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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale www.novitafiscali.supsi.ch N° 12 – Dicembre 2014 Politica fiscale Famiglie sempre fiscalmente discriminate 3 Accordo sui frontalieri: che fare? 4 Diritto tributario svizzero Contributi volontari del II° pilastro e prelevamento dell'avere previdenziale sotto forma di capitale nei tre anni successivi 5 La progressione delle aliquote sui redditi in Svizzera 12 Diritto tributario italiano Il nuovo quadro RW del Modello Unico 2014 21 Diritto tributario internazionale e dell'UE Orizzonti temporali del segreto bancario e voluntary disclosure 26 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Nessuna imposizione pro rata temporis per l’imposta di navigazione 36 Offerta formativa Seminari e corsi di diritto tributario 38

Novità fiscali - SUPSI · Maiese affrontano il tema della voluntary disclosure italiana e i suoi effetti per la Svizzera. Vi è infine ... ha modificato il concetto di frontaliere

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento economia aziendale, sanità e socialeCentro competenze tributarie

Novità fiscaliL’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale

www.novitafiscali.supsi.ch

N° 12 – Dicembre 2014

Politica fiscaleFamiglie sempre fiscalmente discriminate 3

Accordo sui frontalieri: che fare? 4

Diritto tributario svizzeroContributi volontari del II° pilastro e prelevamento dell'avere

previdenziale sotto forma di capitale nei tre anni successivi 5

La progressione delle aliquote sui redditi in Svizzera 12

Diritto tributario italianoIl nuovo quadro RW del Modello Unico 2014 21

Diritto tributario internazionale e dell'UEOrizzonti temporali del segreto bancario

e voluntary disclosure 26

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzeroNessuna imposizione pro rata temporis per l’imposta

di navigazione 36

Offerta formativaSeminari e corsi di diritto tributario 38

L’ultimo numero dell’anno si apre con un contribu-to di Federica Giovannini sulla recente giurispru-denza federale in materia di prelevamento dell’a-vere previdenziale sotto forma di capitale. Con una sentenza di principio del 12 marzo 2010, l’Alta Corte ha concluso per il divieto assoluto di proce-dere alla deduzione di riscatti di anni contributivi se, nei tre anni successivi, il contribuente ha l’in-tenzione di richiedere all’istituto di previdenza una prestazione in capitale. Un secondo contributo di Louis Macchi e Paolo Pamini approfondisce il tema della concorrenza fiscale intercantonale svizzera, con un particolare sguardo alla progressione delle aliquote sui redditi delle persone fisiche, oggetto di un recente studio patrocinato dall’Amministra-zione federale delle contribuzioni. Il diritto tributa-rio italiano è trattato da Raul Angelo Papotti, che ci illustra il nuovo quadro RW del Modello Unico 2014. Pur mantenendo la medesima denomina-zione, la nuova versione del quadro RW contiene diverse novità per i soggetti residenti in Italia che detengono attività patrimoniali e finanziarie all’e-stero, che il contributo ripercorre unitamente alle modifiche più rilevanti apportate alla disciplina del monitoraggio fiscale. Leandro Noi e Vincenzo Maiese affrontano il tema della voluntary disclosure italiana e i suoi effetti per la Svizzera. Vi è infine spazio per un aggiornamento giurisprudenzia-le: Sacha Cattelan commenta una sentenza della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appel-lo resa in materia d’imposta di navigazione, nella quale viene sottolineata la possibilità per il legi-slatore di rinunciare, entro certi limiti, a discipline dettagliate, nell’intento di adottare disposizioni fiscali di applicazione efficace e agevole.Buona lettura e buone Feste!

Rocco Filippini

RedazioneSUPSICentro di competenzetributariePalazzo E6928 MannoT +41 58 666 61 75F +41 58 666 61 [email protected]

ISSN 2235-4565 (Print)ISSN 2235-4573 (Online)

Redattore responsabileSamuele Vorpe

Comitato redazionaleFlavio AmadòElisa AntoniniPaolo ArginelliSacha CattelanRocco FilippiniRoberto FranzèMarco GreggiGiordano MacchiGiovanni MoloAndrea PedroliSabina RigozziCurzio ToffoliSamuele Vorpe

Impaginazione e layoutLaboratorio cultura visiva

IntroduzioneNovità fiscali12/2014

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Dalla doppia tariffa al quoziente familiare, passando per lo splitting integrale o parziale. Non mancano i po-tenziali rimedi per sopprimere l’occulta “tassa federale sul matrimonio”

Sta per terminare il 2014 e anche quest’anno le famiglie do-vranno pagare, rispetto ai concubini, l’indigesta “tassa federale sul matrimonio”; una tassa contraria sia al principio dell’ugua-glianza sia al principio dell’imposizione secondo la capacità contributiva. Molti si chiederanno che senso abbia il matrimo-nio se poi, a parità di reddito tra due persone sole e due perso-ne coniugate, che si trovano nella stessa situazione e che con-seguono lo stesso reddito, debbano esserci delle differenze che arrivano sino all’80% di maggiori imposte. Oltretutto, non c’è alcun motivo oggettivo per giustificare una simile discrimina-zione. O forse sì, un motivo ci sarebbe: l’incapacità della classe politica, a distanza di ben 30 anni (sigh!), di eliminare questa “tassa occulta incostituzionale”, rilevata dal Tribunale federale in una sentenza del 1984 (cfr. DTF 110 Ia 7). Allora tutti i Cantoni corsero ai ripari, solo la Confederazione non lo fece, perché alla nostra Alta Corte è precluso il sindacato di costituziona-lità delle leggi federali (leggasi l’articolo 190 della Costituzio-ne). Essa può solo consigliare al custode delle leggi (leggasi il Parlamento) di sanare questa situazione. Tuttavia sanare la situazione avrebbe un costo elevato. Un po’ come la tanto acclamata Riforma dell’imposizione delle imprese III, dove si parla di minori entrate sino a due miliardi di franchi all’anno (ricorrenti!), di cui il 17% ricadrebbe sui Cantoni. Mica noccio-line! Intanto gli anni passano e le famiglie a doppio reddito continuano ad essere penalizzate rispetto ai concubini e i con-ti della Confederazione chiudono (fortunatamente) in attivo… Ora, parrebbe, dopo molti tentativi andati a vuoto (messaggi del Consiglio federale, iniziative, mozioni, votazioni respinte dal Popolo e dai Cantoni su pacchetti fiscali), che l’iniziativa popolare federale del PPD “Per il matrimonio e la famiglia – No agli svantaggi per le coppie sposate” piaccia al Consiglio federale. Iniziativa che chiede “soltanto” di iscrivere nella Costituzione federale, all’articolo 14 capoverso 2, l’eliminazione delle discri-minazioni fiscali nei confronti dei coniugi. Ma la Commissione del Consiglio degli Stati prima e il Consiglio nazionale poi, si sono già opposti all’iniziativa, proponendo un controprogetto, in cui si vorrebbe perlomeno inserire la possibilità di optare per

il modello della tassazione individuale, quando invece l’iniziati-va del PPD propone di ancorare la tassazione congiunta della famiglia nella Costituzione. Per risolvere la questione è oppor-tuno seguire la via dei Cantoni, mantenendo – a mio giudi-zio – il principio della tassazione congiunta della famiglia, che costituisce un sistema che ha dato buoni risultati (nei Cantoni) e che si è consolidato negli anni. Il metodo da utilizzare è indif-ferente (doppia tariffa, splitting integrale o parziale, quoziente familiare, aliquota unica con deduzione sociale), l’importante è che si resti nei limiti costituzionalmente ammessi. Secondo i giudici, qualora una legislazione tributaria preveda delle diffe-renze impositive tra coniugati e concubini superiori al 10%, la stessa deve essere considerata incostituzionale (l’imposta fe-derale diretta arriva sino all’80%!). Inoltre, il Tribunale federale ha stabilito che il carico fiscale dei coniugi non deve dipendere in linea di principio dalla ripartizione del reddito fra i coniugi o dal fatto che soltanto un coniuge oppure entrambi conse-guano un reddito. La speranza è che quindi il prossimo anno sia fiscalmente più generoso per le famiglie se confrontato, a parità di reddito, con quello dei concubini.

Buone feste a tutti!

Per maggiori informazioni:Vorpe Samuele, Una tassa sul matrimonio in Svizzera?, in: NF 2/2011, pagine 2-7

Iniziativa popolare federale “Per il matrimonio e la famiglia - No agli svantaggi per le coppie sposate”, depositata il 5 novembre 2012 dal Partito popolare de-mocratico, in: http://www.admin.ch/ch/i/pore/vi/vis404.html [18.12.2014]

Politica fiscaleFamiglie sempre fiscalmente discriminate

Samuele VorpeResponsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI

Articolo pubblicato il 16.12.2014sul Giornale del Popolo

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Rinegoziare, denunciare o compensare?

L’Accordo sui frontalieri italo-svizzero del 1974, entrato in vi-gore nel 1979 insieme alla Convenzione generale contro le doppie imposizioni, è da tempo oggetto di discussioni politiche nel Canton Ticino. Infatti, questo Accordo prevede l’imposizio-ne esclusiva dei redditi del lavoro da attività lucrativa dipen-dente, conseguiti dalle persone che risiedono in un Comune situato nella zona di frontiera (20 km dal confine), nel luogo in cui questa viene esercitata. Se però questa viene esercitata in Ticino, il nostro Cantone è tenuto a ristornare ai Comuni di frontiera italiani (dove risiedono i frontalieri) il 38.8% delle imposte incassate, quale compensazione finanziaria. I fronta-lieri, sulla base dell’Accordo, non sono poi tenuti a dichiarare tali redditi in Italia, poiché imponibili soltanto in Svizzera. Da più parti è stata sollevata la necessità di una rinegoziazione dell’Accordo poiché lo stesso è ormai da ritenersi vetusto e superato dall’attuale quadro legislativo. Infatti, da un lato l’I-talia dal 2003 dispone di una base legale per tassare i redditi da attività lucrativa dipendente conseguiti all’estero, dall’altro, dal 2007, l’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE (di seguito ALC) ha modificato il concetto di frontaliere. Ora, al frontaliere non è più richiesto il rientro gior-naliero dal luogo di lavoro al luogo di domicilio, bensì soltanto il rientro una volta alla settimana. Sulla base dell’ALC la Svizzera ha, tra l’altro, rinegoziato l’Accordo sui frontalieri con l’Austria prevedendo una quota del ristorno delle imposte del 12.5% ed eliminando il concetto di zona di frontiera. Questi eventi han-no spinto il Ticino a chiedere alle Autorità federali di intavolare con l’Italia delle trattative per rinegoziare l’Accordo sui fron-talieri riducendo, per esempio, la quota del ristorno al 12.5% come con l’Austria, oppure utilizzando il metodo di imposizio-ne già oggi applicato ai frontalieri residenti in Italia al di fuori della zona di frontiera, che prevede sia la tassazione al luogo del lavoro sia la tassazione in Italia; tuttavia, l’Italia riconosce ai suoi residenti un credito sulle imposte pagate in Svizzera per eliminare la doppia imposizione. Da quanto si apprende, però, la controparte italiana non sarebbe disposta a rivedere l’Accordo sui frontalieri del 1974 poiché i Comuni di frontiera non sembrerebbero favorevoli ad una sua modifica. L’altra va-riante, la denuncia dell’Accordo, come richiesto da una petizio-ne del Partito liberale radicale, non sembra convincere, poiché

vi è il rischio concreto che una denuncia possa far decadere, di conseguenza, anche la Convenzione generale. Infatti l’Ac-cordo è parte integrante di tale Convenzione. Se restassimo senza Convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia, a perderci sarebbero tutti gli attori e non è scontato che una nuova Convenzione possa poi essere pattuita in tempi ragio-nevoli. Resta in piedi l’ultima possibilità, a mio modo di vedere, la più concreta, ovvero quella della compensazione finanziaria interna tra Confederazione e Cantone Ticino, tra l’altro sol-levata anche dal consigliere di Stato Claudio Zali (cfr. opinio-ne CdT del 15.11.2014). Se infatti la Confederazione, come è comprensibile, per non pregiudicare la piazza finanziaria, non volesse rinegoziare l’Accordo sui frontalieri pur di trovare un accordo con l’Italia che gli permetta di uscire dalle liste nere concedendo uno scambio di informazioni secondo i parametri dell’OCSE, è corretto che il Ticino ottenga direttamente dalla Confederazione un’adeguata compensazione finanziaria. La base legale è data dall’articolo 44 capoverso 1 della Costitu-zione federale, la quale stabilisce che Confederazione e Can-toni collaborano e si aiutano reciprocamente nell’adempimen-to dei loro compiti. Si tratta di una disposizione federalista e meglio di una solidarietà tra Confederazione e Cantoni che il Tribunale federale ha definito con il concetto di “Bundestreue”. Da questa disposizione vi è un obbligo di sostegno tra le due parti, anche di tipo finanziario. A questo stadio andrebbe ora approfondita anche questa strada.

Politica fiscaleAccordo sui frontalieri: che fare?

Samuele VorpeResponsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI

Articolo pubblicato il 25.11.2014sul Giornale del Popolo

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Le differenti interpretazioni dell'articolo 79b capoverso 3 prima frase LPP

1. IntroduzioneIn seno alla prima revisione della Legge federale sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità del 1982 (di seguito LPP), entrata in vigore il 1. gennaio 2006, è stato intro-dotto l’articolo 79b capoverso 3 LPP, con lo scopo di creare un criterio oggettivo per impedire che vengano aggirati gli obiet-tivi della previdenza professionale al fine di conseguire vantag-gi fiscali attraverso l’utilizzo abusivo del conto previdenziale[1]. Diverse sono le interpretazioni fornite al nuovo articolo, in par-ticolare alla prima frase, la quale sancisce che “le prestazioni risul-tanti dal riscatto non possono essere versate sotto forma di capitale dagli istituti di previdenza prima della scadenza di un termine di tre anni”, con conseguenze di portata differente per i contribuenti.

2. La situazione prima dell’entrata in vigore dell’articoloLe norme vigenti fino al 31 dicembre 2005 circa l’imposizione dei proventi della previdenza professionale e le relative age-volazioni fiscali, oltre al margine d’interpretazione concesso dal legislatore in tale ambito, hanno dato origine ad una se-rie di circostanze che ha favorito abusi: il contribuente da un lato godeva, e gode tutt’oggi, del diritto di dedurre dal reddi-to imponibile i contributi che egli effettua volontariamente, con lo scopo di migliorare le proprie prestazioni previdenziali. Questo diritto, che ha l’obiettivo di incentivare l’assicurato a risparmiare in previsione della vecchiaia o di un rischio assi-curato, è inserito nella Legge sull’imposta federale diretta del 14 dicembre 1990 (di seguito LIFD) all’articolo 33 capoverso 1 lettera d, così come nella Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni del 14 dicem-bre 1990 (di seguito LAID) all’articolo 9 capoverso 2 lettera d; ciò ha obbligatoriamente comportato l’introduzione di tale principio anche nelle leggi tributarie cantonali, nel caso del Canton Ticino all’articolo 32 capoverso 1 lettera d della Legge tributaria ticinese del 21 giugno 1994 (di seguito LT). Tale dirit-to viene ribadito anche nell’ambito della previdenza profes-sionale all’articolo 81 capoverso 2 LPP: “i contributi […] possono essere dedotti per le imposte dirette federali, cantonali e comunali”.

Dall’altro lato, in virtù degli articoli 38 LIFD e 38 LT, la presta-zione previdenziale versata sotto forma di capitale è tassata con aliquote agevolate: a livello federale l’imposta è pari ad un quinto delle tariffe ordinarie sul reddito, mentre a livello canto-nale l’aliquota è pari a quella “che sarebbe applicabile se al posto della prestazione unica fosse versata una prestazione annua corri-spondente”, con un minimo del 2%.

Avvalendosi di queste due agevolazioni, il contribuente di-sponeva apparentemente di un certo margine di manovra, che gli avrebbe teoricamente potuto consentire di conse-guire un risparmio fiscale; tuttavia un comportamento che sfrutta i due vantaggi fiscali esposti era ed è considerato dalla giurisprudenza prima, e dalla legge poi, come elusivo: si consi-deri ad esempio un anno vicino al ritiro dell’avere previdenziale sotto forma di capitale e in cui viene effettuato un acquisto; la legge consente di dedurre il relativo importo dal reddito im-ponibile; in un secondo momento si effettua il prelevamento in capitale dell’importo versato come acquisto ed esso viene imposto separatamente, con aliquota privilegiata.

Una tale manovra veniva scrutinata fino alla fine del 2005 in base al principio dell’elusione fiscale, la quale presupponeva la volontà del contribuente di conseguire un risparmio d’impo-sta. Risultava però complicato dimostrare che la decisione di prelevare il capitale del secondo pilastro era già stata presa al momento di effettuare l’acquisto[2]. Negli anni precedenti al 2006, sono stati oggetto della giurisprudenza del Tribunale fe-derale in particolare i principi della previdenza professionale ed i procedimenti abusivi con lo scopo di evadere il fisco; per im-pedirne la realizzazione gli organi amministrativi ed i tribunali si avvalevano soprattutto dei principi costituzionali, in quanto non esistevano ancora specifiche normative contro gli abusi.

Nel messaggio per la prima revisione della LPP si è approfondito anche il tema delle limitazioni degli acquisti. In seno al Con-siglio degli Stati è stato quindi introdotto un articolo con lo scopo di definire meglio il concetto di “previdenza” e più in det-taglio quale risparmio previdenziale sia fiscalmente ammes-so. Inoltre questo nuovo articolo aveva lo scopo di precisare alcuni principi, tra cui l’uguaglianza di trattamento, che fino ad allora erano stati definiti solo dalla giurisprudenza. Questo

Diritto tributario svizzeroContributi volontari del II° pilastro e preleva-mento dell'avere previdenziale sotto forma di capitale nei tre anni successivi

Federica GiovanniniBachelor of Science SUPSI in Economia aziendale con Major in Accounting & Controlling

Estratto del lavoro di tesi di Bachelor of Science SUPSI in Economia aziendale

6 Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

aspetto ha fatto sì che, fino all’introduzione dell’articolo 79b capoverso 3 LPP, le casistiche in cui c’era un sospetto di abu-so nell’utilizzo del conto previdenziale venissero analizzate, come anticipato poc’anzi, sulla base di tre condizioni cumu-lative per ammettere l’elusione fiscale:

◆ il riscatto è seguito o preceduto dal versamento ravvicinato di una prestazione in capitale;

◆ il riscatto non migliora la situazione previdenziale dell’as-sicurato;

◆ esso è giustificato solo dal trattamento fiscale privilegiato della previdenza[3].

I fatti oggetto di una sentenza del Tribunale federale del 2005[4] ricadrebbero oggi chiaramente nel campo d’applicazione dell’ar-ticolo 79b capoverso 3 LPP, che però non era ancora entrato in vigore alla data dei fatti. La sentenza invoca dunque il principio dell’uguaglianza di trattamento e le tre condizioni cumulative relative all’elusione fiscale, al fine di contrastare un comporta-mento elusivo e di vietare ad un contribuente di dedurre dal pro-prio reddito imponibile un importo di 430’000 franchi versato l’8 novembre 2000 sul proprio conto previdenziale sotto forma di riscatto, per poi prelevarlo il 13 novembre 2000 per l’acquisto di un’abitazione primaria, esigendone una tassazione privilegiata.

È stato così ribadito che gli acquisti hanno lo scopo di migliora-re le prestazioni dovute dagli istituti di previdenza al momento in cui sopraggiunge un rischio assicurato[5]. Nel caso specifico, tali acquisti, seguiti dopo pochi giorni dal prelevamento sotto forma di capitale per lo stesso ammontare, sono da conside-rarsi insoliti e non hanno altro fine se non quello di voler rea-lizzare un’importante economia d’imposta; la procedura scelta dal ricorrente aggira lo scopo del riacquisto destinato a miglio-rare la propria situazione previdenziale. Essendo rispettate le condizioni per ritenere un comportamento elusivo (oltre ad al-tre ragioni legate alla tipicità del contratto, che non rispettava il principio d’assicurazione), il ricorso è stato respinto[6].

Il nuovo articolo 79b capoverso 3 LPP ha per oggetto il rapporto tra acquisto e prestazione in capitale e funge da fondamento per impedire abusi; l’introduzione di un termine oggettivo ed indiscutibile di tre anni va a sostituire il criterio, fino a quel mo-mento utilizzato, dell’elusione fiscale.

