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D appunti: ROMPERE IL SILEN- ZIO. D politica: EL SALVADOR. D corsivo: TROPPI « OSANNA » PER UNA VITTORIA MILITARE. D società: L'OBIEZIONE DIFFICILE. D cultura: IL CARDINALE, IL «VESCOVO ROSSO», I PROFETI DISARMATI . . . D recensione: CHI DANZA SULLA PEDANA ROSSA? D fede: GIOVANI E CHIESA D taccuino culturale trentino. D scheda: PROPOSTA SINGOLARE E « INATTUALE ». I 982 O

OSANNA - il-margine.it · vere di classificare il bene ed il male in base a princìpi invalicabili, frutto di deleghe e di prudenze, oscure ai più. Una cascata di regole che ha alimentato

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D appunti: ROMPERE IL SILEN-

ZIO. D politica: EL SALVADOR.

D corsivo: TROPPI « OSANNA »

PER UNA VITTORIA MILITARE. D

società: L'OBIEZIONE DIFFICILE.

D cultura: IL CARDINALE, IL

«VESCOVO ROSSO», I PROFETI

DISARMATI . . . D recensione: CHI

DANZA SULLA PEDANA ROSSA?

D fede: GIOVANI E CHIESA D

taccuino culturale trentino. D

scheda: PROPOSTA SINGOLARE E

« INATTUALE ».

I 982

O

I L M A R G I N Emensile dell'associazione culturaleOscar A. Remerò

Direttore resp.: LUCIANO AZZOUNIDirettore: PAOLO GHEZZIGrafico: PAOLO FAES

Una copia, L. 1.000 - un arretrato,L. 2.000 • abbonamento annuo,L. 10.000 - abbonamento sosteni-tore, da L. 20.000 in su - prezziper l'estero: una copia, L. 2.000abbonamento annuo, L. 20.000.I versamenti vanno effettuati sulc.c.p. n. 14/9339 intestato a « I]Margine », Trento.

Autorizzazione Tribunale di Trenton. 326 del 10.1.1981.

Redazione e amministrazione:<t II Margine », via Suffragio 39,38100 Trento

Stampa: Tipografia Argentarium,via Giardini 36, 38100 Trento.

Il Margine n. 2 - anno IIfebbraio 1982

Rompere il silenzio p. 3

El Salvador p. 5

Troppi « osanna » per una vit-toria militare p. 11

L'obiezione difficile p. 13

II cardinale, il « vescovo ros-so », i profeti disarmati... p. 17

Chi danza sulla pedana rossa? p. 21

Giovani e Chiesa p. 26

Taccuino culturale trentino p. 31

Una proposta singolare e « inat-tuale » p. 34

PRIMA DI LEGGERE QUESTO NUMERO

11 tempo ci ha giocato il suo piccolo scherzo di carnevale, facendoci uscire,anche per questo numero, in ritardo sul rullino di marcia. Ma confidandonella pazienza dei lettori, seguitiamo il nostro tentativo, rassicurati anchedall'andamento della campagna abbonamenti. A tutt'oggi gli abbonati al Mar-gine sono 380: non abbastanza per esultare, ma sufficienti per sperare. L'im-pegno di tutti è comunque necessario per raggiungere la a quota salvezza ».

Ecco dunque questo numero 2: il drammatico problema dolio poco, tormen-tata da sempre più potenti aguzzini, fa, ancora una volta, do protagonista.L'urgenza della denuncia e della protesta si fa pressante.« Ma dove è il pericolo — ha scritto Hòalerlin — crosco oncho ciò cho ti salva ».

Ancore una volta « II Margine » è In vendilo o Tronto prono: « Disertori »,via s. Vigilie; a Paoli ne », via Balanzoni; « Arllglonolll », corno 3 Novembre.A Rovereto presso l'edicola « Kinlgor ».

Il n. 2/1932 è stato chiuso in tipogrofìn 11 -I mano 1982

Rompere il silenziodi MARIANO PRETTI

Natalia Ginzburg scriveva nel 1951 in un suo saggio: « Tra i vizi piùstrani e più gravi della nostra epoca va menzionato il silenzio »,questo silenzio, commenterà poi Norberto Bobbio, muro di difesadei nostri miti, custode della nostra sonnolenza spirituale.Ogni dogmatismo crea attorno a sé zone di silenzio e tra l'ima el'altra non c'è passaggio: ogni sistema di dogmi è un sistema chiuso.Se l'eresia ha il potere di rompere questo silenzio sia benvenuta an-che quando, con la sua diagnosi, non centra del tutto il bersaglio.Meglio una verità controversa che una indiscussa e perenne. L'ere-sia concepita come disposizione della libertà anche « contro » la pro-pria fede, l'eresia come risposta al pregiudizio, alla roccaforte ideo-logica degli altri,Se eresia vuoi dire accettare che tutto possa essere o diventare di-verso, che la mistica della militanza venga superata dall'etica dellapersuasione, che l'ideale esempio dei modelli sia messo in causa dicontinuo dalle motivazioni umane e politiche, che l'ideologia si liberidal mito per confrontarsi con la vita, che l'utopia non sia vaneggia-mento ma sia essa stessa progetto, allora l'eresia è per noi indispen-sabile.Abbiamo sconfitto, forse, il sentimento del dovere privato e sociale,scansati i dubbi, nascosti i desideri, abbiamo spesso perduto la for-ma di uomini per accettarci in questa avvilita misura dì vittime. Sia-mo invece i testimoni oculari, e spesso i « pali », delle nostre sven-ture. Continuiamo a parlare in termini di ambiguità o assolutezza: ildialogo con cui si costruisce pazientemente il confronto va spegnen-dosi in nome dell'ovvio e dell'inestricabile.Come credenti siamo fuggiti quando abbiamo scoperto l'impossibi-lità o la difficoltà di vivere un Vangelo come messaggio da realiz-zare ogni giorno tra noi (« Dio non può farcela da solo. Per realiz-zare il suo sogno deve entrare nel sogno dell'uomo e l'uomo devepoter sognare i sogni di Dio. Ma perché tutto non si risolva in unavaga menzogna, va detto che Dio deve continuare a sognare il sognodei poveri », ha scritto Abrarn Heschel) e dovevamo invece, comescrive Zavoli nel suo « Socialista di Dio », confrontarci con apparatidottrinali abilitati a garantire la « verità » ed a sancire il diritto-dò-

vere di classificare il bene ed il male in base a princìpi invalicabili,frutto di deleghe e di prudenze, oscure ai più.Una cascata di regole che ha alimentato il senso di colpa dell'uomoe la fragilità delle sue scelte, lasciandolo in un continuo dibattitopersonale, a porte chiuse, con l'anima e con la storia, in bilico fraorigine e destino, vita e ricerca, fede e ragione, corpo e spirito. Apagare è spesso la libertà umana, sottoposta a sleali e dolorasiconfronti.Coloro che credono nel socialismo devono prender atto che le duevie finora sperimentate per raggiungere una società diversa, il me-todo democratico, segnatamente quello parlamentare, e quello vio-lento, hanno dimostrato di essere rispettivamente insufficiente e con-troprodticente. Poche tracce di socialismo vi sono nei paesi doveqxiesto si è affermato democraticamente, come in quelli scandinavi:dove invece è stato introdotto con l'aiuto della violenza armata, ciòè avvenuto a scapito delle componenti morali, umane che stanno pro-prio a fondamento della ideologia socialista.CJè una strada ancora da percorrere, una strada che può implicarela fine del silenzio, della chiusura, la crisi di vecchi miti. Garaudyha detto: « La speranza marxista è ricca di infinito quanto quellacristiana: l'essenziale è che sotto questa infinità non finisca dimen-ticato il nostro compito storico. Si tratta in fondo di non abbrac-ciare la speranza con braccia troppo corte »,Due speranze di segno iniziale così lontano, come quella cristiana emarxista, sì ricompongono in una nuova figura d'uomo, capace diassumere il peso della vita e della morte, cioè della storia e dell'in-finito, secondo i criteri non più separati, per principio, della libera-zione e della risurrezione. Per questo è necessario rompere le paretidei templi eretti alle proprie certezze, aprirsi agli altri, attaccare nonle nostre fedi ma la loro ossificazione.Aldo Capìtini scriveva in « Nuova socialità e riforma religiosa »: « Peralcuni il socialismo è punto dì arrivo in quanto propongono di col-locare tutti nell'economia socializzata, e considerare questa come untutto, come un assoluto che ha poteri illimitati, in cui le personecon il loro intimo, le loro esigenze e varietà di sviluppo, e i problemidella loro destinazione oltre il peccato, il dolore, la morte, debbanovenire spieiatamente e matematicamente compresse. Questo totali-tarismo annienta in sé il senso delle persone. Il socialismo deve co-stituire un punto di partenza e non di arrivo », II punto di arrivo del-la nuova realtà sociale è invece « la persona, il suo sviluppo, la suacreatività... Si parte dal socialismo per accrescere il valore delle per-sone, per garantire il massimo e libero sviluppo, per accrescerne lagioia ». « Anche la gioia — insìste Capitini — perché chi non da an-che la gioia non è perfetto ». •

Per capire una tragedia, al dì là degli schematismi di comodo

El Salvadordi VINCENZO PASSERINI

Era inevitabile che i massacri nel Salvador finissero per produrre da noiuna poco esaltante battaglia polemica. Troppe le tensioni accumulatesulla questione dei missili prima e su quella polacca poi, perché ancheil Salvador non facesse la fine di uno dei tanti ingredienti per le tantemiscele esplosive che fanno saltare i governi e le alleanze e che accen-dono risentimenti e accuse tra la gente.Dove sono i cattolici sul Salvador? Si chiede a sinistra. E mentre lapovera Polonia fa la fine del terzo incomodo, si tirano fuori le propriefedine penali: io c'ero, io ho detto questo, io ho scritto così, noi ci sia-mo mossi, e poi voi cosa dite sulle dittature militari marxiste nel Terzomondo, fate vedere cosa avete fatto con le guerriglie, la Polonia è unacosa il Salvador un'altra, queste le differenze, queste le analogie, questii legami, no, non ci sono legami, ma io ho detto questo... E intanto ar-riva da Roma la voce del primate di Polonia, Glemp, che ricorda a chia-re lettere la tragedia del Salvador, le migliaia di morti, il vescovo Ro-mero ucciso. E spiazza evangelicamente tutte le piccole polemiche diquest'Italia così nevroticamente sensibile alle grandi cause. Dopotutto ilgoverno ha rischiato di cadere perfino sulla fame nel mondo. Muoionodi fame (e già queste parole sono diventate così familiari da non scon-volgerci più) e non sanno nemmeno di essere così importanti per noi dafar quasi cadere il nostro governo. Bisognerebbe andare a dirglielo a mo'di conforto e di viatico (ma chi manderemo laggiù se anche Palmella èoccupato altrove?).

