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Orvieto 2011 baffigi pennati strazzulli 1

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L’IPNOSI COME PSICOTERAPIA IN SE’ E IL (FALSO?) PROBLEMA DELLA SUA VALIDAZIONE

Baffigi, A., Pennati, A., Strazzulli, A.

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Progetto “AMISI at Work”

“Trattamento ben consolidato” (d’esito equivalente a terapia famacologica o psicoterapeutica già consolidata in sperimentazioni controllate condotte con campioni di adeguate dimensioni)

Studio Sperimentale (EST, Chamberless &

Havens, 1998)

“Trattamento sperimentale” (studio d’esito monitorato, aperto, non controllato)

Obiettivo: confrontabilità con protocollo attuato per trattamenti di consolidata efficacia (CBT) per reclutamento del campione e monitoraggio clinico (Calzeroni & Cigada, 2004)

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Reclutamento

SCID – Structured Clinical Interwiew for DSM-IV

Reclutamento Consecutivo

N = 38 ss n = 3 ss scelgono sola farmacoterapia

N = 35 ss reclutati in afferenza a studi privati – Protocollo condotto da psicoterapeuti esperti

6 dropouts (17%), 3 per motivi extra-clinici

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Protocollo Sperimentale

n  T0 – I Seduta - Psicoeducazione; intervento sulla respirazione; rilassamento muscolare; Seduta standardizzata/individualizzata

n  II Seduta – valutazione risorse ed ecologia; Rapport; Rinforzo dell’Io; valutazione profondità di trance Seduta standardizzata

n  III Seduta – sintomatico su DAP Seduta standardizzata/individualizzata

n  IV Seduta – rinforzo intervento sintomatico su DAP; ristrutturazione strategica Seduta standardizzata/individualizzata

n  T1 - V Seduta – colloquio clinico; rivalutazione; rinforzo risultati Seduta individualizzata

n  VI-IX Seduta – colloquio; rinforzo della ristrutturazione; fronteggiare situazioni stressanti; profilassi ricadute Seduta individualizzata

n  X Seduta – colloquio; eventuale rinforzo della ristrutturazione strategica; profilassi di ricadute Seduta individualizzata

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Strumenti

n  Panic Attack and Anticipatory Anxiety Scale (Sheehan, 1983)

n  Phobia Scale (Marks & Sheehan, 1983) n  Disability Scale (Sheehan, 1983) n  Trait Anxiety Inventory X2 (Spielberger, 1983) n  Beck Depression Inventory (Beck,1961) n  Clinical Global Impression (Guy,1976) n  Dissociative Experiences Scale (Carlson,1993)

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Fasi del trattamento

SCREENING

T0 = Baseline

I seduta di trattamento

T1 = V seduta di trattamento

T2 = X seduta di trattamento

2 sedute cadenza mensile (Consolidamento)

F6 = Follow-up 6 mesi

F12 = Follow-up 12 mesi

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Protocollo sperimentale “in almeno alcuni passaggi standardizzato, vale a dire reso uniforme, replicabile e riproducibile con il solo scopo di attuare un modello di

procedimento che diversi terapeuti ricercatori decidono di impiegare per una ricerca sperimentale. Lo scopo dichiarato è quello di permettere il confronto tra i risultati ottenuti,

senza tradire l’ericksoniana centralità della relazione col paziente e della calibrazione dell’intervento sulle risorse e sui bisogni del paziente” (Calzeroni, Baffigi, Licari, 2008)

- Si esclude quindi la “Manualistica”, e si passa ad un concetto di verifica sperimentale in cui l’individualizzazione della seduta rimane alta

- Con nostra buona pace, i risultati finora ottenuti appaiono confortanti (Calzeroni, 2009), e tendono a dimostrare l’efficacia del procedimento utilizzato. Ma restiamo nel paradosso metodologico secondo il quale è la flessibilità del protocollo a definire la possibilità di verificare la psicoterapia ipnotica tout court. La relazione ipnotica non prescinde infatti dall’ “individualità” (Tayloring) e dalla soggettività (misurabile?) dell’esperienza co-costruita in un approccio cooperativo (Gilligan, 1987).

