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Oneste bugie Senso, linguaggi, strumenti del Trompe-l'mP n La scultura e pittura di loro natura sono imitatrici e non fattrici, dirò cosi, delle cose naturali... Lo imitare o, parlando nella nostra lingua, contrafare non è altro che voler mostrare che una cosa sia quello che in fatti non è, e questo è il proprio fine dell 'una e dell 'altra arte... Io credo, anzi son certissimo che l'una e l'altra fa la bugia, ma l'una s'acosta più al vero col rilievo, l'altra col colore. Vincenzio Borghini, Selva di notizie Dalla mimesi al miraggio Per la mentalità rinascimentale, i protagonisti delle arti plastiche sono la contraffazione e non la creazione, la finzione e non una autonoma realtà; allora tanto la pittura quanto la scultura, sia pure sollecitando sensi diversi, commettono un inganno che ha come scopo il diletto, appunto una bugia "onesta 11 : questa la conclusione cui giunge l'erudito fiorentino Vincenzio Borghini (1515-1580) nella sua Selva di notizie 212 commentando una af- fermazione del Tribolo 213 che attribuiva tale facoltà alla sola pittura. In questa sede non interessa tanto sottolineare il pregiudizio platonico sull'imitazione che sembra governare l'espressione dello scultore, entrato nel vivo del dibattito cinquecentesco sul primato delle arti cui si farà suc- cessivamente riferimento, né la correzione del nostro critico, quanto partire dall'assunto del mostrare che una cosa sia quello che in fatti non è, che mi sembra asserzione particolarmente significativa come introduzione a questa riflessione che sulla bugia, sull'inganno della pittura, vuole brevemente ar- gomentare giungendo al "genere" della pittura come inganno. 2 1 1 II testo riprende, con modeste varianti, il saggio "Honest Lies" in Deceptions and lllusions, a cura di S. Ebert-Schifferer, National Gallery, Washington, 2002. 212 Vincenzio Borghini, Selva di notizie, in Scritti d'arte del Cinquecento, a cura di Paola Barocchi, Milano-Napoli 1971, pp. 611-689 213 Niccolò Pericoli, il Tribolo, Lettera al molto eccelentissimo M. Benedetto Varchi, in Scritti d'arte del Cinquecento, pp. 518-519 167

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Oneste bugie Senso, linguaggi, strumenti del Trompe-l'mPn

La scultura e pittura di loro natura sono imitatrici e non fattrici, dirò cosi, delle cose naturali... Lo imitare o, parlando nella nostra lingua,

contrafare non è altro che voler mostrare che una cosa sia quello che in fatti non è, e questo è il proprio fine dell 'una e dell 'altra arte... Io credo, anzi son certissimo che l'una e l'altra fa la bugia, ma l'una s'acosta più

al vero col rilievo, l'altra col colore. Vincenzio Borghini, Selva di notizie

Dalla mimesi al miraggio

Per la mentalità rinascimentale, i protagonisti delle arti plastiche sono la contraffazione e non la creazione, la finzione e non una autonoma realtà; allora tanto la pittura quanto la scultura, sia pure sollecitando sensi diversi, commettono un inganno che ha come scopo i l diletto, appunto una bugia "onesta11: questa la conclusione cui giunge l'erudito fiorentino Vincenzio Borghini (1515-1580) nella sua Selva di notizie212 commentando una af­fermazione del T r ibo lo 2 1 3 che attribuiva tale facoltà alla sola pittura.

In questa sede non interessa tanto sottolineare il pregiudizio platonico sull'imitazione che sembra governare l'espressione dello scultore, entrato nel vivo del dibattito cinquecentesco sul primato delle arti cui si farà suc­cessivamente riferimento, né la correzione del nostro critico, quanto partire dall'assunto del mostrare che una cosa sia quello che in fatti non è, che mi sembra asserzione particolarmente significativa come introduzione a questa riflessione che sulla bugia, sull'inganno della pittura, vuole brevemente ar­gomentare giungendo al "genere" della pittura come inganno.

2 1 1 I I testo riprende, con modeste varianti, il saggio "Honest Lies" in Deceptions and lllusions, a cura di S. Ebert-Schifferer, National Gallery, Washington, 2002. 2 1 2 Vincenzio Borghini, Selva di notizie, in Scritti d'arte del Cinquecento, a cura di Paola Barocchi, Milano-Napoli 1971, pp. 611-689 2 1 3 Niccolò Pericoli, i l Tribolo, Lettera al molto eccelentissimo M. Benedetto Varchi, in Scritti d'arte del Cinquecento, pp. 518-519

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È necessaria una condizione essenziale perché la contratTazione possa es­sere efficace: La certezza in due "veri tà" stabili e oggettive prima di tutto, quella della realtà da replicare nell'inganno e quella dello strumento e della tecnica materiale con cui l 'illusione stessa viene realizzata. I l dibattito cin­quecentesco sulla mimesi artistica, che costituisce un riferimento bibliogra­fico costante in questo contributo, non prevede interrogativi o dubbi in en­trambi gl i ambiti.

Da questo punto di vista l'atteggiamento è solo apparentemente distante dalla congiuntura secentesca, che costituisce l'emancipazione del l ' i l lus io­ne pittorica del trompe-Vmil portandola alla dignità di autonomo soggetto della pittura come da quella settecentesca, che conoscerà la fama e l ' inte­resse per i l tema: solo apparentemente sembra essere una conclusione eccentrica della parabola perché è frequente nella traiettoria di una solu­zione espressiva il passaggio dalla sua estraneità rispetto al sistema delle convenzioni alla sua accettazione, al suo inserimento infine nel novero dei modi canonici e consolidati, fino a una divulgazione alla moda, dai contor­ni r ipet i t ivi .

A questo occorre aggiungere la "nobi l tà" dell 'illusione pittorica, i l suo fondarsi sul mondo di una sempre vagheggiata antichità, che rende "classi­co" un "luogo" espressivo non originale, innovativo rispetto alla tradizione, ma "rinato", capace allora di connettersi a una produzione del passato di cui oltretutto si hanno testimonianze solo indirette, di natura letteraria.

Ma per giungere nel mondo dell'incertezza del "vero/falso", poi succes­sivamente e in modo paradossale consolidatosi in un genere specifico della pittura, in "maniera", occorre avere delle basi stabili da cui partire: e queste possono essere agevolmente rintracciate nel contributo teorico del primo Cinquecento, ancora erede del mondo "f in i to" della tradizione medievale. Poi si affermerà l'ipotesi opposta, secondo cui i l regno della natura è "altro" rispetto all 'uomo, dotato di regole e leggi specifiche e che la verità è "come percepisco": questo aprirà un ventaglio di possibilità espressive di grande ampiezza altrimenti negate da una lettura univoca del reale, basata sulla sua oggettività.

La seconda condizione è che nella percezione del fenomeno avvenga in qualche modo una "distrazione" come nel gioco dell'illusionista, quando si

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fa apparire quel che non è adottando azioni di disturbo: i responsabili pos­sono essere indifferentemente il desiderio, la paura, La risposta a uno stimo­lo. Siamo, quando ingannati, in qualche modo attratti da "cosa" ci viene pro­posto e dimentichiamo "come" è stato realizzato; è per certi versi la stessa vicenda del miraggio per l'esploratore disperso nel deserto: vedere materia­lizzato, reale, quanto invece è frutto dell'immaginazione, dai desideri fisio­logici dell'assetato o dell'affamato per giungere al più sofisticato e meno necessario, ma altrettanto appetibile, appagamento degli occhi, che è com­ponente non indifferente nel piacere di possedere.

I paladini dell'Orlando furioso immaginati da Lodovico Ariosto - poeta al servizio della famiglia d'Este fra i più felici a interpretare i modelli del Rinascimento e la sua crisi - inseguono sembianze che credono reali solo perché fortemente immaginate nella propria mente: paradigmatico da questo punto di vista i l "miraggio" di Angelica rapita da un cavaliere "vil lano" che Orlando, pronto alla sua ricerca per tutto i l mondo, vede entrare, rima­nendone poi intrappolato, nel "palazzo di Atlante" 2 1 4 : è i l desiderio di ciò che manca, o di ciò che si è perso, a mettere in gioco il meccanismo della ricerca, della scoperta che, agli occhi disincantati del poeta, risulta alla fine inutile, fallace.

