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PITTELLA: LIBIA, PRIORITÀ EUROPEA LA RUSSIA PARTNER NECESSARIO SERGIO MATTARELLA GARANTE DELLE BUONE REGOLE DEMOCRATICHE O norevole Pittella, la crisi libica pone all’Europa l’ur- genza assoluta di una so- luzione. Quale può essere sul piano immediato e poi in prospettiva? E soprattutto, che ruolo deve giocare il nostro Paese? La situazione libica è dramma- tica. La Libia rischia di diventare il terreno di coltura dei peggiori estremismi. Temo che alcuni go- verni stiano sottovalutando la si- tuazione. Con Federica Mogherini stiamo lavorando per mettere la Libia al centro dell’azione europea perché se salta la Libia salta l’inte- ro Mediterraneo. Ma noi non vogliamo essere profeti disarmati. Stiamo lavorando incessantemente per costruire una road map. Posso quindi annunciare che come gruppo socialista e democratico terremo a Bru- xelles una grande conferenza internazionale che riu- nirà i grandi attori regionali coinvolti, le parti in campo libiche, l’ONU, l’Unione Europea e gli Stati membri che come il governo Renzi sono più attivi su questo te- ma. Ci auguriamo che il dialogo di Rabat sostenuto dalle Nazioni Unite porti i suoi frutti ma siamo con- sapevoli delle difficoltà che si stanno incontrando. Con la Conferenza di Bruxelles sulla Libia mettiamo a disposizione un terreno neutro di confronto. Due gli obiettivi di questo momento: riavvicinare le parti libi- che superando l’attuale sdoppiamento istituzionale È motivo di orgoglio per la Sicilia che Sergio Mattarella sia stato eletto Presidente della Repubblica. Lo è perché Mattarella è paler- mitano, ma anche per altre ragioni. Almeno tre. Egli rappresenta in modo emblematico quella Sicilia che attraverso la lotta alla mafia ha fatto la più grande rivoluzione civile della sua sto- ria contemporanea. E’ stato un punto di riferimen- to stabile di questa lotta, perché convinto, come lo era stato suo fratello Piersanti, che il cambiamen- to dovesse cominciare dai palazzi del potere. Si è battuto per il rinnovamento della vita politica siciliana riuscendo a compiere delle scelte difficili, Pagina 6 LabDem news Marzo 2015 numero 2 ALL‘INTERNO Matteo Renzi prosegua sulla strada del partito leggero e delle garanzie di S. A. Puglia, il sostegno convinto di LabDem al progetto di Michele Emiliano di Mino Carriero La Sardegna ora guarda al futuro puntando su industria e demografia di Guido Melis Mezzogiorno verso il quinto capitalismo La grande miniera del turismo di qualità di Claudio Cipollini I LabDem dello Stretto contro la strozzatura del trasporto FS di Francesco Barbalace di Danilo Moriero Laboratorio Democratico Pagina 7 di Salvo Andò* LabDem news Laboratorio Democratico Rivista Online di Laboratorio Democratico Redazione: Via Goito 35 00185 Roma [email protected]

Newslettelabdem marzo2015

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Il Numero di Marzo

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Page 1: Newslettelabdem marzo2015

PITTELLA: LIBIA, PRIORITÀ EUROPEA LA RUSSIA PARTNER NECESSARIO

SERGIO MATTARELLA GARANTEDELLE BUONE REGOLE DEMOCRATICHE

Onorevole Pittella, la crisi libica pone all’Europa l’ur-genza assoluta di una so-luzione. Quale può essere sul piano immediato e poi

in prospettiva? E soprattutto, che ruolo deve giocare il nostro Paese?

La situazione libica è dramma-tica. La Libia rischia di diventare il terreno di coltura dei peggiori estremismi. Temo che alcuni go-verni stiano sottovalutando la si-tuazione. Con Federica Mogherini stiamo lavorando per mettere la Libia al centro dell’azione europea perché se salta la Libia salta l’inte-ro Mediterraneo. Ma noi non vogliamo essere profeti disarmati. Stiamo lavorando incessantemente per costruire una road map. Posso quindi annunciare che come gruppo socialista e democratico terremo a Bru-xelles una grande conferenza internazionale che riu-nirà i grandi attori regionali coinvolti, le parti in campo libiche, l’ONU, l’Unione Europea e gli Stati membri che come il governo Renzi sono più attivi su questo te-

ma. Ci auguriamo che il dialogo di Rabat sostenuto dalle Nazioni Unite porti i suoi frutti ma siamo con-sapevoli delle difficoltà che si stanno incontrando. Con la Conferenza di Bruxelles sulla Libia mettiamo a disposizione un terreno neutro di confronto. Due gli obiettivi di questo momento: riavvicinare le parti libi-che superando l’attuale sdoppiamento istituzionale

È motivo di orgoglio per la Sicilia che Sergio Mattarella sia stato eletto Presidente della Repubblica. Lo è perché Mattarella è paler-mitano, ma anche per altre ragioni. Almeno tre. Egli rappresenta in modo emblematico

quella Sicilia che attraverso la lotta alla mafia ha fatto la più grande rivoluzione civile della sua sto-ria contemporanea. E’ stato un punto di riferimen-to stabile di questa lotta, perché convinto, come lo era stato suo fratello Piersanti, che il cambiamen-to dovesse cominciare dai palazzi del potere. Si è battuto per il rinnovamento della vita politica siciliana riuscendo a compiere delle scelte difficili,

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LabDemnewsMarzo 2015 numero 2

ALL‘INTERNO

Matteo Renzi prosegua sulla stradadel partito leggero e delle garanziedi S. A.

Puglia, il sostegno convinto di LabDemal progettodi Michele Emiliano di Mino Carriero

La Sardegna oraguarda al futuropuntando su industria e demografiadi Guido Melis

Mezzogiorno verso il quinto capitalismoLa grande minieradel turismo di qualitàdi Claudio Cipollini

I LabDem delloStretto controla strozzaturadel trasporto FSdi Francesco Barbalace

di Danilo Moriero

Laboratorio Democratico

Pagina 7

di Salvo Andò*LabDem newsLaboratorio Democratico

Rivista Onlinedi Laboratorio Democratico

Redazione:Via Goito 3500185 Roma

[email protected]

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Interni

C on l’approvazione in prima lettura del nuovo Senato, la “grande riforma” delle istituzio-ni compie un decisivo passo avanti. Questa riforma, e nelle prossime settimana quella

della legge elettorale, incideranno in modo rilevante sugli assetti del sistema politico italiano.

