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Liceo Classico “L. Ariosto” Ferrara Indirizzo di scienze sociali Classe I R Memoria e valori Nonni e nonne raccontano Anno scolastico 2006-2007

Nonni e nonne raccontano - Area formazione SISUS · 2 Il nostro libro ha tratto ispirazione da In copertina al centro, in piedi sulla sedia, la nonna di Serena Ninfali, Iolanda

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Liceo Classico “L. Ariosto” Ferrara Indirizzo di scienze sociali

Classe I R

Memoria e valori Nonni e nonne raccontano

Anno scolastico 2006-2007

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Il nostro libro ha tratto ispirazione da

In copertina al centro, in piedi sulla sedia, la nonna di Serena Ninfali, Iolanda.

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Il vecchio non è un giovane andato a male, un fiore avvizzito,

un ramo rinsecchito e fragile. E' un frutto maturo,

un atleta che ha fatto la sua corsa con dignità e non ha bisogno di fingere

di essere un giovane scalpitante ai blocchi di partenza.

Giuseppe Mantovani, L'elefante invisibile.

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INDICE

Presentazione pag. 5 Giuseppe Mantovani, Il mio nonno preferito “ 6 La classe incontra due nonne e un nonno “ 8 I nostri nonni…pensieri ed emozioni… “ 21 Carla Calessi. Una nonna poetessa “ 49 I cantautori e le canzoni dedicate ai nonni “ 51

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Si deve cominciare a perdere la memoria,anche solo brandelli di ricordi,

per capire che in essa consiste la nostra vita.La nostra memoria è la nostra coerenza,

la nostra ragione, il nostro sentimento,persino il nostro agire.

Oliver Sacks

Leggere, scrivere, raccontare, ricordare… Questa breve raccolta di scritti nasce dalla lettura di un testo, L’elefante invisibile, che si rivela ogni anno sempre più carico di significato per gli studenti che cominciano il liceo.

Parla della dimensione culturale come di una mappa che attribuisce significato alla nostra vita, come di una conversazione che è iniziata prima di noi e che continuerà dopo che ce ne saremo andati, che riceviamo ma che possiamo anche modificare. La produzione di significato è per Bruner il nocciolo dei processi educativi e le narrazioni sono il luogo in cui il significato viene costruito e negoziato tra gli attori. (Mantovani, p.205) La vita quotidiana dei nostri giovani, ma anche di noi adulti, è così frenetica e frammentata, che raramente ci viene offerta la possibilità di fermarci a pensare o a ricostruire la trama degli avvenimenti, e penso che forse i ragazzi e le ragazze di questa classe hanno percepito questa come una occasione positiva per trovare o ritrovare o ricucire pezzi della propria storia. E hanno voluto farlo con i nonni e le nonne, ritrovando i sentimenti anche più lontani, ma forti, che li legano a loro. I nonni hanno raccolto con altrettanta sensibilità e calore le loro richieste e hanno saputo restituire la memoria, i valori e anche la Storia con la S maiuscola. Ne risulta un mosaico di storie personali intrecciate agli eventi, a volte anche tragici, della nostra storia nazionale. Abbiamo incontrato in classe due nonne e un nonno, mentre per gli altri ci sono state conversazioni domestiche o riflessioni dei ragazzi sul loro rapporto coi nonni. E poi abbiamo raccolto vecchie fotografie, lettere e poesie, così abbiamo fatto un piccolo libro illustrato. A metà del lavoro, su iniziativa di una alunna, Federica, il prof. Mantovani è stato informato e coinvolto ed è stato così gentile da sostenerci e inviarci uno scritto su suo nonno, con il quale si apre il fascicolo. Siamo molto orgogliosi e felici di questo riconoscimento.

Come insegnante penso che uno dei compiti della scuola sia nell’aiutare i giovani a comprendere che posto possono avere nella società e nel riannodare o rafforzare i legami tra le generazioni, affinché possano prendere il testimone con sicurezza e stima di sé. E’ questa un’operazione che la scuola non può fare da sola, occorre l’appoggio e la collaborazione della famiglia e delle istituzioni esterne alla scuola. Ma anch’io sono stata una nipote e voglio ricordare qui la mia nonna preferita, Caterina, detta Rosa.

Lucia Marchetti

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Giuseppe Mantovani Il mio nonno preferito Il mio nonno era unico anche nel senso che non ne avevo altri. I genitori di mio papà erano morti prima che io nascessi, e quindi non li ho mai conosciuti se non in fotografia o nei racconti. C’era anche la nonna, che era la moglie un po’ brontolona del nonno. Ma qui parliamo del nonno. La prima cosa da dire è che mi faceva capire che gli piacevo. Apprezzava l’ irrequietezza e l’ indipendenza che i genitori e gli insegnanti guardavano con preoccupazione: non stavo fermo in classe, chiacchieravo, rispondevo (allora era una cosa grave). Mio nonno invece non disapprovava le mie monellerie: quando andavo in vacanza da lui, in campagna, dovevo sostenere delle vivaci zuffe con i ragazzi del paese che volevano mettere alla prova il rammollito ragazzo di città prima di ammetterlo nella loro compagnia. Avevo l’ impressione che il nonno approvasse queste battaglie, di cui per fortuna i miei genitori in città non avevano sentore. Il nonno era una fonte di conoscenze sul mondo adulto. In parte questo avveniva in modo indiretto; lo accompagnavo quando alla sera andava nel bar del paese che era il ritrovo di tutta la popolazione maschile adulta. Lì sentivo ogni genere di discorsi “seri”: di politica, di affari, di faccende di famiglia. La nonna non voleva che andassi la sera con il nonno, ma lui mi trattava proprio da persona grande, senza degnazione, come se fosse giusto così. Qualche volta mi chiedeva cosa pensassi della guerra di Corea ... a dieci anni mi sentivo preso sul serio; nessun altro adulto mi trattava così. Certe volte poi il nonno mi raccontava della sua vita, di quando era piccolo e si era trovato da solo a dover lavorare per mantenere tutta la sua famiglia perchè il suo papà era morto, oppure di quando, durante la prima guerra mondiale, andava a prendere i feriti al fronte con le ambulanze (il nonno era stato uno dei primi nella sua città a prendere la patente di guida). Le storie della guerra, della prima guerra mondiale e poi della seconda, dell’ occupazione tedesca del nord Italia, dei bombardamenti di Milano, delle notti in cui si vedevano le fiamme levarsi dalla città anche da cinquanta chilometri di distanza, arrivavano a me attraverso la memoria personale e famigliare. Arrivavano mescolate alle storie di persone che conoscevo: chi era stato chiamato alle armi per andare in Russia, chi in Africa, chi era stato prigioniero, chi non era più tornato. Alcuni miei compagni di scuola non sapevano nulla del loro papà, disperso in Russia. Le storie personali e quelle collettive, le feste e le tragedie raccontate dal nonno mi dicevano in quale mondo stavo entrando.

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Non posso dire che il nonno mi insegnasse. Piuttosto, come il capo polinesiano di cui si parla nell’ “elefante”, mi trasmetteva la sua esperienza. Mi trattava da grande, mi dava fiducia, mi comunicava il suo mondo che da un lato era molto lontano da quello che io vivevo ma dall’ altro lato era la chiave per capirlo. Non mi sarei mai sognato di trattare il nonno con condiscendenza. Il nonno era una persona importante, non un adulto un po’ svampito o un finto compagno ridanciano come quelli che vediamo negli sceneggiati TV.

Giuseppe Mantovani

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Nonna di Chiara Ferraresi

Ciao a tutti, io mi chiamo Maria Luisa Alessandri e sono la nonna di Chiara, devo dire che di cose da raccontare ce ne sarebbero tante. Voi giovani pensate che noi anziani, non avendo niente da fare pensiamo tutto il

giorno al nostro passato. Forse gli altri vecchi sì, io NO!!. Sono molto legata al passato perché mio papà teneva una memoria scritta che tuttora tengo in casa. I miei genitori e i miei parenti vivevano a Firenze, era come se fossi di due città. Durante le feste andavamo sempre a trovare i parenti, anche quando noi abitavamo a Ferrara. Sono nata terzogenita di una famiglia benestante e mio padre

era architetto. Fece gli studi all’Accademia di Belle Arti e vinse un concorso nel 1920 presso l’ufficio Tecnico Comunale di Ferrara. Io mi vantavo molto di mio padre, non tutti avevano un papà così importante. In famiglia ero la più piccola e quindi anche la più coccolata e viziata. Ho avuto un’infanzia abbastanza forte che mi ha permesso di affrontare il mondo in maniera sicura e fiduciosa… com’è poi il mio carattere. Prima della guerra abitavo a Ferrara nel Palazzo del Comunale e quando mi affacciavo alla finestra sentivo il discorso di Mussolini che era trasmesso nell’altoparlante del castello. Mio padre era sottotenente e ha partecipato alla prima guerra mondiale, lavorava nell’ufficio “mascheramento” e conservo tuttora un disegno della postazione nella quale si nota il timbro dell’esercito. Mio padre in guerra vinse anche una medaglia al valore, per quello quando fece il concorso all’ufficio Tecnico Comunale di Ferrara vinse lui su un pari merito. Durante la guerra avevo 9 anni, ero incantata da quello che accadeva all’esterno ma non capivo. Mio padre fu trasferito a Bari e durante il viaggio di trasferta scrisse ai fratelli,che erano due medici, i quali ci trovarono casa e ci fecero trasferire a Firenze; per fortuna mia e di mio fratello, perché lui aveva l’età per partire per la guerra, e ebbe la fortuna di svenire a ben due visite e quindi non partì. Durante la nostra permanenza a Firenze ci furono solo due bombardamenti alla ferrovia. Firenze non veniva bombardata perché meta turistica e praticamente colonia di stranieri americani e europei. Mio zio però, per precauzione, ci mise nella scuola più vicina a casa, che nel periodo dell’Emergenza fu occupata dagli Angloamericani.

Maria Luisa (a sinistra) e famiglia

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Andai a scuola in ritardo, verso la primavera e dopo un mese la scuola fu chiusa perché si avvicinava la linea del Fronte. Io frequentavo la scuola media secondo la riforma del ministro fascista Bottai Giuseppe. L’unica volta in cui ci furono bombardamenti fu alla fine della guerra, quando i Tedeschi se ne andarono e fecero saltare tutti i ponti nell’Arno. Il giorno prima ci avvisarono e io, sempre guardando dalla mia finestra, vedevo la gente, le famiglie con scatoloni e carrozzine che scappavano. L’unica cosa che si sentì fu un breve tintinnare di vetri e poi un grosso boato. Per prendere l’acqua, bisognava andare in luoghi pubblici e all’aperto, e si sentiva

sparare sui tetti, erano i cosiddetti “ribelli” o più semplicemente “partigiani”. In queste sparatorie sono morti anche molti civili. E io come sempre vedevo, guardavo, ma non capivo e non mi rendevo conto della gravità perché ero una bambina molto protetta. Era come se vedessi uno spettacolo alla televisione o meglio a teatro… Le restrizioni in città, oltre all’acqua, erano molte come per esempio se moriva qualcuno non lo si poteva seppellire, perché il cimitero cittadino si trovava fuori dalla città.