- La variabile del Rapport, peculiarità dell’ipnosi, può essere sensibile di una valutazione quantitativa? E’ legittimo, da un punto di vista metodologico e di validazione empirica ritenere che un outcome positivo sia a priori indice dell’instaurazione e del mantenimento di un “buon Rapport” in terapia?

- Poste queste considerazioni, quale altro paradigma di validazione, rispetto ai criteri empirici, potrebbe meglio rispondere alle esigenze specifiche della psicoterapia ipnotica / delle psicoterapie?

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Alcune riflessioni

n  Quale Paziente risulta selezionato attraverso la procedura di screening? Se è vero che gli strumenti diagnostici sono in grado di produrre un assessment condivisibile, è altrettanto vero che il “Single Diagnosis Patient” è un evento raro nella pratica clinica comune (Beutler, 1998, Young).

n  Ci troviamo inoltre di fronte ad un pericoloso dualismo valutativo “nomotetico versus idiografico”; da una parte il rilievo quantitativo, oggettivo, che risponde alla domanda del “Se [disturbo] e di quale severità”; dall’altra l’indagine sulla qualità, le cause, i vissuti emotivi: in sintesi “Cosa rende quella specifica persona un soggetto di psicoterapia” (Di Novo). In termini di valutazione della Psicoterapia Ipnotica (e non di un insieme “chirurgico” di tecniche), l’aspetto idiografico risulta fondativo: un preciso assessment sulle risorse, i valori, la rete sociale, la cultura e gli altri fattori differenziali individuali sono il corretto punto di partenza della terapia (Erickson, Lankton & Lankton, Zeig)

n  Risulta quindi indispensabile, nell’ottica della necessaria integrazione tra approccio clinico e sperimentale (Gilligan, 1987) ribadire come l’istanza di rispondere a criteri oggettivi di validazione mutuati dalla Evidence Based Medicine non può spingerci a fingerci, con Minkowski, “Uomini che sanno ma che non sentono”

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Quale validazione per la Psicoterapia Ipnotica? n  Ernst et al. (2011) hanno svolto una meta-analisi su un campione iniziale di 142

studi di validazione della psicoterapia ipnotica condotti nel rispetto dei criteri RCT, confrontati con la metodologia indicata per i CLEAR-NPT (Boutron et al, 2005). In conclusione si evince come il maggiore bias risieda nell’impossibilità di discriminare gli effetti dovuti alla terapia rispetto a quelli indotti dall’aspettativa, essendo metodologicamente impossibile “mascherare” l’ipnoterapeuta.

n  Ancora, si puntualizza come da un punto di vista metodologico molti degli studi RCT di validazione della Psicoterapia Ipnotica abbiano mostrato biases significativi. Ad esempio, il training e l’esperienza dei terapeuti non è stata spesso comparabile. Ma quale Ericksoniano è realmente comparabile ad un altro? Mi sia concesso di scherzare citando Havens (1986): “Gli ericksoniani sono i coniglietti domestici dello zoo terapeutico. Siamo curiosi, attivi, incredibilmente prolifici e due di noi non si somigliano mai più di tanto”

n  Risulta sempre più chiaro che la definizione di scienza sostanziata dal modello Evidence-Based, con l’utilizzo dei criteri RCT e di gruppi di controllo non sia la forma di scienza appropriata per la valutazione dell’efficacia della psicoterapia (Young).

n  Allora quale tipo di “scienza” risulta veramente appropriata?

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Inclusione di studi Quasi-Sperimentali - studi Qualitativi

n  Secondo Beutler (1998) l’ampliamento dei criteri RCT agli studi quasi sperimentali non sortirebbe alcun beneficio, modificando solo marginalmente l’approccio alla verifica della psicoterapia all’interno della Evidence Based Medicine.

n  Lo studio qualitativo è orientato alla “scoperta” (Mahrer, 1988); meno alla quantificazione, ma piuttosto all’ “[…] esplorazione dei significati, delle variazioni e delle esperienze percepite sui fenomeni” (Crabtree & Miller,1992) q  Sono maggiormente orientati a spiegare come i terapeuti comunicano con i pazienti

