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CERCA NEL SITO Da Giovinazzo a Vicenza per lavorare in fonderia: l’epopea operaia dei pugliesi della Valbruna IN VIAGGIO slider Giulio Todescan - 25 aprile 2015 N el cuore del Veneto della miriade di piccole e piccolissime imprese flessibili c’è un capannone lungo più di un chilometro, che produce la merce più hard e meno smart al mondo: l’acciaio. E nel cuore di questa fabbrica, la Valbruna di Vicenza , fra le colate e le gru che spostano tonnellate di laminati incandescenti, c’è un nucleo di operai venuti dal Sud, dalla Puglia. Sono il frutto di un fiume migratorio carsico, che ha iniziato a scorrere negli anni Ottanta e che ancora sgorga, invisibile a tutti, o almeno alla gran parte dei vicentini. Già perché a Giovinazzo , la cittadina di 20 mila abitanti accovacciata attorno al suo porto bianco sulla costa a nord di Bari, la storia dei giovani che emigrano per lavorare alla Valbruna la conoscono tutti. È una storia che, come l’anello di una catena, se ne porta dietro un’altra: l’epopea operaia delle AFP, le Acciaierie Ferriere Pugliesi che occupavano fino a 1200 operai, fondate negli anni Venti a Giovinazzo dalla famiglia Scianatico e chiuse negli anni Ottanta. Oggi digitalizzarli Giulio Todescan - 25 aprile 2015

O O T T I I S S L L E N E N A R CC A R E CC E digitalizzarli€¦ · spera, di un recupero delle loro architetture industriali. Ma fino a trent’anni fa, e per tutto il Novencento,

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CCEERRCCAA NNEELL SSIITTOO

Da Giovinazzo a Vicenza perlavorare in fonderia: l’epopea

operaia dei pugliesi dellaValbruna

IN VIAGGIO slider

Giulio Todescan - 25 aprile 2015

N eell ccuuoorree ddeell VVeenneettoo della miriade di piccole e piccolissime imprese flessibili cc’’èèuunn ccaappaannnnoonnee lluunnggoo ppiiùù ddii uunn cchhiilloommeettrroo, che produce la merce più hard emeno smart al mondo: l’acciaio. E nel cuore di questa fabbrica, llaa VVaallbbrruunnaa ddiiVViicceennzzaa, fra le colate e le gru che spostano tonnellate di laminati incandescenti,

c’è uunn nnuucclleeoo ddii ooppeerraaii vveennuuttii ddaall SSuudd,, ddaallllaa PPuugglliiaa.. Sono il frutto di un fiume migratoriocarsico, che ha iniziato a scorrere negli anni Ottanta e che ancora sgorga, invisibile a tutti, oalmeno alla gran parte dei vicentini. Già perché a GGiioovviinnaazzzzoo, la cittadina di 20 milaabitanti accovacciata attorno al suo porto bianco sulla costa a nord di Bari, la storia deigiovani che emigrano per lavorare alla Valbruna la conoscono tutti.

ÈÈ uunnaa ssttoorriiaa cchhee,, ccoommee ll’’aanneelllloo ddii uunnaa ccaatteennaa,, ssee nnee ppoorrttaa ddiieettrroo uunn’’aallttrraa:: l’epopeaoperaia delle AFP, le Acciaierie Ferriere Pugliesi che occupavano fino a 1200 operai, fondatenegli anni Venti a Giovinazzo dalla famiglia Scianatico e chiuse negli anni Ottanta. Oggi

digitalizzarliGiulio Todescan - 25 aprile 2015

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quei capannoni sono ruderi muti ai margini del paese, in attesa di una bonifica e forse, sispera, di un recupero delle loro architetture industriali. Ma fino a trent’anni fa, e per tuttoil Novencento, vi si è svolta una vicenda di lotte sindacali e politiche, che hanno coinvoltotutto il paese per ottenere sicurezza, condizioni di lavoro meno bestiali, salario dignitoso einnovazione tecnologica. Qualche operaio che aveva fatto la gavetta sindacale negliincandescenti reparti delle AFP è arrivato fino a Roma, come Tommaso Sicolo che fu elettodeputato del Pci. Poi, con la crisi del settore siderurgico e il venir meno delle condizionipolitiche faorevoli, gli Scianatico chiusero le ferriere, e riprese l’emoraggiadell’emigrazione.

Molti ddeeii vvaallbbrruunniiaannii vviicceennttiinnii,, ooggggii,, ssoonnoo ffiiggllii ddii qquueellllaa ccllaassssee ooppeerraaiiaa mmeerriiddiioonnaallee.Furono gli Amenduni, imprenditori baresi che negli anni Settanta diventarono proprietaridella Valbruna quando Nicola Amenduni sposò una Gresele, figlia del padronedell’acciaieria, ad aprire la ricerca di personale nell’ufficio di collocamento di Giovinazzodopo che con la chiusura delle AFP era venuta meno la principale fonte di lavoro sicuro inpaese.

È questa a grandi linee llaa ssttoorriiaa cchhee aabbbbiiaammoo rraaccccoonnttaattoo,, Marina Resta e il sottoscritto,nel documentario L’acqua calda e l’acqua fredda. Un lavoro autoprodotto a budget quasizero (qui il link al trailer), lungo poco meno di un’ora, presentato in anteprima aGiovinazzo venerdì 24 aprile e che sarà in prima visione veneta la sera del 1 maggio aVicenza, al cinema Primavera, alle ore 21.

