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I Sensi di Romagna numero 1. giugno 2002 Periodico edito da CERDOMUS Ceramiche S.p.A. 48014 Castelbolognese (RA) ITALY via Emilia Ponente, 1000 www.cerdomus.com Direttore responsabile Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Grafica e impaginazione Jan Guerrini/Cambiamenti per Divisione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Pierluigi Papi Redazione Alessandro Antonelli Marcello Cicognani Stefania Mazzotti Iuppi Paglieri Giuseppe Sangiorgi Foto Archivio Bottega Ceramica Gatti Archivio Cerdomus Archivio La Berta Circolo Fotografico Casolano Jan Guerrini si ringrazia il Giardino delle Erbe di Casola Valsenio si ringrazia per la preziosa collaborazione Maddalena Becca/Divisione immagine Cerdomus Traduzioni Omnitrad Castelbolognese Stampa Litographicgroup ©CERDOMUS Ceramiche SpA tutti i diritti riservati Autorizzazione del Tribunale di Ravenna nr. 1173 del 19.12.2001

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I Sensi di Romagna

numero 1.giugno 2002

Periodico edito da

CERDOMUS Ceramiche S.p.A.48014 Castelbolognese (RA) ITALY

via Emilia Ponente, 1000

www.cerdomus.com

Direttore responsabile

Luca Biancini

Progetto

Carlo Zauli

Grafica e impaginazione

Jan Guerrini/Cambiamentiper Divisione immagine Cerdomus

Coordinamento editoriale

Pierluigi Papi

Redazione

Alessandro AntonelliMarcello CicognaniStefania MazzottiIuppi PaglieriGiuseppe Sangiorgi

Foto

Archivio Bottega Ceramica GattiArchivio CerdomusArchivio La BertaCircolo Fotografico CasolanoJan Guerrinisi ringrazia il Giardino delle Erbe di Casola Valsenio

si ringrazia per la preziosa collaborazione

Maddalena Becca/Divisione immagine Cerdomus

Traduzioni

Omnitrad Castelbolognese

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©CERDOMUS Ceramiche SpAtutti i diritti riservati

Autorizzazione del Tribunale di Ravennanr. 1173 del 19.12.2001

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01Editor ia le

n altro inverno è passato.

La terra, con i sensi attutiti

dai mesi freddi e bui, esplode

nell’antica giostra di suoni,

profumi e colori.

Anche ee torna a scandagliare

la Romagna; alla ricerca di

frammenti impolverati, storie

dimenticate (non si dovrebbe

mai dimenticare una storia) e

sapori sopiti. Una sfida sempre

fruttuosa, in un territorio che

continua a celare più tesori di

quanti ne faccia scintillare alla

luce del sole.

Questo cerca di fare ee: roto-

lare sguardi nuovi lungo solchi

quotidiani.

Spazi da esplorare in un tempo

consumato piano, dove con

immaginazione e freschezza,

umiltà mista ad un po’ di

coraggio, sia ancora possibile

puntare al conoscimento di sé

stessi.

A voi la libertà del prossimo

passo.

La Redazione di ee

UAnother winter has passed.

The earth, with its senses dulled by coldand dark months, explodes in the oldcarousel of sounds, scents and colours.ee explores Romagna again; in searchof dusty fragments, forgotten stories(stories should never be forgotten) anddrowsy flavours. A challenge that isalways profitable, in a territory thatcontinues to hide more treasures thanthose shining in the sunlight.ee tries to do that: rolling new glancesalong daily furrows.Spaces to be explored in a slowly consumed time, where it is still possibleto know oneself with imagination andfreshness, humility and courage.You are free to choose the next step.

The editorial staff of ee

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We consider Cervia as the area comprising the three sites the town has occupied in the course of its history.Originally it stood several kilometres northwest of its present location and was a Greek settlement known as Ficocle. After 709 it wasdestroyed and rebuilt within the Saline; and lastly, around 1700, building of modern day Cervia was begun. Writers have indulged them-selves about the origin of the name. One version puts forward a reference to the iconography of the town coat-of-arms which featuresa golden deer (cervo) that escaped from the bishopric park and knelt before the bishop of Lodi who often frequented these woodlands.In the middle ages, sovereignty of the town was disputed among Cesena, Forlì, Ravenna, Bologna and Venice. One of the most tangiblesigns of former Venetian rule is the “Marriage of the Sea” ceremony which has been celebrated in Cervia since 1440. Legend has it thatthe bishop of the administrative district, Pietro Barbo, was caught out in a terrible storm while retuning from Venice. Fearing for his lifehe made a votive offering to bring the Venetian “Marriage of the Sea” tradition to these waters. In pledge of this vow he took the epi-scopal ring from his finger and threw it into the waves. Contemporary records say that as a result of his gesture the waves miraculouslycalmed. What is certain is that on Ascension Day the ancient rite still takes place in Cervia.In Canto XXVII of the Inferno Dante writes: “Ravenna hath maintain’d this many a year, / Is stedfast. There Polenta’s eagle broods; /And in his broad circumference of plume / O’ershadows Cervia.”Cervia is mentioned because in the middle ages it was important for salt production and trade. Salt was known as white gold. Today the ancient salines no longer play an economic role but have become a nature reserve, particularly important for its bird and animal life.In fact the zone is a significant migratory stopping off point for palmipeds and wading birds. It is the last stretch of water they findafter the Venetian lagoons and the brackish inlets of the Ravenna area on their migration south, and the first important resting placeafter the Margherita di Savoia saline and the lakes of Lesina and Varano in Apulia when they return northwards in spring.One way to explore the salines without contaminating them is by canoe. The network of canals converge in a small artificial basin withthe sinister name “the death chamber”, so called because once a year the salt workers, by means of a system of locks, used to trap anincredible number of fish and eels there to be hauled out at will, as in a marshland tuna massacre..The salines’ last gift to the people of Cervia consists of curative muds, formed by the spontaneous sedimentation of organic substancesin the sea algae.Knowledge of the curative powers of these muds, once possessed by the salt workers and their families alone, began to spread only afterthe second world war when their therapeutic properties were compared with those of the Black Sea. In 1960 an important spa centrewas built on the site to meet the increasing demand of people wishing to take the cure..Cervia’s landscape is completed by the pinewood, the last remaining edge of the famous Ravenna pinewood, so dear to Dante, whichonce stretched from the hinterland right to the sea. The best preserved part is now protected by special regulations and entry is nor-mally prohibited. The best way to appreciate the pinewood is to get a permit from the Forestry Commission to cross it on horseback.Following the sound of the sea’s undertow you come to the final stretch of Romagna beach, with dunes and sand shrubs spreadingalmost to the shoreline: a sight that has remained unchanged down through the centuries, and quite unlike the tourist beaches whichhave been raked and domesticated over the years.

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Alessandro Antonel l i

Cervia e il suo entroterraa passeggio tra stor ia e natura

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nizialmente sorgeva alcuni chilometri a Nord Ovest dall’attuale posizione ed era un insediamento greco conosciuto con il nome di

Ficocle, dopo il 709 venne distrutta e ricostruita all’interno della Salina e infine, intorno al 1700, si cominciò la costruzione dell’o-

dierna Cervia. Sull’origine del nome si sono scapricciati gli studiosi. Secondo una versione che tiene conto dell’iconografia dello stem-

ma municipale, prenderebbe il nome da una cerva dorata scappata dal parco del vescovato che si sarebbe inginocchiata davanti al

vescovo di Lodi, abituale frequentatore di quei boschi.

Nel medioevo, Cesena, Forlì, Ravenna, Bologna e Venezia si disputarono la sovranità della cittadina; uno dei segni più tangibili della

passata dominazione Veneziana è la cerimonia dello Sposalizio del Mare che a Cervia si celebra dal 1440. La leggenda narra che l’al-

lora vescovo del circondario Pietro Barbo, tornando da Venezia, si imbatté in una furiosa tempesta e, temendo per la propria vita, egli

fece voto di portare in quelle acque la tradizione veneziana dello Sposalizio del Mare. In pegno di questa promessa si levò dal dito l’a-

nello episcopale gettandolo tra le onde. Secondo le cronache del tempo, in seguito a questo suo gesto le onde miracolosamente si pla-

carono; certo è che tuttora a Cervia nel giorno dell’Ascensione si ripropone l’antico rito.