£' giusto « fare gli esami » ai cattolici

Ma al di là della tragica ironia, è necessario riflettere su alcune cose cheha messo in luce il dibattito sul Salvador.La prima è che se si son fatti gli esami ai cattolici è perché per i catto-lici gli esami non possono finire mai. Ed è giusto così. E' giusto cheessi siano continuamente interpellati sulla coerenza della loro fede esull'autenticità della loro aspirazione a difendere i diritti umani. Se essi,come nella vicenda sull'aborto, hanno scelto la via dell'alternativa, cri-stiana ed umana, al costume di una società che adegua i princìpi all'evol-

versi delle cose (invece di far evolvere queste secondo quelli), hanno scetto anche di essere continuamente verificati in questa diversità procla-mata. Non ci può essere nulla pertanto da recriminare se più di tuttisono sottoposto ad esame. Che non è poi un'inevitabile cattiveria polemi-ca dei laici. C'è al fondo di questa continua verifica una domanda dipresenze umane veramente autentiche, fedeli a ciò in cui credono, intempi in cui è difficile credere in qualcosa. Una domanda che rivela unbisogno di segni visibili, di speranze che non siano sogni, vane illusioni,ma possibilità vere, reali. Capire questo significa anche per i cattolicinon sentirsi perseguitati, assaliti, costretti a difendersi, a far quadrato,a costruire cittadelle protette da alte mura e ben difese dalle incursioninemiche. Significa invece augurarseli gli esami e augurarseli impietosi.Una seconda riflessione.Il 24 marzo sì ricorderà il secondo anniversario della morte di OscarRomero. Un assassinio che aveva scosso il mondo e aperto definitiva-mente gli occhi sulla natura del conflitto in atto nel Salvador. Ma inquesti due anni tutto è peggiorato e l'opinione pubblica italiana non siè poi molto sollevata, se non ora. E' necessario riflettere ancora sulruolo dei fatti internazionali nella vita interna del nostro Paese e sulmodo con cui questi fatti vengono di volta in volta usati, attraverso imass-media, per ottenere determinati risultati. Cose non nuove, certa-mente.

Le zone buie dell'informazione

Quanti anche su questa tragedia hanno sperimentato l'estrema difficoltàdi poter giungere ad una visione delle cose che fosse il più possibile vi-cina alla verità! Pur davanti a fatti clamorosi e indubitabili, quanti han-no sperimentato ancora una volta di essere in balìa del telegiornale, delgiornale radio, del quotidiano! Quanti hanno avvertito zone buie nell'in-formazione, salti studiati, semplificazioni troppo scontate per essere ve-re! Perché c'era in tanti il bisogno di sapere chi fossero le vittime e chii colpevoli dì tanta barbarie, se fossero tutti o se non fosse nessuno. Unbisogno di verità mortificato. A volte la gente non capisce o comunquenon da molta importanza alle lotte, terribili, che si combattono per igiornali, la RAI, le TV private. Crede di poter riuscire comunque, ìnbase alla propria personale onestà, a farsi un'idea giusta di come vannole cose, mentre le cose sulle quali essa esprime un giudizio e che in-fluenzano la sua vita e la vita della comunità non esistono di per sé, maesistono soltanto se lo vogliono i mezzi di informazione e come questi10 vogliono (se e come lo vuole chi controlla questi mezzi). Il Salvador,11 suo dramma, esiste per molti solo adesso, adesso che sanno, che èstato loro consentito di sapere, che è stato loro permesso di indignarsi.Il Guatemala, dove in fatto di barbarie non si è inferiori al piccolo Paesevicino, esiste per pochi. Come non esiste più in questo momento il Viet-nam: non ne sappiamo più nulla. Non esiste più la questione morale echissà quante cose ancora non esistono anche se davvero ci sono, anche

se di esse dovremmo sapere. Discorsi vecchi, ma bisogna ricordarseliogni tanto. E anche sul Salvador sono stati in molti a sperimentare que-sta potenza creatrice e demolitrice dei mass-media nella vita di ciascunoe di tutti.Molti ricorderanno Romero quest'anno. Lo scorso anno la notizia che de-cine di giovani salvadoregni erano stati uccisi mentre andavano alla mes-sa per Romero in cattedrale era in quinta pagina sui giornali, almenoin quelli che l'avevano riportata (e con molta parsimonia di inchiostro).Un giornale nemmeno ricordava Romero, pur parlando del Salvador inquei giorni di anniversario. Ed era un giornale pio, o sedicente tale.Quest'anno è diverso perché il Salvador è entrato nel circuito delle gran-di questioni nazionali e internazionali. Dìo solo sa per quanto. Speriamosolo a lungo e con qualche risultato. Per il Salvador.Una terza riflessione, anch'essa peraltro poco originale, ma non per que-sto da accantonare.

Ci si può accontentare di un ipocrita neutralismo?

Una gran parte della cattolicità italiana ha finito, su questa vicenda, perassumere il solito atteggiamento: né coi rossi, né coi neri. Il che in teo-ria andrebbe bene se significasse il rifiuto delle posizioni ideologicheestremiste che impediscono soluzioni pacifiche e realistiche alle questionipolìtiche. Ma è uno schema che in realtà diventa dì comodo. « Tra le duebande, un popolo inerme », si scrive su alcuni organi di stampa cattolici.Ma è possibile andare un po' più a fondo? Ci si può accontentare diquesto neutralismo, ipocrita come tutti i neutralismi? Può bastare que-sto a delle coscienze che sinceramente si interrogano sulle responsabilitàdì certe situazioni? Tutte le situazioni di conflitto vedono due schieramentiopposti e in mezzo altra gente. Mettersi dalla parte di questa gente vuoidire anche mettere sullo stesso piano i due contendenti? Scontato chenon si tratta di promuovere o bocciare questo o quello ma di cercare dicapire le cause, il perché si è arrivati a una certa situazione, non sarebbeil caso di abbandonare gli schematismi di comodo? Tutti sono d'accordoche sarebbe molto più bello se anche nel Salvador la gente discutesse suigiornali, nelle piazze, liberamente e potesse democraticamente decidereil proprio destino. Ma la storia di questo piccolo paese, grande poco me-no della Toscana e con 4 milioni e mezzo di abitanti, ci dice perché nonè possibile mettere sullo stesso piano i due contendenti e chi è stato, difatto, a rendere impraticabile la via della democrazia.

Le gravissime responsabilità degli Stati Uniti

Un potere economico in mano a pochi, un potere militare al servizio diquesti pochi, una massa di contadini analfabeti e sottonutriti, una stret-ta tutela degli Stati Uniti che risale all'inizio del '900, il fallimento co-

stante di ogni tentativo democratico, la repressione sistematica di ogniprotesta: queste le costanti della storia del Salvador. Una storia non mol-to diversa dalle tante altre che hanno segnato la vita dei Paesi latino-americani. Coi massacri sì comincia giusto 50 anni fa: una data che icontadini salvadoregni non hanno più dimenticato, il 22 gennaio 1932,quando l'esercito uccide 30 mila contadini. La ricordano, questa spaven-tosa carneficina, come la « matanza ».I 2/3 della terra coltivata sono in mano al 4°/o della popolazione, ffbnil caffè, la canna da zucchero e il cotone si fanno affari d'oro. E i ricchi sal-vadoregni commerciano bene con gli Stati Uniti. E hanno grandi ville aMiami, da dove continuano, anche adesso, a pagare le bande di estremadestra che massacrano da anni, senza pietà, gli « agitatori » e i sospettitali. Questo non l'hanno detto i cubani. L'ha detto l'ex-ambasciatore ame-ricano nel Salvador, Robert White, destituito da Reagan. Il quale perla sua campagna presidenziale ha utilizzato bene i finanziamenti dei ric-chi salvadoregni di Miamì. E anche queste non sono indiscrezioni. Le can-deline accese dal presidente americano possono far luccicare gli occhisolo agli ingenui. Non c'è da farsi illusioni umanistiche sulla politica diReagan verso l'America Latina. Carter, pur nelle contraddizioni a tuttinote, aveva posto come condizione per il sostegno americano ai governiamici, la salvaguardia dei diritti umani. La dottrina di Reagan è ben di-versa: l'importante è che siano nostri amici. Non importa cosa fanno ese è necessario sostenerli lo si fa, a qualunque costo, a qualunque prezzo.Nel discorso delle responsabilità gli Stati Uniti hanno la loro parte.Governi militari con brevi parentesi di governi civili: la storia del Salva-dor è anche in questo simile a tante altre dell'America Latina. La guer-riglia comincia ad apparire nel 1974. Negli anni precedenti, le proteste,diventate un fenomeno importante e di massa, erano state piegate conla forza e con i brogli elettorali. Nel 1977 le opposizioni, democristiani esinistre, presentano alle elezioni due candidati unici: il colonello Giaramount alla presidenza, e un civile, il democristiano Ehrilch alla vice-pre-sidenza. Formano l'Unione Nazionale d'Opposizione. Che vince. Ma il par-tito al potere, la destra portavoce dei latifondisti e sostenuta dall'esercito,non accetta i risultati e impone con la forza la vittoria del proprio can-didato, il generale Romero (che non ha nulla a che fare col vescovo uc-ciso). La repressione è dura. Nel 1979 gli Stati Uniti favoriscono un colpodi stato da parte dei giovani ufficiali dell'esercito che insediano unaGiunta eli governo formata da militari e civili e che presenta un program-ma riformatore. Da allora è stato un susseguirsi dì cambiamenti all'in-terno di questa Giunta mai in realtà capace di reprimere le attività mi-litari della destra e di togliere l'esercito dal condizionamento dei latifon-disti. Anche gli estremismi di alcuni settori della sinistra che non tolle-ravano processi riformistici, hanno contribuito al fallimento del program-ma pacificatore e riformatore della Giunta. Ma è la destra che ha pesan-temente condizionato l'esercito e la stessa Giunta rendendo inoperanti difatto le riforme e vanificando i programmi.

La colpevole presenza di Duarte

Un po' alla volta se ne vanno dalla Giunta i rappresentanti dei partiti.Resta la Democrazia Cristiana che insieme ai militari forma un governocon un programma riformatore simile al precedente. Ma molti democri-stiani dopo un po' rinunciano, se ne vanno e confluiscono nel Fronte De-mocratico Rivoluzionario, una sorta di federazione dei partiti di opposi-zione. Continuano i massacri da parte delle bande di destra e dello stessoesercito. Il vescovo Romero che denuncia le responsabilità governative neimassacri è ucciso il 24 marzo 1980 sull'altare, durante la celebrazione del-la messa. Intanto altri democristiani si sono dimessi dal governo e alcongresso DC, nello stesso mese di marzo, l'ala popolare esce dal partitorifiutando la collaborazione coi militari nella Giunta di governo, collabo-razione che continua. E' qui che ricompare Duarte, un leader per moltotempo rifugiatosi all'estero. Ma la sua presenza, per quanto dettata dabuona volontà, non poteva cambiare nulla dati i precedenti poco incorag-gianti a livello di Giunta, e nulla è infatti cambiato in questi due anni.Si parla di 30 mila morti in questo lasso di tempo. La presenza di Duarteinvece che contribuire a far evolvere in senso democratico la situazioneha conferito un'immagine di rispettabilità ad un'azione repressiva che in-vece di attenuarsi si è spaventosamente accentuata. Se in politica a nullavalgono le buone intenzioni, bisogna dire che la presenza di Duarte èstata deleteria. E non si capisce perché debba essere sostenuto dall'Italiache ha mantenuto il suo ambasciatore quando tutti gli altri paesi europeil'hanno richiamato. Non si capisce perché Piccoli e la grande maggioran-za della DC italiana continui a vedere in lui l'unica possibilità di pacifica-zione realistica. Se Duarte doveva servire per coprire le colpe di unaGiunta, bene, in parte il gioco è riuscito.Le elezioni del 21 marzo lasciano poco a sperare: anche se è necessariosperare che a qualcosa di buono servano, non è lecito farsi illusioni. Tut-te le opposizioni sono di fatto costrette alla guerriglia: il presentarsi sa-rebbe un suicìdio. Ci sono 6 liste, di centro-destra e di destra. E tra i candidatì ci sono assassini pubblicamente riconosciuti, e indiziati anche del-l'omicidio del vescovo Romero. Parlano tranquillamente alla TV, C'è pocoda sperare.L'equivoca, colpevole presenza di Duarte non può far tacere i cattoliciitaliani, nemmeno a livello politico. Certo, gioca in questa situazione ladiffidenza verso la guerriglia di sinistra che alla prova dei fatti, dove èarrivata al potere, non ha poi sempre mantenuto le promesse dì libera-zione. Spesso i guerriglieri sono portatori di un marxismo-leninismo al-trove messo da tempo in soffitta. Anche la sinistra italiana si è liberatadi certi miti. Ma si deve dire che l'opposizione armata al regime salva-doregno non è fatta solo di guerriglieri marxisti-leninisti, come talunovuoi far credere. Essa raccoglie tante forze democratiche di opposizionealtrimenti costrette a subire la persecuzione che, se colpisce i sospetti, fi-gurarsi gli altri. Quando non si può assistere nemmeno ad una scena diarresto senza rischiare poi di venir sequestrati e uccisi (come è avvenuto,e lo riferisce « II Sabato »), e difficile pensare di potersi opporre al siste-ma del terrore se non aggregandosi all'opposizione armata.

