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PROF.SSA NICOLETTA SARTI GUIDA AL CORSO DI STORIA DEL DIRITTO MODERNO E CONTEMPORANEO AA. 2008-2009 PARTE SPECIALE 1

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PROF.SSA NICOLETTA SARTI

GUIDA AL CORSO DI STORIA DEL DIRITTO MODERNO E

CONTEMPORANEOAA. 2008-2009

PARTE SPECIALE

LE DUE VITE DEL DIVIETO DEGLI ATTI EMULATIVI TRA DIRITTO COMUNE E DIRITTO CIVILE VIGENTE

Codice Civile (1942 ) 1

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Libro III, tit. II “Della proprietà”, capo I “Disposizioni generali”

- art. 832 (Contenuto del diritto): Il proprietario ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.

- art. 833 (Atti d’emulazione): Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.

- art. 844 (Immissioni): Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione del luogo.

- QUESTA NORMA È IL PORTATO DELLE PROBLEMATICHE INNESCATE DALLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, CHE IN ITALIA DIVENNE FENOMENO SENSIBILE DAGLI ANNI OTTANTA DEL XIX SECOLO. SI AVVIA PERTANTO UNA MODIFICAZIONE NELLA CONCEZIONE DELLA PROPRIETÀ LA QUALE, NONOSTANTE L’AFFERMAZIONE DI PRINCIPIO CONSOLIDATA NELL’ART. 832, COMINCIA A SUBIRE DELLE LIMITAZIONI ALLA SUA ASSOLUTEZZA IN RAGIONE DEL SUPERIORE INTERESSE DELL’ECONOMIA NAZIONALE. PRINCIPIO CHE SI IMPONE COME UNA NOVITÀ RISPETTO AL PORTATO ROMANISTICO, CHE SANCIVA IL DIVIETO ASSOLUTO DI IMMISSIONI.

Costituzione della Repubblica italiana (1948)

- art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si

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svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

- art. 42, 2° comma: La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

Commissione Reale per la riforma dei codici – Sottocommissione per il Codice Civile – Codice Civile – Secondo libro – Cose e diritti reali – Progetto, Roma 1937 , tit. “Della proprietà”, capo “ Della proprietà fondiaria ” IL PROGETTO INIZIALE DELLA NUOVA CODIFICAZIONE PREVEDEVA IL DISCIPLINAMENTO DELLA PROPRIETÀ NEL LIBRO SECONDO, DOPO “PERSONE E FAMIGLIA”. SOLO UN RITARDO NELL’APPRONTAMENTO E NELL’APPROVAZIONE DEI PROGETTI PROVOCÒ IL SUO SLITTAMENTO AL LIBRO TERZO, DOPO LE “SUCCESSIONI”. VA RICORDATO CHE FINO AL 1939 L’ARCHITETTURA DEL CODICE CONTEMPLAVA SOLI QUATTRO LIBRI, AI QUALI SI AGGIUNSERO IN TEMPI RAPIDISSIMI “DELL’IMPRESA E DEL LAVORO” E “DELLA TUTELA DEI DIRITTI”. L’AMPLIAMENTO SI GIUSTIFICÒ CON LA DECISIONE DI ACCORPARE IN TOTO LA MATERIA COMMERCIALE ALLA CIVILE – C. D. “COMMERCIALIZZAZIONE DEL DIRITTO CIVILE”.

- art. 18: La proprietà è il diritto di godere e di disporre della cosa in modo esclusivo, in conformità della funzione sociale del diritto stesso. Il proprietario deve, inoltre, osservare i limiti imposti dalle leggi e dai regolamenti e i diritti spettanti ai terzi sulla medesima cosa.

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- art. 25: La proprietà del suolo importa quella di tutto ciò che è piantato o costruito sul suolo. Il proprietario può fare sopra il suolo qualsiasi costruzione, piantagione od altra opera nei limiti consentiti dalle leggi e dai regolamenti, salvi sempre i diritti spettanti ad altri. Egli però non può fare od imprendere opera alcuna, che rechi pregiudizio ad altri senza utilità propria.

Si veda la relazione del civilista e romanista Roberto De Ruggero - autore di uno dei più fortunati manuali di Istituzioni di diritto privato del primo trentennio del XX secolo – al citato Progetto del Libro Secondo del cod. civ. “Cose e diritti reali”: «Ma più importante e nuova è un’altra limitazione imposta al capoverso dell’articolo in esame (art. 25), quella per cui il proprietario non può fare od imprendere opera alcuna che rechi molestia ad altri senza alcuna utilità propria. E’ il divieto dell’abuso del diritto introdotto espressamente nel codice in rapporto al diritto di proprietà e che trova riscontro nel progetto del libro delle “Obbligazioni e contratti” in cui all’art. 74, si dispone che “è tenuto al risarcimento colui che ha cagionato danno ad altri eccedendo, nell’esercizio del proprio diritto i limiti posti dalla buona fede o dallo scopo per il quale il diritto gli fu riconosciuto”». Dato assai significativo appare il particolare accento che il De Ruggero pone sulla “novità” del principio contenuto nell’articolo in esame. Una “novità” che non può essere letta che in termini di “discontinuità” rispetto alla tradizione di Diritto Comune, privilegiando gli elementi oggettivi del comportamento

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sanzionato – mancanza di utilità propria – rispetto a quelli soggettivi e psicologici – la prova dell’animus nocendi -, che avevano caratterizzato l’istituto tra medioevo ed età moderna.

Commissione Reale per la riforma dei codici – Commission francaise d’études de l’union législative entre les nations alliées et amies. Progetto di codice delle obbligazioni e dei contratti ( testo definitivo approvato a Parigi nell’ottobre 1927 ), ed. bilingue Roma, 1928

- art. 74: Qualunque fatto colposo che cagioni danno ad altri obbliga colui che l’ha commesso a risarcire il danno. È ugualmente tenuto al risarcimento colui che ha cagionato danno ad altri eccedendo, nell’esercizio del proprio diritto, i limiti posti dalla buona fede o dallo scopo per il quale il diritto gli fu riconosciuto.

Tale articolo era stato recepito ad litteram dal Progetto del libro IV “Delle obbligazioni” del redigendo Codice Civile italiano (CHE DATI I TEMPI RISTRETTISSIMI DEL SUO APPRONTAMENTO – 1939-’41 – AVEVA AMPIAMENTE ATTINTO DA QUESTI MATERIALI GIÀ ELABORATI ) e trovava un aggancio sostanziale nell’art. 7 del Progetto del libro I – “Principi generali dell’ordinamento giuridico”: Nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per cui il diritto medesimo gli è stato riconosciuto.

Relazione del Ministro Guardasigilli [ Dino Grandi ] al Codice Civile…, Roma 1942 , n. 408 : «L’art. 833 pone il divieto degli atti emulativi. Tale divieto afferma un principio di

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solidarietà tra privati e nel tempo stesso pone una regola conforme all’interesse della collettività nella utilizzazione dei beni. Quanto alla nozione dell’atto vietato ho creduto opportuno, per evitare eccessi pericolosi nell’applicazione delle norme, esigere espressamente il concorso dell’animus nocendi».

Una formula, questa adottata dal nostro legislatore, che – ben al di là del tenore letterale – rievoca l’elaborazione giurisprudenziale sull’aemulatio propria del Diritto Comune e riflette l’ambiguità insita nel disegno di ricodificazione, contenendo una spinta alla valutazione, in termini obiettivi, dell’interesse del proprietario, controbilanciata da un forte richiamo all’elemento soggettivo, che riconduce il divieto – attenuandone di molto la valenza di principio di solidarietà tra privati, nonché di regola conforme all’interesse della collettività nella utilizzazione dei beni – nella sfera dell’illecito caratterizzato dal dolo specifico. Conseguenze inevitabili e quasi fisiologiche di questi contraddittori assetti sono state, per un verso, la limitatissima portata, nel nostro ordinamento civilistico, della norma in oggetto – circoscritta a fattispecie di intenzionalità maligna assolutamente marginali rispetto ai più corposi temi del fondamento di poteri del proprietario e dei conflitti interproprietari – e la sua progressiva disapplicazione o, come è stato scritto, “cancellazione” ad opera di una giurisprudenza assolutamente costante.