Nel canto XXVII dell’Inferno, Dante scrive: “Ravenna sta, come stata è molti anni; l’aquila da Polenta la si cova, Si che Cervia rico-

pre coi suoi vanni”. La ragione per cui Cervia viene citata è legata all’importanza che la città ricopriva in epoca medioevale grazie alla

produzione e al commercio del sale (che veniva addirittura definito l’oro bianco). Oggi le antiche saline hanno perso il loro ruolo eco-

nomico e sono diventate un’oasi naturale particolarmente importante dal punto di vista avifaunistico.

La zona costituisce, infatti, una delle rare tappe migratorie per i palmipedi ed i trampolieri: l’ultimo specchio d’acqua, dopo le lagune

venete e le valli salmastre del ravennate, incontrato dagli uccelli durante la loro migrazione annuale verso Sud e la prima importante

area di sosta dopo la salina di Margherita di Savoia ed i laghi di Lesina e Varano in Puglia, durante il ripasso primaverile verso Nord.

Per addentrarsi nell’ecosistema delle saline senza contaminarlo, un modo è di percorrerne in canoa la rete di canali. Nel punto in cui

confluiscono esiste un piccolo bacino artificiale chiamato sinistramente “camera della morte” poiché una volta all’anno i salinari,

mediante un sistema di chiuse, vi incanalavano un’incredibile quantità di pesci e anguille che lì restavano intrappolati in attesa di esse-

re tirati in secca, come in una mattanza di palude.

L’ultimo regalo fatto dalle saline ai cervesi sono i fanghi curativi che si formano attraverso la sedimentazione spontanea delle sostan-

ze organiche contenute dall’acqua di mare nel manto algoso.

Le virtù curative di questi fanghi, un tempo note solo ai salinari e alle loro famiglie, cominciarono a conoscersi più diffusamente solo

dopo la seconda guerra mondiale quando furono paragonati per proprietà terapeutiche ai fanghi del Mar Nero e, per accontentare la

crescente affluenza di coloro che venivano a farne la cura, nel 1960 venne realizzato in loco un importante stabilimento termale.

La cornice paesaggistica di Cervia è completata dalla pineta: ultimo lembo rimasto della famosa pineta ravennate, tanto cara a Dante,

che un tempo dall’entroterra arrivava fino al mare. La parte meglio conservata è oggi protetta da norme speciali e, normalmente, ne è

vietato l’accesso. Il modo migliore di apprezzarla è, ottenuto un permesso della guardia forestale, di attraversarla a cavallo.

Seguendo il rumore della risacca marina potreste ritrovarvi nell’ultimo tratto romagnolo di battigia con dune e arbusti di sabbia che

si spingono fin quasi al bagnasciuga; un colpo d’occhio rimasto invariato nei secoli, ben diverso da quello che offrono le spiagge turi-

stiche addomesticate negli anni da un rastrello.

Pensiamo all’ambito di Cervia come alla zona compresa fra i tre siti che la città ha occupato

nel corso della sua storia.

I

CERVIA AND ITS HINTERLAND A WALK THROUGH HISTORY AND NATURE

La purezza non si

Yamamoto Tsunetomo

ottiene senza sforzi.

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07Terr i tor io06 I Sens i d i Romagna

uesta è una delle cento definizioni del Giardino delle Erbe “A. Rinaldi Ceroni”, che si raggiunge poco dopo aver imboccato, a valle

di Casola Valsenio, il tratto di Strada della Lavanda che dalla Statale 306 sale fino al crinale tra le valli del Senio e del Santerno,

fiancheggiata da aiuole di lavanda. E proprio questa pianta è il simbolo del Giardino dove è presente in una quindicina di varietà. Tra

le quali la “R.C.”, un ibrido creato dal professor Augusto Rinaldi Ceroni, botanico casolano che nel 1975 realizzò, per conto della

Regione Emilia Romagna, il Giardino delle Erbe Officinali che oggi porta il suo nome.

Rinaldi Ceroni concretizzò nel Giardino la sua storia di ricercatore, divulgatore e personaggio di spicco dell’erboristeria italiana; sto-

ria iniziata nel 1938 con un piccolo orto officinale annesso alla scuola di avviamento che dirigeva. Un orto che via via si arricchì di

specie che hanno poi rappresentato il “nucleo storico” delle piante del Giardino. Oggi sono circa 400, distribuite in sette ampi gradoni

dove troviamo la collezione delle principali piante officinali, le piante aromatiche destinate all’alimentazione e alla liquoristica, le

piante di interesse mellifero e quelle destinate alla coltivazione, alla sperimentazione e alla ricerca.

Piante destinate, dunque, alla didattica, alla ricerca scientifica e soprattutto alla divulgazione del loro uso in cucina, nella medicina e

nella cosmesi. Secondo una strada indicata dal professor Rinaldi Ceroni e che oggi continua a percorrere Sauro Biffi, direttore del

Giardino delle Erbe, gestito dal Comune di Casola Valsenio che ha affidato alla Cooperativa Montana Valle Senio la conduzione di tutto

il complesso. Complesso ampio che, oltre ai gradoni destinati alle piante, comprende una serra, laboratori, un centro di documen-

tazione, una biblioteca e poi magazzini ed essiccatoi. Ed anche una olfattoteca con otto postazioni utili per riconoscere gli aromi delle

piante officinali ed un tourist shop dove acquistare piantine e prodotti erboristici.

Un complesso che ha favorito la nascita e il successo di iniziative come il Mercatino delle Erbe Officinali che si svolge tutti i venerdì

sera di luglio ed agosto nel centro storico di Casola Valsenio e l’affermarsi della cucina alle erbe aromatiche proposta da gran parte

dei ristoranti della valle del Senio.

Beppe Sangiorgi

Il giardino di Casola Valseniola r i serva del le erbe off ic inal i

“Un libro sulla natura aperto alle pagina delle piante officinali”.

Q

“A book on nature, open at the medicinal plants page”.This is one of the hundred definitions of the “A. Rinaldi Ceroni” Plant Garden, situateddownstream of Casola Valsenio. To get there, follow a short stretch of the Lavender Road(so named because it is flanked by lavender beds) that that runs from State Highway 306to the ridge between the river Senio and river Santerno valleys. Lavender is the symbol ofthe Garden, which contains about fifteen varieties. One of these is “R.C.”, a hybrid createdby the teacher and botanist Augusto Rinaldi Ceroni, a native of Casola Valsenio. In 1975 hecreated the Garden of Medicinal Plants, which today bears his name, on behalf of theEmilia Romagna Regional Administration.With the Garden, Rinaldi Ceroni gave concrete form to his background as researcher, popu-lariser and leading figure on the Italian herbalist scene, a story that began in 1938 with asmall medicinal herb garden annexed to the training school he ran. This garden was gra-dually enriched by species that were to become the “historical nucleus” of the Gardenplants. Today there are about 400, distributed over seven wide terraces, with collections ofthe main medicinal plants: aromatic plants for cooking and liqueur making, plants of melli-ferous interest and plants for cultivation, experimentation and research.Plants, therefore, used for teaching purposes, scientific research and above all for spreadinginformation about their use in cooking, medicine and cosmetics, following a path set downby Rinaldi Ceroni and continued today by director Sauro Biffi. The Plant Garden is managedby the Casola Valsenio Commune Administration which delegated running of the entirecomplex to the Cooperativa Montana Valle Senio. A large complex which over and abovethe plant terraces includes a greenhouse, laboratories, a documentation centre, a library,warehouses and drying equipment. There is also an eight-position olfactory centre, whereyou can learn to recognise the aromas of medicinal plants, and a tourist shop selling smallplants and herbal products.A complex that has favoured the establishment and success of initiatives like the MedicinalPlant Street Market, held every Friday evening in July and August in the centre of CasolaValsenio, and the use of aromatic herbs in cooking, a practice that has been adopted bymost restaurants in the Senio Valley.

THE CASOLA VALSENIO GARDENOF MEDICINAL PLANTS

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09Terr i tor io08 I Sens i d i Romagna

ui, i confini di Romagna e Toscana si sovrappongono all’ultimo scampolo

meridionale del nobile e storico Parco delle Foreste Casentinesi che, per la

saggia e lungimirante opera di monaci e amministratori, rappresenta una por-

zione ragguardevole del patrimonio floro-faunistico della penisola. Un vero e

proprio paradiso, cui si aggiungono le evocazioni mistiche di santi come San

Francesco o l’ispirazione di poeti come Dante Alighieri, Gabriele D’Annunzio e

Dino Campana.