Ci fu un anno 1944/45 in cui a Ferrara c’era ancora la guerra, mentre a Firenze era già finita. Erano presenti per tutta Firenze le truppe del Commonwealth e ricordo che mia mamma girava sempre con un ombrello perché aveva paura che toccassero me e mia sorella. Quando tornammo a Ferrara trovammo la nostra casa fortunatamente libera, capitava che le case venissero occupate, e i nostri mobili erano ancora tutti sanissimi. Al nostro ritorno trovammo le rovine. Il listone era distrutto. C’erano amici che avevano perso la casa, amici morti. Non abbiamo trovato la stessa città, eravamo tutti poveri e anche il modo di vivere era cambiato. A Ferrara ho ripreso ad andare a scuola nella classe V del Ginnasio. Non avevo mai fatto latino e al primo compito, ricordo, presi 3. All’esame di V ginnasio ne bocciarono 14 e io non ero d’accordo. Non era giusto che non si tenesse conto delle situazioni passate, dei contesti sociali e soprattutto della guerra. Da lì io ho deciso che avrei fatto l’insegnante, anche per combattere l’ingiustizia sono diventata un’insegnante democratica. Quell’anno ci fu il referendum, io studiavo con una mia amica che, però, bocciarono. Ricordo che studiavamo a casa mia, (sopra il teatro comunale) e come sottofondo musicale avevamo i canti popolari e i comizi. Poi ho continuato i miei studi e ho fatto l’Università di lettere. Ho avuto la fortuna di incontrare mio marito presto e tuttora sono sposata con lui da ben 53 anni, e nella vita devo dire di aver avuto soprattutto 2 cose belle: i figli e il lavoro.

Maria Luisa Alessandri

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Quando ebbi la prima figlia, non ero ancora molto cosciente, pensavo che avere un figlio fosse un po’ come giocare con le bambole, ma per quanto si possa immaginare, l’esperienza e tutta un’altra cosa. Quando è nata la prima figlia, ancora in ospedale, mi fissava con i suoi occhi e per la prima volta ho sentito la responsabilità di essere mamma. Tante volte ci penso, di fronte a quello che succede si cambia. Anche mio marito, lasciandomi libera mi ha fatto crescere. Mi sono laureata in giugno ed ero già in cinta. Il mio relatore, il prof. Duprè il giorno della laurea

ricordo che mi disse: ”Perdiamo una storica, ma guadagniamo una mamma!”. Infatti, fare ricerca storica mi sarebbe piaciuto tanto ma ci ho rinunciato per la famiglia. Io e mio marito avevamo la fortuna di avere idee simili, ma non identiche. Io che venivo da una famiglia benestante ero meno colta di lui. Quando ero piccola io c’era molto controllo sulle giovani ragazze e a me questo controllo non piaceva. Per esempio mio papà voleva leggere prima di me i libri che i miei professori mi consigliavano. Io non ero d’accordo perchè mi fidavo dei miei professori. C’è un valore in particolare che hai trasmesso ai tuoi figli e che vorresti trasmettere a noi giovani? Non mi sono mai imposta di insegnare qualcosa ai miei figli, certo che però i valori vanno mantenuti. Penso che la cosa più importante è quello che si respira, ovvero quello che si è. Ora pensandoci però la cosa a cui tengo di più è il rispetto per gli altri, il senso di responsabilità verso gli altri. C’erano al tempo della guerra superstizioni sul parto e sulla crescita dei bambini? In casa il sesso era tabù, infatti, l’educazione sessuale me la fece il mio fidanzato, “poveretto”. Io ho avuto Chiara, la prima figlia, a Palermo. Sono andata in ospedale, ma a quel tempo non si voleva. Quando ho partorito io in ospedale sentivo le altre mamme che urlavano cantilenando, lanciano improperi contro i mariti. Ovviamente il parto doveva venire con la luna.

Maria Luisa Alessandri

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Lettera scritta da un ufficiale al collega Enrico Alessandri in data 25 Ottobre 1944. Vi si parla di ciò che ha visto durante il viaggio da Roma a Firenze e delle condizioni di 

Firenze. 

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Nonna di Elena Paganoni

Martedì 20 febbraio 2007 noi alunni della classe 1R, abbiamo incontrato la nonna di Elena Paganoni, per avere la possibilità di ascoltare i vecchi e per poter trarre insegnamenti di vita dalla loro memoria. La signora ha introdotto il suo racconto dicendo che la vecchiaia non le dà fastidio perché la esonera da certi impegni e responsabilità che prima aveva, inoltre i vecchi hanno il diritto di rallentare il ritmo di vita e ciò consente loro di godersi la tranquillità e di dedicarsi ai nipoti. E’ nata nel 1927 a Bergamo ma ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza a Berlino con i

nonni, vivendo perciò prima da tedesca in una famiglia tedesca e poi da italiana in una famiglia italiana. Ricorda la sua infanzia come un periodo sereno e tranquillo, più semplice rispetto alla nostra anche per l’assenza di tecnologie; tutte le necessità dovevano essere soddisfatte all’interno della famiglia nella quale dialoghi e relazioni erano più intensi. All’inizio della guerra il 1 settembre 1939 aveva 12 anni, e nessuno della sua famiglia sapeva cosa fosse la guerra; con l’avvento del nazismo è iniziata un epoca di propaganda che ha definito molto raffinata, sofisticata e penetrante.

Un po’ per volta le organizzazioni naziste,

come in ogni caso di totalitarismo, si sono impossessate di tutte le associazioni creando inoltre un dominio e un monopolio per quanto riguarda le manifestazioni culturali; ad esempio l’arte futurista e dadaista, essendo forme di trasgressione dovevano essere abolite. Di conseguenza diventava difficile avere fonti di informazione alternative e tutti i media dovevano parlare di cose coerenti al regime. Afferma che la guerra era accettata con uno spirito di collaborazione. La propaganda non era fatta solo di slogan politici, ma dava anche consigli su come vivere e trascorrere la giornata. Inizialmente le regole venivano accettate con buona volontà e rassegnazione e i sacrifici venivano fatti con convinzione, ad esempio furono distribuite delle tessere annonarie utilizzate per comperare razioni di cibo sufficienti.

1938-39, le trecce

1928, da bambina

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Dal 2 settembre del 1939 si susseguirono bombardamenti: al suono dell’allarme la gente si rifugiava o nei ripari antiaerei presenti nelle case o in quelli pubblici. Nel 1943, durante i bombardamenti a tappeto, vennero usate bombe molto pericolose contenenti un liquido infiammabile. Non era ancora in grado di comprendere la situazione che gli ebrei stavano vivendo, e ricorda in particolare la notte dei cristalli, le vetrine infrante e le scritte di disprezzo per la “razza” ebraica. L’adesione al regime era forzatamente imposta e il controllo così rigido che trattare questi argomenti non era sicuro neanche in famiglia. Nel ’43, all’età di 15 anni, ritornò a Bergamo. Partì da sola e fece il viaggio in un vagone letto. Durante la notte però, il treno ritardò a causa di bombardamenti e non aveva possibilità di avvertire sua madre che l’aspettava in Italia. Arrivata in Italia ha percepito subito una sensazione di maggiore libertà, la vita era più tranquilla; le razioni di cibo erano più ragionevoli e il mercato nero fiorente. I certificati scolastici acquisiti in Germania non avevano valore in Italia, e l’unica scuola in cui è stata accettata era un istituto professionale femminile. In Italia ha percepito una grande differenza negli stili di vita rispetto a Berlino: più tradizionali, chiusi, timorosi e certe cose le ragazze non le facevano. Era abituata ad una scuola abbastanza aperta dal punto di vista culturale nella quale si discuteva, mentre in Italia la scuola era più rigida e inizialmente trovò difficoltà nell’esprimersi essendo abituata a parlare il tedesco. Finita la guerra aveva 18 anni. Al termine degli studi lavorò per qualche anno come corrispondente in una ditta svizzera il cui stabilimento era a Bergamo. Siamo negli anni della ricostruzione, c’era lavoro per tutti e si lavorava molto. Nel 1959 potè tornare a Berlino per la prima volta dopo la sua permanenza in Italia: la trovò devastata, con tanti vuoti nelle strade che prima erano sempre molto affollate per il traffico. La vita riprendeva molto lentamente e fra mille difficoltà, anche di carattere politico, nel 1954 si è sposata ed ha cominciato ad insegnare nelle scuole pubbliche. Intanto anche la vita domestica si andava “semplificando/complicando” con la diffusione dei primi elettrodomestici, come il frigorifero e la lavatrice, che una volta ogni tre allagava la casa. Più tardi si diffuse la lavastoviglie (enorme e rumorosissima), la prima e poi la seconda

1947, a Roma per l’esame di Stato

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automobile, che permettevano alle donne di proseguire nel lavoro e di occuparsi contemporaneamente dei figli. Per le donne e madri della sua generazione ci fu poi il ’68 studentesco, che in realtà si svolse negli anni ’70 - ’72, che vide coinvolti i loro figli in manifestazioni e occupazioni a sfrido politico, talvolta anche violente, e quindi con molte preoccupazioni per la protezione dei loro figli.

Ci racconta anche del muro di Berlino, un’esperienza molto dura per i berlinesi: molte famiglie furono divise e non c’era alcuna possibilità di oltrepassarlo. Lei che era straniera ha avuto la possibilità di andare a visitare il centro storico che era nella parte sovietica della città, e prima di lasciare il settore sovietico venivano effettuati moltissimi controlli dai soldati con i loro cani. Adesso i resti di questo muro sono

considerati cimeli e monumenti di memoria dell’accaduto. Infine un valore che ha voluto trasmettere ai suoi figli è stato quello di non giudicare i pensieri altrui, e di rispettare perciò

le opinioni di ognuno. L’incontro è stato molto utile per comprendere quello che è veramente accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale, ma ancor più per valorizzare il lavoro che stiamo svolgendo: la trasmissione della memoria e dei valori che hanno caratterizzato la vita delle generazioni precedenti la nostra.