Da questi nuovi assetti dipende il futuro del pa-ese, e non soltanto quello del governo, considerato che il “cambiamento “ non può essere solo garantito da patti di carattere contingente, ma ha bisogno di regole che fissino in modo chiaro diritti e doveri. E’ del tutto comprensibile, quindi, che la discussione sulle nuove regole assuma toni molto accesi e met-ta a dura prova la stessa compattezza dei partiti, di governo e di opposizione.

Particolarmente interessante pare essere, da questo punto di vista, il confronto che si sta svilup-pando all’interno del Pd, il partito che nell’attuale Parlamento ha il maggior numero di seggi e che esprime il Presidente del Consiglio nella persona

del suo Segretario nazionale. Il Pd ha “tenuto” in occasione della riforma del Senato, ma si annuncia-no seri contrasti all’interno di esso sul tema della legge elettorale dalla quale dipende la stessa forma di governo. Renzi, poi, è oggetto di una contestazio-ne all’interno del Pd che riguarda non solo il merito delle scelte che sta compiendo, ma anche il metodo con cui procede. E’ un fatto che si sia sforzato di restringere l’area del dissenso interno facendo delle concessioni, senza snaturare il senso delle riforme in cantiere. Ma ciò evidentemente non è bastato.

Pare che la reale materia del contendere non ri-guardi soltanto il contenuto delle riforme, ma anche la “forma” di un partito sicuramente dominato dalla forte personalità del suo leader. La minoranza rim-provera al leader-premier di essere ormai “un uomo solo al comando”. Si tratta di una preoccupazione per certi aspetti fondata. E, tuttavia, questo modello di partito non è stato inventato da Renzi, ma co-

Abbiamo scelto Michele Emiliano. Perché c‘è un popolo che si aspetta dalle istituzioni ri-sposte concrete, capacità di costruire rapi-damente una strategia per reagire alla crisi,

che chiede affidabilità, esperienza, serietà. Autore-volezza per restituire credibilità alla politica ed alle Istituzioni

Grazie anche al nostro impegno, profuso in ogni comune della nostra regione il 30 novembre scorso Michele Emiliano ha vinto le Primarie del centro si-nistra pugliese, un grande bagno di democrazia con

150.000 pugliesi che hanno partecipato, preludio di quello che lo porterà al governo della Puglia.

A lui abbiamo affidato le nostre speranze. Quel-le di una sinistra democratica e riformista che vuole riprendere la strada dello sviluppo e della crescita per uscire dal tunnel della crisi. Promuovere il be-nessere economico e sociale della Puglia attraverso la crescita e la creazione di posti di lavoro, perché Il lavoro non è solo una fonte di sostentamento ma

MATTEO RENZI PROSEGUA SULLA STRADADEL PARTITO LEGGERO E DELLE GARANZIE

PUGLIA, IL SOSTEGNO CONVINTO DI LABDEMAL PROGETTO DI MICHELE EMILIANO

di S. A.

di Mino Carriero*

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Isardi sono pochi, e diminuiscono. Erano 1.639.362 al censimento 2011, il 2,8 % della popolazione italia-na, per una superficie pari a 24.090 km², pari all’8,0% del territorio nazionale. Saranno forse leggermente aumentati al 2015 (1.681.302, prevede l’ISTAT) grazie specialmente all’immigrazione; ma dal 2016 sino al 2065, salvo miracoli, si ridurranno progressivamente sino a 1.325.000 abitanti. Non è l’unico punto oscuro. Un altro, molto preoccupante, è dato dallo smarrimento della “bussola” eco-

nomica. Finito il regno quasi millenario dell’agropastorale, la Sardegna è stata dagli anni Sessanta del Nove-cento terra di sperimentazione del neocapitalismo (i poli di sviluppo, l’industria petrolchimica). Un modello di

industrializzazione aggressivo, basato sulle cattedrali nel deserto che Manlio Brigaglia, acuto osservatore di cose sarde, ha descritto come una “catastrofe antropologica”. Anche un dinamismo inedito, però: ed una modernizzazione febbrile, con squilibri demografici, diffusione selvaggia di modelli di vita esterni, ma pure aumento esponenziale dei redditi familiari, crescita delle stesse prospettive di vita. Infine – ed è storia recentissima – la battuta d’arresto: il declino e poi l’inesorabile smantellamento della grande industria, la sempre maggiore dipendenza dagli aiuti di Stato e la profonda crisi di identità dell’intera società locale. Da salariati a cassaintegrati. Da aspiranti operai a precari terziarizzati. Da protagonisti dell’avventura indu-striale a spettatori passivi e apatici di nuovi scenari dislocati altrove.

Questo è lo stato attuale della questione sarda. Come se ne viene fuori?Una speranza era venuta da Renato Soru, agli inizi degli anni Duemila. Ma da allora tutto è cambiato.

La crisi mondiale e italiana ha riscritto la geografia economica. Lo stesso Soru ha perso la sua forza pro-pulsiva. La società isolana, sotto i colpi della disoccupazione e della chiusura di interi settori di attività, si è come ulteriormente insterilita, frammentandosi in una serie di convulse spinte corporative destinate a non trovare sbocco politico. Anche il riapparire di palingenetiche ideologie neosardiste e indipendentiste (una costante nella storia sarda), è preoccupante: torna la tentazione sempiterna all’isolamento, al rifugio consolatorio nell’identità (le “voci di dentro”). La crisi delle istituzioni autonomistiche è al suo massimo livello. Smarrito il senso stesso dell’autonomia speciale prevista in Costituzione. Poco incisive le politiche della Regione.

