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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 11 NOVEMBRE 2014 Famiglie sospese

Novembre 2014 (parziale)

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11NOVEMBRE 2014

Famiglie sospese

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Anno XLI, numero 11Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidia-na, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto FlavioGhizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Pie-ra Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente).

Direttore Gian Mario GillioCondirettore Claudio ParavatiCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano,Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carme-lo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Ta-gliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena,Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognan-di, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, StefanoCavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Cour-tens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia,Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi,Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud SalemElsheikh, Giulio Ercolessi, Maria Angela Falà,Giovanni Franzoni, Pupa Garribba, Daniele Gar-rone, Francesco Gentiloni, Svamini Hamsanan-da Giri, Giorgio Gomel, Laura Grassi, Bruna Ia-copino, Domenico Jervolino, Maria Cristina Lau-renzi, Giacoma Limentani, Franca Long, MariaImmacolata Macioti, Anna Maffei, FiammettaMariani, Dafne Marzoli, Domenico Maselli, Cri-stina Mattiello, Lidia Menapace, Adnane Mokra-ni, Paolo Naso, Luca Maria Negro, Silvana Nitti,Enzo Nucci, Paolo Odello, Enzo Pace, GianlucaPolverari, Pier Giorgio Rauzi (direttore respon-sabile), Josè Ramos Regidor, Paolo Ricca, Car-lo Rubini, Andrea Sabbadini, Brunetto Salvara-ni, Iacopo Scaramuzzi, Daniele Solvi, FrancescaSpedicato, Valdo Spini, Valentina Spositi, Patri-zia Toss, Gianna Urizio, Roberto Vacca, CristinaZanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia Guar naProgrammi Michele Lipori, Stefania SaralloRedazione tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: C. Cantoni, A. Carletti, A. Destro, F. Ferra-rio, M. Kässmann, N. Kiliç, S. Mohamad,R. Newbury, M. Pesce, I. Ranaldi, N. Ur-binati, L. Tomassone.

Le immaginiFamiglie • Andrea Sabbadini, copertinaBenvenuti a Raissa • Rocco Luigi Mangiavillano, 3

Gli editorialiL’ideologia del Belpaese • Nadia Urbinati, 4Ebola è figlia di un’Africa impoverita • Enzo Nucci, 5Donne pastore e donne vescove • Margot Kässmann, 6Medio Oriente: Kobane e... Stoccolma • David Gabrielli, 7Immigrati: la politica repressiva dell’Europa • Franca Di Lecce, 9

I serviziChiesa cattolica Se dal Sinodo parte una rivoluzione «pastorale» • Luigi Sandri, 10

Per una nuova teologia della sessualità • Letizia Tomassone, 15Terzo settore Dieci anni di informazione sociale • (intervista a) Irene Ranaldi, 17Kurdistan La libertà contro il sistema patriarcale • Stefania Sarallo, 19

Femminicidio, crimine contro l’umanità • (int. a) Nursel Kiliç, 21Rojava: le donne in prima linea • (intervista a) Sinam Mohamad, 22

Protestanti Bonhoeffer, il teologo che incarnò le sue idee • (int. a) F. Ferrario, 23Antropologia ed esegesi La morte di Gesù e il cristianesimo • (int. a) A. Destro e M. Pesce, 25Storia Cromwell: un inusuale figlio del suo tempo • Luca Baratto, 29

La repubblica inglese • (intervista a) Richard Newbury, 30

Le notizieEmigrazione Rapporto Italiani nel mondo 2014, 32Pena di morte La XII Giornata mondiale, 32Pakistan Confermata in appello la condanna a morte per Asia Bibi, 33Immigrazione Il Rapporto sui Cie in Italia, 33Diritti Per l’Unhcr, sono 10 milioni gli apolidi nel mondo, 34Pluralismo Il Comune di Milano individua tre aree da adibire a luoghi di culto, 34Ambiente Anche l’Italia ha un suo regolamento contro il legno illegale, 35Eritrea Nel paese africano continua la dura persecuzione religiosa, 35Ahmadiyya Si è tenuto a Londra il raduno annuale, 35Cdb A dicembre il XXXV Incontro nazionale, 36

Le rubricheIn genere Le mille esplorazioni di Mariella Gramaglia • Casa delle donne, 37Note dal margine «Ma il Nobel non aiuta a superare gli esami» • Giovanni Franzoni, 38Spigolature d’Europa Sarà che abbiamo nella testa un maledetto muro? • Adriano Gizzi, 39Diari dal Sud del mondo Dove famiglia e comunità sono ancora una risorsa • Chiara Cantoni, 40Opinione La speranza è più viva della morte • Maria Bonafede, 41Opinione La Buona scuola: quali novità? • Carmelo Russo, 42Musica La luna che porta all’estate • Antonio Carletti, 43Libro Quando l’antisemitismo era «consacrato» • David Gabrielli, 44Libro Alla ricerca di Dio e dei suoi volti • Antonio Delrio, 45Segnalazioni 46

RISERVATO AGLI ABBONATI: chi fosse interessato a ricevere, oltre alla copia cartacea della rivista, anche una mail con Confronti in formato pdf può scriverci a [email protected]

CONFRONTI11/NOVEMBRE 2014WWW.CONFRONTI.NET

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LE IMMAGINI

«Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure

cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d’esistere».(da «Le Città Invisibili» di Italo Calvino)

Immagini del reale nella città felice che (molto spesso) non sa di esistere. Una città «nascosta» che esige ricerca e cura, si svela così come luogo di apprendimento, di scambio e vicinanza.