A soli quattro anni dall’entrata in vigore del Codice Civile, si coglievano nelle pagine di un autorevole commentatore come

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Francesco De Martino forti perplessità ( Comm. Scialoja Branca, libro terzo (artt. 810-956), Roma 1946 ): «Dal lato soggettivo, occorre che l’esercizio del diritto sia compiuto unicamente allo scopo di offendere il vicino: non sarebbe quindi sufficiente che l’intenzione maligna sia determinante, se insieme ad essa vi è uno scopo lecito. Né si potrebbe invocare che l’animus nocendi prevalga sullo scopo lecito, per essere l’utilità poco rilevante o insignificante. L’esistenza di una qualsiasi utilità esclude l’abuso, anche nei casi in cui l’utilità è di gran lunga minore della molestia o del danno che si procura al vicino…Non è poi da escludere recisamente la possibilità che la prova dell’animus nocendi sia insita nella stessa attività antisociale, quando possa ritenersi sicuro che nessun altro movente, né una semplice imprudenza o leggerezza, abbia spinto il proprietario all’azione. Ma di regola occorrerà desumere questa intenzione da altri elementi di prova, estranei al fatto; in caso contrario basterebbe il più delle volte la dimostrazione del carattere obiettivamente dannoso dell’azione per affermare lo scopo emulativo, il che, oltre ad essere pericoloso, andrebbe contro la chiara volontà delle leggi. L’onere di provare l’animus nocendi incombe sull’attore, a norma dei principi, epperò non basta la prova dell’attitudine dell’azione a produrre danno o molestia».

Fuori d’Italia:

Allgemeines Landrecht fur die Koniglichen Preussischen Staaten ( 1794 )

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I, 8, § 27: Niuno può abusare della sua proprietà per offendere o danneggiare altri. I, 8, § 28: Dicesi abuso un uso tale della proprietà, che per sua natura può solo avere per intenzione l’offesa di un altro (trad. italiana: F. FILOMUSI GUELFI, Diritti reali. Esposizione pel corso 1901-1902, Roma 1902, pp. 219-220).Il “Landrecht” prussiano costituisce un riordino sistematico del diritto territoriale–ius proprium della Prussia e si inserisce nel filone delle consolidazioni di fine Settecento.

Codice Civile Generale del Principato del Montenegro (trad. italiana sulla nuova modificata edizione originale di A. MARTECCHINI, Spalato 1900 (ma entrato in vigore nel 1888).

Parte II, sez. V “Dei rapporti di vicinato. Norme finali sui rapporti di vicinato”. - art. 141: È regola generale: i vicini, già per ciò che sono vicini, per il miglior godimento dei propri beni, devono, quanto è possibile, esercitare il proprio diritto di proprietà in modo da non molestarsi, né danneggiarsi reciprocamente.

Parte CI, sez. II “Aggiunte concernenti principalmente la proprietà e le altre specie di diritti reali”. - art. 850: I rapporti di vicinato…e i diritti che dai medesimi in singoli casi vengono conferiti ai vicini, derivano dai reciproci contatti e bisogni che il solo vicinato crea fra vicini. Per ciò, la legge venendo incontro ai loro interessi, con riguardo all’ordine, all’utilità, e al pieno godimento dei loro beni, ordina, che in certe circostanze il vicino tolleri qualche cosa a

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vantaggio del vicino, in un’altra si limiti, ceda alcunché della totalità dei propri diritti, ciò che, senza questi contatti vicinali non dovrebbe essere.

OPERA D’AUTORE, IL GIURISTA ED ERUDITO STUDIOSO DELLE CONSUETUDINI DEGLI SLAVI DEL SUD BALDASSARRE BOGISIC, IL CODICE CIVILE DEL MONTENEGRO VENNE PROMULGATO IL 23 MARZO 1888 DAL PRINCIPE NIKOLA A CATINJE ED ENTRÒ IN VIGORE IL PRIMO LUGLIO DELLO STESSO ANNO. I SUOI CONTENUTI, ORIGINALI IN SPECIE NEGLI AMBITI DEL DIRITTO DELLE PERSONE E DELLE SUCCESSIONI, SI RIVELANO UNA FELICE MEDIAZIONE – NON LONTANA IN QUESTO DALLE FONTI DEL “LANDRECHT” PRUSSIANO – FRA RISALENTISSIME CONSUETUDINI SLAVE ED I NUOVI PRINCIPI DEL DIRITTO COMUNE EUROPEO, CREANDO UN ORIGINALE INCONTRO FRA CULTURA GIURIDICA OCCIDENTALE E CONSUETUDINI DEGLI SLAVI DELL’OCCIDENTE EUROPEO.

Codice Civile del Cantone di Zurigo ( 1888 )

§ 189: L’uso lecito del proprio fondo o della propria casa, che spiacevolmente operi sugli occhi, orecchi o naso del vicino, non autorizza a protestare. Solo se l’uso è fatto fuori misura, o doloso può invocarsi la difesa della polizia, ed, in caso di necessità, quella giudiziaria (trad. italiana: F. FILOMUSI GUELFI, Diritti reali, cit., p. 220).

B. G. B. ( 1900)

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Il § 226 (Schikaneverbot), dispone che l’esercizio del proprio diritto sia inammissibile quando non abbia scopo diverso da quello di nuocere ad altri.Il § 826 obbliga al risarcimento chi abbia arrecato danno attraverso un comportamento contrario alla morale.

IL B.G.B. È, SOSTANZIALMENTE, UN PRODOTTO DEI PANDETTISTI; QUESTI AVEVANO SEGUITO IL METODO DELLA SCUOLA STORICA, MA NON RIPRODOTTO LA SPIRITO FILOSOFICO, NELLO SFORZO DI ADATTARE IL DIRITTO ROMANO A REGOLARE I RAPPORTI GIURIDICI DELLA VITA MODERNA. POSTO QUESTO ASSUNTO, IL CODICE NON PUÒ CERTO ESSERE PRESENTATO COME L’ESPRESSIONE DELLE NUOVE TENDENZE CHE SI AGITAVANO NEL CAMPO DEL DIRITTO PRIVATO: VI PREVALGONO GLI INTERESSI DELLA PROPRIETÀ FONDIARIA, DELL’INDUSTRIA, DEL COMMERCIO. SAREBBE D’ALTRO CANTO INGIUSTO NON RICONOSCERNE I GERMI DI UN DIRITTO NUOVO: PER MOLTI ASPETTI ESSO DISCHIUDE ORIZZONTI NUOVI E SODDISFA NON SOLO GLI INTERESSI SOCIALI, MA ANCORA GLI INTERESSI DEL LAVORO. SECONDO L’ART. 226, L’ESERCIZIO DI UN DIRITTO NON È PERMESSO SE NON HA ALTRO SCOPO CHE QUELLO DI PROCURARE DANNO AD ALTRI (CHICANE). CON QUESTA DISPOSIZIONE SI STABILISCE CHE I DIRITTI SOGGETTIVI NON POSSONO ESSERE ESERCITATI ARBITRARIAMENTE, CHE OGNI DIRITTO È RICONOSCIUTO ALL’INDIVIDUO PER L’ATTUAZIONE DI UN CERTO SCOPO SOCIALE, E IL TITOLARE DI UN DIRITTO, DEVIANDOLO DALLO SCOPO CHE LO GIUSTIFICA, COMMETTE UNA COLPA DI CUI DEVE RISPONDERE. LA TEORIA DELL’ABUSO DEL DIRITTO IMPLICA UNA PROFONDA MODIFICAZIONE NEL PRINCIPIO DELLA LIBERTÀ NELL’ESERCIZIO DEI DIRITTI: ESSA INAUGURA LA CONCEZIONE VERAMENTE SOCIALE DEL DIRITTO SOGGETTIVO…L’ART. 226 VIENE AD ATTUARE IL CONCETTO DELLA SOLIDARIETÀ SOCIALE E LO RENDE PRINCIPIO DOMINANTE DI TUTTA LA LEGISLAZIONE CIVILE.