1981ca. Berlino dal settore occidentale, la porta di Brandeburgo

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1932, nella buca della sabbia in giardino

1932, con i cuginetti

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1937, 1938

1933, in prima elementare a Berlino

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Aprile 1945, con le amiche

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Nonno di Sara Noli Martedì 27 Febbraio è venuto in classe a parlarci il nonno di Sara Noli, Dino, con cui abbiamo concluso i nostri incontri dedicati ai vecchi e la memoria. Ha 72 anni, è nato il 20 Gennaio 1935 a Taranto da un padre siciliano di origine greca. La famiglia si è poi trasferita a Modena per il lavoro di brigadiere del padre. La sua famiglia era composta da cinque fratelli, oltre i genitori, e più tardi sono andati ad abitare in una casa annessa al carcere a Ferrara, nel frattempo il papà era diventato maresciallo comandante carcerario. Questa situazione lo metteva sempre a contatto con i detenuti che definiva ‘filosofi o ladri di bici’. Ricorda che uno di loro un giorno gli disse: “siamo tutti onesti, finchè non ci scoprono”. Fin da bambino ha amato lo sport e la competizione, ha imparato seguendo l’esempio e non le parole e ha sempre vissuto da autodidatta. Durante gli anni bui della guerra la vicinanza col carcere l‘ha sottoposto ad esperienze molto dure, i suoi occhi di bambino hanno visto la sofferenza, la cattura di partigiani ed episodi di italiani ‘travestiti’ da tedeschi che entravano in carcere e prelevavano i prigionieri, fingevano di liberarli e poi li fucilavano alle spalle. Giocava con i carri armati assieme ai suoi coetanei, dei campi di concentramento non sapeva nulla, tutto era tenuto segreto, ma dice che la guerra la sentivi nell’aria, ti colpiva a livello emozionale, c’erano rastrellamenti, e fucilazioni in piazza da parte dei soldati. Di giorno andava a scuola e la sera lavorava a bottega. Per fortuna, dice Dino, in seguito ha dimenticato alcune di queste scene drammatiche. Finita la guerra si è iscritto a una scuola serale di meccanica e si è specializzato nel mestiere di saldatore. Nel 1947 a causa di una fuga di detenuti dal carcere di Modena la sua famiglia ha dovuto trasferirsi a Ferrara, perché in questi casi è norma spostare gli agenti perché potrebbero essere complici. Nel 1950 ha cominciato a lavorare alla Montedison: quelli erano anni in cui la classe operaia era molto combattiva e lottava per conquistare dignità nel lavoro. Dino è un uomo molto attivo, pieno di energia e ha molta voglia di trasmettere valori ed emozioni. Ha partecipato a molte maratone fra cui, negli Anni Sessanta, in Africa passando per la Tunisia, l’Algeria, il Mali, Burkina Faso, Senegal. In Senegal c’era la guerriglia per cui hanno dovuto tornare indietro con l’aereo. Ha attraversato, correndo, il deserto, con temperature di 60° e, a un certo punto, si è ritrovato solo e disorientato e dal timore di perdersi definitivamente è tornato indietro per cercare il resto del gruppo. A New York, durante un’altra maratona, ha incontrato un poliziotto di origine italiana che gli ha consegnato 10 consigli per fare di un figlio un delinquente e ce li ha passati: 1. fin dall’infanzia date al bambino tutto quello che vuole, così crescerà convinto che il mondo abbia l’obbligo di mantenerlo; 2. se impara una parolaccia, ridetene, crederà di essere divertente; 3. non dategli alcuna educazione spirituale, aspettate che abbia 21 anni e lasciate che decida da sé;

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4. mettete in ordine tutto quello che lascia in giro, libri, scarpe, abiti, fate voi quello che dovrebbe fare lui, in modo che s’abitui a scaricare sugli altri tutte le responsabilità; 5. litigate spesso in sua presenza, così non si stupirà troppo se a un certo momento vedrà disgregarsi la famiglia; 6. date al ragazzo tutto il denaro che vi chiede, non lasciate mai che se lo guadagni, perché dovrebbe faticare per avere quel che vuole, come avete fatto voi? 7. soddisfate ogni suo desiderio per il mangiare, il bere, le comodità. Negargli qualche cosa potrebbe dargli pericolosi ‘complessi’; 8. prendete le sue parti contro i vicini di casa, gli insegnanti, gli agenti di polizia, sono tutti prevenuti verso vostro figlio; 9. quando si mette in un guaio serio, scusatevi con voi stessi dicendo: “Non siamo mai riusciti a farlo rigare dritto”; 10. preparatevi ad una vita di amarezze. Non vi mancheranno Poi nonno Dino ci ha detto quali sono i valori che lui ha voluto trasmettere ai suoi figli: amore, rispetto, onestà, dignità, laboriosità, aiuto, apprezzare l’altro e le cose degli altri. E ha aggiunto alcune frasi importanti per lui:

- voi avete un tesoro, avete un cuore pulito e siete padroni della vostra vita - buttate il cuore al di là dell’ostacolo e poi riprendetelo - abbiamo la volontà e non dobbiamo arrenderci di fronte alle difficoltà - l’amore non si compra, ma si dona.

Per concludere ha descritto una sua giornata-tipo: si alza presto e fa colazione, va a correre per due orette, mangia della frutta, si mette a disposizione della famiglia e coltiva un orticello. Si sente ancora giovane.

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Abbiamo inserito anche alcune foto di vecchi famosi

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Rita Levi Montalcini

Carlotta Faggionato

Un amore corrisposto Sono molto legata affettivamente ai miei nonni materni,per loro provo un grande amore e mi piace sapere che è corrisposto. Fin dalla mia tenera età loro si prendevano cura di me con amore, mi cucinavano le minestrine, mi portavano a passeggio e avrebbero fatto qualunque cosa per vedere spuntare sul mio paffuto faccino dagli occhi vispi un sorriso. Mio nonno aveva perfino costruito un “cariolino” per trascinare me e mia sorella per tutto il giardino, nonostante la fatica procuratagli dall’anzianità e dal peso di due bambine cicciotte. Questo divertiva enormemente me e mia sorella e lui,, perciò, non voleva ammettere di essere stanco, perché gioiva della nostra felicità ancora inconsapevole ed ingenua di bambine. E un altro ricordo ancoraquante volte io e la vale saltavamo sul letto della mia stanza disubbidendo alle raccomandazioni di mia nonna e lei invece di punirci si travestiva da strega per spaventarci! Ripensando alle punizioni, ricordo quella volta in cui, dopo avere combinato un pasticcio, non ci sgridò e anzi si mise a ridere. Era un sabato sera ed io e vale eravamo a casa dei nonni, stavamo correndo nel corridoio dando spinte violente al pendolo di un orologio da parete quando, dopo l’ ultima spinta, esso cadde a terra con un grande tonfo frantumandosi. Mi aspettavo urla e grida ma dalla bocca di mia nonna usci’ una sonora risata. Con loro il rapporto è bellissimo, adoro ascoltare la storia di mia nonna e i suoi racconti. Mi piace perdermi in un loro abbraccio e sapere che un giorno questo rapporto finirà mi fa stare davvero malissimo perché loro hanno fatto parte della mia vita e l’hanno resa ricca di tenerezza.

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Francesca Bruni

Una parte della sua vita Mio nonno si chiama Franco ha 68 anni, è la classica descrizione di un anziano, però lui è mio nonno e qua si diversifica dagli altri. Ha i capelli corti e bianchi la faccia rotonda con grandi occhi verdi (per leggere porta un paio di occhialini di forma ovale) è un uomo grande e robusto soffre di qualche disturbo però lo trovo sempre in gran forma, specie quando comincia a raccontarmi le sue avventure. Basti pronunciare una semplice parola che lo colleghi alla sua vita che lui si immerge nel suo passato e comincia a raccontare le sue esperienze. La sua narrazione è unica dal mio punto di vista: è tutta in ferrarese e inoltre mio nonno è balbuziente e questo rende il racconto più vivace ed entusiasmante. Aveva madre veneta che di professione faceva la fornaia e un padre del quale non sono mai riuscita a svelare la vera identità, ma so che aveva avuto altri due figli con altre donne, infatti mio nonno aveva oltre a cinque fratelli altri due fratellastri che però vivevano nella sua stessa casa. Ricorda in continuazione che la mia generazione non si accontenta mai di ciò che già possiede mentre per esempio, durante la sua infanzia lui aveva soltanto un paio di scarpe, erano fatte di materiali poveri, chiodi e cartone, possedeva soltanto un paio di “ braghini” e quando si sporcavano giocando nella campagna e non riusciva ad asciugarli in tempo per il mattino, sua madre lo teneva a casa da scuola. Mi racconta spesso che la sera si mangiava la polenta e se andava bene un po’ di selvaggina. Alle 21:00 si andava a letto o si ascoltava la radio che annunciava le notizie sulla guerra. I tedeschi entrarono spesso a casa sua per usufruire del cibo o per ascoltare i comandi del generale che venivano appunto trasmessi via radio, ma senza dare fastidi, mio nonno dice che avevano una “certa classe”. Crescendo venne arruolato nei militari e viaggiò molto. Ad Avellino conobbe mia nonna, in seguito ad un terremoto, poiché lui aveva il compito di soccorrere la popolazione. Io stimo molto mio nonno poiché porta con sé grandi ricordi, emozioni, pensieri e addirittura canzoni e recite inventate da lui e i suoi amici, da cantare durante il giorno della befana, nel quale passavano casa per casa a fare una specie di piccolo spettacolo-teatro per divertire le persone che spesso ripagavano con salami ecc… Ha generato tre figlie femmine, la prima delle quali è mia madre. Il nonno ha lavorato fino alla pensione in un’industria agricola, dalla quale fu premiato per aver visto una bomba ad orologeria risalente al periodo delle guerra, non ancora esplosa. Mio nonno ha molto da trasmettere e in parte lo ha già fatto con mia cugina, con me e con mio fratello ancor prima, i suoi valori sono pochi come ad esempio l’amore e la solidarietà ma tutta la mia famiglia, grazie a lui, ha imparato ad applicarli nella propria vita rendendola in un certo senso più piacevole; proprio per questo suo spirito, io lo ammiro e sono fiera di essere sua nipote.