Le fotografie che illustrano questo numero sono di Rocco Luigi Mangiavillano e sono state realizzate nell’ambito delle attività del Centro di Formazione della Comunità Capodarco di Roma onlus, del Gruppo Asperger Lazio onlus e dell’Associazione Eutopia.

Le immagini sono dedicate al decimo anno di attività di Sociale.it (vedi servizio a pagina 17).

BENVENUTI A RAISSA

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GLI EDITORIALI

«La leadership di Renzigiunge alla fine di unlavoro ai fianchi che haatterrato il forte pugile.E si concretizzeràproprio in quei duesettori nei quali da Craxia Berlusconi il fattore Kè stato eroso, ovveroabolizione dell’articolo18 e riforma in sensoesecutivista dellaCostituzione. Con laprima si mette fine allafilosofia dellaresponsabilità socialedell’economia, con laseconda alla praticadella rappresentanzapolitica fondata sulpartito».

L’ideologiadel BelpaeseNadia Urbinati

C i si affatica a cercare paralleli con laleadership di Matteo Renzi nel passa-to più o meno recente. Le comparazio-ni con Bettino Craxi e con Silvio Ber-

lusconi sono utili ad una condizione: chenon si riducano a un parallelo statico trapersonalità, ma mostrino come il successodi Renzi nell’Italia di oggi sia l’esito del lun-go cammino cominciato da quei due leader.La forma plebiscitaria della leadership diRenzi sarebbe in questo modo studiata nelmerito, non meramente criticata.

L’Italia democratica cosi come è stata mo-dellata anche dalla politica di Craxi e di Ber-lusconi: questa mi sembra una base di par-tenza per incorniciare la leadership consen-suale di Renzi. Un’Italia segnata da due pro-getti correlati: l’affossamento definitivo del«fattore K» e il superamento della democra-zia dei partiti e del parlamentarismo. Il fat-tore K stava alle origini della nostra demo-crazia. È rappresentato dalla cultura politi-ca del Partito comunista, centrata sul coin-volgimento dei cittadini via partito e politi-che sociali centrate sul ruolo sociale del la-voro, secondo le promesse fatte dalla Costi-tuzione. Il fattore K corrispondeva anche auna strategia politica che si innervava nellasocietà con una rete organizzativa del mon-do del lavoro nelle sue varie forme, autono-me e salariate.

Le prime grandi sconfitte del fattore K so-no state consumate negli anni ’80: la marciadei quarantamila quadri della Fiat (ottobre1980) e il referendum abrogativo della scalamobile (giugno 1985). Due sconfitte che mi-sero in evidenza come la cultura liberistaavesse fatto breccia nel mondo della sinistra(il Psi di Craxi) erodendo la concezione so-ciale del lavoro. A partire da quelle sconfit-te, il declino della cultura politica che soste-neva il fattore K fu segnato e fatale. L’ideo-logia anti-comunista usata da Berlusconi findalla sua prima scesa in campo, nel 1994,che a molti sembrava anacronistica (non eraforse finita la Guerra fredda?), era in effettiastuta, perché in Italia la cultura del Partitocomunista era molto radicata. Il ventennio

berlusconiano rappresentò da questo puntodi vista il completamento dell’erosione ege-monica. Più che fatta di decisioni e momen-ti eclatanti – come i menzionati appunta-menti degli anni ’80 – l’azione berlusconia-na fu pervasiva e lenta. Certo, Berlusconiperse il referendum sulla riforma della Co-stituzione, ma vinse quello per la liberaliz-zazione della pubblicità e, soprattutto, con-segnò ai cittadini un paese che avrebbe confacilità fatto la riforma della Costituzione.

La leadership di Renzi giunge alla fine diun lavoro ai fianchi che ha atterrato il fortepugile. E si concretizzerà proprio in quei duesettori nei quali da Craxi a Berlusconi il fat-tore K è stato eroso, ovvero abolizione del-l’articolo 18 e riforma in senso esecutivistadella Costituzione. Con la prima si mette fi-ne alla filosofia della responsabilità socialedell’economia, con la seconda alla praticadella rappresentanza politica fondata sulpartito: liberismo e comitati elettorali, solole due facce di una rivoluzione individuali-stica della società e personalistica della poli-tica. In sostanza: Renzi ha messo una pietratombale sul fattore K. E questo spiega il suoconsenso trasversale e anche nell’opinioneintellettuale moderata, di coloro che hannoconsiderato il Pci e i suoi successori più omeno mascherati come il «problema italia-no», la non «normalità» del paese. Ora sia-mo normali: apatici (declino della partecipa-zione elettorale), indifferenti alle lealtà ideo-logiche (nonostante un’irrisoria resistenza,come si è visto con le recenti primarie inEmilia-Romagna, dove molti sono andati alvoto per «fedeltà» alla sigla Pd), con una de-mocrazia plebiscitaria gestita da partiti-mac-china. Ma siamo un paese normale anche sulfronte del pensiero sociale: il lavoro non è as-sociato ai diritti e alle garanzie ma alla mo-netarizzazione. Non è associato all’organiz-zazione che sola dà potere di trattativa (tra iprogetti di Renzi vi è il superamento del con-tratto nazionale). Se si dovesse riassumerecon una frase l’Italia renziana, si potrebbe di-re che essa rappresenta la conclusione dellalunga parabola che ha portato dalla socialde-mocrazia-modello italiano (con il Pci a gui-darla, nella partica se non nella teoria) al li-berismo umanizzato dalla solidarietà cristia-na. Liberalismo economico e terzo settore ocattolicesimo sociale: questi i due pilastridell’ideologia che meglio si accorda con lacultura dominante del nostro paese. Il primo

Urbinati insegna Scienze politiche alla Columbia University di New York.

