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OSSERVAZIONI SUL TARANTISMO DI PUGLIA

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Nell'Ottocento il tarantismo fu al centro di un articolato dibattito medico scientifico. Il saggio di Salvatore De Renzi, apparso nel 1832,è uno dei contributi più stimolanti in un panorama ricchissimo di dissertazioni, memorie, articoli e monografie. Con una prosa forbita ed elegante che si apre con un suggestivo quadro corografico sulla penisola salentina, il medico napoletano ne descrive la sintomatologia, la diagnosi, la terapia, raccogliendo e annotando importanti informazioni desunte dal suo dialogo con gli informatori locali.

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Lo sguardo degli altri02

Collana diretta da Sergio Torsello

Da sempre il Salento è un topos letterario. Dall’epopea del Grand Tourfino alla stagione meridionalista sulla terra abbracciata da due mari siappuntano gli sguardi di medici, eruditi, antropologi e scrittori. Sguardilucidi, oscillanti tra empatia e distacco, che spesso raccontano pagine distoria ormai dimenticate. Lo sguardo degli altri vuole riproporre questi contributi – soprattutto quelli

meno noti – come un ulteriore strumento di riflessione e di conoscenza.

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Edizioni KurumunySede legaleVia Palermo 13 – 73021 Calimera (Le)Sede operativaVia San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le)Tel. e Fax 0832 801528

www.kurumuny.it • [email protected]

ISBN 978-88-95161-81-5

© Edizioni Kurumuny – 2012

In copertina: particolare tratto dalla tavola 1, Tarantola di Pitaro

L’editore si rende disponibile per eventuali richieste di soggetti o enti che possano vantare dimostratidiritti sulle immagini riprodotte nel volume.

Chiuso in stampa nel mese di novembre 2012

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Salvatore De Renzi

Osservazioni

sul tarantismo di Puglia

a cura di Sergio Torsello

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Indice

7 Introduzione

Sergio Torsello

25 Osservazioni sul tarantismo di Puglia Salvatore De Renzi

38 Appendice I Immagini della tarantola nel XIX secolo

46 Appendice II Il tarantismo e la tarantola nell’Ottocento

49 Bibliografia

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IntroduzioneSergio Torsello

Per più di tre secoli, dalla fine del Cinquecento alla prima metàdel Novecento, il paradigma biomedico, cioè la riduzione del ta-rantismo a malattia (sindrome melanconica, disturbo psichico oreale avvelenamento da aracnide che fosse), fu il più diffuso ca-none interpretativo del fenomeno. È una lunga tradizione di studifondata sulla classificazione zoologica, sullo studio della mecca-nica del veleno e i suoi effetti sul sistema nervoso e infine sull’os-servazione clinica, che attraversa gran parte della letteratura storicasull’argomento. È sufficiente scorrere la pioneristica ricognizionenella letteratura medica compiuta un quarto di secolo fa da AngeloTurchini1 e ancora più la recente, per certi versi definitiva, storiabiomedica del tarantismo nel XVIII secolo di Gino Di Mitri,2 perrendersi conto della vastità e della complessità di un dibattito che,secondo Clara Gallini, «chiamava in causa le contrapposizioni trarazionale e irrazionale, nel tentativo di medici e scienziati di co-struire quell’immagine di uomo razionale che fu tipica dell’illumi-nismo».3 In sostanziale continuità con il programma razionalistadell’Età dei Lumi ma con l’aggiunta della fiducia assoluta nel me-todo scientifico, nel XIX secolo il tarantismo torna prepotente-mente al centro di un complesso e articolato dibattito quasitotalmente dominato dalle tesi di medici e naturalisti. Fu Ernesto