Che fare, dunque?Prima cosa da fare: interrompere il declino demografico, e se possibile invertirlo. Occorrono politiche

in favore dei giovani, assicurarne l’ingresso più precoce nel mondo del lavoro. Politiche generali che svi-luppino occupazione. E più scuola (buona scuola, s’intende), più ricerca, più formazione internazionale, più istruzione ad ogni livello.

Molta della partita si gioca sul tema cruciale dell’immigrazione. Una immigrazione possibilmente “go-vernata” con opportuni accordi coi paesi frontalieri del Mediterraneo (e con quelli del Centro-Europa: è già forte la comunità romena, specie nella pastorizia). Che insedi nelle zone desertificate o spopolate della Sardegna centrale ceti operosi di lavoratori e – perché no? – una piccola imprenditoria di estrazione ex-trasarda legata alla trasformazione agricola, all’artigianato, all’offerta di un turismo non solo costiero (da bagnasciuga, si diceva un tempo per stigmatizzarne la localizzazione sulle sole coste e la temporalità stagionale).

Seconda cosa da fare, poi, puntare sull’industria. Ma su un’industria non invasiva, che non distrugga l’ambiente, alleata dell’agricoltura e della pastorizia, che sviluppi in loco ricerca scientifica di alto livello. Certo, ci vogliono idee, coraggio di imprenditori moderni, concentrazione di forze intellettuali (le università sarde, ma non solo). Ci vuole una nuova “rinascita”, intendendo una stagione politico-culturale di segno radicalmente opposto a quelle, depressive, che abbiamo vissuto negli anni recenti e che in parte ancora viviamo.

* Professore Università La Sapienza, Roma

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LA SARDEGNA ORA GUARDA AL FUTUROPUNTANDO SU INDUSTRIA E DEMOGRAFIAdi Guido Melis*

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Turismo

Nell’era della complessità, è sulla rete (on line, off line) che si governa il mondo. Fare rete, essere in rete oggi e domani sta diventan-do obbligatorio. Le caratteristiche delle im-

prese italiane e meridionali in particolare sono di essere micro e piccole. Questo è sostanzialmente e antropologicamente dovuto alle nostre caratteri-stiche storiche e culturali fondate, sinteticamente, sull’individualismo e sulla creatività. Ma ormai que-sti che sono stati i nostri fattori critici di successo non bastano più. In Italia piccolo era bello. Ora non più! Serve fare massa critica e avere le dimensioni adeguate per essere competitivi sui mercati globali. Fare rete ci consente di rimanere piccoli e diventare grandi, lasciando a ognuno di mantenere le proprie individualità e specificità e nello stesso tempo di sfruttare al massimo la possibilità di competere sui mercati che contano.

Dall’ultimo “Rapporto dell’Osservatorio sul-le Reti d’Impresa di Intesa San Paolo” (novembre 2014) risaltano molti dati di stimolo, anche se il Mezzogiorno presenta una minore propensione avendo creato solo il 22% delle reti con il 17% del-le imprese su un totale nazionale di 400 reti. Nel-lo specifico del turismo fare rete diventa, stante la frammentazione e le dimensioni dell’offerta da un lato e la complessità della domanda dall’altro, anco-ra più indispensabile e non più eludibile. Basta solo pensare ai vantaggi di:

Creare e promuovere un marchio unico;Creare un’offerta integrata (alberghi, trasporti,

musei, mare, ecc.) e competitiva;Avere una strategia di marketing unitaria sia tra

imprese sia nella comunità territoriale;Promuovere e partecipare a eventi e missioni in

modo unitario e integratoTutto questo è poi ancor più valorizzabile attra-

verso la rete on line. Ci sono ormai da vari anni casi di eccellenza nel settore, ma purtroppo nella mag-

gior parte nel centro nord del Paese (Trentino, Friuli, Umbria).

Il turismo è invece un asset importante per lo sviluppo del Sud, ma troppo spesso lasciato a po-litiche miopi o spendaccione con il risultato che ancora non è diventato un vero e proprio driver. Su 380 milioni di presenze in Italia solo il 20% si con-centra nel Meridione. Su 100 presenze straniere in Italia, solo 13 sono al Sud e solo il 17.4% di presenze di residenti delle altre regioni. Su una spesa stra-niera in Italia di 32 miliardi di euro nel 2012, solo 4 sono stati spesi nel Mezzogiorno ().

REGIONE IMPRESE RETI

BASILICATA 134 32

CALABRIA 170 36

CAMPANIA 379 106

PUGLIA 456 125

SARDEGNA 265 48

SICILIA 175 53

Totale Italia Sud 1.579 (17%) 400 (22,6%)

Totale Italia 9.129 (100%) 1.770 (100%)

Dopo il sostanziale fallimento del progetto POIN Attrattori Naturali e Culturali 2006-2013, c’è comunque qualche segnale significativo che il Sud si stia iniziando a muovere di sua iniziativa e in mo-

MEZZOGIORNO VERSO IL QUINTO CAPITALISMO LA GRANDE MINIERA DEL TURISMO DI QUALITÀdi Claudio Cipollini*

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Prendiamo atto finalmente della “esistenza in vita” della nostra Regione in ordine ad un problema sul quale le comunità di Messina e di Reggio Calabria, a tutti i livelli, si confron-

tano e si scontrano con le FS le cui scelte, da tem-po, sono orientate alla smobilitazione della propria presenza attraverso la adozione della cosiddetta “rottura di carico” che di fatto significa, impedire, to-talmente, la mobilità di milioni di cittadini siciliani e italiani. In sostanza si disconosce la continuità ter-ritoriale dell’Area dello Stretto con il resto del nostro Paese.

A fronte di tutto questo, ascoltiamo dichiara-zioni ondivaghe e contraddittorie non solo di FS ma anche di provenienza ministeriale che concorrono ad alimentare insopportabili incertezze. Tale situa-

zione è aggravata “purtroppo” anche dalle recenti posizioni rese nelle commissioni di merito della Ca-mera e del Senato dai rappresentanti del governo.