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Codice Civile Svizzero (1912). Pubblicato dalla Cancelleria Federale

- Art. 2: Ognuno è tenuto ad agire secondo la buona fede così nell’esercizio del propri diritti come nell’adempimento dei propri obblighi. Il manifesto abuso del proprio diritto non è protetto dalla legge.NEL SOLCO DEL DIVIETO DI ABUSO FORMALIZZATO PER IL DIRITTO DI PROPRIETÀ DALLA LEGISLAZIONE CIVILISTICA CANTONALE DI ZURIGO SIN DALLA SUA PRIMA REDAZIONE (1853-55), IL CODICE CIVILE ELVETICO DEL 1912 HA ASSUNTO NEL “TITOLO PRELIMINARE” IL PRINCIPIO DI BUONA FEDE COME CLAUSOLA GENERALE DI ESERCIZIO DEI DIRITTI. IN LUOGO DI UN TESTO COSTRUITO SECONDO TUTTE LE REGOLE DELL’ARTE E DELLA LOGICA GIURIDICA, IL CODICE CIVILE SVIZZERO PONE PRINCIPI GENERALI IN ARMONIA COLLE ESIGENZE SOCIALI LASCIANDO ALLA GIURISPRUDENZA LA CURA DI SVILUPPARE NEL SENSO DELL’EVOLUZIONE SOCIALE STESSA, LE CONSEGUENZE PRATICHE DEI PRINCIPI SOCIALI CONSACRATI DALLA LEGGE. IL CODICE SVIZZERO NON SI DISTINGUE PER UNA TECNICA RIGOROSA: EVITA LE SOTTIGLIEZZE DOTTRINALI, È TUTTO PENETRATO DI SPIRITO PRATICO E ATTUA NELLA FORMA PIÙ PERFETTA L’IDEALE DI UNA LEGISLAZIONE DEMOCRATICA.

Codigo Civil para el Distrito y Territorios Federales, Mexico (1871 , riconfermato nel 1884 e nel 1928 )

Art. 840: No es licito ejercitar el derecho de propriedad de manera que su ejercicio no dé otro resultado que causar perjuicios a un tercero, sin utilidad para el proprietario.

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LA NORMA RIENTRA MANIFESTAMENTE IN QUELLA TRADIZIONE GIURIDICA COLONIALE A BASE ROMANISTICA, CUI SI SONO ISPIRATE TUTTE LE CODIFICAZIONI CIVILI DELL’AMERICA LATINA.

Un ritorno annunciato: premesse storiche e filosofiche

Code Napoléon ( 1804 ) liv. II, tit. II. - art. 544: La propriété est le droit de jouir et de disposer des choses de la maniére la plus absolue, purvou qu’on n’en fasse pas un usage prohibé par les lois ou par les réglements.

NEL CODE NAPOLÉON E NEI SUOI DERIVATI. IL REGIME DELLE SERVITÙ HA PRESO IL POSTO DEL DIVIETO DEGLI ATTI EMULATIVI – CHE PER IL SUO CARATTERE INQUISITORIO (ELEMENTO SOGGETTIVO) ERA POCO GRADITO ALLA MENTALITÀ LIBERALE . GIOVA RICORDARE CHE L’IDEALE GIUSNATURALISTICO (XVII SECOLO) ED ILLUMINISTICO (XVIII SECOLO) DI UNA PROPRIETÀ INTESA COME ESTRINSECAZIONE DELL’INDIVIDUO, COME PROIEZIONE E REALIZZAZIONE DELLE SUE CAPACITÀ, TROVAVA IL MODELLO STORICO NELLA CONCEZIONE PIENA, ASSOLUTA ED ILLIMITATA DEL DOMINIO ROMANO. FU, POI, COMPITO DEI REDATTORI E DEGLI INTERPRETI DEL “CODE CIVIL” DELINEARE UN’IMMAGINE DELLA PROPRIETÀ CONSONA AGLI IDEALI FILOSOFICI ED AGLI INDIRIZZI ECONOMICI DELLA SOCIETÀ INDIVIDUALISTA E LIBERISTA USCITA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE, AD UN TEMPO ANCORANDOLA ROBUSTAMENTE AD UN’IMMAGINE DI MATRICE ROMANISTICA. IL PRODOTTO FU

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UN PARADIGMA PROPRIETARIO DESTINATO AD INFLUENZARE LARGAMENTE IL PENSIERO GIURIDICO EUROPEO LUNGO TUTTO L’ARCO DEL XIX SECOLO, CONTRO IL QUALE SI APPUNTARONO – SUL PIANO DELLA CRITICA STORICA – GLI STRALI RIVOLTI A DENUNCIARE L’EGOISMO E LA ASOCIALITÀ DEL DIRITTO ROMANO E DEL QUALE, COME DI UN INGOMBRANTE IPOSTASI, ANCHE LA STORIOGRAFIA SULLA PROPRIETÀ ROMANA STENTA A LIBERARSI. SENZA DUBBIO I COMPILATORI DEL CODICE NAPOLEONE, CHE AVEVANO EREDITATO LE IDEE DELLA RIVOLUZIONE CONTRO IL SISTEMA FEUDALE, ACCOLSERO NELLA LEGISLAZIONE PRECETTI E PRINCIPI ROMANISTICI I QUALI RISPECCHIAVANO LE IDEE INDIVIDUALISTICHE DA ESSI PROFESSATE. MA NON SI TRATTAVA DELLE STESSE IDEE, PERCHÉ LE NORME ROMANE ERANO ESPRESSIONE DI UNA SOCIETÀ PROFONDAMENTE DIVERSA DA QUELLA DELL’ETÀ MODERNA ED ERANO STATE ELABORATE IN CONDIZIONI ECONOMICO-SOCIALI DIVERSISSIME. DECONTESTUALIZZAZIONE STRUMENTALE

Codice Civile del Regno d’Italia, Torino stamperia reale 1866 Parte II, lib. II. - art. 436: La proprietà è il diritto di godere e di disporre della cosa nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalla legge o dai regolamenti.

UN SILENZIO, QUESTO DELLE CODIFICAZIONI, CHE SI È RIVELATO, NELL’ULTIMO SCORCIO DEL XIX SECOLO, IL MIGLIOR APPIGLIO PER UNA DOTTRINA ED UNA GIURISPRUDENZA DI DIVERSO RESPIRO, CHE COL DECLINARE DELL’IDEA INDIVIDUALISTA TENTARONO DI PENETRARE E RIPLASMARE L’ORMAI DECLINANTE MODELLO DI PROPRIETÀ EGOISTA E BORGHESE NEL SEGNO DELLE NUOVE IDEOLOGIE SOCIALISTE E SOLIDARISTE.

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Corte di appello di Colmar, 2 maggio 1855 (Dalloz jurisprudence…): nel dirimere una controversia tra proprietari di immobili urbani sorta in merito alla costruzione di un camino le cui esorbitanti proporzioni palesavano come l’unico scopo togliere luce al vicino, la sentenza coglie l’occasione per affermare che il diritto di proprietà «comme celui de tout autre, doit avoir pur limite la satisfaction d’un intérèt sérieux et légitime», precisando che «les principes de la morale et de l’équité s’opposent à ce que la justice sanctionne une action inspirée par la malveillance, accomplie sous l’empire d’une mauvais passion, ne se justifiant pas aucune utilité personelle et portant un grave préjudice à altrui».