Non è onesto mettere sullo stesso piano, né dal punto di vista morale,né da quello politico, le bande militari della destra che da anni in colla-borazione con l'esercito seminano morte, e i gruppi della guerriglia. Perquanti errori abbiano commesso questi ultimi (errori che non erano sfug-giti al vescovo Romero) è il sistema del terrore instaurato dal regime amettere in moto quei terribili meccanismi che poi nessuno riesce più afermare.

Oscar Romero

Questo l'aveva capito benissimo Oscar Romero. E l'aveva pubblicamenteripetuto. E così fa adesso il suo successore, il vescovo Rivera Damas,che per quanto più moderato e più alla ricerca di una mediazione, siaall'interno dell'episcopato salvadoregno, sia tra la Giunta e l'opposizione,ha detto anche recentemente in un'omelia: « E' urgente un cambiamentoprofondo. E' urgente che siano rispettati i diritti umani non solo a parolema con la fine della tortura, dei massacri, dell'esercizio violento del po-tere da parte di chi lo detiene. Con le armi una parte cerca di schiacciarel'altra parte. Fino a quando questa violenza non finisce, la violenza si mol-tiplica creando nuovi disordini, nuova guerriglia. Insegnare dall'alto laviolenza non è una soluzione ».Una graduatoria di responsabilità si deve fare.Ricorderemo in tanti Oscar Romero quest'anno. Una figura che si prestacosì poco alle celebrazioni. Non ha nulla di epico, di romantico, nulladi grandioso. Forse per questo la sua semplice grandezza è sfuggita allasensibilità italiana. Non è stato il nostro Parlamento a proporre la can-didatura per il Nobel, a suo tempo. Ma il Parlamento inglese. Non unanostra università gli conferì la laurea « honoris causa ». Ma quella di Lo-vanio, la prestigiosa università belga. Romero non sarà mai un eroe dacelebrazioni belle, riuscite, con tavole rotonde e convegni. C'è così pocoin lui di entusiasmante! Un conservatore gradito al regime e agli altri ve-scovi conservatori, che dì fronte alla realtà di sangue del suo Paese, nelmomento in cui ha assunto ìn prima persona la responsabilità della suaChiesa, capisce dove sono i responsabili della barbarie e li denuncia. Lidenuncia pubblicamente e ripetutamente. E per questo è ucciso. Romeroè tutto qui, in questa scarna biografia, quasi banale nella sua evangelicasemplicità. Che se non da materia per convegni, ne da tanta per riflettere,a lungo, oltre gli anniversari, oltre l'accavallarsi delle emozioni per legrandi cause. •

OTroppi v osanna"per una vittoria militare

Liberato il generale Dozier, e l'Italia tutta, ritrovata d'un tratto un'im-probabile concardia, esulta. Esultano i giornali conservatori, plaudendoall'insperata efficienza della nostra polizia. Ma sciolgono inni di vittoriae di orgoglio nazionale anche quei giornali solitamente caustici verso tut-to quanto viene fatto dal governo di turno.E cominciano a piovere le prime autorevoli analisi: abbiamo decapitatoil terrorismo; no, decapitato no, ma le B.R. sono in ginocchio; certo, pe-rò non bisogna « abbassare la guardia ».E radio e televisione dedicano una buona metà dei loro notiziari ai bol-lettini di guerra: centoventitrè arresti sulla ruota di Torino, 48 covi sco-vati, decapitata la colonna genovese, moribonda la colonna di Abbiate-grasso, eccetera, eccetera.A questo punto, meglio mettere le mani davanti per non essere accusatidi disfattismo, criptofiancheggiamento (ovverossia: -fiancheggiamento na-scosto), o, nella migliore delle ipotesi, di essere « bastìan contrari » perpartito (quale?) preso.Anche noi siamo contenti che il generale Dozier sia stato liberato senzacolpo ferire; che, finalmente, la polizia abbia dimostrato efficienza e pre-parazione; anche noi, sotto sotto, gongolavamo nel sentirci ringraziareed elogiare calorosamente dal presidente Reagan (verso il quale, peraltro,nutriamo radicati sentimenti dì antipatia).Però: non ci sembra serio inneggiare alla definitiva sconfitta del terro-rismo in Italia solo per la fortunata concatenazione dì una serie di « bril-lanti operazioni » militari. Perché mai, infatti, il terrorismo dovrebbe es-sere in punto di morte? Sono forse cambiate le condizioni sociali, cultu-rali ed economiche in cui sono cresciute (e continuano a crescere, comedimostra la giovane età di molti degli arrestati) le generazioni del terro-rismo nazionale? E' forse stata eliminata anche una sola delle cause chepossono giocare un ruolo decisivo nello spingere un ragazzo o una ragaz-za, verso la scelta suicida della violenza?Forse la società italiana ha trovato prospettive, obiettivi comuni, speran-ze nuove? Forse il futuro sembra meno buio di qualche anno /a, quandonasceva il nucleo «storico » delle Brigate Rosse?Certo, la violenza gratuita e fine a se stessa, probabilmente, ha 'finito persuscitare disgusto e repulsione anche in chi, 'fino a non troppo tempo fa,

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la legittimava. Forse la maggior parte dei giovani italiani non ne vuolepiù sapere di morti ammazzati, dì gambizzazioni, di sangue. Ne hannoabbastanza.Ma la vittoria sul terrorismo, ammesso che di « vittoria » si possa parlare,non è stata una vittoria morale e culturale. E' stata un'apprezzabile, enecessaria « vittoria ». Ma una « vittoria » esclusivamente militare. E nonpossiamo dunque unirci agli osanna generali solo perché carabinieri epolizìa hanno messo in galera qualche decina di importanti terroftsti.Non sono i carabinieri e la polizia che impediscono a migliaia di poten-ziali nuove leve del terrorismo italiano di crescere, giorno dopo giorno,in mezzo a noi. E' la società civile, siamo noi, ognuno con il nostro ruo-lo e la nostra responsabilità, che dobbiamo lavorare per togliere il ter-reno sotto i piedi ad ogni progetto di terrorismo. E l'unico modo perfarlo è offrire alternative alla violenza: alternative sociali che ridianofiato alla speranza di un futuro più libero e più giusto; alternative cul-turali, che offrano risposte positive al bisogno di un senso alla vita; al-ternative morali, che sappiano riproporre credibilmente il rispetto per ladignità di ogni essere umano.Utopie? Macché. Solo progetti a lungo termine, strade faticose che por-tino alla vera vittoria sul terrorismo. Che non possiamo delegare alleteste di cuoio.

p. gh.

Dalla semiclandestinità a fenomeno di massa

PICCOLA FAVOLA

« Ahimè », disse il topo « il mondo diventa ogni giorno più angusto. Primaera talmente vasto che ne avavo paura, corsi avanti e fui felice di vederefinalmente dei muri lontano a destra e a sinistra, ma questi lunghi muri pre-cipitano cosi in fretta l'un verso l'altro che io mi trovo già nell'ultima camera,e la nell'angolo sta la trappola in cui andrò a cadere».

« Non hai che da mutar direzione » disse il gatto e se lo mangiò.

{Franz Kafka, Racconti)

L'obiezione difficiledi GIOVANNI KESSLER

200 domande nel 1973, 800 nel 76, 2000 nel 79, 12.000, secondo dati ufficiosi,nell'81: le cifre parlano chiaro, l'obiezione di coscienza al servizio militareanche in Italia esce dalla « clandestinità », dal disinteresse dei mass-mediae della cultura ufficiale, da materia per gli addetti ai lavori diventa feno-meno di massa.Pochi l'avevano previsto nel dicembre del 1972, quando il Parlamento,dopo anni di lotte e di tentativi falliti, approvò la legge di riconosci-mento dell'obiezione tuttora in vigore. Dalla fine della seconda guerramondiale ad allora, coloro che avevano pagato con il carcere militare illoro rifiuto alla violenza, alla guerra e all'esercito non erano più di 200giovani, Testimoni di Geova, anarchici e qualche cattolico progressista.Troppo poco per impensierire le gerarchle militari, come venne rilevatoanche nel dibattito parlamentare. E poi alla maggioranza sembrava diaver fatto un buon lavoro, di aver preso tutte le precauzioni possibili perevitare un incontrollato espandersi del fenomeno: valutazione caso percaso della sincerità delle domande da parte di una commissione inquì-sitrice, servizio civile alternativo maggiorato di otto mesi e sottopostocomunque alla disciplina militare.Ma non si erano fatti i conti con una sensibilità sociale del Paese bendiversa da quella del Parlamento. Gli obiettori, sostenuti da settori sem-pre più ampi di opinione pubblica, lottano, organizzati nella L.O.C., con-tro le interpretazioni restrittive della legge e per un servizio alternativorealmente svincolato dall'amministrazione militare, ottenendone nel 74l'autogestione. Anche la Chiesa cattolica, storicamente diffidente nei con-fronti dell'obiezione di coscienza, patrimonio peculiare della cultura pro-testante, modifica negli anni del post-Concilìo il suo atteggiamento, giun-gendo a definirla, al convegno Evangelizzazione e Promozione Umana,« scelta preferenziale del cristiano »: la Cardias Italiana diviene in brevel'ente convenzionato con il maggior numero di obiettori in servizio, 285alla fine del 1980. In pochi anni il servizio civile alternativo a quello mi-litare si impone come scelta privilegiata non solo per i non-violenti e gliantimilitaristi « storici », ma per tutti quelli che vogliono testimoniare con-cretamente la loro volontà di pace e di servizio alla comunità.Gli uffici del Ministero della Difesa si trovano ben presto sommersi dauna massa di domande cui non riescono a far fronte. L'incapacità di gè-

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stione amministrativa della legge si riflette già nei primi anni della suaapplicazione negli enormi ritardi con cui vengono evase le domande degliobiettori, doppiamente penalizzati in questo modo, oltre che dalla mag-gior durata del servizio, da mesi, quando non anni, di incertezza sull'ac-coglimento della domanda e sulla destinazione di servizio. La Commissio-ne Ìnquisitrice, nell'impossibilità dì un colloquio personale con ogni ri-chiedente, rinuncia al suo ruolo di garantire la sincerità dell'obiezione eassume quello di controllo politico e numerico del fenomeno, fondandoi suoi giudizi esclusivamente sui rapporti dei Carabinieri. *Dopo numerose proteste il Ministero della Difesa interviene nel settembredel 79 con una circolare, disponendo che dopo ventisei mesi dalla doman-da gli obiettori possono essere posti in congedo indipendentemente dalperiodo dì servizio effettivamente prestato. L'amministrazione della Difesariconosce così con incredìbile naturalezza le proprie inadempienze e l'in-capacità dei propri uffici a far fronte ai loro compiti. Ma anziché affron-tare e risolvere queste disfunzioni, scarica le sue insuffcienze sul serviziocivile che viene in questo modo depauperato e umilia esperienze e aspi-razioni degli obiettori, equiparando lo starsene a casa alla prestazionedel servizio. Rischia infine di minare la credibilità della scelta dell'obie-zione attirando ad essa approfìttatori ed opportunisti con la prospettiva,non tanto remota, di adempiere gli obblighi militari in pochi mesi.Nel caos attuale di leggi mal formulate, di gestione amministrativa falli-mentare e spesso scorretta e di tentativi di sabotare un fenomeno sem-pre più scomodo, non stupisce che a pagare siano coloro che chiedonosoltanto di fare un servizio senza subire compromessi e ingiustizie. E' ilcaso di Luca Rondini, riportato anche sull'ultimo numero del « Margine »,e di altri obiettori finiti davanti ai Tribunali Militari per aver denunciatocon il loro comportamento le inadempienze del Ministero e le ingiuste di-scriminazioni cui sono sottoposti.