Sul delicatissimo tema politico dell’attraversa-mento dello Stretto abbiamo assistito a decenni di discussioni e dibatti con il risultato di riuscire, sol-tanto, a sprecare quantità enormi di pubblico dena-ro ed oggi, mentre si riapre la antica querelle ideo-logica “Ponte si Ponte no oppure tunnel si tunnel no” ci ritroviamo a dovere rivendicare la riconferma degli attuali minimali servizi per l’attraversamento dalla Sicilia al continente (come diceva la nostra

gente fino a qualche decennio addietro) e nel con-tempo sperare che il collegamento giornaliero per i circa 15.000 pendolari che attraversano lo stretto ogni giorno non si debba interrompere.

Ribadiamo con forza che l’attraversamento stabile dello stretto, o meglio oggi bisognereb-be dire continuativo, non può ovviamente essere considerato un problema di natura localistica ma, al contrario, non vi è dubbio che esso travalica la dimensione nazionale per assumere valore inter-nazionale nel quadro della più ampia problematica dei trasporti europei verso i paesi del mediterraneo.

E’ all’Area integrata dello Stretto dove insistono due città metropolitane, e cioè Messina e Reggio Calabria, che bisogna guardare avendo consapevo-lezza che si tratta di un nodo fondamentale per i trasporti e di un punto di partenza strategico per un primo approccio al tema fondamentale della in-frastrutturazione del Mezzogiorno, questione che rileva in termini di essenzialità per lo sviluppo del Mezzogiorno stesso.

Il Ministero dei trasporti nel guardare all’Area integrata delle due città, di Messina e Reggio Cala-bria, deve valutare la possibile dimensione di Area allargata dello Stretto da augusta a Lamezia Terme nella quale insistono 4 aeroporti (Reggio Calabria, Catania, Lamezia e Comiso) 4 porti (Agusta, Catania, Messina e Reggio Calabria) più il porto transhipment di Gioia Tauro sul cui destino bisognerebbe subito interrogarsi anche in relazione all’annunciato rad-doppio di Suez e quindi al rapporto con i grandi porti container.

A fronte di tali problematiche, considerando attentamente quanto tutto questo comporta o potrebbe comportare, bisognerebbe guardare al-la riconsiderazione del ruolo e delle funzioni delle tante Autorità portuali presenti sul territorio che non possono continuare ad essere il solito inutile fiorellino all’occhiello per mortificanti provincialismi.

LabDem Sicilia, LabDem Calabria, LabDem Mes-sina, LabDem Reggio Calabria, lavorano da tempo per un approfondimento puntuale di queste pro-blematiche per chiamare a confrontarsi, assieme alle due università di Reggio Calabria e Messina i rappresentanti delle istituzioni locali i portatori di interesse le organizzazioni sindacali e datoriali i rappresentanti di varie e diverse professionalità per riuscire a porre, nei termini più giusti opportuni e confacenti, il problema dell’Area dello Stretto da assumere, a nostro avviso, come paradigma per la infrastrutturazione del mezzogiorno all’interno del capitolo più generale di una nuova questione me-ridionale.

Alla intelligenza politica di Gianni Pittella tutto ciò non sfugge anzi tutt’altro come abbiamo avuto modo di apprezzare in qualche nostro incontro. Con l’impegno di LabDem nazionale quindi, pensiamo, nei prossimi mesi, di poter ragionare su tutto ciò promuovendo una iniziativa specifica.

*Coordinamento LabDem Sicilia

I LABDEM DELLO STRETTO CONTROLA STROZZATURA DEL TRASPORTO FSdi Francesco Barbalace*

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e creare le basi per un Piano Marshall a sostegno della Libia. Il Paese rischia il collasso nei prossimi mesi e dobbiamo essergli vicini politicamente e materialmente.

In generale, la condizione diciamo quantomeno instabile della sponda sud, deve fare riflettere sul futuro del mediterraneo, nell’interesse dell’Europa e italiano. Qual è la posizione del Gruppo S&D?

È giusta l’attenzione che si sta prestando all’U-craina ma questa attenzione non può ridimensio-nare l’importanza del Mediterraneo. Non si può continuare con un approccio frammentario, concen-trato sulle emergenze. Se vogliamo portare stabilità nella regione, serve coraggio, dobbiamo abbattere tabù e incrostazioni del passato. Il primo vulnus si chiama conflitto israelo-palestinese. Su questo il Parlamento ha votato negli scorsi mesi a gran-dissima maggioranza una risoluzione che chiede il riconoscimento dello Stato palestinese e che sotto-linea l’importanza di un processo di pace che porti sicurezza per gli israeliani. Quando la scorsa estate, nel silenzio di troppi osservatori di fronte al conflitto di Gaza sono andato in Israele e in Palestina, nes-suno credeva che saremmo riusciti a fare approvare una simile posizione. Sono fiero di quel risultato per il quale mi sono battuto con forza. È il segno che si può cambiare. E se in queste ore anche il Par-lamento Italiano dibatte del tema, è anche per-ché per la prima volta c’è una posizione ufficiale di una istituzione europea. L’altro tabù da abbattere è quello dell’unilaterali-smo. È un errore pensare che un solo o pochi paesi possano dipanare la ma-tassa del Mediterraneo. Serve una azione multi-laterale che coinvolga tutti i paesi della Regione e anche potenze come l’Iran e anche la Russia.

E poi serve visione. Se oggi l’Occidente è con-siderato da molti un nemico nella regione è anche perché non abbiamo mai scommesso sulle migliori energie democratiche del Mediterraneo. Da questo punto di vista la Tunisia può costituire un laborato-rio democratico per tutta l’area e dobbiamo soste-nere il nuovo ciclo politico.

E poi dobbiamo investire nella formazione e nel sapere delle nuove generazioni, unico anticorpo contro il virus del fanatismo. Concentriamo gli sforzi dell’ Unione in un grande progetto di cooperazione e scambio nella ricerca e nella formazione tra le sponde Nord e Sud del Mediterraneo. Potremmo chiamarlo Programma Averroè dal nome del grande filosofo arabo che avvicinò Europa e mondo arabo.