3. L’introduzione dell’articolo e il confronto delle possibili interpretazioniIn seno alla prima revisione della LPP, il 1. gennaio 2006 è en-

trato in vigore l’articolo 79b capoverso 3, il quale stabilisce che “Le prestazioni risultanti dal riscatto non possono essere versate sotto forma di capitale dagli istituti di previdenza prima della sca-denza di un termine di tre anni”.

In ragione della sistematica della legge, l’articolo 79b LPP rap-presenta una norma previdenziale con una finalità fiscale[7], pertanto non direttamente applicabile dalle autorità fiscali[8]. Questa norma può essere considerata come concretizzazione della prassi fiscale finora adottata[9] e ha lo scopo di inserire il principio da essa sancito nel diritto oggettivo[10]. Dalla sua entrata in vigore, dunque, le autorità fiscali non devono più provare l’elusione fiscale, bensì unicamente verificare se un certo comportamento rientri o meno nel dominio dell’artico-lo 79b capoverso 3 prima frase LPP, grazie al criterio oggettivo del termine di tre anni[11]. In sostanza, si è voluto continuare ad impedire l’esistenza di un conto corrente fiscalmente age-volato nella cassa pensione. Oggetto del nuovo articolo ri-mane unicamente il capitale di vecchiaia e dunque esso tratta i casi in cui è possibile prelevarlo[12]. In caso di invalidità o decesso, invece, l’articolo non può essere applicato, così come in caso di prelevamento dell’avere previdenziale sotto forma di rendita. Il testo, come anticipato, ha sollevato diversi dubbi interpre-tativi, in particolare in relazione al concetto di “prestazioni ri-sultanti dal riscatto”. I materiali legislativi non contribuiscono a determinare l’interpretazione che va fornita a questa espres-sione, in quanto si tratta di una disposizione formulata unica-mente durante i lavori parlamentari e, quindi, non è contenu-ta nel disegno di legge del Consiglio federale.

È inizialmente interessante soffermarsi sulla definizione di inter-pretazione, intesa come l’“insieme dei processi intellettuali che ser-vono a determinare e a precisare il senso delle regole applicabili ad una data situazione”[13]. L’obiettivo dell’interpretazione di un articolo consiste dunque nella ricerca della vera volontà del legislatore.

In una sua sentenza, il Tribunale federale[14] determina in modo chiaro la gerarchia dei differenti metodi interpretativi: inizialmente la legge va interpretata in maniera letterale. L’au-torità che la applica deve rispettare un testo chiaro, a meno che non esistano dei seri motivi per pensare che questo testo non corrisponda sotto tutti i punti di vista alla conclusione am-bita. Dei validi motivi possono trasparire dai lavori preparatori, dalle fondamenta e dallo scopo della norma in causa, così come dalla relazione che essa ha con altre disposizioni.

Nel caso in questione, il problema sorge a causa del fatto che l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali definisce il concet-to di “prestazioni risultanti dal riscatto” attenendosi all’interpre-tazione letterale, mentre la maggior parte dei Cantoni, ed in seguito il Tribunale federale, applica un’interpretazione che va oltre l’espressione grammaticale, ossia quella fondata sulla portata della norma, estrapolandola da diversi elementi quali la relazione che essa ha con altre disposizioni legali e dal contesto in cui è inserita (interpretazione sistematica), dallo scopo ricer-cato e dai valori su cui essa si fonda, dall’interesse protetto (in-terpretazione teleologica) e infine dalla volontà del legislatore, che risulta dagli atti preparatori (interpretazione storica)[15].

7Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

4. Il metodo FIFOSecondo il metodo FIFO l’avere previdenziale va immagina-to suddiviso in due conti separati, di cui uno è unicamente alimentato dall’acquisto ed è bloccato per tre anni. Il divieto di versare prestazioni sotto forma di capitale riguarda uni-camente le “prestazioni risultanti dal riscatto” effettuato negli ultimi tre anni e non quelle prestazioni risultanti dall’avere esistente o da altri acquisti precedenti, effettuati prima degli ultimi tre anni. Si tratta di comprendere se e quando può es-sere ammesso di considerare l’avere previdenziale come for-mato da due conti separati. Le prestazioni sovra obbligatorie, generalmente, non vengono separate da quelle obbligatorie: il conto previdenziale è uno solo. È tuttavia possibile che si proceda altrimenti, qualora i regolamenti dell’istituto previ-denziale prevedano differentemente: talvolta sull’importo versato facoltativamente viene accreditato un tasso d’inte-resse diverso da quello relativo al capitale derivante da con-tributi obbligatori. Per definire esattamente la portata delle “prestazioni risultanti dal riscatto” occorre capire se in riferimen-to all’interpretazione dell’articolo 79b capoverso 3 LPP il ter-mine “conto” venga inteso in maniera rigida o meno[16].

Nella Figura 1 viene evidenziata l’origine del prelevamento in capitale, che è da ricercarsi nell’avere previdenziale già disponi-bile prima dell’immissione di denaro tramite l’acquisto.

5. Il metodo LIFOIl metodo LIFO ammette l’esistenza di un unico conto previ-denziale, senza distinzioni, e definisce dunque il termine in sen-so stretto. Ammettere che le prestazioni risultanti dal riscatto siano parte del prelevamento in capitale comporta il fatto che tale prelevamento rientra chiaramente nel dominio dell’articolo 79b capoverso 3 prima frase LPP e, di conseguenza è abusivo; pertanto non vi è alcun prelevamento di capitale possibile nel termine dei tre anni successivi all’acquisto. Tuttavia, nel caso in cui una prestazione sotto forma di capitale venisse comunque concessa dall’istituto previdenziale, la deduzione degli acquisti effettuati negli ultimi tre anni verrebbe negata in quanto questo violerebbe il principio stabilito dall’articolo.

La Figura 2 mostra l’origine del prelevamento in capitale secon-do il metodo LIFO: esso deriva chiaramente dall’acquisto e perciò viene reputato abusivo e contrario all’articolo 79b capoverso 3 LPP.

6. La presa di posizione del Tribunale federaleUna sentenza del Tribunale cantonale del Canton Turgo-via del 12 agosto 2009 giunge in ultima istanza al Tribunale federale, il quale ha finalmente occasione di stabilire l’inter-pretazione che va fornita all’articolo 79b capoverso 3 LPP.

Oggetto della controversia sono tre acquisti effettuati da un contribuente (classe 1943) negli anni dal 2004 al 2006 per un ammontare rispettivamente di 20’000 franchi nel 2004, di 30’000 franchi nel 2005 e di 30’000 franchi nel 2006. Il 1. luglio 2007 la cassa pensione gli versa una prestazione in capitale di 432’884 franchi, derivante dall’avere di previdenza accumula-to fino al primo acquisto. L’importo derivante dagli acquisti e dai relativi interessi accumulati, pari a 83’636 franchi, gli viene versato sottoforma di rendita mensile di 460 franchi. Ogget-to di divergenze è in particolare il trattamento fiscale degli acquisti effettuati dal contribuente: quest’ultimo e la Camera di diritto tributario del Canton Turgovia (Steuerrekurskommis-sion) ne difendono la deducibilità, mentre l’autorità fiscale e il Tribunale amministrativo cantonale la negano. Per stabilire se il comportamento in oggetto sia elusivo o meno, il Tri-bunale amministrativo del Canton Turgovia si sofferma sulle cifre: con un importo totale di acquisti pari ad 80’000 fran-chi, a dispetto di un avere di vecchiaia disponibile di 432’884 franchi, dal punto di vista previdenziale l’operazione non ha alcun senso, in quanto non migliora le condizioni previden-ziali dell’assicurato: senza l’apporto di 80’000 franchi infatti la rendita mensile sarebbe ugualmente pari a 460 franchi. La prestazione in capitale senza gli acquisti sarebbe invece evidentemente inferiore, ma l’assicurato avrebbe disposto di 80’000 franchi in più sul proprio conto, magari con interessi superiori a quelli offerti dall’istituto previdenziale. In un’ul-teriore analisi, viene paragonato l’importo versato a titolo facoltativo con la situazione finanziaria del contribuente, il quale dispone al 31 dicembre 2006 di una sostanza imponi-bile pari a 5’276’600 franchi: il capitale derivante dagli acqui-sti e disponibile in quel momento sarebbe stato di 83’606.75 franchi, quindi di nessun’influenza significativa. La stessa conclusione si può trarre per la rendita mensile ottenuta di 460 franchi. Ciò conferma che gli acquisti effettuati negli anni subito precedenti al pensionamento non hanno alcun senso: il procedimento attuato dal contribuente a queste condizio-ni è inopportuno ed inadeguato alla situazione finanziaria; piuttosto esso è atto unicamente a conseguire un risparmio

Figura 1: Schema rappresentativo del metodo FIFO

Avere previdenziale esistente

prima dell’acquisto

Avere previdenziale esistente

prima dell’acquisto

Acquisto

Prelevamento in capitale di

una parte dell’avere previdenziale

Figura 2: Schema rappresentativo del metodo LIFO

Avere previdenziale esistente

prima dell’acquisto

Avere previdenziale esistente

prima dell’acquisto

Acquisto Prelevamento in capitale di

una parte dell’avere previdenziale

8 Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

fiscale. A tale proposito viene poi riconosciuta anche la terza condizione per ammettere l’elusione fiscale: il risparmio fi-scale sarebbe stato importante: 14’941.65 franchi.

Alla luce di queste considerazioni, il Tribunale amministrativo del Canton Turgovia rigetta il ricorso e la deduzione dei con-tributi volontari viene negata.

La Figura 3 rappresenta una schematizzazione dello stato dei fatti del caso turgoviese giunto al Tribunale federale.

Nei considerandi della sentenza, il Tribunale federale ricorda anzitutto che la propria giurisprudenza non ammette alcuna deduzione dei contributi volontari nel secondo pilastro laddo-ve sussistono le condizioni per riconoscere un’elusione d’impo-sta[17], in particolare in presenza di immissioni di denaro abusi-ve, spinte unicamente da ragioni fiscali ed effettuate in periodi subito precedenti al prelevamento in capitale della previdenza professionale. In questi casi si tratta di spostamenti di denaro nella previdenza professionale, non incentivati dall’esigenza di colmare una lacuna previdenziale, bensì dal solo scopo di uti-lizzare il conto previdenziale quale conto corrente fiscalmente agevolato. Lo scopo dell’acquisto di anni di contribuzione deve essere quello di migliorare la propria copertura previdenziale ed esso viene evidentemente a mancare nel caso in cui, poco dopo aver effettuato l’acquisto, la somma versata viene nuovamen-te prelevata, con un minimo o inesistente miglioramento delle prestazioni del secondo pilastro[18].

Nel caso in questione tuttavia non sussiste questo modello classico, in quanto il prelevamento in capitale degli acquisti effettuati è sostituito dal prelevamento sottoforma di rendi-ta mensile. Il Tribunale federale non considera però rilevante questa particolarità: anche in questo caso, dopo un lasso di tempo relativamente breve dagli acquisti, c’è un prelevamen-to di un importo elevato sottoforma di capitale, che può esse-re classificato come spostamento temporaneo di denaro nel secondo pilastro e motivato da ragioni fiscali. Attraverso un tale procedimento, il contribuente non provvede a colmare alcuna lacuna previdenziale, quanto piuttosto ad utilizzare il conto previdenziale con un fine estraneo al suo, di conse-

guire cioè un’economia d’imposta. Gli acquisti effettuati mi-gliorano la situazione previdenziale solo minimamente. Con un avere previdenziale disponibile di quasi 500’000 franchi ed una sostanza imponibile di oltre 5 milioni di franchi, l’agire del contribuente è da considerarsi inappropriato ed inusuale. Lo scopo di un tale comportamento è da ricercare non nella pianificazione previdenziale, quanto piuttosto nel tentativo di ridurre il carico fiscale, abusivamente. Per esaminare un caso di presunto abuso, il Tribunale federale ricorda l’importanza di prendere in considerazione non solamente la situazione pre-videnziale, bensì anche il reddito e la sostanza imponibile, così da poter esporre un giudizio generale sull’intera situazione fi-nanziaria. In questo senso, è possibile affermare che nel caso in questione ci sono importanti indizi di abuso.

Il Tribunale cantonale turgoviese ammette non solamente un comportamento inusuale e l’intenzione di eludere, ma anche l’esistenza di un reale risparmio fiscale che il contribuente ot-terrebbe nel caso in cui l’autorità fiscale ammettesse le dedu-zioni richieste. Il ricorrente invoca in propria difesa l’articolo 79b capoverso 3 LPP, che alla lettera potrebbe apparentemente difendere il proprio agire: egli preleva le prestazioni derivan-ti dagli acquisti (importi versati e relativi interessi) prima della scadenza di un termine di tre anni, ma sottoforma di rendita.

Il Tribunale federale menziona a questo punto l’interpreta-zione fornita all’articolo 79b LPP da parte dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali: solo il versamento di prestazioni in capitale nella misura della parte di prestazione che è finan-ziata mediante il riscatto e i relativi interessi è vietato per un termine di tre anni; di conseguenza, tutto il capitale previden-ziale accumulato prima degli acquisti non rientra nel dominio di questo articolo[19]. Una tale interpretazione presuppone l’esistenza di un legame diretto e necessario fra il riscatto e la prestazione, mentre l’Alta Corte non ammette questo con-cetto siccome non viene effettuato un conteggio separato del capitale preesistente e delle prestazioni risultanti dal riscat-to[20]. Il ricorrente invoca dunque l’interpretazione dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali a propria difesa e sostiene che gli acquisti effettuati tra il 2004 e il 2006 siano indipen-denti dal prelevamento in capitale del 1. luglio 2007 e debbano pertanto essere ammessi in deduzione dal reddito imponibile.

Il Tribunale federale ritiene il punto di vista dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali non direttamente determinante né vincolante per una decisione relativa alle imposte sul reddi-to[21]: esso tratta infatti l’aspetto previdenziale; in particola-re mette in evidenza le condizioni tali per cui è possibile un prelevamento in capitale poco tempo dopo aver effettuato un riscatto. Il Tribunale federale non deve esprimersi su questo aspetto, ma solamente su quello del diritto fiscale, per capire se il riscatto effettuato nel 2006 possa essere o meno dedotto dal reddito imponibile del contribuente[22].

Inoltre il Tribunale federale è del parere che l’articolo 79b ca-poverso 3 LPP sia una norma previdenziale fondata su motivi fiscali. In virtù dell’enunciato, essa sembrerebbe unicamente regolare il problema della liceità del versamento in capitale nei tre anni successivi agli acquisti, mentre non tratterebbe apparentemente la questione circa la deducibilità dal reddito

Figura 3: Schema rappresentativo dello stato dei fatti oggetto della senten-za TF n. 2C_658/2009

Capitale preesistente + interessi

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imponibile. Gli atti parlamentari[23] riconoscono in maniera inequivocabile che, con l’introduzione di un termine di tre anni, si intende impedire gli stessi abusi d’economia d’imposta che, prima dell’introduzione dell’articolo, già la prassi del Tribunale federale combatteva attraverso il principio dell’elusione fisca-le. L’articolo va dunque interpretato considerando le ragioni della sua introduzione e la sua storia.

Come detto, l’articolo nasce proprio per far fronte a compor-tamenti elusivi, quale regola imperativa e concretizzazione del divieto di utilizzare il conto previdenziale per conseguire un ri-sparmio fiscale[24]. L’articolo va interpretato in coerenza con la giurisprudenza del Tribunale federale, la quale ribadisce inequi-vocabilmente che non sono deducibili i contributi volontari in presenza di un comportamento elusivo. Di conseguenza, l’ar-ticolo 79b capoverso 3 LPP concerne anche la deducibilità degli acquisti seguiti da prelevamenti in capitale[25]. Il fatto che esso imponga un termine di tre anni prima di poter prelevare sotto forma di capitale le prestazioni risultanti dal riscatto, non com-porta obbligatoriamente, al contrario di quanto sembrerebbe secondo l’enunciato, che ci sia un legame diretto tra acquisto e prestazione. Una relazione deve comunque esserci, in quanto i contributi e la prestazione devono essere aggiunti, rispettiva-mente prelevati, da un unico conto previdenziale della persona assicurata. I giudici federali confermano l’interpretazione del Tribunale turgoviese: l’articolo 79b capoverso 3 LPP va inter-pretato in modo tale che ogni prelevamento in capitale nei tre anni successivi all’acquisto sia riconosciuto abusivo e che la de-duzione dei contributi effettuati debba essere respinta[26]. Il collegamento tra il prelevamento in capitale entro i tre anni successivi all’acquisto e la riduzione abusiva del carico fisca-le si rivela pertinente anche nel caso in questione. Come già menzionato, nel modello classico dell’abuso non ha importan-za l’evidente separazione attuata dal contribuente tra capitale disponibile prima dell’acquisto prelevato sottoforma di capitale ed acquisti effettuati prelevati sottoforma di rendita, quanto piuttosto il fatto che poco tempo dopo un acquisto venga ver-sata una prestazione previdenziale; tale agire deve essere rico-nosciuto come uno spostamento temporaneo di denaro spinto unicamente da ragioni fiscali e non come lecito miglioramento della propria copertura assicurativa. Va quindi negata la dedu-zione di contributi volontari, laddove entro il termine di tre anni viene effettuato un prelevamento in capitale.

Il Tribunale federale respinge il ricorso e non ammette la dedu-zione dei contributi effettuati in virtù del principio dell’elusione fiscale per gli anni 2004 e 2005, mentre quelli del 2006 non ven-gono concessi sulla base del nuovo articolo 79b capoverso 3 LPP.

Riassumendo, il contenuto di questa sentenza verte sostan-zialmente su tre punti:

◆ il Tribunale federale stabilisce se gli acquisti siano dedu-cibili o no dal reddito imponibile (punto di vista del diritto fiscale), mentre non si esprime sulla possibilità o meno di versare una prestazione in capitale nei tre anni successivi all’acquisto (punto di vista della previdenza professionale);

◆ il Tribunale federale determina che il parere dell’Ufficio fede-rale delle assicurazioni sociali non ha peso sul piano fiscale;

◆ ogni versamento di una prestazione in capitale nei tre anni successivi all’acquisto comporta il rifiuto della deduzione dei contributi volontari versati[27].

7. Effetti fiscali e previdenziali della sentenza del Tribunale federaleGli effetti fiscali della commentata sentenza del Tribunale fe-derale possono essere così sintetizzati:

◆ la deduzione dei contributi volontari versati negli ultimi tre anni precedenti al prelevamento in capitale dell’avere pre-videnziale deve sempre essere negata;

◆ il fondamento per negare una tale deduzione non è più il principio dell’elusione fiscale, bensì una base legale impera-tiva: l’articolo 79b capoverso 3 prima frase LPP. Le autorità fiscali non devono più analizzare le condizioni per ammet-tere l’elusione fiscale, ma unicamente attenersi al termine oggettivo di tre anni;

◆ va rifiutata la deduzione di contributi volontari versati nei tre anni che precedono un prelevamento in capitale, an-che se al momento dell’acquisto il contribuente non pote-va prevedere che nei tre anni seguenti avrebbe prelevato il proprio avere previdenziale. Essendo l’articolo 79b capo-verso 3 LPP una norma obbligatoria, non viene ammessa alcuna relativizzazione sul piano soggettivo[28];

◆ i rischi assicurati (morte o invalidità) sono esclusi da que-sto principio;

◆ i piccoli riscatti, seppur effettuati negli ultimi tre anni prima del prelevamento in capitale, non sono abusivi e sono quin-di ammessi in deduzione;

◆ il Tribunale federale non si è espresso in merito alla visione consolidata nel caso di un contribuente assicurato presso più istituti previdenziali, ma ha giudicato solo l’aspetto fi-scale della problematica. Il senso della norma propende piuttosto per una visione consolidata.

Non trattando la sentenza l’aspetto previdenziale, in questo senso l’unica conseguenza della decisione è la possibilità con-cessa agli istituti previdenziali di versare la prestazione pre-videnziale in capitale nei tre anni dopo l’acquisto. Da ultimo, la conseguenza della violazione del periodo di blocco di tre anni prima del prelevamento dell’avere previdenziale in capi-tale consiste nella correzione delle tassazioni degli anni in cui sono stati effettuati gli acquisti, con il relativo annullamento e aggiunta al reddito imponibile; per le decisioni di tassazione cresciute in giudicato è ammessa la procedura di rettifica[29].