Ma un analogo edificio incantato, dalle colonne di cristallo, è i l luogo del "piacere ingannatore" descritto da Matteo M . Boiardo 2 1 3 - anch'egli lettera­to alla corte di Ferrara - che il ciclo di affreschi del Bertoja nel palazzo du­cale di Parma traduce, fra scorci traumatici e architetture trasparenti, in un grado diverso ma affine al sentimento in discussione. Sullo stesso registro le "ninfe al bagno" che appaiono sensualmente attraenti a Carlo e Ubaldo impegnati nella ricerca di Rinaldo stordito dagli incanti di Armida, descritte dal poeta Torquato Tasso 2 1 6 - interprete fra i più sensibili di un mondo diviso fra sentimento e ragione, affetti mondani e spiritualità - svolgono un analo­go ruolo: siamo allora nel diffìcile spartiacque fra inganno e autoinganno, apparenza e proiezione del proprio desiderio.

- 1 4 Lodovico Ariosto, Orlando furioso, canto X I I , ottave 4-20 2 1 5 Matteo. M . Boiardo, Orlando innamoralo, Libro I I I , canto V I I ; sul ciclo di affreschi si veda di Vittorio Sgarbi, "Voluptas", in FMR, n 22, 1984. 2 1 6 Torquato Tasso, Gerusalemme liberala, canto XV, ottave 58-65

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Perché mai siamo inclini, anche considerando gli episodi proposti dalla letteratura come racconti veritieri e non come topoi tramandati per verbo. più che per esperienza diretta, a "toccare" un falso bassorilievo di marmo o a prendere in mano un libro dipinto, negligentemente lasciato sul tavolo, due luoghi canonici dell'illusione, e non operiamo lo stesso controllo nella circostanza comune, quando magari sono coinvolti più anonimi o ovvi pro­tagonisti?

Si può in questa congiuntura citare un episodio in cui sono protagonisti due o più "intendenti della pittura" - nel frangente Annibale Carracci e Jacopo Bassano -, la visita nello studio di un pittore e un quadro 2 1 7: Quivi egli conob­be Paolo Veronese ancor vivo, 71 nforetto e 7 Bassano, in casa del cptale egli restò ingannato piacevolmente, distendendo la mano per pigliare un libro, che era dipinto. Fu questi Giacomo Bassano famoso per gli animali, di cui Annibale cosi scrive in certe note al Vasari: "Giacomo Bassano è stato pit­tore molto degno, e di maggior lode di quella gli dà il Vasari: perché oltre le sue bellissime pitture, ha fatto di quei miracoli, che si dice facessero gli anti­chi Greci, ingannando non pure gli animali, ma gli uomini anche dell'arte; ed io ne sono testimonio, perché fui ingannato da Lui nella sua camera sten­dendo la mano ad un libro che era dipinto'''. Così recita l'erudito romano Giovan Pietro Bellori (1615-1696), primo rettore dell'Accademia di San Luca e bibliotecario della regina Cristina di Svezia, nella Vita di Annibale Carracci21* replicando a più di cent'anni di distanza dalla storiografia vasa-riana i l luogo comune dell'artista ingannato dal proprio collega.

E altrettanto eloquente è la celebre riflessione di Denis Diderot, filosofo, letterato e critico d'arte, autore determinante per l 'affermazione dell ' I l luminismo francese, a proposito dei falsi "bassorilievi" di un celebra­to pittore: Vi ricordate di due bassorilievi di Oudry che toccavamo con la mano? La mano percepiva una superfìcie piana e l'occhio, sempre ingan-

2 1 7 II caso dell'ingannatore "ingannato" è uno dei più comuni a partire dalla gara fra Zeusi c Parrasio. poi diventata canonica, descritta da Plinio. Si legga in Vasari, Le vite... 1568, I I , p. 139, l'episodio che vede protagonisti Tiziano, i l principe degli ingannatori, e Baldassarre Peruzzi. 2 1 8 Giovan Pietro Bellori, Le vite de' pittori scultori e architetti moderni, Torino 1976, pp. 35-36. Le note per Bodmer sono di Agostino e non di Annibale Carracci.

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nato, coglieva il rilievo: in modo tale che si sarebbe potuto chiedere il filo­sofo quale dei due sensi, le cui indicazioni erano contraddittorie, fosse il mendace219. Ma questa osservazione apre una ulteriore riflessione sulla multisensorialità che in questa occasione viene sospesa.

I l desiderio d'indagine e la verifica nascono, allora, da un "sospetto", una intrigante "increduli tà" variamente motivati: se l'esperienza conferma la previsione è episodio evidentemente non registrato nella memoria; a l l ' oppo­sto gli inganni, le delusioni rispetto alle aspettative, sono oggetto di una d i l i ­gente registrazione. Difficilmente un ospite allunga la mano per toccare la statua di marmo nel disordine delle carte disposte sul tavolo o i l bassorilie­vo alla parete, due fra i "luoghi comuni" che la letteratura registra: v i devo­no essere altri indizi, alcuni interrogativi attraenti, a spingere all'inganno e al suo conseguente svelamento, una sorta di "avvertimento" che si traduce in "sentimento" 2 2 0.

La credulità è qualità dell'ingenuo, del semplice; la diffidenza per quanto immediatamente percepito è invece prerogativa del dotto: se l'inganno clas­sico celebra la supremazia dell'artefatto sul naturale, l 'immaginario cristia­no conosce anche un episodio fondante nella pretesa dell'apostolo Tomma­so di verificare concretamente l'effettiva resurrezione di Cris to 2 2 1 . L' invito a controllare tattilmente la consistenza effettiva delle ferite è momento ne­vralgico del contrasto fra fede e dubbio, con implicazioni non secondarie nel nostro discorso che dal Quodlibet, dal gioco, può giungere alla sentenza moraleggiante.

I l trompe-i'ceil è, altrimenti, una "allucinazione" che complica una lettura diretta delle cose e trasforma ciò che effettivamente esiste: nell'inganno la proiezione del desiderio e i l pregiudizio giocano un ruolo determinante per­ché circostanze eventualmente capaci di scoprire immediatamente i l falso vengono per così dire tralasciate, cancellate dalla immediata soddisfazione.

L'affamato Giacomone legge nelle movenze del l '"omino" della Febbre dell'oro di Charlie Chaplin quelle di un volatile commestibile: si tratta di

2 1 9 Denis Diderot, Salon de 1761 in CEuvres complètes, Paris 1876. T. X, 144 2 2 0 I due termini sono registrati come momenti successivi da Luigi Pirandello nel saggio L'umorismo. Milano 1908, i l primo di stupore e incredulità, i l secondo riflessivo. 2 2 1 Gv 20, 24-29.

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un particolare "completamento" percettivo 2 2 2, un meccanismo comune a qua­lunque processo comunicativo, che dipende da una particolare condizione psicofisiologica dell'attore e che conosce diverse declinazioni.

Il caso citato non è un trompe-l'oeil in senso stretto perché esiste una evi­dente involontarietà da parte del produttore dell'inganno, ma è un "crampo" della visione affine al nostro tema. Quando il sistema "forchette-panini" mosso dal protagonista della medesima pellicola cinematografica, solo nel sogno al eentro dell'attenzione delle astanti, si pone come "sostituto" delle gambe e dei piedi del ballerino e per un istante troviamo coerente La testa dell'attore con gli arti inferiori così contraffatti, siamo noi spettatori a esse­re piacevolmente ingannati, sdoppiandosi la nostra interpretazione della scena fra i protagonisti effettivamente in gioco e quelli immaginati: L'oniri­ca "danza dei panini" corregge la fisionomia reale degli oggetti assemblati in una composizione di sapore arcimboldesco 2 2 3. E a un esito analogo giun­ge il fotografo Robert Doisneau quando nel 1952 fotografa Pablo Picasso a tavola, con le mani appoggiate "sostituite" da pani.