Sulla dottrina francese della seconda metà dell’Ottocento, rappresentata da nomi illustri, come Luis Josserand e Jean Charmont, che hanno fatto della categoria dell’abuso di diritto uno degli snodi delle loro teoriche, ha scritto negli anni Sessanta del secolo appena concluso, Natalino Irti, Dal diritto civile al diritto agrario: «L’immagine più viva di fermenti di revisione, che si raccolgono intorno alla teoria dell’abuso di diritto; di questa crisi che arde insieme individuo e ordine giuridico tradizionale; di un mondo, in breve, che cerca un nuovo equilibrio, è dato scorgere nell’opera di Josserand, che rispecchia i tempi con appassionata e vigorosa sensibilità. Punto di partenza del pensiero del Josserand è il rapporto fra individuo e società, dacché, se il diritto soggettivo tutela il “pertinere” di un interesse al singolo, ogni suo sviluppo critico dovrà muovere da un’idea della posizione dell’uomo nel mondo. Il distacco dalla scuola di diritto naturale è netto e consapevole. L’individuo non

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è più fittiziamente proiettato fuori dal contesto storico, è unità sociale, fragile cellula in un complesso meccanismo. Nel clima originario del codice napoleonico, l’esercizio del diritto soggettivo è rimesso al volere dell’individuo, né questi è impegnato a seguire una piuttosto che altra direzione. Il collegamento fra singolo e gruppo sociale si rifrange sui poteri di autonomia che il titolare del diritto esplica riguardo agli interessi garantitigli; su questa linea si colloca il sistema dei limiti, ma il Josserand avverte che è necessario andare oltre, procedere dall’estrinseco all’intrinseco, e colpire la finalità tipica dell’attribuzione fatta all’individuo».

S. GIANZANA, Le acque nel diritto civile italiano , Torino 1879 , capo VI, parte I, pp. 832 ss.: «Del potere conciliativo dell’autorità giudiziaria in materia d’acqua e della repressione dell’emulazione». Obiettivo dell’autore è quello di dimostrare che al di là del silenzio del Codice Civile del 1865, la repressione dell’emulazione costituisce «regola direttiva nella materia delle acque, di cui ci occupiamo, regola che sgorga spontanea da un complesso di più disposizioni, le quali ci dimostrano che in ciò il legislatore italiano la pensò come i giuristi romani, ed i commentatori delle pandette», nella ferma convinzione che la «teorica repressiva dell’emulazione» nuoccia alla convivenza sociale ed all’aggregazione dei cittadini allo scopo dell’utile comune.

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G. GIOVANETTI, Il regime delle acque …, Napoli 1883, p. 7 : «L’illustre Romagnosi, la cui memoria io onoro come si deve onorare quella d’un maestro e di un amico, proclamava vivamente che il principio della proprietà debb’essere subordinato alla legge sociale ed alle esigenze comuni; che non bisogna confondere il dominio naturale, che non suppone alcun rapporto sociale, col dominio civile, che impone la necessità della vita comune, della convivenza; che obbedire alla legge della vita comune non è obbedire ad un altro uomo, ma alla necessità delle cose ed a noi stessi, e che la modificazione del principio non toglie il diritto, né lo cambia; essa gli da una direzione confacente a tutti».

G. D. ROMAGNOSI, Trattato della ragion civile delle acque nella rurale economia, Firenze 1834 , libro II, capo II, pp. 258 ss : «Come nell’associazione territoriale civile moderar si possa il privato dominio non contrattuale su di una corrente naturale privata…Quando io sostengo che il privato ha diritto ed azione giudiziaria di impedire la deviazione di una corrente artificiale utile ad altri fatta per vendetta, per invidia, o per altro maligno motivo, io non pretendo che ciò derivi da un diritto privato nativo dedotto dalla individuale e naturale padronanza di due eguali, ma bensì da un diritto sociale dativo, cioè conferito al cittadino dalla legge stessa fondamentale della socialità soprattutto in materia di acque».

Corte di Cassazione di Firenze, dicembre 1877 , in “Il Foro italiano”, III (1878), p. I, col. 481: Massima. Gli atti di

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emulazione devono proibirsi anche sotto l’impero delle vigenti leggi. Sebbene l’art. 533 del codice autorizzi il comproprietario di un muro ad alzarlo senza il consenso dell’altro, tale facoltà non può esercitarsi per spirito di emulazione.

Corte di Cassazione di Palermo, febbraio 1878, in “Il Foro italiano”, IV (1879), p. I, col. 119: Massima. L’esercizio del diritto di proprietà è limitato dalla necessità di evitare il danno altrui. È lecito al proprietario di fondi invasi dall’irrompere delle acque difendersi anche con danno dei vicini, ma solamente in caso di forza maggiore e quando non vi sia altro mezzo di difesa. Il proprietario pertanto, che sia danneggiato dal proprietario limitrofo per la costruzione dei ripari che abbiano alterato il corso delle acque, ha diritto di agire contro di lui per il risarcimento dei danni e la restituzione delle acque nel pristino corso. Non può un proprietario fare opere usque ad aemulationem.

Carlo Lozzi , Introduzione al diritto civile e al diritto internazionale privato ( 1880 ): «Quanto agli atti di emulazione nell’esercizio dei diritti, o per parlar più propriamente o più conformemente alla verità delle cose, quanto agli atti che si fanno non per alcun utile o godimento proprio, ma unicamente a dispetto o nocumento del vicino, noi siamo d’avviso del tutto contrario a quello sostenuto con tanto apparato dall’insigne avvocato Vittorio Scialoja, parendoci la proibizione di simili atti dispettosi potersi argomentare dal Diritto Comune, dalle disposizioni del Codice Civile, e ad ogni modo apparire manifesta dal principio

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equitativo, ammesso come fonte d’interpretazione dall’art. 3 del titolo preliminare e imperiosamente reclamato dalle nuove dottrine dell’economia sociale».

Art. 3 del Codice Civile del 1865. Disposizioni preliminari. ” Disposizioni sulla pubblicazione interpretazione ed applicazione della legge in generale ”: Nell’applicare la legge non si può attribuirle altro senso che quello fatto palese dal proprio significato delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Qualora una controversia non si possa decidere con una precisa disposizione di legge, si avrà riguardo alle disposizioni che regolano casi simili e materie analoghe; ove il caso rimanga tuttavia dubbio, si deciderà secondo i principi generali del diritto.

ORIGINE ROMANISTICA?

Il termine “aemulatio” compare nel Corpus iuris civilis giustinianeo in due luoghi:

1) D. 50, 10 [ de operibus publicis ], 3 : MACER…Opus novum privato etiam sine principis auctoritate facere licet, praeterquam si ad aemulationem alterius civitatis pertineat vel materiam seditionis praebeat vel circum theatrum vel amphiteatrum sit (l’affermazione della perfetta libertà di costruire in città opera nova di utilità pubblica da parte di privati senza bisogno di autorizzazione preventiva, è seguita da una limitazione per i casi in cui si costruisca ad aemulationem alterius civitatis, si dia materia di sedizione, ci sia vicinanza di teatri o di anfiteatri).

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2) C. 12, 58(59) [ de apparitoribus praefecti annonae ], 1 : Impp. Valens, Gratianus et Valentinianus… Apparitores urbanae praefecturae annonario officio se non inserant, sed apparitorum aemulatione secreta ministerio suo annonae praefectura fungatur (racchiude disposizioni volte a proibire l’intrudersi degli addetti ad un ufficio amministrativo in affari pertinenti ad altro ufficio, onde evitare tra i due confusioni e conflitti).