10 Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

8.Considerazioni in merito alla sentenza del Tribunale federaleIl Tribunale federale ha sicuramente assunto una posizione molto rigida, che da un lato ha il vantaggio di non più dover analizzare le condizioni per ammettere l’elusione fiscale, che talvolta poneva le autorità di fronte ad aspetti soggettivi non sempre evidenti da valutare. Il lato negativo di dover far rife-rimento al puro criterio del blocco di tre anni sta nel rischio di imporre dei limiti anche a coloro che non hanno agito con intenzioni elusive, ma semplicemente non hanno pianificato o non hanno potuto pianificare a lungo termine la propria previdenza (ad esempio un medico dipendente, il quale af-fretta l’apertura del proprio studio medico e quindi si rende indipendente e preleva parte del proprio avere previdenziale prima di quanto aveva pianificato, per non dover soggiacere alle limitazioni imposte dalla moratoria attualmente in vigore. Le critiche più pesanti alla sentenza sono state sollevate da parte delle organizzazioni professionali e di alcuni istituti di previdenza professionale, tra i quali ad esempio la PAT (Per-sonalvorsorgestiftung der Ärzte und Tierärzte), che appoggiano l’avviso dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali e repu-tano la sentenza inappropriata e protratta oltre la volontà del legislatore. Per questa ragione auspicano una nuova presa di posizione da parte del Tribunale federale, con ovviamente una minor rigidità[30]. Il Tribunale federale ha invece pronunciato il 24 novembre 2010 una nuova sentenza[31] che ribadisce la precedente visione.

Dominique Christian si è espresso contro la sentenza nel suo articolo “Rachat et versements de capital LPP: le piège fiscal”. In sostanza egli sostiene che se l’articolo è stato introdotto con lo scopo di concretizzare la prassi antielusiva delle autorità fi-scali, l’interpretazione del Tribunale federale va ben oltre un tale scopo e solleva un problema di coerenza nell’applicazio-ne di una norma: dal punto di vista della sicurezza giuridica, a suo parere, non è ammissibile che le autorità della previdenza professionale e quelle fiscali interpretino uno stesso articolo in modo differente. Christian è quindi del parere che la lettura del Tribunale federale sia ingiusta per il fatto che colpisce anche i contribuenti che agiscono in buona fede[32].

A sostegno invece della sentenza sono la maggior parte dei Cantoni, in quanto essa conferma in grandi linee la prassi ap-plicata fino al momento della pubblicazione.

Per maggiori informazioni:Comunicato n. 88 dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali del 28 novembre 2005, in: http://www.bsv.admin.ch/vollzug/documents/index/page:5/lang: deu/category:67 [05.12.2014]

Sentenza TF n. 2C_658/2009 del 12 marzo 2010

Elenco delle fonti fotografiche:http://service.ticinonews.ch/files/www/ticinonews.ch/images/4bc0/m_6vc6.jpg [05.12.2014]

http://lh3.googleusercontent.com/-P_iApm-siFA/TVk-Yd5034I/AAAAAA AAAYk/gYMKmvqnCDs/s444/eco-incentivi.jpg [05.12.2014]

11Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

[1] Züger Marina, Steuerliche Missbräuche nach Inkrafttreten der 1. BVG-Revision, in: ASA 75, pa-gina 524.[2] Vorpe Samuele, La disposizione antielusiva sul prelevamento dell’avere previdenziale sotto forma di capitale, in: NF 9/2010, pagina 8.[3] Pedroli Andrea, La previdenza professionale e la pianificazione fiscale, Seminario organizzato del Centro competenze tributarie della SUPSI, Ca-dempino, 2 dicembre 2013, pagina 9.[4] DTF 131 II 627.[5] Stauffer Hans-Ulrich, Berufliche Vorsorge, Zu-rigo 2005, pagina 653.[6] DTF 131 II 627, pagina 636.[7] Amministrazione federale delle contribuzio-ni, Die Begrenzung des Einkaufs für die Vorsorge nach dem Bundesgesetz vom 19. März 1999 über das Stabilisierungsprogramm 1998, Circolare n. 3, Berna 2000.[8] TVR 2009 Nr. 13, consid. 4.1.2.[9] TVR 2009 Nr. 13, consid. 4.3.1.[10] Si tratta dell’insieme delle norme create o ri-conosciute da un organo officiale. Esse regolano le relazioni sociali, impongono il comportamento che dovrebbe essere adottato e il loro rispetto è in principio garantito dalle autorità (Le Roy Yves/Schönenberger Marie-Bernadette, Introduction générale au droit, Zurigo/Basilea/Ginevra 2002, pagina 6).[11] Steuerverwaltung des Kantons Schwyz, Merkblatt: Einkauf in die berufliche Vorsorge –

Sperrfristen beim Kapitalbezug, Svitto 2011, pa-gina 2.[12] È possibile prelevare il proprio avere di vec-chiaia in caso di prepensionamento, nel caso di acquisto di un’abitazione primaria, di ammorta-mento del debito ipotecario, dell’avvio di un’atti-vità lucrativa indipendente oppure della partenza definitiva dalla Svizzera.[13] Le Roy Yves/Schönenberger Marie-Bernadet-te, op. cit., pagina 311.[14] DTF 122 III 26, consid. 34/aa, pagina 29.[15] DTF 125 II 192, consid. 3a, pagina 196.[16] Müller Martin/Müller-Wittwer Paul, Einkauf und Kapitalbezug nach Art. 79b Abs. 3 Satz 1 BVG – konsolidierte Betrachtung zulasten oder zugun-sten der versicherten Person?, in: StR 69/2014, pa-gine 32-34.[17] DTF 131 II 627, consid. 4.2 e 5.2, pagine 633 e seguenti.[18] Ibidem, pagine 633 e seguenti.[19] UFAS, Mitteilung über die berufliche Vorsorge Nr. 88 vom 28. November 2005, pagina 2.[20] Vorpe Samuele, op. cit., pagina 8.[21] Pedroli Andrea, Novità e tendenze legislative nel campo del diritto tributario, in: RtiD II-2011, pagina 577.[22] Tille Betrand, Tribunal fédéral, 12 mars 2010, A e B X c. administration cantonale des impôts du canton de Thurgovie, C_658/2009 et 2C_659/2009, in: RDAF 2011 II 48.[23] Bollettino ufficiale del Consiglio degli Stati

n. 00.027 del 28 novembre 2002 concernente la proposta di legge del futuro articolo 79b capo-verso 3 LPP inoltrata dal rappresentante della Commissione Jean Studer e proposta di adesione da parte del Consiglio nazionale, rappresentata dal Presidente Toni Bortoluzzi, pagine 503 e 506, e Bollettino ufficiale del Consiglio nazionale n. 00.027 del 2003, pagina 630 concernente la proposta di legge del futuro articolo 79b capoverso 3 LPP.[24] Steueramt des Kantons Aargau (2001 e modi-fiche 2011), Merkblatt Einkauf von Beitragsjahren Säule 2, pagina 11.[25] Comité de la Conférence Suisse des Impôts (3 novembre 2010). Analyse relative à l’applica-tion concrète de l’arrêt du Tribunal fédéral du 12 mars 2010 (2C_658/2009): Déduction des rachats et versements ultérieurs sous forme de capital (Portée de l’art. 79b al.3 LPP sur le plan fiscal), pa-gina 4.[26] Züger Marina, op. cit., pagina 524 e seguenti.[27] Comité de la Conférence Suisse des Impôt, op. cit., pagina 5.[28] Ibidem, pagina 5.[29] Steueramt des Kantons Aargau (2001 e modi-fiche 2011), op. cit., pagine 12-13.[30] PAT BVG (2010), Steuerliche Behandlung von freiwilligen Einkäufen und späterem Kapitalbezug.[31] Sentenza TF n. 2C_614/2010.[32] Christian Dominique, Rachats et versements de capital LPP: le piège fiscal, Indices, marzo 2011, pagina 18.

12 Diritto tributario svizzeroLa progressione delle aliquote sui redditi in Svizzera

Louis Macchi Esperto fiscaleDirector, Tax and Legal Services, PwC [email protected]

Dr. Paolo Pamini Docente in Law & Economics, ETH ZurigoSenior, Tax and Legal Services, PwC [email protected]@ethz.ch

Uno studio dell’Amministrazione federale delle contri-buzioni confronta le strutture delle aliquote sulle per-sone fisiche tra i Cantoni svizzeri

1. RiassuntoQuesto contributo approfondisce diversi aspetti della con-correnza fiscale intercantonale svizzera e, in particolare, della progressione delle aliquote sui redditi delle persone fisiche. Più precisamente, esso riassume, commenta ed estende i risultati di Peters (2013), uno studio patrocinato dall’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC) sulla progressivi-tà dell’imposizione delle persone fisiche in Svizzera. L’articolo conclude con le implicazioni pratiche, le limitazioni e le possi-bili estensioni dello studio di Peters (2013).

2. IntroduzioneNella maggior parte dei Paesi occidentali, l’imposizione diretta dei redditi delle persone fisiche è sostanzialmente progressi-va. In altre parole, il debito fiscale del contribuente aumenta più rapidamente di quanto aumenti il suo reddito imponibile o, detto ancora diversamente, l’aliquota media sul reddito cresce con l’aumentare di tale reddito.

Vi sono molteplici motivi che nel tempo hanno condotto a tale situazione. In primo luogo, non va dimenticato che tutt’oggi lo Stato rimane un’agenzia che si finanzia prevalentemente at-traverso il prelievo di risorse dai propri cittadini, un processo che quando è operato dalla mano pubblica prende general-mente il nome di tassazione (ai fini di questo articolo circa l’im-posizione diretta si veda in particolare l’articolo 128 capoverso 1 della Costituzione federale [di seguito Cost.] in combinato disposto con l’articolo 196 cifra 13 Cost. sul piano federale, nonché le disposizioni simili nella Costituzione di ogni singolo Cantone). Pertanto, in una razionale ottica di massimizzazio-ne del gettito d’imposta, cercando al contempo di contenere il più possibile gli effetti negativi secondari (segnatamente la sottrazione d’imposta e l’instaurazione di un’economia som-mersa, come tipicamente è il caso in Stati ad alta pressione fiscale), è ragionevole ipotizzare che nei confronti dei redditi bassi non sia possibile e desiderabile operare un prelievo fi-

scale in misura pari a quanto operato sugli alti redditi. Infatti, da una parte chi ha un reddito basso ha comparativamente più tempo a disposizione per cercare alternative che riducano legalmente o illegalmente il proprio debito fiscale (per esem-pio barattando beni e servizi con conoscenti ed amici anziché conseguire un maggior salario da spendere sul mercato aper-to). D’altra parte, un aumento del prelievo ha conseguenze so-ciali più marcate proprio nel caso dei bassi redditi. Inoltre, tali redditi sono spesso in gran parte già integrati da sovvenzioni statali (si pensi solo al numero di destinatari in Ticino del sus-sidio relativo ai premi di cassa malati), pertanto lo Stato non ritiene opportuno prelevare fiscalmente quanto esso ha già concesso nel quadro delle politiche sociali.

In secondo luogo, si noti che la scelta di tassare progressiva-mente i redditi è fondamentalmente di matrice ideologica. Già nel 1848, Karl Marx e Friedrich Engels sostenevano nel noto Manifesto del Partito Comunista misure fiscali particolarmente aggressive, quali per esempio l’abolizione del diritto di succes-sione, l’espropriazione della proprietà fondiaria, la confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli, e per l’appunto un’imposta fortemente progressiva. Pertanto, sia la retorica sia la volontà politica sociale degli ultimi 150 anni hanno esplicitamente po-sto come obiettivo politico la disparità di trattamento fiscale tra persone più e meno abbienti tesa alla redistribuzione coatta di reddito e sostanza dei cittadini. In particolare, tale tendenza ha iniziato a trovare concreta applicazione circa 130 anni or sono con le prime implementazioni dello Stato sociale, segnatamen-te nella Germania bismarckiana, per poi accelerare con la Prima Guerra Mondiale che ha generalmente introdotto l’imposta sul reddito nella maggior parte degli Stati occidentali. Un’ulteriore impulso è giunto nel secondo Dopoguerra, di pari passo con la notevole crescita dello Stato sociale, soprattutto a partire dagli anni ‘60. Alla base di tale approccio sta di principio la convinzio-ne che sia compito dello Stato provvedere in qualche modo alla realizzazione di pari opportunità tra i cittadini, un principio as-sunto pure nell’ordinamento svizzero, segnatamente all’articolo 2 capoverso 3 Cost.

Da un punto di vista politico-economico va riconosciuto che strutture progressive delle aliquote hanno una funzione assi-curativa: si paga molto quando si sta bene e meno se si do-

13Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

vesse cadere in una fascia reddituale bassa. Tale ragionamen-to può essere ottimale per tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito, a condizione che, al momento dell’approvazione della struttura progressiva delle aliquote, viga ignoranza sugli esiti finanziari personali futuri. Quando invece si sa di parten-za chi conseguirà più e chi meno reddito, si è in presenza di un semplice meccanismo di ripartizione che potenzialmente rischia, come vedremo sotto, di distorcere gli incentivi indivi-duali a generare più reddito, per esempio lavorando di più.

Naturalmente, l’idea di aliquote d’imposta progressive si scontra con la lunga tradizione giuridico-filosofica, maturata in Occidente dal Medioevo e sfociata nelle tre grandi rivolu-zioni occidentali (Rivoluzione inglese, Rivoluzione americana e Rivoluzione francese, non a caso tutte scatenate da tensioni di carattere fiscale), che hanno portato al convinto sostegno dell’idea e della difesa della proprietà privata e dei frutti del proprio lavoro (articolo 26 capoverso 1 Cost.) e dell’idea di un’applicazione non discriminatoria della legge (articoli 8 e 9 Cost.). In effetti, in uno Stato di diritto che difende il di-ritto fondamentale alla proprietà privata e ai frutti del pro-prio lavoro, così come il primato della legge e l’uguaglianza di trattamento davanti alla legge (anziché l’uguaglianza dei risultati), si corre di principio un forte rischio di idiosincrasia in merito all’idea di tassare in forma diseguale i redditi dei contribuenti.

Nella logica dell’asse di tensione sopra descritto, ossia diritto alla proprietà privata contro progressività della tassazione, si può essenzialmente leggere l’intera storia degli Stati occiden-tali degli ultimi secoli. Non è un caso pertanto se in Svizzera l’articolo 127 Cost. cerca di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Infatti, coerentemente con la tradizione dello Stato di diritto, il capoverso 1 sancisce il principio di legalità secondo il quale “il regime fiscale, in particolare la cerchia dei contribuenti, l’ imponibile e il suo calcolo, è, nelle linee essenziali, disciplinato dalla legge medesima”. Tale principio viene precisato nel capoverso 2, secondo cui “per quanto compatibile con il tipo di imposta, in tale ambito vanno osservati in particolare i principi della generali-tà e dell’uniformità dell’ imposizione”. Tuttavia, il colpo alla botte arriva con la conclusione del capoverso 2, secondo il quale va pure osservato “il principio dell’ imposizione secondo la capacità economica”.

Sul principio dell’imposizione secondo la capacità economica (o contributiva) sono scorsi e tutt’ora scorrono fiumi d’inchio-stro sia giurisprudenziale sia dottrinale, che non è qui nostro obiettivo analizzare e riassumere. Va tuttavia esplicitamente ricordata la questione se esso implichi forzatamente aliquote sui redditi progressive o se aliquote lineari/proporzionali si-ano pure compatibili con tale principio impositivo. Dopo la sentenza del Tribunale federale (DTF 133 I 206) del 1. giugno 2007 è perlomeno noto che aliquote degressive, come quelle che il Canton Obvaldo avrebbe voluto applicare, entrano in contrasto con l’articolo 127 capoverso 2 Cost.

Il concetto di progressione delle aliquote va pure specificato, poiché sono ipotizzabili casi (segnatamente la nota flat rate tax proposta da economisti come Milton Friedman ed appli-cata in molti Stati dell’est Europa) nei quali l’aliquota margi-

nale è costante, e tuttavia l’aliquota media (e con lei pertanto il carico fiscale) cresce con il reddito imponibile. Una partico-lare struttura delle tariffe che evita disincentivi economici a lavorar di più (1’000 franchi aggiuntivi guadagnati vengono marginalmente tassati nella stessa misura indipendentemen-te dal reddito complessivo) e che malgrado ciò porta di princi-pio a tassare i ceti abbienti proporzionalmente di più dei ceti meno abbienti.

Se y è il reddito imponibile di un contribuente e T(y) la strut-tura del prelievo fiscale assoluto (in franchi) a dipendenza del reddito imponibile y, possiamo definire l’aliquota media come t(y) = T(y) / y . Generalmente, vi è progressione fiscale laddo-ve con l’aumentare del reddito imponibile y aumenta anche l’aliquota media t(y), ossia per quelle strutture di prelievo T(y) per le quali la struttura delle aliquote medie t(y) è monotona non decrescente, o in altre parole per le quali la derivata pri-ma delle aliquote medie è sempre maggiore o uguale a zero t' (y) ≥ 0.

Nel suo recente studio, Peters (2013) ha analizzato in detta-glio la progressione delle aliquote nei Cantoni svizzeri, speci-ficatamente nei 26 capoluoghi. Poiché l’oggetto dello studio è la struttura verticale delle tariffe fiscali, vale a dire la loro progressione a dipendenza del reddito imponibile nello stes-so luogo, e poiché di principio i Comuni di uno stesso Can-tone applicano localmente la stessa struttura delle aliquote (semplicemente ponderandola con il moltiplicatore comuna-le), il confronto dei soli 26 capoluoghi cantonali permette in questo specifico caso una completezza delle analisi in rap-porto a tutto il territorio nazionale.

Fatte queste premesse, intendiamo riassumere nella sezione 3 i risultati empirici di Peters (2013), dedicarci ad alcuni aspet-ti particolari di tali risultati nella sezione 4, e contestualizza-re nella sezione 5 quanto discusso in un’ottica di concorrenza fiscale intercantonale, sia in termini temporali (Peters [2013] limita in effetti le proprie analisi al 2011), sia in termini di carico fiscale assoluto. La sezione 6 conclude.

3. La misurazione della progressività delle aliquote nei Can-toni svizzeriPeters (2013) elabora i dati messi a disposizione dall’AFC (2012), dove per molti Comuni svizzeri sono state calcolate le aliquote di imposizione delle persone fisiche nel 2011 a di-pendenza del reddito lordo di diverse tipologie di contribuen-ti, quali celibi/nubili, coniugati senza figli, coniugati con due figli o pensionati. La scelta di partire dal reddito lordo anziché dal reddito imponibile è importante, perché le deduzioni fi-scali differenti da Cantone a Cantone costituiscono pure, al di là delle aliquote, un importante elemento della concorrenza fiscale intercantonale.

Sulla base dei dati del 2011 relativi a contribuenti celibi forniti dall’AFC (2012), Peters (2013) calcola per i capoluoghi cantonali (i) la curva delle aliquote medie, (ii) quella delle aliquote margi-nali, (iii) un indice di concentrazione per valutare in senso asso-luto la progressività delle aliquote, nonché (iv) l’elasticità dell’a-liquota media quale misura locale della progressione fiscale.

14 Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

A titolo esemplificativo, la Figura 1, tratta da Peters (2013), riporta la curva delle aliquote medie d’imposizione di celi-bi nel 2011 nella città di Berna in funzione del loro reddito lordo. I dati forniti dall’AFC (2012) contemplano tutte le im-poste dirette su una persona fisica fatta eccezione l’imposta federale diretta, che essendo comune sull’intero suolo nazio-nale non interessa il confronto dei sistemi tributari sul piano cantonale.

Similmente, la Figura 2 riporta la curva delle aliquote mar-ginali d’imposizione di celibi nel 2011 nella città di Berna in funzione del loro reddito lordo. Per quanto la pressione fisca-le aumenti con il reddito (le aliquote medie sono monotone crescenti), è interessante notare che, soprattutto per redditi lordi tra 40’000 e 70’000 franchi, l’imposizione marginale di, per esempio, ulteriori 10’000 franchi può localmente anche diminuire con l’aumentare del reddito.

Per confrontare complessivamente la progressione delle ali-quote tra i 26 Cantoni è necessaria una misura statistica. Pe-ters (2013) propone di utilizzare un indice di concentrazione equivalente al doppio della superficie della mezzaluna tra la diagonale e le curve raffigurate nella Figura 3; tale indice può oscillare da 0 (nessuna progressione delle aliquote) a 1 (progressione massima, nel caso in cui un solo contribuente dovesse pagare l’intero gettito d’imposta). La curva deriva dall’ordine dei redditi lordi e mostra quale percentuale del get-tito è coperta dalle imposte pagate sui redditi fino a quello di riferimento.