Sicurezza del e nel mediterraneo significa fra l’altro immigrazione clandestina, intesa sia come con-trollo dei flussi che come salvaguardia di migliaia di vite. Che sia mare Nostrum o Triton, gli sforzi europei appaiono fiacchi e scarsi. Come se ne esce?

Se ne esce con l’Europa. Per questo come

gruppo stiamo organizzando un incontro a Lam-pedusa tra ministri degli interni socialisti dei Paesi europei e istituzioni europee. Stiamo lavorando a questo col sindaco dell’Isola. L’obiettivo deve esse-re quello di trasformare la missione Triton in una Mare Nostrum autenticamente europea. Nei gior-ni scorsi il premier Renzi è riuscito ad assicurarsi l’appoggio di Hollande per rafforzare Triton. Que-sta è la strada da perseguire.

La vittoria di Tsipras in Grecia appare già indeboli-ta dalla soluzione imposta in qualche modo dalla Germania e dall’unione. Vede un problema di de-mocrazia rispetto alle scelte dei greci? Qualcuno teme l’abbraccio di Putin...

Non mi sembra che alcuna soluzione sia sta-ta imposta a Tsipras. Lui stesso considera l’ac-cordo giusto e ragionevole. L’intesa di mercoledì scorso è positiva perché conferma che gli impe-gni presi vanno rispettati da tutti, Grecia com-presa. Allo stesso tempo, verrà introdotta mag-giore flessibilità per consentire di liberare risorse per la popolazione greca stremata dall’austerici-dio. Noi socialisti e democratici ci siamo battuti per trovare una intesa a favore del popolo greco e dell’ Europa. Il nostro ruolo è stato riconosciu-

to dai tedeschi e per-sino da Tsipras che mi ha ringraziato nel suo discorso di investitura. Ora dobbiamo aiutare la ricostruzione della Grecia e per fare questo c’è bisogno di riforme positive che rendano l’economia più dinami-ca rendendo il paese più trasparente. Fran-camente nutro qualche timore circa le capacità riformatrici della attua-le coalizione di governo

che accomuna in un ab-braccio innaturale trotzkisti e destra nazionale. Per il futuro ritengo fondamentale il ruolo delle forze socialiste e progressiste.

A proposito. UE tratta con il Cremlino sulla guer-ra civile ucraina ma con Merkel e Hollande, e co-munque il risultato di Minsk 2 appare fragile e compromissorio, la visione UE divaricata da quel-la USA, Putin aggressivo. L’Europa mostra la sua definitiva debolezza o può ancora fare qualcosa di concreto?

La questione non è tanto la debolezza dell’Eu-ropa quanto l’iperattivismo di alcuni stati membri. Sull’Ucraina siamo riusciti ad evitare il peggio, la guerra. Minsk 2 è effettivamente appesa ad un fi-lo ma ad oggi il filo regge. Bisogna ora completare il ritiro delle armi pesanti e proteggere il cessate il fuoco. Ci sono poi alcuni paletti intoccabili e per noi il primo è l’integrità territoriale dell’Ucraina. Devo essere anche chiaro però che l’Ucraina non può diventare il campo di battaglia su cui riesu-mare la guerra fredda. La Russia non è un avver-sario ma un partner con cui confrontarsi, anche in maniera dura, per trovare una intesa.

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Danilo Moriero

da pagina 1

SULL’ UCRAINA SIAMO RIUSCITI AD EVITARE IL PEGGIO, LA GUERRA. MINSK 2 È EFFETTIVAMENTE APPESA AD UN FILO MA AD OGGI IL FILO REGGE. L’ UCRAINA NON PUÒ DIVENTARE IL CAMPO DI BATTAGLIA SU CUI RIESUMARE LA GUERRA FREDDA. LA RUSSIA NON È UN AVVERSARIO MA UN PARTNER CON CUI CONFRONTARSI, ANCHE IN MANIERA DURA, PER TROVARE UNA INTESA

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all‘interno di un partito in cui, per taluni, la prudenza non era mai troppa quando si trat-tava di mettere in discussione vecchi equilibri.

Come leader politico nazionale, Sergio Mattarella ha dato prova di straordinaria co-erenza, collocandosi sempre dalla stessa par-te, di fronte alle alternative che si ponevano al cattolicesimo democratico nel momento in cui si dissolveva la Prima Repubblica. Nei giorni della sua elezione, anche chi prove-nendo dalla Dc ha compiuto scelte diverse, ha sentito il bisogno di dargli atto di questa coerenza.

Mattarella ha creduto fino in fondo in un sistema politico che consentisse l’alternanza. Alla sua nascita ha dato un contributo fonda-mentale attraverso la legge elettorale di cui è stato ispiratore, definita per ciò da Giovan-ni Sartori Mattarellum. Non pare, però, che si sia mai riconosciuto, per visione politica e per carattere, nel bipolarismo muscolare che ab-biamo visto all‘opera negli anni della Seconda Repubblica. Rifugge, infatti, com’è stato da tutti sottolineato, dalla politica gridata, con-vinto com’è che la politica debba affrontare problemi complessi che non possono risol-versi né con l‘invettiva, né con la battuta, che sono stati gli strumenti usati da buona parte del personale politico visto all‘opera in questi vent’anni. Essa richiede un libero confronto delle opinioni, nonché capacità di mediazio-ne, e quindi di persuasione, in tutti gli attori coinvolti.

Il nuovo Presidente è certo tra coloro che hanno vissuto con difficoltà la stagione politi-ca che va a concludersi, caratterizzata dal de-clino del sentimento di appartenenza e dall’e-mergere di tante tifoserie politiche destinate a comporsi e scomporsi con sorprendente rapidità. Non può appassionare più di tanto, oggi, la discussione sul senso del ciclo politico ed istituzionale che si apre, per capire se con l‘elezione di Mattarella si celebri una vittoria postuma della Prima Repubblica o l‘atto di na-scita della Terza.