L'oggetto, naturale o artificiale che sia, che perde la propria identità, o meglio ne acquista un'altra pur mantenendo anche quella originale, è un luogo dell'illusione che, anche con angolature differenti, percorre una vena dell 'espressività plastica che nel Novecento sarà uno dei tempi affrontati dal Surrealismo: ne sono testimonianza alcuni esiti della più significativa stagio­ne espressiva di Salvador D a l ì 2 2 4 , nel clima di un'Avanguardia non ancora mutata in "maniera". Possiamo, comunque, dire che alcune qualità percetti­ve dell'oggetto riprodotto sono talmente evidenti, o replicate in modo così virtuosistico - l 'abilità esecutiva è una delle chiavi principali del nostro discorso - da far tralasciare momentaneamente a chi osserva la non verosi­miglianza della favola: in conclusione gli esempi proposti sono inganni "ribaltati" perché è l'immaginazione dell'osservatore a vedere quanto in

2 2 2 II termine è "in prestito" dalle indagini sulla percezione visiva, credo con un certo frutto. Sul problema si veda il contributo di Gaetano Kanizsa, Grammatica del vedere, Bologna 1980. in cui si discute di figure che "vediamo" ma che non sono effettivamente disegnate.

2 2 3 Sull'argomento si veda l'interessante, ma non omogeneo come contributi e documenti, catalogo della mostra Effetto Arcimbòldo, Palazzo Grassi, Venezia, Milano 1987. 2 2 4 Fred Attneave, "Multistabilità nella percezione", in Le Scienze, ed. it. 43, marzo 1972

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realtà immediatamente non appare. Si tratta di una immagine doppia, "ambi­gua" per usare un termine pregnante dal punto di vista linguistico: quale poi sia la figura immediatamente percepita e quale quella colta successivamente è terreno dove intervengono molte variabili, non codificabile perche in esso può risultare determinante i l ruolo assunto dal "vissuto" dell'osservatore.

11 mondo dell'illusione prevede una certa percentuale di stimoli e una al­trettanto ampia di interpretazioni a spese del riguardante, prodotte dal tessu­to culturale e dalle specifiche aspettative: non esiste in altri termini un in­ganno "per tutte le stagioni" perché è l'adozione dei modi e dei mezzi di rap­presentazione a costituire la chiave principale per l'effetto voluto. La sua frequentazione costituisce i l tramite attraverso cui l'illusione può age­volmente riuscire vincente: anche se cronologicamente non connesso, si può proporre un ulteriore intrigante parallelo del modo di concepire l'illusione fra la congiuntura della pittura analitica e concettuale affermatasi negli anni settanta del ventesimo secolo in Europa, nella sua critica radicale alla capa­cità di rappresentazione della pittura, e la mentalità secentesca che ha dato origine al tvompe-Vml da cavalletto, che su queste facoltà invece si "inter­roga" 2 2 5 .

Sono fattori determinanti tanto la maggiore importanza attribuita al dato percettivo del fare pittura rispetto a quello contenutistico, quanto il vinco­lante rapporto fra fedeltà nel riprodurre i l reale, abilità tecnica, e esito pla­stico, espressivo; si tratta di un esercizio critico effettuato nell'ambito delle ricerche artistiche contemporanee di origine analitica, distanti cronologi­camente ma non concettualmente dalle problematiche della pittura dell 'e tà barocca: come la congiuntura secentesca "ha ricevuto" in eredità dal passa­to tutte le soluzioni stilistiche e iconografiche del soggetto sacro e di storia e sembra apparentemente senza altra alternativa espressiva se non quella di un ripensamento sugli strumenti dello stesso dipingere, così quella nove­centesca ha conosciuto, dopo l'eclisse del soggetto figurativo, i l tramonto della fase innovativa della pittura astratta, geometrica o informale che sia.

3 2 5 Sul tema il saggio di Filiberto Menna, La linea analitica dell'arte moderna, Torino 1975. Mi sembra in particolare da segnalare la ricerca condotta, dagli anni sessanta del secolo scor­so, dall'artista torinese Giulio Paolini, intento a investigare la cornice, il telaio e i l suo retro.

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Siamo comunque nell'ambito espressivo di un particolare genere pittori­co e della sua messa in discussione: i l discorso prevede la possibilità di d i ­stinguere la vocazione "mimetica" che la "natura morta" delle origini cono¬sce nella presentazione dei suoi oggetti, dalla duplicazione illusionistica di un frammento architettonico, dallo specifico soggetto della pittura infine, quello del trompe-l 'ceil da cavalletto, affermatosi come autonomo dalla me­tà del X V I I secolo.

Attori in gioco

La differenza sostanziale fra inganno architettonico e trompe-l'ceil come genere della pittura da cavalletto consiste nel fatto che se i l primo "f ìnge" la realtà, sia essa paesaggio, architettura o oggetti quotidiani, i l secondo all 'op­posto "f ìnge" la pittura e i suoi strumenti, in un processo autoriflessivo intri­gante dal punto di vista concettuale. I l frangente in discussione, nella sua fase ideologicamente più matura, è quello della pittura che interroga se stes­sa, e noi siamo spettatori coinvolti in questo corto circuito che non "sfonda" finte finestre sull'esterno ma "riflette" quanto è all 'interno, vicino.

E i l percorso, fra previsioni, presunzioni, sensazioni e verifiche alla fine si chiude: sorpresa, meraviglia, ammirazione per l 'abilità di chi ha saputo ingannarci e ha previsto le nostre reazioni, le nostre mosse, vincono l ' inizia­le sconcerto come i l disappunto per essere caduti in trappola. La conclusio­ne è la distrazione che diverte, rompendo la catena monotona della causa-effetto perché è radicalmente messo in dubbio proprio questo principio cono­scitivo originario: un marmo che non ha volume e non pesa, una tenda che non ha consistenza, una profondità che è piatta ecc. L'azione conoscitiva è allora "drammatica", composta cioè da tappe successive perché allo sguardo occorre aggiungere anche i l tatto, la manipolazione che conferma l'inganno messo in dubbio o l 'illusione ingenua: la traiettoria ha i suoi tempi ordinati "rallentando", per così dire, una conoscenza frettolosa della rappresentazio­ne, ma in conclusione termina nel lieto fine della "commedia".

L'indagine che porta a conoscere la verità può essere lunga o breve, ma esiste comunque un termine finale, una stazione conclusiva dopo la quale tutto è svelato; i l "viaggio" del trompe-Vozìl, dall'inganno al suo ricono-

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scimento, ha la rassicurante e tranquillizzante conclusione che altre bugie e altri inganni evidentemente non posseggono: si tratta di una sorta di ridotta consolazione nel gioco che la simulazione produce rispetto a altre esperien­ze che non necessariamente portano al finale felice, alla scoperta della veri­tà. In questo caso invece l'inganno ha esito positivo, per certi versi anche istruttivo, emblematico nel suo disingannare una percezione ingenua.

Nelle valenze simboliche del tema è presente, comunque, un secondo a¬spetto, se vogliamo meno ludico, quello del carattere deprimente che ogni inganno necessariamente porta con sé: all 'orgoglio dell'uomo che crede di poter far proprio con i l suo sguardo tutto e per sempre, viene rammentato che la sua conoscenza è fragile e i l suo dominio sulle cose ha un termine. Il trompe-Y celi si può allora proporre anche come variante della Vanitas, della natura morta moraleggiante che sottolinea la "brevità" del piacere, come dell 'illusione, della stessa esistenza 2 2 6: riprodurre l 'illusione costituisce a un tempo l'esaltazione dell 'abili tà pittorica come esercizio espressivo a se stante, a un tempo l'accettazione della crisi nella possibilità di tradurre in pittura qualsiasi soggetto proprio per sua natura "contraffatto. Significati­vamente alcuni autori di trompe-Y mi come Cornelis Norbertus Gijsbrechts o i l francese Jean-Francois de le Motte collocheranno nell'angolo di studio, rivestito di assi di legno, proprio tele raffiguranti la "natura morta con te­schio" accentuando i l carattere "effimero" e illusorio della pittura, una sorta di cortocircuito concettuale.

I quadri di "figura", i "paesaggi" o le "nature morte" dipinti su tela, dise­gnati o incisi su carta che compaiono negli "Angol i di studio", abbandonati sul cavalletto o sulle mensole, attaccati provvisoriamente sulla parete di le­gno, sono accomunati dal loro essere "temi alla moda", nell'esserne vero­simiglianti ritratti: appunto "ritratti di un ritratto", perdendo in questo modo qualunque valenza innovativa.

La pittura "alla maniera d i " appartiene a una "piega" della storia dell'arte plastica che si può venare di filologico storicismo o di acritica replica del

2 2 6 Rimando alla normativa introduzione di Ingvar Bergstròm al catalogo Ijdelheid der Ijdel-hèdèn, Leiden 1970.