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Giacomo Tagliati

Mia nonna ed io Voglio parlare di mia nonna paterna di nome Leda ma si fa chiamare “Ledes” perché dice che le dà un’aria più ferrarese e non da “santina”. Fra qualche mese raggiungerà la bella età di ottant’anni ma come per tutte le donne di una certa età non è cortese dire gli anni. Con lei ho sempre avuto un ottimo rapporto pur abitando relativamente lontano, vive a Jolanda di Savoia insieme al nonno, in una vecchia grande casa di campagna. Ho bellissimi ricordi legati alla mia infanzia con mia nonna, ricordo che all’età 7,8 anni, quando andavo a trovarla mi chiedeva spesso se l’accompagnavo nel suo meraviglioso giardino a raccogliere svariati tipi di fiori con cui facevo bellissimi mazzi o nell’orto a prendere la verdura o a guardare la vite o il ciliegio…ma io tutte le volte non raggiungevo mai l’orto perché preferivo di gran lunga rincorrere le galline le quali, appena mi vedevano arrivare scappavano come se avessero davanti un mostro e mi sono sempre chiesto il perché. Mia nonna, mentre rincorrevo i polli,mi urlava:”Corri pian lazaron kas romp il gamb di pui” anche se sapeva che una volta individuata la mia vittima la mettevo solamente all’angolo per poi lasciarla libera. Andavamo anche spesso a raccogliere le uova o a vedere alcuni fagiani domestici in una grande gabbia… sarei rimasto anni a guardare quei fagiani! Quando andavo a casa sua ricevevo sempre molti regali: dolci,biscotti e sempre mi dava e mi dà tutt’orala sabadina (come una piccola paghetta) ed io ero molto felice quando mi dava 20 mila lire perché credevo di poterci comprare il mondo,ma da quando è arrivato l’euro le 20 mila lire sono diventate ben 20 euro, ecco perché dico che l’euro mi ha portato giovamento. La cosa che ci accomuna di più è l’amore per gli animali soprattutto per cani e gatti. Mia nonna raccoglie tutti i cani e i gatti randagi del paese e in certi momenti la sua casa sembra più un soggiorno per gatti che un’ abitazione umana e aveva anche un bellissimo ma soprattutto SIMPATICISSIMO cane di nome Luc con cui ho vissuto tutte le mie avventure. E’ sempre stata la mia nonna preferita e lo è tutt’ora…

Papa Giovanni Paolo II con Madre Teresa di Calcutta

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Giada Barducco

Mia nonna ed io

Mia nonna si chiama Gabriella, ha 64 anni ed è ancora felicemente sposata. Con lei ho un bel rapporto, perché la vedo parecchie volte durante la settimana e con lei mi confido come fosse una vecchia amica. Solitamente, appena torno da scuola, vado a casa sua per pranzare, e parliamo del più e del meno, degli avvenimenti scandalistici avvenuti di recente e dei pettegolezzi più interessanti che ci sono in circolazione. Adoro parlare con lei delle vicende accadute a persone che conosco perché, essendo io una ragazza molto curiosa, dopo aver scoperto qualcosa di nuovo e interessante su qualche conoscente provo un senso di soddisfazione…ma la cosa più bella è ascoltare la nonna quando parla di qualcosa che a lei interessa particolarmente: è talmente presa dal racconto che se fosse per lei starebbe tutto il pomeriggio a raccontarmi la storia nei minimi dettagli. Ma con la nonna faccio molte altre cose oltre a “sparlare” dei fatti altrui; ad esempio l’aiuto a fare le faccende domestiche, ad apparecchiare e sparecchiare la tavola, a cucinare, ma soprattutto a curare le piante. Infatti, la sua passione è la cura delle piante, di ogni genere e specie, e spesso e volentieri sono costretta a darle una mano ad annaffiarle. Mia nonna, inoltre, è una donna molto furba, infatti, quando non ha voglia di lavare i piatti chiede a me se sono disponibile e in cambio mi offre sempre 5€. Come potrei non accettare un’offerta del genere? Lei sa benissimo che per soldi farei qualunque cosa (o quasi!), quindi ormai sa anche come fare per ricattarmi. Infine posso solo affermare che con mia nonna ho un bellissimo rapporto, e che sono stata fortunata ad aver avuto una nonna così energica e comprensiva come lei!

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Una nonna eccezionale Mia nonna si chiama Magda e ha settantatre anni, è un’anziana signora dai capelli bruni e dagli occhi castani.Vive da sola, in un paese poco lontano da casa mia, e mi viene a trovare quasi tutti i giorni, mentre fa un giro in bicicletta. Nonostante non sia più una giovincella è ancora molto in gamba ed è in grado di fare qualsiasi cosa. Il mio rapporto con lei si può definire unico, infatti, lei è la sola rimasta di tutti i miei nonni, che sono morti quando ero ancora molto piccola; è ovvio che man mano che sono cresciuta ho avuto occasione di conoscerla meglio,di stare con lei e di affezionarmi più di quanto abbia potuto fare con gli altri. Sin da piccola i miei genitori mi portavano sempre da lei:alcune volte ci stavo dalla mattina alla sera, tornando a casa solo a dormire, altre volte ci stavo mezza giornata.Tutte le mattine,appena arrivata, guardavo i cartoni animati alla televisione e quando lei finiva di stirare o di lavare i panni, giocavamo a monopoli, a tombola, a mix-max e facevamo i puzzle; a mezzogiorno in punto mangiavamo e visto che mia nonna è così brava a cucinare, spesso mi rimpinzavo di minestra, di carne, di patatine fritte e di dolci. Poi mi riposavo sul divano e appena fuori faceva meno caldo(mia nonna odia il caldo!!), andavamo a fare il nostro solito giro in bicicletta sull’argine del Po, dove incontravamo tantissimi vecchietti con cui mia nonna si fermava a parlare. Questo era di gran lunga il momento della giornata che preferivo poiché potevo ammirare la natura con una persona per me davvero speciale e forse è stata proprio lei a trasmettermi la passione per l’aria aperta e il rispetto per l’ambiente! Ogni giorno percorrevamo più o meno la stessa strada, ma trovavo sempre qualcosa di diverso, tranne il solito anziano pastore con il suo gregge di pecore e i suoi cani…Loro c’erano sempre!! Grazie a tutti questi splendidi momenti passati con mia nonna ho imparato a volerle bene e a considerarla una persona fondamentale nella mia vita; oggi non so come potrei fare senza di lei, senza i suoi discorsi premurosi e le sue visite, senza il suo modo di vedere il mondo, così diverso dal mio. Lei pensa che le cose siano ancora come quando era piccola, senza considerare che il mondo è cambiato, forse anche troppo;mi rimprovera se faccio qualcosa che ai suoi tempi non si faceva, ma che oggi è del tutto naturale! Quando non è d’accordo riguardo una cosa che faccio o che dico non mi rimprovera, è troppo buona per farlo, ma mi fa capire attraverso un’espressine tutta sua che non la pensa come me. Nonostante anche mia nonna abbia i suoi difetti, che sono davvero pochi,io la stimo moltissimo e penso che sia una donna eccezionale…In futuro, magari quando sarò anziana, mi piacerebbe davvero tanto essere come lei.

Giulia Finotti

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Paola Sacchetto

Tra le braccia di un piccolo grande eroe

Il mio non era un nonno come tutti gli altri, era un nonno speciale. Tutti (non so perché) lo chiamavano Berto, anche se il suo vero nome era Pietro, e di conseguenza lui era per me il nonno Berto. Già da quando ero molto piccola, passavo qualche week-end da lui e dalla nonna insieme alla mia cuginetta, Sara, che ha tre anni più di me. Inizialmente dovevo andare da loro perchè aiutavano i miei genitori, che erano un po’ in difficoltà perché mio fratello Andrea era piccolino, poi era diventata quasi un’abitudine. Infatti appena avevamo qualche giorno di vacanza dalla scuola, senza esitazione, ci accordavamo per passare qualche giorno a casa dai nonni che, naturalmente, ci accoglievano a braccia aperte: noi vedevamo queste giornate quasi come fossero una vacanza e ci sentivamo grandi perché stavamo alcuni giorni lontano da casa e senza i nostri genitori. Di solito quando c’eravamo noi, la nonna rimaneva a casa a prepararci mille prelibatezze, mentre il nonno ci portava al parco, dove inventavamo tantissime storie e facevamo finta di essere due principesse, e a lui piaceva quando giocavamo e si divertiva a spingerci sull’altalena. Poi ci prendeva per mano e ci portava a fare le passeggiate vicino alla ferrovia e ci raccontava di quando, durante la guerra, nel cielo volavano gli aerei, che lui chiamava sempre “apparecchi”, ma io di apparecchi conoscevo solo quelli per i denti così immaginavo che dal cielo scendesse una moltitudine di apparecchi per i denti, non capivo, ma annuivo perché sapevo che gli faceva piacere. Da giovane aveva perso due dita in un incidente di lavoro e quando io, incuriosita, gli ispezionavo la mano in ogni minimo particolare e gli chiedevo assorta perché avesse tre dita invece di cinque, lui mi guardava serio con quei suoi occhi blu come il mare e mi diceva che una notte erano venuti i topini e, mentre lui dormiva, gli avevano mangiato le dita. Ma il ricordo che mi è rimasto più impresso è quando, la sera, dopo aver visto il telegiornale, prendeva me e Sara, una su una gamba e una sull’altra e ci raccontava della guerra, quasi fosse una di quelle storie che si leggono sui libri e questo, per me lo rendeva speciale. Ci raccontava che, dopo aver fatto il militare, lo avevano spedito in Russia, di come era riuscito a sopravvivere accerchiato dai nemici, ma anche a superare la fame ed il freddo, facendo cose folli pur di ritornare a casa. Solo ora mi posso rendere conto di tutte le sofferenze che deve aver patito, ma allora lo vedevo come un eroe, il MIO eroe, la MIA perla preziosa, che custodivo come fosse il tesoro più grande. Il nonno mi domandava sempre: “ Perché quando vai a scuola non scrivi un tema sul tuo nonno e sulle storie che ti racconta per la tua maestra?”. Allora ero piccola e non sapevo nemmeno cosa fosse un tema, poi sono cresciuta, ma non ne ho mai avuto l’occasione e finalmente ora posso fare felice il mio nonno, anche se non c’è più. Il mio nonno, però rimane ancora speciale perché sarà per sempre nel mio cuore.

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Grazie a lui ho imparato a capire quanto fossero importanti le persone che mi stanno intorno, in modo particolare i miei genitori, che in ogni momento mi dimostrano il bene che mi vogliono, ma anche ad essere umile e ad apprezzare le cose, anche se piccole, nella loro grandezza.

Il nonno (al centro) dopo aver subito una punizione durante il servizio militare

Il matrimonio dei nonni

La famiglia I miei due nonni giocano con mio fratello

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Serena Ninfali

Io e lei

Oggi, sto cercando di rispondere ad una domanda, semplice all’apparenza, ma in realtà complicata: chi è mia nonna.