L’indice scelto da Peters (2013) è molto simile, seppur non coincida esattamente, al noto coefficiente di Gini usato nella misurazione delle disparità (per esempio di reddito) in una po-polazione.

La Figura 3 confronta il Cantone (Zurigo, tratteggiato in ros-so), caratterizzato dalla maggior progressione complessiva delle aliquote, con Obvaldo, il Cantone con la minor progres-sione (linea continua blu). Tutti i restanti 24 Cantoni si situano pertanto tra le due curve rappresentate nella Figura 3.

La Figura 4 stila il rango dei Cantoni svizzeri in relazione all’in-dice di concentrazione dell’imposta. I Cantoni con un alto in-dice di concentrazione hanno aliquote particolarmente pro-gressive, mentre quelli con un basso indice di concentrazione presentano nelle proprie strutture delle aliquote medie un aumento in minor misura con l’aumentare del reddito. Come vedremo in seguito, ciò non implica che Cantoni con un alto indice di concentrazione tassino nel complesso in maggior misura dei Cantoni con un basso indice di concentrazione. Si consideri, a titolo esemplare, il caso emblematico di Neu-châtel, quinto Cantone con la minor progressione fiscale ma notoriamente un Cantone con un alto carico fiscale assoluto.

Figura 1: La curva delle aliquote medie d’imposizione (senza imposta fede-rale diretta) dei celibi nel 2011 nella città di Berna in funzione del reddito lordo (Fonte: Peters [2013]). La figura non tiene conto dell’imposta federale diretta, bensì solo dell’imposta cantonale e comunale sul reddito, nonché dell’imposta di culto se applicabile. Lo stesso si applica a tutte le figure indi-cate nel presente articolo

Figura 2: La curva delle aliquote marginali d’imposizione (senza imposta fe-derale diretta) dei celibi nel 2011 nella città di Berna in funzione del reddito lordo (Fonte: Peters [2013])

Figura 3: Confronto delle curve di concentrazione dell’imposta (senza im-posta federale diretta) su contribuenti celibi a Sarnen (OW) e Zurigo (ZH) in funzione del reddito lordo tra 20’000 e 500’000 franchi (Fonte: Peters [2013])

15Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

Più interessante e rilevante per il singolo contribuente è la misura locale della progressione delle aliquote. Abbiamo sot-tolineato in entrata che vi è presenza di progressione fiscale qualora, all’aumentare del reddito imponibile, aumentano pure le aliquote medie. In termini matematici, qualora la deri-vata prima della curva delle aliquote medie è maggiore o uguale a zero, t' (y) = dT (y) / dy ≥ 0.

La stessa informazione è trasmessa dal coefficiente d’elasti-cità dell’imposizione. Tale valore numerico è di facile e diretta interpretazione perché indica l’aumento percentuale del ca-rico fiscale (inteso in franchi) del contribuente qualora il suo reddito imponibile aumenti dell’1%. Naturalmente, l’elasticità dell’imposizione può variare costantemente in base al reddito imponibile ed è pertanto una misura locale della progressività delle aliquote. Inoltre, similmente alle aliquote marginali, essa è di diretta rilevanza pratica per il contribuente che si trova davanti alla possibilità di aumentare o diminuire parzialmente il proprio reddito imponibile, per esempio prestando o meno degli straordinari remunerati sul posto di lavoro o passando da un impiego a tempo parziale ad un impiego a tempo pieno.

Matematicamente, il coefficiente d’imposizione α(y) equivale al rapporto, per un dato reddito y, tra la variazione relativa del de-bito fiscale e la variazione relativa del reddito del contribuente, pertanto si ha .

Il coefficiente d’imposizione può quindi anche venir espresso come il rapporto, per un dato reddito, tra l’aliquota marginale e quella media.

A titolo esemplificativo, la Figura 5 mostra l’andamento del coefficiente d’elasticità d’imposizione nel caso della città di

Berna, già considerata come esempio all’inizio del presente articolo.

In generale, la curva dell’elasticità d’imposizione è sempre so-pra la linea rossa in corrispondenza al coefficiente 1. Qualo-ra l’elasticità fosse pari ad 1, un aumento dell’1% del reddito comporterebbe un pari aumento percentuale dell’imposizio-ne; in altre parole, la linea rossa corrisponde al caso di una tassazione lineare dei redditi che applica la stessa aliquota d’imposta indipendentemente dall’imponibile. Pertanto, il fatto che la curva dell’elasticità d’imposizione sia sempre maggiore di 1 mette in risalto la progressione delle aliquote ed in particolare il fatto che, per qualsiasi livello reddituale, il prelievo fiscale aumenta più rapidamente dell’aumento della base imponibile.

Al di là della non sorprendente osservazione di poco sopra, re-lativa alla progressione fiscale, la Figura 5 mette in evidenza, nel caso di Berna, due ulteriori interessanti aspetti. In primo luogo, l’accelerazione delle aliquote è più marcata per i redditi bassi, fino a circa 70’000 franchi lordi annui, dopo i quali l’e-lasticità si assesta tra l’1.5 e l’1.3. Pertanto, un contribuente bernese celibe con un reddito lordo pari a 30’000 franchi an-nui che avesse un incremento reddituale dell’1% pagherebbe circa il 2.5% di imposte in più (la curva della Figura 5 ha un’al-tezza pari a circa 2.5 in corrispondenza di un reddito lordo pari a 30’000 franchi). Un contribuente bernese celibe con un reddito lordo di 200’000 franchi annui pagherebbe invece 1.33% di imposte in più se il suo reddito aumentasse dell’1%.

In secondo luogo, l’aumento del prelievo fiscale subisce un’ac-celerazione per redditi lordi tra 30’000 e 45’000 franchi. Si tratta di un andamento le cui cause sono con buona probabi-lità da ricercare nell’interazione degli scaglioni delle aliquote e di eventuali deduzioni. Sicuro è che, per i contribuenti in que-sta fascia reddituale, tali aumenti della progressività potreb-bero avere un effetto disincentivante in relazione alla scelta se aumentare il proprio reddito (per esempio prestando stra-ordinari remunerati sul posto di lavoro, oppure aumentando il proprio carico lavorativo nel caso di un impiego part time).

Figura 4: Indice di concentrazione dell’imposta (senza imposta federale di-retta) su contribuenti celibi con un reddito lordo tra 20’000 e 500’000 fran-chi nei capoluoghi cantonali (Fonte: Peters [2013])

Figura 5: La curva coefficiente d’elasticità d’imposizione (senza imposta fe-derale diretta) dei celibi nel 2011 nella città di Berna in funzione del reddi-to lordo (rapporto tra aliquota marginale e aliquota media) (Fonte: Peters [2013])

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La Tabella 1 mette in ordine decrescente rispetto al coeffi-ciente d’elasticità dell’imposta i 26 capoluoghi cantonali con-siderando il caso di un contribuente con un reddito lordo pari a 200’000 franchi. Similmente alla Figura 4, va ricordato che questo ordinamento considera la progressione delle aliquote e non ha particolari implicazioni sul carico fiscale assoluto in un dato capoluogo. Infatti, la pressione fiscale assoluta di un contribuente celibe con un reddito lordo di 200’000 franchi a Zurigo (Cantone con la massima elasticità ad un reddito di 200’000 franchi) è ben minore di quella a Neuchâtel.

4. Gli aspetti particolari della struttura delle aliquote nei Cantoni svizzeriL’elasticità d’imposizione calcolata da Peters (2013) è molto utile non solo per confrontare tra loro la progressività fiscale nei 26 Cantoni, ma anche per identificare particolari casi nei quali la struttura delle aliquote potrebbe comportare conse-guenze inintenzionali.

Infatti, come già accennato nell’introduzione al presente ar-ticolo, la progressione delle aliquote viene spesso sostenuta con argomenti legati alla giustizia contributiva (giustizia ver-ticale), secondo cui è corretto che chi percepisce un maggior reddito debba partecipare in maggior misura al gettito fiscale destinato allo Stato. Nelle sezioni precedenti tuttavia, si è pure visto che, per quanto crescenti con il reddito, le aliquote medie tendono ad accelerare sempre più lentamente.

Secondo quanto precede, non ci si aspetterebbe pertanto che la crescita delle aliquote medie (la progressione fiscale, ap-punto) tenda improvvisamente ad accelerare per determinate categorie reddituali, per poi tornare ad aumentare con una ve-locità sempre minore.

Orbene, le curve empiriche dell’elasticità d’imposizione di alcu-ni Cantoni, tra i quali il Ticino, mostrano interessanti sorprese. Tratte da Peters (2013), abbiamo scelto i casi più eclatanti, ri-guardanti i Cantoni di Zurigo, Zugo, Friburgo e Ticino, che ripor-

tiamo nelle Figure 6-9. Similmente a quanto esposto sull’esem-pio di Berna (Figura 5), tali quattro Cantoni mostrano per una o più fasce di reddito un’elasticità crescente. Ricordiamo che l’elasticità d’imposizione indica l’aumento percentuale del de-bito fiscale qualora il reddito del contribuente aumenti dell’1%. Un’elasticità superiore ad 1 (la linea rossa nelle Figure 6-9) indi-ca una progressione delle aliquote, ed un aumento della curva di elasticità indica un’accelerazione della progressione.

Un caso eclatante è quello di Zugo, che come mostrato nella Figura 7 ha una vera e propria accelerazione della progressione fiscale per redditi lordi attorno a 90’000 franchi. In particolare, un contribuente celibe domiciliato nella città di Zugo con un reddito lordo pari a 80’000 franchi, ipotizziamo guadagnato con un lavoro a tempo parziale, potrebbe essere disincentivato dall’aumentare il proprio carico lavorativo (e di conseguenza il proprio reddito) in considerazione del forte aumento delle aliquote che si troverebbe chiamato a fronteggiare. Non di-mentichiamo peraltro che l’elasticità d’imposizione equivale al rapporto tra aliquote marginali ed aliquote medie; pertanto, le aliquote marginali per il contribuente qui in discussione sareb-bero particolarmente irregolari.

Tabella 1: Coefficiente d’elasticità d’imposizione (senza imposta federale diretta) di un celibe nel 2011 nei capoluoghi cantonali per un reddito lordo pari a 200’000 franchi annui (rapporto tra aliquota marginale e aliquota media) (Fonte: Peters [2013])

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Campione di tali irregolarità nell’andamento della progressio-ne fiscale è tuttavia il Canton Ticino, come si può constata-re nella Figura 9. Un contribuente bellinzonese celibe con un reddito lordo annuo pari a 40’000 franchi vedrebbe le proprie imposte aumentare di circa il 3.5% se il suo reddito aumentas-se solo dell’1%. Allo stesso tempo, il suo vicino di casa (pure un bellinzonese celibe) con un reddito lordo pari a 30’000 franchi vedrebbe le proprie imposte aumentare di poco più dell’1.5% qualora il suo reddito aumentasse dell’1%.

Alla luce di tali dinamiche, la differenza tra la pretesa giustizia verticale e la realtà del trattamento fiscale è stridente. In parti-colare, si potrebbe di principio questionare se davvero una tale struttura delle aliquote sia in linea con il principio dell’imposi-zione secondo la capacità economica sancito dall’articolo 127 capoverso 2 Cost.

Figura 6: La curva coefficiente d’elasticità d’imposizione (senza imposta fede-rale diretta) dei celibi nel 2011 nella città di Zurigo in funzione del reddito lordo (rapporto tra aliquota marginale e aliquota media) (Fonte: Peters [2013])

Figura 7: La curva coefficiente d’elasticità d’imposizione (senza imposta fede-rale diretta) dei celibi nel 2011 nella città di Zugo in funzione del reddito lordo (rapporto tra aliquota marginale e aliquota media) (Fonte: Peters [2013])

Figura 8: La curva coefficiente d’elasticità d’imposizione (senza imposta fede-rale diretta) dei celibi nel 2011 nella città di Friburgo in funzione del reddito lordo (rapporto tra aliquota marginale e aliquota media) (Fonte: Peters [2013])

Figura 9 : La curva coefficiente d’elasticità d’imposizione (senza imposta fede-rale diretta) dei celibi nel 2011 nella città di Bellinzona in funzione del reddito lordo (rapporto tra aliquota marginale e aliquota media) (Fonte: Peters [2013])

Come abbiamo già avuto modo di menzionare prima, deside-riamo qui ribadire che l’andamento della curva dell’elasticità d’imposta ha poco a che vedere con il peso fiscale assoluto che ricade sulle spalle del contribuente. Al contrario, l’elasti-cità mostra solo il cambiamento relativo del prelievo fiscale sulla persona fisica al variare del suo reddito. In merito a ciò, riportiamo nelle Figure 10 e 11 i grafici di due Cantoni noto-riamente ad alta tassazione delle persone fisiche, Neuchâtel e Giura, che indipendentemente da ciò mostrano un anda-mento relativamente regolare dell’elasticità d’imposizione.

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Figura 10: La curva coefficiente d’elasticità d’imposizione (senza imposta fe-derale diretta) dei celibi nel 2011 nella città di Neuchâtel in funzione del reddito lordo (rapporto tra aliquota marginale e aliquota media) (Fonte: Peters [2013])

5. La contestualizzazione in termini temporali e di carico fiscale assolutoIn questa ultima sezione desideriamo contestualizzare le in-teressanti ed utili analisi di Peters (2013) sia in un’ottica in-tertemporale sia in relazione alla pressione fiscale assoluta. In effetti, Peters (2013) analizza e confronta i Cantoni svizzeri unicamente in relazione ai dati dell’AFC (2012) relativi al 2011, ma sarebbe utile sapere come nel corso del tempo è cambiata la politica fiscale dei 26 Cantoni con riferimento alla progres-sività del prelievo.

Figura 11: La curva coefficiente d’elasticità d’imposizione (senza imposta fe-derale diretta) dei celibi nel 2011 nella città di Delémont in funzione del reddito lordo (rapporto tra aliquota marginale e aliquota media) (Fonte: Peters [2013])

In uno studio pubblicato due anni or sono su questa rivista (Macchi e Pamini 2012), abbiamo proposto una nuova visua-lizzazione grafica della politica fiscale di ogni singolo Comune svizzero: grazie a determinate tecniche statistiche, da tempo collaudate in varie discipline scientifiche (un’analisi fattoriale con successiva rotazione varimax), siamo riusciti a produrre un indice della pressione fiscale rispettivamente su redditi bassi (statisticamente identificati fino a 40’000 franchi annui di red-dito lordo), medi (da 40’000 a 100’000 franchi) ed alti (sopra 100’000 franchi annui).

Figura 12: Tassazione (senza imposta federale diretta) dei redditi bassi e dei redditi alti nei Comuni svizzeri 2000-2011

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La Figura 12 raffigura una serie di diagrammi i cui due assi riportano l’indice di imposizione dei redditi bassi (scala oriz-zontale) e quello dei redditi alti (scala verticale). Ogni punto raffigura un Comune-anno, copriamo i 12 anni che si esten-dono dal 2000 al 2011 e raggruppiamo le osservazioni per Cantone (singoli diagrammi) e per quadriennio (colori). Un in-dice con valore 0 (equivalente graficamente alle rette verticali e orizzontali in rosso) indica una tassazione pari alla media svizzera, valori positivi indicano una maggior pressione fisca-le rispetto alla media (sui redditi bassi verso destra, sui redditi alti verso l’alto), valori negativi rappresentano un prelievo fi-scale minore della media svizzera (verso sinistra per i redditi bassi, verso il basso con riferimento ai redditi alti). Per en-trambi gli indici, un’unità equivale ad una deviazione standard.

Un Cantone con Comuni che si trovano nel quadrante in alto a destra, come è tipicamente il caso del Canton Giura, ha una struttura delle aliquote che porta a tassare sia i redditi alti sia quelli bassi più della media svizzera. Chi, come per esempio il Canton Ginevra, si situa nel quadrante in alto a sinistra, tassa i redditi bassi meno della media svizzera e quelli alti più della media. In tali casi ci possiamo attendere una forte progressione delle aliquote. Cantoni come Zugo, che si situano nel quadrante in basso a sinistra, tassano sia i redditi bassi sia quelli alti meno della media svizzera. Infine chi, come il Canton Obvaldo, si situa nel quadrante in basso a destra, tassa i redditi bassi in misura maggiore degli altri Cantoni e quelli alti in misura minore, per-tanto è da attendersi una moderata progressione delle aliquote.

La rappresentazione proposta con la Figura 12 permette alcu-ne utili considerazioni:

◆ in primo luogo, i risultati mostrati nella Figura 12 sono coe-renti con quelli di Peters (2013), soprattutto se si considera-no i Cantoni nel quadrante in alto a sinistra (tipicamente con una forte progressione delle aliquote) e quelli nel quadrante in basso a destra (con strutture tariffali poco progressive);

◆ in secondo luogo, la Figura 12 visualizza certi cliché ben noti. Ginevra è un Cantone a vocazione “sociale” che tassa i ceti alti più della media ed i ceti bassi meno della media; il Giura è un Cantone affamato sia nei confronti dei ceti alti sia dei ceti bassi; nei Cantoni della Svizzera centrale convie-ne spostarsi solo se si ha un alto reddito; ed infine Zugo che fiscalmente è conveniente per tutti;

◆ in terzo luogo, sempre con la stessa grafica possiamo otte-nere un senso del dinamismo temporale delle politiche fi-scali tra Cantoni ed all’interno dei Cantoni. Nel corso di 12 anni, la pressione fiscale vallesana è rimasta incredibilmente stabile, mentre altri Cantoni come Friburgo, Lucerna, Vaud o Argovia hanno mostrato un gran dinamismo. In questo qua-dro risulta palese che la pressione fiscale sia tendenzialmen-te diminuita in tutti i Cantoni. Inoltre, con l’eccezione di Ber-na e Soletta, la pressione fiscale è diminuita più rapidamente per i ceti bassi che per quelli alti, il che implica l’osservazione che nelle scorse tre legislature la concorrenza fiscale sviz-zera ha addirittura aumentato il grado di progressività delle aliquote sulle persone fisiche. Un’eccezione è costituita da Cantoni come Obvaldo o Uri, che hanno deciso di appiattire le proprie curve delle aliquote abbassando drasticamente la pressione sui ceti alti ed aumentando quella sui ceti bassi.

6. ConclusioniLo studio di Peters (2013) è molto interessante ed innovati-vo. Come rilevato nelle sezioni precedenti, esso ha concrete implicazioni riguardo allo studio degli incentivi marginali che il sistema tributario delle imposte dirette dà ad ogni singo-lo contribuente, in base al suo reddito di partenza e al suo domicilio, a lavorare più o meno. Le implicazioni pratiche della cosiddetta imposizione secondo la capacità economica ai sensi dell’articolo 127 capoverso 2 Cost. (spesso riferita come “giustizia verticale”) toccano per l’appunto gli incentivi dati ad ogni contribuente ad aumentare o diminuire il pro-prio reddito, fintanto che ciò risiede nelle sue facoltà (si pensi per esempio a lavoratori part time, o a chi ha la possibilità di prestare straordinari remunerati). Gli andamenti irregolari delle curve dell’elasticità d’imposizione sono in questo con-testo un primario ambito di immediata azione politica, se si desidera porre fine a possibili distorsioni di comportamento (e, oseremmo dire, in un certo senso pure di disparità di trat-tamento).

Lo studio di Peters (2013) ha pure alcune limitazioni pratiche. Quella più facilmente sormontabile è l’aver tralasciato l’ana-lisi delle dinamiche intertemporali. Quella invece di carattere più fondamentale è il fatto che nel quadro della concorrenza fiscale intercantonale ben più importante della progressione delle aliquote e delle variazioni marginali del prelievo al va-riare del reddito è invece la pressione fiscale assoluta. Essa infatti è uno dei fattori determinanti, in un’ottica fiscale e a prescindere da altre considerazioni, nella scelta di domicilio di quei contribuenti che hanno deciso di guardarsi intorno alla ricerca di lidi migliori. In tal senso, siamo dell’opinione che il nostro contributo (Macchi e Pamini 2012, qui riportato nella Figura 12) possa essere un utile complemento alle analisi di Peters (2013).

Sul piano della ricerca accademica ed applicata, il contributo di Peters (2013) apre interessanti orizzonti. Per esempio, grazie alla sua metodologia diventa ora possibile studiare empirica-mente la mobilità verticale dei contribuenti a dipendenza della struttura delle aliquote.