(Gale, 1991; Aronsson & Cederborg, 1996) q  Sono maggiormente sensibili a come il Paziente riporta il proprio problema nel contesto

psicoterapico (Buttny & Jensen, 1995)

q  Si focalizzano sulla qualità del rapporto terapeutico, considerando le mutue interazioni Paziente-Terapeuta (Knox, Hess, Petersen, & Hill, 1997), pur nell’ottica di una ipotesi feedback-feedforward già appartenente al paradigma dominante

q  Monitorizzano gli episodi di cambiamento all’interno delle sedute terapeutiche q  Il futuro degli studi qualitativi potrebbe incentrarsi sulla microanalisi della dinamica

linguistica in terapia, contribuendo in questo modo alla chiarificazione dei meccanismi di cambiamento in una psicoterapia efficace (stima del processo terapeutico)

q  La prospettiva qualitativa, nel paradigma dominante della Evidence Based Medicine, può però essere ritenuta una procedura valida ma soltanto integrativa/esplicativa di processo nella verifica delle psicoterapie, non restituendo un risultato “feticisticamente” numerico.

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Dagli studi qualitativi alla centralità del rapporto terapeutico

n  Alcuni Autori (Wampold 2001), determinano come i fattori significativi nel successo di una terapia risultino essere il livello di convinzione del terapeuta nell’efficacia della tecnica utilizzata e la sua personalità. Risulterebbero fattori non significativi il tipo di trattamento (rispetto alle principali correnti psicoterapeutiche), le basi teoriche della terapia e l’aderenza ad esse delle tecniche utilizzate.

n  Il fattore chiave risulta essere “[…] l’alleanza tra il paziente e il terapeuta” (Ibidem). Il dato è inoltre confermato da una congrua dose di studi RCT (Krupnick et al, 1996).

n  In base ad un tale assunto “forte” si giunge al “verdetto Dodo Bird*”: “Tutte le terapie sono ugualmente efficaci”, fino ad arrivare ad affermare, con Tallman & Bohart (1999), che la spiegazione più semplice per tale verdetto “E’ che sia il cliente, non il terapeuta o la tecnica, a fare in modo che la terapia funzioni”. In base a tali considerazioni, ogni confronto tra metodi e modalità terapeutiche risulta un mero esercizio di accademia (Young). La centralità del rapporto Paziente-Terapeuta costituisce, attraverso il concetto di Rapport, il fulcro dell’Ipnosi prima, della Psicoterapia Ipnotica poi: un concetto non completamente assimilabile all’empatia, all’alleanza terapeutica, che supera, nella sua definizione, il dualismo mente-corpo. Risulta quindi evidente come ogni determinazione di efficacia della Psicoterapia Ipnotica non possa prescindere dalla considerazione di questo (indeterminabile? Non misurabile?) aspetto, “proprium” del nostro modello psicoterapeutico.

“Tutti hanno vinto e tutti hanno diritto ad un premio!” (Lewis Carrol)

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“Misurare il Rapport”… ma come? n  La relazione Paziente-Terapeuta sembra quindi, con consenso pressoché unanime,

configurarsi come il fulcro della psicoterapia efficace. Ma può questo ineffabile fulcro della terapia divenire oggetto di indagine empirica? La valutazione di ipotesi sperimentali sulla relazione terapeutica non è frequente ed è vista con diffidenza tanto dagli sperimentalisti quanto dai clinici (De Novo). La ragione di ciò risiede principalmente nell’equazione, dominante nell’attuale paradigma, empirico = sperimentale = quantitativo. Già il fenomenologo tedesco Karl Jaspers (1964) criticava questo assunto, affermando che dalle scienze esatte assumiamo il pregiudizio che solo ciò che possa essere provato in maniera quantitativa sia contributo scientifico, mentre ciò che viene studiato dal punto di vista qualitativo rimarrà sempre qualcosa di soggettivo ed arbitrario.

n  Ad oggi, le moderne teorie della complessità e lo studio dei sistemi caotici testimoniano che aumentando la complessità del sistema diminuisce la predittibilità dell’evoluzione dello stesso. Una minima variazione delle condizioni iniziali (si pensi al Butterfly Effect) è in grado di produrre effetti significativi. Tutto ciò conduce la scienza contemporanea ad un approccio holistico e non riduzionistico alla realtà, un’indeterminatezza in cui le condizioni iniziali possono creare reazioni a catena con effetti imprevedibili e al principio di causalità circolare in sostituzione di quello di causalità lineare.