Beh, potrei dire che all’apparenza è una vecchietta di semplice aspetto, 85 anni ad agosto, molto magra, non alta, tant’è vero che la supero di parecchi centimetri, con

gli occhiali sotto i quali si nascondono due piccoli ma vispi occhi scuri. Ovviamente come tutti i vecchi ha qualche ruga di troppo e qualche mal di schiena di cui farebbe volentieri a meno. La sua cucina è veramente ottima, anche se non proprio ferrarese, è nata sull’Appennino Tosco-Emiliano, in provincia di Bologna. Torna tutte le estati al suo paese natale, non perché le manchi particolarmente, ma mio papà e mia zia la mandano là perché qua a Ferrara la si potrebbe trovare, con buone probabilità, stesa sul terrazzo, stecchita dal caldo. Ha due fratelli ed una sorella a cui è molto legata.

Tutto ciò lo potrebbero dire tante persone che la conoscono. Io invece, voglio descrivere la mia vera nonna.

Dovete sapere che fino a qualche anno fa abitavo nell’appartamentino sotto casa sua. Mi piaceva stare lì, anche se non era molto spazioso, perché la sera andavo su da lei a trovarla. Quando faceva il brodo scrivevamo sui vetri appannati della cucina e disegnavamo le faccine. Quella era diventata una vera arte per me! Durante il temporale, mi metteva a sedere davanti alla finestra del terrazzo e mentre lei cuciva, mi insegnava a contare i secondi che passavano tra il lampo e il tuono. Ciò mi piaceva, mi faceva sentire veramente a casa. Anche il fatto di fare la sfoglia o i maccheroni pasticciati con lei era una cosa che mi divertiva particolarmente. Trovavo bello anche andare al mercato il giovedì mattina e perdermi tra la bancarella del pesce fresco e quella dei vestiti.

Molte volte la vedo per strada passare con le vecchiette del quartiere, mentre tra un pettegolezzo e l’altro parlano della morte di qualcuno del paese (come se questo fosse un argomento interessante…). Mi scappa un sorriso quando la guardo, un passetto

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dopo l’altro, un po’ asociale, con il fazzoletto legato sotto il mento, fare la passeggiata giornaliera. Questo le ha sempre permesso di avere una buona salute e

non troppi problemi fisici.

Mi piace passare il tempo con mia nonna, anche se da un anno a questa parte ha perso un pochino la memoria e quindi ripete le stesse cose anche cinque o sei volte. Quando vado a mangiare a casa sua, mi prepara sempre un gran pranzo e prima di tornare a casa mi raccomanda sempre di non accettare mai caramelle dagli sconosciuti. Non sono sicura che si ricordi bene quanti anni ho, ma non voglio farglielo notare perché è naturale che si preoccupi per me, anche se so bene che non devo prendere caramelle dalle persone che non conosco.

Forse non avete mai sentito una tranquilla signora di paese cantare, ma vi posso assicurare che potrebbe fare la comica in uno spettacolo!

Quindi se vedete passare una cara vecchietta con il fazzoletto in testa e un’aria tranquilla, non immaginatela fare la maglia e cucinare, potete pensarla anche così, ma ricordatevi che la realtà non è mai come sembra…

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Virginia Cavallari

Mia nonna ed io

In questo periodo il rapporto tra me e mia nonna è un po’ cambiato, forse dipende dal fatto che avendo cambiato scuola, ho molto più da studiare e non ho la possibilità, come invece avevo da piccola, di passare interi pomeriggi a casa sua mentre giocavamo a carte o guardando insieme la tv. Ricordo ancora quando andavo a trovarla al mare insieme a mia sorella e ai miei cugini e anche tutte le volte in cui mi sgridava perché guardavo troppa tv o perché mangiavo troppa Nutella. Né io né mia nonna siamo persone estroverse e quindi non ci siamo quasi mai aperte l’una con l’altra, lei non sapeva della mia vita, delle mie amicizie o altre cose e io non sapevo le sue, però ci piaceva ridere e anche un po’ prendere in giro mia sorella quando faceva espressioni strane o quando mio nonno le affibbiava nomignoli divertenti facendola arrabbiare. Alcune cose che so di mia nonna me le hanno raccontate i miei genitori o le sue amiche (un po’ pettegole) che, mentre lei andava a rispondere al telefono, mi raccontavano tanti episodi. Mia nonna è stata la mia madre, tante cose me le ha insegnate lei e se oggi sono così e ho questo carattere devo ringraziare anche lei. Spesso quando vado a casa sua mi chiede se per caso, toccando ferro e facendo tutti gli scongiuri possibili , prima di morire vedrà qualcuno dei suoi nipoti già sposato con una famiglia. Mio nonno, quando sente questi discorsi se ne va dicendo a mia nonna che porta sfortuna e che avrà ancora qualche anno prima di morire. Io non so rispondere alla domanda di mia nonna, ma spero veramente che lei, come gli altri due miei nonni, possa vivere ancora per tanto, tanto tempo. Essendo io un po’ timida e spesso incapace di mostrare i miei sentimenti, non ho mai detto a mia nonna “Ti voglio bene”, ma spero che l’abbia capito e che si ricordi che se ha bisogno di parlare con qualcuno ci sono io, disposta a tutto per lei.

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Michele Vicentini Nonna Gigia Ultimamente non vedo molto spesso mia nonna Luisa (detta Gigia), purtroppo; i nostri rapporti ora sono farle visita ogni tanto e qualche domenica andare a pranzo da lei. Oggi lei ha 85 anni. Quando ero piccolo e lei era più giovane, invece, mi faceva da baby- sitter ed eravamo molto uniti. Quando ero piccolissimo mi dava la pappa, mi lavava, mi cambiava il pannolino e poimi metteva a letto e mi raccontava delle favole. Mi insegnava preghiere interminabili che però mi hanno aiutato ad esercitare la memoria. Ricordo che le prime volte, quando me le dimenticavo, lei si arrabbiava. Pensando di fare cosa giusta, poveretta, mi raccontava terribili storie di persone che avevano peccato ed erano state punite dalla giustizia divina, o di disgrazie che accadevano nel mondo come ad esempio “Perché non mangi la minestra?”io rispondevo”perché non mi piace”, lei “ ma non pensi a tutti quei poveri bambini che muoiono di fame?” Quando ero con lei non mi mancava la mamma, e quando la nonna andava via io chiedevo quando sarebbe tornata. A volte andavo da lei a dormire, ma solo quando la mia zia “preferita”veniva nel finesettimana. Mia nonna ha avuto sette figli, e si è abituata a fare da mangiare per molte persone, perciò quando vado a pranzo da lei si aspetta che mangi per tre. La casa di mia nonna è molto interessante: c’è una cucina sempre “sporca”di cibo, che lei prepara in continuazione, un balcone pieno di sporte di frutta e verdura, e sul pianerottolo una giungla di piante, per non parlare della salita di quattro piani per arrivarci. Se dal suo piano ci si sporge a guardare il fondo delle scale, non lo si vede. Infatti, quando ero piccolo, mi divertivo a buttare giù i miei giochi, ed ero poi molto deluso di vederli rotti. Vorrei tanto essermela “goduta” quando era più giovane.

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Giulia Padovani Gli occhi di mia nonna I suoi occhi. Adoro i suoi occhi, quando assenti fissano il vuoto, li guardi, li osservi meglio ed ad un tratto rivivi con lei le gioie e i dolori di una vita passata, quando ancora ci si rendeva conto dell’importanza e del valore delle cose. Gli occhi scuri, di un marrone intenso, ma limpidi e chiari nell’espressione, appartengono a Zoe, mia nonna. Con lei ho un buonissimo rapporto, è la nonna che tutti vorrebbero, dolce, sensibile ed infinitamente buona con tutti. La nostra è un’adorazione reciproca, è inutile provare e quantificare il bene che mi vuole o che io voglio a lei. In sua compagnia il tempo sembra fermarsi, e così, sedute sul divano, libere e spensierate ci lasciamo

andare. Puntualmente i ricordi le tornano in mente, i momenti felici, e quelli che, anche se spiacevoli, non vorrebbe mai dimenticare, ed ecco i suoi bellissimi occhi annebbiarsi e riempirsi di lacrime, lacrime dolci, di chi la vita l’ha vissuta. Decide poi di condividere con me il suo pensiero, io la ascolto, mentre mi rimpinzo delle fantastiche leccornie che cucina. Mi pare d’essere al cinema, con la differenza che la storia che sto sentendo è reale, è il film della vita di una nonna, della mia nonna e questo mi tocca da vicino. Mia nonna è per me un libro aperto, all’interno posso trovare qualsiasi tipo di esperienza e come leggendo qualsiasi romanzo, volo immaginando con la fantasia la verità del passato. Non c’è cosa che lei non farebbe per me, dai dolci al

correggermi quando sbaglio. Non ho mai visto mia nonna arrabbiata, da piccola le facevo scherzi, mi nascondevo, lei sbuffava, ero proprio peperina non le ubbidivo mai, ma quando stava per trovarmi io saltavo fuori spaventandola e tutto si concludeva con risate e sorrisi. Oggi sono cresciuta, adesso con lei non condivido più gli spaventi, ma cose ben più importanti, il bene, il rispetto e l’umiltà, mi ha sempre insegnato ad essere me stessa in qualunque situazione, ci tiene molto che gli altri mi vedano come mi vede lei, una bambina un po’ cresciuta che rubava le caramelle, ma dal cuore d’oro.

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Laxmi Poppi Mio nonno ed io

Ciao, mi chiamo Laxmi ed ho 15 anni. Vorrei iniziare questa lettera parlando un po’del mio passato da quando ero piccolina. Sono nata in India, a Nuova Delhi, ma ricordo pochissimo di quando ero là, perché sono venuta a Ferrara a soli 5 anni per merito dei miei genitori attuali, che mi hanno educato e curato e mi hanno adottato. Mi è venuta a prendere la mamma perché il papà, sofferente di otite, è stato sconsigliato dal medico ad intraprendere un viaggio così lungo in aereo che avrebbe potuto provocargli la perforazione dei timpani. Per tutto il viaggio sono stata in braccio alla mamma, attaccata a lei. Quando siamo arrivati a Roma, ad attenderci c’era un uomo che ho scambiato per mio papà; infatti la prima cosa che gli ho detto è stata: “ ciao papà “. Invece mi sbagliavo perché quel signore piuttosto giovanile era mio nonno; si chiama Alberto ed ha 83 anni e nonostante la sua età è una persona ancora molto attiva. Da giovane è stato funzionario di banca; ha lavorato per tanti anni alla Cassa di Risparmio e ancora oggi non ha perso la passione per i conti, gli affari, i soldi. Oggi lavora ancora, seppure come volontario, presso l’opera pia Canonici Mattei e rimane tutta la giornata seduto sulla sedia del suo ufficio a fare dei conti e a scrivere delle lettere. Nonostante stia sempre fuori casa, dedica molto tempo ai suoi nipotini. Siamo in 4 nipoti: io, mio fratello Carlo e i miei cugini Marco e Guido. La domenica non manca mai a pranzo da noi, però lui vorrebbe sempre andare a mangiare in una trattoria di un paese di provincia dove preparano dei cappelletti in brodo che gli piacciono tanto. Pensa sempre a noi tanto da ricordarsi tutti i nostri compleanni.