Dal Passo dei Mandrioli, gocciolatoio dell’Appennino e del confine di regione,

si può raggiungere la Foresta della Lama, regno del “bosco misto” appennini-

co. L’area fa parte del Parco e comprende la Riserva Naturale Integrale di Sasso

Fratino, visitabile esclusivamente da studiosi o previo rilascio di uno specifico

permesso. Qui, infatti, l’unico abitante resterà la natura, con i suoi tempi e la

sua inesorabilità. Alberi, dunque, sin dove arriva lo sguardo: abeti bianchi,

faggi colonnari, aceri, olmi e frassini a proteggere un foltissimo sottobosco in

cui si contano più di mille specie floreali. Alberi che velano l’ululato di un lupo

o il bramire di un cervo; foreste così fitte da occultare la luce del sole.

Scendendo lungo i tornanti della statale, subito s’incontra Bagno di Romagna.

Posto in una conca circondata da vette superiori ai 1000 metri, è un luogo di

villeggiatura famoso sin dai tempi antichi per le acque, che qui scaturiscono a

temperatura elevata (43°C), ricche di carbonati, cloruro di sodio e silice. Da qua,

il viaggio merita una deviazione a sud-est per le Vene del Tevere, sorgenti del

fiume omonimo: dalla vicina sommità del Fumaiolo, infatti, si può godere di un

panorama che spazia tra la Romagna, il Montefeltro e la Val Tiberina. Poco

oltre, a S. Piero in Bagno, innestati sulla roccia che domina il borgo, si staglia-

no i massicci ruderi del Castello di Corzan, appartenuto al Monastero di

Camaldoli e distrutto nel 1527 da Carlo di Borbone.

Situata a sinistra del Savio, là dove la strada fa una larga ansa, Sarsina è uno dei

centri più antichi della Romagna. I resti della città romana venuti alla luce, in

particolare alcuni mausolei a cuspide piramidale del I sec. a.C., sono raccolti nel

piccolo museo locale. Il borgo è, inoltre, legato al commediografo Plauto, il comi-

co più allegro di tutte le letterature antiche, che qui nacque intorno al 254 a.C.

Scorci medievali anche a Mercato Saraceno, che prende il nome da un Saraceno

di Alberico, forse degli Onesti, proprietario del luogo alla metà del XII sec.

Punto d’intenso commercio, è singolare come il nome non compaia prima del

XIII sec., per attestazione di Flavio Biondo che lo chiama Emporium

Saracenum.

Da qui, il Savio punta dritto su Cesena, di cui “bagna il fianco”, prima di sci-

volare in pianura e da lì uscire in mare.

Ma questo, è un altro viaggio.

Marcel lo Cicognani

Percorrendo la Valle del Savioi t inerar io natural i s t ico

Si dice che il Savio sia uno dei più bei fiumi di

Romagna. Nasce dal gruppo del Monte Fumaiolo ed il suo

bacino, nella parte alta, è adiacente a quelli dell’Arno

e del Tevere.

QThe Savio is said to be one of the finest rivers in Romagna. Its

source is in the Monte Fumaiolo group and its basin, in the upperpart, is next to those of the Arno and the Tiber.Here where the boundaries of Romagna and Tuscany overlap atthe southernmost tip of the noble and historic Casentinesi ForestsPark, a remarkable part of Italian flora and fauna heritage, thanksto the wisdom and farsightedness of monks and administrators.An actual paradise, to which may be added the mystical evoca-tion of saints like St. Francis and poets such as Dante Alighieri,Gabriele D’Annunzio and Dino Campana.From the Mandrioli Pass, gorge of the Apennines and regionalboundary, you can reach the Lama Forest, the kingdom of theApennine “mixed woodland”. The area is part of the Park andincludes the Sassino Fratino Nature Reserve which may be visitedonly by scholars or by obtaining a special permit. Here in fact theonly inhabitant is nature with its own times and inexorable cha-racteristics. Trees as far as the eye can see: white spruce, colum-nar beech, maple, elm and cherry protect an dense undergrowthcontaining more than a thousand floral species. Trees that concealthe howling of a wolf or the belling of a deer; forests so densethey block the sun.Descending the hairpin bends of the state highway you immedia-tely come to Bagno di Romagna which lies in a valley surroundedby peaks over 1000 metres high. It has been a holiday resort sinceancient times due to its hot springs (45°C) rich in carbonates,sodium chloride and silica. At this point it is worth making adetour south-west to the Vene del Tevere (Tiber Water Veins), thesources of the river of the same name. From the summit of thenearby Fumaiolo you can enjoy a panorama that includesRomagna, Montefeltro and the Val Tiberina. A little farther on, atS. Piero in Bagno, the massive ruins of Corzan Castle stand on therock that dominates the village. It belonged to the CamaldoliMonastery and was destroyed by Charles of Bourbon in 1527.On the left bank of the Savio, where the road follows a wide loop,Sarsina is one of the oldest centres in Romagna. The remains ofthe Roman town that have been found, in particular several 1stcentury BC pyramid cusp mausoleums, are in the small localmuseum. The town is also linked with Plautus, the merriest comicdramatist in the whole of ancient literature, who was born herearound 254 BC.More mediaeval views also in Mercato Saraceno, which takes itsname from Saraceno, son of Alberico, perhaps Alberico degliOnesti who owned the place in the mid 12th century. A centre ofintense trade, it is odd that the name does not appear before the13th century, Flavio Biondo calling it Emporium Saracenum. From here the Savio heads straight for Cesena, “bathing its flank”before slipping over the plain and into the sea. But that’s another journey.

THROUGH THE SAVIO VALLEYNATURALISTIC ITINERARY

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11Stor ia10 I Sens i d i Romagna

La notte di San Giovanni era detta anche la notte delle streghe. L'origine di questa

credenza va ricercata nella corrispondenza con il solstizio d'estate che un tempo si

faceva cadere il 24 giugno. Era una sorta di fenditura del fluire del tempo attra-

verso la quale i morti tornavano sulla terra e sotto le spoglie di streghe in viaggio

a cavallo di pecore nere passavano attraverso la dimensione dei vivi. Per vederle

era sufficiente piazzarsi ai margini di un crocicchio la notte di San Giovanni con

il mento appoggiato ad una forca di legno. Crocicchi come quello di Settefonti,

nella collina faentina, dove ancora si incrociano ben sette strade e tra due di que-

ste si trova un piccolo cimitero di campagna.

La cultura popolare romagnola però ammoniva di non fare cenno di aver visto le

streghe, altrimenti si rischiavano gravissime sventure ed addirittura la morte. Per

questo nessuno ha mai riferito di aver visto passare le streghe, ma nella campagna

romagnola di un tempo tutti erano convinti della loro esistenza e dello spazio

magico dei crocicchi. Tanto che ancor oggi non è raro trovare nel crocicchio di

Settefonti i resti di piccoli rituali, come la bruciatura delle piume del cuscino dove

si ritiene si annidi il malocchio.

Beppe Sangiorgi

La magica notte di San Giovannipiccole gocce d i t radiz ione

icordando che San Giovanni battezzava con l'immersione nelle acque del

Giordano, si credeva che durante quella notte l'acqua assumesse particolari

virtù. Prima di tutto la guazza, che si riteneva guarisse ogni male - la guaza d'San

Zvan la guarès ogni malan - ed in particolare le malattie della pelle.

Così nel primo mattino del 24 giugno non era raro vedere bambini piroettare nei

campi di erba medica per risanare le scorticature che martoriavano le gambe. Nella

stessa mattinata si raccoglieva anche lo spigo, come viene chiamata la lavanda in

Romagna, con il quale si componevano mazzetti da riporre nei cassettoni per pro-

fumare la biancheria e tenere lontane le tarme.

Sempre alle prime luci dell'alba, le ragazze che cercavano marito ne potevano sco-

prire in anticipo le fattezze in un boccale riempito con l'acqua attinta da sette fon-

tane e lasciato sul davanzale per tutta la notte.

