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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale www.novitafiscali.supsi.ch N° 5 – maggio 2015 Politica fiscale Il nuovo Accordo sui frontalieri e i “quasi residenti” 3 Due mozioni per la semplificazione delle successioni aziendali 4 Diritto tributario svizzero Gli aspetti fiscali legati alle partecipazioni dei collaboratori 5 Diritto tributario internazionale e dell’UE Fiscalità internazionale e redditi di lavoro dipendente: datore di lavoro economico e formale in Svizzera 8 IVA e imposte indirette Prime osservazioni sull’impatto dirompente dello split payment 13 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano Delega all’operatività su conti esteri, obblighi di compilazione del quadro RW ed effetti sulla procedura di collaborazione volontaria 18 Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE L’incompatibilità con la libera circolazione dei capitali delle restrizioni tributarie procedurali al possesso di quote di fondi di investimento esteri 20 Pubblicazioni Contravvenzioni e delitti fiscali nell’era dello scambio internazionale d’informazioni 23 Offerta formativa Al via a settembre l’ottava edizione del Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law 25 Seminari e corsi di diritto tributario 26

Novità fiscali - SUPSI · Il nuovo Accordo sui frontalieri e i “quasi residenti” 3 ... effetti sulla Voluntary Disclosure. Completa l’edizione ... incassi il 70% delle imposte

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento economia aziendale, sanità e socialeCentro competenze tributarie

Novità fiscaliL’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale

www.novitafiscali.supsi.ch

N° 5 – maggio 2015

Politica fiscaleIl nuovo Accordo sui frontalieri e i “quasi residenti” 3

Due mozioni per la semplificazione delle successioni aziendali 4

Diritto tributario svizzero Gli aspetti fiscali legati alle partecipazioni dei collaboratori 5

Diritto tributario internazionale e dell’UE Fiscalità internazionale e redditi di lavoro dipendente: datore di lavoro economico e formale in Svizzera 8

IVA e imposte indirettePrime osservazioni sull’impatto dirompente dello split payment 13

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italianoDelega all’operatività su conti esteri,obblighi di compilazione del quadro RW ed effettisulla procedura di collaborazione volontaria 18

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UEL’incompatibilità con la libera circolazione dei capitali delle restrizioni tributarie procedurali al possesso di quote di fondi di investimento esteri 20

Pubblicazioni Contravvenzioni e delitti fiscali nell’eradello scambio internazionale d’informazioni 23

Offerta formativaAl via a settembre l’ottava edizione del Masterof Advanced Studies SUPSI in Tax Law 25

Seminari e corsi di diritto tributario 26

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Questo mese NF pubblica interessanti contributi su temi di attualità di diritto svizzero ed estero. Sul piano interno Samuele Vorpe svolge una rifles-sione sulle possibili implicazioni, nei rapporti con l’Italia dopo la firma dell’Accordo fiscale del 2015, della recente sentenza del Tribunale federale inerente alle condizioni di tassazione dei frontalieri, dove viene in particolare sancito il loro diritto di porre in dedu- zione le stesse voci di chi è assoggettato in modo ordinario. Segue poi un articolo di Siegfried Alberton e Marco Ballabio in merito a due mozioni per la semplificazione delle successioni aziendali. Altret-tanto interessante è il contributo di Denise Pagani Zambelli in merito al trattamento dei piani di par-tecipazione, riferiti quindi in particolare ad azioni od opzioni, dal profilo dell’identificazione del mo-mento della realizzazione. Su di un piano più in-ternazionale Marco Moschen affronta il tema delle prassi svizzere relative all’imposizione dei lavoratori distaccati all’estero, rispettivamente dall’estero, per brevi periodi, ed in concretizzazione dei principi previsti dal Modello OCSE. Giorgio Vaselli espone invece, integrandole con una propria analisi critica, le recenti novelle legislative italiane entrate in vigore nel 2015 finalizzate a contrastare l’evasione dell’IVA nella forma del mancato versamento allo Stato dell’imposta caricata ai clienti. Roberto Franzè si sofferma poi sulla delega all'operatività su conti esteri, obbligati di compilazione del quadro RW ed effetti sulla Voluntary Disclosure. Completa l’edizione un articolo di Paolo Arginelli sulla sentenza della CGUE che ha considerato incompatibile con la libera circolazione dei capitali una norma fiscale nazionale, prevedente anche per redditi percepiti da fondi non residenti, un obbligo di tassazione forfettaria di tali redditi.

Flavio Amadò

RedazioneSUPSICentro di competenzetributariePalazzo E6928 MannoT +41 58 666 61 75F +41 58 666 61 [email protected]

ISSN 2235-4565 (Print)ISSN 2235-4573 (Online)

Redattore responsabileSamuele Vorpe

Comitato redazionaleFlavio AmadòElisa AntoniniPaolo ArginelliSacha CattelanRocco FilippiniRoberto FranzèMarco GreggiGiordano MacchiGiovanni MoloAndrea PedroliSabina RigozziCurzio ToffoliSamuele Vorpe

Impaginazione e layoutLaboratorio cultura visiva

IntroduzioneNovità fiscali05/2015

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3Politica fiscaleIl nuovo Accordo sui frontalieri e i “quasi residenti”

Samuele VorpeResponsabile del Centro di competenzetributarie della SUPSI

Le disposizioni del nuovo Accordo sui frontalieri, che attribuiscono all’Italia la potestà impositiva dei red-diti del lavoro dei frontalieri, potrebbero permettere allo Stato svizzero di evitare di considerare questi lavoratori come dei “quasi residenti”?

Da qualche mese a Berna è pendente il disegno di legge con-cernente la revisione dell’imposizione alla fonte del reddito da attività lucrativa che prevede, tra le altre cose, di codificare nel diritto fiscale svizzero la nozione di “quasi residente”. Questa esi-genza è dettata da una sentenza del 26 gennaio 2010, secondo la quale l’Alta Corte ha rilevato che il sistema svizzero di imposta alla fonte viola, in determinati casi, l’Accordo sulla libera circolazione delle persone che la Svizzera ha concluso con l’Unione europea.

Secondo il Tribunale federale le persone assoggettate all’impo-sta alla fonte, che non sono fiscalmente residenti in Svizzera, ma che nel nostro Paese conseguono oltre il 90% dei loro proventi mondiali (cosiddetti “quasi residenti”), devono aver diritto alle me-desime disposizioni fiscali applicabili alle persone che, in Svizze-ra, sono assoggettate ad imposta in maniera ordinaria. Si pensi per esempio alle deduzioni per le spese effettive di trasporto dal domicilio al luogo di lavoro, gli interessi passivi, gli alimenti, gli oneri assicurativi e gli interessi su capitali a risparmio, le spese per malattia e infortunio, eccetera. Siccome lo Stato di residenza non può prendere in considerazione la loro situazione personale e familiare perché non ci sono sufficienti redditi imponibili, spet-ta alla Svizzera considerarli come suoi “quasi residenti”.

L’attuale Accordo tra Italia e Svizzera sui frontalieri del 1974 stabilisce che i redditi del lavoro di un frontaliere sono impo-nibili soltanto dove viene svolta l’attività lucrativa dipendente. Ne consegue che una persona frontaliera che lavora in Svizzera, pagherà le imposte solo qui (con ristorno del 38.8% al Comu-ne di residenza italiano). Pagando le imposte solo in Svizzera è corretto che il nostro Paese consideri la situazione personale e familiare del frontaliere se il reddito conseguito in Svizzera costituisce più del 90% dei suoi proventi mondiali.

Ora, il nuovo Accordo dovrebbe però prevedere che la Svizzera incassi il 70% delle imposte e che il frontaliere, a sua volta, debba dichiarare il reddito del lavoro in Italia. Quest’ultima gli con-

cederà un credito d’imposta per le imposte pagate in Svizzera. Dovendo la persona dichiarare (anche) in Italia, viene a meno la necessità per la Svizzera di considerare la sua situazione personale e familiare, poiché, questa, verrà tenuta in debita considerazione dall’Italia che concederà al frontaliere deduzioni e detrazioni previste dal suo diritto interno, cosa che invece con l’Accordo del 1974 non succedeva.

Sarà dunque importante completare il disegno di legge con una disposizione che precisi ulteriormente le condizioni della tassazione ordinaria del “quasi residente”. Qualora lo Stato di re-sidenza applichi il metodo del credito d’imposta e si trovi nella condizione di prendere in considerazione la situazione perso-nale e familiare del contribuente residente, potendo garantire la piena deducibilità di questo credito, la Svizzera non deve considerare la sua situazione personale e familiare, a mag-gior ragione avendo lo Stato di residenza a disposizione tutte le informazioni necessarie per valutare la capacità contributiva globale del contribuente.

Per maggiori informazioni:Dipartimento federale delle finanze (DFF), Messaggio del Consiglio federale con-cernente la revisione dell’imposizione alla fonte del reddito da attività lucrativa, Comunicato stampa, Berna, 28 novembre 2014, in: https://www.news.admin.ch/message/index.html?lang=it&msg-id=55439 [18.05.2015]

Articolo pubblicato il 14.04.2015sul Giornale del Popolo

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4 Politica fiscaleDue mozioni per la semplificazione delle successioni aziendali

Soluzioni puntuali ad un problema ben più complesso

Il 29 aprile 2014 si è conclusa, con esito molto positivo, la procedura di consultazione relativa alle mozioni; “Agevolare la successione d’impresa” e “Modernizzare il diritto delle dit-te commerciali”, le quali propongono delle modifiche al Co-dice svizzero delle obbligazioni (di seguito CO). Tra gli sco-pi perseguiti da quest’uniformazione del diritto delle ditte commerciali (ovvero le regole relative al nome dell’entità giuridica iscritta al Registro di commercio), vi è l’intenzione di semplificare il processo di successione in seno alle imprese individuali, le società in nome collettivo, le società in acco-mandita e quelle in accomandita per azioni. Tale obiettivo è perseguibile in particolar modo consentendo di mantenere a tempo indeterminato la ditta scelta originariamente, così da poter preservare il valore conseguito e consolidato dall’azien- da sotto il nome conosciuto fino a quel momento.

Per quanto concerne le imprese individuali e le società di per-sone, il mantenimento della ditta commerciale dovrà essere possibile nonostante eventuali modifiche relative alla cer-chia dei soci o in caso di cambiamento della forma giuridica. Quest’ultima dovrà potersi evincere dalla ditta stessa, poiché è prevista l’aggiunta obbligatoria di una sigla indicante la forma giuridica scelta. Tali modifiche permetteranno di fornire all’economia svizzera delle condizioni quadro ottimali per rafforzarsi, tra le quali la riduzione della burocrazia, la pianifi-cazione e la regolamentazione della trasmissione.

L’ottima risposta ottenuta al termine della consultazione delle due mozioni, va accolta in modo molto positivo. I risul- tati conseguiti lasciano intendere che a livello politico ci si sta muovendo per rispondere ad una sfida, quella delle tra-smissioni aziendali, urgente e molto rilevante per il tessuto economico nazionale e cantonale. Basti considerare che, se-condo i dati presentati nel 2012 dal Centro competenze inno3 della SUPSI nell’articolo “Il passaggio generazionale nelle imprese: la situazione nel Cantone Ticino”, entro il 2018 circa 5'000 impre-se ticinesi avrebbero dovuto essere trasmesse. In particola-re, un terzo delle imprese si troverebbe in una situazione di rischio poiché la modalità di trasmissione dell’impresa non è ancora stata scelta.

La volontà politica si può leggere anche dal suggerimento di voto del Consiglio federale e del Parlamento concernente l’i-niziativa popolare “Tassare le eredità milionarie per finanziare la nostra AVS (Riforma dell’imposta sulle successioni)”, in votazione il prossimo 14 giugno. L’iniziativa popolare, sin dall’inizio della raccolta delle firme nel 2011, ha, infatti, destato non poche pre-occupazioni nel mondo economico ed in particolare presso le aziende familiari.

Tuttavia, quanto discusso sin qui va a toccare degli aspetti specifici di un problema ben più ampio e complesso, non ri-solvibile quindi con l’introduzione sporadica di norme puntuali. La trasmissione d’azienda si compone, infatti, di diversi ele-menti che spaziano da quelli più tecnici, come quelli tratta-ti nelle mozioni in consultazione lo scorso 29 aprile, a quelli di carattere più gestionale e relazionale. Per questo motivo, per risolvere la complessità della trasmissione aziendale, sareb- be auspicabile la ricerca di una soluzione multidisciplinare che permetta di affrontare il problema da diverse prospettive. Ad esempio andrebbero affrontati attentamente gli aspetti di sensibilizzazione e formazione degli attori coinvolti. La sensi-bilizzazione va rivolta maggiormente agli attuali imprenditori, così da indurli a interrogarsi sula continuità della propria at-tività e fare in modo che si attivino per tempo a trovare delle soluzioni percorribili per la gestione della trasmissione della propria azienda. Andrebbero poi sviluppati alcuni temi relativi alla formazione, in particolare a quella dei riprenditori, quin-di della nuova generazione di imprenditori, affinché possano sviluppare una sensibilità strategica alla gestione aziendale. Ciò non vuol dire che tutti i futuri imprenditori debbano essere degli economisti o degli economisti aziendali, bensì che biso-gna infonder in coloro che vogliono riprendere o avviare un’at-tività, una visione e una cultura strategica della loro condu-zione, considerando il processo successorio una fase naturale dello sviluppo imprenditoriale da pianificare e gestire come le altre fasi: nascita e avvio, crescita, maturità, rilancio.

Per maggiori informazioni:Messaggio del Consiglio federale concernente l'agevolazione alla successione d'impresa, n. 14.090, del 19 novembre 2014, in: Foglio federale 2014 8039 https://www.news.admin.ch/message/index.html?lang=it&msg-id=55283[18.05.2015]

Siegfried Alberton Professore SUPSI

Marco Ballabio Assistente SUPSI

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5Diritto tributario svizzeroGli aspetti fiscali legati alle partecipazioni dei collaboratori

Denise Pagani Zambelli AvvocatoMaster of Advanced Studies SUPSI in Tax LawALTENBURGER LTD legal + tax, Lugano

Dal 1. gennaio 2013 sono in vigore le nuove disposizioni federali sull’imposizione delle partecipazioni dei colla-boratori. Tali disposizioni, integrate nella LIFD e nella LAID, hanno perfezionato le disposizioni in materia di imposizione del reddito

1.Cenni storici e status quo alla fine del 2012Ai sensi degli articoli 17 capoverso 1 della Legge federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD) e 7 capoverso 1 della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte diret-te dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID), sono imponibili tutti i proventi da attività dipendente retti sia dal diritto priva-to che dal diritto pubblico, compresi i relativi proventi accessori (indennità, provvigioni, assegni, gratificazioni e, più in genera-le, qualsiasi prestazione valutabile in denaro ottenuta a segui-to dell’attività dipendente). Le azioni e le opzioni concesse ai collaboratori da parte di un datore di lavoro rientrano in tale accezione, se costituiscono un vantaggio valutabile in denaro.