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GLI EDITORIALI

Non è un caso chel’epidemia si siasviluppata in Liberia,Sierra Leone e Guinea,paesi che vengono dadecenni di instabilità,guerre civili e dittaturesanguinarie, dove lacorruzione e l’economiadisastrata nonconsentono strutturesanitarie adeguate.Naturalmente lamancanza di acquacorrente, fogne edenergia elettrica nelleabitazioni contribuiscefortemente alladiffusione dell’Ebola. E infatti in un altropaese africano dove lasituazione economica èmolto migliore, laNigeria, il contagio èstato fermato grazie aduna mobilitazioneimmediata.

documento di Renzi il giorno stesso del suoinsediamento a Palazzo Chigi conferma que-sta lettura. Contro la distinzione tra destra esinistra, egli propose il modello liberale caroalla cultura cattolica: competizione indivi-duale da un lato e solidarietà cristiana perchi resta indietro o cade, dall’altro. Nessunameraviglia che la leadership renziana goda diun tale consenso.

Ebola è figlia diun’Africa impoveritaEnzo Nucci

Ebola is real. Questo è lo slogan ripetutoossessivamente sui manifesti che tap-pezzano muri, uffici pubblici, automo-bili di Monrovia, capitale della Liberia.

Il governo (prima ancora di fronteggiare ladiffusione del virus) ha dovuto rassicurare icittadini che non era l’ennesimo stratagemmaideato dai suoi politici per succhiare altri fon-di alla comunità internazionale ed arricchirei propri conti correnti. La percezione popola-re ha dapprincipio individuato nei compo-nenti della classe dirigente gli artefici delgrande allarme per continuare ad arricchirsia spese dei poveri. Perché Ebola è innanzitut-to figlio della miseria, ovvero del collasso del-le strutture sanitarie, della mancanza di acquacorrente, fogne ed energia elettrica nelle abi-tazioni. Non è infatti casuale che l’epidemia sisia sviluppata in Liberia, Sierra Leone e Gui-nea, tre fragili nazioni dell’Africa occidentalereduci da decenni di instabilità, guerre civili,dittature sanguinarie e con un presente, chele accomuna, di corruzione e crescita econo-mica assente. Ed oggi la situazione si è ulte-riormente aggravata per la «quarantena» a cuiquesti stati sono sottoposti per la chiusuradelle frontiere e la limitazione di viaggi aereie marittimi adottate da moltissime nazioniper cercare di bloccare il contagio.

In Liberia (che conta il maggior numero divittime ed infetti) dopo 11 anni complessivi diguerre civili (scoppiate in due fasi tra il 1989ed il 2003), grandi speranze per il cambia-mento alimentò nel 2005 l’elezione alla presi-denza della Repubblica di Ellen Johnson Sir-leaf, economista, prima donna alla guida di unpaese africano, riconfermata anche nel 2012.Ma il bilancio di 9 anni di potere è negativo.

Il governo guidato dalla Sirleaf è consideratotra i più corrotti del continente, la disoccupa-zione è al 50%, il tasso di analfabetismo è al-tissimo, mancano i servizi di base essenziali,l’83% dei 4 milioni di abitanti vive sotto i livel-li di sussistenza con un reddito di un dollaroal giorno mentre il paese resta «un paradisofiscale» per i ricchi stranieri che garantisconola continuità della classe dirigente con abbon-danti elargizioni in cambio di immunità tri-butaria.

La Sierra Leone ha conosciuto pochi mo-menti di pace. Negli anni Novanta il debolegoverno si scontrò con i ribelli per il control-lo delle zone minerarie ricchissime di dia-manti. Il conflitto fu risolto dal discusso inter-vento armato dell’Inghilterra, che però ebbeil merito di mettere fine a 11 anni di massacri(1991-2002). Nel 2007 le prime elezioni por-tarono alla presidenza Ernest Bai Korama (ri-confermato anche nel 2012) ma la sicurezzadel processo democratico è stata garantitadalla presenza dei caschi blu dell’Onu. La po-polazione è poverissima e divisa da conflittietnici e tribali. La Cina si sta facendo carico didare strutture al paese in cambio dello sfrut-tamento minerario.

In Guinea le prime elezioni libere, nel 2010,hanno sancito la vittoria alla Presidenza dellaRepubblica di Alpha Condé, oppositore sto-rico del precedente presidente. Ma ancheCondé (che ha conosciuto il carcere e l’esilioin Francia) si è rivelato illiberale quanto il pre-decessore. Sta infatti facendo carte false perfar slittare il prossimo appuntamento eletto-rale, previsto nel 2015, anche armando il suogruppo etnico contro gli altri. A far da contor-no, un’economia da sussistenza.

Nucci è corrispondente della Raiper l’Africa sub sahariana.

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GLI EDITORIALI

La Chiesa anglicana di Inghilterra ha decisodi ammettere le donnealla carica di vescovo.Per alcuni critici, le Chiese protestantiavrebbero la colpa di «inseguire» le ultimissimeevoluzioni dei costumisociali. Ma è propriodall’insegnamento diLutero che si arriva allaconclusione secondo cuianche le donne,essendo battezzate,sono sullo stesso pianodegli uomini.