n  Ma se è vero che la crisi del sistema deterministico-lineare potrebbe portare nel caso della psicoterapia all’applicazione di criteri e metodi valutativi tipici delle discipline “artistico-letterarie”, è altrettanto vero che tale esito porterebbe ad una involuzione verso quel mondo magico, mistico o intuitivo dal quale le psicoterapie (e mi sia concesso, la psicoterapia ipnotica in particolare) si sono solo di recente affrancate.

n  Ritornando alla domanda iniziale: quale verifica quindi per la psicoterapia ipnotica? Quale direzione può costituire un bilanciamento tra la necessità di ridurre la complessità del fenomeno oggetto di studio e il rigore metodologico? A parere di chi scrive la risposta non risiede nel paradigma attualmente dominante della Evidence Based Medicine.

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Ipnosi e Stato Moderno L’ipnosi compare sulla scena quando si assiste al passaggio dalle cosiddette chefferiers (organizzazioni sociali complesse che possono, grosso modo, essere identificate nei ducati centrati sul ruolo delle città stato) allo stato moderno (14), detentore per via diretta del monopolio dell’uso legale della forza e contemporaneamente, per via indiretta, del controllo sociale della sessualità, in particolare femminile, della spiritualità e delle pratiche terapeutiche (15, 31). Con il passaggio allo stato moderno (che comporta la definitiva sepoltura della mente bicamerale) viene sempre più delegata ai medici la gestione degli ammalati, ed i medici operano secondo lo zeigeist, adottando i paradigmi scientifici dominanti (18). Gassner rappresenta la fase di passaggio dall’uso della trance come pratica esorcistica a pratica medica, Braid sui campi di battaglia ne constata quasi sbalordito l’efficacia e quindi la trance ipnotica fa il suo ingresso nell’armamentario terapeutico socialmente riconosciuto ed accettato. Qui si ha un passaggio chiave: la trance diventa uno strumento di cura e le procedure che i medici usano per indurla vengono accomunate nel termine ipnosi (il termine è coniato proprio da Braid) (45). Questo passaggio avviene in una fase storica in cui il paradigma della dicotomia cartesiana mente/corpo era dominante, e quello della scientificità intesa come studio dell’oggettività altrettanto.

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Ipnosi e paradigmi n  Da allora poco è cambiato; la medicina era (ed è tuttora) in larga misura basata

su paradigmi newtoniani: relazioni causa-effetto lineari, rispetto del principio di non contraddizione, accettazione del principio di parsimonia nelle spiegazioni scientifiche, e così via. All’interno di tale paradigma si hanno vari perfezionamenti, sino alle ultime ( e forse all’interno di tale paradigma non ulteriormente perfettibili) elaborazioni epistemologiche di Popper, Lakatos, Feyerabend. Tutto ciò va bene con la chirurgia, con la cura delle infezioni, con la grande maggioranza delle malattie degenerative, ma negli ultimi 20 anni ci si rende sempre più conto che, per quanto agli albori, il paradigma della complessità, almeno per lo studio delle strutture viventi, sembra più adatto. Certo, come dice Max Planck, i paradigmi cambiano quando muoiono i professori universitari che li usano; solo allora ne subentrano di nuovi. E si sa che il potere logora chi non ce l’ha. Quindi i paradigmi sono duri a morire, e lo studio della psicologia, della psicopatologia, della psichiatria e della psicoterapia ci conferma che tutte queste discipline inseguono il momento della verifica scientifica come Achille che cerca di catturare la tartaruga, sempre un irriducibile tempuscolo più in là. Il problema, che al di là delle nostre disquisizioni teoretiche ha anche importanti implicazioni giuridiche, è che le scienze psicologiche e psichiatriche sono sì scienze naturali, ma della soggettività.