Le imprese (soprattutto le aziende di una certa importanza e quelle che operano a livello internazionale) hanno cominciato a distribuire le proprie azioni ai collaboratori ad un prezzo di favore o, in taluni casi, a titolo gratuito, già da svariati decen-ni. La concessione di azioni e/o opzioni a prezzi vantaggiosi aveva ed ha lo scopo di motivare i propri dipendenti a fornire prestazioni più elevate, rispettivamente ad attrarre nuovi col-laboratori e a fidelizzarli il più a lungo possibile all’azienda. La concessione di azioni liberamente negoziabili permette sicura-mente alle aziende di risultare molto attrattive sul mercato del lavoro; tuttavia, al fine di evitare rapide e frequenti fluttuazioni di personale, la maggior parte di queste ha optato per la distri-buzione di azioni bloccate per un determinato periodo, così da poter vincolare il più a lungo possibile i propri dipendenti.

L’implementazione dei complicati piani di partecipazione dei collaboratori (anche detti “Stock Option Plans o SOP” o “Re-stricted Stock Unit Plans o RSU”), la grande varietà degli stessi, unitamente all’istituzione di tutta una serie di vincoli alla li-bertà di disporre delle stesse partecipazioni, hanno posto in essere la problematica relativa alla difficoltà di interpretazione di tali piani, rispettivamente quella in merito al momento

determinante per l’imposizione dei vantaggi valutabili in denaro che scaturiscono dagli stessi.

Infatti, dal punto di vista delle imposte sul reddito, il trattamento fiscale dei piani di partecipazione pone tre questioni essenziali: innanzitutto, si tratta di qualificare il cosiddetto “vantaggio” sca-turente dal piano, in seconda battuta, deve essere identificato il momento della realizzazione (e, dunque, dell’imposizione), ed infine deve essere stabilita la base imponibile.

Secondo l’egida dell’articolo 17 capoverso 1 LIFD, il salariato che riceve azioni e/o opzioni gratuite o ad un prezzo di favo-re realizza un vantaggio valutabile in denaro (salario in natu-ra) la cui causa risiede nell’esistenza di un rapporto di lavoro (cosiddetta “causa laboris”). Trattandosi di un salario in natura, e conformemente ai principi generali del diritto fiscale, il reddito si considera realizzato nel momento in cui il collaboratore ne può effettivamente disporre, ossia dal momento in cui il bene o la prestazione entra in suo possesso, rispettivamente dal mo-mento in cui acquisisce il diritto relativo all’ottenimento della prestazione. La base imponibile è determinata al momento della realizzazione del reddito; la prestazione valutabile in de-naro ottenuta dal dipendente è stabilita – generalmente – al valore venale.

A tutte queste problematiche l’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC) ha risposto per la prima volta

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con la Circolare n. 12 del novembre del 1973. Questa definiva tre tipi di azioni dei collaboratori (libere, bloccate e destina-te alla previdenza professionale) e ne stabiliva l’imposizione (ad eccezione delle partecipazioni destinate alla previdenza professionale) al momento del trapasso di proprietà, ossia al momento dell’acquisto delle stesse. In quel periodo, le opzio-ni dei collaboratori erano ancora sconosciute in Svizzera. Solo negli anni ottanta alcune imprese attive a livello internaziona-le, ispirate dai modelli di piani di partecipazione statunitensi, iniziarono ad assegnare le opzioni ai propri dipendenti. Le cir-colari successive emanate dall’AFC (la n. 5 del 17 maggio 1990 e la n. 5 del 30 aprile 1997) hanno apportato alcune modifiche alla definizione di azioni vincolate ed alla prassi impositiva del-le stesse. Inoltre, in queste circolari venne disciplinata per la prima volta la pratica impositiva delle opzioni dei collaboratori. Suddivise in “negoziabili” e “non negoziabili”, nel 1990 le opzioni erano imposte al momento dell’assegnazione se “negoziabili”, mentre erano imposte al momento dell’esercizio se “non nego-ziabili”. Successivamente, sulla scorta di una decisione del Tri-bunale amministrativo del Canton Zurigo che stabiliva come, per quanto concerneva le imposte cantonali, la realizzazione del reddito risultante dalle opzioni fosse indipendente dal-la loro negoziabilità, con la Circolare n. 5 del 30 aprile 1997 anche I’AFC modificò la prassi, abolendo la distinzione tra opzioni “negoziabili” e “non negoziabili”, e sostituendola con quelle di “opzioni valutabili” e “opzioni non valutabili”.

Da quel momento, le opzioni cosiddette “valutabili” sono impo-ste al momento dell’assegnazione, mentre quelle cosiddette “non valutabili”, sono imposte al momento dell’esercizio. Per quanto riguarda le azioni, la pratica vigente sino alla fine del 2012 ne prevedeva l’imposizione al momento dell’acquisto, con uno sconto del valore venale delle stesse pari al 6% – per un massimo di dieci anni – per ogni anno di attesa (detto anche “vesting”).

2.Le novità legislativeIn materia d’imposizione dei vantaggi valutabili in denaro de-rivanti da partecipazioni dei collaboratori, gli articoli 17 capo-verso 1 LIFD e 7 capoverso 1 LAID non hanno dato risultati del tutto soddisfacenti. Le disposizioni entrate in vigore nel 2013 mirano, di conseguenza, a ristabilire la certezza del diritto, creando delle basi legali chiare sulle quali possa fondarsi una prassi univoca in tutti i Cantoni e fornendo una risposta uni-forme alle problematiche emerse in questa materia[1], soprat-

tutto in riferimento alla definizione del momento impositivo e – conformemente a quanto previsto dal Commentario sul Modello OCSE di Convenzione fiscale (di seguito M-OCSE) – al calcolo dell’imposta dovuta in fattispecie e contesti in-ternazionali[2].

I nuovi articoli 17a, 17d LIFD e 7a, 7d LAID (e, specularmente, anche gli articoli 16a, 16d della Legge tributaria cantonale [di seguito LT]) definiscono, anche se non in maniera esau-stiva, le diverse tipologie di partecipazioni dei collaboratori.

2.1.Le partecipazioni vere e proprie (articolo 17a capoverso 1 LIFD, articolo 16a capoverso 1 LT)Rientrano in questa categoria le azioni, i buoni di godimento, i certificati di partecipazione, le quote di società cooperative o partecipazioni di altro genere che il datore di lavoro, la sua so-cietà madre o un’altra società del gruppo distribuisce ai propri collaboratori (denominati di seguito congiuntamente le “Azio-ni”), così come le opzioni per l’acquisto delle Azioni (di seguito Opzioni). Il termine “partecipazioni di altro genere” di cui al prece-dente paragrafo permette di precisare che la lista enunciata al capoverso 1 non è esaustiva e può, di conseguenza, inglobare degli altri titoli, come ad esempio titoli utilizzati in piani di par-tecipazione esteri.

Con l’accezione “partecipazioni vere e proprie” si è inteso esprime-re il concetto per cui i piani di partecipazione devono consentire la concessione di diritti di partecipazione quali i diritti di voto, il diritto alla percezione di dividendi, rispettivamente i diritti di opzione. Le Opzioni dei collaboratori sono intese “vere e proprie” quando, dopo l’esercizio delle stesse, consentono al dipendente di acquisire Azioni[3].

2.2.Le partecipazioni improprie (articolo 17a capoverso 2 LIFD, articolo 16a capoverso 2 LT)Sono considerate partecipazioni improprie le aspettative di meri indennizzi in contanti. Le partecipazioni improprie, invece, non si prefiggono l’acquisto di partecipazioni del da-tore di lavoro, né direttamente mediante Azioni, né indiret-tamente mediante le Opzioni. Le partecipazioni improprie si riferiscono generalmente alle modalità di calcolo di premi futuri, sulla base dell’aumento del corso delle Azioni o della rendita di un eventuale dividendo. Sono considerate parte-cipazioni improprie anche le cosiddette “share awards” (que-ste sono definite come promessa, da parte dell’impresa, alla distribuzione di Azioni nel caso in cui il rapporto di lavoro duri almeno per un determinato periodo)[4].

2.3.Il momento dell’imposizionePer quanto riguarda la categoria delle Azioni, le nuove norme confermano l’imponibilità così come avveniva in passato: sia le azioni liberamente disponibili che quelle bloccate continue-ranno ad essere imposte al momento dell’acquisto. Il valore venale delle azioni sottoposte ad un periodo di vesting con-tinuerà a fruire dello sconto annuale pari al 6%, con un limi-te temporale massimo di dieci anni sia per l’imposta federale diretta, sia per le imposte cantonali.

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Il vantaggio valutabile in denaro derivante dalle opzioni quo-tate in borsa liberamente disponibili o esercitabili, sarà ancora imposto al momento dell’assegnazione o dell’acquisto (e, dato che esiste un corso di borsa, il loro valore sarà immediatamen-te certo); per contro, le opzioni non quotate e quelle bloccate saranno in futuro tassate solo al momento dell’esercizio e non più al momento dell’assegnazione.

Questo cambiamento reca un duplice vantaggio: per le azien-de e le autorità fiscali, quello di non dover più valutare le op-zioni in base a complicate formule di matematica finanziaria; per il contribuente, quello di non essere più tenuto a pagare un’imposta su un vantaggio valutabile in denaro che, nei casi di successiva fluttuazione del corso dell’opzione, poteva resta-re solo ipotetico e non essere mai effettivamente realizzato. Ai fini della valutazione di tali opzioni e conformemente ad un principio fiscale generalmente riconosciuto, la norma prevede come la prestazione imponibile corrisponda al valore venale della partecipazione diminuito di un eventuale prezzo di ac-quisto (articolo 17b capoverso 1 in fine LIFD, articolo 14a capo-verso 1 LAID, articolo 16b capoverso 1 LT).

2.4.L’obbligo di attestazioneContestualmente ai nuovi articoli di cui sopra, è stato intro-dotto uno speciale obbligo di attestazione, sancito dai nuovi articoli 129 capoverso 1 lettera d LIFD e 45 lettera e LAID e dalla nuova Ordinanza sugli obblighi di attestazione per le parte-cipazioni di collaboratore (OparC) per i datori di lavoro che accordano partecipazioni ai propri dipendenti.

Il datore di lavoro deve rilasciare un’attestazione sia per ogni periodo fiscale nel quale ha assegnato partecipazioni ai propri

dipendenti, sia per ogni periodo fiscale nel quale il collaboratore ha realizzato un vantaggio valutabile in denaro rilevante ai fini delle imposte sul reddito. Quest’obbligo vige anche quando il piano di partecipazione è gestito da una società estera del gruppo oppure da un terzo. Uno dei principali scopi della nuova attestazione è quello di presentare, in maniera matematica-mente condivisibile, le basi di calcolo delle prestazioni valu-tabili in denaro documentate nel certificato di salario.

3.Il contesto internazionale e l’imposizione alla fonteL’introduzione degli articoli 17d LIFD e 16d LT ha posto le basi del diritto, per la Svizzera, di imporre proporzionalmente il van-taggio valutabile in denaro scaturente da partecipazioni rea-lizzate anche solo parzialmente in Svizzera[5].

Infatti, nel lasso temporale che intercorre tra assegnazione ed esercizio, i titolari di opzioni di collaboratori non quotate in borsa o bloccate possono aver risieduto o aver esercitato un’attività lucrativa anche al di fuori della Svizzera. Se il be-neficiario della prestazione valutabile in denaro ha risieduto in Svizzera per una parte di tale periodo, la Svizzera tasserà una quota proporzionalmente alla durata dell’attività lavo-rativa qui svolta. Se, al momento dell’esercizio, il beneficiario risiede all’estero, la società svizzera ha l’obbligo di trattenere e riversare l’imposta alla fonte relativa alla quota proporzionale di competenza elvetica (così come previsto anche nelle Racco-mandazioni dell’OCSE).

Per l’imposta federale diretta l’aliquota è fissata all’11.5%, men-tre per quanto riguarda le imposte cantonali, saranno i Can-toni a stabilire le aliquote in base alla propria autonomia ta-riffaria (articoli 97a LIFD e 35 capoverso 1 lettera i LAID). Così facendo, la Svizzera rinuncia definitivamente alla prassi del-la piena imposizione, rispettivamente nessuna imposizione, vigente sino alla fine del 2012.

Elenco delle fonti fotografiche:http://images.turbotax.intuit.com/iqcms/marketing/lib/articlepics2/ reportingstockoptions_INF27889.jpg [18.05.2015]

http://blog.taxact.com/wp-content/uploads/Complete-Guide-to-Emplo-yee-Stock-Options-and-Tax-Reporting-Forms.jpg [18.05.2015]

http://yourstory.com//wp-content/uploads/2013/02/ESOP.jpg [18.05.2015]

[1] Messaggio del Consiglio federale concernente la legge federale sull’imposizione delle partecipazioni dei collaboratori, del 17 novembre 2004, n. 04.074, in: Foglio federale 2005 495, pagina 519, http://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2005/495.pdf [18.05.2015] (citato: Messaggio).

[2] Vedi anche Raccomandazione n. 12.14 M-OCSE che suggerisce come i redditi relativi ad opzioni dei collaboratori debbano essere imposti “en proportion du nombre de jours lesquels l’emploi a été exercé dans ce Pays par rapport au nombre total des jours durant lesquels les services d’emploi auxquels se rapport l’option

d’achat d’actions ont été fournis”.[3] Cfr. Messaggio, pagina 515.[4] Messaggio, pagina 515.[5] Messaggio, pagina 517.

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L’imposizione dei redditi di lavoro dipendente nell’ordi-namento svizzero, alla luce del Commentario all’articolo 15 paragrafo 2 M-OCSE

1.IntroduzioneI distaccamenti di personale a breve termine sono uno stru-mento di cui le imprese internazionali si avvalgono in misura sempre maggiore. Le ragioni di questo fenomeno sono diverse e complementari. Tra le principali sicuramente la crescen-te integrazione dei mercati globali e la facilità con la quale oggigiorno i lavoratori sono in grado di spostarsi al loro inter-no. Determinante è anche la maggior efficienza nel replicare una funzione, un progetto o nel fornire un servizio all’estero da parte di personale temporaneamente mobilitato sul mercato di riferimento, piuttosto che da risorse da reperire, integrare e formare localmente. La recente tendenza a preferire la mobilità di breve termine a quella di medio-lungo, ha anch’essa origini molteplici, tra cui la precarietà della situazione economica degli ultimi anni, il minor costo per l’impresa normalmente associato ad un distacco di breve termine rispetto a trasferimenti duraturi e contesti normativi molto più snelli a cui adeguarsi[1].