...e arriva l'attivissimo Lagorio

A mettere ordine in questa situazione ormai insostenibile interviene final-mente l'attivissimo ministro Lagorio con un disegno di legge di riformapresentato al Senato il 21 settembre dello scorso anno. Esso nasce dalla« constatazione degli inconvenienti e delle disfunzioni » palesatisi nei no-ve anni di applicazione della legge in vigore, « tali da renderne indispen-sabile la revisione ». Le principali carenze della normativa in vigore vengo-no indicate nella difficoltà di un utilizzo rapido ed efficace degli obiettorie del reale accertamento della sincerità delle loro scelte. Ed ecco la te-rapia proposta.Gli obiettori verranno a dipendere dal Ministero dell'Interno che li im-pegnerà nei servizi di protezione civile e avrà l'onere del loro manteni-mento. In pratica verranno inseriti nel corpo militarmente ordinato enelle strutture dei Vigili del Fuoco. Unica possibilità alternativa ammessa,a discrezione del Ministero, è l'assegnazione al servizio di accompagna-

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mento dei grandi invalidi dì guerra e del lavoro, tutto quello che Lago-rio riesce ad immaginare nel campo dell'assistenza. Con questa nuovalimitante disciplina si misconoscono le potenzialità e le ricchezze espres-se in questi anni da numerose esperienze di servizio presso enti con-venzionati nei campi dell'assistenza ad anziani, emarginati, tossicodipen-denti e si costringono alla chiusura significative iniziative di volontaria-to. La scelta di Lagorio realizza inoltre una palese discriminazione tracittadini in base a motivi dì coscienza, se si pensa che è già possibileassolvere gli obblighi di leva nei Vigili del Fuoco e che l'accompagna-mento dei grandi invalidi può essere disimpegnato da soldati di leva,senza l'onere della maggior durata di quattro mesi del servizio.Ma la drastica riduzione delle possibilità del servizio civile non è l'unicorisultato di questa nuova disciplina. L'amministrazione della Difesa silibera in questo modo del peso burocratico e soprattutto economico del-la gestione degli obiettori che non vengono più a gravare né per la pa-ga, né per l'equipaggiamento, né per il mantenimento sul suo bilancio.In questo modo Lagorio riesce ad aumentare di fatto il bilancio del suoMinistero a spese dei « fondi per l'assistenza » del bilancio dello Stato,che vengono per legge destinati al mantenimento degli obiettori.In che considerazione sia tenuta l'obiezione di coscienza emerge anchedalla norma che concede agli obiettori « pentiti » di passare al serviziomilitare anche dopo mesi di servizio. Analoga possibilità non è però pre-vista per i militari di leva: l'evolversi della coscienza è riconosciuto asenso unico.Novità rispetto alla normativa Vigente sono previste anche riguardo lavalutazione delle domande. Scompare nel progetto Lagorio, ed è un gros-so passo avanti, la discriminazione tra i diversi motivi alla base dellascelta di obiezione. Questa viene valutata soltanto in base a parametrioggettivi quali il possesso di armi, condanne per violenza, ecc. Ma sequesta previsione farebbe pensare ad una valutazione presuntiva delledomande, ecco che negli articoli successivi rispunta, in edizione rivedutae corretta, la commissione ìnquisitrice: ne è istituita una per ogni Pre-sidio Militare. Difficile immaginare una funzione della commissione chenon sia quella di impedire la crescita del fenomeno dell'obiezione: nonsono necessari certo esperti in psicologia o in discipline morali per unsemplice e oggettivo esame documentale. Il sospetto che nasce dalla con-statazione di questa contraddizione interna al disegno di legge è confer-mato dall'esame di una norma successiva ove si prevede che in mancan-za di una risposta della commissione nel termine di sei mesi, la doman-da è da intendersi respinta. Che l'obiettivo del ministro della Difesa siaquello di bloccare l'obiezione di coscienza, non è più soltanto un'impres-sione se si pensa che nella relazione introduttiva al disegno di legge laprevisione di spesa è fatta sull'ipotesi di 1000 obiettori in servizio per il1982. Pochi obiettori, senza oneri per il Ministero della Difesa anzi conun suo vantaggio economico, servizio civile limitato e mortificato: è que-sta dunque l'« obiezione secondo Lagorio ».

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Ma non è una lotta corporativa

Ora il disegno di legge è all'esame del Parlamento. Già si sono alzate leproteste del movimento degli obiettori e degli enti civili convenzionaticon il Ministero. Ma deve essere chiaro che la battaglia contro questadisciplina riduttiva, punitiva e discriminatoria non riguarda solo alcunigiovani particolarmente impegnati o sensibili; è tutt'altro che una lottacorporativa per un trattamento più o meno favorevole. E' sull'effettivoriconoscimento del diritto all'obiezione che si misurano la capacità e lavolontà di una classe politica di garantire e promuovere spazi reali dipluralismo e di rispetto della coscienza di tutti i cittadini.In Parlamento giacciono da tempo inutilmente in attesa di esame altritre progetti di riforma della legge attuale: di iniziativa rispettivamentedi deputati radicali, della Democrazia Cristiana e della Sinistra Indipen-dente. Tutti, pur con diverse sensibilità e accentuazioni, prevedono l'abo-lizione della commissione ìnquisitrice e introducono il principio della va-lutazione presuntiva delle domande, basata su dati oggettivi. Smilitariz-zano completamente il servizio civile e ne prevedono il finanziamento tra-mite un Fondo Nazionale alimentato da una riduzione del bilancio mili-tare proporzionale al numero degli obiettori. Prevedono inoltre un servi-zio civile presso enti di utilità sociale, coordinato, programmato e gesti-to dagli obiettori stessi con il concorso delle forze sociali e politiche.Il materiale per un confronto e per la discussione parlamentare nonmanca. Sarà una prima importante verifica di come i solenni quantoscontati impegni di pace sbandierati da tutti i partiti sapranno tradursiin segni concreti, in comportamenti politici coerenti. Vedremo quantoconteranno di fronte alle esigenze militari e ai calcoli di partito la vo-lontà di pace del Paese, il rifiuto della violenza e la coscienza semprepiù diffusa e matura della possibilità di servire la comunità senza learmi. Sapremo allora se, Lagorio permettendo, sarà possibile pensare unoStato senza esercito e dare la propria testimonianza e impegno di pacesenza privilegi o discriminazioni e senza per questo rischiare ancora lagalera. •

Ma la guerra è proprio inevitabile?

Il cardinale, il «vescovo rosso», i profeti disarmati.»di ROBERTO LAMBERTINI

Uno dei tanti ruoli positivi svolti dai movimenti per la pace risvegliatisinelTSl soprattutto in Europa è stato quello di mettere in imbarazzo leposizioni tradizionali e le griglie interpretative « classiche ». Forse l'ana-lisi dei modi in cui questi movimenti sono stati sulle prime dileggiati epoi idoleggiati (addirittura dagli stessi giornali!), oppure costantementediffamati tentando così di « smascherare » la presunta natura a senso uni-co, meriterebbe, da solo, un articolo. Mia intenzione, però, è invece quel-la di mostrare due esempi, spero paradiginatici, di incomprensione e diimbarazzo teorici nei confronti dei movimenti per la pace. Lo spunto miè offerto da un discorso del presidente della Conferenza Episcopale del-la RFT, card. Hoffner, pubblicato su Regno-Documenti 21, 1 clic. 1981, in-titolato II problema della pace alla luce della fede cristiana, e dall'arti-colo di Massimo Cacciali C'è il'rischio che sia troppo pacifico, apparsosu Pace e Guerra, die. '81.

Hoffner: la pace non è di questo mondo

L'argomentazione di Hoffner parte da una distinzione fondamentale: trala pace eterna e la pace, potremmo dire, di questo mondo. La pace eter-na della fede, in quanto « espressione della salvezza messianica », vienposta nella tensione tipica dell'opera di redenzione, tra « già e non an-cora », proiettandosi così nella sfera della storia della salvezza, ma nondella storia. Mentre la speranza in una pace costruita dall'uomo con le suemani appare soltanto una ingenuità che apre le porte al totalitarismo.Come esempio di ciò vien portata la realtà sovietica, presentata con ci-tazioni tutt'altro che serene di Glucksmann e Levy, noti « nuovi filosofi »francesi.Non si da quindi pace eterna nella storia, secondo Hoffner; ciononostanteil credente è chiamato ad impegnarsi per la pace di questa terra, anchese « a cominciare dall'età moderna l'idea di pace ha in gran parte per-duto il suo fondamento religioso, divenendo soggetta, proprio in seguitoa ciò, al rischio dell'ideologia, della demagogia e della manipolazione ».Per caratterizzare questa pace terrena se ne enumerano quattro facce:pace con Dio, pace con se stessi, pace nella società e nello stato, pacetra i popoli. Trascuriamo i primi tre aspetti, autorizzati anche dal fatto chel'arcivescovo di Colonia non dedica loro molto spazio, né si chiede se