Kässmann è presidente delConsiglio dei vescovi dell’Ekd, la chiesa protestante tedesca.

In questo debole quadro politico delle trenazioni il virus di Ebola ha trovato spazio perdiffondersi. Non a caso in Nigeria (primo pae-se africano per il Pil, anche se con contrad-dizioni altrettanto marcate) il contagio è sta-to fermato grazie ad una mobilitazione imme-diata dei suoi medici migliori e con l’apportofondamentale di una struttura sanitaria (fi-nanziata dai coniugi Gates) nata nel 2012 percombattere la poliomielite e prontamente ri-convertita all’emergenza Ebola.

Su tutto questo però emerge con prepoten-za l’incapacità della comunità internaziona-le (e dell’Organizzazione mondiale della sa-nità) di far scattare immediatamente l’allar-me, lanciato ufficialmente solo in agosto, do-po che i primi casi erano stati individuati inmarzo. Un colpevole ritardo dovuto non so-lo alla sottovalutazione della potenza viraledi Ebola, ma anche ai tagli apportati al bilan-cio dell’Oms che hanno compromesso le suecapacità di intervento. Ora si aspetta il vac-cino. Ci dicono che sono vicini ad indivi-duarlo ma gli esperti sostengono che ci vo-gliono almeno altri 10 anni di ricerca.

Donne pastore e donne vescoveMargot Kässmann

C i siamo: la chiesa anglicana di Inghilter-ra ammette le donne alla carica di ve-scovo. Poche settimane fa ero in Inghil-terra e ho potuto vivere la tensione pri-

ma della decisione. È ciò che ho vissuto io inprima persona: alcune Chiese accusano quel-le di tradizione riformata, che ammettono ledonne a tutte le cariche, di conformarsi allospirito del tempo. Questo è uno sbaglio. Sitratta di una questione teologica fondamen-tale. Per Martin Lutero diventò sempre piùevidente che il battesimo rappresenta l’even-to e il sacramento principale. In esso Dio pro-mette all’essere umano grazia, amore, soste-gno, senso di vita. Tutti i fallimenti e le stradesbagliate della vita non possono revocarlo. Setorniamo al battesimo, non abbiamo bisognodi espiazione né di alcun sacramento di espia-zione. Noi siamo salvati, siamo – di più – fi-gli di Dio. «Baptizatus sum», sono battezzato.Nelle ore più dure della sua vita Martin Lute-ro così si ripeteva e ne ha trovato sostegno.

Chiunque è stato tratto dal battesimo èprete, vescovo, papa, ha chiarito Lutero. Daquesto, Lutero ha sviluppato anche il rispet-to per le donne. Essendo battezzate, esse so-no sullo stesso piano degli uomini. Una po-sizione inaudita per quel tempo! Le donnenon vergini erano considerate impure, dila-gava la caccia alla stregoneria, dalla quale Lu-tero non si distanziò in maniera decisa, pur-troppo. Solo dopo un lungo dibattimento èstata attribuita anche alle donne un’animanon mortale.

Affermare in quel tempo che in quantobattezzati si è uguali di fronte a Dio fu ad untempo una rivoluzione teologica e una rivo-luzione sociale. È da questa comprensionedel battesimo che si sviluppò nei secoli laconvinzione che le donne potessero ricopri-re di fatto ogni carica ecclesiastica. Il batte-simo attesta ciò che Paolo scrive ai Galati: inCristo non c’è uomo o donna (3,28).

Nel Medioevo il celibato era consideratouna via maggiormente stimata da Dio, percosì dire una via diretta al paradiso. Moltiriformatori sposandosi testimoniarono comeanche la vita in famiglia, con sessualità e pro-le, fosse una vita benedetta da Dio. Il matri-monio pubblico di preti, monaci e suore, chefino ad allora vivevano il celibato, fu un se-gnale teologico. La teologa Ute Gause haspiegato come questa sia stata un’azione sim-bolica «che ha voluto chiarire per la Riformaqualcosa di fondamentale: l’essere rivolti almondo e la carnalità della nuova fede» (UteGause, Antrittsvorlesung, unveröffentlichesManuskript, pag. 2)

Ora è attribuito ai protestanti di essere me-no «carnali» dei cattolici romani o degli or-todossi. Eppure i riformatori hanno volutomettere in chiaro che la vita laica non è me-no degna di quella sacerdotale o monacale.Si tratta per loro di vivere la fede come uomoe donna nel quotidiano del mondo.

Questo è gravido di conseguenze. Una èper esempio che nei primi ordini ecclesia-stici protestanti le levatrici fossero rivaluta-te in quanto servitrici della Chiesa. Unadonna che ha partorito non è più vista co-me impura, ma va assistita e bisogna pren-dersi cura di lei.