Leggasi pure Cicerone, Tusculanae disputationes (IV. 8. 17): Aemulatio autem dupliciter illa quidem dicitur, ut et in laude et in vitio nomen hoc sit: nam et imitatio virtutis aemulatio dicitur (sed ea nihil hoc loco utimur; est enim laudis), et est aemulatio aegritudo si eo quod concupierit, alius potiatur, ipse careat.

Sono, siffatta dottrina e siffatta giurisprudenza, espressione di un clima apertamente derogatorio rispetto ad una stretta esegesi della logica proprietaria (emblematizzata dall’art. 436 del Codice Civile vigente) a segnare la discesa in campo di Vittorio Scialoja. I suoi interventi si susseguono incalzanti fra il 1878 e il 1887, per confluire con terso approfondimento critico nell’articolata voce Aemulatio del 1892, che il Maestro fu invitato a redigere per le pagine dell’Enciclopedia Giuridica Italiana.VITTORIO SCIALOJA (TORINO, 1856 - ROMA, 1933), COMPLESSA FIGURA DAL POLIEDRICO IMPEGNO SCIENTIFICO, PROFESSORE DI DIRITTO ROMANO ALLA “SAPIENZA” SULLA CATTEDRA CHE ERA STATA DEL SUO MAESTRO

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NICOLA DE CRESCENZIO, POI AVVOCATO ED EMINENTE GIURISTA, NOMINATO SENATORE DEL REGNO NEL 1904, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA FRA IL 1909 E IL 1910, QUINDI INCARICATO DAL 1924 DI PRESIEDERE LA COMMISSIONE PER LA RIFORMA DEL CODICE CIVILE. V. Scialoja, voce “ Aemulatio ”: «Non è difficile trarre la conclusione generale da questa disamina delle disposizioni del nostro Codice Civile. L’emulazione non vi è mai proibita, come tale. In generale il proprietario può compiere sulla cosa propria tutti gli atti non vietati dalle leggi o dai regolamenti senza che altri abbia diritto di riscontrare se siano atti vantaggiosi o no, se siano fatti con questa o quella intenzione. Quando invece sia il caso di un conflitto di diritti, come per esempio quando si tratti dei rapporti dei condomini tra loro, gli atti di chi ha un diritto non possono essere fatti con danno o incomodo dell’altro avente diritto e senza utile di chi li compie. In materia d’acqua finalmente vige lo speciale principio, che ogni proprietario non solo non può fare atti a se stesso inutili e nocivi al vicino, ma deve concedere a questo la facoltà di compiere quegli atti che gli siano utili e non rechino danno al concedente…Tale principio si fonda sopra un criterio affatto diverso da quello del divieto dell’emulazione, quantunque in forza di esso gli atti emulativi vengano ad essere vietati, perché inutili a chi li compie e nocivi agli altri. Questo principio finalmente non ammette estensioni dalla materia delle acque ad altre specie di proprietà».

Continua: «Questa in breve è la teoria dell’emulazione segnata in ogni sua parte dallo stampo di quel medioevo nel quale andavano sempre confuse le idee di diritto, morale e religione, che pure secondo il solito soleva derivarsi dal diritto romano».

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Frammenti giustinianei contrari all’esistenza del divieto:

D. 50, 17, 55: GAIUS …Nullus videtur dolo facere, qui suo iure utitur.

D. 50, 17, 151: PAULUS …Nemo damnum facit, nisi qui id fecit, quod facere ius non habet.

Frammenti che sembrano testimoniare invece della sua esistenza:

D. 39, 2 (de damno infecto…), 24, 12: ULPIANUS …Item videamus, quando damnum dari videatur: stipulatio enim hoc continet, quod vitio aedium loci operis damnum fit. Ut puta in domo mea puteum aperio, quo aperto venae putei praecisae sunt: an tenear? Ait Trebatius non teneri me damni infecti: neque enim existimari operis mei vitio damnum tibi dari in ea re, in qua iure meo usus sum. Si tamen tam alte fodiam in meo, ut paries tuus stare non possit, damni infecti stipulatio committetur.

D. 6, 1 (de rei vendicatione ), 38: CELSUS …In fundo alieno, quem imprudens emeras, aedificasti aut conseruisti, deinde evincitur…sufficit tibi permitti tollere ex his rebus quae possis, dum ita ne deterior sit fundus, quam si initio non foret aedificatum. Constituimus vero ut, si paratus est dominus tantum dare, quantum habiturus est possessor his rebus ablatis, fiat ei

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potestas: neque malitiis indulgendum est, si tectorium puta, quod induxeris, picturasque corradere velis.

D. 39, 3 (de aqua et aquae pluviae arcendae…), 2, 9: PAULUS…Idem Labeo ait, si vicinus flumen torrentem averterit, ne aqua ad eum perveniat, et hoc modo sit effectum, ut vicino noceatur, agi cum eo aquae pluviae arcendae non posse: aquam enim arcere hoc esse curare ne influat: quae sententia verior est, si modo non hoc animo fecit, ut tibi noceat, sed ne sibi noceat.[PASSO INTERPOLATO]

Teorie del Luzzatto e del Riccobono, fra i romanisti favorevoli alla presenza del divieto nel diritto giustinianeo.

Origine germanica dell’istituto del divieto degli atti emulativi: teoria imputabile fondamentalmente a Francesco Schupfer, Il diritto privato dei popoli germanici con speciale riferimento all’Italia , vol. III. Possessi e dominii , Città di Castello- Roma 1915 . Si vedano i seguenti passi contenuti nel Liber Legis Langobardorum:Rotari 358 : Nulli sit licentia iterantibus herbam negare, excepto prato intacto tempore suo aut messe. Post fenum aut fruges collectas tantum vendicet cuius terra est, quantum cum clausura sua potest defendere.

Carlo Magno 14: De iterantibus, qui ad palatium aut alicubi pergunt, ut eos cum collecta nemo ausus sit adsalire. praesumpserit, amendet” Et nemo herbam alterius tempore

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defensionis tollere presumat, nisi in hostem pergendo aut missus noster sit; et qui aliter facere.

Lex Visigothorum, VIII, 4, 27 (Recesvindo, VII sec. D. C.): Iter agentibus in pascuis, que conclusa non sunt, deponere sarcina et iumenta vel boves pascere non vetentur; ita ut non uno loco plus quam biduo, nisi hoc ab eo, cuius pascua sunt, obtinuerint.

Rotari 300 : Si quis robore…infra agrum alienum aut culturam seu clausuram vicinus ad vicinum incederit, componat per arborem tremisses duas. Nam iterans homo si propter utilitatem suam foris clausuram capellaverit, non sit culpabilis.

Rotari 292 : Si quis vitem expoliaverit id est aminicula tulerit supra tres aut quattuor, sit culpabilis solidos sex.

Rotari 296 : Si quis super tres uvas de vinea aliena tulerit, componat solidos 3; nam si usque ad tres tulerit, nulla sit culpa.

Questi frammenti delle normative longobarda e visigota furono più probabilmente ispirati dai topoi presenti in alcuni versetti veterotestamentari, genericamente incoraggianti sentimenti di solidarietà verso il prossimo, ma nei quali non è possibile ravvisare gli elementi sostanziali dell’istituto de quo: vedi Numeri 21. 22, Iudices 11. 19-20; Deuteronomium 23. 24-25: Quando entrerai nella vigna del tuo prossimo, potrai

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mangiare uva secondo il tuo appetito, a sazietà. Ma non ne metterai nel tuo paniere. Quando entrerai tra il frumento del tuo prossimo, potrai cogliere spighe con la tua mano. Ma non agiterai la falce nel frumento del tuo prossimo.