A questo proposito, un articolo del Dottor Walter Andreo-ni apparso su NF 5/2011 (pagine 14-16), ci illustrava come uno dei temi principali introdotti nel Commentario 2010 al Model-lo OCSE di Convenzione fiscale (di seguito M-OCSE), fosse la

necessità di evitare l’applicazione strumentale dell’esenzione fiscale del reddito di lavoro dipendente, concessa dal paragrafo 2 dell’articolo 15 M-OCSE.

Tale articolo regola infatti la ripartizione della potestà impo-sitiva tra due Stati contraenti una Convenzione fiscale mu-tuata dal M-OCSE, su redditi da attività di lavoro dipendente. Il primo paragrafo dell’articolo contiene la regola generale, in base alla quale lo Stato sul cui territorio viene prestata l’atti-vità (detto “Stato della fonte”) detiene potestà impositiva con-corrente, insieme allo Stato in cui il lavoratore ha residenza[2].

Il secondo paragrafo dell’articolo 15 M-OCSE introduce l’ecce-zione a suddetta regola generale, assegnando potestà impo-sitiva esclusiva allo Stato di residenza, qualora:

a) il lavoratore dipendente, percettore del reddito, sia presen-te nello Stato della fonte per uno o più periodi non ecce-denti in totale 183 giorni nel corso di 12 mesi consecutivi;

b) la remunerazione sia pagata da, o per conto di, un datore di lavoro non residente nello Stato della fonte;

c) il costo della remunerazione non sia attribuibile ad una sta-bile organizzazione del datore di lavoro presente nello Sta-to della fonte.

Queste tre condizioni quindi, se soddisfatte cumulativamente, permetterebbero di esentare il reddito di lavoro conseguito a fronte di cosiddetti short term assignments, o incarichi di breve durata, nello Stato in cui tali incarichi sono svolti.

Il soddisfacimento delle condizioni alle lettere b) e c), presup-pone che il datore di lavoro del dipendente non si trovi nello Stato della fonte. Le modifiche introdotte nel Commentario M-OCSE a questo proposito, ci allertano sul fatto che ciò pos-sa verificarsi nella forma, ma non nella sostanza, ovvero che il datore di lavoro formale/legale possa trovarsi effettivamen-te al di fuori dello Stato della fonte, mentre il soggetto che beneficia del lavoro del dipendente, localizzato nello Stato della fonte, sia il datore di lavoro effettivo, reale, economico. In quest’ultimo caso, secondo il Commentario M-OCSE, l’esen- zione prevista dal paragrafo 2, articolo 15 M-OCSE non deve essere concessa.

Diritto tributario internazionale e dell’UE Fiscalità internazionale e redditi di lavoro dipendente: datore di lavoro economico e formale in Svizzera

Marco Moschen Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law MSc in Economics Tax & Global Mobility Manager presso Deloitte SA

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9Novità fiscali / n.5 / maggio 2015

Da quanto fin qui esposto, risulta evidente l’importanza di una corretta identificazione del datore di lavoro del dipendente di cui si vuole esentare il reddito nello Stato della fonte. Il M-OCSE tuttavia non contiene una definizione del concetto di datore di lavoro. In base all’articolo 3 M-OCSE stesso, le espressioni in esso non definite, assumono il significato a queste attribuito in quel momento dalla legislazione dello Stato che si trova ad applicare la Convenzione per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio (di seguito CDI), “prevalendo ogni signifi-cato attribuito dalle leggi fiscali applicabili di detto Stato sul significa-to dato al termine nell’ambito di altre leggi di detto Stato”.

A questo proposito il Commentario M-OCSE distingue tra Stati nei quali, per normativa interna, il datore di lavoro è la controparte del lavoratore in una relazione contrattuale formale (che non viene messa in discussione ai fini tributari) e Stati che adottano invece un approccio di tipo sostanziale alla definizione di datore di lavoro, identificando quest’ulti-mo nel soggetto da cui effettivamente dipende professio-nalmente il lavoratore.

Nel primo caso, gli Stati interessati ad evitare che un tale ap-proccio formale risulti nell’esenzione indebita di redditi tra-mite l’applicazione del paragrafo 2 dell’articolo 15, come nei casi così detti di hiring-out of labour[3], possono adottare nelle proprie CDI, in via bilaterale, una clausola analoga a quella riportata al paragrafo 8.3 del Commentario M-OCSE, che re-cita: “Il paragrafo 2 di questo articolo (ndr. articolo 15 M-OCSE) non si applica alle remunerazioni ricevute da un residente di uno Stato contraente in corrispettivo di un impiego esercitato nell’altro Stato contraente e pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente in quest’altro Stato se:

◆ il percettore del reddito rende servizi durante tale impie-go ad una persona diversa dal datore di lavoro e quella per-sona, direttamente o indirettamente, supervisiona, dirige o controlla la maniera in cui tali servizi sono prestati; e

◆ questi servizi costituiscono una parte integrante dell’atti- vità economica svolta da tale persona”[4].

Nel secondo caso, se la natura dei servizi resi dal lavoratore coincide e si integra nel business del soggetto che fruisce dei servizi stessi nello Stato della fonte, il Commentario M-OCSE, al paragrafo 8.14, stila una serie di criteri da prendere in con-siderazione attentamente per identificare il datore di lavoro:

◆ chi ha effettivamente l’autorità di istruire il lavoratore in merito al modo in cui svolgere il lavoro;

◆ chi controlla ed è responsabile del luogo in cui l’attività è svolta;

◆ se la remunerazione dell’individuo è ricaricata finanzia-riamente dal datore di lavoro formale all’impresa a cui i servizi sono forniti;

◆ chi mette a disposizione del lavoratore gli strumenti e il materiale necessario alla sua attività;

◆ chi decide il numero di lavoratori necessario per svolgere il lavoro e la loro qualifica;

◆ chi ha il diritto di selezionare le persone che svolgeranno il lavoro e di rescindere gli impegni contrattuali conclusi con questi individui a tale scopo;

◆ chi ha il diritto di imporre sanzioni disciplinari in relazione al lavoro svolto dall’individuo;

◆ chi stabilisce le vacanze e l’orario di lavoro dell’individuo.

Se il soggetto in capo al quale sono riconoscibili i poteri deci-sionali e le responsabilità descritte ai suddetti punti è il fruitore dei servizi nello Stato della fonte, lo stesso soggetto rappre-senta anche il datore di lavoro in senso economico (economic employer). Venendo a coincidere Stato della fonte e Stato in cui è localizzato il datore di lavoro economico, l’esenzione pre-vista al paragrafo 2 dell’articolo 15 M-OCSE non deve quindi essere concessa.

2.Il concetto di datore di lavoro nell’ordinamento svizzeroQualora fosse necessario dirimere un caso di doppia impo-sizione tra Svizzera e uno Stato con il quale è in vigore una CDI, improntata sul M-OCSE, si tratterebbe dunque di capire a quale delle due categorie di Paesi descritte dal Commen-tario appartiene la stessa Svizzera. La normativa domestica prevede un approccio formale nel qualificare il datore di lavoro o piuttosto un approccio economico?

Nell’ordinamento interno svizzero non è esplicitamente definito il concetto di datore di lavoro (o di lavoro dipendente). Andando a verificare le fonti che si sono occupate della questione, in di-retta connessione con l’applicazione dell’articolo 15 paragrafo 2 M-OCSE, possiamo riscontrare l’esistenza di un approccio for-male. Höhn[5] sostiene questo approccio (così come Waldbur-ger[6], Bosshard e Rajower[7]) richiamando l’osservazione della Svizzera ad una versione precedente del Commentario, tramite la quale la Svizzera chiariva che il disconoscimento dell’esen-zione prevista dal paragrafo 2 dell’articolo 15 poteva avvenire unicamente in caso di utilizzo abusivo di manodopera straniera. Tale osservazione è interpretata da Höhn come riconoscimento del rapporto formale di lavoro dipendente, in tutti i casi in cui non è ravvisabile un comportamento abusivo.

Rilevante ed interessante il richiamo a tale dottrina in una sentenza del Tribunale federale[8]. Tale sentenza tratta il caso di un individuo, coniugato e residente fino alla fine del 1998 nel Cantone di Zurigo. Alla fine di quell’anno lascia la Svizzera e si trasferisce in Malaysia per occuparsi dell’espansione di un gruppo aziendale in tale località. La moglie rimane in Svizzera, dove si situava quindi il centro di interessi vitali della coppia e conseguentemente la loro residenza fiscale.

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10 Novità fiscali / n.5 / maggio 2015

Tra Svizzera e Malaysia era ed è in vigore una CDI nel campo delle imposte sul reddito (di seguito CDI CH-MAL), mutuata dal M-OCSE. Il contribuente, accertato che nel periodo fiscale in oggetto non aveva soggiornato in Malaysia per più di 183 giorni e che non si configurava in loco una stabile organizzazione, ar-gomentava che l’attività da lui svolta era per conto di una per-sona residente in Malaysia, che quest’ultima aveva sopportato in ultima analisi l’onere della sua retribuzione e che quindi il red-dito di lavoro dipendente prestato sulla penisola era ivi impo- nibile in base all’articolo 15 paragrafo 1 M-OCSE.

Secondo il Tribunale federale da nessuno dei mezzi probatori presentati dai ricorrenti si evinceva un chiaro incarico da par-te della società malese. Il fatto che singole istruzioni, peraltro firmate dal ricorrente, fossero su carta intestata dell’impre-sa malese non dimostrava nulla, secondo le motivazioni della sentenza. Il ricorrente basava la sua argomentazione sul fatto che l’onorario per la sua prestazione lavorativa fosse in ultima analisi a carico dell’impresa malese. Il Tribunale nella sua moti-vazione chiarisce che la documentazione a supporto di tale tesi non era idonea a dimostrare qualcosa a favore dei ricorrenti in quanto la Svizzera, sempre secondo la motivazione del Tribuna-le, si attiene comunque, in caso di attività lucrativa dipendente, ad una visione formale della nozione di datore di lavoro, per cui è determinante chi figura come datore di lavoro competente e paga il compenso, non colui al quale il compenso stesso viene addebitato in ultima analisi. Nel caso in oggetto il vincolo con-trattuale formale sussisteva tra il ricorrente ed una persona re-sidente a Bermuda, non in Malaysia. A supporto di quest’ultima considerazione, la motivazione contenuta nella sentenza cita la dottrina summenzionata.

Partendo da tale sentenza, le considerazioni che si possono fare in merito all’approccio formale della Svizzera, a cui il Tri-bunale federale fa riferimento, sono molteplici. Innanzitutto l’osservazione della Svizzera al Commentario M-OCSE, a cui rimanda la dottrina citata dal Tribunale federale, non compare più nella versione del Commentario 2010. Anche perché una delle ragioni fondamentali della revisione del Commentario all’articolo 15 M-OCSE, come spiegato nel Commentario stes-so, risiede proprio nel fatto che distorsioni nell’applicazione dell’articolo possono derivare da fattispecie economiche sle-gate da strategie elusive.

Se si esaminano le CDI ed i protocolli di modifica ratifica-ti dalla Svizzera dopo il 22 luglio 2010 sulla base del M-OCSE, ad esempio con Francia, Gran Bretagna, Danimarca, Austria, Lussemburgo, si nota che nessuno di questi trattati contiene la succitata clausola al paragrafo 2 dell’articolo 15 M-OCSE, che il Commentario al paragrafo 8.3 consiglia di inserire nelle CDI degli Stati che adottano un approccio formale.

Evidentemente non si è ritenuto di doversi tutelare in tal senso, elemento che potrebbe far ragionevolmente pensare che l’ap-proccio adottato dalla Svizzera non è così strettamente formale come appare leggendo la sentenza del Tribunale federale.

A questo proposito è interessante soffermarsi su quanto sta-tuito dal Codice svizzero delle obbligazioni (di seguito CO). L’articolo 320 CO del capitolo intitolato al contratto individuale

di lavoro recita infatti al primo capoverso: “Salvo disposizione contraria della legge, il contratto individuale di lavoro non richiede per la sua validità forma speciale”.

Non richiedere forma speciale significa non richiedere necessa-riamente forma scritta[9], il contratto di lavoro in Svizzera può avere quindi anche forma orale, a meno che una disposizione legale preveda il contrario. Lo stesso CO esplicita i casi in cui la forma scritta è necessaria, nello specifico per i contratti di tiro-cinio (articolo 344a CO) e per i contratti d’impiego del commes-so viaggiatore (articolo 347a CO). Se si ammette la possibilità di contrarre un rapporto di lavoro dipendente senza sottoscrivere un contratto scritto, è ragionevole ipotizzare che nel valutare la relazione tra una persona fisica ed un’impresa, non ci si sof-fermi sull’aspetto formale, assodato che, per legge, l’elemento formale non è obbligatorio. D’altra parte lo stesso Aubert, nel commentare l’articolo 319 CO che definisce il contratto di lavoro come: “quello con il quale il lavoratore si obbliga a lavorare al servizio del datore di lavoro per un tempo determinato o indeterminato e il datore di lavoro a pagare un salario stabilito a tempo o a cottimo”, soffermandosi sulla locuzione “al servizio”, sottolinea come giu-risprudenza e dottrina riconoscano il carattere della subordina-zione come criterio distintivo essenziale del contratto di lavo-ro[10]. Quest’affermazione, se paragonata ai criteri enunciati dal Commentario M-OCSE al paragrafo 8.14 per stabilire l’esi-stenza di un economic employer nello Stato della fonte, rivela un approccio sostanziale del diritto civile svizzero.

Non prevedendo la normativa fiscale svizzera una definizione di datore di lavoro così come enunciato all’articolo 15 M-OCSE, è utile ricordare che, valutarne l’esistenza nel rapporto tra un lavoratore distaccato in uno Stato contraente diverso dal suo Stato di residenza e un’impresa residente nel primo Stato, così come illustrato nel Commentario M-OCSE, non vuol dire altro che valutare se tra le due parti esiste un rapporto di lavoro di-pendente oppure, al contrario, se il lavoratore svolge un’attività lucrativa indipendente.

In quest’ottica risulta interessante il giudizio espresso dalla Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello del Canto-ne Ticino (di seguito CDT) in una sentenza del 2010[11].

