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«OMNIA VINCIT AMOR ET NOS CEDAMUS AMORI» "L'amore vince tutto, anche noi cediamo all'amore" (Publio Virgilio Marone)

«OMNIA VINCIT AMOR ET NOS CEDAMUS AMORI»amore in... · CEDAMUS AMORI» "L'amore vince tutto ... testimoniato dalla presenza costante di questo tema n ella poesia di tutti i tempi

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«OMNIA VINCIT AMOR ET NOS

CEDAMUS AMORI»

"L'amore vince tutto, anche noi cediamo all'amore" (Publio Virgilio Marone)

Ogni persona è unica e possiede un proprio concetto dell’amore.

La nostra idea dell’amore riflette chi siamo, i nostri desideri, i nostri valori, le nostre aspettative

e il nostro modo di vivere le relazioni.

La parola “Amore” è tra le più usate nel linguaggio comune.

Se ne parla di continuo: tra le persone, in televisione, sulle riviste, sui siti .

Sull’amore si scrivono messaggi, poesie, libri…eppure sembra proprio difficile dare una

definizione univoca dell’Amore che metta tutti d’accordo.

Per esempio, se cercassimo una definizione “obiettiva” dell’amore su qualsiasi dizionario,

leggeremmo:

“L’amore è un sentimento intenso e profondo di affetto, simpatia ed adesione, rivolto verso una

persona, un animale, un oggetto o verso un concetto, un ideale”.

Infatti il sentimento d’amore può essere di varie tipologie:

Sentimentale, cioè il legame di coppia mei suoi vari aspetti;

Parentale, cioè il sentimento che lega tra loro i membri della famiglia;

Amicale, ovvero il sentimento che nasce dalla conoscenza reciproca tra le persone;

Devozionale, se riguarda ad esempio la sfera religiosa ma anche idealità politiche, sociali

e filosofiche.

Ma l’amore è molto di più… E’ un sentimento complesso che racchiude in sé sensazioni

profonde, simili o in contrasto tra loro. Spesso infatti il sentimento dell’amore, al quale

solitamente colleghiamo emozioni come la gioia, la felicità, allegria, spensieratezza, letizia, si

accompagna a quello del dolore causato ad esempio da una mancanza affettiva, una delusione

amorosa o dalla perdita di una persona cara. E’ il caso di due sentimenti opposti come l’amore e

l’odio.

L’Amore in sanscrito “a-more” significa ciò che non muore, proprio questo, è stato

testimoniato dalla presenza costante di questo tema nella poesia di tutti i tempi e non c'è stato

poeta che non l'abbia trattato. (Alcuni sentirono l'amore come una forza crudele che travolge i

sentimenti umani, mentre altri lo considerarono in maniera più raffinata ed aristocratica.

Entrambe le tendenze furono poi assunte dalla letteratura latina, nella quale ci furono poeti che

lo rappresentarono drammaticamente violento, altri che lo rappresentarono in forma gentile,

ed altri ancora, come Catullo, che alternarono le due opposte concezioni fino a creare il

binomio di amore-odio.) Sin dalla nascita della poesia lirica , avvenuta nella Grecia Antica

intorno al VII secolo a.C., i temi principalmente trattati erano di carattere personale, l’amore

rappresenta infatti il regno per eccellenza della soggettività, con la sua ampia gamma di

emozioni.

Saffo

è una delle principali poetesse liriche che hanno affrontato questo tema e nasce proprio in Grecia, ad Efeso, piccolo centro dell’isola di Lesbo. Abbiamo poche notizie sulla sua vita ma sappiamo che proveniva da una famiglia aristocratica e insegnava alle giovani ragazze del tìaso, associazione religiosa che celebrava il culto della dea dell’amore Afrodite, l’arte della seduzione, dell’eleganza e del canto.

Famosa per l’uso della strofa «SAFFICA» e del dialetto eolico, è celebrata come grande poetessa d’amore capace di una straordinaria intensità espressiva. Delle sue opere ne rimangono solo pochi frammenti, l’unico componimento giunto fino a noi integro è l’Inno di Afrodite, nella sua produzione tuttavia non mancano versi dedicati alla natura, alla figlia Cleide e a suo fratello.