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costume alla moda: sul tema, comunque, si veda il contributo sul "quadro nel quadro" proposto da André Chastel" 7 .

V i è un terzo aspetto del problema, quello della gara che si instaura fra realtà e contraffazione, fra natura e artificio, un luogo tipico dell'esperienza barocca che approfondisce una riflessione sulla sensorialità di radicale im­portanza dal punto di vista epistemologico: è probabile che l'eco di tale di­battito si inserisca nelle pieghe del concepire l'opera mimetica della pittura. Non a caso lo stesso Galileo interviene, nel conflitto fra pittura e scultura, con parole di estremo equilibrio parlando delle diverse "bugie" che le arti mimetiche necessariamente realizzano2 2*.

Questo può essere il ventaglio dei significati possibili, se vogliamo colto nei suoi poli estremi: dall 'abili tà a contraffare la materia naturale e l'artefat­to realizzato dall 'uomo fino a riprodurre in forma illusionistica la stessa pit­tura e le sue abilità, in un giro concettuale vizioso, all'ammonimento baroc­co che tutto è illusione e apparenza, per questo destinato a non durare.

La sensazione dell'istante labile, anche provvisorio, come momento am­biguo fra certezza e dubbio, sembra il tema dominante del contendere, con interessanti complicazioni anche teatrali, in cui i l quadro è al tempo stesso arredo e personaggio della scena.

Verte et videbìs, "Gira e vedrai" è l'insegna che campeggia in lettere ca­pitolari in un quadro di un anonimo italiano della seconda metà del X V I I secolo 2 2 9 che prevede sulla finta parete di legno, inchiodata e protetta da angolini in cartone, una immagine sacra di sapore guercinesco. Avvicinan­dosi e toccando materialmente il dipinto si assiste al disinganno: le assi di legno come l'immagine sono finte, nulla di quanto appare è reale, ma tutto è dipinto; seguendo le indicazioni imperative e girando i l dipinto sul retro compaiono fisicamente tangibili i l telaio e i l rovescio della tela. Passiamo allora dall 'illusione alla realtà, realizzando una citazione, non so quanto consapevole, del Retro del quadro di Gijsbrechts dei Musei statali di Cope-

2 ' 7 André Chastel, La grande officina, trad. it., Milano 1966 2 2 8 Galileo Galilei. Lettera a Lodovico Cigoli, in Scritti d'arte del Cinquecento, pp. 707-711 : : " 11 dipinto, di colle/ione privata, olio su tela, 65x50, è illustrato e commentato in Alberto Veca. Inganno & Realtà, catalogo della mostra, galleria Lorenzelli, Bergamo 1980, tav. XIII.

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ìaghen che costituisce uno dei vertici qualitativi del genere, per abilità mi-netica e per sintetica "invenzione". Se pensiamo alla più analitica soluzio-ìe adottata nel Cavalletto del pittore custodito nel medesimo museo, una completa ricostruzione di un "angolo di studio", i l quadro citato si distingue )er straordinaria essenzialità.

Protagonisti, evidenti o meno, sono i margini della superfìcie dipinta, sia­lo essi dell 'affrésco o del quadro per giungere all'invasione dell'intera su->erficie pittorica, come nel caso estremo del trompe-l'ceil chantourné che naterializza la linea di contorno della figura, nulla di più illusorio perché la loluzione appartiene al mondo della pittura e non della realtà, rende ogget-0 la sagoma, un "profi lo" delle cose inventato e conseguenza della bidimen-lione del supporto. L' invito si traduce nel concentrare l'attenzione all'inter-10 della superfìcie, poi nel convertirsi in una azione sperimentale, tattile, nei ronfronti di quanto esperito solo visivamente.

1 quadro e la finestra

Giorgio Vasari, pittore, architetto e scrittore d'arte fondamentale per le sue nografie degli artisti italiani da Cimabue ai suoi giorni, discutendo della ìobiltà della pittura nella sua lettera a Benedetto Varchi, così conclude: appresso (dopo la conoscenza della "divina" prospettiva e delle diverse tec-liche relative al dipingere) il ritrare le persona vive di naturale, somi­gliando, dove oviamo visto ingannar molti occhi a ' di nostri: come nel ri­ratto di papa Paolo terzo, messo per verniciarsi in su un terrazzo al sole, il piale da molti che passavano veduto, credendolo vivo gli facevon di capo; •he questo a scolture non veddi mai fare230. Perché l'inganno possa accade­re è necessario neutralizzare, o connettere con l'ambiente, la cornice entro :ui avviene i l processo.

I l "quadro alla finestra" è una pratica funzionale alla rapida essicazione del pigmento ma anche un topos certamente suggestivo perché mette in re-ìazione due soglie: la cornice del dipinto e quella dell'elemento architetto­nico; nel caso citato evidentemente la prima risulta occultata dalla seconda

Vasari. "Lettera a Benedetto Varchi", in Scritti d'arte dei Cinquecento, cit., p. 497

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e il tondo del dipinto coincide con il vuoto della stanza alle spalle del ritrat tato. Cambiando epoca, latitudine e modo di dipingere, possiamo registrare un analogo episodio che ha come protagonista l'erudito francese Roger de Piles, estimatore della pittura di Rembrandt, che decide di acquistare un di­pinto del maestro che ritraeva una domestica per esporlo a una finestra e ingannare gli occhi dei passanti231.

La distanza fra il modo di ritrarre il "vero" di Tiziano e quello di Rem­brandt è sufficientemente ampia perché si possa parlare di un pubblico uni­formemente sensibile all'inganno della pittura: risultano probabilmente de­terminanti per rendere equivalenti gli episodi la posizione dell'osservatore, dal basso verso l'alto, il già richiamato "effetto finestra" che rende le due soglie, quella architettonica e quella del dipinto, coincidenti, e, se voglia­mo, la sintonia fra l'arte del descrivere del pittore e la sensibilità dei con­temporanei, indipendentemente dalle incomprensioni e dai conflitti che i due artisti citati potranno avere nella fase tinaie della loro produzione.

Ma i protagonisti del paragrafo si possono in qualche modo rovesciare perché se abbiamo finora citato una provvisoria collocazione ambientale - i l dipinto esposto temporaneamente all'aperto o visto dall'esterno - è oppor­tuno fare un breve riferimento alla finestra "dipinta" come uno dei luoghi più significativi dell 'illusione. Possiamo, per citare alcuni esempi "campio­ne", allora passare dal vincolo architettonico, come nel "Frate alla finestra" di Bergognone dipinto nella navata centrale della Certosa di Pavia ai quat­tro tondi a affresco degli evangelisti dipinti da Pontormo nella Cappella Capponi di Santa Felicita a Firenze, agli sfondamenti architettonici che, dall'esperienza rinascimentale di un Mantegna nel soffitto della "Camera degli sposi" del Palazzo ducale di Mantova, percorrono la storia della pittu­ra occidentale con invidiabile costanza fino al "quadraturismo" veneto del Settecento: da Paolo Veronese a Giambattista Tiepolo i muri dipinti raccon­tano indifferentemente il soggetto sacro o mitologico, quello di storia o i l quotidiano smatcrializzando i l imit i delle pareti.

In questo caso i l passaggio dall'affresco alla pittura da cavalletto, che è l 'ambito specifico di questa indagine, è continuo, senza cesure o forzature,

Roger de Piles, Cours de Peinture, Paris 1699. 10

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cassando attraverso un'esperienza figurativamente e architettonicamente ^regnante come le tarsie lignee che nella fioritura della tecnica, fra la fine lei Quattrocento e i primi decenni del secolo successivo, prevedono arma­l i , mensole e finestre ricche di arredi, a significare la varietà dell'universo ; sottolineare, nel luogo angusto dello studiolo 0 limitato nel coro della :hiesa, la totalità dell'esperienza umana.