La fattispecie oggetto del ricorso al Tribunale d’appello riguar-da la deducibilità dal reddito di spese professionali. Da un pun-to di vista tributario, infatti, la differenza fondamentale tra at-tività lucrativa dipendente e indipendente risiede nella misura delle detrazioni fiscalmente ammesse. Mentre per i dipendenti

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11Novità fiscali / n.5 / maggio 2015

il legislatore pone precisi limiti, a coloro che svolgono un’at-tività lucrativa indipendente sono riconosciute tutte le spese effettive. Né il dipendente né il lavoratore autonomo sono tuttavia dispensati dall’onere di provare i costi di cui chiedono la deduzione. Citando la sentenza della CDT: “dottrina e prassi parlano di attività lucrativa indipendente quando essa si svolge in base ad un’organizzazione propria, liberamente scelta, che si manife-sta all’esterno e si esercita per conto ed a rischio proprio del contri-buente. Per lo più si richiede l’impiego sia di lavoro sia di capitale[12]. Si deve invece ammettere un’attività dipendente quando una delle parti, rispetto all’altra, è subordinata per quanto concerne l’impiego del tempo o l’organizzazione del lavoro. Un altro indizio può essere dato da un rapporto di dipendenza economica oppure dal fatto che il contribuente non sopporti il rischio economico a carico del datore di lavoro, il quale dirige la sua impresa e ne assume la responsabilità”.

Come riscontrato nella normativa civile, anche la CDT fa rife-rimento alla subordinazione quale caratteristica del rapporto dipendente di lavoro e, rispetto al diritto civile, specifica che altre caratteristiche di tale rapporto sono la dipendenza eco-nomica e l’assenza di rischio economico.

La sentenza va oltre e sottolinea come la casistica relativa ai conflitti nella qualificazione di un’attività come dipendente, piuttosto che indipendente, è molto più dettagliata nel campo delle assicurazioni sociali. Invita quindi a rifarsi a tale normativa e più in generale alla prassi instauratasi in questo campo. Viene quindi richiamata la giurisprudenza del Tribunale federale delle assicurazioni, che cita l’integrazione del lavoratore nell’azienda durante lo svolgimento della sua attività come fattore indica-tivo di un rapporto di dipendenza. Esattamente quanto enun-ciato dal Commentario M-OCSE al paragrafo 8.13, con cui tale giurisprudenza svizzera sembra, in questo caso, essere allineata.

Passate in rassegna normativa, giurisprudenza e dottrina, è doveroso soffermarsi sulla prassi delle autorità fiscali svizzere nell’identificazione del datore di lavoro, economico o forma-le, in sede di accertamento del reddito delle persone fisiche. Non sussiste apparentemente alcuna presa di posizione uffi-ciale da parte delle autorità fiscali cantonali, ad esclusione di un foglio informativo dell’autorità fiscale del Canton Zurigo. In tale documento, con validità a partire dal 1. luglio 2011 e con specifico riferimento ai casi di distaccamento internazionale di personale dipendente tra imprese appartenenti allo stesso gruppo aziendale, si afferma che l’approccio adottato dal fisco zurighese è quello dell’economic employer, così come interpreta-to dal Commentario M-OCSE. Di conseguenza, il salario di un lavoratore dipendente percepito in ragione della sua attività lavorativa prestata nel Canton Zurigo, in qualità di lavoratore distaccato per meno di 183 giorni da un’impresa estera con la quale mantiene un contratto di lavoro, è imponibile (alla fonte) nel Canton Zurigo, qualora l’economic employer sia ivi localiz-zato. Questo nonostante l’impresa estera, della quale il lavo-ratore è dipendente a livello contrattuale, versi materialmen-te il salario al lavoratore e nonostante la Svizzera abbia una CDI in vigore con il suo Paese estero di residenza, mutuata dal M-OCSE. L’esenzione prevista al paragrafo 2 dell’articolo 15 M-OCSE non troverebbe quindi applicazione. Il foglio illu-strativo zurighese specifica poi che il disconoscimento di tale esenzione avviene unicamente a condizione che l’incarico del

lavoratore in Svizzera superi i 90 giorni, nel corso di 12 mesi. Questo perché sotto tale soglia l’amministrazione cantonale ritiene che non sussista integrazione tra l’attività dell’impre-sa svizzera che fruisce dell’opera del lavoratore e l’attività del lavoratore stesso, una delle condizioni cardine da ottemperare secondo il Commentario M-OCSE per non concedere l’esen-zione prevista al paragrafo 2 dell’articolo 15 M-OCSE.

Questa presa di posizione da parte dell’amministrazione fiscale zurighese è rilevante. Non solo perché Zurigo è il Cantone più esposto, insieme a Ginevra, a casistiche quali quelle che la se-zione del Commentario all’articolo 15 M-OCSE approfondisce e quindi è destinato a fare scuola tra gli altri Cantoni. Ma anche perché ci chiarisce qual è l’interpretazione della fattispecie da parte dell’autorità preposta all’accertamento dell’imponibile, che resta pur sempre un’interpretazione, ma sicuramente di “peso” non trascurabile. Soprattutto in ragione del fatto che è successiva alla sentenza del Tribunale federale, illustrata nelle righe precedenti, che sembra essere di avviso opposto.

È importante non trascurare poi il fatto che le autorità fiscali cantonali accertano anche il reddito imponibile a livello fede-rale. È lecito quindi chiedersi quale sia la posizione dell’Am-ministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC). A questo proposito, una seppur piccola indicazione si può scor-gere in una recente pubblicazione dell’AFC: la Circolare n. 37 sull’imposizione delle partecipazioni di collaboratore. Al para-grafo 2.2. viene data la definizione di datori di lavoro, testual-mente: “È considerato datore di lavoro ai sensi della presente circo-lare la società, la società del gruppo o lo stabilimento d’impresa, in cui è impiegato il collaboratore. Sono considerati datori di lavoro anche i cosiddetti datori di lavoro di fatto. Si pensi ad esempio al caso nel quale il collaboratore di una società-figlia estera viene inviato presso la società-madre svizzera, la quale si assume i costi del collaboratore. In questo caso, la società-madre svizzera viene considerata quale da-tore di lavoro di fatto”. L’approccio sostanziale, a favore della pre-valenza dell’economic employer, o datore di lavoro di fatto come lo definisce l’AFC, sul datore di lavoro formale, appare chiaro.

3.ConclusioniLa Svizzera è un Paese membro fondatore dell’OCSE, un Paese sede di aziende multinazionali leader di mercato e dove multi-nazionali con sede all’estero decidono di localizzare filiali con importanti funzioni di gruppo. I flussi in entrata e in uscita di

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12 Novità fiscali / n.5 / maggio 2015

collaboratori appartenenti a queste aziende sono quindi so-stenuti, così come il substrato fiscale associato alle loro atti-vità. Si delinea una tendenza che vede gli incarichi all’estero di breve termine essere preferiti a quelli di medio-lungo ter-mine, fondamentalmente per ragioni di efficienza, economica e burocratica. In Svizzera inoltre, la recente votazione popo-lare “contro l’immigrazione di massa”, potrebbe portare ad una situazione simile a quella precedente la libera circolazione delle persone, quando tramite il contingentamento risultava-no favoriti i permessi di soggiorno di breve durata, “stagionali”. Inoltre le amministrazioni fiscali, a livello globale, hanno inten-sificato la loro azione nell’accertamento di queste fattispecie e l’OCSE ha ritenuto necessario approfondire nel suo Commen-tario come evitare un’applicazione impropria dell’esenzione del reddito di lavoro dipendente nello Stato della fonte, previ-sta dall’articolo 15 paragrafo 2 M-OCSE.

Le soluzioni previste dal Commentario dipendono in modo determinante dalla normativa interna dello Stato che applica la CDI, basata sul M-OCSE, nello specifico dall’adozione di un approccio formale o economico di tale Stato nel definire il da-tore di lavoro del dipendente di cui si intende tassare il reddito.

In questo contesto la Svizzera, ad oggi, non si colloca in una posizione completamente definita. Il Tribunale federale si è

espresso a favore di un approccio formale nella valutazione dei rapporti di lavoro tra individui e imprese, con specifico ri-ferimento all’applicazione dell’articolo 15 paragrafo 2 M-OCSE. Esistono tuttavia elementi riconducibili al diritto civile, alla giu-risprudenza ticinese, a posizioni dell’amministrazione fiscale del Canton Zurigo e dell’AFC, illustrate in questo articolo, che dimostrano invece un approccio improntato sulla rilevanza della sostanza oltre la forma, ponendo l’accento sull’impor-tanza delle circostanze economiche quale fattore discrimi-nante nel qualificare un rapporto di lavoro come dipendente. L’economic employer, così come definito dall’OCSE, sembra quindi essere il futuro datore di lavoro anche in Svizzera.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.misterfisco.it/wp-content/uploads/2014/03/ocse.jpg [18.05.2015]

http://diblas-udine.blogautore.repubblica.it/files/2012/08/12.08.14-eu-ro_726_frankenSchlierner.jpg [18.05.2015]

http://cdn.londonandpartners.com/visit/general-london/areas/canary-wharf/63540-640x360-work-canary-wharf-clocks_640.jpg [18.05.2015]

http://i.res.24o.it/images2010/SoleOnLine5/_Immagini/Finanza%20e%20Mercati/2010/10/banca-svizzera-cd-258x258.jpg?uuid=fe60c096-cd63-11df-abeb-e1b1dfc4c70b [18.05.2015]

[1] D’altro canto l’utilizzo di incarichi di breve periodo può avere differenti implicazioni non oggetto di que-sto articolo.[2] Come noto tocca poi allo Stato di residenza eli-minare la doppia imposizione secondo le disposizioni dell’articolo 23 M-OCSE.[3] Su questo tema l’OCSE ha redatto il Rapporto “Taxation issues relating to the international hiring-out of labour”, del 1985. Il fenomeno dell’international hiring-out of labour si verifica nel momento in cui un soggetto residente in uno Stato si avvale, nella sua impresa, del lavoro di individui non residenti, non assumendoli direttamente come dipendenti, ma attraverso un prestito di manodopera da un inter-mediario residente all’estero. In questo modo le uniche relazioni contrattuali in essere sono tra

lavoratori e intermediario e tra intermediario e impresa che prende a prestito la manodopera, nes-suna relazione contrattuale invece tra lavoratori e impresa che beneficia del loro lavoro. Nel caso in cui un’impresa dovesse ricorrere all’international hiring-out of labour unicamente per avvantaggiarsi dell’esenzione prevista dal paragrafo 2 dell’articolo 15 M-OCSE, tale comportamento costituirebbe un abuso della CDI e sarebbe chiaramente contrario ai fini che l’OCSE intende perseguire con le disposizioni contenute nell’articolo 15 M-OCSE.[4] Traduzione non ufficiale.[5] Höhn Ernst, Handbuch des Internationalen Steuer-rechts der Schweiz, II° ed., Berna 1993, pagina 183.[6] Waldburger Robert, Das Einkommen aus unselb-ständiger Arbeit im internationalen Steuerrecht der

Schweiz, San Gallo 1990, pagina 124.[7] Bosshard Erich/Rajower Felix, Begriff des Arbeitsgebers gemäss Art. 15 Abs. 2 Bst. B OECD- Musterabkommen [Monteurklausel], in: IFF Forum für Steuerrecht, 2003, Heft 3, pagina 200 e seguenti.[8] Sentenza TF n. 2A.252/2006, del 17 novembre 2008.[9] Aubert Gabriel, in: Thévenoz Luc/Werro Franz (a cura di), Commentaire Romand, Code des obliga-tions I, Basilea 2003, pagina 1673 e seguenti.[10] Aubert Gabriel, in: Thévenoz Luc/Werro Franz (a cura di), Commentaire Romand, Code des obliga-tions I, Basilea 2003, pagina 1673 e seguenti.[11] Sentenza CDT n. 80.2009.112, del 7 aprile 2010.[12] Cagianut Francis/Höhn Ernst, Unternehmungs-steuerrecht, Berna 1986, pagina 53.

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13IVA e imposte indirette Prime osservazioni sull’impatto dirompente dello split payment

Breve analisi della nuova modalità di applicazione dell’IVA sulle forniture di beni e servizi alla Pubblica Amministrazione (split payment) e degli svantaggi che la stessa potrebbe generare in capo ai fornitori interessati

1.IntroduzioneLa Legge di stabilità per il 2015 (Legge [di seguito L.] n. 190/2014 o anche Legge di Stabilità) ha introdotto importanti modifiche alle modalità di applicazione dell’IVA per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato e di taluni enti appartenenti alla Pubblica Amministrazione.

Si tratta del nuovo istituto definito tecnicamente split payment, finalizzato a contrastare fenomeni di evasione dell’IVA realiz-zati da tutti quei soggetti che, dopo aver incassato l’imposta dai loro clienti (esercitando la rivalsa obbligatoria a norma di legge), ne omettono il relativo versamento all’Erario alle sca-denze dovute (realizzando in sostanza un guadagno illecito, ai danni dello Stato)[1].

Questo tipo di frode è ben noto al legislatore tributario (ita-liano ed europeo) che già in passato è periodicamente in-tervenuto con misure ad hoc aventi finalità simili a quella in commento. Lo strumento più comunemente utilizzato, non solo a livello nazionale ma anche comunitario, è sempre stato il cosiddetto “reverse charge” limitato alle operazioni effettua-te tra soggetti passivi IVA (le cosiddette operazioni business to business). Nel reverse charge, il soggetto debitore dell’IVA non è

più il fornitore, ma il cliente (cioè il cessionario o committente): questi non è tenuto a pagare l’IVA al fornitore (di beni o ser-vizi) ma effettua un’autoliquidazione dell’IVA dovuta, indican-do contestualmente nei propri registri IVA sia un’IVA a credito che un’IVA a debito di pari ammontare (così beneficiando di una automatica detrazione dell’IVA sui beni e servizi acqui-stati)[2]. Si evita, in questo modo, che il fornitore incassi l’IVA e ne ometta il versamento all’Erario. Le applicazioni del reverse charge sono molto frequenti nei settori statisticamente espo-sti a frodi di questo tipo quali gli acquisti intracomunitari[3], il settore dell’edilizia o della fornitura di apparecchiature infor-matiche[4].

Lo split payment è uno strumento per certi versi molto simile al reverse charge perché, di fatto, elimina la rivalsa dell’IVA a fa-vore del fornitore e pone gli obblighi di versamento in capo al cliente/ente pubblico. Ciò che tuttavia contraddistingue lo split payment è il campo di applicazione estremamente ampio, interessando qualsiasi fornitura (fatta da un soggetto passi-vo IVA) alla Pubblica Amministrazione (a prescindere dal fatto che l’ente pubblico agisca nell’ambito di un’attività d’impresa o meno – elemento invece di grande rilevanza ai fini dell’appli-cazione del reverse charge)[5].