A me pare uguale agli dèi A me pare uguale agli dèi chi a te vicino così dolce Suono ascolta mentre tu parli e ridi amorosamente. Subito a me il cuore si agita nel petto solo che appena ti veda, e la voce si perde nella lingua inerte. Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle, e ho buio negli occhi e il rombo del sangue nelle orecchie. E tutta in sudore e tremante come erba patita scoloro: e morte non pare lontana a me rapita di mente.

Come in ogni componimento della poetessa Saffo è analizzata la tematica dell’amore gioioso capace di

far scaturire emozioni incontenibili e un coinvolgimento passionale straordinario. In questa lirica possiamo identificare la figura del tu-lirico in

una giovane fanciulla, che l’io-lirico osserva mentre conversa e ride amabilmente insieme ad un uomo

che le siede accanto. La poetessa paragona l’uomo ad una divinità imperturbabile di fronte al fascino

della giovane mentre l’io-lirico è accecato e assordato dal turbamento dei sensi: aumenta il battito del cuore, la voce si inceppa e un brivido caldo le percorre il corpo facendole provare la

sensazione quasi di morire. La poetessa riesce a rappresentare una situazione di

grande trasporto nonostante la semplicità della composizione inoltre il messaggio risulta attuale ed

universale. La struttura della poesia presenta quattro strofe e il primo verso di una quinta che

resta incompleta.

Catullo nasce a Verona intorno all’anno 84 a.C., da una famiglia facoltosa. All’età di 20 anni si trasferisce a Roma entrando a contatto con altri giovani poeti latini e greci, trattando tematiche più personali e meno impegnative. Per tale ragione questi poeti sono ribattezzati poeti novi da Cicerone. Fondamentale nella sua vita è l’incontro con una donna di nome Clodia (celata nelle opere con lo pseudonimo di Lesbia) che diventa l’argomento principale di gran parte della sua poesia. Questo autore sviluppa la tematica dell’amore inizialmente come esperienza appagante e gioiosa introducendo nelle opere successive il concetto di amore-odio.

L’opera di Catullo è formata da 116 componimenti raccolti in un unico libro, Carmina (canti), diviso in 3 parti:

• le Nugae, poesie di argomento leggero, su tematiche quotidiane amorose, dedicate perlopiù alla relazione, ora felice ora tormentata, con Lesbia.

• Carmina Docta, poesie dotte, dedicate a temi più elevati.

• gli Epigrammata, epigrammi contenenti violente invettive contro i suoi avversari.

Viviamo, o mia Lesbia, e amiamo Viviamo, o mia Lesbia, e amiamo e i giudizi dei vecchi più severi tutti valutiamoli un solo soldo! Il sole può tramontare e risorgere: quando tramonta la nostra breve luce, dobbiamo dormire una sola notte eterna. Dammi mille baci, poi cento, poi altri mille, poi i secondi cento, poi fino ad altri mille, poi cento. Poi, quando ne avremo fatti molte migliaia, li rimescoleremo, per non tenere il conto, o perché nessun malvagio possa invidiarci, quando sappia che ci sono così tanti baci.

Il tema predominante della lirica è l’amore come esperienza appagante e gioiosa. L’esortazione all’amata Lesbia è in antitesi con i versi successivi che invitano Lesbia a non tenere conto dell’atteggiamento e delle parole severe dei vecchi. Il sole è metafora positiva della gioia, mentre la condizione umana, dopo il tramonto (morte), è destinata ad un sonno eterno. Le immagini della luce e del tramonto sono strettamente legate al motivo dei baci. Il componimento si chiude con il motivo dell’invidia, che richiama l’immagine iniziale poiché un sentimento talmente intenso e totalizzante provoca infatti l’invidia di coloro che sono esclusi da un’esperienza così bella. Di particolare rilevanza risultano: l’endecasillabo falecio, i frequenti giochi fonici, l’anafora, la ripetizione interna ai versi, l’epifora e i quasi anagramma tra la parola «Lesbia» e «basia» (i baci). Sotto il profilo retorico stilistico l’intero testo è caratterizzato da frequenti ripetizioni , da un sistema di antitesi e dell’assenza di congiunzioni (asindeto) nell’invito ad accumulare baci.