Nell 'ambito della pittura da cavalletto si possono segnalare alcuni signi-Icativi esiti, dàWUomo alla finestra di Samuel van Hoogstraten del Kun-ithistorisches Museum di Vienna al Gioioso menestrello di Gerrit van Hon-horst del Rijksmuseum di Amsterdam che allo stipite in pietra associa il ìoggetto della tenda, consueto in queste illusioni, quello alla Coppia fem-ninile alla finestra di Mudi lo della National Gallery di Washington, ai Rhetoriker am Fenster di Jan Steen del Philadelphia Museum o f Art, alla Donna alla finestra di Bartholomeus van der Helst del Museum der bilden-ien Kiinste di Lipsia, agli esiti ricorrenti del citato Gerrit van Ilontorst e di ^ranz Hals, alla Ragazza alla finestra di Nicolacs Maes del Rijksmuseum di Amsterdam: in questi dipinti la finestra prevede la coincidenza dello sti­pite con i l imit i del qtiadro.

Altrimenti, come nel caso della Tavola imbandita di Wolfgang Heimbach iella Staatliche Gemàldegalcric di Kassel, la finestra, dai cui vetri si intravede jna figura femminile intenta a osservare l'imbandigione, è posta sulla parete i i fondo, in posizione speculare rispetto a quella dell'osservatore reale.

In questo modo l'apparecchio inanimato dipinto è in qualche modo posto il centro di una doppia inchiesta, una reale e una fittizia, lo sguardo dell'osservatore del dipinto e quello invece del personaggio dipinto. Ma la posizione dell'inquadratura architettonica rispetto alla scena dipinta, conse­guentemente rispetto allo spettatore, inaugurerebbe una indagine i cui con­fini sono estranei ai l imit i che ci siamo proposti in questa occasione.

Mimesi e inganno

È la soglia fra realtà e finzione a costituire il ruolo inaugurale del trompe-l'oeil, i l contrasto bruciante di vero/falso che può assumere anche valenze ludiche, della burla capace a un tempo di sottolineare l'umana credulità, a un

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tempo, replicandolo, esaltare l'appetibilità del soggetto, che appartenga al mondo del necessario o del superfluo non importa.

L'opera di pittura è per eccellenza e definizione frutto di illusione, sia venga contenuta nella cornice del quadro, sia i suoi l imi t i coincidano con l'architettura ambientale: i l gioco mimetico diventa intrigante perché un caso è quello dello sfondamento di un soffitto realizzato con l ' i l lustrazio­ne di un cielo, un altro quello dello sportello dipinto con una figura del­l'arredo ambientale - una nicchia, una parete di legno -, un altro infine quello della replica illusionistica di una suppellettile mobile presente nella stanza.

Siamo al limite di una conoscenza delle cose se vogliamo radicale nel­l'esperienza percettiva della pittura, tante volte dimenticata per una pre­valenza accordata al soggetto rispetto al modo di realizzarla, dove occorre definire almeno un margine "vero", verificabile tangibilmente o visivamen­te, per una contiguità fra figura lontana, percepibile solo con gli occhi, e quanto vicino può essere invece esperito con i diversi sensi.

La pittura come "inganno degli occhi" è luogo comune della precettistica delle arti figurative che ha la sua origine nelle indicazioni e negli esempi esposti dal "padre" degli storiografi. Gaio Plinio Secondo (23-79 d.C.), au­tore della monumentale Naturalis Historia, la cui influenza sugli scrittori d'arte cinquecenteschi acquista i l ruolo di auctoritas inconfutabile. Sia pure con alcune correzioni, la "lezione" pliniana è normativa anche per la lette­ratura critica del X V I I e del X V I I I secolo: i l senso della sua fortuna è com­prensibile una volta si tenga conto della scomparsa radicale delle testimo­nianze pittoriche "dirette" della classicità. Viene descritto a parole ciò che non si può vedere: questo certamente aumenta il fascino della scrittura, la sua capacità di essere strumento privilegiato per la memoria.

Il principio proposto è di natura evoluzionistico: la prima soglia della con­traffazione è di natura per così dire "metonimica" rispetto al soggetto reale perché la pittura nasce dall'atto di disegnare il contorno della figura sfruttan­do l'ombra proiettata sul muro 2 3 2 . I passi successivi sono quelli di approssi­mazione alla mimesi, dalle linee interne alla figura, alla monocromia, dal

Gaio Plinio Secondo, Naturalis historia, trad. it. Torino 1988, X X X V , parr. 15 sgg.

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tetracromatismo, al tonos, i l passaggio dalla luce all'ombra, dìVharmoghé, l'armonizzarsi e i passaggi dei colori, infine alla trasparenza.

A questo punto i l processo mimetico giunge con Apelle alla "perfezione", un concetto ben presente nello scrittore poi ripreso dallo stesso Vasari, di importanza decisiva perché rende di fatto "convenzionale" il processo dell'illusione, non considerandolo pertanto naturale, identico per tutti e per sempre ma soggetto alle diverse circostanze.

Non è questa l'occasione per ripercorrere le tappe che dall'iniziale desi­derare un "duplicato" del reale, una propensione capace cioè di superare approssimazioni e "basse definizioni", giungono alla contraffazione iperre-alistica, al nostro "inganno degli occhi"; esso comunque è ultima tappa di un processo che dal "sentimento" giunge alla "percezione": i l punto è per certi versi nevralgico perché è posto in discussione i l nostro grado di "com­pletamento" fra i l modello che abbiamo davanti agli occhi e la nostra capa­cità di assimilarlo, identificarlo con l'oggetto reale.

Le citazioni della letteratura critica cinquecentesca che approfondiscono il contrasto fra le reazioni dell'uomo e quelle dell'animale hanno per così dire, una origine interessante in questo ragionamento sull'illusione della realtà prodotta dalla pittura, dovendole collocare in quel dibattito sul "primato delle arti" che si inaugura con la ben nota indagine del 1547 promossa dal letterato fiorentino Benedetto Varchi (1503-1565) che impegna un con­siderevole numero di menti pensanti della penisola: sotto forma di inchiesta viene posto i l quesito quale, fra la pittura e la scultura, sia l'arte maggiore.

Può sembrare un esercizio accademico di limitata rilevanza dal punto di vista della teoria, ma per una mentalità che pone la mimesi al vertice del processo espressivo delle arti figurative, l'interrogativo riveste un interesse non seconda­rio. 11 nodo della questione è quello dell'inganno che le arti plastiche perpetra­no, in altre parole, della "bugia" rispetto alla verità, il luogo platonico dell ' im­perfezione della mimesi moralizzato dalla congiuntura controriformista 2 3 3.

E se allo scultore pare che questa imitazione (della natura) sia bugia, i pit­tori se lo recano a gloria e dicono eh 'in questo consiste l'arte e l'industria,

2 3 3 II testo di riferimento, conclusivo di un acceso dibattito, è quello di Gabriele Paleotti, car­dinale di Bologna, Discorso intorno alle imagini sacre et profane, Bologna 1582, ristampa anastatica Bologna 1990.

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far parere quello che non è et ingannare la natura stessa, e che gli scultori non imitano ma imhurehiano (copiano) e che, come loro, non par gran lode fare le foglie verde, che questo viene dalla natura che dà il colore, ma fare eh 'in un albero le foglie dinanzi paian tanto spiccate e lontane da quelle di drieto che l'ochio rimanga ingannato, giudicando che sia spazio dove non è.

Così Vincenzio Borghini 2- 5 4, una guida sicura nell'analisi critica delle nostre fonti, pone sul tappeto un punto essenziale della controversia: l'illusione è "far parere quello che non è". La superiorità della pittura sulla scultura non dipende allora dalla maggiore vicinanza al reale determinata dall'adozione di una tavolozza cromatica - per eccellenza la scultura è, secondo i canoni clas­sicisti, bianca - quanto dall 'abilità a suggerire un volume - le foglie davanti e quelle dietro - che non sia fisicamente reale. Questa abilità, capace di vince­re la natura stessa, determina la superiorità mimetica della pittura sulla scul­tura fino a diventare un luogo canonico del pensiero barocco.

Oggi come ieri 2 3 5

Nella sua diagnosi degli exempla canonici dell'inganno degli occhi rea­lizzato dai pittori della classicità grecoromana, registrati da Plinio e più vol­te r ichiamati 2 3 6 , Benedetto Varchi 2 3 7 conclude i l proprio ragionamento con una clausola importante: E di simili esempi hanno avuto pure assai i tempi nostri, come ultimamente nel ritratto di mano di M. Tiziano di papa Pagolo terzo riprendendo uno spunto già presente nella risposta di Vasari all 'erudi­to promotore dell'inchiesta sul primato delle arti.