Due mesi fa, è stato operato per un’ernia inguinale e noi siamo stati in casa con lui per due settimana in caso di bisogno. In quel periodo ho cercato di fargli compagnia; la mattina prima di andare a scuola, mentre facevo colazione, durante il pranzo e pomeriggio mentre studiavo rimanevo con lui nel suo studio. Verso le cinque prendevamo puntualmente il tè: ecco il mio momento preferito, quando stavamo una di fronte all’altro a mangiare alcuni biscotti deliziosi intinti nel tè. Ne approfittavamo per fare qualche chiacchiera: parlavamo di tutto, dalla scuola, alla danza, dei suoi amici, di quello che lui faceva da giovane …insomma ho trascorso pomeriggi molto piacevoli. Io ho una grande passione per la danza classica e contemporanea che pratico da molti anni; partecipo ad alcuni concorsi ma il momento senza dubbio più bello è quello del saggio finale che si svolge quasi tutti gli anni al teatro comunale. Mio nonno, nonostante ogni sera si addormenti verso le 20,30, non rinuncia mai ad assistere al saggio finale; il fatto veramente eccezionale è che segue tutto senza mai addormentarsi. Mio nonno non è una persona come tutte le altre, perché per me é speciale; gli voglio tanto bene…. Insomma lui ci tiene moltissimo a me e io posso contare molto su di lui, sia adesso, ma anche soprattutto per il futuro.

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Lidia Fortarezza

I miei super nonni Posso dire che i miei nonni sono due persone estremamente affettuose e gentili col prossimo. Si chiamano Antonio e Pepi e vivono in Spagna; mio nonno ha 72 anni, che non dimostra affatto, è un uomo estremamente impegnato infatti, tutta la settimana, tranne la domenica, lavora come rettore universitario. La mamma mi racconta che gli alunni lo adorano perché è sempre pronto a dare una mano a chi è in difficoltà senza fare differenze. Nel tempo libero scrive libri sulla religione, la domenica, infine, prepara la messa da recitare con la propria comunità.

Ricordo che quando ero piccola, durante le vacanze estive, andammo con mio cugino (che ha 2 anni più di me) in piscina dove nuotai assieme al cane, un pastore tedesco elegantissimo e vivacissimo che morì di cancro qualche anno dopo, non mi sono divertita mai come quel giorno. Mio nonno possiede anche una grande manualità, infatti mi costruì, molto tempo fa, una casa in legno con tutte le stanze in miniatura, con le tende alle finestre, con la scopa e i pentolini in rame sistemati dentro la credenza.

Mia nonna ha 54 anni, anche lei non li dimostra, è una suora ma veste in maniera del tutto normale; adoro quando mi racconta di come si vanta con le amiche dei suoi nipoti italiani. Da piccola, ricordo che ogni volta prima di andare a letto passava dalla camera e dava ad ognuno di noi (mio fratello, mio cugino ed io ) il bacino della buona notte, ci accarezzava il viso e sussurrava una ninna nanna, in spagnolo, era sempre bellissimo ogni volta di più. I miei nonni non si sono mai arrabbiati con me e mio fratello, anzi, come tutti i nonni, ci difendevano dai genitori anche se in quel momento avevamo torto. Anche se non ho passato un gran tempo con i miei nonni so di voler loro bene e so che loro ne vogliono a me.

Sigmund Freud

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Simone De Beauvoir Marguerite Yourcenar

Gandhi Sandro Pertini

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Margherita Pinca Io e lui

Esatto, questo è mio nonno, Mario Pavoni; tra i miei quattro fantastici nonni lui è quello nel quale il mio carattere si rispecchia di più. Fin da piccola mi sono sempre trovata bene con lui perché nei giochi, nelle lunghe chiacchierate.. mi faceva sentire importante e al centro dell’attenzione. Per esempio quando giocavamo a nascondino vincevo sempre io; mi sentivo più agile e più furba. Chissà se era proprio così!!! Purtroppo con gli anni ho capito che lo faceva apposta a farmi vincere per mantenere sempre il sorriso sulle labbra che avevo ad ogni vittoria. Eravamo proprio due giocherelloni. Non

si può negare! Sinceramente mi viziava anche un pochino. Faceva proprio tutto per rendermi felice. Quando litigavo con mia madre, lui mi difendeva sempre cercando o di cambiare discorso o di intervenire contraddicendo tutto. Adesso che sono cresciuta mi rendo conto che il suo atteggiamento era sbagliato. I nonni infatti non devono intervenire più di tanto nell’educazione dei genitori. Però è anche una persona comprensiva che ti riesce a coinvolgere per ogni minima cosa; forse perché sono la sua prima nipotina sono stata la più coccolata tra le mie sorelle e cuginette, e ancora adesso mi stravizia. Una cosa che gli viene particolarmente bene e che fa con piacere, è cucinare con cura per me. Adesso a pranzo vado da lui e mi fermo al pomeriggio per fare i compiti, e ogni volta mi ripete che gli fa piacere studiare con me e che impara un sacco di argomenti nuovi.

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È proprio un grande nonno, non so se ce ne sono tanti con un carattere simile al suo, dolce e sensibile e quando sono insieme a lui mi sento veramente in paradiso.

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Nadia Riva

La mia bisnonna La mia nonna, o meglio bisnonna, si chiama Maria. Madre di sei figli e nonna di ben venti nipoti, ha 91 anni, ma è sempre in gamba come un tempo… All’apparenza, con il suo passo lento e stanco ed i capelli brizzolati, può sembrare una vecchietta qualsiasi, ma non è così, è una nonna speciale, è la Mia nonna. Ogni tanto penso a quando ero piccola, quando mi portava in bicicletta per le strade deserte di Ambrogio; quando, seduta sul divano con me in braccio, si divertiva a cantare le canzoni imparate durante le guerra, ripenso a quando la osservavo compiere quei movimenti strani con il polso per mescolare la polenta ancora calda, quella polenta con la “P” maiuscola, unica, che solo lei sa fare. Ho mangiato tante “polente”, ma come la sua non ne ho mai mangiate. Richiamo alla mente quei bellissimi momenti trascorsi con lei d’estate, quando da piccola l’aiutavo nell’orto e lei di sera, davanti alla televisione mi insegnava a fare la maglia (con una pazienza infinita perché ogni due punti diritti facevo un rovescio oppure ne saltavo). Ricordo quando il pomeriggio torno a casa da scuola e lei, vedendomi entrare dalla porta d’ingresso, cammina velocemente verso di me, strisciando le ciabatte sul pavimento e dopo avermi raggiunto mi abbraccia forte e mi stringe a sé dandomi, per finire, un grosso bacio sulla fronte accompagnato dalla solita frase “Ac bela ragazeta ca tiè advantà!” con il suo accento veneto-ferrarese ed ogni sera, prima di andare a dormire si preoccupa di telefonare per dare la buonanotte a tutta la famiglia. Ogni momento trascorso con lei è pieno di gioia e felicità ed è un piacere averla vicino ogni giorno che passa.

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Abelardo De Stefani e Maria Pivetta… ieri…

…e oggi.

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Sara Marescotti

La mia “mitica nonna” Con mia nonna materna ho davvero uno splendido rapporto. Penso che questo sia dovuto al fatto che quando ero piccola è stata proprio lei a crescermi, perché i miei genitori erano sempre a lavorare, li vedevo solo di sera. Io e la mia nonnina non litighiamo mai, tranne in “casi estremi”, ma poi si risolve tutto con una bella risata. Con lei riesco a confidarmi su ogni cosa, non ho paura di dirle niente. E di questo sono molto contenta; tra me e lei non ci sono segreti. Ogni volta che le chiedo un consiglio, lei inizia a parlarmi del suo passato, io la ascolto, ma alla fine le dico sempre che oggi, il presente, è diverso dal suo passato. Quando ero un po’ più piccola ogni sabato sera andavo a dormire da lei e mi facevo raccontare le favole e mentre lei raccontava, io le tenevo la mano perché così mi dava sicurezza. E se ho bisogno di un favore so a chi rivolgermi: alla mia mitica nonna. Io penso che i nonni non sono poi così insignificanti come si pensa…Anzi sono molto utili e poi ti danno sempre ragione, e guai a chi tocca i loro nipotini! Beh non mi resta che dire: “cara nonnina ti voglio tantissimo bene”.

Margaret Mead

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Tanita Zerbinati Due nonne….due amiche I miei nonni (sia materni che paterni) sono purtroppo morti prima della mia nascita, con le mie nonne invece non ho avuto rapporti frequenti in questo ultimo periodo, forse a causa della lontananza o del fatto che sono sempre molto occupata. Pero’ ricordo molti momenti belli del tempo passato insieme: non posso esprimere una preferenza per una in particolare poiche’ sono fantastiche tutte due. Di loro posso dire che sono nonne modello: mi viziano e mi coccolano come una principessa, ancora oggi! Quando ero piccola passavo molto tempo con loro, ma in realta’ non ricordo bene cosa facessi, quello che mi rimane e’ una sensazione di gioia e divertimento.

Un bell’episodio che posso raccontare e’ di quando andai in vacanza con mia nonna materna ed e’ stato unico. Quel viaggio mi ha dato la possibilita’ di conoscerla meglio, di capire quanto e’ unica nel comprendermi, riuscendo subito ad intuire cosa non va, nel darmi coraggio nei momenti piu’ difficili e cupi. Passavamo giornate intere a parlare di tutto quello che ci veniva in mente, a scherzare, mi parlava di quando era ragazza, di tutte le marachelle che combinava. Il racconto piu’ bello era quello in cui raccontava di mia mamma: sia con me sia con altri, si vantava di quanto era (ed e’) bella e intelligente. Oppure un altro momento che ricordo con piacere e’ quando andavo a stare da lei per alcuni giorni: ci divertivamo in casa a preparare una miriade di dolci, oppure se era mercoledi’ si andava al mercato. Insomma con lei la vita e’ movimentata non ci si stanca mai, infatti e’ molto attiva: ha 75 anni e ancora va a ballare. Con l’altra nonna, invece, il rapporto e’ basato sulla tranquillita’, è una nonna molto dolce, con lei ho instaurato un sentimento molto intenso fondato sull’affetto. Lei stravede per me e mio fratello, ci vuole un gran bene. Ogni volta che la andiamo a trovare le si illuminanoo gli occhi, quasi si mette a piangere e ci stringe forte forte. Non si arrabbia mai con noi, per lei siamo speciali. Insomma, non per vantarmi, ma dove altro potrei trovare una nonna cosi’?!