R

La notte tra il 23 e il 24 giugno - San Giovanni - era con-

siderata un tempo la notte delle magie.

The night between 23rd and 24th June – St. John’s – wasonce believed to be a night of magic. John the Baptist immersedbelievers in the river Jordan, so water was thought to have spe-cial properties during that night. Especially a heavy dew, held tobe a cure for all ailments, skin diseases in particular. As thesaying in Romagnol dialect has it: la guaza d'San Zvan la guarèsogni malan (the dew of St John’s night puts all your ills right).So in the early morning of 24th June it wasn’t uncommon tosee children pirouetting among the lucerne fields to heal thescratches that tormented their legs. On the same morning peo-ple picked lavender – spigo, as it was called in Romagna – andmade bunches to place in drawers to perfume the linen andkeep clothes-moths at bay. At first light of dawn, girls in search of a husband could disco-ver in advance what he looked like: his features would appear ina jug of water filled from seven fountains and left out all nighton the windowsill. St. John’s night was also called the night of the witches. Theorigins of this belief are found in the correspondence of thedate with the summer solstice which once fell on 24th June. Itwas a sort of split in the flow of time through which the deadcame back to earth and, disguised as witches and riding blacksheep, passed into the dimension of the living. To see them allyou had to do was wait at a crossroads with your chin resting ina forked stick.. Crossroads like the one at Settefonti in theFaenza hills where no less than seven roads still meet. Betweentwo of them there is a small country cemetery. Popular culturein Romagna however warned against telling anyone you hadseen witches: there was a risk of very serious mishap and evendeath. This is why no mention of sighting them has ever beenmade. But in the Romagna countryside of those days everyonewas convinced of their existence and of the magic space ofcrossroads. So much so that even today it is not rare to see, atthe Settefonti crossroads, the remains of small rituals like burningthe feathers of a pillow where the evil eye is believed to nest.

THE MAGICAL NIGHT OF ST. JOHN LITTLE DROPS OF TRADITION

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Caso

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E’

al buio

che la realtà

si illumina.

E’

nel silenzio

che le voci

si sentono.

M. Antonioni, W. Wenders

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13Stor ia12 I Sens i d i Romagna

u a tal ragione che, sin dall’Alto Medioevo, tutta

l’area prese a punteggiarsi di rocche e castelli,

baluardi (e simboli) necessari per la conquista ed il

mantenimento del potere d’Imperatori, Papi e Signori.

A quel tempo Oriolo era un fortilizio molto importan-

te, posto, com’era, in posizione dominante, vicino alla

Via Emilia e al confine tra Faenza e Forlì.

Castrum Aureoli viene ricordato per la prima volta nel

678, quand’era soggetto a Dioniso d’Oriolo. Poi, nel

1017, l’Imperatore Enrico II concesse la zona a

suo fratello Arnaldo, Arcivescovo di Ravenna,

che, nel 1057, fece costruire un castello (di cui

nulla è rimasto), subito assediato da faentini e

forlivesi. Questi si contesero più volte il borgo

finché, nel 1474, la Rocca fu acquistata da

Carlo II Manfredi, Signore di Faenza che, nel-

l’arco di un paio d’anni, ricostruì la Torre,

danneggiata da secoli d’assedi e saccheggi, che

ancora oggi possiamo ammirare.

Fu, infatti, nella seconda metà del

Quattrocento che la Romagna ricoprì un ruolo

fondamentale per l’architettura fortificata ita-

liana, tanto da essere denominata come “terra

di castelli”. E, senza dubbio, i Manfredi si

distinsero fra i più attenti e disposti alla speri-

mentazione tecnologica ed alle azzardate solu-

zioni architettoniche. N’è prova lampante la

Torre di Oriolo, unico esempio in Italia di

maschio a doppio puntone, la cui peculiare

pianta esagonale aveva lo scopo di opporre

una resistenza angolata alle armi da fuoco,

tanto da rinforzare l’asse più esposto.

Conquistata e saccheggiata dalle truppe di

Cesare Borgia nel 1500, fu restaurata nel breve

dominio veneziano (1503-1509) per poi torna-

re, definitivamente, sotto il dominio della

Chiesa. In seguito, il potere pontificio si con-

solidò e la stabilità politica rese i castelli sem-

pre meno necessari. Contemporaneamente, l’e-

volversi delle tecniche di guerra e l’aumentata

potenza delle armi da fuoco, orientarono inge-

gneri e strateghi verso nuove forme di difesa.

Fu così che il modello della “città-fortezza” -

munita di massicci baluardi, rampe, cunicoli e

moderne batterie di cannoni – prese inesora-

bilmente il sopravvento; mentre le vecchie

torri, appollaiate ben in vista in cima ai grep-

pi, ormai troppo fragili e lontane dalla città,

divennero, a poco a poco, obsolete.

Oggi, nuovamente ristrutturata e curata da

un’Associazione che garantisce la cura del

parco circostante, la Torre offre un’occasione

imperdibile per tornare, anche se per poco, in

luoghi e atmosfere che non visitiamo da tempo.

Marcel lo Cicognani

La Torre d’Oriolonel la Romagna dei Caste l l i

F

La Romagna, punto di contatto fra Nord

e Sud, ha sempre giocato, fino all’età

moderna, un ruolo fondamentale nello

scacchiere politico italiano.

Right up to the modern age Romagna, meetingpoint between north and south, has always played afundamental role on the chessboard of Italian politics.This is why, from the early middle ages, the whole areabegan to be dotted with fortresses and castles, bul-warks (and symbols) necessary for conquest and forkeeping emperors, popes and lords in power. In thatperiod Oriolo was a very important fortress, situated asit was in a dominant position, near the Via Emilia andon the boundary of Faenza and Forlì.Castrum Aureoli is mentioned for the first time in 678when it was under Dioniso d’Oriolo. Then in 1017 theemperor Enrico II granted the area to his brotherArnaldo, Archbishop of Ravenna, who had a castle builtin 1057 (nothing remains of it) which was immediatelyout under siege by Faenza and Forlì. The two citiesoften fought for the village until the Fortress was pur-chased in 1474 by Carlo II Manfredi, Lord of Faenzawho, in the space of a couple of years, rebuilt theTower which had been damaged by centuries of siegeand sacking. We can still admire it today. In fact it was in the second half of the 15th centurythat Romagna played a fundamental part in Italian for-tified architecture to the extent that it became knownas the “land of castles”. And the Manfredi family waswithout doubt outstanding for technological experi-mentation and risky architectonic solutions. Strikingproof of this is the Oriolo Tower, the only example inItaly of the double strut keep, whose peculiar hexago-nal plan had the purpose of opposing an angular resi-stance to firearms in such a way as to reinforce themost exposed axis.Conquered and sacked by Caesar Borgia’s troops in1500, it was restored during the brief period ofVenetian rule (1503-1509) before returning definitivelyto the Church. Subsequently papal power was consoli-dated and political stability rendered castles increa-singly less necessary. At the same time the evolution ofwarfare and the increased power of firearms led engi-neers and strategists to seek new forms of defence.Thus the model of the “city-fortress” – with massivebastions, ramps, underground passages and moderncannon batteries – came inexorably into its own whilethe old towers, set in full view on the summit ofembankments, gradually became obsolete.Today, once more rebuilt and supervised by anAssociation that takes care of the surrounding par-kland, the Tower must not be missed if you want to goback, though only for a moment, to places and atmo-spheres of long ago.

THE ORIOLO TOWER IN ROMAGNA, LAND OF CASTLES

Chi non sa governare

il suo proprio intimo io,

tanto più volentieri governa

la volontà del vicino,

secondo il proprio

orgoglioso volere.

J.W.Goethe

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15Pass ioni14 I Sens i d i Romagna

Alla fine del XIX secolo, con il definirsi della cosid-

detta “stagione dei bagni”, la migliore società del Nord

Italia si dava appuntamento sulle coste della Romagna.

ui cominciavano a sorgere i grandi alberghi e le prime stazioni balneari;

questo fenomeno non avrebbe inciso solo economicamente sul territorio.

Si moltiplicavano, infatti, le occasioni in cui la cultura popolare poteva sbir-

ciare oltre le vetrate che la separavano dal santa sanctorum dei costumi aristo-

cratico-borghesi: il salone da ballo.