Con questa elezione sicuramente si avrà

un garante della Costituzione con cui dovran-no fare i conti coloro i quali nel corso di questi anni hanno liquidato la Costituzione come un ferrovecchio. Essa - hanno spiegato in tanti - parla di principi e valori rispetto ai quali chi è nell’età matura manifesta un atteggiamento di disincanto e chi è più giovane di estraneità. E’ bene, da questo punto di vista, che si crei un nuovo clima politico e culturale nel quale le regole possano prevalere sui patti. E l’elezione di Mattarella è un buon punto di partenza. Si avrà, inoltre, al vertice dello Stato una perso-nalità che guarda al mondo dei partiti come comunità che non possono essere privatiz-zate, cioè possedute da nessuno in proprio, perché non può essere privatizzata la politica.

Il nuovo Presidente della Repubblica sicuramente sarà per le forze politiche un interlocutore paziente, rispettoso di tutte le opinioni manifestate, pur essendo per cul-tura politica assai lontano dagli argomenti e dagli sghignazzi che caratterizzano i nuovi partiti dell‘antipolitica.

Mattarella non promuoverà crociate né a favore né contro nessuno, non inventerà for-mule o schieramenti di governo, considerato che nel prossimo futuro i governi dovrebbero avere diretta investitura popolare. Compito del Capo dello Stato sarà quello di garantire una feconda cooperazione fra i diversi pote-ri dello Stato. Ed in questa difficile opera egli sicuramente eserciterà una forte influenza sulla vita politica italiana perché essa si ri-appropri di quella sobrietà nei toni, negli stili di vita dei politici, nello stesso uso dei media che il paese sollecita. In questo senso, il mi-glior augurio che si possa fare al nuovo Pre-sidente è che l‘esempio che darà con i suoi comportamenti, anche con il suo pensieroso riserbo, possa risultare contagioso.

Un Presidente, il quale nasce e si manter-rà del tutto autonomo dai partiti, può riusci-re nel difficile compito di garantire al tempo stesso all’esecutivo l’esercizio della funzione di governo in Parlamento, e al Parlamento l’intangibilità delle sue prerogative. Tutti i le-ader politici hanno riconosciuto a Mattarella queste qualità. E tale unanime riconoscimen-to pare preludere ad uno sforzo comune volto al ripristino di fondamentali abitudini demo-cratiche, che riguardano non solo i rapporti tra la gente e la politica, ma anche la vita in-terna delle comunità partitiche.

Il Presidente ha dichiarato che il suo pri-mo pensiero va alle difficoltà e alle speranze dei concittadini. E’ questa una dichiarazione importante a favore di un garantismo di-namico che si sappia fare carico dei diritti violati, dei diritti dimenticati, dei diritti che altrimenti rimarrebbero scritti soltanto sulla carta. Si tratta di un impegno di grande rile-vanza politica nel momento in cui il nostro Paese si sforza di concorrere, insieme ad al-tri paesi, ad un riorientamento delle politiche europee che vada nel senso di una maggiore giustizia sociale.

*Presidente di Laboratorio Democratico

Salvo Andò

da pagina 1

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struito pezzo dopo pezzo da tutte le dirigenze che si sono succedute nel corso degli anni, quelli che vanno dalla svolta della Bolognina alla creazione del Pd, fino all’ elezione, con le cosiddette “prima-rie aperte”, di Renzi a segretario. Il partito diverso, leggero quanto ad apparati e fortemente leaderi-stico, è quello che si è voluto creare con i referen-dum del ‘91-‘93 che hanno travolto i vecchi partiti della Repubblica.

Si vollero allora creare partiti non più sot-tomessi a vincoli di carattere ideologico - i partiti di programma – diretti da personalità nelle quali si sarebbero dovuti riconoscere settori sempre più ampi della società civile. E, tuttavia, un partito siffatto non lo potevano compiutamente creare i vari D’Alema, Fassino, Bersani perché, nonostan-te essi fossero intenzionati a portare avanti una svolta revisionista che riguardava anche la forma partito, erano personalmente troppo coinvolti nel-le vicende di una storia politica caratterizzata dal

potere esercitato dagli apparati e dal ruolo svolto da militanti che espri-mevano un forte senso di apparte-nenza. Né il partito nuovo potevano farlo dirigenti più “leggeri” come Vel-troni, Rutelli, Fran-ceschini i quali avevano progetta-to il Pd sulla base di un processo di fusione a freddo tra il vecchio grup-po dirigente del partito comunista,

o buona parte di esso, e settori della vecchia sini-stra democristiana.

Nessuno meglio di Renzi poteva riuscire nell’impresa di fare il partito leggero, con appara-ti ridotti all’osso affidati ai fedelissimi. Renzi non aveva una significativa storia politica alle spalle, non era stato un autorevole dirigente di partito, né del PCI né della Dc. Si era presentato alle primarie, scombussolando i giochi di partito, come sindaco di una grande città, Firenze, chiedendo una forte in-vestitura popolare, e mobilitando tanti elettori non Pd che lo votavano come rottamatore di quel par-tito, e forse anche dell’intero sistema dei deludenti partiti della Seconda Repubblica. Il voto a Renzi era per molti un voto a dispetto del Pd. Ma anche a di-spetto dei partiti della Seconda Repubblica ritenuti responsabili, non a torto, di un governo inadeguato della crisi economica, della malagestione dei fondi messi a loro disposizione dallo Stato, e, soprattut-to, della “invenzione” di una legge elettorale che introduceva il principio dei deputati nominati, tutti nominati. Una legge elettorale spudoratamente fi-nalizzata a garantire le “caste” politiche di destra, di centro e di sinistra. Questa legge non l’ha fatto Renzi; l’ha usata ovviamente anche lui quando si è trattato di costruire una sua posizione nel Pd. In verità, le polemiche di questi giorni sulla legge elet-torale all’esame del Parlamento, oltre che tardive

sembrano scopertamente opportunistiche, se si pensa che alcuni degli indignati di oggi erano, oltre che forcaioli, nemici delle preferenze quando negli anni ‘91-’93, attraverso i referendum, si è avuta la liquidazione dei partiti storici dell’Italia postfasci-sta. Spiegavano allora che il voto di preferenza era la fonte di tutte le corruzioni.