"Oggi come ier i" è i l nodo concettuale che sottende una riflessione fre­quente nei teorici del Rinascimento: la classicità rinnovata in tutti i suoi a-spctti, anche in quella fase di decadenza che lo stesso Plinio registra per i suoi tempi, quando la luxuria ha corrotto anche le antiche e oneste pratiche artistiche e analogamente alla stagione dei primi decenni del Cinquecento,

2 3 4 Borghini. in Scritti d'arte del Cinquecento. 626 2 3 5 Una esauriente disanima delle fonti antiche nel saggio di Anne-Marie Lecoq. "Ingannare gli occhi" , in // Trompe-l'ceil, a cura di Patrick Mauriès, trad. it. Milano 1997. 2 3 6 Plinio, XXXV, 65, 66. 2 3 7 Benedetto Varchi, in Scritti d'arte del Cinquecento, pp. 528-29

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quella dei Raffaello, dei Tiziano e dei Michelangelo, succede la fase inter­rogativa del Manierismo. Nel frattempo la celebrazione e i l ricordo della raggiunta perfezione intendono svolgere, in Varchi come nello stesso Vasa­r i , i l compito di evitare la decadenza, la perdita della memoria, i l buio dell'ignoranza che i secoli delle barbarie hanno introdotto dopo il raggiun­gimento della vetta, della piena padronanza degli strumenti espressivi della classicità. E l 'Italia alla metà del X V I secolo, per inciso, vede il proprio ter­ritorio calpestato dai discendenti di quei barbari che avevano cancellato sto­ria e cultura dell'impero romano.

Analogamente, appunto, Giorgio Vasari riprende la medesima connessione: Non meno ancora a tempi nostri sono stati sì eccellenti imitatori del vero, dì alcune cose che hanno all'improvviso ingannato molti; come fra gli altri un ritratto di Carlo Quinto, di man di Tiziano, sì famoso pittore, et un altro di Leon Decimo di man di Rafael d'Urbino, fra gli eccellenti eccellente. I quali non solo ingannarono più volte prencipi e signori; ma il primo Tistesso figliuolo di Carlo Quinto, il gran Filippo, che fu poi il monarca de i re e dell 'uno e l'altro emisfero, il quale ritratto essendo messo avanti a un tavolino, ingannato dal­l'artifìcio de i colori cominciò a trattar seco negozii. Non meno attonito e meraviglioso restò il cardinal Pesia, datario di Leone, che presentò bolle e calamaro e penna a far la signatura ingenocchiato al ritratto di papa Leone™.

Sia pure percorrendo "vie diverse" alla perfezione, Tiziano e Raffaello r i ­sultano i "nuovi Apelle", coloro che hanno riportato l'arte della mimesi al vertice cui erano giunti, almeno seguendo le indicazioni delle fonti lettera­rie, i grandi di un passato ora rinato, nella consapevolezza dell'importanza del traguardo superato e della sua provvisorietà davanti a un futuro incogni­to, denso di interrogativi.

Se analizziamo le dinamiche interattive nei due casi citati da Vasari in entrambi gl i episodi i l ritrattato è i l supcriore, l'ingannato l'inferiore: un figlio con un genitore ingombrante come Carlo V e un cardinale davanti a un pontefice altrettanto autorevole come Leone X. Lo sguardo dei sottopo­sti, anche se uno di loro maliziosamente suggerisce Vasari diventerà "pa­drone del mondo", non può essere mai inquisitorio e durevole; e allora pos-

Vasari 1568, I I , p. 139

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siamo tranquillamente credere alla scena a dispetto della sua ricorrenza, del presupposto o facilmente ipotizzabile tasso di convenzionalità: dallo stupo­re per la verosimiglianza del ritratto dipinto all 'identificarlo con il ritrattato in carne e ossa il passo è breve. Una escursione nel campo dei trucchi che l'odierna tecnologia digitale consente nel mondo dell'immagine cinemato­grafica rispetto a quella tradizionale potrebbe essere istruttiva per analizza­re la "soglia" del verosimile: dall ' "effetto speciale" alla costruzione digita­le si può cogliere una "diversi tà" che rende i due strumenti fra loro impara­gonabili, dotati di mezzi, quindi di linguaggi diversi.

La coscienza di avere una "perfezione" alle spalle è sentimento che per­corre costantemente la storia della rinascita delle arti in Occidente: è proba­bilmente nella fase d'esordio di tale atteggiamento, relativa alle tappe dell'Umanesimo, che può insinuarsi i l dubbio di un avanzamento rispetto ai modelli teorici e pratici. Scrive, infatti, Leon Battista Alberti (1404-1472), architetto e teorico fondamentale del Rinascimento italiano, a proposito delle regole della prospettiva forse perchè era oscura, fu loro (agli antichi) ascosa e incognita: appena vedrai alcuna storia antiqua attamente compo­sta e ancora, a proposito della teoria dei colori. Noi vero, i quali, se mai da altri fu scritta, abbiamo cavato quest'arte di sotterra, o se non fu mai scrit­ta. l'abbiamo tratta di cielo...239. E accenti non dissimili si trovano nella bio­grafìa di Brunellcschi composta da Vasari.

Alla selva dei "nuovi Apelle" che compare sulle lapidi o nei sonetti lau­datori costantemente registrati dallo stesso storico, si può aggiungere anche questa nota dissonante relativa a un possibile progresso, a una emancipa­zione rispetto a un modello o a una tecnica dell'operare altrimenti conside­rati insuperabili, eventualmente solo imitabil i .

Animal i , uomini, professori

Due esempi, tratti dalla vita di Francesco Bonsignori citati da Vasari, r i ­prendono il ben noto topos dell'animale ingannato dalla pittura: nel primo il

2 3 9 Gli stralci, tratti dal trattato Detta Pittura, sono citati in Alessandro Parronchi, "Due tavole prospettiche del Brunellcschi". in Paragone, n. 107, novembre 1958.

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marchese Francesco II di Mantova, "volendo vedere se i l cane dipinto ve­ramente somigliava" conduce con sé i l proprio cane e quest'ultimo si scaglia contro i l ritratto dell'animale donato dal "gran turco" spaccandosi la testa; nel secondo l'uccello verde, i l "terranzo", addestrato alla caccia dello sparviero, rimane ingannato dal braccio alzato e dal pugno chiuso di Cristo infante e per tre volte tenta di poggiarvisi 2 4 0 . E analoghe riflessioni vengono fatte a propo­sito dell 'abilità di Bernazzano a imitare fiori e frutti: Dicesi che il Bernazzano fece in un cortile a fresco certi paesi mollo belli, e tanto bene imitati, che essendovi dipinto un fragoleto pieno di fragole mature, acerbe e fiorite, alcu­ni pavoni, ingannati dalla falsa apparenza di quelle, tanto spesso tornarono a beccarle che bucarono la calcina dell'intonaco241. 11 ciclo del frutto, dal fiore alla maturità, è un topos del giardino incantato o di quello paradisiaco 2 4 2

ma, se consideriamo il prato fiorito e i l paesaggio dipinto dal pittore nel Battesimo di Cristo in collaborazione con Cesare da Sesto della collezione Gallarati Scotti di Mi lano 2 4 3 , l'osservazione può essere giustificata.

A distanza di anni e in una diversa circostanza si può registrare un episo­dio similare citato dall'Abate di Monville a proposito di un affresco di M i -gnard in cui era illustrato un gatto che insidiava una tortora contro cui si sca­gliavano i cani ferendosi nell'impatto con il muro 2 4 4 . E analoga sorte capita agli uccelli che, secondo i l racconto di Dézallier d'Argenville registrato da Michel Faré nel medesimo paragrafo citato, interrompono traumaticamente il loro volo ingannati dal cielo dipinto su un muro da Jacques Rousseau: e sono circostanze già note.