In quel periodo la moda del tempo era influenzata dalla musica e dai balli pro-

venienti dalle corti nordeuropee i cui principali ambasciatori erano valzer,

polca e mazurca; il favore che incontravano presso i frequentatori delle serate

danzanti era dato principalmente dal fatto che, essendo balli di coppia, con-

sentivano una certa intimità tra i ballerini favorendo un eventuale flirt.

Gradualmente questo mutamento del costume escluse sia i balli settecenteschi

detti balli di figura per i loro complicati e quasi militareschi passi d’esecuzio-

ne, sia i balli di origine popolare (tresconi, saltarelli, manfrine, ecc..) che ugual-

mente non concedevano il contatto fisico con il partner.

A Rimini, la più organizzata spiaggia romagnola di inizio Novecento, i luoghi

eletti ad ospitare le più eleganti serate di Gala erano l’Hôtel des Baines, il

Kursaal, il Pavillon Lido e le sontuose sale dell’ Hôtel Hungaria. Molto frequenti

erano i balli a tema e per l’orgoglio dei parrucchieri ogni stagione si teneva un

Costumé en tête per dare occasione alle dame di ostentare le più elaborate ed

eccentriche acconciature.

I nomi dei partecipanti più illustri ai balli venivano pubblicati sulle pagine dei

giornali locali, insieme alle cronache più o meno fedeli delle serate più sfarzose.

Q

Alessandro Antonel l i

ba l lando fra i due mondi

Corti mitteleuropee, America e Romagna

At the end of the 19th century with the advent of the“bathing season”, as it was called, north Italian high societygathered on the Romagna coast.The great hotels and the first resorts began to spring up, andthe effect on the territory was not only economic. There was infact an increase in occasions when popular culture could catcha glimpse through the windows that separated it from thesanctum sanctorum of aristocratic-bourgeois customs: thedance hall.In those days fashion was influenced by the music and dancesof northern European courts, the main ambassadors being thewaltz, polka and mazurka. These were especially appreciated bydancehall enthusiasts, chiefly because they were danced incouples and permitted a certain intimacy that might lead tosomething else.Little by little this change in customs excluded both 18th cen-tury dances, known as figure dances due to their complicatedand almost military steps, and dances of folk origin (squaredance, saltarello, manfrina, etc..), none of which involvedphysical contact with your partner.

MIDDLE-EUROPEAN COURTS, AMERICA AND ROMAGNADANCING BETWEEN TWO WORLDS

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Chi s’aspetta che nel mondo

i diavoli vadano in giro con le corna

e i buffoni coi sonagli

sarà sempre loro preda.

A. Shopenauer

17Pass ioni16 I Sens i d i Romagna

In un’atmosfera sofisticata e mondana tra signore e signorine che sfoggiavano

eleganti toilettes e cavalieri in frac-parè nasce la caricaturale figura del “don-

giovanni” romagnolo: non campione di eleganza e sobrietà ma galante con

tutte e infaticabile ballerino.

Dai primi anni Dieci la fin fleaur della società danzante comincia ad escludere

i movimenti esagerati e gli aspetti grotteschi di certi balli aprendosi anche

all’influenza sud-americana di un tango ripulito dagli iniziali movimenti trop-

po aperti.

Nonostante i tentativi della chiesa di sostituire a queste contaminazioni cultu-

rali, considerate sconvenienti, danze più tradizionali come la furlana, il fattore

che determinava il successo di un nuovo tipo di danza rimaneva la possibilità

di ballarla abbracciati in coppia; lo dimostra la poca attenzione riscossa dal

dancing e dal cake-walk, che pur possedendo il fascino esotico delle mode

importate non avevano questa prerogativa.

Passata la Grande guerra giunge dall’America una nuova ondata di influenze

ed i saloni da ballo perdono il loro appannaggio: il fox-trot si balla ovunque,

il nuovo verbo si chiama jazz e oltre a diffondersi si insinua nei precedenti stili

In Rimini, which had the best organised beach in early 20thcentury Romagna, the places chosen for the most elegant galaevenings were the Hôtel des Bains, the Kursaal, the PavillonLido and the sumptuous halls of the Hôtel Hungaria. Themeballs were very frequent and, the hairdressers’ pride, a Costuméen tête was held each season to give the ladies the chance toshow off the most elaborate and eccentric hairdos.The names of the most illustrious participants at these ballswere published in the local papers together with reports, somemore accurate than others, of the more splendid evenings.In a sophisticated and worldly atmosphere, amid elegantlydressed ladies and girls with their escorts in frac-paré, the cari-cature figure of the Romagnol “Don Giovanni” stepped forth:no paragon of elegance and sobriety, but gallant with all fema-les and a tireless dancer.In the early 1910’s the fine fleur of dancing society began toget rid of the overstated movements and grotesque aspects ofcertain dances, also opening up to the South American influen-ce of a tango that had been cleansed of its original tooobvious motions.In spite of the Church’s attempts to replace these cultural conta-minations, considered unseemly, with more traditional dancessuch as the furlana, what determined the success of a new danceremained the possibility of dancing it in your partner’s arms. Thisis borne out by the fact that little attention was paid to

musicali modificandone l’aspetto.

Sempre più spesso la musica di moda viene stampata per essere eseguita da

orchestre ed orchestrine. Soprattutto queste ultime sono costrette a tenere un

repertorio misto di brani ormai considerati “tipici romagnoli” oltre ai successi

d’Oltreoceano e ad affiancare a strumenti tipici della tradizione come gli archi

e il clarinetto in Do, strumenti figli di altre culture come il saxofono, il banjo

e la batteria che in Romagna è stata addirittura chiamata per lungo tempo

informalmente: “il jazz”.

Tutti gli elementi principali di un cinquantennio di influenze musicali, compe-

netrandosi, hanno dato origine a quello che caparbiamente viene definito “folk

romagnolo”. L’esempio forse più rappresentativo di questa contaminazione cul-

turale è il valzer che, attraversando più di mezzo secolo di mode, è entrato a

far parte dell’immaginario collettivo popolare.

Provate ad “attaccare bottone” con uno di quegli splendidi vecchietti eterna-

mente seduti su una panchina del lungomare e probabilmente sarà pronto a

giurarvi, vero come l’oro, che il valzer è nato qui: sulle aie romagnole.

American dances like the cakewalk which, though they had thefascination of imported fashions, did not include this possibility.After the Great War a new wave of influences arrived fromAmerica and dancehalls lost their privileged status: the fox-trotwas danced everywhere, the new word was jazz and it not onlyspread but also infiltrated earlier musical styles and altere them.Fashionable music was increasingly printed so it could be pla-yed by orchestras and bands who were expected to have arepertoire of pieces considered “typically Romagnol” mixedwith hits from overseas, and to augment their traditional line-up of strings and C-clarinet with instruments from other cultu-res such as saxophone, banjo and drums. For a long time inRomagna the drum-kit was informally known as “the jazz”.All the main elements of fifty or so years of interpenetratingmusical influences have led to what is obstinately defined as“Romagnol Folk”. Perhaps the most representative example ofthis cultural mixing is the waltz which, after more than half acentury of fashions, has come to be a part of the popular col-lective imagination.Try buttonholing one of those splendid old men you find sit-ting eternally on a bench on the seafront: he will very likely beready to swear, true as you’re born, that the waltz was inven-ted on the threshing yards of Romagna.

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SOLANO, Sangiovese Superiore di Romagna. Dopo una tradizionale fermentazione volta all’estrazione dei

profumi e della sostanza colorante, la vinificazione segue la fermentazione malolattica. Dopo cinque mesi

trascorsi in tonneaux del Massiccio Centrale francese, passa ad un affinamento di almeno tre mesi in bot-

tiglia. Dal colore rosso rubino intenso, il Solano si caratterizza per un profumo complesso, fruttato ed un

sapore morbido, armonico e corposo.

OLMATELLO, Sangiovese di Romagna Superiore Riserva. Dopo una vinificazione tradizionale, trascorre ben

dodici mesi in tonneaux del Massiccio Centrale francese e minimo sei mesi di affinamento in bottiglia

prima di essere immesso sul mercato. Il suo colore è rosso rubino con tonalità violacea coperta; il suo pro-

fumo è fine, ampio, con sentori di frutta matura e spezie. Alla bocca si presenta con una struttura armo-

nica e corposa, con un retrogusto persistente.