Si rimprovera altresì a Renzi, da parte di alcuni dissidenti del Pd, di avere trescato con Berlusconi per arrivare al patto del Nazareno avente ad og-getto le “grandi” riforme istituzionali. Non si tiene conto, così ragionando, che con la riforma del Se-nato e con la nuova legge elettorale l’esecutivo ac-quisterà nuovi e più incisivi poteri. Tenuto conto di ciò, confrontarsi con l’opposizione di centrodestra sulle riforme istituzionali e sulla scelta del can-didato alla presidenza della Repubblica era non solo opportuno, ma anche costituzionalmente doveroso. Non pare peraltro che il coinvolgimento dell’opposizione nel patto per le riforma prevedes-se compensazioni occulte a favore del Cavaliere, venendo incontro ai suoi ben noti desiderata. An-zi, dal versante del Governo in questo senso sono arrivati solo dinieghi, e taluni anche poco garbati.

Se non si vogliono ripetere gli errori del pas-sato, in materia di riforme costituzionali o di ri-levanza costituzionale, occorre sapere ascoltare tutti - ovviamente tutti coloro che vogliono essere ascoltati - e poi decidere senza impantanarsi in paralizzanti liturgie consociative sulla base di un precisa idea che bisogna avere sulla nuova for-ma da dare allo Stato. La via maestra da seguire è quella che consente di conciliare l’efficacia del processo decisionale, e la sua velocità, con i limiti necessari che l’esercizio del potere pubblico de-ve incontrare. Epperò, bisogna avere sempre ben chiaro che un conto sono i contropoteri, un altro conto i pesi consociativi, gli arbitri nascosti attra-verso l’ipergarantismo che li copre, le diverse for-me di vetocrazia non certo finalizzate alla tutela dell’interesse pubblico, bensì a ridurre lo spazio democratico del sistema di governo. Occorre cioè una discrezionalità responsabile e misurata ad ogni livello, anche giudiziario!

Non pare che il Governo sia venuto meno al dovere della persuasione nei confronti di tutti gli attori politici attraverso una tempestiva in-formazione ed un confronto approfondito sul merito delle cose da fare in materia di gran-di riforme. Le opposizioni quindi fanno male a protestare.

Discorso diverso è quello che riguarda il Pd. Pare che la minoranza del Pd contesti il dominio incontrastato di Renzi sul partito, cioè la forma partito che si va consolidando attraverso la lea-dership di Renzi. Epperò, se si vuole una gestione più collegiale del Pd, la strada da percorre non può essere quella dei distinguo in Parlamento. Occorre una riforma del partito, grazie alla quale i congressi si svolgano sul serio, i circoli diventino luoghi di discussione pubblica nei quali in piena libertà si scelgono i dirigenti, le primarie siano governate da regole vincolanti sul cui rispetto vi sia un reale controllo, di guisa che risulti impos-sibile a chi passa per strada infilarsi in un gazebo e partecipare a decisioni che non comportano al-cun obbligo di militanza.

Salvo Andò

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è la chiave per ottenere quella libertà, autonomia e indipendenza a cui tutti hanno diritto nella vita.

Laboratorio Democratico non è un altro, enne-simo partito. Laboratorio Democratico è un’asso-ciazione culturale democratica e progressista che si propone di rigenerare il Partito Democratico. Dargli un senso per dare un senso all’Italia. Un progetto per il futuro degli italiani. Vogliamo usa-re gli attrezzi e gli strumenti per esplorare territori sconosciuti o perduti, coinvolgendo le donne e gli uomini del nostro Paese per costruire un futuro che valga la pena di essere desiderato. Laboratorio Democratico assume come valore la partecipazio-ne delle persone, siano essi lavoratori dipendenti od autonomi, imprenditori, precari o pensionati. I nostri associati sono in gran parte militanti e di-rigenti del PD, uomini e donne delle Istituzioni ma anche uomini e donne che non hanno scel-to il PD e credono ugualmente nel ri-formismo di Matteo Renzi. “L’Italia che vuole cambiare e che sta cambiando”.

Laboratorio De-mocratico è un La-boratorio riformista per liberare pensieri, idee e proposte. Sa-remo decisivi in Pu-glia, come lo siamo stati in Emilia e in Calabria. Forza d‘at-trazione per coloro che credono ad un progetto progres-sista, innovatore e riformista e soprat-tutto partecipato, avendo come faro l‘Europa ed i suoi valori. Dopo anni di crisi e di politiche di austerità contropro-ducenti la Commis-sione europea sta “Cambiando passo” come auspicato dal nostro leader Gianni Pittella, Presidente del Gruppo dell‘Alleanza Progressista di Socialisti e Democra-tici al Parlamento Europeo: il contributo degli Stati membri al nuovo Fondo europeo per l‘occupazione, la crescita e gli investimenti non sarà calcolato nel patto di stabilità. Questo è il punto di partenza verso una nuova stagione fatta non più di cieca austerità ma di sviluppo e posti di lavoro. „Innanzitutto è fini-to il tempo degli accordi fatti al chiuso tra governi, e il Parlamento europeo è determinato a dare il suo contributo“. Ci convince l‘impegno a garantire inve-stimenti rischiosi“ attraverso il Fondo per gli investi-menti strategici (Feis). Questa è la flessibilità di bi-lancio di cui abbiamo bisogno“. Sono i primi risultati di una spinta che proprio l’Italia ed il PD di Matteo Renzi, hanno dato in questo senso, imponendo un ribaltamento di priorità nelle politiche economiche.

Il nostro obiettivo resta quello di servire i tanti

cittadini che credono nei valori della legalità, del di-ritto al lavoro e nella necessità di rilanciare il nostro Meridione di cui la Puglia è parte fondamentale. Ser-ve un Sud protagonista per rendere l’Italia protago-nista in Europa. L’offensiva europeista non può che partire da quel Mezzogiorno d’Europa che più soffre gli effetti delle scelte sbagliate degli ultimi anni. Sen-za Europa, il nostro Mezzogiorno rischia l’isolamento e la marginalità, perché la risposta alle fragilità meri-dionali passa per Bruxelles. Ma per cambiare l’Euro-pa anche il Mezzogiorno deve cambiare.