L’effetto è, quindi, drastico: per le fatture emesse dal 1. genna-io 2015 nei confronti degli enti pubblici individuati dalla legge (quasi tutti), gli imprenditori non incasseranno più IVA da tali enti divenendo, di fatto, soggetti strutturalmente titolari di ec-cedenze di IVA a credito: cioè soggetti costretti a recuperare l’IVA pagata ai rispettivi fornitori solamente tramite le richieste di rimborso all’Erario, su base annuale o infra-annuale ovvero, entro certi limiti, tramite compensazioni cosiddette “orizzontali” (cioè con imposte diverse dall’IVA)[6]. Tale circostanza potrà, con tutta evidenza, penalizzare eccessivamente diversi settori economici, causando notevoli problematiche di tipo finanzia-rio a carico dei soggetti che cedano beni o prestino servizi agli enti pubblici. È il caso ad esempio delle imprese appaltatrici di progetti di real estate finance o di project finance aventi come unico committente un ente pubblico: generalmente, tali im-prese fanno ricorso alla leva finanziaria per sostenere i notevoli costi di realizzazione delle opere (pubbliche) fino al momento in cui il committente (soggetto pubblico) erogherà il corrispet-

Giorgio Vaselli AvvocatoSenior AssociateLegance Avvocati Associati, Roma

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14 Novità fiscali / n.5 / maggio 2015

tivo pattuito (che prima dello split payment comprendeva an-che l’IVA). Ebbene, tali soggetti, si troveranno a dover finanzia-re l’IVA dovuta ai propri fornitori per un periodo ben più lungo rispetto al passato (subendo quindi un ulteriore aggravio rap-presentato dai maggiori oneri finanziari): poiché i pagamenti della Pubblica Amministrazione non comprendono più l’IVA (con una sostanziale riduzione delle compensazioni cosiddette “verticali” ai fini IVA), il fabbisogno finanziario si estenderà fino al momento dell’effettiva erogazione del rimborso dell’ecce-denza di IVA a credito da parte dell’Erario (o come detto, fino al momento della compensazione “orizzontale”, quando possi-bile)[7]. In altri termini la nuova misura, nell’intento di colpire con forza le frodi IVA realizzate nell’ambito del settore pub-blico, genera anche degli evidenti effetti fortemente distorsivi nell’applicazione del tributo, andando di fatto ben oltre gli scopi per i quali era stata concepita[8].

La novella, peraltro, è efficace a partire dal 2015 ma, allo stesso tempo, è subordinata all’approvazione da parte del Consiglio dell’Unione europea (tramite una specifica misura di deroga ai sensi dell’articolo 395 della Direttiva comunitaria sull’IVA n. 2006/112/CE). Se non dovesse giungere il nullaosta a livel-lo europeo, lo split payment potrebbe creare ulteriori incertez-ze e complicazioni a livello amministrativo e contabile a tutti i soggetti, privati e pubblici, interessati dal regime in commento (nell’eventualità in cui divenisse necessario ripristinare i mecca-nismi in vigore fino al 31 dicembre 2014).

2.Il contesto normativo: cosa è stato fattoIl set di norme relativo allo split payment comprende il nuovo articolo 17-ter D.P.R. n. 633/1972, introdotto dall’articolo 1, comma 629, lettera b) L. n. 190/2014, nonché una serie di disposizioni integrative e transitorie contenute nello stesso comma 629 (e nei successivi) della stessa legge. A queste si aggiungono (ad oggi) le disposizioni attuative emanate con i Decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 23 gennaio 2015 e del 20 febbraio 2015 e diversi chiarimenti uffi-ciali forniti dalle circolari 1/E del 9 febbraio 2015, 6/E del 19 febbraio 2015, 14/E del 27 marzo 2015 e 15/E del 13 aprile 2015 dell’Agenzia delle Entrate.

L’articolo 17-ter D.P.R. n. 633/1972 ha un campo di applica-zione ben definito, riguardando cessioni di beni e prestazio-ni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, effettuate nei

confronti “dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti […], delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e beneficenza e di quelli di previdenza, per i quali i suddetti cessionari o committenti non sono debitori d’ imposta”[9].

In questi casi, l’IVA dovuta “dovrà essere versata dall’amministra-zione acquirente direttamente all’Erario, anziché allo stesso fornitore, scindendo quindi il pagamento del corrispettivo dal pagamento della relativa imposta”[10], a partire dalla data in cui l’imposta diviene esigibile. Come anticipato, in questo modo la Pubblica Ammi-nistrazione non corrisponderà più ai propri fornitori l’imposta addebitata in fattura, ma solo l’imponibile.

Il Decreto Ministeriale (di seguito D.M.) del 23 gennaio 2015 ha risolto i dubbi relativi a tutte le operazioni effettuate a cavallo tra il 2014 ed il 2015, chiarendo che il nuovo regime si applica alle operazioni “per le quali è stata emessa fattura” a partire dal 1. gennaio 2015. Per quanto riguarda invece l’ambito sog-gettivo, le circolari n. 1/E e 15/E del 2015 hanno individuato i soggetti pubblici rientranti nello split payment e quelli esclusi in quanto autonomi rispetto alla struttura statale (che perse-guono propri fini anche se di interesse generale)[11], interpre-tando la norma primaria in modo ampio e, pertanto, espan-dendo ulteriormente il campo applicativo del nuovo regime.

Per mitigare gli effetti penalizzanti che il nuovo regime pro-duce inevitabilmente nei confronti dei fornitori della Pubblica Amministrazione, la L. n. 190/2014 si è limitata ad introdurre talune facilitazioni fruibili solamente in caso di richiesta di rim-borso dell’eccedenza di IVA a credito su base annuale o trime-strale. Il legislatore è intervenuto, per così dire, sia ad un livello sostanziale sia ad uno procedurale con misure che, ad una prima analisi, sembrerebbero in ogni caso essere scarsamente effi-caci per tutelare tutti i soggetti incisi dallo split payment.

In primo luogo, è stato modificato l’articolo 30 D.P.R. n. 633/1972 contenente i requisiti sostanziali per poter accede-re ai rimborsi IVA[12]: in breve, ogni soggetto passivo IVA che effettui “esclusivamente o prevalentemente” operazioni rientranti nello split payment avrà diritto a chiedere il rimborso del-la propria eccedenza di IVA a credito alla prima occasione utile (annuale o trimestrale)[13]. In assenza di tale disposizione, i soggetti interessati avrebbero dovuto attendere almeno due anni per poter solamente richiedere detto rimborso. Tutta-via, la misura è, di fatto, inutile per tutti quei soggetti coinvolti in progetti di real estate finance o di project finance (che maturano periodicamente enormi volumi di eccedenze di IVA a credito): questi infatti avevano già diritto a tale agevolazione per l’IVA relativa all’acquisto di beni ammortizzabili[14].

In secondo luogo, a livello “procedurale”, l’articolo 1, comma 630, L. n. 190/2014 e l’articolo 8 D.M. del 23 gennaio 2015 prevedono l’“erogazione” prioritaria dei rimborsi IVA, ai soggetti incisi dallo split payment, ma nei limiti dell’IVA detraibile deri-vante dalle operazioni rientranti nel campo di applicazione dello stesso split payment[15].

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15Novità fiscali / n.5 / maggio 2015

Complessivamente, resta discutibile la scelta di fondo del legi-slatore di venire incontro ai contribuenti modificando (in mi-nima parte) il regime dei rimborsi IVA: è evidente infatti che la carenza di liquidità che lo split payment determina immediata-mente nei confronti dei soggetti incisi trova rimedio solamente nel medio-lungo periodo. Al riguardo, basti osservare che, a partire dal 1. gennaio 2015, ogni fornitore della Pubblica Amministrazione non incassa più IVA (cosiddetta a debito) compensabile con la propria IVA a credito; la prima occasione utile per richiedere il rimborso della propria eccedenza detrai-bile è stata il 30 aprile 2015[16]; da quel momento l’Ammi-nistrazione Finanziaria ha tre mesi per effettuare il rimborso (trattasi, peraltro, di termine meramente ordinatorio)[17].

Con tutta evidenza, tale scenario non regge il confronto con la possibilità di effettuare compensazioni “verticali” (mensili o trimestrali) svanita il 31 dicembre 2014. Ove ciò non ba-stasse, l’attuale contesto normativo è ulteriormente aggrava-to dal fatto che, come noto, l’Agenzia delle Entrate è ancora oggi ferma sulla posizione (ingiustificata) che “i crediti IVA di cui alle richieste di rimborso infrannuale non possono formare oggetto di cessione rilevante nei confronti dell’Amministrazione finanziaria”[18]. L’impossibilità – ad avviso dell’Agenzia delle Entrate – di ce-dere i crediti IVA trimestrali a terzi (come ad esempio ban-che, società di cartolarizzazione o altri enti finanziari italiani o esteri) con una cessione efficace nei confronti della stessa Amministrazione finanziaria rappresenta un ostacolo di estre-ma rilevanza (se non addirittura ostativo) alla possibilità per il fornitore della Pubblica Amministrazione di finanziare l’IVA da esso a sua volta dovuta ai propri fornitori (e.g. tramite il ri-corso al finanziamento bancario ovvero allo sconto di crediti). Ad esempio, nell’ambito delle operazioni di finanza strutturata, è prassi degli istituti finanziari subordinare la concessione del finanziamento dei crediti IVA alla circostanza che tali crediti vengano ceduti (in garanzia o pro soluto, a seconda della for-ma tecnica del finanziamento) a proprio favore. Orbene, tale (pretesa) inefficacia della cessione del credito trimestrale nei confronti della Pubblica Amministrazione rappresenta un ul-teriore elemento di rigidità del sistema fiscale che – con l’in-gresso dello split payment – non ha più alcuna valida ragione di essere, quanto meno con riferimento alle fattispecie interes-sate dal nuovo meccanismo.

Del pari, non sembra soddisfacente la possibilità (delle impre-se incise dallo split payment) di compensare “orizzontalmente” in F24 l’eccedenza di IVA con imposte diverse dall’IVA[19]. Per evidenti ragioni tecniche, da un lato, tali compensazioni potranno avvenire con termini piuttosto dilazionati (ragio-

nevolmente, la compensazione orizzontale con l’Imposta sul Reddito delle Società [di seguito IRES]/Imposta Regionale sulle Attività Produttive [di seguito IRAP] non potrà avvenire prima del 16 giugno – data di pagamento del saldo e della prima rata di acconto per le società con esercizio coincidente con l’anno solare). Peraltro, questa soluzione non garantisce una com-pensazione integrale del credito IVA (ma solo nei limiti di altri debiti d’imposta indicati in F24 ed è soggetta al tetto annuale di 700’000 euro) o diviene del tutto inutilizzabile in presenza di perdite ai fini IRES/IRAP.

3.Il contesto normativo: cosa si sarebbe potuto fareIn questa primissima fase di implementazione nell’ordinamento italiano del regime IVA in commento non è passata inosservata la rigidità del Parlamento e del Governo italiano che hanno cercato, solo in minima parte, di migliorare i provvedimenti normativi finora emanati per ridurre, quanto possibile, le inefficienze sopra descritte.

Come visto, agevolare (di poco) l’accesso ai rimborsi IVA, non è sufficiente in quanto espone i contribuenti a tempi di recupero eccessivamente lunghi (approssimativamente 6-7 mesi, nel caso dei rimborsi trimestrali per spese sostenute ad inizio anno). Sem-brerebbe, piuttosto, (ri)presentarsi l’occasione utile per superare una volta per tutte l’annosa questione dell’opponibilità all’Am-ministrazione finanziaria della cessione a terzi (ai sensi dell’arti-colo 1260 del Codice Civile e dell’articolo 69 del Regio Decreto [di seguito R.D.] n. 2440/1923)[20] dei crediti IVA trimestrali, finora sempre rigettata dall’Amministrazione finanziaria.

Per quanto d’interesse ai presenti fini, si ricorda che ai sensi dell’articolo 5, comma 4-ter D.Lgs. n. 70/1988[21] “Agli effetti dell’articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in caso di cessione del credito risultante dal-la dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rim-borsate, salvo che questi non presti la garanzia prevista nel secondo comma dal suddetto articolo fino a quando l’accertamento sia di-ventato definitivo”. Interpretando la norma in maniera partico-larmente restrittiva, l’Amministrazione finanziaria ha sempre negato (in numerose interpretazioni ufficiali, tra cui, da ultimo, la Circolare n. 6/E del 2006, al punto 12.4 e la Risoluzione n. 49/E del 4 aprile 2006) l’efficacia della cessione a terzi di cre-diti IVA trimestrali. Questa lettura della norma è stata forte-mente criticata sia in dottrina che da diverse associazioni di categoria[22], in ragione del fatto che (in sintesi) l’eccedenza IVA trimestrale chiesta a rimborso può a tutti gli effetti essere considerata come un credito cedibile a terzi (ai fini civilistici) e che non sussiste un divieto normativo alla cessione di tale credito ceduto (soprattutto se la cessione avvenga nel pieno rispetto dell’articolo 69 R.D. n. 2440/1923).

L’impasse può essere validamente superata modificando la nor-ma in commento (al fine di chiarire non tanto l’ammissibilità[23] quanto l’efficacia nei confronti del Fisco della cessione di crediti IVA trimestrali). Nelle more dell’auspicato intervento del legisla-tore, lo stesso risultato potrà essere agevolmente raggiunto a livello interpretativo da parte della stessa Agenzia delle Entrate, superando definitivamente le conclusioni di cui alla summenzio-

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nata Risoluzione n. 49/E, divenute, a partire dal 2015, decisa-mente più penalizzanti rispetto al contesto normativo del 2006.A poche settimane dall’entrata in vigore dello split payment, numerose categorie di fornitori della Pubblica Amministrazio-ne hanno sollecitato, senza successo, al Governo correzioni al campo di applicazione del nuovo regime (soprattutto a livello soggettivo) o l’introduzione di norme “transitorie” finalizzate ad escludere i contratti in corso al 1. gennaio 2015 (i quali, per ov-vie ragioni, erano stati negoziati dalle parti senza tenere conto dell’aggravio finanziario in commento). Tuttavia, la normativa è stata completata (senza modifiche) in tempi relativamente rapidi[24] e sembra, allo stato attuale, difficile ipotizzare degli opportuni correttivi (a livello normativo).

Ciononostante, lo split payment può ancora essere migliorato, quantomeno nelle sue modalità applicative. Infatti, considerato che i fornitori del settore pubblico sono stati, di fatto, posti nella stessa condizione degli esportatori abituali (anch’essi soggetti strutturalmente a credito, ma operanti in un settore con caratteri-stiche uniche e ben diverse dal mondo delle forniture alla Pubblica Amministrazione), si potrebbe mutuare, con i dovuti adattamenti, il meccanismo del plafond di cui all’articolo 8, comma 2 D.P.R.

n. 633/1972, che consentirebbe di ridurre in maniera sostan-ziale l’eccedenza di IVA a credito dei fornitori (senza sacrificare le esigenze di controllo e monitoraggio dell’Agenzia delle Entrate)[25]. Difatti, per gli esportatori abituali, la costituzio-ne del plafond – come chiarito in passato dall’Amministrazione finanziaria – “rappresenta una facoltà concessa dalla legge in pre-senza di condizioni oggettivamente correlate con l’esercizio dell’at-tività e, quindi, con l’azienda”[26]. Non essendo naturalmente possibile un’applicazione estensiva di tale regime ai soggetti incisi dallo split payment per evidenti ragioni tecniche[27], anche in questo caso sarà necessario un intervento del legisla-tore (in tempi ragionevoli).