Lutero è riuscito in questo ad essere incre-dibilmente moderno. Per esempio quandotratta della questione se uomini adulti si ren-dano o meno ridicoli lavando i pannolini. Leparole di Lutero: «Se arrivasse un uomo e la-

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GLI EDITORIALI

Tra gli eventitumultuosi che si susseguono in Medio Oriente,focalizziamol’attenzione su Kobane,perché il problema degli aiuti alla cittàsiriana, abitata da curdi, e assediata dai guerriglieri del «Califfato»,evidenzia le difficoltàposte ad Ankara da una situazione che complica la sua politica interna e quella internazionale.

vasse i pannolini, o facesse altre cose disde-gnabili, e tutti si prendessero beffe di lui, e loritenessero uno strano e effemminato, seb-bene egli agisca nella fede cristiana; ebbeneio dico, chi schernisce qui l’altro in manierapiù sottile? Dio si rallegra con tutti gli ange-li e le creature non perché egli lava i panno-lini, ma perché lo fa nella fede. Quello scher-nitore invece, che vede solo l’opera e non lafede, lo deride Dio con tutte le creature co-me il più stolto sulla terra; sì, si prendonobeffe solo di se stessi e sono degli idioti deldiavolo con la loro saggezza» (Weimarer Au-sgabe - WA 10, II, pag. 296). Qui ne va se iovivo la mia vita nella responsabilità di frontea Dio e nella fede in Dio.

Sarà chiaro per l’anniversario della Rifor-ma del 2017 che il segno distintivo della chie-sa protestate è che le donne, su base teologi-camente fondata, possono essere pastore. Esecondo la comprensione protestante dellacarica ecclesiastica non c’è uno status sacer-dotale, e ci sono pastore e anche vescove: co-me conseguenza della teologia, protestante,del battesimo.

Medio Oriente:Kobane e... StoccolmaDavid Gabrielli

S enza poter qui riassumere quanto èsuccesso, in un mese, nel turbolentoMedio Oriente, vogliamo però accen-nare alla Turchia – della quale aveva-

mo parlato diffusamente nel numero di ot-tobre – ed a Israele-Palestina. Problemi deltutto diversi, eventi non omologabili, cheperò contribuiscono ad illuminare quantosta accadendo in quella zona, così esplosiva,del mondo.

Dicevamo della posizione ambigua diAnkara, dove siede il neo-presidente – elet-to, in agosto, dal popolo – Recep Tayyip Er-dogan, già premier per undici anni, e in que-st’ultima carica sostituito da Ahmet Davu-toglu, ex ministro degli Esteri: la Turchia,pur facendo parte della Nato, e dunqueidealmente alleata di ferro degli Usa, avevarifiutato che dal suo territorio partissero at-tacchi statunitensi contro il cosiddetto Sta-to islamico (già Isis, Stato islamico della Si-ria e del Levante), cioè l’autoproclamatosi

«Califfato» che ormai controlla vaste zonedel nord della Siria e dell’Iraq (ma qui è giàa settanta chilometri da Baghdad). Una pru-denza motivata dal fatto che era in corsouna trattativa, poi riuscita, di liberare qua-rantanove diplomatici e militari turchi pre-si come ostaggi dall’Isis. Nel frattemposcoppiava la vicenda di Kobane, siriana maad un passo dal confine turco, e abitata pre-valentemente da curdi. La città, infatti, è sta-ta assaltata dai guerriglieri del «Califfato», equindi destinata infine a diventarne bottinodi guerra – con tutto ciò che questo, per l’I-sis, significa. Il mese di ottobre è stato carat-terizzato, in Turchia, da manifestazioni deicurdi scesi nelle piazze per protestare con-tro l’inerzia del governo di Ankara di fronteal «martirio» dei loro fratelli siriani. I carriarmati turchi erano al confine, di fronte aKobane accerchiata, ma non intervenivano:non solo cresceva la rabbia dei curdi turchi,ma anche l’indignazione della comunità in-

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GLI EDITORIALI

Altro e distinto scenario,che rischiara il quadromediorientale: la Svezia ha riconosciutolo Stato di Palestina, e a Londra la Camera dei Comuni ha chiesto al governo di farealtrettanto. Due esempi che dovrebbero far riflettere l’Unione europea, e l’Italia.

ternazionale, e soprattutto di Barack Oba-ma. Infine, «costretto» dalla Casa Bianca, il20 ottobre il governo turco ha deciso: i pe-shmerga (guerriglieri curdi iracheni) po-tranno, dal territorio turco, accorrere in aiu-to dei curdi della città siriana assediata.

Curdi iracheni, dunque, non turchi: Erdo-gan vuole assolutamente evitare il rafforza-mento della causa curda nella penisola ana-tolica; e, tuttavia, Ankara fa affari d’oro conil Kurdistan iracheno che, praticamente in-dipendente da Baghdad, gestisce pozzi di pe-trolio e vende l’oil alla Turchia. Il tutto acca-de mentre sono in atto trattative tra questa eAbdullah Ocalan, leader del Pkk (Partito deilavoratori del Kurdistan) che dal 1999 è inprigione – unico detenuto! – nel carcere diImrali, un’isoletta del Mar di Marmara. Do-po decenni che i miliziani del Pkk si sonobattuti per ottenere l’indipendenza del Kur-distan turco – e lo scontro con l’esercito haprovocato migliaia di vittime – dal 2013 vigeuna tregua. L’ipotesi è che i colloqui in corsoportino ad una pace stabile, che garantisca alKurdistan turco un’ampia autonomia e il ri-conoscimento della cultura e lingua curda,ma rassicuri Erdogan sull’integrità territoria-le della Turchia.