Serve una nuova assunzione di responsabi-lità da parte delle classi dirigenti ma anche della società meridionale nel suo complesso. Bisogna superare approcci clientelari e interventi fram-mentari e concentrare le risorse della program-mazione sulle grandi spese di avvenire: l’istru-

zione e la formazione del capitale e la costruzione delle infrastrutture fisi-che e immateriali che permetteran-no alla società del Mezzogiorno di tornare ad essere centrale in Europa.

L a b o r a t o r i o Democratico ritie-ne che un progetto politico strategico di sviluppo unita-rio, interregionale flessibile sia in grado di garantire la creatività e l’at-trattività del Ter-ritorio Vasto in cui la Basilicata con Marcello Pittel-la, la Calabria con Mario Oliverio e la Puglia con Michele Emiliano possano divenire la piatta-forma logistica del Mediterraneo, in-tercettando i nuovi investimenti possi-

bili per realizzare ed ammodernare le infrastrut-ture e per l‘innovazione.

Una idea di riferimento politico che sia in grado di costituire una immagine sostenibile di sviluppo della Puglia, in rapporto alle opportuni-tà nazionali ed internazionali. E’ la grande sfi-da della Politica nell’individuare e realizzare un modello di sviluppo flessibile capace di preserva-re il capitale naturale, aumentare la qualità della vita degli abitanti del territorio, poiché la soste-nibilità ambientale, sociale, ed economica ha bi-sogno di una rivoluzione industriale trasversale che sappia coniugare l’Agricoltura con il Turismo senza trascurare i campi dell’innovazione.

Con questo auspicio daremo il nostro contri-buto alle elezioni regionali in Puglia, sostenendo Michele Emiliano.

*Responsabile Organizzazione LabDem

Mino Carriero

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LABORATORIO DEMOCRATICO È UN LABORATORIO RIFORMISTA PER LIBERARE PENSIERI, IDEE E PROPOSTE. SAREMO DECISIVI IN PUGLIA, COME LO SIAMO STATI IN EMILIA E IN CALABRIA. FORZA D‘ATTRAZIONE PER COLORO CHE CREDONO AD UN PROGETTO PROGRESSISTA, INNOVATORE E RIFORMISTA E SOPRATTUTTO PARTECIPATO, AVENDO COME FARO L‘EUROPA ED I SUOI VALORI.

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do innovativo facendo rete tra imprese e Pubblica Amministrazione. E’ il caso del programma Rete Destinazione Sud, un contratto di rete promosso da Confindustria avviato nel maggio 2014. Dove sono presenti oltre 30 imprese (alberghi, villaggi turistici, tour operator, aziende di trasporto, terme) che ora stanno avviando anche accordi con Regio-ni e Comuni. L’obiettivo è far conoscere il Mezzo-giorno e i suoi operatori e facilitarne la fruizione promuovendo il marchio, formando gli operatori, innovando i prodotti e i servizi, creando un pro-dotto turistico innovativo. In parallelo assistere e stimolare le Amministrazioni Pubbliche nella rea-lizzazione delle attività indispensabili a un corretto e adeguato sviluppo del turismo quali la mobilità, il miglioramento dell’offerta culturale e naturalistica, il miglioramento dei servizi al cittadino.

Sono le condizioni di base nel turismo, per po-ter essere competitivi considerate le caratteristiche del nostro sistema imprenditoriale turistico con la sua disseminazione territoriale e dimensionale.

Partiamo dalla consapevolezza da dove si par-te, dove si è. Troppa la divergenza tra le potenziali-tà dell’offerta dei territori meridionali e la domanda reale per non far pensare a gravi lacune di consa-pevolezza e talvolta di presunzione. Siamo passati in 50 anni da 1-2 turismi a infiniti turismi (cultu-rale, mare, sport, religioso, campagna, montagna, bicicletta, trekking, ecc., ma forse meglio definirlo il “turismo di ognuno”) da servizi per il turismo al turismo delle esperienze, da un turismo individuale a tanti turismi di massa e di nicchia. Un passaggio che ha visto in buona parte inalterata la modalità organizzativa dell’offerta e invece sostanzialmente mutata la domanda in qualità e quantità. Il “sogno Italia” è visto dagli stranieri come un’integrazione tra cultura, cucina, storia, natura, stile di vita e mo-numenti unici. In questo contesto il Mezzogiorno

è un’area con ancora enormi possibilità di sviluppo considerate le caratteristiche integrate dell’offerta e il posizionamento geografico in mezzo al Medi-terraneo, la prima area turistica mondiale. Per po-terle concretizzare e realizzare occorre impegnarsi su una serie di obiettivi a breve e medio termine da definire attraverso una chiara visione strategi-ca, ma che non possono prescindere da alcuni ele-menti di base:

Aumentare i numeri e allungare le stagioni. Fare promo-commercializzazione adeguata

(il 54% della domanda dipende dal passaparola e il 29% da internet e solo il 2,5% dalla pubblicità ())

Organizzarsi conseguentemente anche a livel-lo multiterritoriale e multifunzionale .

E poi, facendo leva in particolare sulla rete della governance tra imprese, pubblica amministrazione e imprese sociali:

Migliorare l’accessibilità interna e intraregiona-le aerea e ferroviaria

Migliorare i servizi di accoglienza (spesso coin-

cidenti peraltro con quelli per i residenti)Rafforzare le competenze nella P.A. sia tecni-

che sia organizzative. Ci sono nei prossimi anni anche le condizioni

economiche favorevoli quali i Fondi Strutturali. Non ci possiamo permettere più di perderli: è l’ultima occasione. Per quanto riguarda poi la competitivi-tà, oltre che essere in rete è fondamentale anche essere consapevoli della necessità di tracciare delle linee di progetto integrate nelle risorse e nei tem-pi con obiettivi chiari e definiti attraverso strategie condivise e chiare, un’organizzazione adeguata, marketing e comunicazione, risorse adeguate agli obiettivi.

* Esperto di innovazioneimprenditoriale e territoriale

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Claudio Cipollini

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