Ti odio e ti amo Ti odio e ti amo. Come possa fare ciò, forse ti chiedi.

Non lo so, ma sento che così avviene e me ne tormento.

Il carme 85 di Catullo è uno tra i più famosi componimenti poetici della letteratura latina. L’intensità del tema trattato, ovvero la compresenza di un sentimento di odio e amore, si concentra nella brevità della lirica e nella semplicità del lessico. Lo stile è asciutto e immediato e il tu-lirico ( la donna amata), diventa punto di riferimento di una situazione conflittuale espressa mediante l’ossimoro creato nell’accostamento dell’amare e dell’odiare. Alle prese con la propria complessità emotiva, il poeta inventa un modello che influenzerà la lirica amorosa dei secoli successivi basata sull’esperienza d’amore incontrollabile, inspiegabile e doloroso. Nella lirica colpisce la dimensione autoriflessiva dell’io-lirico, che osserva il proprio animo lacerato dai sentimenti. L’uso del presente indicativo presuppone un sentimento attuale e reale. Sul piano retorico la traduzione si propone di mantenere alcune caratteristiche dell’originale latino: l’allitterazione, l’inversione sintattica tra principale e subordinata, il climax dei sentimenti, gli effetti fonici di ripetizione, il distico elegiaco (costituito dall’insieme di due versi, l’esametro e il pentametro), sinalefe e ictus.

Sulpicia era figlia dell’oratore Servio Sulpicio Rufo, sua madre era una Valeria, sorella di Marco Valerio Messalla Corvino, uomo di grande cultura, attorno al quale si raccoglievano i maggiori letterati dell’epoca. Favorita dalla possibilità di frequentare questo ambiente e dotata di notevoli capacità poetiche, Sulpicia compose le uniche poesie d’amore scritte da una donna romana dell’età classica e giunte sino a noi, anche se in modo fortunoso. I poemi di Sulpicia non sono stati tramandati infatti sotto il suo nome, ma sono state attribuite al celebre poeta Tibullo. L’attribuzione a un uomo delle uniche opere femminili sopravvissute non è casuale, ma dovuta al fatto che la produzione femminile non veniva presa in considerazione. Anche se tutto quello che è rimasto sono sei brevi poemi, grazie ai quali oggi, è possibile conoscere come una donna romana viva le emozioni d’amore. Tutte le sue opere sono ispirate all’amore violento, passionale e proibito verso un certo Cerinto.

Testo 3.14 ‘Giunge il compleanno odioso, che dovrò tristemente trascorrere in una campagna noiosa, e senza Cerinthus. Che c’è di più dolce della città? o forse che è adatta, per una ragazza, una casa di campagna e il freddo fiume che scorre nell’agro di Arezzo? Su, sta’ tranquillo, o Messalla troppo sollecito verso di me: i viaggi spesso non sono opportuni. Trascinata via, io lascio qui il mio cuore e i miei sentimenti, anche se non permetti che io segua la mia volontà’.

Invisus natalis adest, qui rure molesto Et sine Cerintho tristis agendus erit. Dulcius urbe quid est? an villa sit apta puellae Atque Arretino frigidus amnis agro? Iam, nimium Messalla mei studiose, quiescas: 5 non tempestivae saepe, propinque, viae. Hic animum sensusque meos abducta relinquo, Arbitrio quamvis non sinis esse meo.