Mancanza di una ricostruzione della disciplina del divieto nei secoli intermedi. Le sillogi manualistiche sul diritto privato medievale hanno rivelato un interesse rapsodico, connotato da scarso approfondimento ed originalità. Lo schema con il quale l’istituto viene affrontato è tralatizio e può essere così riassunto:

1) fissazione della sedes materiae nell’ambito delle limitazioni dell’esercizio del diritto di proprietà;

2) attenzione privilegiata al problema delle origini del divieto piuttosto che dell’evoluzione delle sue dinamiche nell’età del Diritto Comune;

3) quasi totale ignoranza delle fonti preaccursiane e scarsa attenzione per quelle accursiane;

4) valutazione in larga misura negativa sulla qualità e l’originalità del modus argumentandi degli interpreti del Diritto Comune, mutuata dal pesante giudizio scialojano.

Ad una verifica sulle fonti, è risultato che la teorica del limite per il proprietario d’agire ad aemulationem è stata sostanzialmente ed originalmente costruita sulle fondamenta di un manipolo di frammenti dei Digesta. Frammenti estranei al leggerissimo bagaglio culturale dei redattori delle consolidazioni germaniche, ai quali i giuristi interpreti dell’età di mezzo si accostarono senza alcun timore reverenziale, per attingerne il

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linguaggio rigoroso ed i processi logici, ma nella salda convinzione che il diritto e le sue fonti siano strumenti della storia e nella storia disponibili a piegarsi quando non ad evolversi nella direzione del divenire sociale.Dalla loro spregiudicata esegesi sortì una figura giuridica nuova, inquadrabile fra i limiti della potestas dominica, i cui elementi de substantia facevano capo 1) alla gratuità del danno arrecato dal dominus al vicino; 2) al movente esclusivo dell’animus nocendi.

Diritto Comune: le fonti dottrinali

Opere esegetiche

Fermo restando che soltanto con il ritorno al diritto romano e con l’attività della scuola di Bologna nella stagione più matura dell’esperienza accursiana si potrà ragionare nei termini di un sistema dottrinario articolato, seppure non ancora compiutamente organico e sistematizzato, in merito al divieto degli atti emulativi, una prima sicura individuazione delle dinamiche argomentative è apparsa riconducibile alla pulsante realtà dell’esegesi preaccursiana.

Stagione preaccursiana: Piacentino (m. 1192), Pillio da Medicina (…1169-1207), Azzone (…1190-1220…), anche i glossatori delle prime generazioni riservarono al problema delle limitazioni dei diritti del dominus fundi una palese attenzione.

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Piacentino , Summa Codicis , tit. de servitutibus et aqua (C. 3, 34), Moguntiae 1536 (rist. anast. 1536 ): Ut pomum liceat in alieno decerpere, et spaciari et coenare, servitus non constituitur.(ATTO DI LIBERALITA’)Nel medesimo titolo Piacentino condanna tuttavia un uso iniquo ed immorale del diritto di proprietà, a proposito di D. 8, 2 ( de servitutibus ), 19 ( Fistulam ) egli afferma: Non potest prohibere vicinus quo minus balneum habeat iuxta parietem communem, nisi adsiduum humorem immittendo noceat vicino.

Piacentino , op. cit ., tit. de aedificis (C. 8, 10): Permittimur loca plene et prorsus nostra valere mirabili hambitu circundare: ita tamen, ut modum usitatum altitutidinis non excedamus [C. 8, 10, 10]…Sed permittimur castrum facere, ita tamen ut ad aemulationem non fiat, nec materiam seditionis praebeat [D. 50, 10, 3].Il limite dell’emulazione si estende dall’ambito degli edifici privati a quello dei castra, costruzioni fortificate con obiettivi difensivi, per le quali la legge giustinianea non aveva previsto alcun limite, occupandosi esclusivamente di recinzioni murarie di terreni privati:C. 8, 10, 10: Impp. Onorio e Teodosio…Per provincias Mesopotamiam…ubi magis hoc desideratur, ceterasque provincias cunctis volentibus permittatur murali ambitu fundos proprios seu loca sui dominii constituta vallare.

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Piacentino , op. cit., tit. cit .: Vetamur in alieno aedificare. Sed si non noceamus, vel si alias sine nocendi proposito fontem prorsus vicini in nostro fodiens avertimus, vel aedificantes vicino penitus lucem auferimus. Sibi enim unusquisque, ut tamen ut alii non noceat, studiose permittitur prospicere: ut…de aqua pluvia arcenda, l. 1, § Idem aiunt (D. 39, 3, 1, 11).

D. 39, 3, 1, 11: ULPIANO …Idem aiunt aquam pluviam in suo retinere vel superficientem ex vicini in suum derivare, dum opus in alieno non fiat, omnibus ius esse prodesse enim sibi unusquisque, dum alii non nocet, non prohibetur nec quemquam hoc nomine tenet.

Pillio da Medicina , Summa trium librorum , tit. de fundis limitaneis (C. 11. 60), Papiae 1506 (rist. anast. Torino 1966 ): nel silenzio della compilazione giustinianea, che sub C. 8, 10, 10 non si occupa della costruzione di castra e fortificazioni – realtà tipicamente medievale – l’autore sostiene che solo i castra limitanea (castella), per ovvii motivi di ordine pubblico, sono soggetti a limiti. Al di fuori di questa ipotesi, per le fortificazioni come per ogni altro tipo di edificio vale solo il limite ad aemulationem affermato da D. 50, 10, 3.

Azzone , Summa super Codicem , tit. de edificiis privatis (C. 8, 10), segue la medesima opzione esegetica, nei confronti dei castra, mentre, afferma la piena facultas aedificandi del proprietario nel titolo de servitutibus (C. 3, 34).

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La regola è quella sancita da C. 3, 34, 11: Altius quidem aedificia tollere, si domus servitutem non debet, dominus eius minime prohibetur.L’espresso divieto di costruire con l’unico e pernicioso movente di incoraggiare sterili rivalità intercittadine rimane, tuttavia, nell’esegesi azzoniana, circoscritto all’ambito di non generalizzabili rapporti pubblicistici e convive con l’adesione al principio privatistico di una piena facultas aedificandi in capo al dominus fundi: una facoltà confermata dal tenore di più di un testo e comprimibile esclusivamente dalla costituzione di un rapporto di servitù tra fondi vicini.

AZZONE, Brocardica aurea , rub. “ de se suisque rebus ”, Napoli 1568 (rist. anast. Torino 1967 ) . Si discute l’apparente antinomia fra i principi “Nemo debet facere in suo quod noceat alieno” e “Liceat unicuique facere in suo quamvis in alio non sit nociturus”, proponendo, sulla base di una distinctio, la seguente soluzione: Hic distingue cum facio in meo, et alii noceo, an immittam in alienum, et tunc non licet, dicta lege Sicuti, § Aristo (D. 8, 5, 8, 5), an non immittam, et tunc siquidem facio dolo, idest, ut alteri noceam prohibeor, alias contra, dicta lege I, § Denique (D. 39, 3, 1, 12).DIVIETO DI IMMISSIONI:D. 8, 5 (si servitus vendicetur), 8, 5: “ULPIANO…Aristo Cerellio Vitali respondit non putare se ex taberna casearia fumum in superiora edificia iure immitti posse…Idemque ait: et ex superiore in inferiora non aquam, non quid aliquid immitti licet:

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in suo enim alii hactenus facere licet, quatenus nihil in alienum immittat.

D. 39, 3 (de aqua et aquae pluviae arcendae), 1, 12 : “ULPIANO…Denique Marcellus scribit cum eo, qui in suo fodiens vicini fontem avertit, nihil posse agi, nec de dolo actionem: et sane non debet habere, si non animo vicino nocendi, sed suum agrum meliorem faciendi id fecit.