CA’ DI BERTA, Colli di Faenza Rosso. Nasce dall’unione dei vitigni Cabernet Sauvignon e Sangiovese. Dopo

la vinificazione in tanks di acciaio, trascorre diciotto mesi in barriques e sei di affinamento in bottiglia.

Rosso rubino con riflessi violacei è il suo colore. Fine, ampio ed elegante con sentori di frutta rossa è il

suo profumo speziato. Armonico e corposo, dal retrogusto caldo, persistente e fruttato è il suo sapore.

19Enogastronomia18 I Sens i d i Romagna

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SOLANO, Sangiovese Superiore di Romagna. After traditional fermentation to extract perfumes and colouring substance, vinificationproceeds with malolactic fermentation. After five months in tonneaux from the Massif Central in France it is refined with at leastthree months in the bottle. Of an intense ruby red colour, Solano is characterised by a complex, fruity bouquet and a soft, harmo-nious full-bodied taste.

OLMATELLO, Sangiovese di Romagna Superiore Riserva. After traditional vinification it is kept for no less than twelve months in ton-neaux from the Massif Central in France and a minimum of six months refining in the bottle before being put on the market. Thecolour is ruby red with concealed hints of violet. The bouquet is fine and broad with the odour of spices and ripe fruit. In themouth it has a harmonious and full bodied structure with a persistent aftertaste.

CA’ DI BERTA, Colli di Faenza Red. Created from a blending of Cabernet Sauvignon and Sangiovese vine species. After vinification insteel tanks it is kept for eighteen months in barriques with six months refining in the bottle. Ruby red with violet reflections. Itsspicy bouquet is fine, broad and elegant with the perfume of red fruit. Harmonious and full bodied, with a warm aftertaste, the fla-vour is persistent and fruity.

THIRD GENERATION WINETHE QUALITY OF ENTHUSIASM iù precisamente un’azienda agricola posta a Brisighella, a circa trecento

metri sul livello del mare, dislocata su 30 ettari di quelle splendide e rigo-

gliose colline capaci di dare frutti unici ed invidiati da tutti. Fra questi frutti

sicuramente l’uva ricopre un ruolo privilegiato perché da essa prende vita il più

apprezzato dei nettari: il vino. E così La Berta, che non è una donna ma è l’a-

zienda agricola della famiglia Giovannini, dà vita ad alcuni prelibati vini, frut-

to di un attento e rigoroso lavoro avviato circa sette anni fa da Marcello ed ora

portato avanti dal figlio Costantino, ultimo erede della terza generazione di

“vinaioli”, e dall’enologo Stefano Chioccioli. Un lavoro indirizzato ad un

costante miglioramento qualitativo del prodotto, per una sempre maggiore

valorizzazione delle uve, Sangiovese in particolare.

Da questa attenzione rigorosa sono nati i DOC: “Solano”, “Olmatello” e “Ca’ di

Berta”.

P“La Berta” non è una donna. “La Berta” è un luogo.

Iuppi Pagl ier i

Vino di terza generazione

“La Berta” isn’t a woman. “La Berta” is a place.More precisely, it’s a farm in Brisighella, about three hundredmetres above sea level and laid out over 30 hectares of thosesplendid and luxuriant hills that produce unique and univer-sally envied fruit. Certainly the most privileged fruit is thegrape, because it gives us the best appreciated nectar: wine.And so La Berta, not a woman but the Giovannini family farm,produces several special wines, the result of careful and rigo-rous work begun some seven years ago by Marcello and nowcarried on by his son Costantino, the latest heir of the thirdgeneration of “vinaioli” (winemakers), and oenologist StefanoChioccioli. Work aimed at a constant improvement in productquality, increasingly exploiting the grapes to the best, in parti-cular Sangiovese.This rigorous care and attention has come to fruition in theControlled Denomination of Origin (DOC) wines “Solano”,“Olmatello” and “Ca’ di Berta”.

L’aforisma

non coincide mai

con la verità;

o è una mezza verità,

o è una verità e mezzo.

K.Kraus

L’aforisma non coincide mai con la verità; o è una mezza verità, o è una verità e mezzo.K. Kraus

L’aforisma

non coincide mai

con la verità;

o è una mezza verità,

o è una verità e mezzo.

K.Kraus

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21Enogastronomia20 I Sens i d i Romagna

Alessandro Antonel l i

L’Artusi da Forlimpopolii l maestro del la cucina

Only a place like Romagna, whose people have always had aspecial bent towards things of the palate, could have givenbirth to the indisputable father of Italian gastronomy.Pellegrino Artusi was born on 4th August 1820 to a well-offfamily in Forlimpopoli. He had seven sisters. His father couldafford to let him study and the boy attended the bishopricSeminary in Bertinoro and afterwards the Faculty of Literatureat Bologna University.The night of 25th January 1851 marked a traumatic moment inhis life: the brigand Stefano Pelloni (known as Il Passatore) andhis band made their memorable raid on the ForlimpopoliTheatre, imprisoned the police and sacked the whole village.Artusi’s house was also involved and Pellegrino himself had toaccompany Il Passatore in his cleaning up of valuables andcash. One of his sisters was so terrified she had to be sent tomental hospital afterwards.This event led the Artusi family to a decision to move toFlorence, but this did not affect Pellegrino’s attachment to hishomeland. He always felt deeply Romagnol. In Tuscany heincreased the family wealth by establishing a Bank of which hehimself was the director. He was therefore able to retire to pri-vate life and devote himself to the world of literature.His first two works, one on the life of Foscolo and the otherentitled “Appendix to Thirty of Giusti’s Letters”, were publishedat his own expense and were not well received by critics or thepublic at large, but his true inspiration was to compile a recipebook summarising twenty centuries of the art of cookery inhis homeland.When he began writing it the only available publications on thesubject were translations from the French and disjointed compi-lations that were clearly unsuitable for the widespread useArtusi intended for his work. He liked to say, in a celebratedphrase, “As long as you can hold a ladle and flounder about”.The first edition of “Science in the Kitchen and the Art ofEating Well”, as Artusi chose to call his recipe book, had trou-ble finding a publisher and was also published at the author’sexpense. At first only a thousand copies were printed but sub-sequently, following acknowledgement from several literarymen of the period, a second edition came out. And so on untilthe 475 recipes of the first edition became 790 in the four-teenth, which Artusi managed to edit before his death.In a style sometimes reminiscent of a novel the recipes followone after the other and the author’s philosophy is glilmpsedbetween the lines: a feeling of love for life and a passion forthe products of the land that became the ingredients of hisworks. Not for nothing did the author feel satisfaction in lear-ning that his book was universally known as “The Artusi”, aglory enjoyed by very few writers.Every year, to celebrate its most famous citizen in an appropria-te manner, Forlimpopoli holds the Artusi Festival from the lastSaturday in June to the first Sunday in July. The town becomesa maze of tasting itineraries, dotted with stands offering regio-nal specialities. All the restaurants traditionally inspired byArtusi’s recipes offer an à la carte menu at special prices and, inan atmosphere of continual shows and entertainment, the pre-stigious “Artusi Prize” is awarded each year to an internationallyfamous cook and to anyone who has distinguished himself withan original contribution to reflections on man and food.All of this with the idea of handing on the spirit of PellegrinoArtusi and his values of living well, which inevitably blend withthe aroma of his dishes.As Piero Camporesi said forty odd years ago: “Artusi did morefor Italian unification than Manzoni’s The Betrothed … You can see this from the fact that not everybody reads, whereas everybody eats”.

Doveva essere una terra come la Romagna, la cui gente è da sempre provvista di un’autentica

vocazione per il palato, a dare i natali all’indiscusso padre della gastronomia italiana.

nico maschio fra sette sorelle, Pellegrino Artusi nasce, infatti, il quattro di agosto del 1820 da una famiglia agiata di Forlimpopoli.

Il padre può permettersi di farlo studiare ed il ragazzo frequenterà il Seminario vescovile di Bertinoro e in seguito la facoltà di

Lettere presso l’Università di Bologna.