È su questo sfondo che l’establishment diAnkara si chiede se un collegamento tra cur-di turchi e siriani, e in prospettiva iracheni,non sconvolga la situazione, e sfoci un gior-no, sia pure lontano, in uno Stato che uniscai curdi iracheni, siriani e curdi. L’ipotesi, avve-niristica e forse utopica, presenta ovviamen-te moltissime incognite, per l’avversità ad es-sa dei paesi mediorientali interessati, e per lecorpose rivalità intra-curde (tra parentesi; chefarebbero i curdi iraniani?). D’altronde, inte-ressato alla caduta del regime siriano guidatoda Bashar al-Assad, Erdogan teme ogni azio-ne che in definitiva rafforzi il rais, dato checolpire i guerriglieri del «Califfato» significadi fatto aiutare Damasco. Perciò, da qualsiasipunto di vista si consideri il puzzle militare egeopolitico che, ora, ha come epicentro Ko-bane, esso appare assai intricato e, quale chesia la sua soluzione, aperto ad esiti bifronti.

Cambiamo scenario, dal Mar di Marmaraal Baltico! Ai primi di ottobre il neo-premiersvedese, Stefan Lofven, ha annunciato che ilsuo paese riconosce lo Stato di Palestina.Grande sconcerto in Israele, dove l’irritatis-simo ministro degli Esteri, Avigdor Lieber-man, ha convocato l’ambasciatore svedesenel paese, Carl Magnus Nesser, per spiegar-

gli che la Svezia non ha an-cora «compreso che chi hacostituito negli ultimi ventianni un ostacolo tra gli israe-liani e i palestinesi sono pro-prio questi ultimi». Plaudeinvece alla Svezia ZahavaGal-On, la presidente delpiccolo partito israeliano disinistra Meretz: la scelta diStoccolma potrebbe creare«un effetto a catena che por-ti il resto degli Stati dell’U-nione europea a riconoscerelo Stato palestinese».

Poi, a metà ottobre a Lon-dra la Camera dei Comuniha approvato una mozioneche chiede al governo, ac-canto al ribadito riconosci-mento di Israele, di ricono-scere la Palestina. Decisionesenza immediate conseguen-ze, ma simbolicamente im-portante.

Adesso, che farà l’Unioneeuropea? E l’Italia?

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GLI EDITORIALI

Il 3 ottobre scorso i 366morti della strage diLampedusa –l’affondamento delpeschereccio avvenutoun anno prima a pochemiglia dall’isola – sonostati ricordati dasuperstiti e familiari.Ma l’Europa, invece dimettere al centro laprotezione dellepersone, confermal’approccio repressivo epoliziesco e preparaun’operazione dischedatura che ha comevero obiettivo lacriminalizzazione di chifugge da guerre emiseria.

Immigrati: la politicarepressiva dell’EuropaFranca Di Lecce

L a strage del 3 ottobre di un anno fa, incui persero la vita 366 persone, è statacommemorata con diverse iniziative,non solo a Lampedusa ma in numero-

se città italiane ed europee. Ma Lampedusa,l’isola eternamente sospesa tra isolamento esovraesposizione mediatica, da periferia ul-tima ed estrema è diventata ormai il centrodel mondo.

E non è un caso se quest’anno la giuria del-la 14a Mostra internazionale di architetturaha assegnato una menzione speciale a Inter-mundia, un progetto di ricerca che dà vocealle tragedie di Lampedusa, anche con unainstallazione che evoca la realtà di chi attra-versa i confini del Mediterraneo da Sud aNord, offrendo al visitatore un’esperienzasensoriale. Il visitatore si trova in una picco-la stanza buia e claustrofobica per provare avivere gli interminabili istanti del naufragio,reso con un suono assordante e una luce im-provvisa e accecante.

Dopo quella strage, non la prima né l’ulti-ma, il governo italiano ha messo in campol’operazione «Mare Nostrum», che in un an-no di attività ha soccorso circa 140mila per-sone, suscitando un ampio dibattito anche inambito europeo. Ma aldilà dei suoi detratto-ri o sostenitori e della parzialità dell’interven-to, «Mare Nostrum» ha provato a mettere alcentro le operazioni di soccorso e salvatag-gio di persone in fuga. E infatti le guerre e iconflitti sempre più drammatici che stannosconvolgendo l’Africa e il Medio Oriente, an-che con il sostegno dell’Europa, sono all’ori-gine dell’aumento dei flussi verso l’Europa el’Italia continuerà a essere un punto di acces-so importante per le persone in fuga. Mette-re al centro la protezione delle persone e nonl’ossessione dei confini, fare del soccorso edel salvataggio la priorità delle politiche na-zionali ed europee poteva – e doveva – esse-re il punto da cui ripartire il 3 ottobre di que-st’anno. E invece, ancora una volta, l’Europaconferma e rafforza l’approccio repressivo epoliziesco, in tragica continuità con le poli-tiche disumane e fallimentari adottate da ol-tre quindici anni. A pochi giorni dalla com-

memorazione della strage che aveva indigna-to e commosso il mondo e dall’annincio del-la conclusione di «Mare Nostrum», è parti-ta, infatti, l’operazione «Mos Maiorum» pro-mossa dal Consiglio dell’Unione europea esotto la direzione dell’Italia. Un’operazionelampo di due settimane che prevede il dispie-gamento di 18mila poliziotti degli Statimembri con l’obiettivo di fermare, identifica-re, arrestare migranti irregolari nei porti, ae-roporti, stazioni delle città europee, di racco-gliere informazioni rilevanti sui percorsi e lerotte, di individuare il modus operandi dellereti dei trafficanti. Una grande retata e unaorribile operazione di schedatura che ha co-me vero obiettivo la criminalizzazione di chivarca un confine. Di chi fugge da guerre emiseria e spesso rischia la vita affidandosi, inassenza di alternative, alle organizzazioni cri-minali che di quelle politiche repressive con-tinuano ad avvantaggiarsi.