Artificiosa duplicazione di figure giuridiche: I giuristi preaccursiani parlano di emulazione esclusivamente in relazione al ius aedificandi, estendendo per analogia ai castelli ed alle fortificazioni del bellicoso territorio medievale un divieto che la giurisprudenza classica aveva coniato in relazione agli opera nova costruiti da privati nell’interesse della civitas.È invece ricorrendo a formule assimilabili alla piacentiniana “sibi enim quisque, ut tamen alii non noceat, studiose permittitur prospicere” che i medesimi giuristi circostanziano ex adverso il divieto, operante nell’ambito dei rapporti di vicinato rustico, di esercitare il proprio diritto al solo iniquo scopo di nuocere altrui, così segnando, sulla base di un ineccepibile ancoraggio testuale, un'artificiosa duplicazione di figure giuridiche destinate a lunga vita.

Il divieto nelle quaestiones de facto e genesi del ius molendinorum (il diritto dei mulini)

Le quaestiones de facto discusse nella scuola dei due sommi allievi di Irnerio, Bulgaro e Martino, ripropongono con vivide

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immagini un contesto di vicinato rustico, nel quale la pienezza delle facoltà del proprietario del fondo appare temperata non solo da vincoli legali, ma anche dall’operatività di un ulteriore, generale limite equitativo.

Quaestiones dominorum bononiensium. Collectio Parisiensis , ed. G. B. PALMIERI, n. 122: Sempronio, acquirente in buona fede di un terreno di proprietà di Tizio, è tenuto a costruire sulle nuove acquisizioni un ponte che consenta a Tizio di raggiungere un suo castello, che si trova al di là del fiume. Sempronio sarà liberato dal suo obbligo – sentenzia il giurista Martino – se avrà costruito un ponte in grado di resistere al consueto corso del fiume: se il ponte andasse distrutto ed egli dovesse conseguire un ingiusto vantaggio incamerando il castrum di Tizio, sarebbe tuttavia equo che egli fosse tenuto a costruire un nuovo ponte, “quia nemo debet locupletari cum aliena iactura”.

Liber Sextus , lib. V, 12 ( de regulis iuris ), reg. 48: Locupletari non debet aliquis cum alterius iniuria, vel iactura.

Specifico rilievo rivestono le questioni, assai numerose, che dipanano le problematiche delle derivazioni per uso privato delle acque pubbliche, per l’irrigazione o per la forza motrice dei mulini ad acqua. L’esistenza di un mulino ad acqua è testimoniata nel bolognese per la prima volta in un contratto di enfiteusi del 1074. Intorno al 1170/80 vennero costruiti a nord e a sud della città i canali di Reno e Savena, che convogliavano nell’abitato per uso industriale e per i trasporti le acque dei due fiumi.

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Fiumi pubblici: requisito della perennità e della navigabilità.

Per un’esemplificazione di questa tipologia di quaestiones può valere la q. 11 della raccolta di Quaestiones aureae di Pillio da Medicina. Il caso è quello di un Rolandino che construxit sibi molendinum in flumine publico, et possedit tale molendinum sine controversia per XXX. annos, deinde alius edificavit aliud molendinum, quo constructo, cursus aquae prioris molendini impedivit. Il giurista si interroga an prior costruens possit agere interdicto, quod vi aut clam. L’apparato argomentativo costruito dai litiganti si innerva, per il resistente, nella pienezza del suo ius aedificandi in mancanza di un vincolo di servitù, nell’assenza di un danno effettivo per l’attore e nell’affermazione del principio potestativo sua preponenda alienae utilitas; per l’attore Rolandino nell’effettività del vantaggio derivatogli dall’uso di un bene pubblico e, soprattutto, dal diritto di aquae ductus, che il suo mulino tempore acquiritur. Elemento questo di tale rilievo fattuale e giuridico da volgere la solutio di Pillio in senso a lui favorevole.

Sempre le quaestiones: dall’ambito rustico a quello urbano:

1) Concorrenza tra vicini esercitanti la medesima industria.

PILLIO, Quaestiones …, n. 36: il caso è quello di un pater familias proprietario ad un tempo di una fabbrica per il sale e di un forno, i quali ex diuturno tempore, et longa consuetudine semper

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habuit, nec unquam istorum aliquod in nullum usum transduxit, che morendo lascia ai due figli uni salinariam, alteri vero furnum. L’erede della salina, al comprensibile scopo di rendere più lucrativa la sua industria, vi impianta anche un forno e viene in ciò contrastato dal fratello, che lo cita in giudizio per indebita concorrenza. In favore del titolare del forno depone la regola licet cuique in loco proprio edificare, ne usus incommodetur alterius, nonché una sorta di destinazione del buon padre di famiglia, innervata nella diuturna consuetudo paterna di mantenere separati i due commerci. All’obiezione che l’iniziativa del fratello appare dettata da un’indubbia utilità, il fornaio oppone come all’utilità privata sia, comunque, da anteporre quella della comunità, con la quale le sue ragioni coincidono. In modo altrettanto convincente il salinarius allega una molteplicità di argomenti a sostegno del suo diritto a furnum facere, muovendo da una serie di postulati volti ad acclarare, vuoi lo scopo migliorativo della sua iniziativa, vuoi la mancanza di un oggettivo nocumento nei confronti del fratello, per chiudere con il classico nemo videtur dolo facere, qui suo iure utitur.Prevalgono le ragioni del salinarius in base al principio di libera concorrenza che regola l’economia medievale così come regola la vita dello Studio di Bologna, laddove sarebbe impensabile – conclude Pillio – che i maestri più anziani, per evitare di perdere studenti e guadagni, impedissero ai colleghi più giovani di aprire nuove scuole: eadem ratione quilibet magister antiquus novis magistris a scolarum regimine prohibetur quia eius forte scolas scolaribus vacaret, quod est absurdum.

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2) problema delle torri e case-torri nell’edilizia urbana.

PILLIO, Quaestiones …, q. 90: il caso vede una giovane adire in giudizio il tutore del proprio fratello per averne decurtato il patrimonio con spese superflue – nella fattispecie, la costruzione di una torre superiore in altezza a quella dei vicini – al solo scopo di fomentare inutilmente la discordia tra i due casati, quia turris constructio homines depauperat, et superbiam auget, seditionisque materiam prebet. Il tutore adduce, come iusta causa aedificandi, il proprio dovere istituzionale di difendere il pupillo da ritorsioni future di vicini malfidati, qui semper domui eius invidi extiterant. Si tratta di un uso largamente invalso fra coloro que sunt alicuius valentie in città, anche se sanzionato dalla normativa statutaria, che induce Pillio ad allontanare dal tutore l’accusa di avere edificato ad aemulationem dei vicini.

Osservazioni: in sede processuale, la carta dell’intento emulativo non viene mai apertamente giocata, ma solamente evocata attraverso il richiamo dei due elementi sostanziali: l’animus nocendi e l’assenza di utilitas. Si tratta di confini molto angusti, che ne rendono difficile prova, confermando la sua vocazione di limite equitativo e residuale del diritto di proprietà.

La Glossa Accursiana e la sua sistematica

I. Glosse che vietano l’esercizio di un diritto senza utilità alcuna per il titolare.

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Gl. “ detrimento ” a D. 8, 1, 9: Nec enim cum malitiis, etc. ut supra, de rei vendicatione, l. In fundo (D. 6, 1, 38).Gl. “ quod sine dispendio ” a D. 21, 2, 38: Item nota hic quod cogetur quis cedere quod est sine suo damno…sic debeo pati fieri in meo, quod non nocet mihi, ut infra de aqua pluvia arcenda, l. In summa, § Item Varus (D. 39, 3, 2, 5).

