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Un racconto Singolare di Livio Milanesio
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NESSUNO E' TORNATO
LIVIO MILANESIO
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Dalle nostre parti si raccontano troppe
storie. Non tutte sono vere. Quella che
riguarda la casa dei comunisti sulla cima
della collina, per esempio, non è vera per
niente. Lo posso dire perché in quella storia
ci sono anche io.
Dicono che un giorno di fine estate papà
arrivò sull’aia, si lavò le mani, si buttò
un po’ di acqua sul collo e venne a tavola.
Si sedette e cominciò a mangiare, senza dire
una parola. A tavola, tutti e otto, muovevamo
la bocca solo per masticare. Quella volta,
masticando, papà disse: la guerra è finita
per davvero.
Avevamo lavorato duro tutta l’estate,
come l’anno prima, e quello prima ancora. I
borsaneristi venivano da Torino a comprare
roba da mangiare. Noi ci davamo da fare a
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rifornirli. Per tutto il periodo della guerra
abbiamo spremuto le galline, spremuto la
vacca, tirato il collo alle oche, saccheggiato
le api, dato la caccia alle lumache. I più
piccoli hanno montato la guardia al salame
e al formaggio in cantina, alle mele in
soffitta. Abbiamo zappato, seminato, concimato
ogni pezzetto di terra per avere qualcosa da
vendere. Così è stata la guerra dalle nostre
parti. Battaglie, nessuna. Qualche colonna
di soldati, una o due requisizioni, rari
aerei in cielo, niente di più. La guerra
dei soldati non si è presa il disturbo di
conquistare questa terra di miseria.
La radio aveva annunciato la fine della
guerra a primavera. Eravamo andati in paese
a vedere i festeggiamenti. Io ero salito
su una camionetta americana e avevo fatto
scorta di cioccolata e sigarette. Ma a casa
nostra finché papà non diceva che una cosa
era vera noi non potevamo credere a nessuno.
Quel giorno di fine estate disse anche
un’altra cosa.
Abbiamo aspettato abbastanza, i comunisti
non torneranno più. Ci trasferiamo.
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I comunisti stavano nella casa grande in
cima alla collina. Ci venivano l’estate,
il professore, la moglie e i due figli: un
ragazzo di otto o nove anni e una ragazza
più grande. Il loro arrivo era annunciato
a giugno, dall’apparizione di una carovana
di giovani che lavoravano a servizio della
famiglia. Quella gente risaliva il sentiero
che dal paese portava fino al cortile della
casa dei comunisti. Aprivano tutte le finestre,
facevano prendere aria ai materassi, alle
coperte, alle tovaglie appese ai balconi.
Il camino cominciava a fumare, la biancheria
veniva stesa in cortile ad asciugare. Passati
un giorno o due arrivava l’Aprilia nera che
il professore noleggiava per l’occasione.
Il personale si schierava in cortile. Il
professore e i familiari scendevano dall’auto
e salutavano tutti, chiamandoli per nome,
stringendo loro la mano. I bagagli venivano
portati in casa. Dopo qualche giorno il
professore tornava in città lasciando la
villeggiatura al resto della famiglia, fino
a settembre inoltrato.
Papà affittava alla signora un carretto
tirato da un cavallo mezzo morto con il