La notte del 25 gennaio 1851 segnerà una tappa traumatica della sua vita: la ghenga del brigante Stefano Pelloni, detto il Passatore,

compie la memorabile irruzione nel teatro di Forlimpopoli, imprigiona i gendarmi e saccheggia l’intero paese. Toccherà anche a casa

Artusi essere spogliata e sarà lo stesso Pellegrino a dover accompagnare il Passatore nel repulisti che fece di denaro e preziosi, men-

tre una delle sorelle rimaneva a tal punto terrorizzata da dover essere successivamente ricoverata in manicomio.

Questo evento porta la famiglia Artusi alla decisione di trasferirsi a Firenze ma non attenua l’attaccamento alla sua terra in Pellegrino

che fino all’ultimo si sentì profondamente romagnolo. In Toscana egli incrementa il patrimonio paterno fino a fondare un Banco da

lui stesso diretto e potersi così ritirare a vita privata per dedicarsi all’universo letterario.

Le sue prime due opere: una sulla vita del Foscolo e “Appendice a trenta lettere

del Giusti”, pubblicate a proprie spese, non convinsero la critica e il grande pub-

blico ma la sua vera ispirazione fu di compilare un libro di ricette che riassu-

messero venti secoli dell’arte gastronomica di questo paese.

Nel periodo in cui si accingeva a redigerlo, le uniche pubblicazioni reperibili di

argomento culinario erano traduzioni dal francese o compilazioni sgangherate,

certamente inadatte all’uso popolare cui si prestava invece l’opera di Artusi,

come egli stesso amava sottolineare con la sua celebre frase: ”Basta che si sap-

pia tenere un mestolo in mano e qualche cosa si annaspa”.

La prima edizione de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, questo il

nome scelto da Artusi per il suo ricettario, fece comunque fatica a trovare chi la

pubblicasse e fu edita anch’essa a spese dell’autore. Inizialmente in sole mille

copie, poi, in seguito anche al riconoscimento che gli tributarono alcuni lettera-

ti dell’epoca, si decise una seconda edizione dell’opera e così via fino a che le

ricette contenute nel libro passarono dalle 475 della prima alle 790 della quat-

tordicesima edizione che Artusi ebbe il tempo di curare prima della morte.

In uno stile che a tratti ricorda quello di un romanzo, le ricette si susseguono

rivelando tra le righe la filosofia dell’autore: un senso di amore per la vita e di

passione per i prodotti della terra che diventavano gli ingredienti delle sue opere.

Non a caso l’autore ebbe la soddisfazione di apprendere che il suo libro, invece

che per titolo, era universalmente conosciuto come “l’Artusi”: gloria questa che

capita a ben pochi scrittori.

Per celebrare degnamente il suo più illustre concittadino ogni anno, dall’ultimo

sabato di giugno alla prima domenica di luglio, Forlimpopoli è sede della festa

Artusiana. La città diventa un dedalo di itinerari della degustazione punteggia-

ti di stand che offrono le specialità del territorio. Tutti i ristoranti che tradizio-

nalmente si ispirano alle ricette di Artusi offrono un menù alla carta a prezzi

contenuti e, in un’atmosfera animata da continui spettacoli ed animazioni, si

assegna ogni anno il prestigioso “Premio Artusi” ad un cuoco di fama interna-

zionale ed a chiunque si sia distinto per l’originale contributo dato alla rifles-

sione fra l’uomo e il cibo.

Il tutto con la volontà di tramandare lo spirito di Pellegrino Artusi e quei valori

del ben vivere che inevitabilmente si mescolano al profumo delle sue pietanze.

Come ebbe a dire Piero Camporesi una quarantina d’anni fa: “Ha fatto l’Artusi

per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi

Sposi… Ciò si capisce anche in quanto non tutti leggono mentre tutti, al contra-

rio, mangiano”.

ARTUSI OF FORLIMPOPOLITHE MAESTRO OF THE KITCHEN

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Ecco dunque la ricetta.

Se la pasta è perfetta,

E il battuto condito come si deve,

Che buoni tortelli, tutti quanti diranno!

Ecco donca la rizeta.

Se la pasta l’è parfeta,

E e batù cundì cum va,

Ch’ bon turtel, tott quent dirà!

Detto romagnolo

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Arte24 I Sens i d i Romagna 25

La luce incide la superficie dei corpi e si frantuma in riflessi dorati, ver-

dastri e color rame ad impreziosire e smaterializzare la semplice terracotta.

ecorazione a riflessi" così è stata definita la tecnica che Riccardo Gatti, fin dagli anni venti, studiò per

smaltare le sue terrecotte. Una tecnica antichissima che risale all'antico Egitto e al Medio Oriente e che

fu portata in Occidente attraverso gli Arabi spagnoli. Figlia delle sue origini, dove la raffigurazione non

era contemplata, la decorazione a riflessi era frutto di una cultura fatta di astrazione e di una sensibilità

volta al meraviglioso. Un gusto per il prezioso e per i giochi di luce, che durante il Rinascimento ebbe tan-

genze con gli studi alchemici, che poi fu dimenticato per secoli, ma che agli inizi del Novecento fu recu-

perato dai ceramisti faentini Pietro Melandri e, appunto, da Gatti.

Correvano gli anni Venti. Riccardo Gatti, ceramista onnivoro di novità e sperimentazioni, volle rompere

con la tradizione decorativa faentina. Dopo varie prove fatte con diversi ossidi di metallo cotti a tempera-

ture molto alte, arrivò alla realizzazione dei suoi "riflessi", convinto che si dovessero valorizzare soprat-

tutto le forme più che le superfici decorate.

Aggiornato sulla cultura artistica del tempo, le sue opere mostrano come in un percorso l'influenza dei

gusti dell'epoca, dai generi classici del pannello religioso e del gruppo scultoreo, alle forme di derivazione

decò, a quelle più arcaiche. Sono quest'ultime degli anni Cinquanta e Sessanta ad essere particolarmente

suggestive. Di gusto primitivo, come statuette antropomorfe, coppe o vasi asimmetrici impreziositi e allo

stesso tempo resi usurati dagli smalti metallici verdastri, ricordano le origini della ceramica, quelle fun-

zionali e rituali tipiche delle società antiche.

Le sue opere ebbero da subito molto successo. I riflessi ottennero una croce al merito ed una medaglia d'oro

per la ceramica artistica nell'Esposizione di Bologna del 1932. In quel periodo Riccardo Gatti partecipò alle

mostre più importanti del tempo sia in Italia sia all'Estero, tra cui l'Esposizione Internazionale di Parigi del

1937 e quella di Berlino del 1938, dove vinse il primo premio.

Da allora i riconoscimenti si moltiplicarono e la tecnica dei riflessi fu conosciuta e identificata in Europa

come lo stile Gatti, tanto che, ancora oggi, le ceramiche riflessate contraddistinguono buona parte della

produzione della Bottega.

Nel 1972, alla morte di Riccardo Gatti, la Bottega fu ereditata dai nipoti Dante e Davide Servadei. Come il

loro maestro, i due hanno mantenuto i legami con le novità e l'arte contemporanea. Oggi la Bottega Gatti,

oltre a continuare la tradizione dei riflessi, mette a disposizione la propria sapienza per realizzare opere

d'arte in ceramica su disegno di autori contemporanei, come Giosetta Fioroni, Luigi Ontani e Pablo

Echaurren, portando così la ceramica "made in Faenza" ancora una volta nelle gallerie di tutto il mondo.

Stefania Mazzott i

Bottega Ceramica Gattir i f less i d ’autore

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E’ una grande abilità

saper nascondere la

nostra abilità

F.de La Rochefoucauld

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27ArteI Sens i d i Romagna26

Riccardo Gatti, anima della produzione ceramica faen-

tina del Novecento, fu uomo sempre aperto al nuovo e

al confronto con il sistema delle arti figurative con-

temporaneo, in un città che a quel tempo, invece, era

ancora legata alle decorazioni tradizionali. Durante la

sua carriera, accolse influenze decò, inventò gli stili del

melograno e della rondine, ma l'esperienza più impor-

tante fu quella che lo portò ad avvicinarsi al movi-

mento futurista negli anni che vanno dal 1928 al 1930.