Infine, le implicazioni dello studio di Peters (2013) ai fini del-la consulenza fiscale dipendono dalle necessità del contri-buente. Qualora quest’ultimo possa liberamente scegliere il luogo di domicilio, allora gli strumenti messi a disposizio-ne da Macchi e Pamini (2012) sono più adeguati. Qualora invece si stia sostenendo un contribuente già radicato sul territorio, le rappresentazioni di Peters (2013) sono molto utili per mostrare al contribuente in forma visiva ed intuiti-va (si pensi all’interpretazione dell’elasticità d’imposizione) gli effetti fiscali nel caso di una variazione del suo reddito. Tale variazione può non solo esser dovuta a cambiamenti di comportamento, già menzionati sopra in relazione all’au-mento della propria attività lavorativa, bensì anche a piani-ficazioni fiscali, per esempio grazie alla costituzione di una società immobiliare per gestire i propri patrimoni fondiari evitando che il reddito da proprietà immobiliare porti il con-tribuente in una zona poco opportuna della curva dell’ela-sticità d’imposizione.

20 Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

In conclusione, con lo studio di Peters (2013), e soprattutto con la laboriosa preparazione dei dati, l’AFC ha dimostrato ancora una volta di dare un utile contributo all’avanzamento dello stu-dio del sistema fiscale svizzero. Speriamo che i successi finora ottenuti siano d’auspicio per altrettanta alta qualità in futuro.

Per maggiori informazioni:Amministrazione federale delle contribuzioni, Steuerbelastung, Berna 2012, in: http://www.estv.admin.ch/dokumentation/00075/00076/00720/in-dex.html?lang=de [05.12.2014]

Macchi Louis/Pamini Paolo, Retrospettiva 2000-2011 della concorrenza fi-scale in Svizzera – Una nuova visualizzazione grafica di trend e posiziona-menti relativi di Cantoni e Comuni, in: NF 11/2012, pagine 28 e seguenti

Peters Rudi, La progressivité de l’impôt sur les revenus en Suisse: Une com-paraison intercantonale. Une analyse de la charge fiscale 2011 des person-nes physiques. Administration fédéral des contributions AFC, Berna, 11 giu-gno 2013

Elenco delle fonti fotografiche:http://assalt.org/wp-content/uploads/2013/03/la-dichiarazione-redditi.jpg [05.12.2014]

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Obblighi dichiarativi relativi alla detenzione di attività patrimoniali e finanziarie all’estero

1. Le modifiche apportate dalla Legge europea alla disciplina sul monitoraggio fiscaleLa Legge (di seguito L.) n. 97/2013, recante le “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013” (di seguito Legge euro-pea 2013) ha apportato rilevanti modifiche al Decreto Legge (di seguito D.L.) n. 167/1990, convertito dalla L. n. 227/1990, e successive modificazioni, avente ad oggetto la disciplina del cosiddetto “monitoraggio fiscale”, per mezzo della quale l’Ammi-nistrazione finanziaria ha la visibilità delle attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero da soggetti residenti ai fini fi-scali in Italia.

Le modifiche apportate con la Legge europea 2013 si sono rese necessarie a seguito dell’avvio della procedura precon-tenziosa EU Pilot 1711/11, con la quale la Commissione euro-pea chiedeva chiarimenti allo Stato italiano in ordine all’utilità di un impianto sanzionatorio particolarmente gravoso previ-sto in caso di omessa o errata indicazione dei beni detenuti all’estero e totalmente slegato dall’effettiva sottrazione di ma-teria imponibile ai fini delle imposte sul reddito in Italia.

Le modifiche introdotte hanno comportato la sostanziale re-visione del quadro RW contenuto nelle dichiarazioni dei redditi annuali con il quale i soggetti tenuti al rispetto degli obblighi sul monitoraggio devono indicare le attività detenute all’estero. In particolare, la precedente versione del quadro RW si compo-neva di tre sezioni. Nella Sezione I dovevano essere indicati i trasferimenti dall’estero verso l’Italia e dall’Italia verso l’estero di denaro, certificati in serie o di massa o di titoli, effettuati per il tramite di intermediari non residenti, per ragioni diverse dagli investimenti all’estero e dalle attività estere di natura finan-ziaria. Nella Sezione II dovevano essere indicate le consisten-ze degli investimenti esteri e delle attività finanziarie all’estero al termine del periodo d’imposta. Nella Sezione III dovevano essere indicati i flussi dei trasferimenti dall’estero verso l’Italia, dall’Italia verso l’estero e dall’estero sull’estero di denaro, cer-tificati in serie o di massa o titoli, effettuati attraverso inter-

mediari residenti, attraverso intermediari non residenti ovvero in forma diretta, che nel corso del periodo d’imposta avevano interessato investimenti esteri e attività estere di natura finan-ziaria.

Il nuovo quadro RW – incluso nel Modello Unico 2014 per il periodo d’imposta 2013 –, pur mantenendo la medesima de-nominazione, è il risultato di una profonda rivisitazione. Le no-vità più rilevanti hanno riguardato: (i) l’eliminazione delle Se-zioni I e III relative alle movimentazioni, (ii) l’allargamento della platea dei contribuenti obbligati alla compilazione del quadro RW e (iii) l’utilizzazione del medesimo quadro RW anche per il calcolo dell’imposta sul valore degli immobili esteri (di seguito IVIE) e dell’imposta sul valore delle attività finanziarie estere (di seguito IVAFE), andando così ad eliminare i righi RM 33 e RM 34 presenti nel Modello Unico 2013 per il periodo d’im-posta 2012.

La Legge europea 2013 ha inoltre ridotto le sanzioni applicabili in caso di omessa o errata compilazione del quadro RW e ha eli-minato l’applicazione della pena della confisca per equivalente.

2 . L’ambito soggettivoI soggetti tenuti agli obblighi sul monitoraggio fiscale sono le persone fisiche (anche se titolari di redditi di impresa o di lavo-ro autonomo), gli enti non commerciali e le società semplici e i soggetti ad esse equiparati, residenti ai fini fiscali in Italia, che detengono attività patrimoniali o finanziarie all’estero a titolo di proprietà o di altro diritto reale a prescindere della modalità con cui sono state acquisite; devono infatti essere indicati an-che i beni ricevuti tramite donazione o successione.

Ai fini dell’individuazione della residenza delle persone fisiche occorre far riferimento a quanto disposto dall’articolo 2, com-ma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 917/1986 (di seguito TUIR), in base al quale si con-siderano residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popo-lazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile. In base al successivo comma 2-bis, si considerano residenti, salvo prova contraria, i

Diritto tributario italianoIl nuovo quadro RW del Modello Unico 2014

Raul Angelo PapottiSocio dello Studio Legale Chiomenti di Milano.Avvocato e Dottore Commercialista in Milano. LL.M. (Leiden)

22 Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione re-sidente e traferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato individuati dal Decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999.

Sono tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione. In particolare, secondo quanto affermato dall’Amministrazione finanziaria nella Circolare n. 28/E del 2011, in caso di conto corrente estero intestato a un soggetto residente sul quale è stata fornita de-lega a favore di un altro soggetto residente, anche il soggetto delegato è obbligato alla compilazione del quadro RW qualora si tratti di una delega al prelievo e non di mera delega ad operare per conto dell’intestatario.

Nessun obbligo di monitoraggio è posto in capo alle società di capitali, alle società di persone (ad eccezione delle società semplici), agli altri enti commerciali e agli enti pubblici.

3 . La nozione di titolare effettivoSe da un lato è stato confermato che sono normativamente tenuti al rispetto degli obblighi di monitoraggio solamente le persone fisiche, gli enti non commerciali (ivi inclusi i trusts), le società semplici e le associazioni ad esse equiparate residen-ti in Italia, l’articolo 9 della Legge europea 2013 ha ampliato la platea dei soggetti tenuti alla compilazione del quadro RW includendovi anche coloro che sono qualificabili quali “titolari effettivi” in base alla normativa antiriciclaggio.

In sostanza, l’obbligo dichiarativo include anche le fattispe-cie in cui gli investimenti e le attività estere, pur essendo for-malmente intestate a società o a entità giuridiche (quali ad esempio, fondazioni o trusts), siano in realtà direttamente riconducibili a persone fisiche qualificabili quali “titolari effet-tivi”. Infatti, il citato articolo 9, nell’estendere l’ambito sog-gettivo dell’obbligo di compilazione del quadro RW, al fine di individuare il “titolare effettivo” opera un rinvio all’articolo 1, comma 2, lettera u, dell’allegato tecnico del Decreto Legisla-tivo (di seguito D.Lgs.) n. 231/2007, e, a partire dal 1. gennaio 2014, all’allegato 1 del provvedimento della Banca d’Italia del 3 aprile 2013 che recepisce la riforma della Direttiva antirici-claggio. Ai fini della disciplina in esame, per “titolare effettivo” si intendono (cfr. Circolare n. 38/E del 2013):

a) in caso di attività estere detenute per il tramite di società (i) la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, pos-

siedono o controllano tale entità, attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto di una percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto, anche tramite azioni al portatore, purché non si tratti di una società ammessa alla quotazione su un mercato rego-lamentato e sottoposta a obblighi di comunicazione con-formi alla normativa comunitaria o standard internazionali equivalenti. Questo criterio si considera in ogni caso sod-disfatto quando la percentuale corrisponde al 25% più uno di partecipazione al capitale sociale; (ii) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un’entità giuridica;

b) in caso di attività detenute tramite entità giuridiche diverse dalle società (quali ad esempio, trusts e fondazioni) (i) se i futuri beneficiari sono già stati determinati, le persone fi-siche beneficiarie del 25% o più del patrimonio di un’entità giuridica; (ii) se le persone che beneficiano dell’entità giu-ridica non sono ancora state determinate, la categoria di persone nel cui interesse principale è istituita o agisce l’en-tità giuridica, (iii) le persone fisiche che esercitano un con-trollo sul 25% o più del patrimonio di un’entità giuridica.

Occorre però specificare che – come affermato nel Provvedi-mento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 18 dicembre 2013 – sebbene la normativa antiriciclaggio, al fine di indi-viduare il titolare effettivo, faccia riferimento unicamente alle persone fisiche, la qualifica di “titolare effettivo” si riferisce a tut-ti i soggetti rientranti nell’ambito applicativo delle norme sul monitoraggio fiscale e cioè anche agli enti non commerciali, alle società semplici ed ai soggetti ad essi equiparati.

Resta comunque fermo che in caso di detenzione di attività estere per il tramite di soggetti meramente interposti, il socio o il beneficiario di tali attività deve dichiararle nel proprio qua-dro RW a prescindere dalla verifica dei requisiti del controllo contenuti nella disciplina antiriciclaggio.

Infine, nel caso in cui una persona fisica residente partecipi al capitale o al patrimonio di una società residente o localizzata in Stati o territori diversi da quelli che consentono un adegua-to scambio di informazioni, occorre seguire un approccio look through, nel senso che nei righi del quadro RW dovranno essere inseriti, anziché il valore della partecipazione detenuta, gli in-vestimenti patrimoniali o finanziari di cui è titolare la società o l’ente estero.

4 . L’ambito oggettivo di applicazione e la valorizzazione delle attività finanziarie e patrimonialiI soggetti tenuti a osservare gli obblighi sul monitoraggio de-vono indicare le attività estere di natura finanziaria e patrimo-niale detenute nel periodo d’imposta, attraverso cui possono essere conseguiti redditi imponibili in Italia.

Come sopra anticipato la compilazione del quadro RW a de-correre dal Modello Unico 2014 per il periodo d’imposta 2013 è finalizzata anche ad assolvere gli obblighi relativi alla liquida-zione dell’IVIE e dell’IVAFE. I soggetti non tenuti al pagamento dell’IVIE e dell’IVAFE (quali ad esempio, enti non commerciali e società semplici) dovranno utilizzare i medesimi criteri di va-

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lorizzazione delle attività esclusivamente ai fini del monito-raggio fiscale.

Nel quadro RW devono essere riportate le consistenze de-gli investimenti patrimoniali e finanziari all’inizio del periodo d’imposta ovvero al primo giorno di detenzione e al termine dello stesso ovvero al termine del periodo di detenzione. Nel caso in cui nel medesimo periodo d’imposta siano state cedute attività finanziarie appartenenti alla stessa categoria, acqui-state a prezzi e in tempi differenti, per stabilire quali attività finanziarie sono detenute nel periodo di riferimento occorre utilizzare il metodo del Last In First Out (LIFO), considerando quindi cedute per prime le attività acquisite in data più recen-te. Devono inoltre essere indicati il periodo di possesso espres-so in giorni e la percentuale di detenzione (ad esempio, in caso di cointestazione di un determinato bene). In particolare, in caso di attività cointestate con altri soggetti, occorre indicare il codice fiscale degli altri cointestatari.

Per quanto riguarda la nozione di attività di natura finanziaria, vi rientrano gli investimenti da cui possono derivare redditi di capitale o redditi diversi di natura finanziaria di fonte estera (ad esempio, conti correnti, partecipazioni qualificate e non qualificate, obbligazioni, titoli di Stato, quote in Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio [OICR], eccetera), a pre-scindere dall’effettiva produzione di redditi imponibili nel pe-riodo d’imposta. Ai fini dell’individuazione del valore iniziale e finale delle attività finanziarie, occorre utilizzare i valori utiliz-zati ai fini del calcolo della base imponibile IVAFE (cfr. Circolare n. 28/E del 2012): (i) valore di mercato, rilevato al termine del periodo d’imposta o al termine del periodo di detenzione nel luogo in cui esse sono detenute; (ii) valore nominale, se le atti-vità finanziarie non sono negoziate in mercati regolamentati; (iii) valore di rimborso, in mancanza del valore nominale; (iv) costo d’acquisto, in mancanza del valore nominale e del valore di rimborso.

Per i conti correnti e i libretti di risparmio, anziché il valore al termine del periodo d’imposta (ovvero alla fine del periodo di detenzione), occorre indicare il valore medio di giacenza annuo. Per i conti correnti e i libretti di risparmio detenuti all’estero, l’obbligo di monitoraggio non sussiste qualora il valore massi-mo raggiunto non abbia superato 10’000 euro. Qualora il pre-detto limite non sia stato superato occorre indicare il valore del-le somme depositate sui conti correnti ai fini dell’assolvimento dell’IVAFE, salvo che essa non sia dovuta in quanto il valore me-dio di giacenza annuo risultante dagli estratti conto e dai libretti non ha superato il limite di 5’000 euro. Inoltre, per i conti cor-renti e i libretti di risparmio detenuti in Paesi o territori diversi da quelli collaborativi occorre indicare, oltre al valore iniziale e valore medio di giacenza annuo, anche l’ammontare massimo che l’attività ha raggiunto nel corso del periodo d’imposta.

Per le attività espresse in valuta estera, occorre utilizzare il cambio medio mensile determinato periodicamente con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

Gli immobili situati all’estero devono essere indicati con gli stessi criteri validi per l’IVIE, anche se non dovuta. Pertanto, il valore dell’immobile è costituito, a seconda dei criteri adottati,

dal (i) costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti da cui risulta il costo complessivamente sostenuto per l’acquisto di diritti reali diversi dalla proprietà; (ii) valore di mercato rileva-bile al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui è situato l’immobile, in mancanza del costo d’acquisto o in mancanza della relativa documentazione.

Per quanto riguarda gli immobili acquisiti per successione o donazione, il valore è quello indicato nella dichiarazione di successione o nell’atto registrato o in altri atti previsti dagli ordinamenti esteri. In assenza di tali documenti, occorre far riferimento al costo di acquisto o di costruzione sostenuto dal de cuius o dal donante così come risultante dalla relativa docu-mentazione probatoria; in assenza di tale documentazione si assume il valore di mercato.

Per gli immobili situati in Paesi appartenenti alla Unione eu-ropea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore da utilizzare al fine della determinazione dell’imposta è quello catastale, come determinato e rivalutato nel Paese in cui l’im-mobile è situato ai fini dell’assolvimento di imposte di natura reddituale o patrimoniale ovvero di altre imposte determinate sulla base del valore degli immobili, anche nel caso in cui gli immobili siano stati acquisiti per successione o per donazione. In assenza di un valore catastale utilizzabile, si deve fare rife-rimento al costo risultante dall’atto di acquisto e, in assenza, al valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’im-mobile.

Per le altre attività patrimoniali detenute all’estero, diverse dagli immobili, per le quali non è dovuta l’IVAFE (ad esempio, opere d’arte, gioielli, eccetera), il contribuente deve indicare il costo d’acquisto, risultante dalla relativa documentazione probatoria, ovvero il valore di mercato all’inizio di ciascun pe-riodo d’imposta (ovvero al primo giorno di detenzione) e al termine dello stesso (ovvero al termine del periodo di deten-zione nello stesso).

5 . La fattispecie di esonero soggettivo e oggettivo dalla com-pilazione del quadro RWNessun obbligo di monitoraggio è posto in capo agli enti com-merciali, alle società, siano esse società di persone (s.a.s., s.n.c., società di fatto) o società di capitali (s.p.a., s.a.p.a., società co-operative), ad eccezione delle società semplici.

Analoga esclusione è applicabile agli enti pubblici e agli altri soggetti indicati nell’articolo 74, comma 1 TUIR. Al riguardo, si precisa che gli enti di previdenza obbligatoria (casse profes-sionali) istituiti nelle forme di associazione o fondazione non rientrano tra gli enti pubblici e, pertanto, sono obbligati agli adempimenti del monitoraggio (cfr. Corte di Cassazione, sen-tenza n. 17961 del 24 luglio 2013).

Non sono soggetti all’obbligo di compilazione del quadro RW, inoltre, i contribuenti la cui residenza fiscale in Italia è determi-nata ex lege ovvero in base ad accordi internazionali ratificati in Italia e che prestano in via continuativa attività lavorative all’e-stero. In particolare, l’articolo 38, comma 13 D.L. n. 78/2010,

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esonera dall’obbligo di compilazione del quadro RW: (i) le per-sone fisiche che prestano lavoro all’estero per lo Stato italiano, per una sua suddivisione politica o amministrativa o per un suo ente locale e le persone fisiche che lavorano all’estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce l’Italia la cui residen-za fiscale in Italia sia determinata, in deroga agli ordinari crite-ri previsti dal TUIR, in base ad accordi internazionali ratificati (tale esonero si applica limitatamente al periodo di tempo in cui l’attività lavorativa è svolta all’estero) e (ii) i contribuenti residenti in Italia che prestano la propria attività lavorativa in via continuativa all’estero in zone di frontiera ed in altri Paesi limitrofi con riferimento agli investimenti e alle attività estere di natura finanziaria detenute nel Paese in cui svolgono la pro-pria attività lavorativa.

In sostanza, ai fini dell’esonero dagli obblighi di monitoraggio, occorre verificare che la condizione di lavoratore all’estero sia stata realizzata per un numero complessivo di giorni superiore a 183 nell’arco dell’anno, anche se non continuativi. Qualora il lavoratore rientri in Italia dopo aver prestato la propria attività lavorativa all’estero per la maggior parte del periodo d’impo-sta, può usufruire del predetto esonero a condizione che, entro sei mesi dall’interruzione del rapporto di lavoro all’estero, non detenga più le attività all’estero. Diversamente, se il contri-buente entro tale data non ha riportato le attività in Italia o di-smesso le stesse, è tenuto ad indicare tutte le attività detenute all’estero durante l’intero periodo d’imposta.

Rimane naturalmente fermo, per i suddetti soggetti esone-rati, l’obbligo di indicare nella dichiarazione annuale, i redditi derivanti dalle attività estere di natura finanziaria e dagli in-vestimenti esteri.

I lavoratori all’estero, per i quali non sussiste una specifica di-sposizione normativa che determini la residenza fiscale in Ita-lia per presunzione sono invece tenuti agli obblighi del moni-toraggio fiscale ricorrendone i presupposti.

Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi non sussistono per le attività finanziarie e patrimoniali affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o imposta sostitu-tiva dagli intermediari stessi.

Non devono infine essere indicati nel quadro RW – a condi-zione che l’IVAFE non sia dovuta – i depositi e conti correnti

bancari detenuti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non abbia superato il limite di 10’000 euro.

6. La revisione del quadro sanzionatorioLa sanzione amministrativa pecuniaria – originariamente sta-bilita nella misura dal 10% al 50% dell’ammontare degli impor-ti non dichiarati – è stata ridotta ed è ora prevista dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati.

La sanzione pecuniaria è determinata dal 6% al 30%, nelle ipo-tesi in cui la violazione ha ad oggetto attività patrimoniali o finanziarie detenute negli Stati o territori a regime fiscale pri-vilegiato (sulla base dei Decreti ministeriali del 4 maggio 1999 e del novembre 2001). La sanzione accessoria di confisca dei beni di pari valore è stata soppressa. Nel caso di presentazione della dichiarazione con un ritardo non superiore ai 90 giorni dalla scadenza, la sanzione amministrativa pecuniaria è in mi-sura fissa pari a 258 euro.

