida sono nati: unodei primi bluesmen acustici, Blind Blake; il cantantee pianista di blues e rock’n’roll, Billy “The Kid”

Emerson; le cantanti di gospel, Marie Kni-ght e Marion Williams; la soulwoman BettyWright; il soulman Paul Kelly; il chitarristaSarasota Slim (che ha pubblicato dei lavoriper l’etichetta italiana Appaloosa) e una del-le ultime interessanti scoperte, JJ Grey &Mofro. In più Tampa Red e Ray Charles vihanno trascorso un certo periodo della lorovita; la Sacred Steel Music ha iniziato dallechiese di quello Stato a diffondere i suoisermoni “strumentali”, e nei primi mesi del1969 di passaggio a Jacksonville, a DuaneAllman nacque l’idea di formare la leggen-daria Allman Brothers Band. Sarà stato ildestino ma proprio nella suddetta città, il 15giugno del 1944 nacque Edward Craig Hin-ton, un ragazzo bianco che nel DNA avevagià una irrefrenabile passione per la musicaneroamericana, al punto da diventare nonsolo un cantante, chitarrista, pianista, macompositore, produttore e sessionman. MaEddie (così è conosciuto), non si formò mu-sicalmente in Florida, perché divenne gran-de a Tuscaloosa, Alabama, dove dall’età dicinque anni si trasferì con la madre dopoche i genitori divorziarono. Ed è proprio quiche inizia la sua avventura nella musica for-mando la sua prima band, The Minutes, do-po aver abbandonato l’università dell’Alaba-ma, perché come disse a sua ma-dre: «so già cosa voglio fare enon ho bisogno di titoli di studioper suonare e cantare». Hintonparte con il blues e il rock’n’roll,cimentandosi sia con cover diJimmie Reed, John Lee Hooker e

Chuck Berry, che con le sue prime composizionidal grezzo suono elettrico. La passione per la mu-sica lo aveva già rapito e il suo motto era: lavoro, la-voro, lavoro e condivisione e, come si può notaredalle sue parole, voleva che il suo costante impe-gno fosse messo a disposizione di altri in ambitomusicale (proprio come una missione!). E così av-venne, dal giorno in cui iniziò a frequentare, siamoa metà degli anni Sessanta, l’area di MuscleShoals, Alabama, che prende il nome dalla omoni-ma cittadina, nota per una copiosa quantità di mol-luschi (mussels) presenti lungo le rive del fiumeTennessee e per le pericolose secche, shoals, pri-ma che venisse costruita una diga negli anni ‘20. Lazona era costituita da altre tre cittadine, Sheffield,Tuscumbia e Florence e proprio in quest’ultima, acavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, Rick Hall,Billy Sherrill e Tom Stafford, diedero vita alla miticaFAME, Florence Alabama Music Enterprise, eti-chetta e studio di registrazione con alle dipendenzefior di sessionmen come Jimmy Johnson, ChipsMoman, David Hood, Roger Hawkins ed altri, i qua-li, a loro volta nel 1969, si misero in proprio per apri-re in una ex fabbrica di bare (!) i Muscle ShoalsSound Studios al 3614 di Jackson Highway a Shef-field. Sempre in quell’angolo musicalmente magicodel Sud degli Stati Uniti, c’erano anche i QuinvyStudio di Quin Ivy, dove Eddie Hinton iniziò a mo-strare anche le doti di compositore in quanto, incoppia con il chitarrista Marlin, scrisse e produsseun pugno di pezzi per due cantanti di country/soul,Don Varner e Tony Borders. La loro unione comeautori fu determinante anche per l’avvio della car-riera di Percy Sledge, che incise “Cover Me” e “It’sAll Wrong But It’s Alright”. Siamo nella metà deglianni Sessanta e la reputazione di autori giunse alleorecchie del produttore dell’Atlantic Jerry Wexler ilquale chiese a Hinton e Greene di scrivere, in cop-pia o separatamente, un pezzo per Dusty Spring-field. Nacque “Breakfast In Bed” a firma però non diloro due, ma di Eddie Hinton e Donnie Fritts, can-zone che fece parte del disco “Dusty In Memphis”,

dell’allora “pupilla” di Wexler. Nel frattem-po Hinton lavorava anche come chitarri-sta per il produttore Quinton Claunch perregistrazioni Goldwax e Jewel di LowellFulsom, Charles Brown e Ted Taylor,mentre come solista a capo del gruppoThe 5 Minutes, esordisce discografica-Eddie Hinton (Porretta Terme, 1991, foto Luciano Morotti)

«so già cosavoglio fare enon ho bisognodi titoli di studioper suonare ecantare»

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mente nel 1966 con un pugno di cover r&b: “BlueBlue Feeling”, Neighbour Neighbour”, “WalkingWith Mr. Lee” e “Turn On Your Love Light”, riedita-te in “Beautiful Dream (Zane 1023)”, una delle bel-le ed esaustive quattro antologie che l’etichetta in-glese Zane ha messo in circolazione a partire dagliinizi di questo secolo.

L’occasione è a portata di mano, ma…Nel 1967 entra a far parte in pianta stabile del girodei mitici Muscle Shoals Studios e con lui anche ilsuo più caro amico Duane Allman, il quale qualcheanno dopo, gli chiederà di diventare il cantante echitarrista dell’Allman Brothers Band, invito cheHinton declinerà per continuare a suonare e com-porre per gli altri, scelta questa che lo porterà a ri-coprire entrambi i ruoli nelle registrazioni di alcunimostri sacri della musica neroamericana come,Aretha Franklin, Solomon Burke, Joe Tex, WilsonPickett, Bobby Womack, Staple Singers, JohnnyTaylor, ma anche per alcuni artisti bianchi come,Tony Joe White, Bonnie Bramlett, The Box Tops,John Hammond ecc. I problemi con alcol e drogapurtroppo diventano seri e lo allontaneranno siadalla Muscle Shoals Rhythm Section che dallamusica, dove fa ritorno nei primi anni Settanta ini-ziando di nuovo la carriera solista e dove esplo-derà il suo immenso talento di soulmanche lo porterà ad essere definito «l’OtisRedding bianco», per la forte intensità nelcantare, con una voce maledettamentenera, che emerge soprattutto nelle soulballad. La figura di Redding è stata la suaprincipale fonte di ispirazione, e possia-mo immaginare la soddisfazione di Hin-ton quando la moglie di Otis, Zelma, glichiese di diventare l’insegnate di chitarradei suoi figli dopo la tragica scomparsa di“Big’O”. Come dicevamo sopra, partedella sua carriera solista è stata ricostrui-ta dalla Zane Records con quattro CD, in uno diquesti, “Playin’ Around – The Songwriting SessionsVol.2” (Zane 1020) ci sono due pezzi registrati dalvivo al Porretta Soul Festival nel 1994, “The Well OfLove” e “Mr. Pitiful”. Per dovere di informazione varicordato che la doppia antologia, “The Best OfSweet Soul Music – Porretta Soul Festival 1994-1995” termina con una versione inedita registrata alBirdland Studio, Alabama, il 27 aprile del 1991, di“Fa, Fa, Fa, Fa, Fa (Sad Song)” con il solo EddieHinton al canto e al piano, alla presenza di Grazia-

no Uliani. Tornando ai quattro suddetticompact, “Dear Y’All” (Zane 1016), cheraccoglie gran parte dei pezzi incisi aiMuscle Shoals fra il 1974 e il 1975 con isuoi vecchi compagni di lavoro come Da-vid Hood al basso, Barry Beckett al piano,Roger Hawkins alla batteria, Jimmy John-son alla chitarra, Spooner Oldham all’or-gano, è il più rappresentativo perché conuna naturalezza disarmante e una sensi-bilità che neppure le dipendenze da so-stanze hanno annebbiato, evidenzia ilsuo attaccamento al soul come al blues,

con quel canto dalla voce roca, drammatica, vera.Parentesi: nel loro album “Go Go Boots”, i Drive ByTruckers hanno inserito un paio di cover di EddieHinton e in una intervista, il leader del gruppo, Pat-terson Hood (figlio di David Hood e grande amico diEddie) ha dichiarato che il suo disco preferito diHinton è “Dear Y’ All”. Chiusa parentesi. Prose-guendo nell’ascolto del CD, le soul ballad sono ilpunto emozionale più alto e con Redding nel cuoreci presenta una meraviglia come “Dangerous Hi-ghway”, e che dire di “We Got It” e “Get Off In It”,

due ballad da brividi, successivamente ritoccate efinite con lo stesso impatto nel capolavoro “VeryExtremely Dangerous”. Poi c’è il blues, elettrificato,in “I Still Wanna Be Your Man”, ipnotico in “I’m Co-ming After You” (alla maniera di un altro suo idolo,John Lee Hooker) e cadenzato nell’ottimo “DearY’All”. E ancora, il suo tipico tempo medio dai sa-pori sudisti di “Build Your Own Fire”, il lento “It’s AllWrong But It’s Alright”, la bluesata “I’m On The Ri-ght Road Now” ed infine due pezzi entrati nei re-pertori di Percy Sledge, “Cover Me”, John Ham-mond e Aretha Franklin, “Every Natural Thing”. Ilsuo desiderio di incidere il primo disco si concretiz-za nel Novembre del 1977, dove ritorna ai MuscleShoals per registrare in presa diretta una perla deldeep soul e non solo, “Very Extremely Dangerous”(Capricorn 0204), con la formidabile sezione ritmi-ca (di cui fece parte) e fiatistica, dei suddetti studi.Il disco però non ebbe un riscontro immediato, per-ché l’etichetta che lo pubblicò, la Capricorn, fallì ea fronte di ciò la diffusione fu limitata. Col temporiuscimmo a recuperare una copia in vinile dallaquale era impossibile staccarsi, fino a due anni faquando, «per sentire l’effetto che fa», lo riascol-tammo in versione CD grazie alla Universal che loripubblicò negli Stati Uniti con il numero di catalogo66748780162, mentre per il mercato europeo sene occupò di nuovo l’inglese Zane Records. En-trambe le edizioni, in cui non ci sono brani in più oalternate take, contengono un libretto di sedici pagi-ne scritto dal suo grande amico e musicista John D.Wyker. Hinton ha inciso un capolavoro, uno di queidischi che ha ridato orgoglio alla musica soul piùvera in piena era disco music, uno di quei dischi dasalvare in qualsiasi modo come nella scena finaledel film, ispirato da una storia vera, “I Love RadioRock”, mentre l’imbarcazione, trasformata in unaradio pirata, affondava al largo dell’Inghilterra. Il di-sco si compone di nove pezzi autografi e una cover,“Shout Bamalama” di Otis Redding. Il canto di Hin-ton non è mai stato così espressivo, la sua voce èancora più sporca, roca, e la spinge fino a soffocar-la in gola per poi liberarla con un urlo drammaticocome nell’iniziale “You Got Me Singing”, una balladsu di un tempo medio illuminata dai fiati, poi c’è lalenta “I Got The Feeling” dove si sdoppia al canto,prima della versione rock’n’roll del pezzo di Red-ding e di quel gioiello emozionale che è “Get Off InIt”, una ballad che ancora oggi è da pelle d’oca! Manon è finita, perché c’è il serrato r&b di “Brand NewMan” e un’altra ballad da brividi, “We Got It”.