Maria Montessori

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Federico Castaldini

L’ombra della sera

Io ho il nonno paterno e le due nonne ancora vivi, ho avuto modo di frequentarli molto bene e posso testimoniare che quanto dirò in questo tema è la pura verità o almeno come io la intendo o l’ho vissuta. Premetto che caratteristica fondamentale che contraddistingue le due nonne, così come quasi tutte le donne della mia famiglia, è quella di non avere il benché minimo senso dell’umorismo, al contrario della parte maschile che ne ha fin troppo. Premessa questa molto importante per capire il mio tema e per caratterizzare i personaggi in quella dote che ne fa la causa degli unici eventuali motivi di contrasto. Mia nonna Adua è una persona che tiene costantemente la barra verso il centro della terra, e meno male! perché difficilmente un’ altra donna avrebbe potuto sopportare il “volare su tutto” di mio nonno, e perché senza la concretezza proverbiale delle donne della mia famiglia, e in questo caso di nonna Adua, chissà il nonno ora che farebbe o sarebbe. L’unica leggera pazzia o concessione che la nonna si concede, se di frivolezza si può dire, è quella di parlare alle covate di animali da cortile che alleva e che aiuta a nascere sin dallo schiudere delle uova e, cosa di cui sono fermamente convinto, in fondo in fondo è il suo grande sogno: essere il generale delle centinaia di polli oche e anatre che si trova ad allevare, un esercito molto umile e obbediente che le darebbe le soddisfazioni di rispetto e di risposta al comando che né dal marito nè dai figli ed ora coi nipoti ha mai ottenuto. Cosa che vista così è di un’innocenza di tutto rispetto. Io sono sicuro che la nonna ci rimanga molto male quando un pulcino si svezza e non risponde più alla sua voce, ma razionale com’è sa far finta di niente. Chissà, a poter guardare un momento nei suoi più reconditi segreti, quale esercito organizzerebbe per migliorare il mondo. Mentre in tutta Europa esplodeva la contestazione universitaria, intere categorie di pensiero venivano ridiscusse, la guerra fredda era al suo apice, in Cecoslovacchia l’intervento dell’ armata sovietica abbatteva le speranze riformatrici di Dubçek, mio nonno paterno Vittore, comprò un paio di ettari di terra brulla ai margini del paese, dove subito cominciò a piantare alberi e ora, in quello che è diventato un parco, ha fondato una libera repubblica di cui si è eletto presidente. In questi quarant’anni è crollato l’impero sovietico, di Dubçek nessuno ricorda cosa volesse, tanto meno nessuno ricorda cosa volessero i nonni del sessantotto, ma la libera bandiera della repubblica di mio nonno sventola ancora imperturbabile. Ha perso molto della sua forza rivoluzionaria, ma ancora a Tresigallo c’è chi ne subisce il fascino. Chi vi si trovasse davanti, difficilmente potrebbe credere che oltre le quattro colonne sormontate da statue supportanti un cancello cinquecentesco, colorato di minio rosso, che il nonno comprò da una villa di un paese vicino, non ci sia altro che quello spreco di verde. Invece è così, il mondo di mio nonno nasce e finisce lì. Quando ci troviamo a parlare, mentre passeggiamo per questo parco, lascia intravedere,dai suoi

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ragionamenti, un mondo che solo lui vive e in quei momenti per un attimo anche io riesco ad immaginare. Mi dicono che da ragazzo, poco più che adolescente, dopo aver messo una tela, qualche pennello ed un cavalletto sulla bicicletta della madre, fosse scappato di casa per cercare la sua bohème, ma fatto qualche chilometro in direzione di Ferrara, passato il Po di Volano dove la strada biforca verso Parasacco, preso dal tramonto che da lì si vedeva, accostò la bicicletta e messa la tela sul cavalletto si perse nel ritrarlo e quei colori devono essergli rimasti talmente dentro che decise di non allontanarsi mai più da Tresigallo. Come quello fu l’ unico moto di ribellione del suo animo, così quel paesaggio fu l’unico quadro che dipinse. Quei colori me li continua a spiegare, come li intravede tra i rami ora spogli ora con le foglie degli alberi della sua repubblica, la bohème di mio nonno era molto vicina e io ci ho pensato spesso, perché credo che ciascuno di noi, un luogo dove stare bene lo ricerchi sempre. Che il nonno il suo luogo sia riuscito a trovarlo così vicino da dove è nato è un bene perché i colori di quel luogo sono la pietra di paragone di tutto ciò che vede. A volte mi chiedo come spiegare questi colori a mia nonna materna, Osanna, che questi colori non li può più vedere, una malattia degenerativa della retina l’ha resa cieca e non può neppure notare come sono cambiati anche i miei lineamenti. A volte immagino una passeggiata tra il nonno Vittore e la nonna Osanna mentre le spiega i colori dei tramonti o delle albe che si intravedono passeggiando per il parco e in particolare di quel tramonto che lo convinse rimettere tela, cavalletto, pennelli e colori sulla bicicletta della madre e a ritornarsene a casa. Per come ho sempre considerato la nonna serena e concreta, credo che capirebbe benissimo, nonostante la cecità quali sono i colori molto simili a quelli di un tramonto che hanno convinto anche lei ad accomodarsi su quella sedia e vivere la vita per quella che è. I miei nonni così diversi, cosi straordinariamente diversi mi hanno trasmesso in maniera potente questo messaggio: saper cercare nelle cose semplici e negli atti umili di tutti i giorni un posto dove socchiudere gli occhi per gustare i colori del proprio personalissimo tramonto.

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Vittoria Finetti Una parte della mia vita: i miei nonni Mia nonna paterna si chiamava Ermene e se n’è andata quando avevo poco più di un anno, so solo che aveva un carattere fortissimo e che tutti la definivano una persona speciale…per il resto non so niente. Vorrei sapere qualcosa in più della sua personalità, delle sue abitudini ecc…ma purtroppo non ne ho ancora avuto occasione di parlarne con nessuno. La persona che credo, mi abbia voluto più bene in assoluto è mio nonno materno che si chiama Severino. È sempre stato disposto a tutto per accontentarmi, per aver un sorriso o un semplice abbraccio…mi ha insegnato cosa voglia dire dedicare del tempo a una persona. Mi ha trasmesso tante cose anche se non in maniera esplicita…e alcuni lati del mio carattere si sono formati grazie al suo contributo. E poi c’è mia nonna, che si chiama Rosanna…e mi rendo conto che io sono molto diversa da lei…dalle cose più banali alle cose più importanti. Ho passato con loro tutte le estati della mia vita fino alla prima media…mi ricordo ancora di quando mia nonna mi insegnava il modo giusto per pulire la casa, la perfezione e l’attenzione nel cucinare…il tempo che dedicava alla casa era impressionante, tutte le cose dovevano essere in ordine e gli orari perfettamente rispettati. E poi c’erano le “tradizioni del nonno”, adoravo guardarlo mentre faceva qualsiasi cosa…mentre mangiava, fumava, leggeva il giornale…e la passione nei suoi occhi mentre guardavamo le partite della Juve insieme. Perdeva molto tempo a spiegarmi come si gioca a calcio o cose del genere…anche se purtroppo era tempo sprecato perché io non ci capivo assolutamente niente. Ero tremendamente affascinata dai suoi modi di fare e dalla serenità che mi trasmetteva. E poi arrivava il momento in cui andavano in vacanza, e ogni volta tornavano con una valigia piena di regali per me e mia sorella. I miei nonni non hanno mai parlato molto delle loro esperienze, della loro vita…non molti riferimenti alla guerra. Mia nonna mi ha parlato spesso della vita di mia mamma…ha ripetuto varie volte che mia sorella le assomiglia molto. Mio nonno invece mi raccontava di cose più specifiche…di persone che fanno fatto parte della sua vita, del lavoro, della famiglia o più semplicemente aneddoti. E io in quel momento forse non mi rendevo conto di quanto quelle cose fossero importanti, di quanto quei racconti avrebbero dovuto interessarmi. Credo che i nonni svolgano un ruolo importante, fondamentale nella vita dei loro nipoti, quasi alla pari dei genitori…anche se da un altro punto di vista. Penso anche che i miei nonni, in un modo o nell’altro abbiano svolto il loro compito in maniera eccezionale…

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Federica Farnè

“…Parlavo, parlavo, parlavo…Raccontavo, raccontavo, raccontavo…E lei era

sempre disposta ad ascoltare” Sono convinta che nella vita i rapporti cambino. Lo reputo normale, assolutamente normale. Le persone maturano, cambiano, e spesso quelle con cui sei in contatto non hanno gli stessi tempi di maturazione, per cui si ci trova scoordinati. La pazienza, la sopportazione e l’affetto che appartengono ad ognuno di noi, in maniera più o meno evidente, fanno sì che le persone riescano comunque a rimanere in contatto. Questo, secondo me, è il meccanismo di alcune amicizie o dei rapporti familiari e, forse, anche dell’amore. Da qualche anno i miei rapporti col resto del mondo sono cambiati: alcuni in meglio, altri in peggio. L’adolescenza è un periodo di grandi cambiamenti, ed è normale che,cambiando dentro, anche fuori le cose cambino. Solo con una persona il mio rapporto è rimasto tale. E’ un rapporto che si è costruito sulla complicità, l’affetto e la convivenza, la complicità che hanno gli amici, l’affetto e la convivenza che caratterizzano i familiari. Fin da piccola, passavo molto tempo a casa sua; interi pomeriggi a giocare, a fare i vestiti alle bambole, a preparare “gustosissimi” dolci che poi volevo portare a casa per la mamma e il papà, ma loro, a differenza mia, non erano così entusiasti delle mie prodezze culinarie, e lasciavano la torta, il budino, i biscotti da lei. Fin qui penso sia un normale rapporto tra nonna e nipote. Le cose sono cambiate quando io ho cominciato a crescere, verso i sette otto, anni. Oltre alle solite cose che si fanno a casa della nonna, siamo diventate complici, complici in tutto. Tutto è iniziato nel momento in cui sono andata tre mesi in vacanza sola con lei,nonno e zio. Fino a quell’anno anche mia sorella maggiore veniva in vacanza, ma poi s’è stancata e sono rimasta solo io. La convivenza fa cambiare tanto le cose, ed è per questo che il nostro rapporto è diventato così forte e particolare. La mattina andavo, sola, a comprare pane e giornale, poi insieme alla nonna a fare tutta la spesa e a comprare in aggiunta un giornalino per me. Passavamo interi pomeriggi insieme, parlavamo di tutto ed è stato lì che ho iniziato a conoscerla bene e lei a conoscere bene me. Siamo tutte due molto chiacchierone, ma spesso avevo la meglio io parlavo, parlavo, parlavo…Raccontavo, raccontavo, raccontavo. Oltre a stupidaggini, venivano fuori anche discorsi seri che lei era sempre disposta ad ascoltare. Poi, sulla base del racconto, ci confrontavamo. Rifletto spesso sul rapporto che avevamo allora, sullo scambio di affetto, di emozioni, di confidenze.