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siano date le condizioni della loro realizzabilità, come invece farà, im-plìcitamente, con la pace tra i popoli. Il primo riferimento della tratta-zione di quest'ultimo punto è alla dottrina tradizionale della guerra giu-sta, sviluppata da Tommaso su uno spunto di Agostino, nonché alla de-plorazione dei disordini morali causati dalla guerra. Quest'ultima, checresce di crudeltà proporzionalmente all'allontanamento dell'uomo da Dìo,ha raggiunto il culmìne della sua distruttività con la guerra nucleare. Aquesto punto H lettore si aspetta una discussione della applicabilità delladottrina tradizionale della guerra giusta all'odierna situazione nucleflredal momento che alcune dichiarazioni, di Benedetto XV e di Pio XII, in-dicano già la strada di un superamento. Al contrario, l'attenzione si ri-volge alle posizioni dì quella parte del movimento per la pace di ispira-zione cristiana. Il famoso slogan Frieden schafìen ohne Waffen (fare pacesenza armi) viene tacciato dì « emozionalismo » ed accostato, senza argo-mentazione alcuna, ad una citazione di Paolo VI che parla di « pacifismotattico che narcotizza l'avversario da abbattere ».Il discorso della montagna, poi, secondo Hoffner non andrebbe frainteso:l'esortazione di Cristo alla riconciliazione non sopprimerebbe l'ordine edil diritto. « Non invano l'autorità porta la spada; è infatti al servizio diDio per la giusta condanna dì chi opera il male {Romani 13,1-4), I go-vernanti sono impegnati a difendere la vita e la libertà dei cittadini con-tro ingiusti aggressori ». Su questa base Hoffner costruisce poi tutta lastruttura portante dei suoi dieci criteri della costruzione della pace ter-rena, che qui non riassumiamo; basti dire che, pur riconoscendo che laguerra non è un mezzo efficace per risolvere i conflitti, Hoffner riprendein pieno la dottrina della guerra giusta, all'interno della quale ha postoanche l'ammissibilità di armi nucleari date "le minacce cui attualmenteè soggetto uno stato ". Lasciamo da parte il fatto che in nota ci si riferi-sce esclusivamente alla minaccia rappresentata dall'Armata Rossa; ci pre-me soprattutto sottolineare come, rifiutata l'idea del disarmo unilateraleperché in contrasto con il diritto all'autodifesa, a Hoffner non resti cherinviare all'istituzione di un organismo sovranazionale..., sul modello chefu proposto per la prima volta dalla « Santa Alleanza » (sic!) ed oggi in-carnato, non senza difficoltà, dall'Onu, Così la conclusione inevitabile deldiscorso di Hoffner è che « la violenza e la guerra minacceranno costan-temente l'umanità », affermazione che crediamo di poter interpretare ne)senso che la guerra è una realtà inestirpabile da questo mondo.La conclusione non ci stupisce, anche perché è riconoscibile come puntodi partenza dell'argomentazione, quando la pace messianica viene messafuori gioco confinata alla fine dei tempi ed impossibilitata ad agire nel-la Storia. Questa mancanza di fiducia nella efficacia attuale, storica del-la redenzione dell'uomo inficia di sé tutto quanto il testo, che si preclu-de ogni prospettiva profetica dell'annuncio cristiano della pace.DÌ conseguenza, Hoffner per tutto il discorso si sforza di dipingere l'URSScome nemica della pace, con gran dovizia di citazioni da Lenin, senza ri-cordarsi dell'imperialismo americano; idoleggia un passato in cui l'uomoera più vicino a Dio e conduceva guerre meno crudeli; attribuisce adideologie materialiste la responsabilità della guerra, mentre sappiamo be-ne che la cristianità non era certo stata capace di eliminarla. Ma que-

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sto è poco rispetto alla totale insensibilità per il contenuto di annuncio,di evangelo, proprio della prassi dei cristiani: il cardinale si diffonde suidiritti alla difesa, sacrosanti, ma non si immagina neppure la possibilitàche i cristiani possano liberamente rinunciare a questo diritto per aiu-tare l'umanità e testimoniare così la loro fede, così come alcuni rinun-ciano alla proprietà, che pure è un diritto, per le medesime ragioni. Enoi rimaniamo aperti al rischio che la prossima guerra atomica troviperfino un teologo che ne provi « la giustizia »...

Cacciar!: se vuoi la pace, armala

Massimo Cacciar!, diversamente dal cardinale tedesco, si mostra tutt'al-tro che ostile al movimento per la pace e lo difende contro chi cerca diinterpretarlo a senso unico. Fa le sue osservazioni, che sono più pro-poste che non critiche: il movimento deve cercare di superare la ten-denza conservatrice che può annidarsi in ogni pacifismo, e cioè quella diaccontentarsi del mantenimento dello status quo, senza cercare le viedi un superamento delle cause latenti di conflitto; il movimento può pen-sare ad una credibile Europa pacifista solo se progetta un mutamentodella politica europea nei confronti del terzo mondo. Per il brillante ideo-logo della riscoperta del pensiero negativo il movimento per la pace èun fenomeno degno del più grande interesse, ma non senza una fonda-mentale riserva: il suo pacifismo. Può sembrare paradossale, ma per Cac-ciari il punto debole del movimento è quello dì fare della pace un valoreassoluto e di avvicinarsi così alla* posizione non violenta, secondo la qua-le in via di principio è inammissibile ricorrere alle armi per dirimereogni tipo di conflitto. « Mettere fuori legge la guerra », argomenta Cac-ciari, è uno slogan utopistico: « Poiché — piaccia o no — è stata la guer-ra finora il fondamentale produttore di Diritto, o, almeno, nessun nuovoDiritto si è affermato senza la catastrofe della guerra. E perciò oggi undiscorso pacifista assoluto (...) minaccia di trasformarsi in utopia impo-tente, in ideologia ». La pace va dunque armata, e non senza una puntadi rammarico bisogna riconoscere che un movimento pacifista serio de-ve porsi il problema di una seria politica militare, perché la pace siapiù forte della guerra, e non solo in senso metaforico. Che qui Caccialipensi ad un'Europa libera dall'ombrello atomico americano, non cambiamolto e il suo discorso non troverebbe grossi dissensi tra i generali del-la Nato o del Patto di Varsavia, se non sulla direzione in cui puntare imissili. Discepolo del suo Nìetzsche, Cacciar! non può che insorgere con-tro l'assolutizzazione di un qualche valore, fosse anche la pace, perchépropone l'illusione che ci sia una sintesi capace di superare l'eterno con-flitto che a suo dire è la storia; ma finisce per riproporre il vecchio mottosi vìs pacem, para bellum, perché se la pace deve essere, a suo dire, piùforte della guerra, deve essere disposta a far guerra a chi vuole la guerra.Scusate il gioco di parole, ma siamo daccapo. Resta aperta la domandasu come si possa chiedere ad un movimento pacifista di rinunciare alpacifismo per farsi portatore dell'ideale di una Europa occidentale, nuo-va potenza mondiale indipendente dagli Stati Uniti, ma penso che soloCacciari potrebbe rispondere.

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L'equivoco fondamentale di Hoffner e Cacciali

Entrambi questi a interlocutori » dei movimenti per la Pace hanno in co-mune la convinzione che una pace che non sia tregua è un'illusione: laguerra c'è sempre stata, c'è e ci sarà sempre. D'altra parte, per quantoplausibile, questa convinzione non è dimostrata da nessuno dei due, chesi limitano a far presenti casi in cui essa appare inevitabile come mezzoper realizzare fini giusti, quali, per mantenersi nel paradosso, la jpce.Mi sembra che la posizione dei pacifisti prenda invece le mosse dallaconstatazione che la guerra nucleare porta all'evidenza quella che è sem-pre stata l'essenza della guerra come mezzo: di pervertire i più nobilifini per cui viene usata. La guerra non ha mai risolto i conflitti, o lo hafatto creandone di nuovi. Inoltre, si va approfondendo la coscienza delladivergenza di interessi tra chi fa la guerra, e ne soffre, e coloro che fan-no fare la guerra agli altri e ne profittano. Si vanno insemina risco-prendo i vecchi slogans pacifisti dei socialisti d'inizio secolo, con l'unicadifferenza che non si crede più che accanto alle guerre borghesi ingiustece ne siano di giuste, di « ultime » che porteranno infine la pace.I signori della guerra hanno sempre mascherato le guerre da mali ne-cessari per la soluzione di conflitti, mentre erano interessati tutt'altro chea queste soluzioni, bensì all'utile che a loro veniva, a detrimento di chifaceva la guerra per loro. Nel caso della guerra nucleare sarebbe tuttal'umanità a subire questo danno e questa beffa.

Giaculatorie ìdeologlche e scelte fondamentali

Di fronte a questa situazione, molti credenti si sono stancati di ripetereche la guerra è conseguenza del peccato (continuando a farla) e comin-ciano a pensare all'opportunità di astenersi già da subito da quel pec-cato che è la guerra. Molti uomini, pur coscienti delle cause strutturaliche portano alla guerra, hanno iniziato a temere che l'umanità nuova(quella che creerà la società perfetta) non possa neppure nascere, se laprossima guerra mondiale scoppierà e pensano seriamente ad iniziare lacura dai sìntomi, dal momento che la cura più approfondita rischia didurare più a lungo della vita del paziente! Non credo che si potrannofacilmente lasciar convincere da qualche giaculatoria ideologica, ripeti-zione di formule stantie che semplicemente non colgono il nocciolo delproblema, la sua radicalità. Li si può forse accusare di ingenuità, di mo-ralismo, di mancanza di realismo. Può darsi che la loro scelta sia piùdisperatamente lucida; probabilmente sanno di non avere molte possibi-lità, sanno che il loro progetto può andare in frantumi. Se falliranno, laconseguenza più grave cui possono andare incontro è la morte, il me-desimo destino che ci prepara la logica dell'armamento e della guerra,senza dubbi. E se sì deve morire, forse è meglio farlo amando l'umanitàche odiandola, se morte deve essere, meglio quella dell'ingenuo sognatoreche quella del carnefice.Ma non è detto che falliranno. •

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« Bolero » dì Claude LelouchRECENSIONE

Chi danza sulla pedana rossa?di FABRIZIO MATTEVI

« Ritornato in sé, l'uomo consideri quello che egli è in confronto a ciòche esiste; che si veda come sperduto in questo remoto angolo del mon-do e che, da questa piccola prigione in cui si trova, voglio dire l'universo,impari a stimare nel giusto valore la terra, i regni, la città e se stesso »(Pascal).

Preoccupati come siamo di trattenere unite le fila della quotidianità, qua-si si dovesse ordire il tempo con l'uncinetto, a stento facciamo caso alnostro vivere, che di minuto in minuto si va compiendo. Tra un drittoed un rovescio, attenti a non lasciare cadere le maglie dal ferro, solo ra-ramente consideriamo il procedere del lavoro. Per lo più si seguita asferruzzare, macchinalmente, testardamente, senza avere però un disegnoda ricalcare. Si procede alla cieca, come cavalli da tiro.Ma accade a volte, tra il brulichio di gente su di una piazza o nelloscompartimento di un treno in corsa, di fermare le mani e restare aguardare, in assoluta immobilità, questo immenso lavorìo, quasi che, perun attimo, fossimo lasciati « così come una cosa posata in un angolo edimenticata ».Sono esperienze rare in cui, come osservatori neutrali alla finestra delmondo, si vedono scorrere la vita e la storia, di ciascuno e di tutti: nel-l'estasi di un istante si ricapitola, in una visione allucinata, l'universo in-tero. Spezzati i legami con il mondo, tutto ci sta davanti come cosa nonnostra. E la contempliamo. Pare di distinguere il fragore potente dellavita che scorre attraverso i secoli, da tempi innumerevoli. Si vedono pas-sare in quei flutti vorticosi le singole esistenze, come foglie gracili inbalìa della- corrente. La storia rotola da millenni come una valanga cheraccoglie su di sé, disordinatamente, tutto ciò che incontra, frantumandoogni ostacolo che pretende di opporvisi.Così, ad un essere venuto da chissà quale galassia, appare la terra ne)suo incessante arrabbattarsi per il futuro: un caotico formicolare di mo-vimenti. Ecco passare sui vetri schermati della sua navicella mille e mil-le borghi, villaggi, città e metropoli e sperduti casolali in un disordinedi monti, fiumi, pianure ed oceani. E là, in ogni dove, pulsano innume-revoli punti neri, ciascuno con nome, cognome, data di nascita, profes-sione e segni particolari. Un ghirigori di persone disseminate per il mon-do come, d'estate, un pugno di mosche ai vetri di una finestra.