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…DuaneAllman, il qualequalche annodopo, glichiederà didiventare ilcantante echitarristadell’AllmanBrothersBand…

Eddie Hinton (Porretta Terme, 1991, foto Luciano Morotti)

DISCOGRAFIA

Album solisti CD1) Very Extremely Dangerous (Capricorn 0204)-USA-2) Letters From Mississippi (Instant-Line 4.00172)-D-3) Cry And Moan (Bullseye 9504)-USA-4) Very Blue Highway (Bullseye 9528)-USA-

Antologie personali CD1) Hard Luck Guy (Zane 1012)-GB-2) Dear Y’All - The Songwriting Sessions (Zane 1016)-GB-3) Playin’ Around - The Songwriting Sessions Vol.2 (Zane 1020)-GB-4) Beautiful Dream (Zane 1023)-GB-5) A Mighty Field Of Vision - The Anthology 1969-1993 (Raven 736750)-AU-

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Gli ultimi baglioriNel suo anno di grazia, 1978, Eddie ritorna negli stu-di dell’etichetta Capricorn ed ai Birdland per registra-re altri pezzi, reperibili nel CD “Hard Luck Guy” (Za-ne 1012), completato con alcune session del 1994,fra le quali ricordiamo l’ottima versione con i fiati di“Sad Song”. Tracce di emotività del suo capolavorodiscografico si possono cogliere anche nell’intensasoul ballad che dà il titolo all’album, in “Here I Am”nell’avvolgente “I Can’t Be Mine” e ancora in quella“Can’t Beat The Kid”, scritta per John Hammond,nelle bluesate “Watch Dog” (poi di Tony JoeWhite) ela più cadenzata ed elettroacustica “Three HundredPounds Of Hongry”. Deluso dagli eventi legati allamancata diffusione di “Very Extremely Dangerous”,Hinton va in Georgia con la moglie Sandra e metteinsieme un nuovo gruppo, The Rocking Horses, mala cosa non funziona, perché la depressione e il con-seguente ricorso ancora a droghe e alcol è deva-stante. Ci vorranno circa dieci anni perché incida ilsecondo lavoro, l’ottimo “Letters From Mississippi”(Instant 4.00172), registrato parte ancora ai MuscleShoals e parte ai The Birdland, sempre in Alabama.Rispetto al precedente, qui si nota una parziale pre-senza della sezione fiati, schierata solo nei tre pezzi

dai sapori r&b, “My Searching Is Over”,“Everybody Meets Mr. Blue” e “WetWeather Man”; mentre la parte ritmica, so-prattutto fra le trame di chitarra e tastiere,dà corpo all’intero lavoro, il quale nonmanca di momenti splendenti come le bal-late, “Everybody Needs Love”, “I Want AWoman” e il rifacimento di un pezzo diSam Cooke, “I’ll Come Running (Back ToYou)”. Ma il suo stato psicofisico ha imboccato unavia senza uscita e prima della sua morte avvenutaper un attacco cardiaco a casa di sua madre il 28 lu-glio 1995 a Birmingham, incide gli ultimi due capitolidiscografici per la Bullseye, “Cry And Moan” (9504)”del 1991 e il buon “Very Blue Highway” (9528) del1993, ultimo approdo al suo viscerale amore per lamusica nera. Jim Dickinson che conobbe bene Hin-ton e fu il produttore dell’album “Toots In Memphis”del grande cantante giamaicano Toots Hibbert, in cuiEddie figurava come chitarrista lo ricordò con questeparole: «Il music business gli ha spezzato il cuore,potete comprenderlo se ascoltate i suoi dischi. Mapotete anche ascoltare la resistenza di fronte alle dif-ficoltà dell’uomo, la resistenza dello spirito di EddieHinton e sapeva davvero suonare la chitarra. Diven-

ne come Van Gogh, un genio, monumen-tale. Non ho mai visto nessuno andare fi-no in fondo come Eddie». Eddie Hinton èstato e rimane l’unico che ha demolitoquel muro che separa l’espressività dellamusica soul fra artisti neri e bianchi. Neglianni pochi gli hanno reso un tributo, i so-praccitati Drive By Truckers, il chitarristatexano Jimmy Thackery and The Drivers

che ha ripreso undici suoi pezzi per un CD che ha in-titolato “We Got It”, Bonnie Bramlett con la canzone,“Where’s Eddie” inclusa nella antologia “The CountrySoul Revue”, e nel 2001 con una stella in bronzo èentrato a fare parte della Tuscumbia’s Alabama Mu-sic Hall Of Fame.Nel 2007 i cineasti Deryle Perryman (nativo di Flo-rence, Alabama) e Moises Gonzales produssero unfilm documentario su Hinton, intitolato “DangerousHighway”, al quale prestò la voce narrante RobertCray, grande ammiratore di Eddie. Il film venneproiettato in diversi festival americani e debuttò inEuropa nell’edizione 2008 del Porretta Soul Festival,tuttavia non ne circola purtroppo una versione inDVD, a quanto sembra per problemi con i detentoridei diritti delle canzoni incluse.

27 aprile 1991, Decatur, Alabama, quasi al confine con il Tennessee di Graziano Uliani

Ricordo di Eddie Hinton

…l’unico cheha demolitoquel muro cheseparal’espressivitàdella musicasoul fra artistineri e bianchi.

Sono alla ricerca di uno dei miei miti: EddieHinton per convincerlo a partecipare ad

un festival che sta muovendo i primi passi aPorretta Terme. Ho conosciuto la musica diEddie perché Gianni Del Savio mi ha fattouna copia di “Very Extremely Dangerous”, unLP che mi ha colpito per le similitudini conOtis Redding. Ho un appuntamento a casa diJohn Wyker, leader di una non meglio identi-ficata associazione o forse setta chiamataMighty Field Of Vision. Le case sono grazio-se, in mezzo al verde, con giardini ben cura-ti, come le avevo viste nei telefilm americani.Sono le prime ore di un pomeriggio umido.John Wyker mi aspetta in casa con un disor-dine incredibile. Il pavimento pieno di riviste,di ritagli di articoli e di lettere aperte dove cisono, bene in mostra, anche quelle che gliavevo scritto. Mi dice che Eddie arriverà. Abi-ta a Birmingham con la madre e il patrigno.Passano le ore e, non arrivando nessuno, ilmio amico fotografo Luciano Morotti diventaimpaziente. John Wyker prende un totem(come quelli degli indiani), va ai quattro an-goli della casa, alza al cielo il totem e dice:«Solo Dio sa se Eddie arriverà!». Delusi eamareggiati chiediamo a John di accompa-gnarci ai famosi Muscle Shoals Studios. Al-meno vediamo quelli, penso. Jimmy Johnsone Dick Cooper, padroni di casa, ci accolgonocalorosamente dicendoci che Eddie Hinton èuno dei più grandi talenti che abbiano mai co-nosciuto, ma non sempre affidabile. Restia-mo un po’ poi John ci invita a seguirlo aTown Creek, dal suo amico Owen Brown.Immensi campi di grano ed in mezzo una casa instile coloniale, probabilmente antecedente laguerra civile americana. Nel soggiorno un picco-lo studio di registrazione: Birdland Studio. Passa-

no pochi minuti e si avvicina un van, un vecchioDodge. «Eccolo» dice John Wyker. Vediamoscendere un personaggio robusto, con un’enor-me pancia, i pantaloni stretti e troppo lunghi, che

strisciano per terra. Non può essere EddieHinton, pensiamo.Troppo diverso dalle fotoche abbiamo visto su “Letters From Missis-sippi”. Doveva essere smilzo…Ha una gros-sa borsa piena di lattine di birra e di sigaretteal mentolo. Inizia a piovere e ci rifugiamo nel-lo studio. Esclama in un buffo italiano «Che sidice, Graziano, paisà!...ti piace Otis Redding,vero?». Gli chiedo come fa a conoscere quel-le parole in italiano. Il suo padrino - mi dice -ha fatto la guerra in Italia e lui ricorda quellafrase. Si mette al piano ed attacca “Fa, Fa,Fa, Fa, Fa.” Non ho più dubbi, è proprio lui.Chiedo a Owen Brown di registrare, ma fuorisono tuoni e fulmini, la luce salta continua-mente e non è possibile completare la regi-strazione. Impreco, ma non c’è niente da fa-re. Prosegue con “Security” e poi con “SheCaught The Katy”. Una voce incredibile, unostile inconfondibile. E’ già sera, noi dobbiamoproseguire per Memphis. Peccato…Causa iltemporale ho perso la possibilità di portarmivia la documentazione di quell’incontro me-morabile. Ma i sogni qualche volta si avvera-no. Tornato in Italia, trovo una busta che arri-va da Town Creek, Alabama! Contiene unacassetta, una compact cassette targata Bird-land Studio. Non ci posso credere: sono i trebrani che Eddie aveva suonato per me! Qual-che mese dopo, Eddie Hinton, accompagna-to da John Wyker sarà a Porretta nella suaunica performance europea. Ho pensato direndere omaggio a Eddie Hinton, rivestendole canzoni che aveva eseguito per me, solopiano e voce, con gl i abi t i del Memphis

Sound, chiedendo ad alcuni dei musicisti che l’a-vevano già accompagnato a Porretta di comple-tare l’opera, esprimendo tutto il loro feeling. «Chene dici, Eddie…paisà!»