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de Martino, com’è noto, a decostruire l’ipotesi riduzionista di me-dici e scienziati, impostando l’analisi del tarantismo come “istitutoculturale”, dimostrando che la Lycosa o il Latrodectus (le due spe-cie di ragno ritenute responsabili del tarantismo) c’entravano pocoo nulla con un dispositivo rituale che serviva, secondo l’etnologonapoletano, a reintegrare la presenza perduta di fronte all’insor-gere del negativo nei momenti critici dell’esistenza. Scrive infattiDe Martino: «Dal 1830 in poi fu ripresa la questione del tarantismo.Nel nuovo clima positivistico che si annunciava e nel quadro dellaprogressiva specializzazione della scienza medica venne necessa-riamente a cadere proprio quella più ampia prospettiva del taran-tismo come istituto culturale che, almeno come spunto, eraaffiorata nelle Lezioni del medico umanista e filosofo FrancescoSerao. Se si ripercorre la letteratura medica sul tarantismo duranteil secolo decimonono ed oltre, la valutazione diventa sempre piùprofessionale e specializzata, la riduzione del fenomeno a malattiasi fa sempre più esclusiva e gli aspetti culturali del fenomeno, coldeclinare della figura del medico umanista, sono ormai lasciati daparte come eccedenti la prospettiva prescelta».4 La lettura demar-tiniana è al solito puntuale e per certi versi illuminante. Soprattuttoquando, più avanti, osserva: «Le due soluzioni mediche fondamen-tali, cioè il tarantismo come forma di aracnidismo o come disor-dine psichico, continuarono a combattersi tra loro senza che unadelle due riuscisse con osservazioni ed esperimenti decisivi a de-bellare definitivamente l’altra; insomma tutta la controversia an-dava via via perdendo di vigore e rischiava di trascinarsi senza

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soluzione sino al giorno in cui, scomparso il fenomeno, sarebbevenuta meno la stessa materia del contendere. La verità è che pro-prio la prospettiva medica come tale palesava rispetto al taranti-smo il suo limite interpretativo». Ma forse troppo sbrigativamentel’etnologo napoletano aveva liquidato tutta una tradizione di studiche, tra ripensamenti e verifiche, rivelazioni e occultamenti, sisnoda tra mille rivoli anche periferici e minori che non di rado ri-velano inediti scenari, inattese corrispondenze tra personaggi,scuole e sguardi in una ramificazione che segue insolite coordinatenarrative e geografiche. Se si scorre la bibliografia sul tarantismonel XIX secolo ci si accorge che la presenza nel dibattito di medicie scienziati è davvero preponderante, rispetto alle figure che soli-tamente hanno animato il dibattito attraverso i secoli: folkloristi,letterati, viaggiatori, esponenti dell’erudizione locale e non solo.Essa si inaugura con la memoria di Antonio Pitaro5 e idealmentesi chiude con la monografia del Carrieri nel 1893.6 In posizionecronologicamente mediana si collocano le opere di Dimitry,7 Fer-ramosca,8 Costa,9 Vergari,10 Carusi,11 De Martino,12 Panceri,13 Can-tani,14 Campelli,15 De Masi16 per citare solo i medici più noti e sologli italiani protagonisti in un dibattito che coinvolge il centro (Na-poli) e la periferia (il Salento) in un vertiginoso flusso di scritturee informazioni.17 L’impressione che se ne ricava è che nell’Otto-cento, la reazione della scienza medica al fenomeno assume i con-torni di un interesse derivante da almeno due fattori: da un lato ilfascino esercitato sugli uomini di scienza dall’intricato “enigma deltarantismo”, bizzarra e straordinaria malattia – “mistero di natura”,

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la definiva ancora sul finire del secolo il De Masi – da studiare ecatalogare con i moderni strumenti della ricerca, che neppure ilprogresso vertiginoso della scienza medica riusciva se non a de-bellare almeno a rubricare nelle griglie di una possibile risoluzioneterapeutica; dall’altro l’assurgere del tarantismo a luogo simbolicoall’interno del quale saggiare le nuove definizioni di malattia e delcorpo malato e le potenzialità della medicina sperimentale controla tradizione dell’empirismo. C’è un terzo motivo infine cheemerge con forza: il nuovo metodo investigativo determinato dalrapido sviluppo degli studi di fisiologia e di patologia aveva con-tribuito a rifondare lo statuto disciplinare della medicina trasfor-mando radicalmente la stessa figura del medico che divienesempre più un osservatore distaccato teso unicamente alla raccoltadi dati scientifici utili al trattamento terapeutico. La seconda metàdell’Ottocento – con l’introduzione di strumenti come lo stetosco-pio che rivoluzionano il rapporto medico/paziente – è l’epoca incui “l’antropologia medica del malato cede gradualmente il passoalla tecnologia medica della sua malattia” (cfr.Giorgio Cosmacini,Storia della medicina e della sanità in Italia, Laterza, Bari 2005,pp. 269 e ssgg.). Da qui, forse, il costante confronto tra gli espo-nenti più importanti della medicina nazionale e la folta schiera deimedici locali impegnati a contrastare sul “campo” il fenomeno eforse per questo più propensi a posizionarsi in una zona interme-dia tra scienza ufficiale e terapeutica popolare (talvolta convali-dando l’efficacia della terapia musicale, il ricorso a rimedi magicoerboristici associati alle nuove terapie farmacologiche,ecc.). Il ci-