Dante Alighieri nasce nel 1265 a Firenze da una famiglia della piccola nobiltà. Sappiamo poco della sua formazione; data a cui risalgono la prima composizione dedicata alla figura di Beatrice (giovane morta prima del 1290) e l’intreccio di amicizie con altri poeti e con Brunetto Latini considerato da Dante suo maestro. Dopo il matrimonio con Gemma Donati, dalla quale avrà quattro figli, intraprende la carriera politica. Entra così nel Consiglio dei Priori, il massimo organo politico fiorentino. In questo periodo però la città è in preda alle lotte politiche con i guelfi divisi in due parti: bianchi e neri. In seguito a uno scontro armato tra le due fazioni, Dante firma l’allontanamento dei capi di entrambe, tra cui anche l’amico Guido Cavalcanti. Lo scontro è sanguinoso e il nuovo Podestà persegue i personaggi più in vista della fazione bianca. Dante è convocato per rispondere del suo operato, ma non si presenta. Condannato a due anni di esilio, rifiuta di tornare a Firenze , perciò vive sotto protezione di Cangrande della Scala a Verona. Dante e i figli si spostano successivamente a Ravenna, dove l’anno dopo il poeta muore a causa di una febbre malarica.

Nonostante l’impegno politico, Dante non cessò mai di coltivare il mestiere di scrittore e poeta, con risultati straordinari. Tra le sue opere ricordiamo: Vita Nova una sorta di romanzo autobiografico in cui le rime dedicate alla figura di Beatrice sono commentate in prosa e «inserite» all’interno di una cornice narrativa (prosimetro); il Convivio encicolpedica in prosa e in versi, scritta in volgare italiano, e De vulgari eloquentia scritto in latino; la Commedia (alla quale Boccaccio accostò l’aggettivo Divina, con il quale è tuttora conosciuta), poema allegorico-didascalico in cui Dante immagina di compiere un viaggi attraverso i tre regni che formano l’aldià, descritti in tre cantiche: Inferno concluso forse nel 1308; Purgatorio, finito intorno al 1312; Paradiso, finto poco prima della morte.

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo e io Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento e messi in un vasel, ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio; sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse ’l disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch’è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi ragionar sempre d’amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come i’ credo che saremmo noi.

La divisione del sonetto in quartine e terzine corrisponde a una precisa suddivisione tematica. Le due quartine svolgono il tema dell’amicizia tra spiriti «eletti», ovvero Dante, Cavalcanti e Lapo Gianni. Nelle terzine viene invece affrontato il motivo dell’amore, secondo un ideale dell’amore cortese perseguito da Dante e dai suoi compagni. Il componimento è un sonetto, con rime incrociate nelle quartine e a rime invertire nelle terzine. Dante è a tutti gli effetti un maestro indiscusso della versificazione e lo mostra soprattutto nella scorrevolezza dell’endecasillabo. È importante osservare che le rime dei versi 1, 4, 5, 8 sono piane e ancora più rilevante è il caso della rima «poi» / «noi» dei versi 9 e 14. sottolineiamo, infine, la presenza della sinalefe nella maggior parte dei versi del sonetto, già a partire dal primo verso dove si registra anche la dialefe tre «tu» ed «e», perché la sillaba del pronome è accentata.

Tanto gentile e tanto onesta pare Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand'ella altrui saluta, ch'ogne lingua devèn tremando muta, e li occhi no l'ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d'umiltà vestuta, e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Mostrasi sì piacente a chi la mira che dà per li occhi una dolcezza al core, che 'ntender no la può chi no la prova; e par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d'amore,

che va dicendo a l'anima: Sospira.

Il sonetto è composto da due quartine con rima baciata e da terzine con rime invertite. All’interno di un ritmo lento e disteso, interrotto solo dagli enjambements. Spiccano le numerose subordinate che conferiscono al testo un effetto di solennità. Sul piano retorico osserviamo diverse ripetizioni che coinvolgono anche la struttura sintattica del sonetto. Notevole è l’antitesi tra l’immobilità degli ammiratori di Beatrice e il movimento della donna la cui bellezza morale e fisica è espressa in primo luogo attraverso il motivo del saluto che dona gioia ed è metafora di un’apparizione divina anche se nello stesso tempo l’incedere di Beatrice esprime umiltà. La sua gentilezza suscita ammirazione ed è un’esperienza che le parole non possono esprimere. Vi è una sineddoche del volto, un’ispirazione personificata dell’amore che soavemente invita l’animo a sospirare. L’emissione del sospiro è concreta espressione di un concetto astratto (metonimia), individuabile in Beatrice, cioè colei che dona la beatitudine, come allegoria di Dio, da cui ha origine

l’amore che muove tutti gli esseri umani.