Eddie Hinton (Town Creek, Alabama, 27-04-1991,foto Luciano Morotti)

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MICROWAVE DAVE & THE NUKESLast Time I Saw YouAutoprodotto (USA)-2011-

Drinkin’ Wine Since Nine / Jesus Was Smart / I’veGot A Bet With Myself / The Worst Thing / Tire Man/ Alabama Saturday Night / Last Time I Saw You /Hydraulic Grind / All Nite Boogie / Goin’ Downtown/ Cadillac Ride / Vagabundos / Rafferty.

Lo avevamo giàtestato positiva-mente due voltenella rubrica“Polvere di Stel-le” nei numeri 56e 58. Il perchépoi non ci siamopiù dati la brigadi seguirlo conmaggior atten-zione, rimane unmistero ancheper noi. Incuria, leggerezza, dimenticanza, premura,etc. Facciamo pubblica ammenda oggi, ricuperandol’ultimo album di Dave Gallaher, in arte Microwave Da-ve. Unicamente nativo di Chicago, in quanto ha vissutonel Texas, Georgia e Florida, prima di stabilirsi definiti-vamente verso lametà degli anni Ottanta adHuntsville,Alabama, dove forma la sua band The Nukes. E’ persi-no scontato dire che la musica di questo cantante (po-tente) e chitarrista (convincente), che in realtà non tra-lascia le percussioni, possiede una sua unicità che de-riva dalla fusione, inconscia o meno, dei diversi stili ac-quisiti, assorbiti, nei varî Stati in cui ha vissuto. E questa

multiculturalità finisce per diventare il suo pregio, per-ché lo conduce ad esprimersi in completa libertà, siacome esecutore che come autore. Ma più della solitascarsa citazione la meritano The Nukes, ovvero RickGodfrey (basso e armonica, partner di Dave sin dallafondazione) e James Irvin (batterista presente dal2004), che formano una sezione ritmica esemplare pertocco e senso della misura, doti che in una formazionea trio rischiano spesso di latitare. Cercando di esserepiù realisti del re, dobbiamo riconoscere al leader diaver in parte, o perlomeno in questo album, accantona-to il ruolo dominante del suo strumento (reminiscenzetexane?) per lavorare alla creazione di un consistenterisultato sonoro corale. Niente divismo quindi, se siesclude “Rafferty” torrenziale strumentale finale, proba-bile fuga in avanti dell’insopprimibile ego. Per il restoun’opera compatta, che ha i suoi vertici nelle cadenza-te “I’ve Got A Bet With Myself” con l’intermezzo senzaforzature di basso e batteria, e “Tire Man” carico di frasispezzate trascinanti, entrambe odoranti di paludi.Quando le trame si fanno più ritmiche è la volta di “Ala-bama Saturday Night” impreziosita dall’armonica diGodfrey, mentre se in “ Cadillac Ride” è il lowebow delleader suonato slide a tracciare la strada, in “Vagabun-dos” c’è il sapore amaro del confine tra Texas e Messi-

co. Un cenno a sé per lo slow “TheWorst Thing”, quasiun talking blues in cui brillano la chitarra accarezzata diDave ed il lavoro sui piatti di Irvin. Se volete provare aduscire dal già ascoltato, questo CD fa per voi.

Marino Grandi

SHARBABYSharBaby’s 11 O’Clock BluesDigitdoc (USA)-2011-

Slippin’ / Cause I Love Ya / The Stalker / Pick In MyPocket / Busted / Remember When / I’m Ready /Alabama Bound / Red Eye Snake / Beer ‘N’ Atmos-phere / Keep Your Mind To Yourself.

Sebbene nativadi South Bend,Indiana, Sharon“ S h a r B a b y ”Newport ha sa-puto guadagnar-si il ruolo di unadelle AlabamaBlues Womenpiù rispettate.Senza dubbio,gli oltre 40 annidi attività vorran-no pur dire qual-cosa, anche se non sempre l’anzianità è sinonimo diqualità. Per conoscere meglio questa cantante e chitar-rista, abbiamooptato per l’album in esame, che la cogliein una dimensione numericamente ridotta a livello di for-mazione (ovviamente oltre a lei alla voce ed alla chitarraritmica, ci sono i soli Jaydog alla batteria ed il poliedricoTomBoykin impegnato nella chitarra solista, basso e ta-stiere), in quanto il precedente lavoro risalente al 2009“Chicago Blues Alabama Style” ci era parso più che al-tro la rimasticazione dello stileWindy City con poca Ala-bama. Qui invece ci troviamo alle prese con un bluesdelle ore piccole (che le 11del titolo si riferiscanoalle no-stre 23?), cioè quando si ripensa a come abbiamo tra-scorso la giornata e l’unica cosa chedesideriamo in quelmomento è un suono semplice, pacatamente ritmico alcui fluire possiamo aggiungere quella parte di noi anco-ra attiva. Infatti SharBaby predilige i tempi medi, e se lasua voce ricorda quella di Tracy Chapman ed il suo chi-tarrismo quello di Barbara Lynn, chi guizza con nitidez-za, asciuttezza ed energia mai sprecata è la chitarra diBoykin. Intendiamoci, non è il caso di gridare al miraco-lo, ma se riflettiamo sul fatto che è autrice di 10 dei branipresenti (dell’altro è coautrice con la zia Rosie Brittain),che le scansioni di “The Stalker” (il titolo non ha bisognodi commenti) e “Red Eye Snake” sono di tutto rispetto,che i tempimedi “Slippin’” e “AlabamaBound” (quest’ul-timo con la chitarra di Boykin che sottolinea e richiama ilcanto di Sharon) e che slow come “RememberWhen” e“Keep Your Mind To Yourself” non si trovano tutti i gior-ni, possiamo solo sperare di poterla vedere, magari conquesta formazione, su un palco di casa nostra.

Marino Grandi

DEBBIE BONDHearts Are WildBlues Root Productions 1105 (USA)-2011-

Dead Zone Blues / Hearts AreWild / My Time / DramaMama / You’re The Kind Of Trouble / Still Missing You/ Rick’s Boogie / Baby I love You / Nothing But TheBlues / Falling / I like It Like That / Since I found Love.

Per sapere tuttosu Debbie Bondc’è un’esaustivaintervista neln.108 di questarivista, fatta daMarino Grandi.Qui ci limitiamoad estrarre al-cune sue since-re dichiarazioniriguardo l’ap-partenenza alblues, solo perché in questo suo ultimo CD qualcosaci lascia perplessi. Dice nell’intervista che si è appas-sionata al blues grazie soprattutto alla frequentazionecon Johnny Shines, ma anche con altri bluesmen del-l’area di Tuscaloosa, Alabama, dove risiede, in più haco/prodotto l’unico e ottimo CD del duo Little Whitt &Big Bo “Moody Swamp Blues” (“Il Blues” n.53), è sta-ta la chitarrista del grande Willie King ed è tuttora laspina dorsale dell’Alabama Blues Project, organizza-zione che si occupa fra le varie iniziative di portare ilblues nelle scuole. Davamo per scontato dunque ditrovare in questo suo nuovo lavoro dosi, o perlomenotracce, di quel blues sanguigno con il quale si è for-

mata. Invece la rossa chitarrista (per via dei capel-li), si è orientata su un blues e r&b piuttosto legge-ro, dove in entrambi i casi manca del mordente,vuoi per il suo canto dalle esili tonalità e franca-mente a tratti imbarazzante, vuoi per una sezioneritmica che non si fa ricordare e vuoi anche per lasezione fiati che al momento opportuno non dà laspinta necessaria. A salvare un po’ le sorti di que-sto CD c’è il marito Rick Asherson alle tastiere edarmonica, ma non è sufficiente per alzare la tempe-ratura. La ballad, “Hearts Are Wild”, il blues con unalinea jazz “Drama Mama”, il blues ritmico “You’reThe Kind Of Trouble” e la già nota per via di WillieKing, “I Like It Like That”, hanno una parvenza me-diocre. Continuiamo a credere nella passione per ilblues di Debbie Bond, però forse dovrebbe rivede-re qualcosa, canto compreso.