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.casaeclima.com/public/casaeclima/Immagini%20sito/2015/italia/split_payment.png [18.05.2015]

http://www.comune.sannicandro.bari.it/imprese/wp-content/uplo-ads/2015/02/IVA.jpg [18.05.2015]

http://www.impresamia.com/wp-content/uploads/2015/02/agenzia-entrate.jpg [18.05.2015]

[1] Si veda la relazione illustrativa della Legge di Sta-bilità. Inoltre, come osserva l’Agenzia delle Entra-te nella Circolare n. 1/E del 9 febbraio 2015, lo split payment, mira a garantire anche gli acquirenti dal rischio di coinvolgimento nelle frodi commesse da propri fornitori o da terzi.[2] Salvo il caso in cui il cliente abbia un pro-rata di indetraibilità dell’IVA dovuto alle caratteristiche del settore economico in cui opera o i casi di esclusio-ne o riduzione della detrazione IVA per determinati beni o servizi (cfr. articoli 19 e seguenti del Decreto del Presidente della Repubblica [di seguito D.P.R.] n. 633/1972).[3] Cfr. articoli 44 e seguenti del Decreto Legge n. 331/1993 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 427/1993).[4] Cfr. articolo 17 D.P.R. n. 633/1972. Peraltro, la stes-sa Legge di Stabilità ha introdotto nuovi casi di reverse charge in settori specifici (edile ed energetico) “in consi-derazione delle evidenze di frodi nel settore” (come recita la relazione illustrativa).[5] Lo split payent è un meccanismo noto alle istitu-zioni dell’Unione europea ed è già stato oggetto di dibattiti ed approfondimenti tecnici volti a valutar-ne la reale efficacia antifrode e la compatibilità con il diritto comunitario. L’applicazione generalizzata dello stesso è stata, tra l’altro, già oggetto di criti-che nel cosiddetto Libro Verde sul futuro dell’IVA, COM(2010) 695 del 1. dicembre 2010. Cfr. Centore Paolo, “Split payment” ed estensione del “reverse charge”: un attacco concreto al VAT gap, in: Corriere tributario n. 3/2014, pagina 3316.[6] In altre parole, i fornitori del settore pubblico sono stati, di fatto, posti nella stessa condizione degli esportatori abituali (soggetti, con tutta evidenza, estremamente diversi e, soprattutto, beneficiari di una serie di norme agevolative).[7] Cfr. COM(2010) 695 del 1. dicembre 2010, para-grafo 5.4.2 “Questa opzione potrebbe tuttavia influire

sfavorevolmente sulla relazione tra fornitore o prestatore e acquirente o destinatario, e quindi sulle attività com-merciali in generale, e potrebbe anche avere ripercussioni negative sulla tesoreria dei fornitori o dei prestatori”.[8] A livello sistematico, le inefficienze dello split payment saranno ancora più manifeste in tutte le operazioni di “intermediazione” rilevanti ai fini IVA in cui prenderà parte la Pubblica Amministrazione. Ad esempio, nel caso delle società consortili operanti nei confronti di enti pubblici, si potrà verificare il caso in cui l’IVA a credito della società consortile (relativa a beni/servizi che questa acquista dalle consorziate) non potrà più essere compensata con l’IVA dovuta dalla Pubblica Amministrazione per le prestazioni di beni/cessioni di servizi ricevute (come accadeva di norma fino a fine 2014).[9] Si tratta cioè di enti pubblici che in ogni caso non sono soggetti al regime di reverse charge (che, come sopra indicato, trova applicazione in talune fatti-specie precisamente determinate dal legislatore). In altre parole, lo split payment italiano è un mec-canismo residuale e subordinato all’applicazione del reverse charge.[10] Cfr. Circolare n. 1/E del 2015 dell’Agenzia delle Entrate.[11] Il fornitore, al fine di individuare i soggetti pub-blici inclusi nello split payment, potrà avvalersi del motore di ricerca all’interno del sito IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni) e verificare direttamen-te nella loro anagrafica la categoria di appartenenza e i riferimenti dell’ente pubblico acquirente.[12] Cfr. articolo 1, comma 629, lettera c) L. n. 190/2014.[13] Se d’importo superiore a 2’582.28 euro e se l’aliquota mediamente applicata su tutti gli acquisti e tutte le importazioni, per il periodo di riferimento, supera quella mediamente applicata su tutte le operazioni effettuate maggiorata del 10%, per il medesimo periodo (nel calcolo non si tiene conto degli acquisti, delle importazioni e delle cessioni di

beni ammortizzabili). Come confermato dall’Agen-zia delle Entrate nella Circolare n. 15/E del 13 aprile 2015, ai fini del calcolo dell’aliquota media, le ope-razioni soggette allo split payment si considerano “ad aliquota zero”.[14] In particolare, l’articolo 30, comma 2, lettera c) D.P.R. n. 633/1972 consente di richiedere il rim-borso su base annuale per l’eccedenza di IVA a cre-dito relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili. In questo caso, è anche possibile richiedere (alla prima occasione utile) il rimborso su base trimestrale, a condizione che gli acquisti di beni ammortizzabili superino i due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti di beni e servizi imponibili ai fini IVA (cfr. articolo 38-bis del medesimo decreto).[15] Come correttamente osservato dalla stampa specializzata, i fornitori della Pubblica Amministra-zione si aggiungono alle cinque categorie che già beneficiano della corsia preferenziale (i.e. subappal-tatori edili assoggettati al reverse charge; soggetti che effettuano recupero e preparazione per riciclaggio di cascami e rottami metallici; produttori di zinco, zolfo e semilavorati; produttori di alluminio e semilavorati; produttori di aeromobili, veicoli spaziali e dei relativi dispositivi). Quindi è logico pensare che più si allunga la fila dei soggetti in coda, più saranno lunghi i tempi di attesa (cfr. il Sole 24 Ore, del 6 febbraio 2015, pagina 37). Sempre in materia di erogazione prioritaria dei rimborsi IVA, si segnala che con il D.M. del 20 febbraio 2015 è stato opportunamente eliminato (con effica-cia immediata) dall’articolo 8 del D.M. del 23 gennaio 2015 il rinvio al D.M. del 22 marzo 2007. Quest’ulti-mo, infatti, limita l’erogazione prioritaria dei rimborsi solamente a quei soggetti (i) che esercitano l’attività d’impresa da almeno tre anni e (ii) che hanno un’ec-cedenza detraibile richiesta a rimborso d’importo pari o superiore a 10’000 euro in caso di richiesta di rimborso annuale ed a 3’000 euro in caso di richiesta di rimborso trimestrale e (iii) per i quali l’eccedenza

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detraibile richiesta a rimborso sia di importo pari o superiore al 10% dell’importo complessivo dell’im-posta assolta sugli acquisti e sulle importazioni effettuati nell’anno o nel trimestre a cui si riferisce il rimborso richiesto. Come chiarito dalla recente Circolare n. 15/E del 2015, “Le disposizioni contenute nel citato articolo 8 (ndr. del D.M. del 23 gennaio 2015) stabiliscono, dunque, che le operazioni da split payment danno diritto all’erogazione prioritaria solo nel caso in cui il presupposto del rimborso sia quello dell’aliquota media, e nel limite dell’ammontare dell’imposta applicata a tali ope-razioni nel periodo di riferimento. Diversamente dalle altre tipologie di rimborso prioritario, è dunque possibile che il rimborso da split payment, di cui al citato articolo 8, sia prioritario solo per una parte dell’importo, mentre la parte restante rimane soggetta all’esecuzione ordinaria”.[16] Cfr. articolo 8, comma 2 D.P.R. n. 542/1999.[17] Si ricorda tuttavia che ai sensi del vigente articolo 1 D.M. del 23 luglio 1975, il termine per effettuazione del rimborso sarebbe il 20 del secon-do mese successivo al trimestre di riferimento. La norma, tra l’altro, mal si coordina con l’articolo 38-bis D.P.R. n. 633/1972 (che prevede, a segui-to delle modifiche apportate dall'articolo 13 del Decreto Legislativo [di seguito D.Lgs.] n. 175/2014, il termine di tre mesi dalla richiesta di rimborso), ma dovrebbe essere tuttora applicabile.[18] Cfr. Risoluzione n. 49/E del 4 aprile 2006 e Circo-lare n. 6/E del 13 febbraio 2006, punto 12.4.[19] Ai sensi dell’articolo 17 D.Lgs. n. 241/1997 (su base annuale) e dell’articolo 8 D.P.R. n. 542/1999 (su base trimestrale).[20] La Legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato.[21] Convertito con modificazioni nella L. n. 154/1988.[22] Per maggiori approfondimenti sul tema in commento si segnalano: Circolare Assonime n. 15 del 28 aprile 2006; Centore Paolo, Cessione este-sa ai crediti IVA trimestrali, in: Corriere tributario

n. 31/2006; norma di comportamento n. 164 dell’Associazione italiana dottori commercialisti. Anche la giurisprudenza civile di merito si è recen-temente occupata della tematica in commento: nella sentenza n. 2252 del 27 maggio 2013 la Corte d’appello di Venezia (sezione terza civile), confor-mandosi all’interpretazione della dottrina maggio-ritaria, ha riconosciuto l’efficacia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria della cessione dei crediti IVA trimestrali. La sentenza tiene conto del principio generale di matrice comunitaria per cui “il periodo fiscale può essere fissato dagli Stati membri in un mese, due mesi ovvero un trimestre […] gli Stati mem-bri possono fissare periodi diversi, comunque non supe-riori all’anno” (cfr. articolo 22, paragrafo 4, lettera a) della Direttiva del Consiglio n. 77/388/CEE) e riba-disce che l’attuale posizione dell’Amministrazione finanziaria “pretende, illegittimamente, ed attraverso un atto interpretativo (circolari), di trarre un divieto di ces-sione da norme che non lo prevedono, ma che, anzi, nel complesso dell’ordinamento tributario appaiono esege-ticamente orientate in senso contrario, verso la cessione di ogni tipo di credito”. A conclusioni simili era giunta anche la Commissione Tributaria Regionale di Peru-gia nella sentenza n. 188 del 27 novembre 2012 (decisamente più sintetica di quella testé citata). [23] In relazione alla quale, come correttamen-te indicato nella norma di comportamento n. 164 dell’Associazione italiana dottori commercialisti non sembrano sussistere limitazioni o divieti normativi sia a livello nazionale che a livello comunitario.[24] Soprattutto perché, in assenza dei provvedimenti attuativi dell’articolo 17-ter D.P.R.n. 633/1972, si è riscontrato che diversi enti locali, nell’incertezza sulle modalità applicative del nuovo regime, avevano inizialmente bloccato il pagamento di qualsiasi corri-spettivo nei confronti dei relativi fornitori (aggravando ulteriormente la posizione finanziaria di questi ultimi).[25] Cfr. Falsitta Gaspare/Fantozzi Augusto/Marongiu

Giovanni/Moschetti Francesco, Commentario breve alle leggi tributarie – Tomo IV IVA e imposte sui tra-sferimenti, CEDAM, Padova 2010, pagina 102: “Tali vantaggi si giustificano sia da un punto di vista struttura-le, che costituzionale, tenuto conto dell’esigenza di evitare una costante situazione creditoria dell’operatore econo-mico nei confronti del Fisco italiano verso cui non potrebbe recuperare il suddetto credito in via di rivalsa, come, invece, fa normalmente in relazione alle operazioni imponibili”.[26] Cfr. Risoluzione n. 621202/1991 del Ministero delle Finanze.[27] Gran parte della dottrina concorda nel ritenere il regime del plafond una disposizione non agevolativa ma piuttosto come una “modalità per riportare ad equili-brio il sistema applicativo IVA, nel rispetto del principio della neutralità del tributo, evitando i riflessi negativi sotto il pro-filo finanziario che deriverebbero ai contribuenti dalla loro (più o meno) costante posizione creditoria in conseguenza dell’attività esercitata con l’estero” (cfr. Centore Paolo, Codice IVA nazionale e comunitario commentato, IPSOA 2010, pagina 257).

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18 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano Delega all’operatività su conti esteri, obblighidi compilazione del quadro RW ed effettisulla procedura di collaborazione volontaria

Commissione tributaria regionale di II° grado di Bolzano, 16 feb-braio 2015, n. 27/2/15

La Commissione tributaria di II° grado di Bolzano si è, molto recentemente, pronunciata sull’ambito soggettivo di applica-zione degli obblighi di compilazione del quadro RW della di-chiarazione dei redditi che un soggetto (più spesso, persona fisica) residente in Italia è, al ricorrere di alcune circostanze, tenuto a compilare. Il pronunciamento giurisprudenziale sposa un’interpretazione condivisibile delle disposizioni normative di-sciplinanti il predetto obbligo che riverbera i suoi effetti anche sull’individuazione dei soggetti che possono aderire alla colla-borazione volontaria. La sentenza, quindi, si segnala al Lettore non solo per l’interpretazione fornita dai giudici ma anche per l’evidente attualità della questione giuridica affrontata.

Come è noto ai più, il modulo RW è un quadro non reddituale della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche, delle socie-tà semplici (ed enti equiparati) e degli enti non commerciali che i predetti soggetti, se fiscalmente residenti in Italia, sono tenuti a compilare nel caso in cui detengano investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria. L’obbligo di compilazione del modulo RW rientra nella più ampia disciplina del monito-raggio fiscale contenuta nel Decreto Legge n. 167/1990, fina-lizzato a facilitare il controllo del corretto adempimento degli obblighi tributari italiani che scaturiscono dal realizzo di redditi di fonte estera e dalla detenzione di beni ed attività estere.

Illustrate, molto sommariamente le finalità della normativa qui in commento, ben si comprende che essa sia indirizzata a coloro i quali siano “possessori” del reddito realizzato all’este-ro, nell’accezione di cui all’articolo 1 del Decreto del Presiden-te della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Sono, così, chiamati a compilare il quadro RW non solo i soggetti residenti in Italia che siano tito-lari del diritto reale sul bene o sull’attività finanziaria dal quale può scaturire il reddito ma anche coloro i quali che, seppure non titolari del diritto reale su quei beni ed attività, hanno comunque il potere di disporre in tutto o in parte di quei beni. Questa (solo apparente) estensione del novero dei soggetti chiamati alla compilazione del quadro RW si giustifica proprio in ragione del pre-menzionato articolo 1 D.P.R. n. 917/1986 che

considera, nella ricostruzione più accreditata dalla dottrina, “possessori” del reddito quei soggetti che hanno la possibilità di imprimere destinazioni ai beni dai quali il reddito deriva, siano – tali soggetti – titolari o meno di un diritto reale su quei beni.