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E pure ognuno di quei monotoni punti reca con sé un appassionato ba-gaglio di ricordi, fatto di una lunghissima teoria d'istanti irripetibili: gio-ie, dolori, speranze, fallimenti, avventure, banalità; un bagaglio pesantecome quello che anch'io mi porto addosso. Ma osservato dall'alto, a di-stanza, in questa sterminata varietà tutto appare uguale e ripetuto, quasifossero copie di un unico modello: una fune tesa nel vuoto tra la nascitae la morte, su cui ciascuno compie le sue impacciate acrobazie. Così, pa-rimenti medesimi, risultano i mille e mille visi che compongono il viavaidi folla all'ora di punta su di un viale metropolitano, su di un tramTaistrapieno o ai cancelli della fabbrica e dello stadio.Miliardi di vite parallele, essenziale ciascuna per il suo protagonista esconosciuta a tutti gli altri, che di quando in quando e senza sosta siincrociano, si scontrano, si toccano, si uniscono, si confondono.L'uno e tutti gli altri: l'uno di ogni unico, irripetibile indivìduo tra gliinfiniti altri anonimi; l'uno del modello che tutti gli altri noi ripetiamoin altrettante personali interpretazioni, come protagonisti di un fibra dicassetta.

Tra novità e ripetizione, presente ed eternità

«L'uno e tutti gli altri» è il titolo francese di «Bolero», ultimo lavorodi un regista assai noto, Claude Lelouch.Un uomo ed ima donna, il cui nome non ha importanza, si conosconoe si amano in Russia, mentre già si caricano le armi che detteranno leg-ge per gli interminabili anni della seconda guerra. I due si sposano e,come loro, due tedeschi, due francesi e due americani. Partecipiamo asprazzi le loro storie e quelle dei loro figli e dei figli dei figli, lungo letre ore di proiezione, come se per caso ci fosse capitato tra le maniqualche loro sbiadito album di fotografie.Ecco l'immagine di un matrimonio: una scena normale, di sempre, e pu-re, per quelle due persone, straordinaria ed unica. Di nuovo quell'impres-sione incerta, confusa e sgradevole, una distorsione ottica dovuta allalontananza del punto di osservazione: ciascuno vive, per la prima volta,il solito schema di sempre, che si ripete. Infiniti protagonisti per un me-desimo canovaccio.Su queste grige trame quotidiane la storia dipana la sua tela di ragno,la mirabolante e ridicola avventura del progresso.Mentre sullo schermo scorrono scene di vita già note, cade, come un ma-cigno pesante tra questi mìei pensieri, la domanda attorno al senso del-l'esistenza: sul donde e sul verso-dove dell'uomo. Donde viene? Dove muo-vono le sue giornate? Quale libertà gli è data? E libertà per che cosa?Anche questi interrogativi rientrano nell'usato e abusato schema dellavita di ciascuno.E' l'assurda dannazione di Sisifo: riportare sulla vetta del monte unapietra che seguita a ricadere. L'uomo cerca di capire, ma invano, comechi vuole impugnare l'acqua.

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Ma pure, malgrado l'ignoranza sulle sue sorti, l'uomo trascina avanti lasua storia, ripetendo le piccole azioni di ogni giorno: procurarsi il cibo,riposarsi, affaticarsi per il proprio lavoro, preoccuparsi dei suoi cari,appassionarsi alla sua intimità. Perché dunque la quotidianità? Quale filoremoto lega lo sciacquio dei piatti nel catino, il tonfo della pressa pneu-matica, il ticchettìo della calcolatrice al moto silenzioso degli astri nel-l'universo? Così sta la nostra esistenza, sospesa tra il presente di sempree l'eterno. E così sì va avanti, attendendo un domani più lieto. « Quellavita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che nonsi conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il casoincomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà lavita felice », dice, in un'operetta di Leopardi, il passante al venditore dialmanacchi.

Libertà e destino

Ma forse l'uomo non è padrone dei suoi pìccoli gesti, piuttosto è la vitache s'impadronisce dì lui e lo costringe ai suoi ritmi. Il film mi sembrainsista sull'impotenza e la soggezione umane.Grava sulle nostre azioni il richiamo del sangue e l'ingombro della tra-dizione. L'inconscio collettivo, sedimentatosi nel tempo, proibisce e legit-tima. I figli portano impresso sulle loro carni il marchio di quella geni-tura, di fronte a cui ogni ribellione è vana. Tra gli interstizi delle deci-sioni alitano il senso comune, l'opinione pubblica, il conformismo dellamoda, le comunicazioni di massa, i condizionamenti sociali.Che ne è allora dell'individuo in un simile garbuglio di reti? E' solo imi-tazione l'avventura dell'esistenza? « E noi andremo innanzi senza smuo-vere un sasso solo della gran muraglia; e forse tutto è fisso, tutto è scrit-to, e non vedremo sorgere per via la libertà, il miracolo, il fatto che nonera necessario! » (Montale).Vive forse l'uomo in balìa della fortuna, vittima del caso, preda del de-stino? Quasi fossimo personaggi di un romanzo di cui il finale è stato de-ciso a nostra insaputa. La nostra vita è dunque nelle mani di un prin-cipe potente e tiranno, che con i suoi editti governa il corso del tempo?Il film, di cui, anche se non pare, io seguito a parlare, raccattando pen-sieri ed emozioni vissute alla rinfusa, inizia e si conclude con una scenaemblematica. Su di una grande e rotonda pedana rossa un ballerino conun corpo bello e forte, ed una selvaggia chioma bionda, danza a torsonudo, inseguendo nei movimenti le note del « Bolero » di Ravel: un ritmonervoso e martellante, ossessionante come una musica primitiva, che op-prime d'angoscia ed insieme coinvolge, promettendo un finale potente epieno. Quel corpo si muove in un crescendo di foga, si agita in tutte lesue membra, si tende nell'aria sullo sfondo notturno di una città.Attorno alla pedana sta un cerchio di uomini piegati sulle ginocchia, ilcapo chino, le braccia tese in alto con le mani congiunte. Quella circon-ferenza di uomini trova il suo centro in quel corpo che balla, tracciandonell'aria con i suoi movimenti linee di geroglifici e segni cifrati, che se

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pur incomprensibili, rivelano una magica armonia. Ma chi è quell'essereche danza sulla pedana dell'esistenza calpestando gli uomini che ne sonoprotagonisti? Chi regge le fila della vita come il burattinaio dietro lequinte? E' la vita nella sua potenza istintiva ed animale, nella sua ener-gia creatrice? E' il destino cieco e crudele che non conosce ragioni? E'la storia nel suo procedere disordinato e sofferto? O sono forse tuttequeste tre forze, unite insieme in un medesimo enigma? Chi regge ilbandolo dell'esistenza umana e ne determina i balzi in avanti, le pause,i ritorni e gli scarti improvvisi?Cosa è concesso all'uomo se è costretto sotto il giogo di simili domini epotestà? Quanto contano scelte, volontà, decisioni? A chi importa, a chiserve se un uomo accetta di abbandonare vicino ad una stazione ferro-viaria il figlio appena nato, per salvarlo dagli orrori del campo di con-centramento, di partire volontario per la guerra, di amare un compagnoper la vita intera, di allevare un bambino trovato abbandonato per strada?Forse tutto si spiega con il retaggio della morale dei padri o l'influsso dipotenze arcane?Si apre qui quella pagina bianca che ogni uomo deve riempire con il suoatto di fede, qualunque esso sia. A chi si rifiuta di scrivere rimane ilconforto della disperazione o dell'alienazione.

Le ipocrisie della guerra

Frattanto, là sullo schermo, divampa la guerra, la seconda grande guerra:l'alterigia del nazismo, l'invasione della Francia, l'intervento degli StatiUniti. Gli uomini partono per fronti contrapposti, mentre si avvia la lan-cinante attesa delle donne. Alla fine qualcuno farà ritorno, altri non silascerà più rivedere.Come appare diversa la storia se, dimenticata la litania delle grandi im-prese, la si guarda attraverso le lenti degli avvenimenti quotidiani. Quila retorica ufficiale non trova posto.La guerra non conosce buoni e cattivi, ma solo violenza, terrore e soffe-renza dovunque. Uomini sballottati per terre sconosciute a difesa diideali più o meno consapevoli. S'invade la Francia in nome della razzaariana, si occupa la Polonia in nome della rivoluzione bolscevica, si sgan-cia la bomba atomica in nome della libertà. Le bandiere sventolano suipennoni, mentre a terra giacciono i corpi di migliaia di uomini. E perciascuno di quegli sconosciuti, qualcuno, ignorato da tutti, piange in si-lenzio. Quanto è alto 51 prezzo delle idee. Esse esaltano e riscattano lavita urnaoia ed insieme la opprimono e la distruggono. Ma non si da re-denzione per alcun ideale se sostenuto con la forza ed il soppruso.E quanto è assurda la logica della vittoria: liberati i prigionieri di ieri,si rinchiudono i nuovi prigionieri nelle gabbie delle condanne storiche edei pregiudizi.La giovane donna che ha avuto un figlio da un soldato tedesco è costret-ta al suicidio dal disprezzo dei genitori.La comunità ebraica di New York boicotta il concerto del grande diret-

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tore d'orchestra tedesco che combattè nelle fila dell'esercito hitleriano.Non voglio prendere posizione su questioni moralmente tanto contro-verse, ma è pur vero che spesso in nome della giustizia si condannanogli innocenti.Nel riempire le pagine bianche dell'esistenza con i loro « io credo » gliuomini commettono sempre molti gravi errori.

Il sogno dell'artista

Terminata la guerra, avviata la ricostruzione, balza sulla ribalta una nuo-va generazione: più ricca e potente, ma anche più annoiata e più fragile.La tenacia, il coraggio, la forza di un tempo sembrano sbiadite.Si dura fatica a riempire di propositi e progetti le proprie righe bianche.Ma proprio questo vuoto di promesse, a malapena celato da un inspe-rato benessere, rende ancora più ansiosa l'aspirazione a quella pienezzadi vita che sta sempre al di là di ogni presente. I padri riuscivano an-cora ad accettare la normale quotidianità con le sue leggi inesorabili. Oral'anonimato si è fatto opprimente e la propria felicità diventa un'osses-sione. Tra le catene di montaggio, gli uffici grigi degli impiegati, i labirintidei supermarket, si diffonde il mito dell'eroe, della star, del personaggiocelebre. La vita diventa una rincorsa affannosa del successo. Non im-porta se il cancro corrode le carni, ciò che conta è seguitare a sentirel'applauso di un pubblico.Ma dietro a queste scelte non sta solo l'illusione del prestigio, ma qual-cosa di più profondo: il tentativo di fare della propria vita un'avventuraeccezionale, un evento unico sciolto dalla tristezza della ripetitività. E' ilsogno dell'artista che insegue il suo capolavoro, per sfuggire a quella mo-notonia di accadimenti in cui le singole esistenze sembrano consistere.Ciascuno degli infiniti punti neri dell'orizzonte spera dì risaltare tra glialtri in neretto, per non essere dimenticato. Forse non a caso quasi tut-ti Ì protagonisti di questo film, che confonde tra loro svariate esistenzeanonime, sono uomini di spettacolo: ballerini, musicisti, cantanti.Di contro all'impotenza di sempre l'artista è colui che sa creare un'operacompiuta, significativa, perfetta. Lui inventa una totalità e la costruiscecon il suo ingegno e la sua abilità. E' signore della materia e ad essa daforma. Il musicista possiede il suo strumento, il ballerino il suo corpo,il cantante la sua voce. In quelle esperienze l'universo caotico si ricom-pone in linearità ordinate ed armoniche. Ogni particolare trova il suosenso, nulla si da d'inutile od assurdo. L'uomo è divenuto creatore direaltà, artefice di pienezza.