Silvano BrambillaSharBaby (foto Mike Stephenson©)

Debbie Bond (foto Gabriele Penati©)

Microwave Dave

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Uno dei suoi compagni d’avventura, BigBill Broonzy (quindi non uno qualsiasi) intempi non sospetti, e cioè prima di tutti,aveva detto: «C’è soltanto un Tampa

Red e quando è morto, è finito tutto». Da un punto divista aveva ragione perché Tampa Red è stato unodi quei musicisti la cui originalità non si può discute-re. D’altra parte se quasi un secolo dopo l’epitaffio diBig Bill Broonzy, John Campbell, prodigioso, miste-rioso e sfortunato bluesman, raccontava che tuttoquello che sapeva della chitarra (e non era davveropoco) l’aveva imparato ascoltando Tampa Red, so-prattutto durante i suoi anni con Ma Rainey vuol direche ha lasciato un’eredità enorme e imponderabile,come se avesse fornito tutto un nuovo vocabolario, enon solo chitarristico, e non soltanto blues.La chitarra è uno strumento particolare, in apparenzasemplice e limitata, in realtà elastica e infinita. Già ilblues è una forma che si adatta in ogni ambiente, unvirus capace di modificarsi a secondo dell’atmosferae delle necessità e le canzoni di Tampa Red lo sonoancora di più perché alla sostanza del songwriting, siaggiunge uno stile chitarristico unico, tale da fargliguadagnare l’appellativo di guitar wizard, che èquanto mai perfetto nel suo caso. La chitarra è la spi-na dorsale sui cui è installata e protetta la canzone.Forma il perimetro e il territorio su cui la canzone sisviluppa e rimane incisa neltempo. C’è una logica se,come spesso succede (enon solo per John Camp-bell), le canzoni di Ma Rai-ney sono ricordate per il la-voro chitarristico di TampaRed e d’altra parte c’è unmotivo se il lavorìo chitarri-

stico di Tampa Red è considerato al massimo livelloproprio per la simbiosi con le canzoni di Ma Rainey(senza dimenticare la sua collaborazione conMemphis Minnie). Ry Cooder, uno dei maggiori frui-tori delle invenzioni di Tampa Red ha cercato di spie-gare così il segreto di questo mago della chitarra:

«Tampa Red ha semplificato tutto e ha suonato lachitarra con il feeling di una big band, il più delle vol-te come solista. Ha trasformato la musica rurale incommerciale e di conseguenza è diventato molto po-polare. Ha inciso centinaia di dischi, e sono tutti otti-mi. Alcuni sono incredibilmente ottimi. Bisognerebbedire, okay, è da lì che è partita quasi tutta la musicapop. E aveva questa grande tecnica, certo. Riuscì asintetizzare tutto, per quanto io riesca lontanamentea comprenderlo. Aveva le canzoni, aveva lo stile vo-cale, aveva il ritmo. C’è una linea diretta da TampaRed a Louis Jordan a Chuck Berry». Se si segue ilpercorso delle interpretazioni delle sue canzoni, sipuò vedere come è riuscito a fornire i suoni e le pa-role adattabili e plasmabili all’evoluzione della musi-ca e della cultura: ai capisaldi già citati da Ry Cooder,vanno segnalati anche Elmore James e Muddy Wa-ters.Le tappe essenziali di un’intera metamorfosi posso-no essere lette e indicate attraverso le canzoni diTampa Red o meglio attraverso le loro interpretazio-ni. E’ come se fossero elementi di un DNA da cui divolta in volta si sono moltiplicate altre forme vitali. E’stato come una radice essenziale, la cui linfa è arri-vata a trasformare l’essenza del blues rurale nelsound (elettrico) della città e infine nel rock’n’roll. Ilsuo ruolo nella genesi di tutta questa epopea è es-senziale perché tra i suoi cambi di pelle c’è anchequello che l’ha portato a condividere la rivoluzione

che ha condotto il rudimen-tale blues a moltiplicarsicon le vibrazioni e i suonimetropolitani. Tampa Redaveva una naturale predi-sposizione a voltare pagi-na, perché è stato uno di

Perfectly GoodGuitarTampa Red, Chicago e mezza dozzina di blues per un dollaro di Marco Denti

La chitarra è unostrumentoparticolare, inapparenzasemplice elimitata, in realtàelastica einfinita.

«Ha trasformatola musica ruralein commerciale edi conseguenzaè diventatomolto popolare.»

Tampa Red

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quei musicisti che ha cambiato in continuazione ecome se nella sua storia la trasformazione, l’evolu-zione, la metamorfosi fosse innata ha cominciato concambiarsi il nome, poi ha cambiato città, dal Sud alNord, dalla Georgia all’Illinois e infine, nella stessasequenza, ha cambiato per sempre il modo di suo-nare la chitarra, il blues e tutto ciò che è venuto do-po. Riassunta in poche righe, ed escludendo i dram-mi personali (che sono un’altra storia), la sua vita èdavvero un continuo cambiamento di fronte che co-mincia con un triplo salto carpiato del nome. TampaRed è nato infatti come Hudson Woodbridge è di-ventato ben presto Hudson Whittaker, assumendo ilcognome della nonna che l’ha allevato e infine Tam-pa Red in omaggio alla città dove è cresciuto. I moti-vi dell’aggiunta del colore non sono mai stati confer-mati e comunque sono relativi: è il susseguirsi deinomi a sottolineare la ricerca di un’identità che, comeriportano le note al seguito di “The Bluebird Recor-dings 1934-1936”, è arrivata ascoltando “CrazyBlues” di Mamie Smith.Tampa Red disse, dopo aver ascoltato quel gioiellodella riserva speciale dell’annata 1920: «Mi sono det-to a me stesso: non conosco nessuna musica, maquesta possono suonarla». Quel folle blues divenneil veicolo con cui Tampa Red, incrociando il suo de-stino con quello di Georgia Tom ovvero Thomas Dor-sey, arrivò a Chicago, all’alba del 1925.La tensione che emana la chitarra diTampa Red è senza dubbio frutto di unatecnica innovativa, in particolare perquanto riguarda l’uso della slide, che loha visto diventare un modello irrinuncia-bile. Bisogna anche ricordare che la mu-sica, così come tutte le espressioni cultu-rali, risente e si nutre dell’atmosfera in cuivive. L’arrivo a Chicago di Tampa Red coincide conla scoperta di una moderna metropoli che vive giàtutte le contraddizioni, le durezze (da quelle climati-che a quelle sociali) della faticosa convivenza urba-na. Il ritratto della città fatto da Upton Sinclair in “Lagiungla” (Il Saggiatore), titolo esplicito del capolavoroche risale agli inizi del ventesimo secolo non è moltodiverso da quello elaborato da ‘Ala Al-Aswani in “Chi-cago” (Feltrinelli) solo qualche anno fa: «L’hannochiamata la regina del West per via della sua impor-tanza e della sua bellezza, la città del vento perchébrezze impetuose non cessano mai di percorrerla inogni stagione, la città del secolo per il suo sbalorditi-vo espandersi in un breve lasso di tempo, la città conle spalle larghe in riferimento all’altezza dei suoi grat-tacieli e ai molti operai che la abitano, la città del saròe del farò in relazione alla frenesia degli americani diemigrarvi in cerca di un futuro migliore, e la città deisobborghi» per indicare i settantasette sobborghi

della sua cintura urbana in cui vive gentedi diversa provenienza (neri, irlandesi, ita-liani, tedeschi) ma dove ogni sobborgo re-sta portatore della cultura e delle tradizio-ni dei suoi abitanti.Il blues di Chicago nasce da e in questecondizioni e Tampa Red era lì, il postogiusto nel momento giusto. All’epoca inci-

deva per la Bluebird Records che gli pagava l’affittodell’appartamento sulla 35th and State dove vivevacon la moglie Frances, e la sua casa a Chicago èstato un vero crocevia dove una moltitudine di musi-cisti ha imparato a capire come convivere con ilblues. In un’intervista del 1964 a Michael Bloomfield(un interlocutore privilegiato essendo a sua volta uneccelso chitarrista) Robert Nighthawk ricordava:«Credo di aver cominciato proprio allora. Un pezzoalla volta, a notte inoltrata. Uno di quei blues lo suo-nai con la slide. Non lo imparai diretta-mente da Tampa Red. Certo, mi piacevacome suonava la slide e così appena hotrovato un’idea ho voluto provare a suo-narla anch’io. Ho sempre voluto suonarecome lui, ma immaginavo di scoprirequalcosa di diverso». L’influenza di Tam-pa Red non sarebbe diventata tale sefosse rimasta confinata alle pareti del suo

appartamento di Chicago ealla cerchia degli amici edei discepoli bluesman. Aconfortare le ipotesi di RyCooder rispetto alla natura“pop” (nella migliore acce-zione del termine, va preci-sato, che poi è pur semprela contrazione di “popular”),non è soltanto l’accessibi-lità del songwriting di Tam-

pa Red e l’immediatezza del suo talento chitarristico,su cui non ci sono comunque dubbi. Vale la pena ri-cordare però che la Bluebird era in realtà una collanaeconomica della RCA Victor che vendeva i 78 giri a35 centesimi, invece che ai normali 75, in modo chefossero appetibili anche dalle fasce di popolazionemeno solvibili, ovvero, tradotto in italiano, dagli afroa-mericani. Una formula edulcorata di race records,che permise al blues di diffondersi e di solidificare lasua simbiosi con Chicago. Lo slogan della Bluebirdera «tre dischi per un dollaro», e se i conti non torna-no fino all’ultimo nickel è perché non è la matematicaa far girare il mondo, ma il marketing.Da qualche parte i soldi per l’affitto dovevano pursaltare fuori e per la Bluebird incisero Bo Carter,Arthur Big Boy Crudup (il fantasma di Elvis ringraziaancora), Sonny Boy Williamson, Washboard Sam,Roosevelt Sykes e lo stesso Big Bill Broonzy, maanche Jimmie Rodgers e Glenn Miller. Fu un perio-do fertile e fondamentale anche per Tampa Red,che continuò a lungo a registrare producendo dischiper vent’anni, incidendo più di duecento canzoni ce-lebrando, tra l’altro, almeno un classico assoluto con“It Hurts Me Too”. Una canzone che, uscita nel 1940e una volta ripresa da Elmore James nel 1957, de-cennio per decennio sembra essersi adattata ai per-corsi multipli e sotterranei del blues prima con JohnMayall e Chuck Berry, poi con Hound Dog Taylor e iGrateful Dead (e l’immancabile Dylan) infine conEric Clapton, i Gov’t Mule e Keb’ Mo’ e siamo già nelsecondo millennio, almeno così come lo conoscia-mo. Come sia possibile, è qualcosa che riguarda lamagia, il mistero, l’imponderabile di un chitarrista ca-pace di suonare soltanto quella musica e di raccon-tare anche un “Dead Cat On The Line” trasforman-

dolo in un simbolo. Come se nel blues cifosse qualcosa in grado di trasfigurare larealtà, traducendola in una materia subli-minale, per cui ormai basta un gattodead or alive sul bordo della strada ed èinevitabile che il viaggiatore pensi subitoa Tampa Red. O a Bukka White. Certibluesmen non muoiono mai. Ogni tanto,devono tornare a casa.