A chi scrive appare, quindi, condivisibile quell’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione (si ve-dano le sentenze del 21 luglio 2010 n. 17051, del 7 maggio 2007 n. 10332 e dell'11 giugno 2003 n. 9320) secondo il quale gli obblighi relativi al monitoraggio fiscale sussistono non solo in capo all’intestatario formale di investimenti esteri, bensì anche in capo a colui che ne abbia la detenzione e/o la dispo-nibilità o la possibilità di movimentazione.

Conformemente al riferito indirizzo giurisprudenziale di Cassa-zione anche l’Agenzia delle Entrate (autorità amministrativa tri-butaria italiana preposta al controllo della corretta applicazione delle norme tributarie) ha precisato (da ultimo con la Circolare del 23 dicembre 2013, n. 38/E, paragrafo 1.1) che, in caso di conto corrente estero intestato ad un soggetto residente sul quale vi è la delega di firma di un altro soggetto residente, anche il dele-gato è tenuto alla compilazione del quadro RW per l’indicazione dell’intera consistenza del conto corrente detenuto all’estero qualora si tratti di una delega al prelievo e non soltanto di una mera delega ad operare per conto dell’intestatario. Il condivisibile approdo interpretativo della giurisprudenza e della prassi am-ministrativa sembra, quindi, fugare ogni dubbio circa i soggetti che devono essere chiamati alla compilazione del quadro RW.

Roberto Franzè Professore aggregatodi diritto tributarionell’Università della Valle d’Aosta

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19Novità fiscali / n.5 / maggio 2015

In questo contesto si inserisce la sentenza della Commis-sione tributaria regionale di II° grado di Bolzano citata in epigrafe la quale sembra ribadire gli orientamenti giurispru-denziali ed amministrativi citati. Si legge, infatti, nella sen-tenza che “Il sig. [Omissis] in qualità di promotore finanziario, aveva gestito negli anni di riferimento numerosi conti in Svizzera intestati a propri clienti sui quali aveva effettuato diverse opera-zioni finanziarie e di investimento in base a deleghe conferitegli dai clienti stessi. Il fatto che le deleghe fossero rilasciate per ogni singola operazione, [Omissis], non può averlo dispensato dall'ob-bligo di indicare nella dichiarazione dei redditi detti investimen-ti, atteso che la norma impone detto obbligo agli intermediari, generalmente intesi, senza alcun riferimento a deleghe speciali o generali. [Omissis]. Si ritiene pertanto che l'appellante, negli anni di riferimento, abbia di fatto avuto la totale disponibilità di somme all'estero, anche se non proprie, per cui abbia avuto anche l'ob-bligo di dichiarare le stesse nel quadro mod. RW”. Così statuen-do, i giudici confermano quanto controdedotto dall’Agenzia delle Entrate in giudizio laddove essa asseriva che “anche la delega speciale per ogni singola operazione di prelievo comporta per il promotore finanziario in attività l'obbligo della compilazione del quadro RW”.

Chi scrive ritiene che a conclusioni diverse sarebbe approdato il giudice laddove la delega in questione fosse stata di mera gestione della liquidità sul conto e non anche una delega al prelievo. In quel caso, infatti, il ruolo del promotore finanziario sarebbe stato semplicemente quello di consigliere – con delega – alle decisioni di investimento finanziario ma non anche alla movimentazione del conto.

Se ne può concludere affermando che, in casi similari a quello di cui al giudizio della Commissione tributaria regionale di II° grado di Bolzano riportata in epigrafe, il delegato può, fino al 30 settembre 2015, usufruire delle disposizioni in tema di col-laborazione volontaria di cui alla Legge n. 186/2015. Laddove, viceversa, la delega fosse stata solo all’individuazione ed alla scelta degli strumenti finanziari sui quali investire la liquidità dei conti, nessun obbligo di compilazione del quadro RW sa-rebbe sorto e nessuna necessità di usufruire delle disposizioni in tema di collaborazione volontaria oggi si porrebbe.

Elenco delle fonti fotografiche:http://w w w.ticosoci . it/f i le/news/25/zoom_ giurisprudenza .jpg [18.05.2015]

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20 Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UE L’incompatibilità con la libera circolazione dei capitali delle restrizioni tributarie procedurali al possesso di quote di fondi di investimento esteri

CGUE, 9 ottobre 2014, causa C-326/12, van Caster – Rinvio pre-giudiziale – Libera circolazione dei capitali – Articolo 63 TFUE – Tassazione dei redditi derivanti da fondi di investimento – Obblighi di comunicazione e di pubblicazione di talune informa-zioni da parte di un fondo di investimento – Tassazione forfettaria dei redditi provenienti da fondi di investimento non in regola con gli obblighi di comunicazione e di pubblicazione

1.L’oggetto della questione pregiudiziale sottoposta alla CGUELa domanda di pronuncia pregiudiziale di cui è stata investi-ta la Corte di Giustizia dell’Unione europea (di seguito CGUE) verte sull’interpretazione degli articoli 63 e 65 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE). Detta domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la signora van Caster e suo figlio (di seguito i contribuenti), da un lato, e il Finanzamt Essen-Süd (di seguito Finanzamt), dall’altro. La controversia oggetto della causa principale con-cerne la determinazione della base imponibile dei redditi dei contribuenti, entrambi fiscalmente residenti in Germania, de-rivanti da fondi di investimento non residenti in Germania e relativi ai periodi di imposta intercorrenti dal 2004 al 2008.

I contribuenti possiedono partecipazioni in fondi di investimen-to di capitalizzazione non residenti, collocati in deposito pres-so una banca belga. Con riferimento a tali fondi, a partire dal 2003 una parte di essi si qualificava come “fondi non trasparenti” ai sensi dell’articolo 6 della Legge relativa alla tassazione de-gli investimenti (di seguito Legge Investimenti). Detto articolo prevede che, qualora la società di gestione dei fondi non for-nisca ai contribuenti e non pubblichi le informazioni previste dall’articolo 5 Legge Investimenti (tra le quali: l’ammontare ed il dettaglio per natura della distribuzione, la parte di distri-buzione che dà diritto ad un credito di imposta o a rimbor-so dell’imposta sui redditi, l’ammontare delle relative imposte estere riscosse, l’ammontare delle deduzioni per deprezza-mento), i redditi dei contribuenti devono essere determinati in via forfettaria, sulla base di parametri individuati dalla legge.

Per gli esercizi dal 2003 al 2008, i contribuenti dichiaravano redditi pari a circa 71’000 euro, determinati sulla base di docu-menti giustificativi acclusi alle rispettive dichiarazioni, ovvero

di informazioni tratte da un notiziario di borsa. Il Finanzamt, tuttavia, accertava i redditi dei fondi non trasparenti in modo forfettario sulla base della disciplina recata dall’articolo 6 Legge Investimenti, addivenendo alla liquidazione di un’imposta pari a circa 246’000 euro.

I contribuenti contestavano tale decisione del Finanzamt dinnanzi al Tribunale delle finanze di Düsseldorf. In particolare, i contribuenti chiedevano la riforma degli avvisi di accerta-mento e la rideterminazione dell’imposta dovuta sostenendo che l’articolo 6 Legge Investimenti, come applicato dal Finan-zamt, fosse contrario alle disposizioni del TFUE sulla libera cir-colazione dei capitali.

Il Tribunale delle finanze di Düsseldorf, pur evidenziando come il meccanismo di imposizione forfettaria recato dall’articolo 6 Legge Investimenti sia indistintamente applicabile ai fondi di investimento residenti e non residenti, ha ritenuto che tale disposizione potrebbe condurre ad una discriminazione indi-retta dei fondi non residenti, considerato che i fondi residenti rispondono generalmente ai requisiti fissati dall’articolo 5 Legge Investimenti, cosa che non avverrebbe, di regola, nel caso di fondi non residenti.

Il Tribunale delle finanze di Düsseldorf ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di chiedere pregiudizialmente alla CGUE se l’imposizione forfettaria delle rendite derivanti da fondi di investimento (nazionali ed) esteri che si qualificano come “non trasparenti” ai sensi dell’articolo 6 Legge Investi-menti, in ragione del fatto che la società di gestione non abbia comunicato e pubblicato le informazioni previste dall’artico-lo 5 della medesima legge, violi il diritto dell’Unione europea in quanto integri una restrizione dissimulata alla libera circo-lazione dei capitali.

2.L’esistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali garantita dall’articolo 63 TFUELa CGUE ha in primo luogo richiamato la propria costante giurisprudenza in materia di restrizione alla libera circolazio-ne dei capitali, secondo la quale le misure vietate dall’articolo 63 TFUE comprendono sia quelle idonee a dissuadere i non

Paolo Arginelli Professore a contratto, Università Cattolica del Sacro CuorePostdoc research fellow, IBFDDirettore, AdvantA Sagl, Lugano

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residenti dal compiere investimenti in uno Stato membro, sia quelle idonee a dissuadere i residenti dal compiere investi-menti in altri Stati membri[1].

La CGUE ha poi rilevato che l’imposizione forfettaria, prevista dall’articolo 6 Legge Investimenti nell’ipotesi di mancata osser-vanza da parte del gestore del fondo degli obblighi di comuni-cazione e di pubblicazione previsti dall’articolo 5 della medesi-ma legge, prevede una base imponibile minima pari al 6% del prezzo di riscatto al termine dell’anno, indipendentemente dal fatto che il valore della quota del fondo sia aumentato o dimi-nuito nel corso di detto anno. Ad avviso della CGUE, tale calco-lo forfettario può dar luogo ad una sopravvalutazione dei reali redditi del contribuente, in particolare nell’ipotesi in cui i tassi di interesse si mantengano a livelli bassi su un lungo periodo[2].

Tale circostanza è sufficiente, ad avviso della CGUE, per rendere l’imposizione forfettaria di cui all’articolo 6 Legge Investimenti sfavorevole al contribuente cui la stessa si applichi. Sotto tale profilo, a nulla vale obiettare che, nei periodi di imposta in cui il fondo di investimento generi redditi particolarmente elevati, il regime forfettario in questione possa risultare più favorevo-le rispetto al regime ordinario di imposizione, in quanto dalla costante giurisprudenza della CGUE emerge che un regime fiscale sfavorevole contrario ad una libertà fondamentale non può essere giustificato dall’esistenza di altri vantaggi fiscali[3].

La CGUE ha quindi osservato come dalla normativa oggetto del procedimento principale emerga che un contribuente che abbia investito in un “fondo non trasparente”, ai sensi dell’articolo 6 Legge Investimenti, non possa fornire elementi o informa-zioni che consentano di dimostrare i suoi redditi effettivi. L’im-posizione forfettaria che ne deriva risulta, pertanto, idonea a dissuadere il contribuente dall’investire in fondi “non trasparenti”. D’altra parte, gli obblighi di comunicazione e pubblicità previsti dall’articolo 5 Legge Investimenti non sono generalmente os-servati dai fondi di investimento che non operano sul merca-to tedesco e che non mirino ad operare attivamente su detto mercato, in quanto detti fondi non hanno solitamente alcun interesse a conformarsi alle disposizioni recate dal suddetto ar-ticolo 5. Ad avviso della CGUE, in considerazione del fatto che i fondi di questo tipo sono, nella maggior parte dei casi, fondi non residenti, la norma nazionale oggetto del procedimento princi-pale appare dunque idonea a dissuadere un investitore tedesco dal sottoscrivere quote di fondi di investimento non residenti, in ragione del fatto che detto investimento potrebbe esporre

l’investitore tedesco ad una tassazione forfettaria sfavorevole, senza la possibilità di fornire elementi o informazioni che pos-sano dimostrare l’effettiva entità dei suoi redditi. Detta norma costituisce pertanto una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata, in linea di principio, dall’articolo 63 TFUE[4].

3.Non giustificabilità della restrizione alla libera circola-zione dei capitaliLa CGUE ha quindi diretto la sua analisi sulle possibili ragioni di giustificazione della predetta violazione della libera circo-lazione dei capitali, rilevando come dalla sua consolidata giu-risprudenza risulti che i provvedimenti nazionali in grado di ostacolare o rendere meno attraente l’esercizio delle libertà fondamentali possono nondimeno essere giustificati qualora perseguano un obiettivo di interesse generale, siano adeguati a garantire la realizzazione dello stesso e non eccedano quan-to è necessario per raggiungerlo[5].

La CGUE ha quindi, in primo luogo, analizzato la giustificabili-tà della disciplina recata dall’articolo 6 Legge Investimenti alla luce della necessità di garantire un’adeguata ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri. A tal riguardo, la CGUE ha riconosciuto che il perseguimento di tale obiettivo è am-missibile quale giustificazione di una restrizione delle libertà fondamentali, in particolare qualora il regime di cui trattasi sia volto a prevenire comportamenti idonei a compromettere il diritto di uno Stato membro ad esercitare la propria sovranità tributaria in relazione ad attività esercitate sul proprio terri-torio[6]. Tuttavia, la CGUE ha rilevato come la disciplina na-zionale oggetto della causa principale non appaia tanto volta a conseguire un’equa ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati membri, quanto a garantire il trattamento uniforme, da un lato, tra i contribuenti tedeschi che abbiano effettuato investimenti direttamente in azioni o obbligazioni e quelli che abbiano sottoscritto quote in fondi di investimento, nonché, dall’altro, tra i contribuenti tedeschi che abbiano investito in fondi residenti e quelli che abbiano investito in fondi non resi-denti. La CGUE ha quindi concluso per il rigetto di tale causa di giustificazione[7].

In secondo luogo, la CGUE ha analizzato la giustificabilità della restrizione alla libera circolazione dei capitali alla luce dell’o-biettivo di assicurare l’efficacia dei controlli tributari e della riscossione delle imposte. Sotto tale profilo, la CGUE ha anzi-tutto richiamato la sua precedente giurisprudenza, la quale ha riconosciuto l’invocabilità di detti motivi imperativi di interesse generale al fine di giustificare una prima facie restrizione alle libertà fondamentali[8]. La CGUE ha quindi rilevato come sia inerente al principio dell’autonomia fiscale degli Stati mem-bri che questi ultimi stabiliscano le informazioni che debbano essere fornite, nonché i requisiti che debbano essere rispettati al fine di consentire all’amministrazione finanziaria di deter-minare correttamente l’imposta dovuta sui redditi derivanti dai fondi di investimento. In tale prospettiva, la CGUE ha tut-tavia rilevato come una disciplina nazionale che, ai fini della determinazione della base imponibile degli investitori, attri-buisca esclusiva rilevanza alle informazioni fornite dai gestori dei fondi di investimento e che non permetta, ai contribuenti che abbiano sottoscritto quote di fondi di investimento non

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residenti, di fornire la prova dei redditi effettivamente derivanti da tali fondi va al di là di quanto necessario al fine di garantire l’efficacia dei controlli tributari. Secondo la CGUE, non sarebbe infatti possibile escludere a priori che tali contribuenti siano in grado di fornire elementi giustificativi pertinenti che con-sentano all’amministrazione finanziaria dello Stato membro di imposizione di verificare, in modo chiaro e preciso, le informa-zioni richieste per poter correttamente determinare i redditi dei fondi di investimento[9].