Leopardi nasce a Recanati nel 1798, figlio primogenito del conte Monaldo Leopardi e della marchesa Adelaide Antici. Il padre trasmette al figlio l’amore per la cultura e lo studio; mentre la madre gli dimostra poco affetto e lo tratta in modo freddo e distaccato, tale durezza finirà con il condizionare l’adolescenza del figlio che perciò spinto dal contesto familiare e dai pochi stimoli culturali che offre Recanati lo spingono a isolarsi e a rifugiarsi nella biblioteca paterna. L’ingegno precoce del giovane e la sua estrema sensibilità lo inducono ben presto a riversare tutta la sua passione sui libri, nel corso di «sette anni di studio matto e disperatissimo» compiuti da autodidatta che gli conferiscono grande cultura, ma che minano irrimediabilmente la sua salute fisica. Nel 1815 è infatti colpito da una grave malattia che lo induce a percepire l’esistenza umana come dolore; il suo pessimismo viene poi esasperato dal fallimento del sue tentativo di fuga da Recanati, scoperto dal padre. Finalmente però giunge la tanto sospirata occasione di uscire dal suo paese, il poeta infatti soggiorna a Roma ospitato dallo zio, tuttavia il viaggio tanto atteso si rivela una delusione. Nel 1825 ha una nuova opportunità di lasciare Recanati, grazie a un lavoro di un editore milanese e successivamente, a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute, si sposta a Bologna, Firenze e Pisa. Per breve tempo torna nel suo «natio borgo» poiché nel 1833 si trasferisce a Napoli nella speranza che il clima mite possa giovare al suo precario stato di salute, ma qui, nel 1837, muore all’età di 39 anni.

• Lo Zibaldone: raccolta di pensieri sulla vita, sul mondo e sulla filosofia,

fondamentali per conoscere il pensiero del poeta;

• Le Operette morali: 24 prose nelle quali si affrontano i temi della condizione umana, la morte, il destino, la vana ricerca della felicità…

• I Canti: le principale composizioni di Leopardi che comprende due importanti gruppi: i Piccoli Idilli, e i Grandi Idilli. (Nella poesia greca era Idillio un breve poemetto ambientato nella quiete della natura). Leopardi chiama Idilli alcune poesie, che , pur prendendo spunto da un elemento del paesaggio, diventano occasione per una meditazione interiore.

Nei Piccoli Idilli il poeta esprime i sentimenti più intimi (L’Infinito, Alla Luna, La sera al dì di festa…)

Nei Grandi Idilli pur continuando la riflessione sul seno della vita, lascia spazio a una più pacata riflessione (A Silvia, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario, Canto di un pastore errante dell’Asia…)

• Le Opere Puerili: operette composte in giovane età

Le sue opere

Tutta l’opera leopardiana è pervasa da una concezione pessimistica della vita. L’uomo vive infatti in una condizione di infelicità e dolore che gli procura inquietudine e angoscia. Il poeta individua la causa di tutto ciò nella natura, che ha creato l’uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che non l’avrebbe mai raggiunto. Leopardi perciò vede la natura come una matrigna crudele e indifferente alle sofferenze delle sue creature. Cerca conforto nelle illusioni ma le distrugge con la logica implacabile.

Le poesie di Leopardi hanno un’intensità e suggestiva musicalità, che nasce dalla collocazione delle parole, dalla distribuzione degli accenti, dalla stessa punteggiatura e dall’utilizzo della strofa libera. Il poeta ricorre all’endecasillabo sciolto introducendo strofe di lunghezza variabile.

A Silvia Silvia , rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale , quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi , e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi? Sonavan le quiete stanze, e le vie dintorno ,al tuo perpetuo canto allor che all’opre femminili intenta sedevi, assai contenta di quel vago avvenir che in mente avevi Era il maggio odoroso: e tu solevi così menare il giorno Io gli studi leggiadri talor lasciando e le sudate carte , ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte, d’in su i veroni del paterno ostello porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela . Mirava il ciel sereno le vie dorate e gli orti, e quinci il mar da lungi, e quindi il

monte. Lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno . Che pensieri soavi, che speranze, che cori o Silvia mia! Quale allor ci apparia la vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme, un affetto mi preme acerbo e sconsolato, e tornami a doler di mia sventura. O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi?