Tampa Red

…ha cambiatoper sempre ilmodo di suonarela chitarra, ilblues e tutto ciòche è venutodopo.

«Mi sono detto ame stesso: nonconosconessuna musica,ma questapossonosuonarla.»

…la Bluebird erain realtà unacollanaeconomica dellaRCA Victor chevendeva i 78 giria 35 centesimi,invece che ainormali 75…

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Se si passa a Bentonia percorrendo la US49 è d’obbligo fermarsi al Blue Front Cafè,il juke joint gestito da Jimmy “Duck” Hol-mes. Questo locale è una vera e propria

pietra miliare nella storia dei juke joint del Missis-sippi, e sono tantissimi i musicisti di spessore chealmeno una volta vi si sono esibiti. Proprio qui cisiamo fermati, quel pomeriggio del 29 giugno 2010,per registrare Bud Spires, armonicista originario delposto. Da diversi anni lontano dalla scena musica-le, Bud riesce ancora a stupire con la sua armoni-ca, nonostante la vecchiaia e gli acciacchi che or-mai all’età di 80 anni si fanno sentire. Il respiro irre-golare e affannato, e le frequenti pause nei pezzi,rendono faticoso l’ascolto ma ogni tanto, quando lemani gli consentono di terminare le sequenze di no-te, viene a galla il glorioso passato da musicista.Mr. Spires ha suonato spesso con Jack Owens,chitarrista di Bentonia, che è stato suo amico ementore. Il suo stile è relativamente semplice, e sibasa sull’alternanza tra le strofe cantate e i fraseg-gi di armonica, e questo rende i suoi brani molto in-cisivi.Notato da David Evans e poi successivamente daAlan Lomax, fece diverse registrazioni sul campo.In una di queste Bud suona il pezzo “Easy Ridin’Buggy” su un furgone. Il filmato è stato girato da

Alan Lomax nel ’78, ed èpossibile trovarlo anchesu YouTube, oltre chenel DVD “The LandWhere The Blues Be-gan” recensito a pag. 16.Nel 1970 partecipò al-l’incisione del disco “ItMust Have Been TheDevil” di Jack Owens.Nel 2006 accompagnòJimmy “Duck” Holmesnel disco “Back to Ben-tonia” e nel 2007 in“Done Got Tired ofTryin’”, con Lightnin’Malcolm alla batteria.Da ricordare anche lasua presenza, semprecon Jack Owens, all’in-terno del documentario“Deep Blues: A Musi-cal Pilgrimage To TheCrossroads” di RobertMugge.Nonostante dopo la re-gistrazione Bud fosseabbastanza provato,siamo comunque riu-sciti a strappargli unabreve intervista.

Dove sei nato?Sono nato qui a Bento-nia, Mississippi, nel1931.

Come hai iniziato asuonare?Ho cominciato da solo,quando avevo 5 anni. Subito mio pa-dre mi voleva comprare una chitarra,ma alla fine mi prese un’armonica.Poi ho imparato a suonarla da solo.Quando fui in grado di suonare de-centemente, mi chiamarono in radioper suonare cinque pezzi. Qui conob-bi Jack Owens e con lui suonai altretre o quattro… Sì quattro volte per la radio. Ricordoche mi disse: «Ragazzo, tu suoni bene l’armonica»e poi «Ragazzo tieni una nota che devo accordarela chitarra», al che gli dissi che la mia armonica eratroppo alta per accordare la corda bassa della chi-tarra, ma lui insistette. Suonammo, ma la chitarranon era molto accordata ed alla fine del concerto midisse: «Sì ragazzo la tua armonica è troppo alta peraccordare la chitarra». Dopo quella performancesuonammo insieme molte altre volte.

Cosa puoi raccontarci di Jack Owens?Ricordo un episodio in particolare, e fu quando una

volta mi disse: «Ragazzo, dove dob-biamo suonare?», e io gli risposi cheavevamo un concerto in California.Al che lui replicò «Non sono mai sta-to in California prima d’ora», ed allo-ra io gli dissi che nemmeno io c’erostato. Lui allora mi chiese per quantodovessimo guidare, e io subito gli fe-

ci sapere che non dovevamo guidare ma avevamoprenotati due voli aerei. «Volare con un jet?» midisse Jack, «No, io voglio rimanere con i piedi perterra, chiama gli organizzatori.» Ma gli organizzato-ri ci dissero che erano già prenotati i voli. Ricordoancora che Jack, prima di salire sull’aereo, bevettemolto, preso com’era dalla preoccupazione. Unavolta decollati gli chiesi come stava, e lui mi rispo-se: «Mi sento come se stessi volando». Quello fu ilnostro primo volo aereo.

Ora con chi suoni?Suono ancora qualche volta con Jimmy “Duck” Holmes.

Voci dal MississippiINTERVISTA Bud Spires: un soffio di Storia di Michele Paglia e Giacomo Lagrasta

«Volare con un jet?»mi disse Jack, «No,io voglio rimanerecon i piedi per terra,chiama gliorganizzatori.»

Bud Spires (foto Lou Bopp©)

Bud Spires (foto Lou Bopp©)

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Anche in Mississippi, come da noi, moltepersone si sono cimentate nel bluesper diversi anni e non hanno mai avutola forza o il talento per diventare musi-

cisti professionisti. Queste persone, che spessosuonano blues per passare qualche serata conamici e altri musicisti, possono essere definitiappassionati, senza nulla togliere al loro talentomusicale. Rufus Roach e il nipote Harold Quinnrientrano pienamente in questa categoria.Li abbiamo incontrati il 28 giugno 2010, durante ilnostro tour nel profondo Sud, non lontano daTchula, nella fattoria dove Rufus vive e lavora.Subito ci ha impressionato l’ospitalità con cuiRufus ci ha accolti nella sua abitazione, ci siamosistemati in salotto e lo abbiamo ascoltato suona-re sia testi originali che classici del blues. HaroldQuinn, nipote di Rufus, ha accompagnato i branicon il basso, dando un tocco più incisivo ai pezziproposti. In complesso l’esibizione è stata inte-ressante, ed alcune parti potevano fare invidiapersino ad un musicista di professione. Oramaiera verso sera quando gli abbiamo strappatoun’intervista per documentare laloro presenza nel panorama musi-cale mississippiano, sempre menolegato alla figura leggendaria delvecchio bluesman e sempre piùpopolata da una selva di musicistiappassionati che riprendono inmano canzoni e motivi che hannofatto di quella terra la culla della musica contem-poranea.

Ciao Rufus, dove sei nato?Sono nato nel ‘47 in un posto chiamato Valhome,Mississippi, a 25 miglia da Thornton.

Come hai cominciato a suonare la chitarra?Ho cominciato a suonare con una chitarra autoco-struita. Al tempo vivevamo in una casa di legno,ed allora ho appeso un filo ad un muro ed è cosìche ho iniziato a suonare la chitarra. Poi miopadre e mia madre mi regalarono una chitarravera, ricordo ancora che aveva 22 tasti, era unaStella. Appena tornai a casa mi misi subito a suo-nare, me la portavo persino a letto. Al tempo vole-

vo diventare un grande chitarrista, ela gente diceva che se avessi lavo-rato duro ci sarei riuscito. E’ cosìche ho cominciato a suonare.

Ora suoni spesso fuori? Hai unaband?No, suono qualche volta da solo nei

locali del posto.

A chi ti sei ispirato?Richard Williams, e poi alla musica di mio zio cheera un musicista locale. Vedevo suonare lui quan-do ero un bambino, circa nel ‘51, molto tempo faormai.

Puoi raccontarci qualcosa che ti è capitato?Si nel 64, ero in un posto chiamato Pig Men Lowin Yazoo City, Mississippi, e un tiziosi avvicinò chiedendo se ero in gra-do di accompagnarlo a suonarequalcosa. Io gli risposi che potevointonare con il mio strumento mono-corda qualsiasi cosa. Poi mi disse di

accordare il mio strumento fatto con un’asse dilegno, ma non potevo perché non aveva le chiaviper l’accordatura. Allora lui accordò la sua chitarrasulla nota della mia diddley bow e suonammo perun bel pezzo. Rividi quell’uomo circa due annidopo, e lui mi chiese se io ero quel ragazzo concui aveva suonato quella sera a Yazoo City ed iorisposi di si. Mi chiese se suonavo ancora e gli dis-si che stavo continuando. Ci siamo fatti una fotoinsieme. Nel ’62 lui si faceva chiamare T-Bone, poiTeel Drago e ora si fa chiamare T-Model Ford. Si,T-Model Ford, vive non tanto lontano da qui, que-sto è il T- Bone a cui mi riferisco.

Ciao Harold, puoi parlarci di te?Sono nato nella contea di Holmes a Lexington,Mississippi, nel 1944, il 21 di febbraio. Ho comin-ciato a suonare nella band della scuola come bat-

terista. Poi, quando ho finito la highschool, ho cominciato a suonare altristrumenti e ora sto imparando asuonare la chitarra. Non sono bravocome mio zio Rufus ma sto imparan-do.

Che altri strumenti suoni?Suono anche un po’ la tastiera ed il basso. Conti-nuo comunque a suonare la batteria.

Hai una band e ti esibisci in pubblico?No, non ho una band. Qualche volta do lezioni achi vuole avvicinarsi alla musica. Ogni tanto, quan-do mi chiama, accompagno mio zio.

Hai un consiglio da dare a chi vuole avvicinarsial blues?Il mio consiglio è di ascoltare tanti dischi di bluese, ovunque tu sia, quando in zona c’è un concertoblues vai e guardalo. Deve essere un piacereimparare.