La CGUE ha poi affrontato la questione, sollevata dal Finanzamt e dal Governo tedesco, secondo cui la procedura di pubblicazione disciplinata dall’articolo 5 Legge Investimenti garantirebbe l’imposizione uniforme di tutti i contribuenti che abbiano sotto-scritto quote in uno stesso fondo di investimento. In merito, la CGUE ha tuttavia rilevato come tale uniformità di imposizione potrebbe essere parimenti assicurata mediante uno scambio di informazioni interno all’amministrazione finanziaria tedesca. Essa ha inoltre rilevato che l’amministrazione finanziaria tedesca potrebbe verificare la correttezza delle informazioni ricevute, ed eventualmente integrarle, attivando la procedura di cooperazio-ne amministrativa tra le autorità competenti degli Stati mem-bri dell’Unione europea prevista dalla Direttiva n. 77/799/CEE

e dalla successiva Direttiva n. 2011/16/UE. La CGUE ha infine di-smesso anche l’argomento dell’eccessivo onere amministrativo eventualmente risultante, per l’amministrazione finanziaria te-desca, dalla concessione ai contribuenti della possibilità di fornire le informazioni che dimostrino i loro redditi effettivi, ricordando come la propria giurisprudenza[10] neghi che gli inconvenienti amministrativi possano risultare, di per sé, sufficienti a giustifi-care un ostacolo alla libera circolazione dei capitali[11].

La CGUE ha quindi ritenuto che una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale non possa essere giustificata dalla necessità di garantire l’efficacia dei controlli tributari e di assicurare l’efficace riscossione delle imposte, lad-dove essa non consenta al contribuente di fornire elementi o in-formazioni che possano dimostrare i propri redditi effettivi[12].

4.DispositivoSulla base di tali motivazioni, la CGUE ha concluso che l’artico-lo 63 TFUE dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, ai sensi della quale la mancata osservanza, da parte di un fondo di investimento non residente, degli obblighi di co-municazione e di pubblicazione di talune informazioni previsti dalla normativa medesima, obblighi indistintamente applica-bili ai fondi residenti e non residenti, determina la tassazione forfettaria dei redditi derivanti al contribuente dai fondi di in-vestimento medesimi, laddove tale normativa non consenta al contribuente stesso di fornire elementi o informazioni idonei a determinare l’effettiva entità di detti redditi.

Elenco delle fonti fotografiche:http://images.wired.it/wp-content/uploads/2014/04/1396967158 _UE.jpg [18.05.2015]

http://www.borsa-finanza-trading.it/wp-content/uploads/2012/01/Fon-di-dinvestimento.png [18.05.2015]

[1] Punto 25 della sentenza in commento. Si veda anche CGUE, 10 maggio 2012, cause riunite da C-338/11 a C-347/11, Santander Asset Manage-ment SGIIC, punto 15; CGUE, 13 marzo 2014, causa C-375/12, Bouanich, punto 43.[2] Punti 27 e 28 della sentenza in commento.[3] Punti 29-32 della sentenza in commento. Si veda anche CGUE, 18 luglio 2007, causa C-182/06, Lake-brink, punto 24.[4] Punti 33-38 della sentenza in commento.[5] Punto 39 della sentenza in commento. Si veda anche CGUE, 23 gennaio 2014, causa C-296/12, Commissione c. Belgio, punto 32.

[6] Punto 41 della sentenza in commento. Si veda anche CGUE, 10 maggio 2012, cause riunite da C-338/11 a C-347/11, Santander Asset Manage-ment SGIIC, punto 47; CGUE, 4 luglio 2013, causa C-350/11, Argenta Spaarbank, punto 53.[7] Punti 42-44 della sentenza in commento.[8] Si vedano, in particolare, CGUE, 18 dicembre 2007, causa C-101/05, A., punto 55; CGUE, 11 giu-gno 2009, cause riunite C-155/08 e C-157/08, X e Passenheim, punto 55; CGUE, 30 giugno 2011, causa C-262/09, Meilicke, punto 41; CGUE, 5 luglio 2012, causa C-318/10, SIAT, punto 36; CGUE, 12 luglio 2012, causa C-269/09, Commissione c.

Spagna, punto 64; CGUE, 18 ottobre 2012, cau-sa C-498/10, X, punto 39; CGUE, 19 giugno 2014, cause riunite C-53/13 e C-80/13, Strojírny Protějov, punto 46.[9] Punti 46-50 della sentenza in commento.[10] Si vedano CGUE, 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione c. Francia, punto 29; CGUE, 14 settem-bre 2006, causa C-386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer, punto 48; CGUE, 27 novembre 2008, causa C-418/07, Papillon, punto 54.[11] Punti 53-56 della sentenza in commento.[12] Punto 57 della sentenza in commento.

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Scritti in onore del Prof. Dr. Marco Bernasconi a cura di Samuele Vorpe

Diritto penale tributario e scambio di informazioni fiscali tra au-torità amministrative sono da sempre temi che appassionano il Prof. Dr. Marco Bernasconi. Gli scritti in suo onore, pubblicati in occasione dei suoi 75 anni, riprendono il titolo di una delle sue più importanti pubblicazioni (“Contravvenzioni e delitti fiscali nel diritto federale svizzero e cantonale ticinese”), soffermandosi sulle prossime riforme e su particolari aspetti, talvolta anche com-plessi, che contraddistinguono il diritto penale fiscale e l’assi-stenza amministrativa.

Questo volume raccoglie 25 contributi, che spaziano dall’im-plementazione nel diritto svizzero delle Raccomandazioni del GAFI allo scambio automatico di informazioni (secondo i modelli OCSE, UE, FATCA), dalle possibili modifiche del di-ritto penale tributario volte ad attenuare il segreto bancario nei confronti dei contribuenti residenti in Svizzera all’iniziativa popolare federale “Sì alla protezione della sfera privata”. Si passa dalla diligenza delle banche in materia fiscale alla possibilità, per esse, di dedurre le multe fiscali. Nel campo del diritto pe-nale tributario si esaminano gli aspetti legali relativi all’autode-nuncia spontanea, alla voluntary disclosure, all’amnistia fiscale, all’imposta preventiva, alle successioni e alle donazioni, all’im-posta alla fonte, ai coniugi, ai rappresentanti contrattuali, alle imposte indirette, alle distribuzioni dissimulate di utile, alle pre-scrizioni, alla relazione fra le procedure di ricupero d’imposta e di contravvenzione per sottrazione d’imposta, eccetera.

Questi studi sono un omaggio al Prof. Dr. Marco Bernasconi, per il suo significativo apporto nei campi scientifico, didattico, accademico e storico.

Pubblicazioni Contravvenzioni e delitti fiscali nell’eradello scambio internazionale d’informazioni

Samuele VorpeResponsabile del Centro di competenzetributarie della SUPSI

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24 Novità fiscali / n.5 / maggio 2015

Autori e contenuti:

PrefazioneMauro Baranzini

I Diritto penale tributario svizzeroDenise Pagani Zambelli01 La prescrizione dei reati fiscali

Rocco Filippini02 Distribuzioni dissimulate di utili e frode fiscale

Giordano Macchi03 La deducibilità delle multe in ambito fiscale

Matteo Gamboni04 I reati di partecipazione nell’ambitodella fiscalità diretta

Samuele Vorpe05 La responsabilità dei coniugi in caso di sottrazione

Vittorio Primi06 Le penalità fiscali (multe) inflitte dall’autoritàamministrativa nell’ambito delle impostesulle successioni e sulle donazioni

Sabina Rigozzi07 Il diritto penale fiscale nell’imposizione allafonte dei redditi d’attività lucrativa dipendente

Donatella Negrini08 La tassazione al lordo o al netto dei redditi colpitida imposta preventiva

Filippo Piffaretti09 Reati fiscali ai sensi della LIP, esperienze

Sharon Guggiari Salari10 Art. 12 DPA: il rischio di pagare delle tasse federalia posteriori anche se non si è soggetti fiscali

II Procedura penale tributaria svizzeraLuca Marcellini / Letizia Vezzoni11 La condizione della spontaneità nella proceduradi autodenuncia fiscale esente da pena

Franco Casella / Marzio Teoldi12 Autodenuncia esente da pena e procedurasemplificata degli eredi

Andrea Pedroli13 Procedura penale tributaria 2.0

Fulvio Pelli14 Il rapporto di fiducia fra cittadinocontribuente e autorità fiscale

III Scambio internazionale di informazioni fiscaliAndrea Manzitti15 I rapporti fiscali tra la Svizzera e l’UE a diecianni dalla Direttiva sulla fiscalità del risparmio

Simona Genini16 Lo scambio automatico d’informazioni in ambitoOCSE ed UE: implicazioni per la Svizzera

Flavio Amadò17 Il principio di specialità nella prospettiva degli standards OCSE sullo scambio automatico di informazioni

Peter R. Altenburger / Viviana Sforza18 La convivenza tra FATCA e MCAA: possibili conflitti

Curzio Toffoli19 La trasmissione diretta di dati personali di dipendenti,ex dipendenti e terzi dalle banche svizzere al DoJ

IV Riciclaggio dei proventi dei reati fiscalie diligenza delle banchePaolo Bernasconi20 Diligenza delle banche svizzere in materia fiscale

Michael Beusch / Sara Friedli / Manuel Borla21 “Serious Tax Crimes”: come i delitti fiscali sonodivenuti improvvisamente dei “crimini”

Giovanni Molo22 Il recepimento del riciclaggio fiscale nel dirittosvizzero: cause e conseguenze pratiche

V Diritto penale tributario italianoPaolo Arginelli23 Abuso del diritto e necessario bilanciamentotra principi di eguaglianza, capacità contributiva e legalità

Andrea Brignoli / Maurizio Di Salvo24 Aspetti della voluntary disclosure italiana

Sonia Del Boca Anelli25 Sequestro preventivo finalizzato alla confiscaper equivalente nei casi di reati tributari

Il volume verrà messo in vendita a partire da giugno 2015 al prezzo di 190 franchi (escluse IVA e spese di spedizione)

Per maggiori informazioni e ordinazioni:

SUPSI – DEASS, Centro competenze tributarie, Palazzo E, CH-6928 Manno;

Fax: +41 (0)58 666 61 76; Email: [email protected]

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25Offerta formativaAl via a settembre l’ottava edizione delMaster of Advanced Studies SUPSI in Tax Law

Scambio d’informazioni, Voluntary disclosure, Transfer pri-cing, Riforma III dell’imposizione delle imprese e riforma del diritto penale fiscale. Anche per i prossimi anni la fi-scalità è indiscutibilmente destinata a occupare un ruolo cruciale per le attività quotidiane dei diversi professioni-sti della nostra piazza economico-finanziaria. La conti-nua evoluzione del diritto fiscale costringe gli addetti ai lavori a un aggiornamento continuo, riflettendo sull’e-ventualità di intraprendere una formazione ad ampio respiro e al passo con i tempi nell’ambito del diritto tribu-tario svizzero, italiano e internazionale

Il Centro competenze tributarie della SUPSI, cerca da ormai molti anni di colmare questa esigenza, offrendo un Master in Tax Law, il cui titolo è riconosciuto dal Dipartimento federale dell’Economia. L’ottava edizione del Master prenderà avvio il 4 settembre 2015.

Il ciclo di studio è articolato in tre corsi annuali indipendenti tra loro, della durata di 200 ore-lezione ciascuno, al termine dei quali gli studenti elaborano una tesi di master che, se accolta, permette di conseguire il titolo di “Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law”.

Il principale obiettivo del Master in Tax Law è quello di fornire a professionisti attivi nel settore pubblico e privato le conoscen-ze pratiche e teoriche del diritto e della prassi tributaria, con particolare riferimento alle relazioni tra Italia e Svizzera e al diritto tributario internazionale.

Nel primo corso (“Fondamenti di diritto tributario”) si analizzano le singole imposte, dirette e indirette, previste dal diritto fiscale svizzero; nel secondo (“Approfondimenti di diritto tributario”) si affrontano alcuni aspetti particolari del diritto fiscale svizzero, nonché i principi del diritto fiscale italiano; il terzo e ultimo corso (“Diritto tributario internazionale”) tratta invece gli aspetti della fiscalità internazionale.

Intervista a Sacha Cattelan, studente al secondo anno del Master in Tax LawCosa l’ha spinta a intraprendere una formazione in questo campo? Dopo aver conseguito il Bachelor in Economia Aziendale SUP, stavo vagliando diverse opportunità sia lavorative sia di stu-dio in ambito tributario. Cercavo l’occasione di intraprendere una formazione specialistica che mi desse nel frattempo la possibilità di cominciare un’attività lavorativa. Era mia pre-mura trovare un percorso che mi potesse offrire una forma-zione all’avanguardia garantendomi concrete opportunità professionali future. Ecco che il Master in Tax Law ha risposto positivamente alle mie esigenze.

Asseriva a delle concrete opportunità professionali future. Cosa ci può dire al riguardo ora che ha quasi concluso il suo percorso triennale?Esattamente! Il livello di formazione è alto, basti pensare al parco docenti, formato da professionisti di spicco operanti sulla piazza economico-finanziaria svizzera, italiana ed europea, ottima-mente amalgamati con esperti fiscali dell’Amministrazione federale delle contribuzioni e della Divisione delle contribuzioni tici-nese che offrono agli studenti una formazione di qualità. Inoltre la rete di conoscenze e lo scambio di opinioni che spontane-amente si creano sia con i docenti che con gli studenti rende sicuramente il Master in Tax Law, oltre che un ottimo polo di specializzazione per professionisti consolidati, una vetrina importante per coloro che, come me, sono agli inizi del proprio percorso professionale.

Per maggiori informazioni:Il Centro di competenze tributarie della SUPSI rimane a completa disposizione ai seguenti recapiti:Tel.: 0041(0)58.666.61.75Fax: 0041(0)58.666.61.76Email: [email protected] Siti web: www.supsi.ch/tax-law, www.supsi.ch/fisco

Sacha CattelanBachelor of Science SUPSIin Economia aziendaleAssistente SUPSI

Articolo pubblicato il 14.04.2015sul Giornale del Popolo

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26 Offerta formativaSeminari e corsi di diritto tributario

Seminari

□ La disciplina italiana del credito per le imposte estere 18 giugno 2015, Manno

Master of Advanced Studies in Tax Law

□ CAS in Fondamenti di diritto tributario

□ CAS in Diritto tributario internazionale

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