In applicazione del principio del favor rei, le violazioni relati-ve all’omessa o infedele compilazione (i) della Sezione II del vecchio quadro RW (commesse e non ancora oggetto di de-finizione alla data del 4 settembre 2013, giorno di entrata in vigore della Legge europea 2013), sono soggette alle nuove sanzioni sopra riportate e (ii) delle Sezioni I e III del modulo RW precedenti il 4 settembre 2013 non sono più assoggettabili alle sanzioni amministrative.

Pertanto, in base a quanto appena esposto, è applicabile l’isti-tuto del ravvedimento operoso al fine di applicare le sanzioni ridotte, prima che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento.

7 . La presunzione di fruttuosità e il raddoppio dei termini di accertamentoLe nuove disposizioni ampliano altresì l’ambito oggettivo di applicazione della presunzione di fruttuosità di cui all’articolo 6 D.L. n. 167/1990. Per i contribuenti soggetti alla disciplina del monitoraggio fiscale, infatti, saranno soggetti alla presun-zione di fruttuosità di cui all’articolo 6 non solo, come nella previgente disciplina, “le somme in denaro, i certificati in serie o di massa od i titoli trasferiti o costituiti all’estero”, bensì tutti gli “investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria, trasferiti o costituiti all’estero”.

Conseguentemente, le attività finanziarie e patrimoniali si presumono, salvo prova contraria, fruttifere in misura pari al tasso ufficiale di riferimento medio di sconto vigente in Italia nel relativo periodo d’imposta, a meno che, in sede di dichia-razione dei redditi, non venga specificato che si tratti di redditi la cui percezione avverrà in un successivo periodo d’imposta, o sia indicato che determinate attività non possono essere pro-duttive di redditi.

L’articolo 12 D.L. n. 78/2009 dispone che gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato indicati nelle black-list – senza tener

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conto delle limitazioni per territorio o tipo di soggetto previsti dalle liste stesse – in violazione degli obblighi di compilazione del modulo RW, si presumono costituite, salva la prova contra-ria, mediante redditi sottratti a tassazione.

In tale caso, le sanzioni previste in relazione alla fattispecie di infedele dichiarazione vanno da un minimo del 200% ad un massimo del 400% dell’imposta dovuta.

Inoltre, i termini per l’accertamento presuntivo sono raddop-piati al pari dei termini per la contestazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi sul monitoraggio fiscale.

Per quanto riguarda le sanzioni sul quadro RW, il termine or-dinario di decadenza dell’azione di accertamento è il quinto anno successivo a quello in cui il quadro doveva essere presen-tato. Ad oggi risultano quindi ancora contestabili le sanzioni relative al periodo d’imposta 2007 e, in caso di attività dete-nute in Paesi black-list, risultano contestabili quelle relative al periodo d’imposta 2003.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.confindustriamonzabrianza.it/article_image.php?image_type=article&id=2250 [05.12.2014]

http://www.fisco7.it/wp-content/uploads/2014/01/monitoraggio.jpg [05.12.2014]

26 Diritto tributario internazionale e dell'UE Orizzonti temporali del segreto bancario e voluntary disclosure

Leandro NoiAvvocato Studio Legale Leandro Noi

Vincenzo MaieseAvvocatoStudio Legale Tributario Russo De Rosa Wilhelm AG

Il momento delle scelte

1. IntroduzioneQuando nell’ormai lontano 2006 si scriveva che la Svizzera era uno Stato stabile in cui si poteva programmare in modo quasi calcolabile impatti fiscali, finanziari ed economici[1], non ci si sarebbe di certo aspettata una tale repentina accelerazione della lotta internazionale contro il segreto bancario e contro la privacy in genere. Il decorso storico è ormai a tutti noto e presto, a partire dal 2017, 2018 per la Svizzera, si avrà una realtà in cui una moltitudine di dati bancari come mai prima sarà automaticamente scambiata tra diverse decine di Stati. Si sta forse perdendo troppo velocemente l’occasione di apri-re un dibattito sul valore della privacy e sul rapporto di fidu-cia Stato-Cittadino, valori centrali in uno Stato democratico, come recentemente sottolineato anche dal Vicedirettore del Corriere del Ticino, Lino Terlizzi[2]. Forse a livello interno el-vetico sussiste ancora la possibilità che la società e gli intel-lettuali si accorgano in tempo della centralità delle discussioni attorno al segreto bancario in relazione alla vera quintessenza dello spirito istituzionale elvetico, basato su mediazione, pon-derazione, proporzionalità e certezza del diritto, che portano ad esempio ad avere indagini (fiscali) approfondite solo dove il reato ipotizzato raggiunge una certa soglia di gravità e gli elementi di sospetto sono sufficientemente concreti.

Chiunque si sia affidato alle istituzioni elvetiche, incluso il segreto bancario a prescindere da ogni valutazione etica o morale, deve oggettivamente confrontarsi con l’incertezza relativa all’evoluzione, sia nei contenuti sia nelle tempistiche, del segreto bancario ed alla correlata attendibile ampiezza delle informazioni che possono o potranno raggiungere au-torità fiscali o penali, elvetiche o estere, queste ultime tramite l’assistenza amministrativa o giudiziaria. Laddove si prospetti inoltre, come in Italia, il prossimo avvio di procedimenti vol-ti ad una regolarizzazione del passato, il contribuente dovrà verificare in più giurisdizioni, quali sono i parametri applicabili oggi e domani, considerando altresì diverse variabili in movi-mento, prime fra tutte il possibile e più volte preannunciato accordo contro la doppia imposizione tra Svizzera ed Italia (di seguito CDI I-CH).

Il senso del presente contributo è quello di dare una prima vi-sione globale alle persone che sono ancora in attesa di de-cidere il futuro del proprio conto bancario svizzero, fornendo in breve il quadro attuale e, per quanto possibile, l’evoluzione delle pertinenti normative elvetiche, ed illustrando successi-vamente quanto prevede la legge sulla voluntary disclosure da poco approvata dal Parlamento italiano, sia nei suoi aspetti positivi sia in quelli di criticità.

2.I limiti attuali del segreto bancario

2.1. L’assistenza giudiziaria in ambito fiscaleIniziando dalle procedure a sostegno di procedimenti penali esteri, sulla base della Legge sull’assistenza in materia penale (AIMP) e della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale (CEAG), nonché secondo gli impegni siglati nell’ambito degli Accordi bilaterali II con l’Unione europea (di seguito UE), la Svizzera non fornisce assistenza se non per quanto attiene ai reati tributari qualificabili quali truffa fi-scale, ovvero compiuti per mezzo di falsificazione di docu-mentazione o tramite l’attuazione di un inganno astuto nei confronti delle autorità fiscali. In altre parole occorre che il contribuente estero vada oltre alla mera falsa o incompleta dichiarazione fiscale, bensì è necessario che compia un de-litto attraverso un comportamento volto ad ingannare con perfidia l’autorità.

Unica eccezione si ritrova nell’ambito dell’Accordo tra UE e Sviz-zera per lottare contro la frode e ogni altra attività illecita che leda i loro interessi, concernente la fiscalità indiretta, secondo il quale è sufficiente che il reato per cui è richiesta l’assistenza giudiziaria abbia carattere di mera evasione fiscale secondo il diritto elvetico, perché l’assistenza giudiziaria abbia luogo.

Per quanto attiene ai reati nella fiscalità indiretta, va eviden-ziato che la Confederazione offre anche l’estradizione con-formemente all’accordo di associazione Schengen (CAAS). L’estradizione non è invece sinora prevista nell’ambito della fiscalità diretta.

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2.2. L’assistenza amministrativa in ambito fiscalePer quel che attiene all’assistenza amministrativa in ambito fiscale, si può fondamentalmente sostenere che la Svizzera si stia rapidamente adeguando agli standards OCSE, che impon-gono lo scambio di informazioni anche per i casi di semplice evasione, ed ha già conseguentemente sottoscritto numero-si corrispettivi accordi bilaterali (convenzioni contro le doppie imposizioni sul reddito e sulla sostanza [di seguito CDI])[3], an-che con Stati con i quali non sussisteva nemmeno una CDI. La Svizzera, sulla base della Legge sull’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale (di seguito LAAF), ha inoltre deciso di estendere unilateralmente l’assistenza amministrati-va alle cosiddette domande raggruppate, permettendo altresì, a determinate condizioni, di non informare preventivamente le persone interessate.

La CDI I-CH, apparentemente ancora una volta vicina all’es-sere rivista[4], ad oggi non contempla l’assistenza per i casi di mera evasione. Lo stesso ampliamento dell’assistenza alle domande raggruppate nelle modalità citate, premette però la sottoscrizione di una CDI di “nuova generazione”, ovvero con-templante l’assistenza per i casi di evasione, per cui con l’Italia non è invece ancora stato trovato l’accordo.

3. Evoluzioni

3.1. L’assistenza giudiziariaLe evoluzioni più probabili ed attese nell’assistenza giudizia-ria in materia fiscale erano quelle indirettamente imposte dal Gruppo di azione finanziaria (di seguito GAFI) tramite l’e-manazione dei suoi standards, che vedono inclusi i reati fiscali (gravi) fra i reati preliminari del riciclaggio. Costituendo il rici-claggio un crimine ai sensi del diritto elvetico, per cui la Sviz-zera garantisce piena assistenza giudiziaria, inclusa l’estradi-zione, così come per altro almeno in via alternativa preteso anche nella Raccomandazione n. 39 del GAFI, l’individuazione

dei reati fiscali preliminari del riciclaggio nel diritto svizzero e la correlata fissazione dell’asticella in punto alla gravità degli stessi, avrebbero altresì determinato l’ampiezza dell’assistenza in favore delle procedure penali estere, nonché gli obblighi di segnalazione antiriciclaggio (anche per fattispecie elvetiche) in capo agli intermediari finanziari svizzeri secondo la Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro nel settore finanziario (LRD). Si stava infatti dibattendo durante questo mese un progetto di legge che avrebbe forse limitato la portata dell’assistenza giudiziaria per reati fiscali, in quanto si intendeva considerare reati fiscali preliminari del riciclaggio solo quelle fattispecie che vedono un’indebita restituzione di imposta[5]. In altre parole si sarebbe avuto riciclaggio solo lad-dove il contribuente avesse ottenuto delle restituzioni di im-poste da parte dello Stato[6]. Il Parlamento ha invece deciso di considerare la frode fiscale, che premette la falsificazione di documenti, quale reato presupposto del riciclaggio, a partire da un importo sottratto di 300’000 franchi per anno contribu-tivo[7]. In altre parole la Confederazione ha deciso che le pro-prie Banche dovranno, a differenza di quanto in vigore sinora, denunciare penalmente casi di riciclaggio aventi a monte frodi fiscali, estere o elvetiche. Nella stessa misura verrà verosimil-mente allargata l’assistenza giudiziaria per i casi di riciclaggio dei proventi da frodi fiscali estere.

In Svizzera si sta altresì ancora discutendo sia l’ampliamen-to dell’assistenza giudiziaria per renderla conforme alla nuova assistenza amministrativa in materia fiscale, sia in senso poli-ticamente opposto il mantenimento del segreto bancario per i residenti in Svizzera. Benché la pressione sulla Svizzera sia importante, non è a nostro avviso da escludere, considerata la tradizione elvetica di riservatezza e protezione della privacy, che perlomeno in una fase di transizione la legislazione na-zionale possa infine essere impostata nel senso di mantenere una distinzione tra assistenza giudiziaria ed assistenza ammi-nistrativa nonché tra contribuenti residenti all’estero e contri-buenti residenti nella Confederazione. La decisione di ritenere la sola frode fiscale per importi superiori a 300’000 franchi per anno fiscale quale reato preliminare del riciclaggio, escludendo importi minori e la mera evasione fiscale, parrebbe andare in questa direzione.

3.2. L’assistenza amministrativa

3.2.1. CRS (scambio automatico OCSE) e Convenzione sulla reci-proca assistenza in materia fiscale del Consiglio d’Europa e dell’OCSEIn data 8 ottobre 2014 il Consiglio federale ha inoltrato una lettera al Forum globale mondiale sulla trasparenza e sullo scambio di informazioni che attesta la volontà delle autorità elvetiche di aderire ai nuovi standards OCSE sullo scambio di informazione (cosiddetti Common Reporting Standard [di seguito CRS]) a partire dal 2017, anno in cui gli istituti bancari elvetici inizieranno a raccogliere i dati di contribuenti esteri, da fornire in automatico al fisco straniero dal 2018.

L’applicazione di questi standards presuppone per la Svizzera la conclusione di nuove o l’adeguamento di previgenti CDI, fatto

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che rende rilevante la Convenzione sulla reciproca assistenza in materia fiscale del Consiglio d’Europa e dell’OCSE, attualmente in discussione per ratifica presso le Camere federali, che fissa una retroattività minima triennale delle CDI che prevedono il citato standard CRS. In caso di ratifica della stessa, le future CDI svizzere potrebbero prevedere un effetto retroattivo triennale nello scambio di informazioni portando all’invio dei dati banca-ri elvetici per i periodi 2015-2017 almeno.

3.2.2. LAAF, Weissgeldstrategie e CDI I-CHAnche a livello interno la Svizzera si sta muovendo per rece-pire gli standards OCSE, in particolare tramite l’emanazione della LAAF che ha reso possibile, a determinate condizioni, l’assistenza amministrativa in favore di autorità estere sen-za preventiva informazione dei diretti interessati. Dovrebbe trattarsi di una procedura eccezionale, ma essa rappresenta lo stesso l’ennesima ulteriore rivoluzione nel sistema giuridi-co elvetico. Per quanto attiene specificatamente all’Italia, in assenza di una CDI I-CH conforme all’articolo 26 del Modello OCSE di Convenzione, l’attuazione delle domande raggrup-pate ex LAAF non è ancora in essere, ma potrebbe presto di-venire realtà.

La LAAF si inserisce nella più generale strategia del denaro pu-lito (“Weissgeldstrategie”), volta a condurre la Piazza finanziaria elvetica a non gestire più fondi non dichiarati (esteri). In osse-quio al nuovo indirizzo di trasparenza fiscale e in previsione del prossimo accordo bilaterale con l’Italia, le stesse Banche stanno oramai da alcuni anni contribuendo attivamente al processo di regolarizzazione del passato dei propri clienti, pure attraverso misure coercitive unilaterali quali il blocco dei conti, la limita-zione dei prelievi cash o la richiesta di regolarizzazione dei fondi.

4.Il quadro generale sul segreto bancario svizzeroPer quanto attiene ai contribuenti residenti all’estero, il 2018 segnerà quindi la fine del segreto bancario elvetico tramite assistenza amministrativa secondo gli standards CRS dell’OC-SE. L’eventuale retroattività dello scambio di informazioni di-penderà dalle volontà politiche e potrebbe estendersi anche ai dati bancari relativi al 2015. Inoltre non possono essere escluse ulteriori concessioni nell’ambito di trattative bilaterali riguardanti le future CDI elvetiche, in primis quella con l’Italia. Anche l’assistenza giudiziaria in favore di procedure penali, alla luce delle modifiche suesposte attinenti alle norme del Codi-ce penale svizzero relative al riciclaggio di denaro, verrà am-pliata, ma in maniera minore rispetto a quanto previsto per l’assistenza amministrativa. Quindi il suo impatto appare sin d’ora relativizzabile, benché la sorveglianza degli intermediari finanziari sulla tax compliance, già in essere autonomamente nel settore bancario, continuerà a crescere fino a configurarsi forse un domani l’obbligo di denuncia di clienti sospettati di reati fiscali di minore gravità.

In questo contesto di dismissione progressiva, ma pressoché ineluttabile del segreto bancario per residenti esteri, la rego-larizzazione del passato fiscale tramite la cosiddetta voluntary disclosure appare sin d’ora un’importante chance di sistema-zione delle posizioni bancarie svizzere nei confronti del fisco

italiano, sia nell’interesse della clientela sia in quello degli inter-mediari finanziari, per questi ultimi con specifico riferimento alle coperture penali promesse da parte delle autorità italiane. Il provvedimento adottato dal Parlamento italiano è ancora lungi dall’essere esaustivo e definitivo, ma sussistono già ad oggi importanti indicazioni circa la sua portata che permet-tono di proporre una prima concreta analisi dell’istituto della voluntary disclosure.

5. La voluntary disclosure italianaIl disegno di legge che disciplina la procedura di collabora-zione volontaria (“voluntary disclosure”) riesce a tagliare il tra-guardo prima della fine dell’anno. L’approvazione del Senato, avvenuta il 4 dicembre 2014, ha chiuso l’iter parlamentare, lungo e tormentato, avviatosi dopo la mancata conversione in legge delle disposizioni contenute nel Decreto Legge (di se-guito D.L.) n. 4/2014.

La Legge sulla voluntary disclosure (Legge n. 186 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 17 dicembre 2014, in vigore dal 1. gen-naio 2015) presenta novità rilevanti rispetto al D.L. n. 4/2014, e va dato atto al legislatore dello sforzo di migliorare l’impian-to normativo al fine di incentivare l’adesione alla procedura di emersione. Tuttavia, anche nella nuova disciplina perman-gono elementi di criticità che potrebbero costituire un forte deterrente alla regolarizzazione spontanea delle violazioni fi-scali. Alla luce di queste premesse, illustriamo di seguito i prin-cipali aspetti sostanziali del nuovo istituto.

5.1. L’ambito soggettivo della voluntary disclosureLa procedura di collaborazione volontaria interessa, in primo luogo, i soggetti che hanno detenuto all’estero investimenti o attività di natura finanziaria in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale previsti dall’articolo 4 D.L. n. 167/1990. In tale ambito rientrano, dunque, le persone fisiche, gli enti commerciali e le società semplici, residenti fiscalmente in Ita-lia, che non hanno adempiuto all’obbligo di compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi[8].

Nella disciplina prevista dal D.L. n. 4/2014, l’adesione alla volun-tary disclosure era ammessa solo per i predetti soggetti. La Leg-ge n. 186/2014 supera tale impostazione, estendendo l’ambito soggettivo ai:

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a) contribuenti destinatari degli obblighi di monitoraggio fi-scale che vi abbiano adempiuto correttamente;

b) contribuenti che a tali obblighi non sono tenuti.

Di conseguenza, per effetto di tale estensione, possono ac-cedere alla voluntary disclosure anche le società di capitali e le società di persone commerciali, residenti fiscalmente in Italia.

La nuova impostazione normativa è sicuramente apprez-zabile; per coglierne le conseguenze, si pensi al caso, non infrequente, in cui una persona fisica detenga all’estero di-sponibilità finanziarie non dichiarate, derivanti da evasioni fi-scali commesse dalla società italiana di cui la persona stessa è azionista. In questo caso, società e socio, tramite un’adesione congiunta alla voluntary disclosure, potrebbero regolarizzare le rispettive posizioni fiscali. Un fattore destinato ad incidere su tale scelta è sicuramente rappresentato dalla valutazione degli aspetti penali, e nello specifico dall’area della “copertura penale” che, per quanto vedremo meglio in seguito, presenta ancora elementi di criticità.

5.2. Le attività detenute per interposta personaLa Legge sulla voluntary disclosure prevede l’obbligo di indica-re tutti gli investimenti e le attività finanziarie estere, incluse quelle detenute “indirettamente o per interposta persona”. Non è infrequente il caso in cui le attività estere siano confluite in veicoli giuridici quali società, trusts o fondazioni. Per il con-tribuente si pone, dunque, il problema di valutare se il veico-lo estero prescelto possa essere qualificato come “interposta persona”. Da tale qualificazione discendono conseguenze rile-vanti sul piano sia dell’an che del quantum della regolarizzazio-ne. Così, ad esempio, nel caso in cui la società estera agisca come interposta persona, il patrimonio della predetta società ed i relativi redditi dovranno essere imputati al soggetto che ne ha l’effettiva disponibilità; al contrario, se la società non è interposta, potrebbero assumere rilevanza i diversi profili attinenti alla residenza fiscale della società o all’applicazione della normativa in materia di Controlled foreign companies.

Il tema dell’interposizione di persona si era già posto nell’am-bito della disciplina dello scudo fiscale. Nella Circolare n. 99/E del 4 dicembre 2001, l’Agenzia delle Entrate ha rilevato, in linea di principio, che “la questione non può essere risolta in modo ge-neralizzato, essendo direttamente connessa alle caratteristiche e alle modalità organizzative del soggetto interposto”. Tuttavia, la stessa Circolare fornisce due esemplificazioni, qualificando come sog-getti interposti “una società localizzata in un Paese avente fiscalità privilegiata non soggetta ad alcun obbligo di tenuta delle scritture contabili, in relazione alla quale lo schermo societario appare mera-mente formale” e un trust revocabile o discrezionale.