Quale è stata l’esperienza più bella che haiavuto in campo musicale?Una volta, prima di diplomarmi andai in gita scola-stica a vedere un concerto di James Brown. Quel-la è un’esperienza che non dimenticherò mai.Sicuramente l’esperienza musicale più bella cheho avuto.

INTERVISTA Rufus Roach e Harold Quinn: due appassionati di Michele Paglia e Giacomo Lagrasta

« Nel ‘62 lui sifaceva chiamare T-Bone, poi TeelDrago e ora si fachiamare T-ModelFord.»

«… quando in zonac'è un concertoblues vai e guardalo.Deve essere unpiacere imparare.»

Rufus Roach (foto Lou Bopp ©)

Rufus Roach, Harold Quinn (foto Giacomo Lagrasta)

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FRANCESCO PIUMa-Moo TonesGroove 004 (I)-2012-

Scoperto da Gianni Ruggiero dellaGroove Company “su un’isola”, laSardegna, in quel di Narcao, perdutofra un blues/gospel di Blind WillieJohnson e parentesi soul e hen-drixiane, Francesco Piu nello spaziodi soli cinque anni (2007-2012), hagià concretizzato una carriera artisti-ca di tutto rispetto con due CD,“Blues Journey” e l’ottimo “Live AtAmigdala” del 2009, inframmezzan-doli con due anni accanto a DavideVan De Sfroos e copiosi concerti, aproprio nome, in locali e festivalanche all’estero. Una crescita artisti-ca soddisfacente ma non totalitaria,perché gli mancava di avverare undesiderio: realizzare un CD con lacomplicità di un suo musicista di rife-rimento. I sogni a volte si tramutanoin realtà e, sempre sotto la professio-nale gestione del suddetto GianniRuggiero (divenuto anche una sortadi fratello maggiore per Francesco),della produzione artistica di questoterzo CD si è preso cura Eric Bibb,artista che non ha certo bisogno dipresentazioni e che continua a tene-re accesa la discussione se siameglio su disco o dal vivo. Determi-nante per Piu è stato anche l’incontrocon Daniele Tenca la cui concretasensibilità anche come autore, li haportati a diventare insieme i respon-sabili di testi e musica di sei pezzi;che sia nata la nuova cop-pia….Battisti/Mogol del blues? Dasottolineare anche il fatto che Fran-cesco, investito da un periodo esal-tante per la sua professione, ha perla prima volta messo in gioco la suaqualità di autore scrivendo di suopugno due pezzi. Ma torniamo allapresenza di Bibb nel ruolo di produt-tore artistico, ruolo che ci ha consen-tito un legittimo pensiero riguardanteil rischio di modificare le istintivesonorità di Piu a favore di situazionipiù consone al musicista neroameri-cano. Ciò non è avvenuto, perché lapresenza di Bibb non è stata assolu-tamente ingombrante, in quanto si èlimitata a qualche consiglio su comeevidenziare meglio la voce del

nostro, per ricavarne maggior effica-cia. Francesco, che passa con estre-ma disinvoltura dalle chitarre acusti-che, all’elettrica, al banjo, è semprecoadiuvato dall’eccellente DavideSperanza, inesauribile con l’armoni-ca a riempire qualsiasi spazio, e dal-l’infaticabile Pablo Leoni ai tamburi,versatile nel sostenere la base ritmi-ca. Il CD si apre con “The End OfYour Spell” un pungente blues chetratta l’amara riflessione sulle dram-matiche condizioni sociali devastateanche dalla televisione, segue il cor-poso “Over You” che precede la pri-ma cover, “Trouble So Hard”, cantatacon trasporto e che dimostra la pas-sione di Francesco per il gospel. Bel-la è la ballata “Blind Track” (la manodi Daniele Tenca anche nella partemusicale si sente). Vivace nel suonoma non nel testo (sempre di Daniele)è “Colors”, mentre “Overdose Of Sor-row” e “Down On My Knees” (anchequesta ottima) sono composte intera-mente da Piu con una verniciata difunky/soul per la prima (con Bibbpresente alla chitarra baritono), e untesto sacro con accenti sincopati stileNew Orleans per la seconda. Duecover chiudono il CD, l’ipnotica e inu-suale versione con chitarra elettricadi “The Soul Of A Man” e l’acusticastrumentale con il solo Francesco“Third Stone From The Sun” di Hen-drix. E’ il disco più espressivo ematuro di Francesco Piu, ha unrespiro internazionale, ed è già nellalista dei migliori dell’anno, anche perla grafica e il libretto con i testi.

HARPIN’ ON BLUESA.O. BluesAutoprodotto (I)-2012-

È inevitabile che la frenesia per l’e-sordio discografico sia alimentata dauna serie di fattori, fra i quali, siste-mare la scaletta dei pezzi. Il quartettotorinese ha ovviato a quel problemamettendoli in ordine alfabetico, da quiil titolo del loro CD, A (alphabetic) O(order) Blues. Sono nove cover, settedelle quali sono dei classici del Chi-cago Blues. Tale scelta oggi èalquanto rischiosa per il semplice fat-to che il repertorio della città ventosa

è stato ormai spremuto e consumatoe dunque risulta difficile ritrovare buo-ne sensazioni, ma gli Harpin OnBlues hanno avuto la capacità di farciricredere in parte a quello detto unariga sopra, per la naturale sponta-neità e freschezza messe in campo.A ciò va aggiunto il riuscito amalgamafra i musicisti, Paolo Demontis armo-nica e sax, Beppe Rainero chitarraelettrica, dobro e voce, Gianluca Mar-tini contrabbasso e Massimo Giano-glio batteria, bravi per essenzialità enaturalezza nel collocare gli strumentidove necessitano, sax e chitarra elet-trica, ben sorretti dalla ritmica, hannoben ridisegnato, “Easy Baby” e “I JustWant A Little Bit” di Magic Sam. Ripo-sto il sax e presa fra le mani l’armoni-ca, il leader Demontis pesca nelrepertorio di William Clarke, “GreasyGravy” e James Cotton, “MidnightCreeper”, due efficaci strumentali. Chisi avventura fra il blues di Chicago sache deve passare anche da MuddyWaters, ed è così che gli Harpin OnBlues hanno fatto con una convincen-te rilettura elettroacustica di “I Can’tBe Satified”, con una snella versionedi “Sugar Sweet” e con il tempomedio di “Trouble No More”.Per contattiwww.reverbnation.com/harpinonblues

VERONICA SBERGIA &MAX DE BERNARDIOld Stories For Modern TimesTotally Unnecessary (I)-2012-

Con tocchi di freschezza e bravura,Veronica Sbergia e Max De Bernar-di, presa una pausa discograficacome Red Wine Serenaders, conti-nuano a togliere la polvere da vec-chie registrazioni rivitalizzandole conun uso qualitativamente moderno.Per questo CD hanno ripreso altriquindici pezzi tutti rigorosamente deiprimi decenni del secolo scorso,decenni di grandi trasformazioni incui bisognava avere carattere pernon farsi sopraffare dagli eventi, dal-le ostilità anche fra la stessa razza, edalla supremazia maschile nei con-fronti della donna, fatto questo, tenu-to ben sotto controllo per quantoriguarda due grandi interpreti dellamusica neroamericana come SophieTucker e Memphis Minnie. Questo

per dire che il repertorio scelto daVeronica e Max va dal 1910 (con unpezzo della Tucker) al 1938 (con unpezzo della Minnie). Nel mezzo tantealtre storie di figure maschili e fem-minili, fra blues, ragtime, jazz primor-diale, folk, atmosfere del Vaudeville,dei Medicine Show, dei frequentatis-simi bordelli e del sudore dei campidi cotone. È un CD dove VeronicaSbergia conferma con le sue sfuma-ture vocali un’aderenza ai temi stili-stici trattati (suona anche il wash-board e il kazoo), e dove Max DeBernardi, non dividendo questa voltagli spazi come nei Red Wine, si inol-tra più frequentemente al canto soli-sta e con i vari strumenti a corda, sisobbarca un gran lavoro di solismi,accompagnamento e rifinitura. Insie-me si fanno ricordare per il cadenza-to blues, “Press My Button (Ring MyBell)”, per la vivace “Beedle UmBum” cantata a due voci, per la lenta“Miss The Mississippi And You” (diJimmie Rodgers), per il blues “TheLast Kind Words”, per l’ottima ripresadi “Keep Your Hands Off Her” (di BigBill Broonzy) e per “Long As I CanSee You Smile” (della grandeMemphis Minnie). Il microfono passapoi al solo Max De Bernardi che, insolitudine con le sue chitarre, ese-gue due ottimi blues, “Ragged ButRight” (di Riley Puckett) e “KentuckyBlues” (di Little “Hat” Jones). A ren-dere squisito il CD ci pensano anchealcuni ospiti, Sugar Blue all’armoni-ca, ben calato nell’atmosfera swingdi “Viper Mad” (di Sidney Bechet);Massimo Gatti con il mandolino eLeo Di Giacomo con la chitarra acu-stica, per la trascinante “Some OfThese Days” (di Sophie Tucker), dal-l’incalzante ritmo che ci rimanda algrande Django Reinhardt; Bob Broz-man con la sua resofonica per ilblues in “Cigarettes Blues” e per laballata (bravissima Veronica al can-to) “Sweet Papa (Mama’s GettingMad)”. Per ulteriori informazioniwww.redwineserenaders.it