Trailer L'acqua calda e l'acqua freddafrom marina resta PRO

01:33

Dobbiamo lo spunto iniziale a DDeevvii SSaacccchheettttoo, che insegna sociologia del lavoroall’Università di Padova e che in un saggio del 2011 (L’immigrazione interna einternazionale in un sistema di occupazione regionale, in Sociologia del lavoro, n. 121,2011) indaga l’emigrazione meridionale in Veneto, di cui gran poco si sa e si parla:

Nello stesso numero della rivista, un altro saggio (La misurazione della mobilitàterritoriale attraverso l’analisi dei dati dei Centri per l’impiego del Veneto, di Bruno

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Anastasia, Maurizio Gambuzza e Maurizio Rasera) riportava ii ddaattii ddii iinnggrreessssoo nneellmmeerrccaattoo ddeell llaavvoorroo vveenneettoo ddaall 22000000 aall 22000099.. Su 771 mila italiani che hanno iniziato alavorare in regione, 484 mila sono veneti, 130 mila provenienti dal Sud: questi sono in granparte uomini (84 mila a fronte di 45 mila donne), spartiti principalmente fra industria (28mila), commercio e turismo (31 mila), edilizia (22 mila) e pubblica amministrazione (20mila). Di alcuni di loro, lavoratori in pianta stabile alla Valbruna, il documentario raccontale storie, le motivazioni, i rimpianti e le nostalgie.

D’altra parte basta sfogliare i rapporti sfornati ogni anno dalla Svimez per comprenderel’entità dell’esodo che da Sud è ricominicato potente: dal 2001 al 2013 dal Sud alCentro-Nord sono emigrati 1 milione 600 mila abitanti, 851 mila sono rientrati, il saldomigratorio è in negativo di 708 mila unità, per il 70% giovani, per quasi il 40% laureati.

EE GGiioovviinnaazzzzoo?? Il paese, dopo la fine dell’industria che uno dei nostri protagonisti definisce““llaa SSttaalliinnggrraaddoo bbaarreessee””,, ha come perso la propria bussola, come colpito «dal cedimentoimprovviso della spina dorsale, delle strutture portanti di un tempo» come scrive IsidoroDavide Mortellaro, storico dell’Università di Bari, nella prefazione alla riedizione per BrunoMondadori del saggio Le ferriere tra gli ulivi scritto da Antonella Pugliese. La ristampa èstata presentata a Giovinazzo il 24 aprile in contemporanea con la prima visione del film. Idue lavori sono complementari: il libro ripercorre nel dettaglio la nascita del modernoconflitto industriale nel dopoguerra, le vertenze e la sindacalizzazione; il film parte dallafine della società-fabbrica e dall’arrivo della nuova fase, fatta di emigrazione, turismolavori precari, agricoltura, pesca e ricordi.L’acqua calda e l’acqua fredda è un film corale fatto soprattutto di interviste, potenziate dafotografie, video e articoli di stampa d’archivio e dalle immagini delle due città, Vicenza eGiovinazzo, distanti 800 chilometri ma collegate da una trama invisibile ma fitta, fatta distorie di vita e di lavoro. Il montaggio interseca in continuazione i piani di Nord e Sud,presente e passato. Dalle parole degli operai emergono temi senza tempo: le difficoltàdell’integrazione in una realtà diversa e lontana e il valore dicotomico del lavoro, occasionedi benessere economico ed emancipazione sociale di un’intera comunità, ma ancheportatore di sfruttamento e di rischi per la salute e per l’ambiente.

UUnnaa ccrriissii iinndduussttrriiaallee mmeerriiddiioonnaallee ddii ttrreenntt’’aannnnii ffaa ccii ttoorrnnaa aa ppaarrllaarree,, e forse ha

L’eemmiiggrraazziioonnee ddaall MMeezzzzooggiioorrnnoo vveerrssoo iill CCeennttrroonnoorrdd ccoonnttiinnuuaa aaccaarraatttteerriizzzzaarrssii ppeerr uunnaa cceerrttaa qquuoottaa ddii ooppeerraaii.. Solitamente essi sono occupatiin modo disperso nelle aree a economia diffusa del Veneto. Tuttavia, nel casodello stabilimento Valbruna di Vicenza, specializzato nella produzione di acciai

inossidabili e di leghe in diversi profili, troviamo una forte concentrazione di lavoratorimeridionali. Collocata alla periferia del capoluogo berico, l’acciaieria fa parte di unapiccola multinazionale di proprietà della famiglia Amenduni, e occupa circa mille personedi cui il 50% di lavoratori dal Mezzogiorno, il 40% di locali e il 10% di immigrati stranieri.Un altro centinaio di lavoratori, italiani ma soprattutto stranieri, sono dipendenti diimprese terze e cooperative che operano all’interno dell’azienda svolgendo attività quali lamanutenzione muraria e meccanica, lavori di carpenteria pesante, pulizie industriali dellescorie. Si tratta di un mondo maschile, a esclusione di qualche decina di donne assuntecome impiegate e di quante sono occupate nella mensa.

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qualcosa da dire anche al nordest disorientato dalla crisi.

GGiiuulliioo TTooddeessccaann**

*autore con Marina Resta del documentario “L’acqua calda e l’acqua fredda”

Giulio Todescan

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