Il peschereccio su cui persero la vita 366persone poco più di un anno fa giace in fon-do al mare e proprio in quel punto il 3 otto-bre di quest’anno sono tornati i superstiti e ifamiliari per ricordare con canti funebri i lo-ro morti, per raccontare una storia diversa. Apartire da quella storia si riscrivono le poli-tiche. La storia di quello che hanno visto i so-pravvissuti del 3 ottobre e di tutti i naufragidel Mediterraneo, di quello che non potran-no più dimenticare e recheranno con séovunque andranno: l’orrore della morte deicompagni e dei fratelli, l’orrore dell’indifferen-za. Come si vive portando il peso di quelleimmagini e la responsabilità di custodirne lamemoria? Quelle immagini saranno i lorofantasmi o troveranno spazio di espressioneche li metterà al riparo? Da queste domandebisogna ripartire. Zerit, numero 83 nell’elen-co dei sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre,ha ora 29 anni e ha trovato riparo in Olanda,ma non vuole più guardare in faccia il mare.Lui, biologo marino che amava il mare, è an-dato via, lontano da Lampedusa e dall’Italia.Zerit vuole «dimenticare il ricordo del ritmoaffannato di una bracciata dopo l’altra», diquella notte in cui rimase solo, perdendo persempre Samuel, suo fratello. Nessuna instal-lazione, nessuna esperienza sensoriale indot-ta, se pure artistica, potrà mai restituire l’or-rore e la solitudine di Zerit, né il suono assor-dante e la luce accecante della Biennale di Ve-nezia potranno mai divenire interruttori perla comprensione dell’altro.

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CHIESA CATTOLICA

Luigi Sandri

D a Sinodo a Sinodo, con l’intermezzodi un anno durante il quale potrebbe-ro sfiorire o, grazie al «popolo diDio», venire a piena maturazione in-

cisive riforme sulla pastorale della famiglia.Questa, ci sembra, la singolare situazione ve-nuta a crearsi dopo l’Assemblea straordina-ria del Sinodo dei vescovi che dal 5 al 19 ot-tobre ha riflettuto su «Le sfide pastorali sul-la famiglia nel contesto dell’evangelizzazio-ne». Infatti, con una inedita e appassionantestagione di dialogo, per dodici mesi la Chie-sa cattolica romana nella sua globalità – conle 114 Conferenze episcopali e le diocesi el’atteso coinvolgimento delle varie comunità,parrocchiali o meno, e di tutta la gente chevoglia parteciparvi – potrebbe approfondirela Relatio Synodi, così che l’Assemblea ordi-naria del Sinodo del 2015, anch’essa consul-tiva, e anch’essa dedicata alla famiglia, possaoffrire a papa Francesco le sue proposte sultema affrontato.

La sorprendente iniziativa di FrancescoLe venticinque Assemblee sinodali celebratedal 1967 al 2012 sono state tutte di caratte-re consultivo (vedi scheda) e, salvo qualcheeccezione – come quella del Sinodo del 1971,quando si levarono voci favorevoli ai viri pro-bati, cioè l’ammissione di uomini maturi egià sposati al presbiterato – tutte controllatedalla Curia romana. Il «popolo di Dio», ecioè i fedeli delle diocesi, e anche le rappre-sentanze più qualificate, come i Consigli pa-storali e presbiterali, di norma furono esclu-si dal dibattito pre-sinodale. Bergoglio, inve-ce, ha apportato una variante decisiva: ha vo-luto che non solo le Conferenze episcopali,ma anche le varie comunità – diocesane, par-rocchiali, di base, o altre – e singole persone

potessero rispondere ad un Questionario di39 domande in vista del Sinodo 2014. Assaidifferente, nei singoli paesi, è stata l’acco-glienza dell’invito: d’altronde, mentre alcuniepiscopati (in Austria, Svizzera, Germania...)hanno favorito al massimo la diffusione delQuestionario, altri, e tra questi ha brillatoquello italiano, hanno praticamente tenutonascosto l’iniziativa e, comunque, non han-no reso note le risposte avute. Risposte che,almeno in Occidente, hanno mostrato che lagrande maggioranza della gente era favore-vole ad ammettere all’Eucaristia le personedivorziate e risposate; ad accettare le unioniomosessuali; e contraria al divieto della con-traccezione affermato da Paolo VI nel 1968con l’enciclica Humanae vitae.

Insomma, per quanto limitato e, in alcunedomande, restrittivo e contorto, il Questio-nario voluto da Francesco ha rappresentatouna svolta dirimente e, in radice, un promet-tente coinvolgimento del «popolo di Dio»nelle questioni che riguardano l’intera Chie-sa romana; e, cioè, l’avvio su larga scala diquella compartecipazione dei fedeli che nelpost-Concilio in Germania, Olanda, Svizze-ra e Stati Uniti aveva portato a Sinodi o im-pegnative consultazioni locali sui problemiecclesiali e pastorali più sentiti dai cattolici.E, nei loro risultati contrari alla prassi e alladisciplina vigente, sono stati sempre, e tutti,respinti dalla Curia romana.