THE TRUE BLUES BANDTBB & FriendsAutoprodotto (I)-2012-

Riemerge il nome di Lorenz Zadro,questa volta non per il ruolo di orga-

blues in italy

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nizzatore del mega evento, “BluesMade In Italy”, ma come musicista,chitarrista per la precisione, e mem-bro di questa blues band veneta(composta da chitarre, tastiere,sezione ritmica e sezione fiati), chepresta la sua “manodopera” dalvivo, sia a colleghi italiani, che ame-ricani ed europei. Alcuni di lorosono stati dunque coinvolti per darforma ad un CD non scevro da unacanonicità dentro la quale però sinota qua e là una volontà di creareuna propria identità, soprattutto perquanto riguarda alcuni testi contematiche di tutto rispetto, compo-ste sia dal solo Valter Consalvi(voce e chitarra ritmica) che in cop-pia con Lorenz, ai quali va datomerito di aver messo l’accento sudue incresciose storie del nostropaese, la prima, dal titolo “Q.33”con un misurato passo funky, è unatestimonianza sull’inferno della bat-taglia di El Alamein (durante laseconda guerra mondiale), raccoltada un reduce paracadutista, GiorgioPeruzzi, e la seconda “I Don’tAgree!” un agile blues con il coin-volgimento di Stefano Zabeo allachitarra e canto: un omaggio algrande Peppino Impastato dove,sul finale del pezzo si può ascoltarela sua voce recuperata da una dellesue trasmissioni a Radio Aut. Pro-seguendo nell’ascolto, si nota comela TBB sia disposta su più fronti sti-listici della musica neroamericana,e non sia subalterna nei confronti dialcuni suddetti colleghi di lungo cor-so e più affermati. Non ci sono per-sonalismi o fughe in avanti, tuttifanno fronte comune per creare unbel clima che estrapoliamo da alcu-ni episodi come “The Bridge”, unaballata elettroacustica con RobyZonca; da “Night Life” uno slowblues con fiati ed eseguito a duevoci, l’ospite Matteo Sansonetto eValter Consalvi, quest’ultimo conuna vocalità più conforme al clima;“Get Up, Get Down” un tempomedio con Sarasota Slim alla chi-tarra solista e da “Something YouGot” versione blues/soul ben canta-ta in duetto fra Stephanie “Ocean”Ghizzoni e sempre Valter Consalvi.Notevole è poi l’oscuro blues “July22” con Dave Moretti voce e armo-nica, il suono slide della chitarra diLorenz(?) ed un efficace sezione rit-mica percussiva. Ci sono anche ifratelli Limido fra gli ospiti, Francovoce e armonica, Marco chitarra, iquali con il solo accompagnamentodi basso e batteria della TBB, ese-guono un loro rarefatto slow blues,“Livin’ Lovin’ Drinkin’”, feeling allostato puro! L’ultimo ospite in ordinedi apparizione è l’inglese RowlandJones (voce e chitarra) che in duocon Lorenz, rivisita una ballad diBob Scaggs, “I Just Go”. Per con-tatti www.thetruebluesband.com

ONE MAN 100% BLUEZShock!Autoprodotto (I)-2012-

Si rimane favorevolmente “scioccati”dal nuovo lavoro di Davide Lipari, aliasOne Man 100% Bluez, per una serie difattori che andiamo ad esporre con lostesso criterio di quando… maneggia-vamo solo i 33 giri, perché di questo sitratta e non di CD, primo fattore. Ilsecondo è la copertina, fronte e retromolto originali, vivace, luminosa e com-posita, dove forse sono i ricordi, gliaffetti e passioni di Davide che fannobella mostra con foto e immagini varieche ornano la sua figura sul davanti equella del fido batterista Ruggero Solli(stretta in una mano) sul retro. Poi c’è ilterzo fattore: togliere il disco dallacustodia, metterlo sul giradischi,appoggiare la puntina, ed ecco che siviene da subito catapultati nei varî studidi registrazione mississippiani dove laFat Possum ha concepito quell’idiomablues che ha fatto proseliti ovunque eha creato un forum di discussioni fra gliappassionati, se è logico o meno rivita-lizzarlo anche con inserimenti di elet-tronica come è avvenuto per qualcheepisodio discografico di R.L. Burnside,T-Model Ford, Asie Payton. Prima o poida Davide Lipari, che è un profondoconoscitore e uno dei più affidabili por-tavoce, non solo in Italia, della suddettatipologia blues mississippiana, doveva-mo aspettarci che nel suo incessanteperegrinare su per le Hills arrivasse acompletare il suo percorso anche conl’aiuto di supporti elettronici. Supporti dicui, diciamolo subito per togliere qual-siasi dubbio, Davide ha usufruito conun giusto equilibrio senza che fosseromai invadenti e stucchevoli, ma anzi,contribuendo a mantenere e rafforzareun blues sempre ipnotico e intrigante.Questa situazione, intitolata “electro” ecomposta da sei tracce, si trova sullato A del 33 giri, dove il bluesmanromano canta e suona chitarre, banjo,stomp box, basso, armonica e percus-sioni, supportato dai “marchingegni”elettronici di tale Low Chef. Il connubiofunziona, è attraente, tradizione emodernità non sono mai andate cosìd’accordo come qui, “Am I Dead?”,“Shock!”, “Frantic” e la parentesi canta-ta in italiano, “Cerca”, il tutto in una sor-ta di trance blues contagioso e con lavoce volutamente in mono (anche per

tutti gli altri pezzi). Per il lato B, chiama-to “acoustic”, Davide ha richiamato ilprezioso Ruggero Solli alla batteria, dinuovo Low Chef e Matteo Vallicelli alcontrabbasso; altre sette tracce, dovel’aspetto acustico a volte si apre all’e-lettrico e viceversa, ottima è “JohhnyD” con il banjo, poi c’è la sincopata “MyMind And Me”, l’atmosfera alla Kim-brough” in “Lonesome Driver” e c’è del-la tensione in “Heaven Van”, doveDavide suona l’armonica. Anche nellato B, come nell’altro, l’ultima traccia ècantata in italiano, la poco ottimistica,“Vedo Nero”. Di trasparente invece c’èla validità di “One Man 100% Bluez!”.Per contatti www.davidelipari.com

RUDY ROTTA

Me My Music And My LifePepper Cake 2071 (D)-2012-2 CD-

Questo doppio CD è un’antologia chemette a fuoco parte della lunga carrieradi Rudy Rotta, ed un tale avvenimentova dunque celebrato nel modo miglio-re. Obiettivo raggiunto anche attraver-so l’inserimento di quelle registrazionidove Rudy ha coinvolto nomi di primopiano del blues, come Carey Bell in“So Di Blues” e “Mama Save The Chil-dren”, Peter Green nella sua “BlackMagic Woman”, John Mayall & TheBluesbreakers in “My Babe”, RobbenFord in “St. James Infirmary” e “It’s AllOver Now Baby Blue” e Brian Auger &The Oblivion Express in “Truth”. Nonc’è nessun inedito fra i venticinquepezzi presenti, forse perchè quelli sceltirappresentano al meglio la versatilitàche da sempre anima il chitarristaveronese. Blues cantato anche in ita-liano, reminiscenze rock, momenti acu-stici, una passione per i Beatles e lineedall’aspetto più orecchiabile per un ten-tativo di maggior presa su di un pubbli-co più ampio. Ma Rudy Rotta non èsolo quello racchiuso in questa doppiacompilation, perché continua a faredischi ed è sempre su di un palco, piùin Europa e Stati Uniti che in Italia.

Silvano Brambilla

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festivalChicago Blues Festival (29a ed.):dall’8 al 10 giugno nel Grant Park diChicago. Tra gli altri si esibiranno l’8Fernando Jones & My band, Missis-sippi Gabe Carter & Black Oil Broth-ers, Jimmy Dawkins, Rev. K.M.Williams; il 9 Diunna & Blue Mercy,Billy Branch & Sons Of Blues, Terry“Big T” Williams, Mark “Muleman”Massey, Homemade Jamz Bluesband, Geneva Red’s Original DeltaFireballs; il 10 The Rising Stars FifeAnd Drum Band, Lurrie Bell, KilbornAlley, Liz Mandeville & Donna Heru-la Duo, Women In Blues, Mavis Sta-ples. Info www.chicagobluesfest.usBergamo Blues (1a ed.): dal 9 giu-gno al 14 agosto in forma itinerantenell’ambito della provincia di Berga-mo. Si inizierà il 9 a Bergamo conFabrizio Poggi e Soul 7ma, per pro-seguire il 21 a Treviglio con Cek,Eric Bibb & Staffan Astner, il 20 lu-glio ad Ambra frazione di Zogno conThere Will Be Blood, Bud SpencerBlues Explosion, il 25 a Monasterolodel Castello con The Royal SouthernBrotherhood, il 29 a Calusco d’Addacon Little Paul Duo, Elliott MurphyBand, il 10 agosto a Sarnico conBlues Explosion, l’11 a Spinone alLago con Chemako, Veronica Sber-gia & Red Wine Serenaders, il 14 aValbondione con Treves BluesBand. Info www.geomusic.itTorrita Blues Festival (24a ed.): dal21 al 23 giugno a Torrita di Siena(SI), con la partecipazione dei vinci-tori di Effetto Blues 2012, Eric Bibb& Fabrizio Poggi, Joe Louis Walker& Todd Sharpville, The Cyborgs,Mac Arnold & Plates O’ Blues conPaul Reddick.Info www.torritablues.itJazz Ascona (28a ed.): dal 21 giu-gno al 1° luglio ad Ascona, Svizzera,con la presenza, tra gli altri, di Davi-na & The Vagabonds, Irma Thomas,Lilian Bouttè’s Gumbo Zaire con PeeWee Ellis. Info www.jazzascona.chVintage Roots Festival (4a ed.): dal21 al 24 giugno ad Inzago (MI), conla partecipazione di Mark Tortorici,Dr. David Evans, 19th Street Red,The Big Fat Mama, Max Prandi, TheJacknives. Info www.vintageroots.itAmeno Blues (8a ed.): dal 22 giu-gno al 14 luglio, e che quest’anno in-teresserà le località del Lido di Goz-zano ed Ameno in provincia di Nova-ra. Se l’apertura del 22 giugno saràal Lido di Gozzano con T. RogersBand, Roberto Luti & Luke WinslowKing Band, tutte le altre date avran-no quale sede Ameno. Toccherà il29 a Fabio Marza Band, The Bla-sters, a cui faranno seguito il 30Paolo Bonfanti Band, Dave Kelly, il 5luglio Latvian Blues Band, ZakyiaHooker, il 13 Karl Wyatt & MaurizioBestetti, Dwayne Dopsie & Zydeco