Con riferimento ai trusts, ulteriori indicazioni sono state forni-te nelle Circolari n. 43/E del 10 ottobre 2009 e n. 61/E del 27 dicembre 2010; una volta affermato il principio secondo cui devono considerarsi inesistenti, ai fini fiscali, i trusts “nei qua-li l’attività del trustee risulti eterodiretta dalle istruzioni vincolanti riconducibili al disponente o ai beneficiari”, le due Circolari hanno elencato diverse tipologie di trusts da qualificare come fittizia-mente interposti.

Il problema potrebbe porsi anche con riferimento alle polizze vita. Occorre, infatti, segnalare un orientamento dell’Agenzia delle Entrate diretto a riqualificare i contratti di polizze unit-lin-ked “in presenza di determinati presupposti” in contratti di gestione patrimoniale, con conseguente tassazione degli underlying as-sets in capo al soggetto sottoscrittore.

Il tema dell’interposizione è sicuramente delicato: un’erronea qualificazione giuridica potrebbe rendere l’adesione alla vo-luntary disclosure parziale o incompleta, con conseguenze che rimangono ancora avvolte nel mistero.

Considerata la delicatezza della questione, è fondamentale che, nel corso della procedura, venga garantito il contraddit-torio tra contribuente e Agenzia delle Entrate nell’analisi delle informazioni che il primo è tenuto a fornire.

5.3. Le violazioni sanabili e i benefici sul piano delle sanzioni am-ministrativeLa procedura di collaborazione volontaria consente di sanare le violazioni fiscali commesse fino al 30 settembre 2014 e relative ai periodi di imposta ancora suscettibili di accertamento.

Al riguardo, i termini ordinari di decadenza per gli accertamen-ti in materia di imposte sui redditi[9] e di IVA[10] sono fissati:

a) in caso di dichiarazione infedele, al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichia-razione;

b) in caso di omessa presentazione della dichiarazione, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la di-chiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Per quanto riguarda i termini per l’accertamento delle violazio-ni relative al monitoraggio fiscale, la prassi dell’Agenzia delle Entrate è quella di applicare il termine quinquennale. In concre-to, ipotizzando che si aderisca alla voluntary disclosure nel 2015, i periodi di imposta oggetto di regolarizzazione partirebbero dal 2009, per la dichiarazione omessa e il quadro RW, e dal 2010 per la dichiarazione infedele. I termini di accertamento posso-no, tuttavia, essere raddoppiati in caso di violazioni penali o di attività detenute in Stati black list (su tali ipotesi, si veda infra).

Ciò premesso, ai fini della regolarizzazione rilevano le violazio-

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ni in materia di: imposte sui redditi e relative addizionali, im-poste sostitutive, imposta regionale sulle attività produttive, imposta sul valore aggiunto, contributi previdenziali, obblighi di sostituzione di imposta.

La Legge n. 186/2014 tiene fermo l’obbligo di pagare l’intero ammontare delle imposte evase e dei relativi interessi mora-tori, impegnando il contribuente ad una ricostruzione analiti-ca, anno per anno, dei redditi sottratti a tassazione.

In un’ottica di semplificazione, il nuovo articolo 5-quinquies, com-ma 8, D.L. n. 167/1990 prevede la facoltà di optare per un regime forfetario, che consente di calcolare i rendimenti finanziari nella misura del 5% del valore delle consistenze a fine anno, e applicare su tali rendimenti l’aliquota del 27%. Tale facoltà può essere però esercitata nel solo caso in cui la media annuale delle consistenze delle attività finanziarie non superi i due milioni di euro.

Maggiori sono i benefici previsti sul piano delle sanzioni am-ministrative. In primo luogo, per effetto di quanto dispone l’articolo 5-quinquies, comma 4, le sanzioni per le violazioni so-stanziali relative alle imposte sopra elencate si applicano nella misura del minimo edittale ridotto di un quarto. A tale ridu-zione si deve poi aggiungere l’ulteriore abbattimento previsto dagli istituti deflattivi: riduzione a un sesto della sanzione se il contribuente aderisce all’invito al contraddittorio oppure ridu-zione a un terzo se il contribuente decide di presentare istanza di accertamento con adesione.

A titolo di esempio, il minimo edittale della sanzione per la dichiarazione infedele relativa a redditi esteri è fissato nella misura del 133.33%. L’adesione alla procedura di emersione consentirebbe di ridurre la sanzione di un quarto, portando-la al 100%, e l’ulteriore abbattimento ad un sesto fisserebbe la sanzione nella misura del 16.66% su un singolo periodo di imposta.

È importante sottolineare che nel perimetro della voluntary disclosure non risultano incluse né l’imposta sulle successioni e donazioni né le imposte sul valore delle attività finanziarie estere (IVAFE) e sul valore degli immobili all’estero (IVIE). Per tali imposte non opera, dunque, la riduzione di un quarto del-la sanzione, rimanendo comunque applicabile l’abbattimento previsto dagli istituti deflattivi.

Per quanto riguarda, invece, le sanzioni relative al monito-raggio fiscale, il citato articolo 5-quinquies ne prevede l’appli-cazione nella misura della metà del minimo edittale se sono soddisfatte determinate condizioni dirette ad assicurare la tracciabilità delle attività estere. Nello specifico, il dimezza-mento della sanzione viene riconosciuto al verificarsi di una delle seguenti condizioni:

a) le attività vengono trasferite in Italia o in Stati membri dell’UE o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio econo-mico europeo (di seguito SEE) inseriti nella white list del 4 settembre 1996;

b) le attività trasferite in Italia o nei predetti Stati erano o sono ivi detenute;

c) all’intermediario finanziario estero, presso cui le attività

sono detenute, viene rilasciata l’autorizzazione a trasmet-tere alle autorità finanziarie italiane tutte le informazioni concernenti le attività oggetto di emersione.

Ove non ricorra alcuna delle predette condizioni, la sanzione legata al monitoraggio fiscale si applica nella misura del mini-mo edittale ridotto di un quarto. Alla riduzione della sanzione finora prospettata (metà o un quarto) si aggiunge l’ulteriore abbattimento a un terzo in sede di definizione agevolata.

A titolo di esempio, considerando la sanzione minima del 3% prevista per gli Stati white list, la somma delle riduzioni (metà e un terzo) fisserebbe tale sanzione nella misura dello 0.5% su un singolo periodo di imposta.

Il termine ultimo per attivare la procedura di collaborazione volontaria è fissato al 30 settembre 2015. L’istanza di adesio-ne può essere presentata una sola volta ed è preclusa in caso di attività di accertamento o di procedimenti penali relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura.

Ai contribuenti viene richiesta una collaborazione piena e ve-ritiera, dovendo questi fornire tutti i dati utili alla ricostruzione della propria posizione fiscale. Un comportamento poco tra-sparente potrebbe generare responsabilità penali: l’articolo 5-septies del D.L. n. 167/1990 punisce l’esibizione di atti falsi o la comunicazione di dati non corrispondenti al vero con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

5.3.1. Le disposizioni specifiche per gli Stati black listLa Legge sulla voluntary disclosure introduce specifiche disposi-zioni finalizzate a disapplicare, in presenza di determinate con-dizioni, il regime penalizzante previsto per gli Stati black list, tra i quali risulta inclusa la Svizzera.

Nell’ambito del contrasto ai paradisi fiscali, l’articolo 12 D.L. n. 78/2009 pone la presunzione secondo cui gli investimenti e le attività finanziarie, detenute negli Stati black list in violazione de-gli obblighi di monitoraggio fiscale, si intendono formate, salvo prova contraria, con redditi sottratti a tassazione. Tale presun-zione comporta un inasprimento del regime ordinario, ovvero:

a) il raddoppio delle sanzioni per le violazioni in materia di

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imposte dirette. Con effetto dal periodo di imposta 2008, tali sanzioni trovano, dunque, applicazione nella misura dal 200% al 400% per la dichiarazione infedele, e nella misura del 240% al 480% per l’omessa dichiarazione;

b) il raddoppio dei termini ordinari di accertamento ai fini del-le imposte sui redditi e ai fini IVA;

c) il raddoppio dei termini di accertamento delle violazioni in materia di monitoraggio fiscale.

Avendo riguardo alla prassi applicativa dell’Agenzia delle En-trate ed ipotizzando l’adesione alla voluntary disclosure nel 2015, i periodi di imposta oggetto di regolarizzazione parti-rebbero dal 2004, per la dichiarazione omessa e il quadro RW, e dal 2006 per la dichiarazione infedele.

Si ricorda inoltre che, a prescindere dall’operatività della pre-sunzione, la sanzione per le violazioni del quadro RW si applica nella misura dal 6% al 30% (il doppio rispetto alla sanzione or-dinaria che va dal 3% al 15%).

Sul quadro così delineato la Legge n. 186/2014 interviene con specifiche disposizioni.

In primo luogo, per effetto di quanto dispone l’articolo 5-quin-quies, comma 7, la sanzione sul monitoraggio si applica nella mi-sura del 3%, e non nella misura del 6%, se lo Stato black list, entro 60 giorni dalla entrata in vigore della Legge, stipula un accordo con l’Italia che consenta un effettivo scambio di informazioni sulla falsariga dell’articolo 26 Modello OCSE di Convenzione fi-scale, anche sugli elementi riconducibili al periodo tra la data di stipulazione e quella di entrata in vigore dell’accordo.

Se tale condizione è soddisfatta, un ulteriore beneficio con-siste nell’esclusione del raddoppio delle sanzioni ai fini delle imposte sui redditi.

Un altro aspetto su cui interviene la Legge riguarda il raddop-pio dei termini di accertamento. Tale raddoppio è escluso se si verificano congiuntamente le seguenti condizioni:

a) lo Stato black list firma l’accordo sullo scambio di informa-zioni con l’Italia;

b) l’intermediario estero riceve autorizzazione a trasmettere al fisco italiano le informazioni sulle attività oggetto di re-golarizzazione;

c) analoga autorizzazione viene rilasciata in caso di trasferi-mento delle attività ad un intermediario fuori dall’Italia o dagli Stati UE o SEE white list.

Ove tali condizioni siano soddisfatte, troverebbero applica-zione i termini di accertamento ordinari (cinque anni per la dichiarazione omessa e il quadro RW, quattro anni per la di-chiarazione infedele).

Merita di essere sottolineato il fatto che, stante la formulazio-ne letterale della norma ed il rinvio legislativo da essa opera-to, il raddoppio dei termini sembra rimanere operante per le violazioni relative al monitoraggio fiscale. Di conseguenza, la misura minima della sanzione sarebbe applicabile nella misura

del 3% (con le riduzioni già illustrate) ma su arco temporale di dieci anni e non dei cinque ordinari.

Non è chiaro se tale circostanza derivi da un errato rinvio nor-mativo o se rappresenti una scelta precisa del legislatore; sul punto si rende necessario un chiarimento.

Per i contribuenti che detengono le attività in Svizzera, la con-clusione dell’accordo sullo scambio di informazioni diventa di primaria importanza. L’esclusione del raddoppio sia per le sanzioni che per i termini di accertamento (con l’incognita del monitoraggio fiscale) consentirebbe, infatti, di ridurre il costo della voluntary disclosure, in particolar modo nel caso in cui le attività estere siano state costituite in periodi di imposta che sarebbero accertabili solo per effetto del raddoppio.

5.4. La copertura penale e le sue criticitàL’adesione alla voluntary disclosure comporta dei benefici anche sul piano penale. Limitatamente alle condotte relative agli im-ponibili, alle ritenute e alle imposte oggetto di collaborazione, l’articolo 5-quinquies, comma 1, D.L. n. 167/1990 esclude la puni-bilità per una serie di reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, e segnatamente:

a) la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri do-cumenti per operazioni inesistenti (articolo 2 D.Lgs. n. 74/2000);

b) la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3);c) la dichiarazione infedele (articolo 4);d) l’omessa dichiarazione (articolo 5);e) l’omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis);f) l’omesso versamento di IVA (articolo 10-ter).

Ulteriori benefici riguardano:

a) l’esclusione della punibilità per i delitti di riciclaggio e di im-piego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del Codice penale, commessi in relazione ai predetti reati tributari;

b) l’esclusione della punibilità per le condotte previste dal nuovo articolo 648-ter.1 del Codice penale (ovvero l’autori- ciclaggio) commesse, in relazione ai predetti reati tributari, fino al 30 settembre 2015 (termine ultimo di attivazione della procedura).

L’esclusione della punibilità opera per tutti coloro che hanno commesso o concorso a commettere i reati in esame.

Ciò detto, dall’area della copertura penale sono esclusi, rima-

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nendo dunque punibili, il reato di emissione di fatture o altri do-cumenti per operazioni inesistenti (articolo 8 D.Lgs. n. 74/2000), l’occultamento o la distruzione di documenti contabili (artico-lo 10), l’indebita compensazione (articolo 10-quater) e la sot-trazione fraudolenta al pagamento delle imposte (articolo 11).

Qualche osservazione si rende doverosa.

La Legge sulla voluntary disclosure include, nel perimetro della co-pertura penale, anche i reati tributari fraudolenti (articoli 2 e 3 D.Lgs. n. 74/2000) che, nella disciplina prevista dal D.L. n. 4/2014, rimanevano punibili anche se con pene ridotte fino alla metà.

L’estensione della copertura ai reati fraudolenti rimuove un elemento di criticità che poteva incidere negativamente sulla scelta di aderire alla procedura di emersione.

Si è già accennato, in precedenza, all’ipotesi in cui la provvista estera nella disponibilità della persona fisica sia stata costitu-ita, o alimentata nel tempo, distraendo risorse dalla società italiana di cui la predetta persona è azionista. Ad esempio, la società italiana, avvalendosi di fatture false, potrebbe ave-re dedotto costi fittizi, commettendo così il reato previsto dall’articolo 2 D.Lgs. n. 74/2000[11].

Come già sottolineato, il nuovo modello normativo apre la strada ad un'adesione congiunta, da parte del socio e della società, consentendo così di beneficiare della copertura pe-nale per le pratiche fraudolente che possono essere alla base della creazione della provvista estera.

Anche se la Legge sulla voluntary disclosure ha ampliato il no-vero dei reati non punibili, permangono tuttavia elementi di criticità sul piano penale; ci si riferisce, in particolare, al reato di emissione di fatture false, ai reati extra-tributari e al rad-doppio dei termini in presenza di violazioni di natura penale.

5.4.1. L’emissione di fatture per operazioni inesistentiLa Legge n. 186/2014 esclude dalla copertura penale il reato di emissione di fatture false previsto dall’articolo 8 D.Lgs. n. 74/2000. In altri termini, il soggetto che ha emesso le fatture false ne risponde penalmente, mentre il soggetto che ha utilizzato le stesse fatture, deducendo costi fittizi, può beneficiare dell’e-sclusione della punibilità. A ben vedere, la scelta di prevedere un trattamento diverso per l’utilizzatore e l’emittente non è nuova: già la normativa sullo scudo fiscale-ter di cui all’articolo

13-bis D.L. n. 78/2009 (che rinviava, per gli effetti penali, alla Legge n. 289/2002), limitava l’esclusione della punibilità alla sola condotta di utilizzazione.

La giurisprudenza di merito chiamata a pronunciarsi in mate-ria[12] aveva esteso la copertura penale, in via interpretativa, alla condotta di emissione; tuttavia, tale posizione non è stata con-divisa dalla Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 3052 del 21 gennaio 2008, ha sancito l’impossibilità di superare, in via in-terpretativa, il dato normativo che assegnava (rectius, continua-va ad assegnare) rilevanza penale alla condotta di emissione[13].

In termini concreti, cosa comporta la scelta operata dal legi-slatore? L’adesione alla voluntary disclosure, da parte del sogget-to utilizzatore delle fatture false, finirebbe per risolversi in una denuncia del soggetto che ha emesso le predette fatture.

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 5-quater, comma 3, D.L. n. 167/1990, l’Agenzia delle Entrate è tenuta a comunicare, all’autorità giudiziaria competente, la conclusione della proce-dura di collaborazione volontaria “per l’utilizzo dell’informazione ai fini di quanto stabilito all’articolo 5-quinquies, comma 1, lettere a) e b)” (ovvero l’esclusione della punibilità). Nel caso in cui, dalle informazioni raccolte dall’Agenzia delle Entrate, emergano re-ati privi di copertura penale, potrebbe aprirsi un procedimento penale a carico di chi ha commesso tali reati.

La questione diventa ancora più delicata nel caso in cui vi sia coincidenza tra il soggetto emittente e il soggetto utilizzatore delle fatture false (ad esempio, persona fisica che sia ammini-stratore di entrambe le società coinvolte nella frode).

Sul tema, si segnala che l’articolo 9 D.Lgs. n. 74/2000 prevede che chi si avvale delle fatture false non è punibile a titolo di concorso nel reato di emissione delle stesse fatture (e vicever-sa). In altri termini, utilizzatore ed emittente rispondono cia-scuno del proprio reato, essendo escluso il concorso nel reato commesso dall’altro soggetto. Tuttavia, secondo un indirizzo ormai consolidato della Corte di Cassazione[14], la regola del citato articolo 9 trova applicazione solo se emittente e utiliz-zatore sono soggetti diversi.

Di conseguenza, nel caso prospettato (coincidenza tra sog-getti) l’orientamento della Corte di Cassazione comporta, per lo stesso soggetto, una “doppia punibilità” per due diversi reati. L’adesione alla voluntary disclosure metterebbe al riparo dal rea-to di utilizzazione ma lascerebbe impregiudicata la responsa-bilità penale per il diverso reato di emissione delle fatture false. Per tale reato è prevista la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

5.4.2. I reati societariUn altro elemento di criticità è rappresentato dal fatto che la Legge sulla voluntary disclosure non prevede alcuna esclusione di punibilità per i reati societari che spesso si accompagnano alle violazioni di natura fiscale.

La normativa sullo scudo fiscale-ter includeva nella copertu-ra penale i reati di false comunicazioni sociali (articoli 2621 e

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2622 del Codice civile) nonché una serie di reati di falsità in atti previsti dal Codice penale[15] ove tali reati fossero in rapporto di connessione teleologica o consequenziale con i reati tribu-tari. Nella disciplina della voluntary disclosure, invece, la coper-tura penale non opera per i reati extra-tributari.

Per sottolineare l’importanza della questione, può essere utile richiamare quanto emerge dal Protocollo di intesa del 25 ot-tobre 2000 sulla tutela penale degli interessi erariali, approva-to dalla Procura presso il Tribunale di Trento, dalla Direzione delle Entrate per la Provincia autonoma di Trento e dal Co-mando regionale della Guardia di finanza del Trentino-Alto Adige. In particolare, nell’ambito delle direttive impartite agli organi verificatori sull’inoltro della notizia di reato, la Procura di Trento tra reati di natura non fiscale da segnalare “senza indugio” includeva:

a) il reato previsto dall’articolo 2621 (false comunicazioni socia-li) del Codice civile “laddove l’intento di inganno sia diretto anche o esclusivamente verso soggetti diversi dall’amministrazione fiscale”;

b) il reato di appropriazione indebita previsto dall’articolo 646 del Codice penale qualora emerga che l’evasione di impo-sta commessa dalla società “abbia comportato un personale ed illecito arricchimento di uno o più dei soci a danno degli altri”. Peraltro, in tal caso, il reato dovrebbe presentarsi nella for-ma aggravata di cui all’articolo 61, n. 11 del Codice pena-le (abuso di relazioni d’ufficio) e sarebbe quindi procedibile d’ufficio, senza che sia necessaria la querela di parte[16].

La (perdurante) rilevanza penale dell’appropriazione indebita potrebbe costituire un forte deterrente per il socio che intenda far emergere la provvista estera derivante dall’evasione com-messa dalla società italiana. Il problema si pone anche in con-siderazione del fatto che, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, si ravvisano indirizzi contrastanti sui presupposti per la configurabilità del reato in esame.

Secondo un primo orientamento, il reato non è configurabi-le nel caso in cui le risorse sottratte alla società siano state impiegate per perseguire, anche indirettamente, gli interessi sociali, come potrebbe verificarsi “nelle ipotesi di estero vestizione di quote o di sottrazione di utili con relativo accantonamento di conti fiduciari, ove il tutto risulti finalizzato a sottrarre le relative attività al controllo della gestione valutaria e agli oneri fiscali”[17]. In tali ipotesi, l’appropriazione rimane una vicenda “interna” alla so-cietà, che rimane al di fuori della rilevanza penale per essersi realizzata con la concorde volontà del legale rappresentante e della compagine sociale.