D. 39, 3( de aqua et aquae pluviae arcendae ), 2, 5( Item Varus ), qui nella trad. di G. D. Romagnosi, Della ragion civile delle acque , cit., p. 264: «Nel fondo del vicino esisteva un argine il quale mi riparava il fondo mio da inondazione. Avviene che l’acqua rompe quest’argine. Si domanda se, volendo io ristabilire l’argine rotto situato nel di lui fondo, possa costringere il mio vicino ad accordarmi quest’opera. Paolo risponde che, sebbene nella legislazione in allora vigente mancasse l’azione propria aquae pluviae arcendae, ciò non ostante era di sentimento competere a me contro il vicino l’azione utile a non opporsi alla ristaurazione dell’argine con tutto che costituito nel suo fondo, perocchè esso può giovare a me e non nuocere a lui. (Quamquam tamen deficiat aquae pluviae arcendae actio, attamen opinor utilem actionem vel interdictum mihi competere adversus vicinum, si velim aggerem restituere in agro eius qui factus mihi quidem prodesse potest, ipsi vero nihil nociturus est: haec aequitas suggerit, etsi iure deficiamur)».

II. glosse che pongono l’accento sull’elemento soggettivo, l’animus nocendi.

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Gl. “ facere licet ” a D. 8, 5, 8, 5: Nota, in suo facit quod vult quilibet non in alieno…Sed contra, infra de damno infecto, l. Fluminum, § finali (D. 39, 2, 24, 12), ubi etiam alenam aquam aufert. Solutio, ibi in suo tantum fodiebat, non in alieno, et non animo nocendi, sed proficiendi (D. 39, 3, 1, 11).Gl. “ non teneri me ” a D. 39, 2, 24, 12: Nisi animo nocendi feci. Tunc enim de dolo…quod semper praesumitur, scilicet quod non faciam animo nocendi.

III. Gli spunti più maturi, che denotano una teorica compiuta del divieto, si rinvengono in quelle glosse che coniugano i due elementi, l’oggettivo ed il soggettivo.Gl. “ nihil laturus ” a D. 6, 1, 38: Vel quasi, nec alia de causa, nisi hac, scilicet ut officiat.

Gl. “ habere ” a D. 39, 3, 1, 12: Scilicet vicinus actionem contra istum, qui in suo suffodit, non animo nocendi etc. quia tunc tenetur de dolo ut hic dicit. Et nota in hoc § in suo licere facere quod vult. Item nota quod alii noceat et sibi non prosit, non licet et ad hoc concordant.

D. 39, 3, 1, 11 e 12 nella trad. di S. PEROZZI: «11. Parimenti Sabino e Cassio dicevano che ciascuno può ritenere l’acqua piovana nel suo fondo, o può derivarla dal fondo vicino se è superflua, purché non faccia opera nel fondo altrui: questo diritto è dato a tutti, giacché a ciascuno è lecito giovare a sé stesso senza nuocere agli altri (prodesse enim sibi unusquisque, dum alii non nocet, non prohibetur). 12. Marcello scrive che contro colui il quale scavando nel proprio

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fondo ha divertito la fonte del vicino, non si può proporre alcuna azione, neppure quella di dolo, ed è giusto che non si debba avere azione, se non fece quello scavo con animo di nuocere al vicino, ma con animo di rendere migliore il fondo (si non animo vicino nocendi sed suum agrum meliorem faciendi id fecit)».

In ambito edilizio:

Gl. “ novum ” a D. 50, 10, 3: Item quod si in meo privato? Respondent quidam quod possum etiam ad aemulationem: quia in suo potest quilibet facere quod vult…Sed potest dici et in privato non licere, per l. istam, quam exponas opus novum in publico scilicet vel privato et quia publica utilitas praefernda est privatae.

Gl. “ sui dominii” a C. 8, 10, 10: Hoc autem fallit, si ad emulationem alterius civitatis fiat, vel materiam seditionis praebeat.

Gl. “ antiquitas ” a C. 11, 60, 2: Et sic nota non licere cuilibet habere castrum. Quod intellige in limite Imperii et sic castellum dicitur limitis castrum…et alibi quilibet potest facere (C. 8, 10, 10)…nisi fiat ad aemulationem, vel scandalum inde oriretur (D. 50, 10, 3).

Risulta confermata la formale duplicazione di figure giuridiche già rilevata nella dottrina preaccursiana. Una duplicazione che classifica, su basi testuali, come emulative esclusivamente le

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opere edilizie del territorio e della città nelle quali siano ravvisabili intenti malevoli o sediziosi e che configura, invece, il medesimo limite, nell’ambito dei rapporti di vicinato rustico, con la meno tecnica – ma originale – formula “quod alii noceat et sibi non prosit, non licet”.

Spunti intorno ad una inedita sede della materia

Alberico da Rosate (1290-1360), Dictionarium Iuris tam civilis quam canonici, Venetiis 1601, voce “aemula”: Aemula id est invida, unde emulor, id est invideo, alias imitor, unde aemulor vos Dei aemulatione (2 ad Coryntos, 11). Habet etiam alias significationes, unde versus”Aemulor, inflatur, amat, invidet, ac imitatur…et nota et vide in Proemio ff., § tertii unsuper anni, in glossa.

Const. Omnem rei publicae , § 4 (nella trad. di M. BIANCHINI, Giustiniano e la sua compilazione , Torino 1983 , p. 145): «Quanto all’ordine nell’insegnamento del terzo anno, si studierà, a seconda dell’avvicendamento dei corsi, o la parte de rebus o quella de iudiciis, nonché una serie di tre libri singoli: dapprima il libro singolo relativo all’azione ipotecaria, che noi abbiamo opportunamente inquadrato nella trattazione delle ipoteche; dal momento che l’azione ipotecaria è simile a quelle pignoratizie di cui si tratta nei libri de rebus, non susciti alcuna perplessità la loro vicinanza: in effetti, lo studio dell’una o dell’altra presenta le stesse caratteristiche e le stesse difficoltà (cum aemula sit pigneraticiis actionibus, que in libris de rebus positae sunt, non abhorreat eorum vicinitatem,

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cum circa easadem res ambabus paene idem studium est)».

Gl. “aemula” a Const. Omnem, § 4: Aemulor tibi, id est, invideo tibi, et sic aemula id est invidia, quia pignoratitia directa debitori contra creditorem datur…et sic directa, scilicet hypothecaria competit creditori,…Item aemulor te, id est, imitor, unde dicitur Aemulor vos Dei imitatione…et sic tractatus illum imitatur et circa idem tractat, et sic ad contrariam hypothecariam.

Ambiguità, duplice valenza dell’aggettivo:

Bartolo da Sassoferrato (1314-1357), Commentario al Digestum vetus, c. Omnem: Adverte ad quemdam glossam quam alibi meliorem non habes: et dicit quod vult dicere aemulor id est invideo vel sequor vel inimicor: sed prima expositio est verior.

Angelo degli Ubaldi (1328 ca. – 1399), Commentario…., : arg. quod calzolarii habent aliqua privilegia per statutum, quod etiam ciabatterii debent habere istud beneficium, tamquam ministri calzolariorum.

Raffaele Fulgosio, Commentario…, : Glossa exponit, id est invida, et refert ad directam pignoratitiam, que datur creditori. Sed et secundum hanc secundam expositionem potest ad utrumque referri per rationem que subditur, cum circa easdem res ambabus pene idem studium est.

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Baldo degli Ubaldi (1327-1400), Commentario…, : Ibi vicinitatem. Nota quod inter vicinos praesumitur aemulatio.

Una presunzione, questa baldesca, certamente non riconducibile, a causa della genericità e della persistente ambiguità etimologica, a specifiche connotazioni tecniche inerenti al modus operandi del divieto degli atti emulativi nella dottrina del Diritto Comune, ma che fotografa nitidamente l’intimo nesso che collega i due termini ed i sottostanti concetti all’interno del medesimo contesto proemiale giustinianeo, offrendo anche alla dottrina romanistica spunti per più di un ripensamento.

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