Ma pure, nonostante questi umani tentativi di onnipotenza, sulla pedanarossa, quell'essere misterioso continua a danzare. Nella notte nulla di-sturba il rumore sordo dei suoi passi ritmati.« E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia / com'ètutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / cheha in cima cocci aguzzi di bottiglia» (Montale). B

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La storia di un rapporto sempre dialettico

Giovani e Chiesadi MARCELLO FARINA

In un ben articolato covegno, alla fine del dicembre '81 presso l'Univer-sità salesiana di Roma, si è discusso a lungo sul tema « Chiesa e Gio-vani ». Il convegno era rivolto a educatori ed operatori pastorali ed ave-va lo scopo di ripensare l'identità e la missione della comunità cristianain ordine alla accoglienza, promozione ed educazione della fede dei giovani, nell'attuale situazione culturale e sociale.A parer mio è stato un incontro positivo, sia per l'ampio dibattito dicui è stato promotore, sia perché esso si è sviluppato in un clima difidiicia e di interesse positivo nei confronti dell'« oggetto » del discutere,i giovani appunto. E questo non è da sottovalutare oggi, in un periodoin cui la grande stampa italiana e i mass-rnedia di larga diffusione stan-no facendo a gara per descrivere il mondo giovanile come un luogochiuso e impenetrabile e i giovani come coloro che non hanno più nien-te da dire e il cui unico compito è quindi quello di tacere.L'invito del padre Sorge, proposto all'inizio del convegno con molto ca-lore a tutti Ì presenti, di « ascoltare » i giovani, perché essi sono le « an-tenne della storia », è stato come il filo conduttore del lavoro svolto, chepuò essere articolato in tre domande fondamentali:— quale messaggio lanciano oggi i giovani alla Chiesa?— come sta delineandosi l'aiteggiamento dei giovani nei confronti della

Chiesa?— quale Chiesa per i giovani?

A queste sollecitazioni sono state date varie risposte, che qui non pos-sono trovare che veloce, succinta sintesi.

Una nuova domanda di aggregazione giovanile

Questo dato macroscopico, anche numericamente rilevabile (si pensi cheda un'inchiesta di « Febbraio '74 » emerge che in Italia i gruppi giovaniliecclesiali sono diventati 8014 nel 1981!), è il primo elemento che meritauna approfondita considerazione. Nel proporlo padre Sorge, il noto ge-

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suita de « La Civiltà Cattolica », ha creduto bene di presentare una ana-lisi della recente storia dell'aggregazione giovanile in Italia, che spiegas-se le ragioni e il senso della nuova domanda in atto.

Questa storia va così sezionata:1. il primo periodo 1963-68 manifesta il processo di disgregazione del

mondo giovanile;2. il secondo periodo 1968-77 è quella della contestazione;Ì. il terzo periodo 1977-... ci presenta la ricomposizione del mondo dei

giovani.

1. Il 1963 può essere considerato emblematico per l'inizio della nostrastoria. Esso segna infatti la fine del miracolo economico, che fa esaurireanche l'equilibrio instabile tra capitalismo e democrazia e fa venir me-no tra la gente l'orientamento verso una comune scala di valori. Se nel1953, dieci anni prima, realizzare la democrazia e costruire la pace eranogli intenti fondamentali della società italiana, nel 1963 si cercano soprat-tutto beni di consumo (è il mondo delle famigerate tre « m »: mestiere,macchina, moglie).Anche per la Chiesa il 1963 è un anno emblematico. Muore Papa Gio-vanni, gli subentra Papa Montini; è in atto il concilio, che pone fine al" regime di cristianità " iniziato, in Italia, nel 1948. Si esaurisce il movi-mento che aveva alimentato il collateralismo e viene messa in luce unarottura culturale tra i giovani e la Chiesa. La fede non vuole più es-sere accettata come fatto di costume, cosi come la morale sessuale, cheviene boicottata.

2. Il '68 non va certo mitizzato, ma esso è il principio di una conte-stazione violenta ad ogni istituzione. Entrano in crisi famiglia, scuola, po-tere, chiesa. I giovani cercano l'inserimento nella società attraverso l'as-sociazionismo spontaneo e i mass-media, attraverso i grandi dibattiti ele assemblee. Lo slogan che domina è « l'immaginazione al potere! ».Anche la Chiesa viene travolta nel vortice della contestazione. L'incer-tezza e l'incomprensione, che caratterizzano la sua azione pastorale diquesto periodo, oltre ai suoi ritardi pastorali, hanno allontanato i gio-vani. Nascono i gruppi ecclesiali di base e insieme la fuga dei giovaniverso l'extraparlanientarismo. (Se nel '68 il 10% dei giovani si da all'extra-parlamentarismo, 1*84% di costoro dice di aver ricevuto una buona edu-cazione cattolica; moltissimi sono della FUCI).

3. Il 1977 da inizio a un terzo momento emblematico. Si accelera latrasformazione della contestazione da fenomeno di élite a fenomeno dimassa e violento. I giovani sono accomunati dalla rabbia, dalla disoccu-pazione (nel 1977 i disoccupati sono un milione e settecentomila, di cuiun milione e duecentomila giovani!). Il risultato delle elezioni del 1976non da ragione aì giovani e così essi si danno alla violenza: a Bologna,nel '77, tutt i i partiti e i sindacati sono bollati come « nemici del popo-

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lo ». Cresce il terrorismo. Sul piano religioso il contrasto con la Chiesaaumenta. I giovani si rendono sempre più indifferenti nei confronti del-la Chiesa.Ma insieme, verso la fine degli anni 70 e l'inizio del nuovo decennio, ilmondo giovanile comincia ad emettere segnali per una svolta che nascesotto il segno dell'ambivalenza, e che è perciò anche positiva.Dal punto di vista socio-culturale si ha da un lato la delusione dei gio-vani (fuga nel privato, ritorno di egoismo, fuga dalla responsabilità *i-vile, assenteismo!) e dall'altro rinascita di solidarietà, impegno, fiorituradel volontariato, dell'obiezione di coscienza; si ha simultaneamente richie-sta di piacere e richiesta di austerità.Anche nell'ambito della fede si parla di ritorno al " sacro "; nascono nuo-ve forme di associazionismo ecclesiale, si delinea un « ritorno » di moltigiovani alla Chiesa.Va certo tenuto presente che la crescita di religiosità è più qualitativache quantitativa, più frammentaria, certo più soggettiva. Ma questo nonci esime dal ricercare seriamente quali sono le richieste dei giovani neiconfronti della comunità ecclesiale. Oggi esse possono essere ricondotte,secondo padre Sorge, essenzialmente a tre:— richiesta di poter fare esperienza di fraternità e solidarietà;— richiesta di crescita umana in senso lato;— richiesta di fare esperienza di autentica fede religiosa.

Sarebbe certo miopia imperdonabile non rispondere a queste esigenze.

L'atteggiamento dei giovani nei confronti della Chiesa

Nei confronti della Chiesa i giovani non riservano un atteggiamento par-ticolarmente privilegiato. Come sono state rivalutate alcune istituzioni,come la famiglia, la scuola, così anche la Chiesa è stata riconsiderata.Se mai i giovani, oggi, si mantengono restii nei confronti di istituzioniche sembrano loro lontane, come i sindacati, i partiti ecc.Riguardo alla Chiesa sono però caduti alcuni " slogans " (chiesa di po-tenti, nemica del popolo, potere organizzato ecc.) e non solo da parte diquei giovani che nel passato avevano fatto esperienza di chiesa, ma an-che di altri (la maggioranza, spesso) che non avevano mai avuto rap-porti con l'istituzione ecclesiastica.Si può dire che i giovani oggi sono più possibilisti nei confronti dellaChiesa.Questa attenzione non è però priva di ambivalenza. Ad esempio, essipossono accettare la voce del Papa, ma non accettare le sue propostemorali; possono accettare un prete, ma non la Chiesa. Se il rapportogiovani-Chiesa guadagna in termini di tolleranza, viene però sacrificatoin termini di contenuto. Molte volte i giovani non hanno interiorizzatoalcuni fondamentali elementi per capire la Chiesa e questa non si è dataun volto più profondo.

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Essi hanno molte aspettative umane nei confronti della Chiesa; essa sem-bra rivalutata nel campo di supplenza sociale, più che nell'annuncio del-la Parola.Essi vogliono impegnata la Chiesa nel campo dei diritti umani, mentreviene quasi del tutto trascurata la sua funzione normativa o la sua azionenella comunità dei credenti.

Se ciò è vero, allora emergono alcune osservazioni interessanti:— si tratta di una vera e propria rivalutazione della Chiesa, superiore a

quella data ad altre istituzioni e strutture;— la carta di credito data alla Chiesa dipende però in gran parte dalla

crisi dei rapporti comunitarì;— non si da un servizio positivo su ciò che la Chiesa è e fa, ma su ciò

che la Chiesa potrebbe o dovrebbe essere e fare. E questa considera-zione è certo riduttiva della Chiesa, in funzione delle esigenze tipichedei giovani.

I giovani insomma sono refrattari ad una appartenenza totalizzante, cheviene vista più in termini di impoverimento che di arricchimento. Essisembrano defilarsi rispetto a scelte definitive: sono cani sciolti, senza col-,lare. Essi d'altra parte ricorrono alla Chiesa per avere una risposta alproblema della sicurezza, del senso della vita; essi ricorrono alla Chiesaper una serie di aspettative umane, che si possono chiamare « richiestedi servizi e di appartenenza », però con i caratteri sovradescritti. E quisi profila anche il compito della Chiesa di oggi, cioè la sua capacità diascolto, se c'è, ai segnali che vengono dal mondo giovanile.Soprattutto la Chiesa deve diventare luogo di testimonianza della fede,piuttosto che luogo di gestione del dato quotidiano; luogo di comunione,segno di realtà impensate. La Chiesa può essere fedele ai giovani, secrea le « precomprensioni » della fede, cioè una mentalità di « dono disé », di gratuità, dì « senso del limite » ecc., impegnandosi anche a par-lare un linguaggio comprensibile ai giovani, primo fra tutti il linguaggiodell'esperienza.

Quale Chiesa per i giovani?

Già le osservazioni ultime ci hanno introdotto ad una possibilità di ri-sposta.Il cardinal Pellegrino, nella sua intensissima relazione, dopo essersi chie-sto come i giovani oggi vedono la Chiesa e che cosa faccia o abbia fattola Chiesa per i giovani, si chiede: « Che cosa deve fare la Chiesa per igiovani? ». La sua risposta, qui riportata sommariamente, così si esprime:« La risposta a questa domanda si presenta, da una parte, facile, guardandoalle esigenze che s'impongono da sé come evidenti: avvicinamento personale ein gruppi, educazione umana, evangelizzazione e catechesi, aiuti alla maturazio-ne dell'uomo e del cristiano, formazione all'impegno apostolico e nelle realtàtemporali, campo specifico dei laici.