Adesso, nella prima settimana sinodale viè stato il dibattito in aula; e nella secondal’approfondimento nei circuli minores, i rag-gruppamenti linguistici (italiano, francese,inglese e spagnolo). Il 6 ottobre, con un di-scorso improvvisato ma incisivo, Francescoha spiegato come il Sinodo doveva lavorare:«Una condizione generale di base è questa:parlare chiaro. Nessuno dica: “Questo non sipuò dire; [il papa] penserà di me così o così...”.Bisogna dire tutto ciò che si sente con parre-sìa [coraggiosa libertà di parola]. Dopo l’ul-timo concistoro (febbraio 2014), nel quale siè parlato della famiglia, un cardinale mi hascritto dicendo: peccato che alcuni cardinalinon hanno avuto il coraggio di dire alcune

L’Assemblea del Sinodo dei vescovi dedicata alla famiglia, su inputdi Francesco, ha affrontato con ardimento anche i problemi piùacuti, come la comunione ai divorziati e l’accettazione delle unio-ni omosessuali. E, su questi temi, si è divisa. Le decisioni sono rin-viate al 2015. Ma, forse, infine sarà necessario un nuovo Concilio.

Se dal Sinodo parte unarivoluzione «pastorale»

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Chiesa cattolica.Se dal Sinodo parte una rivoluzione «pastorale»

cose per rispetto del papa, ritenendo forseche egli pensasse qualcosa di diverso. Que-sto non va bene, questo non è sinodalità,perché bisogna dire tutto quello che nel Si-gnore si sente di dover dire: senza rispettoumano, senza pavidità. E, al tempo stesso, sideve ascoltare con umiltà e accogliere concuore aperto quello che dicono i fratelli. Conquesti due atteggiamenti si esercita la sino-dalità. Per questo vi domando, per favore,questi atteggiamenti di fratelli nel Signore:parlare con parresia e ascoltare con umiltà.E fatelo con tanta tranquillità e pace, perchéil Sinodo si svolge sempre cum Petro et subPetro, e la presenza del papa è garanzia pertutti e custodia della fede».

Il papa è stato preso in parola: nel Sinodo,sui temi «caldi» – comunione alle personedivorziate e risposate, apertura alle unioniomosessuali, valutazione più positiva delleconvivenze – sono emerse opinioni inconci-liabili; e cardinali si sono contrapposti a car-dinali, con una grinta che non si vedeva daitempi del Concilio Vaticano II. Una meravi-glia, rispetto al grigiore ovattato e alle paro-le cifrate (per i non addetti) che, di solito, nelpost-Concilio hanno caratterizzato le As-semblee sinodali. Ma la parresia interna nonha avuto il necessario pendant all’esterno:infatti, mentre nei Sinodi precedenti si pub-blicava, almeno in riassunto, quando dettoin aula dai singoli padri, adesso questo nonè stato fatto; ogni giornata vi era un riassun-to che, senza riferire la paternità dei singoliinterventi, affermava: «Alcuni hanno detto...altri hanno replicato...». Insomma, una pe-nosa scelta del «segreto».

Il futuro: «progressisti» e «conservatori»Nei primi giorni del dibattito in aula sono sta-ti i «progressisti» a tratteggiare la linea, so-prattutto sui temi controversi; poi si sonomossi i «conservatori», iniziando dal cardina-le Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Con-gregazione per la dottrina della fede. Questi– per dire a che punto fosse arrivata la febbrein alcune alte sfere ecclesiastiche angosciateper le «aperture» di Francesco – insieme adaltri quattro porporati (tre di Curia: WalterBrandmüller, Raymond Leo Burke e VelasioDe Paolis, e poi l’arcivescovo di Bologna, Car-lo Caffarra), il primo ottobre pubblicavano initaliano Permanere nella verità di Cristo, unlibro (già uscito in inglese due settimane pri-ma) che è un attacco indiretto al papa e diret-

to al cardinale Walter Kasper. Questi, comerelatore sulla questione famiglia/Sinodo alconcistoro del 20 febbraio scorso, aveva soste-nuto tesi aperturiste sulla comunione alle per-sone divorziate e risposate. Dati questi prece-denti, quale tesi sarebbe prevalsa nel Sinodo?La risposta, il 13 ottobre.

Quel lunedì, infatti, il porporato unghere-se Péter Erdö, nominato dal papa relatore ge-nerale del Sinodo, aveva il compito istituzio-nale di svolgere la Relatio post disceptatio-nem, la relazione – approntata da un gruppoguidato dal cardinale – sul (e dopo il) dibat-tito in aula. Il testo, assai corposo perché toc-cava tutti i temi dibattuti, sui punti «caldi»era innovativo. Convivenze. «Una sensibilità nuova dellapastorale odierna, consiste nel cogliere larealtà positiva dei matrimoni civili e, fatte ledebite differenze, delle convivenze. Occor-re che nella proposta ecclesiale, pur presen-tando con chiarezza l’ideale, indichiamo an-che elementi costruttivi in quelle situazioniche non corrispondono ancora o non più a

i servizi novembre 2014 confronti

L’Assemblea«straordinaria» (cioè con limitatarappresentanza delleConferenze episcopali)del Sinodo dei vescovi, e dedicata al tema della famiglia,celebrata a Roma dal 5 al 19 ottobre, si è conclusa con una«Relatio Synodi» cheraccoglie le conclusionidel dibattito. Questo testo sarà la base di discussione di un’ulterioreAssemblea sinodale – «ordinaria» (con maggiorrappresentanza delle Conferenze) – che si terrà nell’ottobre del 2015.