Hellraisers, il 14 T. Roosters, MzDee Big Band.Info www.amenoblues.itMojo Station Blues Festival (8a

ed.): il 22 e 23 giugno al Circolo de-gli Artisti, Via Casilina Vecchia, Ro-ma, con la partecipazione di DeadShrimp, Angelo “Leadbelly” Rossi &Ruggero Solli, Hollowbelly il 22, e diSpookyman, The Blues AgainstYouth, Luke Winslow Trio & RobertoLuti il 23. Info www.mojostation.netRootsway Roots’n’Blues FoodFestival (8a ed.): itinerante in alcu-ne località della provincia di Parma,si snoderà quest’anno nei giorni 22e 23 giugno a Coltaro di Sissa conFrancesco Piu, Alligator Nail, Hol-lowbelly, T. Rogers Band; il 29 e 30presso La Corte Le Giare di Ragaz-zola con Sindacato del Mojo, Valce-no Country Dance, Bluegrass Stuff,Nathan James & Franco Limido,Gnola Blues Band; il 6 e 7 luglio alPodere La Bertazza a Diolo di Sora-gna con Luke Winslow King Band &Roberto Luti, Latvian Blues Band,Mandolin’ Brothers, Chemako &Debbie Walton.Info www.rootsandblues.orgDal Mississippi al Po (8a ed.): dal28 giugno al 1° luglio a Piacenzacon incontri pomeridiani con scritto-ri, giornalisti, poeti e critici, mentremusicalmente si potrà ascoltare il 28Joe Louis Walker, i l 29 RolandTchakounte, il 30 Alain Apaloo AP3ed il 1° luglio Popa Chubby.Info www.festivalbluespiacenza.itNorth Mississippi Hill CountryPicnic (7a ed.): a Potts Camp, Mis-sissippi, USA, dal 29 al 30 giugno,con, tra gli altri, North MississippiAllstars Duo, John Wilkins, RobertBelfour, Cedric Burnside Project, T-Model Ford, David Kimbrough,Jimbo Mathus, Eric Deaton, RisingStar Fife & Drum Band, DuwayneBurns ide, Kenny Brown. In fowww.northmississippihillcountrypicnic.comRapperswil-Jona Blues ‘n’ Jazz(14a ed.): dal 29 giugno al 1° luglio aRapperswil-Jona, Svizzera, con, tragli altri, Wilko Johnson, Rudy Rotta,Veronica & The Red Wine Sere-naders, Zakiya Hooker, Paul Red-dick, Fabrizio Poggi (i l 29); JoeLouis Walker, Mac Arnold & PlateFull O’ Blues, The Commodores (il30). Info www.bluesnjazz.chMontreux Jazz Festival (46a ed.):dal 29 giugno al 14 luglio presso l’o-monima cittadina svizzera sul lagoLemano, con Taj Mahal, Joe Bona-massa Acoustic Project il 29; BobbyWomack il 6 luglio; Van Morrison,Buddy Guy il 7; Chicago Blues: A li-ving History l’8; Hugh Laurie, Dr.John, Trombone Shorty & OrleansAvenue il 9.Info www.montreuxjazz.comBlues In Villa (14a ed.): dal 29 giug-no al 3 luglio a Brugnera (PN), con

Joe Louis Walker il 29, Stevie Salas& Bernard Fowler – I.M.F.’ Project il30, 19th Street Red, Henrik Freis-chlader Band i l 1 lugl io, MikeStern/Richard Bona Band il 2, JustDuet, Soultrax feat. Donna Gardier il3. Info www.bluesinvilla.comCognac Blues Passion (19a ed.):dal 3 all’8 luglio a Cognac, Francia,con Chicago Blues A Living History,Billy Boy Arnold, Chaney Sims & BillSims Jr., Dave Arcari, Guy Forsyth,Heritage Blues Orchestra, JohnPrimer, Nathan James, Robert Ran-dolph, Terry “Harmonica” Bean, TheDelta Saints, The Excitements. Infowww.cognacbluespassions.comSan Vito Blues & Soul Festival(11a ed.): dal 6 al 14 luglio a San Vi-to di Cadore (BL) ed in altre localitàdel Cadore, con Alligator Nail & MaxLazzarin il 6, The Creole Band & TyLeblanc il 7, Gianna Cerchier & ThePower Play il 12, 19th Street Red,Bel la Blues Band & Kay FosterJackson il 13.Info www.sanvitobluesandsoul.itVallemaggia Magic Blues (11a

ed.): dal 6 luglio al 3 agosto in va-rie località della Vallemaggia, Sviz-zera. A Brontallo ll 6 luglio WomanIn Blues, Zakiya Hooker; a Moghe-gno l’11 Max Dega & Bev Perron,Wilko Johnson ed il 12 Donnie Ro-mano Trio, Latvian Blues Band; aGiumaglio il 18 Neal Black & TheHealers, Er ic Sardinas ed i l 19Marco Marchi & The Mojo Workers,Joan Armatrading; a Cevio il 25 Ea-monn McCormack, ManfredMann’s Earth Band ed il 26 Fabri-z io Poggi & Chicken Mambo,Sweet Soul Music Revue; ad Ave-gno i l 2 agosto Jessy Martens,Blues Explosion 2012 ed il 3 Wolf-gang Kalb, The R&B Allstars. Infowww.magicblues.comNice Jazz Festival (18a ed.): dall’8al 12 luglio a Nizza, Francia, con Ti-nariwen, Dr. John il 10; Amadou &Mariam, Robert Randolph, SharonJones il 12.Info www.nicejazzfestival.frLiri Blues Festival (25a ed.): dall’11al 15 luglio ad Isola del Liri (FR), conl’11 Keb’ Mo; il 12 Veronica Sbergia& Max De Bernardi Duo, Fabio Tre-ves Quintet con Guitar Ray; il 13Guy Davis & Fabrizio Poggi; il 14Bap Kennedy; il 15 Joan Armatra-ding.Info www.liriblues.itEtna In Blues: dal 12 al 14 luglio aMascalucia (CT).Info www.etnainblues.itPistoia Blues Festival (33a ed.):dal 13 al 15 luglio a Pistoia, con lapresenza di Gerry McAvoy’s BandOf Friends, B.B. King il 13; Leblanc,Gov’t Mule, John Hiatt il 15. Infowww.pistoiablues.comPorretta Soul Festival (25a ed.):dal 19 al 22 luglio a Porretta Terme(BO), con la partecipazione di The

Bar-Kays, The Bo-Keys, Otis Clay,Syl Johnson, David Hudson, JohnGary Williams, Memphis All StarsR&B Band, Larry Springfield, TashaTaylor, The Excitements & JeanKoko Davis, The Sweethearts, BanCauley, Robin McKelle & Flytones,The Real Mother Funkers. Infowww.porrettasoul.itTrasimeno Blues Festival (17a

ed.): dal 19 al 29 luglio, con eventicollaterali quali le vignette finalistedel Trasimeno Blues Cartoon Festetc. Musicalmente invece sarannoimpegnati, Royal Southern Brother-hood, Eric Bibb & Habib Koitè,Bernard Allison, Leblanc, DwayneDopsie & The Zydeco Hellraisers,The Dynamics, Mz Dee & MaurizioPugno Large Band, Mississippi BigBeat, P-Funking Band, Veronica &The Red Wine Serenaders, PaulVenturi & Max Sbaragli, Betta BluesSociety, One Man 100% Bluez,Amanda & La Banda, Lil’ Cora & TheSoulful Gang, The Ukulele Lovers,etc. Info www.trasimenoblues.itNarcao Blues (22a ed.): a Narcao(CI). Info www.narcaoblues.itTorre Alfina Blues Festival (8a

ed.): dal 20 al 22 luglio nel Borgo diTorre Alfina nel comune di Acqua-pendente (VT).Info www.torrealfinablues.comNotodden Blues Festival (25a ed.):dal 2 al 5 agosto a Notodden, Norve-gia, con Z Z Top, Paul Rodgers, Jon-ny Lang, Ten Years After, FabulousThunderbirds, Ruthie Foster, TheMannish Boys, Southside Johnny,Rod Piazza, Roomful Of Blues &James Cotton, Delta Groove Revue,Eden Brent Trio.Info www.bluesfest.noSunflower River Blues & GospelFestival (25a ed.): dal 10 al 12 ago-sto a Clarksdale, Mississippi, USA.Info www.sunflowerfest.orgTenero Music Nights (6a ed.): dal12 al 19 agosto a Tenero, Svizzera,con la partecipazione di Lucky Pe-terson Band, Tom Principato & FredChapellier Blues Band, Drew Davies& Rhythm Combo, Jethro Tull’s MickAbrahams, Silvan Zingg Trio & MikeSanchez, Todd Sharpville Band,Ronnie Jones Big Band, Red HotBlues Sisters, Egidio Juke Ingala &Jacknives, Delta Mojo Blues Duo,James Thompson Project, The RedWine Serenaders, Diatriba. Infowww.musicnights.chSierre International Blues Festival(4a ed.): dal 23 al 25 agosto a PlainBellevue-Sierre, Svizzera, con, tragli altri, Ana Popovic, Shemekia Co-peland. Info www.sierreblues.chLugano Blues To Bop (24a ed.): dal30 agosto al 2 settembre a Lugano,Svizzera. Info www.bluestobop.chMississippi Delta Blues & Herita-ge Festival (35a ed.): il 15 settem-bre a Greenville, Mississippi, USA.Info www.deltablues.org

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