A quest’orientamento se ne contrappone un altro, più restrit-tivo, che valorizza l’autonomia giuridica e patrimoniale tra soci e società, giungendo così ad escludere un potere di disposizio-ne, in capo ai soci, delle somme di pertinenza delle società[18]. La società di capitali, infatti, risponde delle proprie obbligazioni esclusivamente con il suo patrimonio, che pertanto deve ri-manere integro per soddisfare le pretese dei creditori.

In questo secondo indirizzo si inserisce la sentenza della Cassazione n. 50087 del 12 dicembre 2013 che ravvisa gli estremi del reato nella condotta dell’amministratore, socio

unico di una società a responsabilità limitata, che sottragga denaro dalle casse societarie.

Il reato di appropriazione indebita rappresenta, dunque, un’in-cognita ancora difficile da misurare.

5.4.3. Il raddoppio dei termini in presenza di violazioni penaliL’articolo 43 D.P.R. n. 600/1973 (in materia di imposte sui red-diti) e l’articolo 57 D.P.R. n. 633/1972 (in materia di imposta sul valore aggiunto [IVA]) prevedono il raddoppio dei termini in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del Codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000.

La Legge sulla voluntary disclosure non prevede alcuna deroga espressa al raddoppio dei termini per violazioni penali, diver-samente da quanto visto con riferimento agli Stati black list.

L’assenza di una deroga espressa lascerebbe intendere che il raddoppio in parola continui ad operare, anche se il testo nor-mativo, e in particolare, la copertura penale prevista per i reati tributari, può dare adito ad interpretazioni di segno opposto. Attesa la delicatezza della questione, un chiarimento sul punto si rende necessario.

Laddove venisse confermata l’operatività del raddoppio, chi aderisce alla voluntary disclosure potrebbe beneficiare della non punibilità per gli eventuali reati commessi ma, nello stesso tempo, si troverebbe nella situazione di effettuare la regola-rizzazione su un arco temporale più lungo rispetto a quello ordinario.

La disciplina del raddoppio dei termini dovrebbe comunque essere coordinata con lo schema di decreto legislativo che, in attuazione della Legge delega n. 23 dell’11 marzo 2014, riscri-ve la disciplina del raddoppio dei termini, prevedendone l’ap-plicazione solo in presenza di inoltro della denuncia entro la scadenza ordinaria dei termini di accertamento.

5.5. L’autoriciclaggioUn’importante novità consiste nell’introduzione di una nuova fattispecie criminosa, l’autoriciclaggio, che trova collocazione normativa nel nuovo articolo 648-ter.1 del Codice penale.

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Per effetto di tale norma, chi commette un reato tributario sarà perseguibile penalmente anche per l’attività di riciclaggio dei proventi del reato tributario; viene così superata la tradi-zionale impostazione normativa che prevedeva, per l’autore del reato presupposto (nella specie, il reato tributario), la non punibilità per il successivo impiego dei suoi frutti.

La condotta incriminata dall’articolo 648-ter.1 del Codice pe-nale consiste nell’impiego, nella sostituzione o nel trasferimen-to – in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o spe-culative – del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione di un delitto non colposo. Tale condotta deve essere idonea ad “ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa” dei proventi illeciti.

È interessante notare che, con riferimento a tale requisito, già previsto per l’analogo reato di riciclaggio ex articolo 648-bis del Codice penale, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha assunto una posizione rigorosa. Nella sentenza n. 43881 del 22 ottobre 2014 viene precisato che integra il reato di ri-ciclaggio “qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un differente istituto di credito”. Anco-ra, nella sentenza n. 546 dell’11 gennaio 2011 viene ulterior-mente consolidato l’indirizzo che ravvisa gli estremi del reato nella condotta di chi deposita in banca denaro di provenien-za illecita; stante la natura fungibile del denaro, l’istituto di credito è infatti obbligato a restituire al depositante il mero tantundem.

Si segnala, peraltro, che la norma sull’autoriciclaggio preve-de un requisito più stringente rispetto all’analoga norma sul riciclaggio. Nel primo caso, infatti, l’idoneità ad ostacolare la provenienza delittuosa deve essere “concreta”; occorrerà dun-que verificare come la giurisprudenza declinerà tale requisito nel nuovo reato.

Per l’autoriciclaggio, sono previsti due livelli di punibilità in fun-zione della gravità del reato presupposto:

a) si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni, e la multa da 2’500 a 12’500 euro, se il reato presupposto è punito con la reclusione inferiore a cinque anni (come av-viene nel caso del reato di omessa dichiarazione e di di-chiarazione infedele);

b) negli altri casi (ad esempio, reati tributari fraudolenti), si applica la pena della reclusione da due a otto anni, e la multa da 5’000 a 25’000 euro.

La pena è aumentata se il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professio-nale; per converso, la pena è diminuita fino alla metà in caso di comportamento collaborativo da parte del reo. Il reato di autoriciclaggio non sussiste se il denaro, i beni o altre utili-tà vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. Il testo normativo ha avuto una gestazione trava-gliata e non consente ancora di individuare con certezza la linea di confine tra le condotte che integrano il reato in esame e le condotte riconducibili all’autoconsumo.

Un’ultima notazione: stante il divieto di retroattività della nor-ma penale, il reato di autoriciclaggio potrà essere contestato solo per le condotte poste in essere dopo l’entrata in vigore della Legge; tali condotte potrebbero però trarre origine da reati tributari già commessi prima di tale data e non sanati tramite l’adesione alla procedura di collaborazione volontaria.

6. ConclusioniIl segreto bancario elvetico per i contribuenti esteri è in pro-gressivo smantellamento e, al più tardi nel 2018, i dati di questi contribuenti saranno forniti alle rispettive autorità fiscali. Già verosimilmente nel corso del prossimo anno, frodi fiscali im-portanti, a partire da sottrazioni di imposta di 300’000 fran-chi per periodo contributivo, dovranno essere segnalate dalle Banche svizzere. Atteso un prossimo accordo chiarificatore tra Italia e Svizzera e posta attenzione anche alle restrizioni appli-cate dagli intermediari finanziari elvetici alla movimentazione di patrimoni non dichiarati, al cliente italiano si offre infine la possibilità di regolarizzare i propri fondi.

Dopo una lunga attesa, infatti, l’istituto della voluntary disclosu-re fa il suo ingresso nell’ordinamento giuridico italiano. Al fine di evitare “derive condonistiche”, la Legge n. 186/2014 prevede l’obbligo di pagare l’intero ammontare delle imposte evase ancora accertabili ma, nel contempo, garantisce una riduzione delle sanzioni amministrative e l’esclusione della punibilità per determinati reati tributari.

Per quanto illustrato in precedenza, la copertura penale pre-senta ancora elementi di criticità che si auspica possano esse-re risolti con un intervento legislativo. L’Agenzia delle Entrate, dal canto suo, sarà chiamata a pronunciarsi sui (numerosi) dubbi interpretativi che il testo normativo solleva.

Il cammino della voluntary disclosure è iniziato, e i prossimi passi saranno importanti per garantirne il buon esito.

35Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.piperreport.com/wp-content/uploads/2011/05/character-and-magnifying-glass.jpg [18.12.2014]

http://www.forexinfo.it/IMG/arton23817.jpg [18.12.2014]

http://www.finanzaoperativa.com/wp-content/uploads/2014/05/vo-luntary-disclosure-italia-svizzera-bandiere-300x252.jpg [18.12.2014]

http://www.lanotiziagiornale.it/wp-content/uploads/2014/07/senato_bis.jpg [18.12.2014]

http://service.ticinonews.ch/files/www/ticinonews.ch/images/4beh/m_6z6a.jpg[18.12.2014]

http://service.ticinonews.ch/files/www/ticinonews.ch/images/4bes/m_7ycc.jpg [18.12.2014]

http://www.mercatolibero.info/wp-content/uploads/2014/10/1141.jpg [18.12.2014]

[1] Cfr. Weigell Jörg/Brand Jürg/Safarik Frantisek J., Investitions- und Steuerstandort Schweiz, Mona-co/Berna 2007, Prefazione.[2] Corriere del Ticino online, Segreto ancora alla ribalta, Convegno di Banca Migros su tutela della sfera privata e scambio automatico di dati, 18 no-vembre 2014, in: http://www.cdt.ch/economia/finanze/119437/segreto-ancora-alla-ribalta.html [18.12.2014].[3] Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali, Doppia imposizione e assistenza amministrativa, in: https://www.sif.admin.ch/sif/it/home/themen/internationale-steuerpo-litik/doppelbesteuerung-und-amtshilfe.html [18.12.2014].[4] Giornale del Popolo online, Anche l’Italia ha interesse sull’intesa con la Svizzera, 12 dicembre 2014, in: http://www.gdp.ch/economia/anche-litalia-ha-interesse-sullintesa-con-la-svizzera-id53333.html [18.12.2014].[5] Naef Francesco/Clerici Michele, Per una sensa-ta attuazione delle Raccomandazioni GAFI 2012, in: NF 7–8/2014, pagine 16 e seguenti.[6] Trattandosi di norme di merito, sarebbe di prin-cipio esclusa la loro retroattività.

[7] Sansonetti Riccardo, Lutte contre le blanchi-ment, Le Parlement met en œuvre les recom-mandations du GAFI, in: http://www.cdbf.ch/le-parlement-met-en-oeuvre-les-recommanda-tions-du-gafi/#.VIs8-r7cZ5k [18.12.2014].[8] A partire dal periodo di imposta 2013, gli obbli-ghi dichiarativi devono essere adempiuti anche dai soggetti che, pur non essendo possessori diretti degli investimenti e delle attività estere, ne risulti-no essere titolari effettivi secondo i criteri previsti dal Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 231/2007 in materia di antiriciclaggio. [9] Articolo 43 del Decreto del Presidente della Re-pubblica (di seguito D.P.R.) n. 600/1973.[10] Articolo 57 D.P.R. n. 633/1972.[11] Analogo discorso potrebbe essere fatto con riferimento all’ipotesi della sotto-fatturazione dei ricavi (ovvero prestazioni incassate in nero all’e-stero); anche in questo caso, la condotta della so-cietà che ha omesso di tassare parte dei ricavi po-trebbe integrare gli estremi del reato dell’articolo 3 D.Lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta tramite altri artifici).[12] Tribunale di Crotone, sentenza n. 112 del 7 maggio 2004.

[13] La stessa sentenza ha inoltre escluso che po-tesse porsi una questione di legittimità costituzio-nale della normativa, stante la diversità teleologi-ca e strutturale tra i due reati.[14] Si veda, in particolare, sentenze n. 7324 del 28 marzo 2014; n. 19247 del 21 maggio 2012; n. 47862 del 22 dicembre 2011.[15] Nello specifico, i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del Co-dice penale.[16] L’articolo 646 del Codice penale recita quanto segue: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiu-sto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile al-trui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1’032 euro. Se il fatto è com-messo su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata. Si procede d’ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell’articolo 61”.[17] In questo senso, la sentenza della Corte di Cassazione n. 20062 del 6 maggio 2001 e le sen-tenze ivi richiamate.[18] In questo senso, la sentenza della Corte di Cassazione n. 3397 del 23 gennaio 2013.

36

Sentenza della Camera di diritto tributario del Cantone Ticino, del 16 dicembre 2013, n. 80.2013.265

Articolo 61 della Legge federale del 3 ottobre 1975 sulla naviga-zione interna

1. Considerazioni introduttiveTutti i Cantoni e i Comuni così come la Confederazione, ri-scuotono tributi di natura diversa. Oltre a tributi d’orienta-mento (tassa sul CO2, tabacco, eccetera) e imposte dirette e indirette (le prime rette da diversi principi fondamentali tra cui il principio della capacità contributiva, mentre le seconde fi-nalizzate a colpire indirettamente la ricchezza nel momento in cui è trasferita o consumata, come nel caso dell’imposta sul valore aggiunto), vengono riscossi dei tributi causali tra i quali troviamo le cosiddette tasse, ovvero delle prestazioni corrisposte in denaro allo Stato o ad un altro ente pubblico come controprestazione di un servizio specifico. Le tasse, so-litamente riscosse a cadenze regolari, non sempre conosco-no un assoggettamento pro rata temporis, in altre parole una riduzione proporzionale al periodo di assoggettamento del contribuente. I testi legislativi si prestano talvolta a interpre-tazioni distorte anche per gli addetti ai lavori. In questo con-testo, recentemente in una sentenza del 16 dicembre 2013, la Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello del Canton Ticino (di seguito CDT) ha avuto modo di confrontarsi con una fattispecie concreta di immatricolazione di un natante avve-nuta ad anno in corso con conseguente imposizione per l’in-tero anno fiscale. La CDT ha in particolare rilevato la possibi-lità per il legislatore di avvalersi del principio della praticabilità (Praktikabilität) al fine di donare maggiore fluidità ed efficacia a determinate disposizioni fiscali.

2. La fattispecie sotto esameL’8 agosto 2013 la Sezione della circolazione immatricolava il natante B. appartenente al contribuente X. Con decisione dello stesso giorno, notificava a quest’ultimo la tassazione dell’im-posta di navigazione per il 2013, commisurata in 763 franchi.

Il 3 ottobre 2013, il contribuente X interponeva reclamo contro

la summenzionata decisione della Sezione della circolazione relativa all’imposta di navigazione, sostenendo che si spiegava solo un’imposizione pro rata temporis, ovvero limitatamente al periodo dell’anno a partire dal giorno dell’immatricolazione.

Con decisione dell’8 ottobre 2013, la Sezione della circolazio-ne respingeva il reclamo, evidenziando che diversamente dalla Legge sulle imposte e tasse di circolazione dei veicoli a motori, la Legge cantonale di applicazione alla Legge federale del 3 ottobre 1975 sulla navigazione interna (di seguito LCNav), non contempla un’imposizione frazionata.

Puntuale fu il ricorso alla CDT da parte del contribuente X, il quale impugnava nuovamente il calcolo dell’imposta sta-bilito dall’autorità di tassazione. Nelle argomentazioni, il ricorrente sosteneva in particolare che la Legge cantonale di applicazione non terrebbe conto di quanto previsto dalla Legge federale sulla navigazione interna, che stabilisce l’as-soggettamento pro rata temporis in caso di trasferimento da un Cantone all’altro.

Il ricorrente invocava inoltre la parità di trattamento nei confronti dei detentori di veicoli a motore, per i quali il calcolo dell’imposta tiene conto della durata di utilizzo nell’arco dell’anno.

Nelle sue osservazioni del 21 novembre 2013, rimarcando che la volontà del legislatore cantonale di riscuotere l’imposta di navigazione per l’intero anno è molto chiara, la Sezione del-la circolazione proponeva di respingere il ricorso, definendo inoltre impraticabile l’imposizione pro rata temporis e ritenendo inapplicabile l’articolo 61 della Legge federale, che mira unica-mente ad evitare una doppia imposizione intercantonale.

3. L’articolo 61 della Legge federale del 3 ottobre 1975 sulla navigazione internaL’articolo 61 capoverso 1 della Legge federale del 3 ottobre 1975 sulla navigazione interna (LNI) consente ai Cantoni di istituire un’imposta sui battelli che hanno lo stazionamento sul loro territorio (lettera a) o hanno lo stazionamento in un altro Cantone e sono utilizzati durante più di un mese sul loro territorio (lettera b).

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Nessuna imposizione pro rata temporis per l’imposta di navigazione

Sacha Cattelan Bachelor of Science SUPSI in Economia aziendaleAssistente SUPSI

37Novità fiscali / n.12 / dicembre 2014

Secondo il capoverso 2, dall’inizio del mese in cui lo staziona-mento di un battello è trasferito in un altro Cantone, quest’ul-timo ha il diritto di procedere alla riscossione delle imposte. Il Cantone dello stazionamento precedente deve restituire le imposte che ha riscosso per il periodo successivo.

Il capoverso 3 prevede che il Cantone dello stazionamento deve restituire le imposte che ha riscosso per un periodo du-rante il quale il battello era imposto in un altro Cantone, se-condo il capoverso 1 lettera b.

Analizzando gli atti legislativi, si evince che tali disposizioni sono state introdotte con l’unico intento di evitare una doppia imposizione intercantonale[1].

4. Le disposizioni della Legge cantonale di applicazione alla Legge federale del 3 ottobre 1975 sulla navigazione internaL’articolo 2 LCNav, prevede che il rilascio della licenza di navi-gazione per natanti a motore con potenza propulsiva sotto-stà ad un’imposta annua di navigazione di 25 franchi più 4.50 franchi/kW (capoverso 1) e che più natanti dello stesso genere appartenenti ad un solo proprietario possono essere usati al-ternativamente con la medesima targa di controllo se il deten-tore paga l’importo dovuto per il natante oggetto all’imposta più elevata (capoverso 3). L’articolo 3 lettera c LCNav prevede inoltre che le imposte annuali sono ridotte in misura del 50% quando riguardano natanti non immatricolati altrove e usati dai turisti esteri per un periodo massimo di un mese. L’artico-lo 4 LCNav esenta invece espressamente da imposte i natanti immatricolati in Svizzera e usati da turisti confederati per un periodo massimo di un mese (lettera b), i natanti immatricolati all’estero e usati dai turisti esteri per un periodo massimo di un mese (lettera c) e i natanti per i quali si rinuncia all’immatrico-lazione entro il 30 aprile di ogni anno (lettera e).

Palese è l’assenza di una norma che prevede la riduzione dell’imposta in caso d’immatricolazione ad anno in corso. Ad eccezione dei natanti usati per non più di un mese, nel caso si tratti di natanti immatricolati altrove ed appartenenti a turisti stranieri (imposizione ridotta), oppure di natanti immatricola-ti in un altro Cantone o all’estero (esenzione), è indubbio che venga sempre riscossa un’imposta annua. Nel 1987 inoltre, è stata introdotta l’esenzione per il caso della rinuncia all’imma-tricolazione entro il 30 aprile, fornendo in tal modo una base legale ad una prassi già precedentemente in uso[2].

5. Le conclusioni della CDTEvidenziando i casi appena evocati, la CDT dimostra che la vo-lontà del legislatore non prevedeva alcuna imposizione pro rata temporis. Prendendo come esempio la modalità di imposizione degli immobili a livello cantonale e comunale, la CDT ricorda inoltre che una simile modalità di imposizione semplificata non è insolita, in quanto, secondo l’articolo 95 della Legge tri-butaria ticinese (di seguito LT), le persone giuridiche devono pagare un’imposta immobiliare sugli immobili di loro proprie-tà alla fine dell’anno civile e precisa espressamente che tale imposta “non è commisurata alla durata dell’assoggettamento”[3].

Affermando che la giurisprudenza del Tribunale federale ha già avuto modo di rilevare che il principio della praticabilità dell’imposta[4] consente al legislatore, entro certi limiti, di semplificare le situazioni imponibili e di rinunciare a discipline dettagliate, nell’intento di adottare disposizioni fiscali di appli-cazione efficace e agevole e comprendendo il disappunto del contribuente X che si vede addebitare la stessa imposta che avrebbe pagato se avesse immatricolato il suo natante già dal 1. gennaio 2013, la CDT riconosce che tale soluzione è confor-me alla legge e respinge il ricorso del contribuente X.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.cerca-trova.com/media/2011/07/1537_2251_medium.jpg [05.12.2014]

[1] Cfr. Messaggio del Consiglio federale del 1. mag-gio 1974 concernente un disegno di legge sulla na-vigazione interna, in: Foglio federale 1974 I 1484, pagina 1499.[2] Cfr. Messaggio del Consiglio di Stato ticinese del 26 novembre 1985, n. 2995, concernente la modi-ficazione di alcune norme della legge cantonale di applicazione alla legge federale del 3 ottobre 1975

sulla navigazione interna, in: Raccolta dei verbali del Gran Consiglio, sessione autunnale 1986, pa-gina 844.[3] La stessa regola vale anche per l’imposta immo-biliare comunale (articolo 291 e seguenti LT) e per l’imposta personale comunale (articolo 290 LT).[4] Cfr. la sentenza del Tribunale federale del 26 giugno 2006 n. 2A.4/2006, consid. 7.1, con ri-

ferimento a: Locher Peter, Praktikabilität im Steuerrecht, unter besonderer Berücksichtigung des materiellen Rechts der direkten Steuern, in: Steuerrecht: Festschrift zum 65. Geburtstag von Ernst Höhn, Berna 1995, pagina 189 e seguenti, pagina 190.

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