Fu proprio grazie a Gatti, che nell’ottobre-novembre

del 1928 si realizzò a Faenza la prima mostra italiana

della ceramica futurista. La mostra ospitava ventisei

pezzi del pittore Dal Monte e le ceramiche futuriste rea-

lizzate da Gatti su disegno di Balla e Dal Monte. Erano

piatti e vasellame decorati con disegni stilizzati ad ara-

besco, vicini ai manichini di Depero, ed eseguiti con

colori a tinta piatta.

L'incontro fruttuoso fu curato dal giornalista Giuseppe

Fabbri. Fabbri titolava i suoi articoli "Faenza Futurista"

e fu lui a suggerire a Gatti di utilizzare i "motivi deco-

rativi" proposti da Balla, Benedetta Marinetti, Remo

Fabbri. L'iniziativa di produrre e commercializzare le

ceramiche futuriste aveva il fine di divulgare ad un

largo pubblico questo tipo di arte e s'inseriva nel più

ampio programma dell'arte applicata che voleva allar-

gare lo stile ai ferri battuti, ai mobili e ai marmi.

Il Corriere Padano del 6 ottobre del 1928 scriveva:

"Il ceramista Gatti afferra l'idea. Forse ha trovato quel-

lo che desiderava. Al corrente di tutta la pittura futuri-

sta, attraverso le esposizioni e le riviste d'arte, intuisce

che il motivo futurista, applicato alla ceramica, può

avere sviluppi straordinari e può portare questa arte del

fuoco alla conquista di uno stile che sia nostro, sola-

mente italiano e che abbia le caratteristiche della

nostra stirpe eternamente giovine".

Dopo la mostra faentina Gatti fu ceramista autonomo e

partecipò con sue ceramiche futuriste alla mostra

"Trentatrè futuristi" di Milano, che si svolse nell'otto-

bre del 1929. Ma ben presto il sodalizio si esaurì: sem-

pre più fascismo e futurismo si identificavano e Gatti

non volle allinearsi.

Il progetto di una ceramica futurista fu un breve episo-

dio. Come molte delle idee del movimento d'avanguar-

dia italiano, le teorie, più che la pratica, furono parti-

colarmente innovative. L'idea anticipava il concetto

moderno di design applicato alla ceramica, l'alter ego

del prodotto artigianale su cui ancora oggi la ceramica

faentina sta cercando di investire.

Riccardo Gatti, prime mover of 20th century Faenza ceramics, wasalways open to the new and to comparisons with the contemporaryfigurative arts system in a town which in that period however was stillbound to traditional decoration. He was influenced by Art Deco and heinvented the pomegranate and swallow styles, but the most importantexperience of his career was his approach to the Futurist movementbetween 1928 and 1930. It was thanks to Gatti himself that the first Italian exhibition of Futuristceramics took place in Faenza in October-November 1928. There weretwenty-six pieces by the painter Dal Monte and Futurist ceramics byGatti to designs by Balla and Dal Monte. These were plates and vasesdecorated with stylised arabesque designs, similar to Depero’s manne-quins and done in flat colours. The fruitful encounter was covered bythe journalist Giuseppe Fabbri. Fabbri called his article “Futurist Faenza”and suggested that Gatti use the “decorative motifs” proposed by Balla,Benedetta Martinetti and Remo Fabbri. The enterprise of producing andmarketing Futurist ceramics had the aim of spreading this type of artamong a wide public and was part of a broader programme of appliedart which was to be extended to wrought iron, furniture and marble.The Corriere Padano of 6th October 1928 reported: "The ceramicist Gattihas grasped the idea. Perhaps he has found what he sought. Aware ofthe whole of Futurist painting through exhibitions and art magazineshe has intuited that the Futurist motif applied to ceramics may haveextraordinary developments and may lead this art of fire to the con-quest of a style that is ours, exclusively Italian, and that has the featu-res of our eternally young race ". After the Faenza exhibition Gatti was an independent ceramic artist andtook part with his Futurist works in the Milan exhibition “Thirty-threeFuturists” in October 1929. But the association soon wore thin: Fascismand Futurism were increasingly identified with each other and Gatti didnot want anything to do with it. The futurist ceramics project was a brief episode. Like many ideas of theItalian avant-garde moverment, the theories rather than the practiceswere especially innovative. The idea anticipated the modern concept ofdesign applied to ceramics, the alter ego of the craft product in whichthe Faenza ceramics sector is still seeking to invest today.

Light engraves the surface of bodies and breaks up into gol-den, greenish and copper coloured reflections, embellishing anddematerialising the plain terracotta. "Reflection decoration" is the definition given to Riccardo Gatti’stechnique. He had been studying glazes for his terracotta workssince the 1920’s. The technique dates to ancient Egypt and theMiddle East and was brought to the west by the Spanish Arabs.Child of its origins, where representation was not envisaged,reflection decoration was the fruit of a culture made of abstrac-tion and a sensibility oriented towards the marvellous. A tastefor the precious, for play of light, which during the Renaissancespread into alchemical studies, later forgotten for centuries butthen recovered by the Faenza ceramicists Pietro Melandri andGatti himself. We are in the 1920’s. Riccardo Gatti, ceramicist with an omnivo-rous appetite for the new and for experimentation, wanted tobreak with the Faenza decorative tradition. After various trialswith metal oxides fired at very high temperatures he managedto create his “reflections”, convinced that they should above allmake the most of forms rather than decorated surfaces. He was well up on the artistic culture of the day and his worksshow how an artist’s progress is influenced by the tastes of theage, from the classical genres of religious panels and sculpturalgroups to Art Deco and more archaically derived forms. The lat-ter, dating to the 50’s and 60’s, are especially evocative. In pri-mitive style, like anthropomorphic statuettes, these asymmetricalbowls and vases, embellished yet at the same time given an agedlook by the greenish metallic glaze, recall the origins of pottery,the functional and ritual origins typical of ancient societies.His work was at once highly successful. The reflections won thecross of merit and the gold medal for artistic pottery at the1932 Bologna Exhibition. In that period Riccardo Gatti took partin the most important exhibitions of the day both in Italy andabroad, including the 1937 International Exhibition in Paris andthat of 1938 in Berlin where he won first prize. From then on the acknowledgments multiplied, and the reflec-tion technique was recognised and identified as the Gatti style,so much so that even today it distinguishes most of theWorkshop’s production. When Riccardo Gatti died in 1972 the Workshop passed on tohis grandsons Dante and Davide Servadei. Like their maestro,they have both maintained links with the new and with contem-porary art. The Gatti Workshop today, over and above conti-nuing the reflection tradition, makes its know-how available forthe creation of ceramic art works to the design of contemporaryartists such as Giosetta Fioroni, Luigi Ontani and PabloEchaurren, once more taking "made in Faenza" ceramicsto galleries worldwide.

GATTI CERAMICS WORKSHOPARTIST’S REFLECTIONS

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Il problema, non la teoria, non lo stile, determina la soluzione.

K. Gerstner

FUTURIST CERAMICS

Page 16: numero 1. giugno 2002 - CERDOMUS - Home I Sensi di Romagna Territorio 07 uesta è una delle cento definizioni del Giardino delle Erbe “A. Rinaldi Ceroni”, che si raggiunge poco

04Territorio

Cervia e il suo entroterra_A passeggio tra storia e natura

Cervia and his hinterland_ A walk through history and nature

Il giardino di Casola Valsenio_La riserva delle erbe officinali

The Casola Valsenio Garden_Of medicinal plants

Percorrendo la Valle del Savio_Itinerario naturalistico

Through the Savio Valley_Naturalistic itinerary

10Storia

La magica notte di San Giovanni_Piccole gocce di tradizione

The magical night of St. John_Little drops of tradition

La Torre d’Oriolo_Nella Romagna dei castelli

The Oriolo Tower_In Romagna, land of castles

14Passioni

Corti mitteleuropee, America e Romagna_Ballando tra i due mondi

Middle-European Courts, America and Romagna_Dancing between two worlds

24Arte

Bottega Ceramica Gatti_Riflessi d’autore

Gatti Ceramics Workshop_Artist’s Reflections

La ceramica futurista_

Futurist Ceramics_

18Enogastronomia

Vino di terza generazione_La qualità della passione

Third generation wine_The quality of enthusiasm

L’Artusi da Forlimpopoli_Il maestro della cucina

Artusi of Forlimpopoli_The Maestro of the Kitchen

28 I Sens i d i Romagna