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Ma come affrontare in concreto tali impegni? Kinunziando a dare risposte esau-stive, si sottolineano urgenze che sembrano particolarmente evidenti. La for-mazione, come si accennava, d'una personalità -forte e matura, proponendoobiettivi di fondo. Per questo occorre che i "formatori" sappiano, con la ri~flessione illuminata dalla -fede, che cosa vogliono. Occorre presentare una con-cezione integrale del cristianesimo, senza riduttivismi né spiritualistici né socio-logici, mostrando come la religione entra in pieno nel complesso dei valoriumani per illuminarli, integrarli e potenziarli. Occorre presentare il messaggiocon parresia, pur tenendo conto della personalità dei singoli e dell'ambiente.Occorre non tanto parlare ai giovani ma con i giovani, instaurando un dialogoaperto e sincero, prendendo sul serio i loro problemi, cercando di capire il"genere letterario" del loro linguaggio. Occorre quel tanto dì umiltà che cipersuade d'avere anche noi, persone mature, qualcosa da imparare dai giovani.Occorre formare i giovani allo spirito missionario, con larghezza dì vedute, op-ponendosi risolutamente a quella tendenza alla " ghettizzazione " che apparepurtroppo diffusa. Occorre prendere sul serio i giovani, ma senza scoraggiarli.Occorre avere fiducia in loro e mostrarla coi fatti ».Sono tutti accenni, come si vede, che meriterebbero ognuno una partico-lare riflessione. Tra tutti una particolare attenzione meriterebbe proprioil fenomeno dell'aggregazione giovanile come tale e la proliferazione deigruppi, che sono certo dei luoghi privilegiati di educazione al senso diappartenenza ecclesiale. Ma la ricerca si appesantirebbe con un argomen-to, che forse può essere l'oggetto di un nuovo articolo su questo foglioospitale.Ma proprio in quest'ambito, alla fine mi pare riemerga la lunga serie del-le possibilità disattese, delle inadempienze, delle cattive risposte, che lacomunità cristiana può riscoprire anche nella sua recente storia nei suoirapporti col mondo giovanile. Tutti certo ne siamo responsabili, anche sea livelli diversi, perché certo tra i pastori e i laici c'è un carisma diversodentro la Chiesa. Ma se insieme riuscissimo a ricostruire per i giovaniun'impalcatura minima di cose degne di essere fatte, che portino i segnidel « regno di Dio », come la pace, la giustizia, la solidarietà, la non-violen-za, e non urgano troppo, per i giovani, i segni dell'ecclesialità, forse, purnell'ambivalenza, una nuova storia del rapporto giovani - Chiesa si potreb-be da oggi sperare. •

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TACCUINO CULTURALE TRENTINO

(a cura di MARIA TERESA PONTARA)

II segno • indica gli appuntamenti che a parere della redazione si presentano particolar-mente significativi ed interessanti.

FEDE E CULTURA RELIGIOSA

17 marzo ore 18: • 11 ruolo di drillo e Matodìo nella elevazione culturale ereligiosa dei Bulgari e del mondo slavo, rei. doti. MichailovKupen di Plovdin (Bulgaria)e/o Centro Bernardo Clesìo - Trento, via Barbacovi 4

STORIA, FILOSOFIA E SCIENZE UMANE

11 marzo ore 16: La dialettica In Aristotflle, rei. prof. Luigi Olivìeri dell'Univer-sità dì Padovae/o Aula Magna del Liceo Prati - Trento, via ss. Trinità

17 marzo ore 16: «Sapienza» e filosofia In Tommaso d'Aquìno, rei. prof. Mar-co Paolinelli dell'Università di Brosciae/o Aula Magna del Liceo Prati - Trento, via ss. Trinità

19 marzo ore 18: • La Socialità, rei. prof. Giuseppe Zanghì di Nuova Umanitàe/o Centro Bernardo Clesio - Trento, via Barbacovi 4

24 marzo ore 16: D Kierkegaard «Quel singolo», rei. prof. Marcelle Farinadi Trentoe/o Aula Magna del Liceo Prati - Trento, via ss. Trinità

25 marzo ore 18: « Le 5 piaghe della Sanla Chiesa» di A. Rosminì, rei.prof. Alfeo Valle di Torinoe/o Centro Clesio-Rosmini - Rovereto, via Stoppani 1

1 aprile ore 18: • introduzione al pensiero fllosofìco di Antonio Rosmini,rei. prof. Muratore di Torinoe/o Centro Clesio-Rosmini - Rovereto, via Stoppani 1

2 aprile ore 16: • Ragione filolofica 6 ragiona scientifica nel pensiero mo-derno, rei. prof. Enrico Berti dell'Università di Padovae/o Aula Magna del Liceo Prati - Trento, via ss. Trinità

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CONVEGNI

7 marzo ore 8.30:

28 marzo ore 8.30:

CINEFORUM

16 marzo ore 20.30:

23 marzo ora 20.30:

30 marzo ore 20.30:

MUSICA

12 marzo óre 21 :

18 marzo ore 21 :

23 marzo ore 21 :

2 aprile ore 21 :

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• Corresponsabilità e competenza per lavorare Insieme nel*la scuola, incontro par i rappresentanti eletti negli organicollegiali scolastici organizzato dalla Consulta Diocesana diPastorale Scolastica,rei. slg.ra Anna Crivelli dell'Associazione Genitori di Roma

e/o Teatro Collegio Arcivescovile - Trento, via C. Endricr 23

• Famiglia e Scuola Cattolica, un comune Impegno edu-cativo, rei. Marlo Cattaneo, direttore della rivista <t La Fa-miglia » di Brescia, convegno organizzato dalla FIDAE regio-nale e dalla Consulta diocesana di Pastorale Scolastica

e/o Teatro Collegio Arcivescovile - Trento, via C. EndrlcI 23

• II settimo sfoìila di Ingmar Bergmana cura della Cooperativa Universitaria E II faggio» (Cat-tolici Popolari)

e/o Cinema Teatro s. Pietro - Trento, v.lo s. M. Maddalena 22

• Un uomo per tutte le stagioni di Fred Zinnemanna cura della Cooperativa Universitaria « II faggio » (Cat-tolici Popolari)e/o Cinema Teatro s. Pietro - Trento, v.lo s. M. Maddalena 22

La strada di Federico Fellìnia cura della Cooperativa Universitaria « II faggio » (Cat-tolici Popolari)

e/o Cinema Teatro s. Pietro - Trento, v.lo s. M. Maddalena 22

Orchestra Haydn, dir. Hermann Michael, Pietro Borgonovo oboe

e/o Sala della Filarmonica - Trento, via Verdi

Violinista Cristiano Rossi - Pianista I sacco RJnaldi, musichedi B. Bartok

e/o Sala della Filarmonica - Trento, via Verdi

Orchestra Haydn, dir. Renato Renzetti, Silvia Marcovici violino

e/o Sala della Filarmonica - Trento, via Verdi

Orchestra Haydn, dir. Hermann Michael

e/o Sala della Filarmonica - Trento, via Verdi

TEATRO

17-18 marzo ore 21: «La cameriera brillante» di Carlo Colofoni, regia di EdmoFenoglìoe/o Teatro Sociale - Trento, via Oss Mazzurana 17

VARIE

26 marzo ore 20.30: Serata di arte a costumo con diapositive dedicate al Marocco,a cura de] doti. Gian Marla Rauzle/o Centro Bernardo desio - Trento, via Barbacovi 4

SEMINAR! DI STUDIO

5-12-19-26 marzo ore 16: 4° Seminario di studio del ciclo « Programma uomo » sultema Deprivazione sensoriale, discipline e melodiche del re-cuperoa cura del Provveditorato agli Studi di Trento e dell'Asses-sorato all'Istruzione della Provincia Autonoma di Trentoe/o Museo Tridentlno di Scienze Naturali - Trento, PalazzoSardegna, via Caleplna 14

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Una proposta singolare e « inattuale »II mercato librario è ora frequentemente invaso da tutta una let-teratura minore « vernacolare », dialettale: poesie, novelle, raccoltibrevi, storie paesane, rappresentazioni.,. Ma l'ultima novità apparsaha un significato particolare. Ci riferiamo a «I salmi del Signore-dìo »: un tentativo di traduzione di 150 salini biblici nel dialetto diun piccolo centro della Val di Cresta, Valle S. Felice, ad opera diIginio Gentili, un contadino di 70 anni che ha -fatto sòfo la quartaelementare, anche se ha tirato su una famiglia di « intellettuali ».Quello che mi fa riflettere scorrendo questa suggestiva raccolta è unapiccola considerazione. Immagino questi salmi letti in un qualsiasipaese del Trentino entro la Liturgia del Vespro... Ebbene temo chealmeno le prime letture sarebbero un fiasco. Risolini imbarazzati, sva-rioni, disagio anche. Perché purtroppo se questa ricerca vuole giu-stamente riavvicinare la Parola sacra al popolo e alla sua culturaè proprio quel popolo e quella cultura che vivono una terribileeclissi e rischiano la morte definitiva.L'operazione di Gentili è dunque un'operazione pregevole, ma « inat-tuale ». Quante volte — sensazione terribile — le mamme dei nostripaesi cercano di comunicare ai -figli un italiano sfalsato e « televi-sivo » purché evitino la contaminazione con il dialetto. E' una pro-spettiva che sembra ormai imporsi in tutto il mondo e contro cuiIllich ha scritto pagine memorabili. Eppure quella parola dialettaleben (e forse meglio) si presterebbe, essendo parola d'esperienza,parola macerata nei campi e nella durezza del vivere, ad esprimerei Salmi che pure sono parole d'esperienza prive d'astrazione. Sescorriamo i « Salmi del Signoredio » vediamo come le parole dialet-tali siano veramente forti, pregne di allusioni immediate: « rume-gar » la Parola di Dio, giorno e notte; oppure l'invocazione dram-matica al Signore « desmisiete /òr, Signoredio, e 'nrabìete » o an-cora la descrizione immaginosa di un Dio potente e sterminatoredei cattivi e degli ingiusti: « El Signoredio el spaca la testa a queiche ghe da contro, el ghe schiza la testa a quei che camina su nastrada piena de deliti... ».Una miniera di richiami a parole antiche come antico era quel paneuscito dal forno familiare rappresentato in copertina, ma anche unsenso dì nostalgia per una parola perduta.

(s. z.)

« I salmi del Sigrcredio > sono in vendita a L, 6.500, prezzo di costo. Per informazionie oro-nazioni ci si può rivolgere a: Gigi Movia, Villa s. Igna2io, Trento - tei. 0461/980382.

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«IL MARGINE»

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« L'ansia del consumo è un'ansia di obbedienza a un

ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l'ansia,

degradante, di essere uguale agli altri nel consumare,

nell'essere felice, nell'essere libero: perché questo è l'or-

dine che egli ha inconsciamente ricevuto e a cui " deve "

obbedire, a patto di sentirsi diverso. Mai la diversità è

stata una colpa così spaventosa come in questo periodo

di tolleranza. L'uguaglianza non è stata infatti conqui-

stata, è una "falsa" uguaglianza ricevuta in regalo».

(P. P. Pasolini, Scritti corsari, 1975)

« 11 Margine » n 2 - febbraio 1982 - periodico mensile - anno II - Redaz. e amministraz.:38100 Trento, v'a Suffragio 39 - Spedizione in abb. postale gruppo IH/70 - L. 1.000