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, da chiuso morbo combattuta e vinta, perivi, o tenerella. E non vedevi il fior degli anni tuoi; non ti molceva il core la dolce lode or delle negre chiome, or degli sguardi innamorati e schivi; né teco le compagne ai dì festivi

ragionavan d’amore. Anche peria fra poco la speranza mia dolce: agli anni miei anche negaro i fati la giovanezza. Ahi come, come passata sei, cara compagna dell’età mia nova, mia lacrimata speme Questo è quel mondo? Questi i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi onde cotanto ragionammo insieme? Questa la sorte dell’umane genti? All’apparir del vero tu, misera, cadesti : e con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda

mostravi di lontano.

La lirica rievoca la figura di Silvia, molto probabilmente da identificare con la figlia del cocchiere di casa Leopardi, Teresa Fattorini, morta di tisi all’età di 21 anni, anche se alcuni critici sostengono che Silvia sia solo una costruzione psicologica del poeta. Il tema centrale del componimento è la fine delle speranze giovanili e la presa di coscienza. Tale riflessione è svolta attraverso una sorta di parallelismo tra la vita di Silvia e quella di Leopardi: come le speranze di Silvia sono cessate con la sua morte prematura, così anche quelle del poeta sono tramontate di fronte alla cruda verità dell’esistenza, tanto che Leopardi accusa apertamente la natura, colpevole di ingannare gli uomini con sogni e speranze destinate a non realizzarsi; e un’antitesi, che divide il testo in due parti contrapposte. Le prime tre strofe rappresentano la giovinezza, mentre le strofe successive mettono in scena la riflessione del poeta ormai adulto.

A Silvia è una canzone libera in versi endecasillabi e settenari variamente rimati, divisi in sei strofe di differente lunghezza. Grazie a un uso sapiente del lessico, in cui si alternato parole di uso comune e termini aulici, e una sintassi scorrevole, in cui predomina la paratassi il testo risulta di facile e immediata lettura. Le figure retoriche presenti sono le numerose allitterazioni, metonimie «sudate carte» e «faticosa tela», e le metafore come quella della battaglia contro la malattia e la morte della speranza.

Poesie moderne William Shakespeare:

“All’amata”

Se leggi questi versi,

dimentica la mano che li scrisse:

t’amo a tal punto

che non vorrei restar

nei tuoi dolci pensieri,

se il pensare a me

ti facesse soffrire.

Alda Merini: “Io sono folle d’amore per te”

Io sono folle, folle, folle d’amore per te .

io gemo di tenerezza perchè sono folle, folle, folle

perchè ti ho perduto.

Stamane il mattino era cosi caldo

che a me dettava quasi confusione

ma io era malata di tormento ero malata di tua perdizione.

Emily Dickinson: ” Che sia l’amore tutto ciò che esiste”

Che sia l’amore tutto ciò che esiste

È ciò che noi sappiamo dell’amore;

E può bastare che il suo peso sia

Uguale al solco che

lascia nel cuore.

Anche al giorno d’oggi la tematica dell’amore è ampiamente analizzata e ricollegandoci a quanto affermato nell’introduzione, questo sentimento viene affrontato in modo libero e prettamente personale. Non esistono infatti schemi o stereotipi ai quali attenersi o fare riferimento e ogni poeta sviluppa un proprio diverso concetto del tema dell’amore.

Amore bello-Claudio Baglioni Cosi’ vai via non scherzare no domani via per favore no devo convincermi pero’ che non e’ nulla ma le mie mani tremano in qualche modo io dovro’ restare a galla e cosi’ te ne vai cosa mi e’ preso adesso? forse mi scriverai ma si e’ lo stesso cosi’ vai via l’ho capito sai che vuoi che sia se tu devi vai mi sembra gia’ che non potro’ piu’ farne a meno mentre i minuti passano forse domani correro’ dietro il tuo treno tu non scordarmi mai com’e’ e’ banale adesso balliamo ancora un po’ ma si e’ lo stesso amore bello come il cielo