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Searle n  Searle ci dona una nuova prospettiva di studio: partendo da una critica del dualismo cartesiano mente-corpo (secondo lui

tuttora operante) egli dimostra che l’oggetto (mente/cervello, che sono la stessa cosa) può essere descritto e studiato tramite ontologie in 1° persona (dall’interno, si osserva la mente, la coscienza) o in 3° persona (dall’esterno, si osserva il cervello e la sua fisiologia).

n  L’approccio di Searle appare incontrovertibile sul piano logico ed epistemico. Esso è rivoluzionario sul piano metodologico, in quanto evidenzia che gli stati interni sono indagabili anche con gli attuali paradigmi di riferimento, ma occorre fondare gli studi ad essi relativi partendo dalla soggettività. Searle evidenzia come scientifico possa ( e debba) non corrispondere ad oggettivo: lo studio degli stati interni è scientifico ma soggettivo, e ci dimostra che tutti stiamo ancora affrontando lo studio della mente con strumenti linguistici e categoriali che risalgono al tardo 1600 (guarda caso periodo di nascita dello stato moderno). E sempre Searle ci ricorda, ricollegandosi ad uno dei suoi principali ispiratori (Wittgenstein), che ci costruiamo il mondo esterno che condividiamo con gli altri usando il linguaggio. Che mondo condividiamo con gli altri (con quali altri?) quando parliamo di ipnosi? Stiamo forse cercando di esprimere le nostre esperienze ipnotiche personali e/o cliniche mediante una metodologia che si basa sull’identità scientifico=oggettivo? Se è così, rischiamo di ripetere il grave errore di Mesmer, che, sicuro di avere a che fare con fenomeni oggettivi, si sottopose al giudizio della Commissione del re di Francia, composta da scienziati dell’oggettività, i quali non poterono far altro che demolire le tesi del tapino magnetista.

n  Perché questa lunga riflessione? Perché, a parere di chi scrive, quando si parla di psicoterapia si parla di una pratica che per sua natura anela al riconoscimento di uno status di scientificità, e sembra che la competizione fra le psicoterapie non si basi tanto sulle loro costitutiva capacità di curare nel senso più ampio del termine, ma piuttosto sul fatto che siano più o meno omologabili al modello medico (scientifico-oggettivo).

n  A parere dello scrivente la trance ipnotica esiste, esistono le procedure per elicitarla, e ciò è condizione necessaria per definire l’ipnosi una psicoterapia. In base alle definizioni più recenti ciò potrebbe bastare, anche se altri approcci potrebbero sostenere dire che questa non è tuttavia condizione anche sufficiente, e che occorre quindi che l’ipnosi sviluppi un suo proprio modello etiopatogenetico dei disturbi che tratta, come hanno fatto la psicoanalisi, il cognitivismo, il comportamentismo per citare solo le scuole preminenti.

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Modelli? n  Premettendo che volendo cercare bene un tale modello per l’ipnosi si può

anche trovare (il neodissociazionismo di Hilgard ed i suoi sviluppi proposti, fra gli altri, da Kihlstrom), bisogna però chiedersi come venga sviluppata una teoretica etiopatogenetica: con gli innovativi approcci di Searle o con le vecchie metodologie? Dalla risposta a questa domanda dipende se la ricerca della condizione di sufficienza viene soddisfatta coerentemente alla materia di cui si tratta, la soggettività. È evidente che il cognitivismo ed i comportamentismo hanno risposto al quesito basandosi su dati prodotti da osservazioni in terza persona (scientifico=oggettivo), e quindi hanno generato una soluzione non coerente al problema; il discorso relativo alla psicoanalisi è certamente più fra variegato.

n  A parere dello scrivente non vi è, allo stato attuale, un sufficiente sviluppo dello studio, secondo le indicazioni di Searle, dei modelli sviluppati dalle psicoterapie, quindi, almeno in linea teorica, tutte le psicoterapie di per sé stanno in piedi da sole, per il semplice fatto di esistere (e quindi di essere state selezionate nella competizione di mercato), come recepito dal Royal College of Psychiatrist. E ciò, se è vero per altre psicoterapie, è vero soprattutto per l’ipnosi, la prima delle psicoterapie e la più direttamente correlata all’esperienza delle trance e del rapport.

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Satis quod sufficit?

n  Quindi non sussiste allo stato attuale la necessità impellente di soggiacere ad una verifica, sia essa empirica o teoretica, validazionista. Questa verrà, ci si augura presto, grazie alle recenti acquisizioni nel campo della visualizzazione e della misurazione degli stati interni ottenute dalle più recenti tecniche di neuroimaging funzionale (vedi oltre) e da metodologie statistiche non lineari, più adatte all’analisi dei sistemi complessi .