Ma la gara si complica nel confronto fra uomo e animale secondo un luo­go di Plinio divenuto vincolante per la letteratura successiva e padre diretto e indiretto di una considerevole schiera di animali ingannati dall 'artificio dell'uomo: Si racconta che Parrasio venne a gara con Zeusi; mentre questi presentò dell 'uva dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul

2 4 0 Vasari, Vite di Fra 'Jocondo, Liberale ecc., in Vite 1568, pp. 807-808 2 4 1 Vasari 1568, 731. Con alcune varianti il luogo è ripreso da Gian Paolo Lomazzo tanto nel Libro dei sogni quanto nel suo Trattato dell'arte della pittura, 1585. 2 4 2 Veca, Scenografie, introduzione al catalogo. Galleria Lorenzelli, Bergamo 1997 2 4 3 II dipinto è illustrato c commentato da Giulio Borea nel catalogo Zenale e Leonardo, a cura di Mauro Natale, Milano 1982, pp. 170-176 2 4 4 Miehel Faré, La nature morte en Frante, Genève 1962, p. 125

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quadro, quello espose una tenda dipinta con lauto verismo che Zeusi, pieno ili orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese che, tolta Ut tenda, fi­nalmente fòsse mostrato il quadro; dopo essersi accorto dell 'errore, gli con­cesse la vittoria con nobile modestia: se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso, un pittore245. Dove, per inciso, si vuole sottolineare come è " l 'orgogl io" per la vittoria sugli animali che spinge Zeusi all'errore, uno stato psicologico di eccitazione che produce la noncu­ranza dei particolari come si è sottolineato in esordio: per l'aneddoto però è più difficile ingannare l 'uomo che l'animale.

A me sembra viceversa che l'abilità e la celebrazione dcWartifex discendano non tanto dall'inganno perpetrato ai danni dell'uomo - la citata vicenda di Zeusi e Parrasio - quanto da quello ai danni dell'animale. Se la percezione umana è in qualche modo compensata dalla ragione e della convenzione, gli uccelli di Apelle o i corvi di Claudio Pulcro 2 4 6 affidano agli occhi, conseguentemente all'istinto in generale, giudizio e sopravvivenza. Questo, se vogliamo, è un rovesciamento della graduatoria dell'abilità nell'ingannare che la letteratura ci ha tramandato perché fra i due protagonisti dello scherzo, l'animale e l'uomo, tanto Plinio quanto la critica da lui dipendente hanno sempre maggiormente apprezzato i l "gabbo" perpetrato all'essere considerato superiore.

Così Benedetto Varchi affronta i l medesimo problema, fondamentale per l'evidenziarsi del conflitto fra natura e cultura: Ma che ci dovano meravi­gliare degli animali bruti, se gli uomini medesimi, anzi i medesimi pittori eccellentissimi, rimangono ingannati dalla pittura? come avvene quando, contendendo Zeusi con Parasio, non conobbe un telo dipinto, giudicandolo come vero e comandando che si levasse, per poter vedere la figura che egli credeva che vi f 'usse sotto241. I l luogo è ripreso da Borghini: Ma che rispon­deranno (gli scultori) quando si mostrerà che la pittura non solo ha ingan­nato gli occhi degli animali, ma degli uomini ancora, et uomini nell'arte

2 4 5 Plinio, XXXV, 65 24,1 Fu grandemente ammirata anche la scena dipinta per i giochi di C laudio Pulcro, allorché i corvi, ingannati dalla rappresentazione, volarono sulle tegole imitate nella pittura, in Plinio, X X X V , 23. L'episodio è frequentemente ripreso dai letterati cinquecenteschi prota­gonisti del dibattito. 2 4 7 Varchi, pp. 528-529

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ecce/lentissimi? Come quando Zeusi, famoso pittore, ingannato dai colori e dall 'ombre, comandò si levasse via il telo dipinto da Parrasio, per vedere la pittura che sotto quello nasconder si pensava2**.

Sintetico e esauriente risulta i l punto di vista di Vasari: / / che (imitare le cose all'esterno) ella (la pittura) fa talora con tanta diligenza et arte, che restano ingannati gl'occhi non pure degli animali, ma gl'uomini stessi, an­zi gli istessi professori, come occorse nello sfido che fu tra Zeusi e Parra­sio, fra gli antichi pittori tanto eccellenti e cosi famosi, stimati quasi dèi: uno de 'quali dipinse l'uva sì al naturale, che gli uccelli, ingannati dall 'ap­parenza di quella, volavano per beccarla. L'altro così maravigliosamente depinse un velo che mostrava coprire un quadro dipinto, che Zeusi stesso, tanto eccellente artefice, ne restò ingannato e si chiamò perdente nella con­correnza, affermando che, se egli aveva con l'arte sua ingannato gl 'uccelli, esso era stato ingannato dall 'accortezza dell 'arte di Parrasio249.

11 contrasto fra uomo e animale può toccare non solo la sfera degli attori dell'inganno, ma anche quella del soggetto se dobbiamo seguire questo e¬sempio citato da Varchi recensendo i fautori del primato della pittura sulla scultura i quali allegano l'esempio delle uve che aveva in mano il fanciullo dipinto da Apelle, dove gli uccegli volarono per beccarle, onde egli lo fece scancellare subito, conoscendo per quello atto che aveva bene dipinte l'uve naturalmente, ma non già il fanciullo. I l passo citato sempre da Plinio è immediatamente consecutivo all'episodio dell'uva e degli uccelli: una sin­tesi aneddotica che vuole mettere a confronto la valentia degli artisti dell 'età d'oro della pittura greca con quella del presente.

"Animal i , uomini, professori": questa è la traiettoria proposta da Vasari, dal più ingenuo al più sapiente e esperto, dall'imitatore eventualmente in­consapevole, la scimmia frequentemente ospite nel soggetto della "Allego­ria delle arti", anche una possibile critica rispetto all'imitazione accademica, meccanica e insensata, al taglio critico, interrogativo e innovativo.

Nell 'ottica che stiamo privilegiando l'ordine comunque deve essere rove­sciato perche nell'uomo agisce un principio di "convenzionali tà" degli stru-

* Borghini, p. 684 "Vasari 1568, li, p.139

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menti comunicativi frutto di una cultura per le nostre conoscenze attuali non riferibile all'animale. Si vuol dire che in ogni caso il trompe-Vmil è sempre e comunque un trompe-l'esprit per usare una fortunata formula di Jean Cocteau: occhio e mente non sono mai stati separati; una percezione "inge­nua" non esiste, se non in una fase inaugurale dell'esperienza infantile che in ogni caso immette nel processo conoscitivo strategie assolutamente inconciliabili con il sentire adulto di cui si discute: i l quadro si propone al­lora come contraffazione, duplicato del reale, una attività ancor più abile della stessa natura perché capace di far esistere contemporaneamente quan­to - per esempio i prodotti del ciclo naturale - nella pratica non può esistere.

L'inganno apprezzato

In modo sintetico si può testimoniare come la sensibilità della meraviglia barocca riprenderà costantemente i luoghi delfart if icio pittorico, orientato comunque più verso quello magniloquente delfarehitettura che non verso quello da cavalletto vero e proprio, costantemente giudicato una "minor pit­tura": sarà Y invenzione e non la mimesi i l risultato estetico su cui puntare.

L'erudito torinese Emanuele Tesauro ( 1592-1675), comunque, riprende, nel cuore del X V I I secolo, i l problema della honesta bugia, leggendola in chia­ve didattica. Egli è dunque una segreta e innata delitia dell'intelletto hu-mano, l'avvedersi di essere stato scherzevolmente ingannato: perrocché quel trapasso dell'inganno al disinganno è una maniera d'imparamento, per via non aspettata, perciò piacevolissima25®.