bello come il giorno bello come il mare amore ma non lo so dire. amore bello come un bacio bello come il buio bello come Dio amore mio non te ne andare perche’ e’ cosi’ no non e’ giusto se e’ cosi’ se te ne vai se te ne vai perche’ e’ cosi’ perche’ finisce tutto qui tra poco andrai un lento, l’ultimo oramai e fare finta, che ne so di essere matto piangere urlare e dire no non serve a niente, gia’ lo so e’ finito tutto e se tu caso mai ma non mi sente adesso balliamo ancora dai ma si e’ lo stesso amore bello come il cielo bello come il giorno bello come il mare amore

ma non lo so dire. amore bello come un bacio bello come il buio bello come Dio amore mio non te ne andare vai via cosi’ no non e’ giusto se e’ cosi’ sei bella sai sei bella sai vai via cosi’ finisce allora tutto qui fra poco andrai un lento, l’ultimo oramai

Il brano racconta l'ultima serata per due amanti, prima della partenza di lei. Fra sentimenti dissimulati ("che vuoi che sia, se tu te ne vai") e disperati appelli ("domani via, per favore no"), la coppia si congeda con un ultimo ballo (tema dell’addio).

Rispetto alle precedenti incisioni, Amore bello si presenta come un lavoro più maturo, con un arrangiamento più "ampio" e sofisticato, con il pianoforte suonato dallo stesso Baglioni ed una grande sezione d'archi.

Guerriero-Marco Mengoni Elevo questa spada alta verso il cielo Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo Solo sulla cima Arriveranno in molti E solcheranno i mari Oltre queste mura troverò la gioia O forse la mia fine comunque sarà gloria Lotto per amore, lotterò per questo Io sono un guerriero Veglio quando è notte Ti difenderò da incubi e tristezze Ti darò certezze contro le paure Per vedere il mondo oltre quelle alture Non temere nulla io sarò al tuo fianco Con il mio mantello asciugherò il tuo pianto E amore il mio grande amore che mi credi Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi E resterò al tuo fianco fino a che vorrai Ti difenderò da tutto, non temere mai E amore il mio grande amore che mi credi Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi E resterò al tuo fianco fino a che vorrai Ti difenderò da tutto, non temere Mai Non temere il drago Fermerò il suo fuoco

Niente può colpirti dietro questo scudo Lotterò con forza contro tutto il male E quando cadrò tu non disperare Io sono un guerriero e troverò le forze Lungo il tuo cammino Sarò al tuo fianco mentre Ti darò riparo contro le tempeste E ti terrò per mano per scaldarti sempre Attraverseremo insieme questo regno Dalla notte al giorno, da Occidente a Oriente Io sarò con te e sarò il tuo guerriero E amore il mio grande amore che mi credi Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi E resterò al tuo fianco fino a che vorrai Ti difenderò da tutto, non temere mai E amore il mio grande amore che mi credi Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi E resterò al tuo fianco fino a che vorrai Ti difenderò da tutto, non temere mai Ci saranno luci accese di speranze Giuro sarò roccia contro il fuoco e il gelo Veglio su di te, io sono il tuo guerriero

Il brano parla principalmente della bellezza di avere qualcuno al proprio fianco, al quale poter dire “non temere mai”. Quante volte sarà capitato di vedere un nostro caro in difficoltà, in una situazione difficile da sbrogliare: “Quando cadrò tu non disperare, per te io mi rialzerò. Io sono un guerriero e troverò le forze, lungo il tuo cammino sarò al tuo fianco mentre ti darò riparo contro le tempeste e ti terrò per mano”. E’ un brano molto semplice nella sua complessità, che parte lievemente con semplici accordi fino a crescere di intensità e volume. Nel video il guerriero si identifica in una sorta di supereroe, che salva un bambino nella sua difficile situazione familiare.

«DUE COSE CI SALVANO NELLA VITA: AMARE E RIDERE. SE NE AVETE UNA VA BENE. SE LE AVETE TUTTE E DUE SIETE INVINCIBILI.»

Marina Latino, Sabrina Dodaro, Martina Iazzolino. II C