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Io le confidavo i miei segreti e lei li confidava a me.Lei diceva che i suoi erano segreti, ma sinceramente ora, pensandoci, non so quanto lo fossero realmente, però questo tipo di scambio mi faceva sentire importante. Lei era importante per me, come io lo ero per lei. Così sono passati anni, ed estati… Lei mi faceva sentire grande ed importante in alcuni momenti, mentre in altri mi faceva sentire piccola e questo suo trattamento mi ha sempre fatto sentire importante e preziosa. So che può sembrare sciocco, ma quando mi faceva attraversare la strada da sola per andare a prendere il pane e il giornale mi sentivo importantissima e grandissima. Fin da quando ero piccola, la nonna e il nonno insistevano a dirmi: -“Devi mangiare pane altrimenti come fai a riempirti?”-Quindi il pane era importante per i nonni e dare a me il compito di prendere il pane, significava che per loro ero importante e grande abbastanza per attraversare la strada da sola, anche se poi di macchine non ne passava mai neanche una. Però,nell’eventuale caso in cui passasse una macchina, io potevo comunque attraversare perché mi lasciavano andare. Coi nonni, quando eravamo in montagna son sempre andata a fare escursioni anche di più notti, in mezzo alle montagne: siamo stati in Austria, abbiamo visto tutto il Trentino, abbiamo girato tantissimo e ricordo che quando dicevo:-“Nonno, mi piacerebbe andare….”- Loro facevano di tutto, pure i salti mortali, per portarmi. Questo era un modo per viziarmi, un vizio. In queste situazioni mi sentivo piccola, in base alle esperienze che avevo, mi sembrava che essere sempre accontentati fosse una cosa da piccoli. Però mi piaceva. E anche tanto. Poi sono cresciuta e il rapporto è rimasto identico: io racconto delle cose a lei e lei ne racconta a me; certo, sono confidenze diverse perché entrambe ora siamo diverse, ma sempre cose che noi riteniamo importanti,sono. L’affetto sì, quello è cambiato, è più grande. Anche ora mi fa sentire importante e preziosa, grande ma anche piccola. Mi fa sentire importante e preziosa perché capisce benissimo le mie esigenze , senza che gliele dica, per cui vuol dire che mi conosce e tiene tanto a me. Mi fa sentire grande perché mi lascia prendere decisioni, mi lascia pensare, senza mai impormi la sua idea. Anche riguardo situazioni importanti, lei esprime il suo parere, ma lascia decidere a me. E poi mi fa sentire piccola perché mi coccola ancora, mi vizia ancora in alcune cose, e si comporta in alcune situazioni, come si comportava quando ero piccola. E’ questo insieme di sentimenti che mi fa provare, è il suo comportamento, è la sua amicizia, la sua complicità che la rende davvero una nonna speciale. Ora adoro ancora andare in vacanza con loro, attraversare quella stradina, in cui non passa una macchina neanche a chiederlo per favore, per andare a prendere il pane e il giornale, decidere la meta dei nostri giretti e passare interi pomeriggi e intere serate con lei a chiacchierare. So che siamo diverse, che i tempi in cui lei aveva la mia età erano altri tempi, usiamo termini diversi, io dico “ma cazzo!” e lei dice” ma sorbole!”, i modi di vestire sono cambiati da quando lei era una ragazzina. Io, come dice lei ”con la pancia scoperta e

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le mutande in bella vista” e lei presumo avesse la gonna con la cucitura fino all’ombelico e la camicetta ben dentro la gonna. Ma, nonostante queste differenze di tempi lei è sempre mia nonna, quella che capisce bene ciò che voglio dire nonostante il vocabolario sia diverso, quella che mi compra la magliettina bella, nonostante il look sia cambiato, quella che mi vuole tanto bene,che mi fa sentire tanto importante, che si confida con me, ma soprattutto quella che c’è sempre.

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Poesie scritte dalla nonna di Maria Cristofori Carla Calessi

COME FOGLIE

Tremito incessante delle foglie dei pioppi

agitate dal vento, sono i nostri cuori. sembrano danzare

senza riposo senza un attimo di sosta,

innamorate, del loro tumulto, del loro pulsare,

dell’aria, del sole,

che riverisce la filigrana,

come vita che si rinnova attorno al trono sicuro

della sua radice.

UN GIORNO

Ogni giorno una storia, ogni giorno una parola,

ogni giorno uno sguardo, ogni giorno un sorriso:

non lasciare vuoto nemmeno un giorno di una parola,

di uno sguardo, di un sorriso,

di silenzio. Ogni storia del tuo giorno

sia come un campo colmo di grano o di fieno profumato,

come prato fresco di rugiada, come vigna di grappoli fragranti,

per donare tutto all’infinito.

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A MARIA VITA

Piccolo insostituibile dono,

grazie per aver lottato per la vita,

per aver accettato la vita, per aver illuminato

la nostra vita, il tuo nome

è un “sì” detto per sempre alla vita.

ESTATE

Il mattino è un canto d’amore

alla vita, al risveglio di tutto

il creato. In questo momento magico vorrei parlare agli uccelli,

agli alberi, all’erba,

al contorto cespuglio di rami ormai secchi,

come di creature umane, per dire che li ascolto in tutto il loro cantare

alla luce trasparente del mattino. Stamane non odo

il consueto cigolio della porta che si apre sul giardino, e il profumo e l’aroma

e il tuo fitto parlare.

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Canzone a mio nonno – Mimmo Locasciulli (1977) Il giorno che mio nonno è ritornato Qualcuno scommetteva “non è lui, sembra diverso nello sguardo e nel sorriso e quei gambali lui non ce li ha avuti mai” ma lui parlava e raccontava e sorrideva con cordialità. “la nave è andata troppo piano, l’America è una donna che non si stanca mai quando sei giovane ce la fai però in trent’anni mi ci son massacrato e mi son consumato fino al cuore e non ce l’ho fatta più. E poi la terra non li lascia” (giù bottiglie, giù risate e giù canzoni) “no, la terra non li lascia la terra è amica e non tradisce mai”. un giorno poi mio s’è sposato s’è preso la più bella della città sempre fedele, sempre riservata senza pretese, senza tante vanità lei che rapita dalla sua cravatta americana gli ha dato la mano e gli ha detto di sì e così lui se l’è portata via nel cielo nel vento nella primavera e dopo la notte dopo il paradiso un po’ per usanza un poco per ingenuità lei gli disse “adesso prenditi la mia vita è giusto che appartenga a te” ma lui se la prese tra le braccia dicendo “tu sei il porto della mia pace ed io non voglio la tua vita mi basta solamente un po’ d’amore” e adesso che mio nonno s’è invecchiato confonde le stelle coi ricordi di gioventù

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Il vecchio e il bambino, Francesco Guccini (1972) Un vecchio e un bambino se preser per mano E andarono insieme incontro alla sera; la polvere rossa si alzava lontano e il sole brillava di luce non vera… l’immensa pianura sembrava arrivare fin dove l’occhio di un uomo poteva guardare e tutto d’intorno non c’era nessuno. Solo il tetro contorno di torri di fumo… I due camminavano, il giorno cadeva, il vecchio parlava e piano piangeva: con l’anima assente, gli occhi bagnati, seguiva il ricordo di miti passati… i vecchi subiscon le ingiurie degli anni, non sanno distinguere il vero dai sogni, i vecchi non sanno, nel loro pensiero, distinguere nei sogni il falso dal vero… il vecchio diceva, guardando lontano: “immagina questo coperto di grano, immagina i frutti e immagina i fiori e pensa alle voci e pensa ai colori e in questa pianura, fin dove si perde, crescevano gli alberi e tutto era verde, cadeva la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell’uomo e delle stagioni…” il bimbo ristette, lo sguardo era triste, e gli occhi guardavano cose mai viste e poi disse al vecchio con voce sognante: “mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”

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I vecchi,Claudio Baglioni (1992) i vecchi sulle panchine dei giardini succhiano fili d'aria e un vento di ricordi il segno del cappello sulle teste da pulcini i vecchi mezzi ciechi i vecchi mezzi sordi i vecchi che si addannano alle bocce mattine lucide di festa che si può dormire gli occhiali per vederci da vicino a misurar le gocce per una malattia difficile da dire i vecchi tosse secca che non dormono di notte seduti in pizzo al letto a riposare la stanchezza si mangiano i sospiri e un po' di mele cotte i vecchi senza un corpo i vecchi senza una carezza i vecchi un po' contadini che nel cielo sperano e temono il cielo voci bruciate dal fumo dai grappini di un'osteria i vecchi vecchie canaglie sempre pieni di sputi e consigli i vecchi senza più figlie questi figli che non chiamano mai i vecchi che portano il mangiare per i gatti e come i gatti frugano tra i rifiuti le ossa piene di rumori e smorfie e versi un po' da matti i vecchi che non sono mai cresciuti i vecchi anima bianca di calce in controluce occhi annacquati dalla pioggia della vita i vecchi soli come i pali della luce e dover vivere fino alla morte che fatica i vecchi cuori di pezza un vecchio cane e una pena al guinzaglio confusi inciampano di tenerezza e brontolando se ne vanno via i vecchi invecchiano piano con una piccola busta della spesa quelli che tornano in chiesa lasciano fuori bestemmie e fanno pace con Dio i vecchi povere stelle i vecchi povere patte sbottonate guance da spose arrossate di mal di cuore e di nostalgia

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i vecchi sempre tra i piedi chiusi in cucina se viene qualcuno i vecchi che non li vuole nessuno i vecchi da buttare via ma i vecchi, i vecchi, se avessi un'auto da caricarne tanti mi piacerebbe un giorno portarli al mare arrotolargli i pantaloni e prendermeli in braccio tutti quanti sedia sediola... oggi si vola... e attenti a non sudare

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Nadia Riva

Giacomo Tagliati

Con la collaborazione di

Eugenia Caselli

Paola Sacchetto