Fra apprezzamento e uso del trompe-Y mi si può citare i l racconto circo­stanziato presente in una lettera2^1 del presidente Charles De Brosses, in v i ­aggio per l 'I talia, a proposito di un trompe-Yceil dipinto da Antonio Forbera nel 1686 ora al Museo Calvet di Avignone, visto alla Chartreuse des Avi-gnons: Vidi, entrando, un pezzo che merita ampio spazio nella mia narra­zione. Al fondo della camera un cavalletto su cui è posto un quadro incom-

" u Emanuele Tesauro. // cannocchiale aristotelico, Venezia 16X5 2 5 1 Charles De Brosses, Lettres familières écrites d Italie en 1739 et 1740, Paris 1X58, p. 117 cit. in Faré 1962, pp. 230-231

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pietà, rappresentante l ' 'Impero di Flora ", il cui originale è di Poussin. La tavolozza e i pennelli del pittore erano stati abbandonati accanto al quadro. In basso, su un pezzo di carta, il disegno del quadro fatto a sanguigna; a lato un paesaggio inciso da Le Clerc. Ai piedi del cavalletto era stato la­sciato un piccolo quadro girato al contrario, dalla parte della tela, nel te­laio era inserita f 'incisione di un paesaggio di Perelle. Registrai tutto que­sto tanto da lontano che da vicino, senza trovarvi nulla che valesse la pena di fermarmi; ma la mi sorpresa fu senza paragone quando volendo prende­re il disegno, di scoprire che tutto quello non era che un solo quadro, inte­ramente dipinto a olio. Il segno dell 'impressione della lastra sulla carta delle due stampa, la differenza di grana delle carte, i fili della tela del qua­dro rovesciato, i buchi e il legno del cavalletto, tutto è così da ammirare che continuai a esclamare... Il quadro è senza cornice e non quadrato ma taglia­to secondo il contorno come farebbe realmente l'ammasso delle cose che vi sono rappresentate; e questo espediente contribuisce ancor di più a ingan­nare la vista.252

In una rapida ricognizione dell'apprezzamento per i l genere dell'inganno pittorico, quello ora citato, attestato ironicamente fra disinganno e incredu­lità, costituisce un isolato, limitato episodio della fortuna critica poiché la letteratura sull'argomento conosce frequentemente un tono di condanna che, se non tocca i l gradimento da parte di un pubblico - penso al X V I I I secolo e alla moltiplicazione nelle diverse aree europee di scuole di trompeYceil - cer­tamente confina il genere a un gradino inferiore nella scala gerarchica della "nobil tà" della pittura attestata sul peso e sul ruolo del soggetto che viene scelto.

2 5 2 II passo è uno dei più eitati nella letteratura contemporanea sul genere, da M . Faré a M . L. d'Otrange Mastai, lllusion in art, New York 1975 e J. Becke Stilleben in Europa (Mùn-ster/Baden Baden 1979): si tratta di un trompe-l'aeil chantotirné che replica precocemente i l Cavalletto di C. N . Gijsbrechts ora allo Statcns Museum for Kunst di Copenaghen. Ma noi sappiamo che l'occhio del viaggiatore inclina alla meraviglia davanti a realtà che, per forza, devono essere "nuove" rispetto a quanto lasciato a casa: in gioco sono i l costo del viaggio e l'ansia di giungere alla meta; sembrerebbe deprimente vedere altrove quanto si può como­damente osservare ne! proprio ambiente. Diffìcile pensare che l'anno della visita a Avignone del nostro non vi fossero a Parigi esempi di trompe-Ya>il, anche se la tecnica del chantourné non è particolarmente frequentata.

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Quasi un autoritratto

Nel senso che l'inganno pittorico indipendente si pone come una "natura morta allo specchio". Le date di nascita sono spesso incognite: cercarne una esatta per i l trompe-Y mi inteso come soggetto pittorico particolare nel ven­taglio diversificato dei temi trattati dalla natura morta secentesca nella se­conda metà del X V I I secolo, costituisce una soglia dirimente fra quanto av­venuto prima, di un "inganno degli occhi" episodico, legato cioè all 'abilità contraffattiva del pittore, spesso, come si è visto, dipendente dai toppi p i i -niani variamente declinati, o di natura funzionale, inserito nella decorazione ambientale, dell'architettura o del décor dell'arredamento.

Si vuol dire che, per usare episodi comuni che la letteratura critica ha va­riamente commentato, i coretti che arredano simmetricamente la zona me­diana dell'arco trionfale della Cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova, svolgono una funzione ben diversa da quella del "retro" dei dipinti fra Quattrocento e Cinquecento, da Carpaccio a Jan Provost, a Jan Gossaert, a Boltraffio. Un ulteriore ruolo sembra essere quello del trompe-Y mi da ca­valletto vero e proprio che, nella sua variante funzionale del "sovrapporta" o del devani de cheminée, potrà riacquistare caratteri già frequentati, ma che nel suo complesso sembra adottare qualità differenti, sostanzialmente i l suo essere "riflessione" sulla pittura e sulle sue facoltà. Esiti come quelli di Jean-Baptiste Siméon Chardin e di Louis Tessier sono da questo punto di vista esemplari di una pittura "applicata" all'arredo di alta qualità esecutiva.

E opportuno sottolineare un dato significativo: la pittura di trompe-l 'mi in senso stretto inquadrabile nel genere della natura morta - l'inserimento sembra a tutti gl i effetti legittimo sia per l'affinità del soggetto ritrattato sia per i l dato che pittori specialisti di un genere lo siano anche dell 'altro - è esperienza cronologicamente tardiva, alla metà del X V I I secolo, rispetto alla nascita della pittura autonoma del soggetto inanimato. Un interrogativo inquietante, una crisi di rigetto nei confronti di uno specialismo che diventa

2 5 5 Fabrice Faré, Dominique Chevé, " I quadri di trompe-l'cei! o la denuncia dell 'illusione", in Mauriès 1997. I medesimi autori, affrontando la produzione del XVI11 secolo, sottolineano i l passaggio dalla "denuncia" dell'illusione al suo "piacere", dall ' ammonimento al gioco, che in ogni caso è sempre attività seria, almeno nelle sue radici di simulazione.

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concettualmente angusto rispetto alle aspirazioni dell'artista o assecondare all'estremo un gusto per la meraviglia, per i l "gioco" della committenza?

Fin dai suoi esordi la "natura morta" è pittura illusionistica, capace di en­trare in gara con la percezione sensoriale degli oggetti reali presenti nella stanza del collezionista. Paradossalmente, a partire dagli artisti della "minor pittura", marginale rispetto al quadro sacro o di storia, si inaugura una r i ­flessione sul ruolo del fare immagine che troverà nelle arti figurative del ventesimo secolo, con la crisi di identità del soggetto da rappresentare, un'eco consonante.

Le "assi dipinte" sono un "frammento" dello studio del pittore, un gioco illusionistico che restringe i l campo di visuale, annulla la distanza, espelle la coppia "oggetto reale disposto" e "tela sul cavalletto" replicandone a vol­te le fattezze in modo sommario: si vedano gli esempi di Hendrick Pot, Pie-ter Claesz, Mario Nuzzi, Juan D o 2 5 4 , in cui è stato identificato i l "Maestro dell'annuncio ai pastori", in un disordine di arce geografiche volutamente lasciato in evidenza per sottolineare la frequenza e l'indipendenza della so­luzione. La radice sembra essere allora quella de/1 'Autoritratto ai cavaliet­to, altrimenti leggibile come "celebrazione della pittura": con un procedi­mento metonimico si passa dal tutto alla parte, dalla stanza al frammento di parete, perdendo in eventuale nobiltà di soggetto ma acquistando in capaci­tà di ritrarre i l quotidiano, una vena "realistica" particolarmente affine al pensiero nordico che, con percorsi ancora poco esplorati, giunge tanto in Spagna quanto in Francia e nell 'Italia settentrionale, nella repubblica vene­ta perdendo, almeno nell 'ultima stazione cronologica, in icasticità per d i ­ventare una soluzione "di maniera" della natura morta.

Dal sistema degli oggetti posto sul piano d'appoggio in una artificiosa e funzionale architettura, lo sguardo del pittore trova nel proprio studio altri e diversificati sistemi, dalla tela inchiodata provvisoriamente alla parete al portacarte, che si presentano come soggetti più quotidiani, come se l'occhio dell'artista fosse capace di creare una fotogenia degli oggetti funzionalmen-

2 5 4 Hendrick Pot, Museum Bredius, Den Haag; Pieter Claesz (attr.), Rijksmuseum Amster­dam; Mario Nuzzi e Giovanni Maria Morandi, Ariccia, coli. Chigi-Albani; "Maestro dell'an­nuncio ai pastori". Coli, privata, Italia

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te e non artificiosamente disposti: è appunto la crisi del l ' "oggetto in posa", della "natura morta" a favore di una più coinvolgente replica della realtà.

Il trompe-Vceil da cavalletto nasce quindi come messa in discussione, an­che traumatica, di una maniera di rappresentare, appunto la natura morta, che ha ormai raggiunto la sua maturità e sembra declinare in maniera: è suf­ficiente vedere il diverso impegno e la diversa qualità che un artista cardi­nale come Gijsbrechts ottiene negli esiti convenzionali delle Allegorie delle arti o della Vanitas e quelli, straordinari per essenzialità e efficacia, dei veri e propri trompe-l fml.

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