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tato medico brindisino De Masi, ad esempio, pur considerando iltarantismo una malattia, sostiene la validità della terapia musicalee polemizza duramente con i suoi colleghi che non hanno mai os-servato dal vivo il fenomeno.18 Il medico calabrese Spizzirri de-scrive invece un caso in cui, accanto al trattamento farmacologicoviene somministrato al paziente un infuso di erbe. Un giovane diMarano era stato morso da un ragno e fu portato da un «chirurgoche applicò tosto sulla parte un bottone rovente; ma senza alcunsuccesso, ed anzi il fuoco non venne né anche avvertito. Il padredel paziente avendo cieca fiducia in taluni cerretani di Mendicino,conosciuti col nome di Ciraulari, mandò tosto a cercare il più pe-rito il quale non appena giunto pronunciò i suoi superstiziosicarmi; applicò la man diritta, da prima sulla coscia sinistra, equindi sulla dritta, e quasicché tocco della mano di Medea, cessacome per incantesimo nel paziente il tremore. Ciò che è certo èche il villano Esculapio avendo fatto prendere al suo infermo, pre-cedentemente coperto da un mantello di lana, un bagno di vaporidi vino, dentro al quale aveva fatto bollire le sue eroiche erbe, trale quali noi potremmo distinguere il rosmarino, l’infermo al terzogiorno si trovò guarito. Abbiamo fondate ragioni – scrive SamueleSpizzirri – per creder che la pianta colla quale il medico villano diMendicino opera tanti prodigi sia la Branca ursina, Achantus mol-lis, intorno ai quali fatti stiamo preparando una memoria che nontarderà a veder la luce».19 Il breve scritto del medico napoletanoSalvatore De Renzi (1799 – 1872), Osservazioni sul tarantismo pu-gliese, apparso nel 1832 nei «Resoconti dell’Accademia medico-chi-

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rurgica napoletana», poi ripubblicato ne «Il Filiatre Sebezio» (annoII, vol. IV, 1832, pp. 162-171) nella versione che qui si ristampa,costituisce una testimonianza emblematica delle complesse dina-miche di circolazione del dibattito sul tarantismo nel milieu intel-lettuale che si iscrive nel solco della più brillante tradizionescientifica meridionale. Medico, patologo e storico della medicina,il De Renzi compì il suo apprendistato intellettuale a Napoli, dovesi laureò giovanissimo in medicina e chirurgia a soli 22 anni. Di-venne ben presto una delle figure di maggior spicco nel panoramadella cultura scientifica partenopea ma la sua carriera fu duramenteostacolata per motivi politici dal governo borbonico che tuttaviain più occasioni fu costretto ad utilizzarne le notevoli competenzein materia di statistica, politica sanitaria, malattie infettive, topo-grafia medica. L’interesse per il tarantismo di De Renzi coincidecon una fase ben precisa del suo lungo itinerario scientifico, cometestimoniato dal fatto che gli scritti sull’argomento sono tutti con-centrati in un arco temporale lungo poco più di un quindicennio:dal 1832 al 1848 quando pubblica la sua opera più nota, la monu-mentale Storia della medicina.20 Sono gli anni che lo videro impe-gnato negli studi di patologia “relativi in particolare al colera, altifo, alla malaria, al tarantismo, malattie infettive che il De Renzidefiniva ‘popolari’ (Dell’obbligo che corre al medico di fare parti-colare studio delle malattie popolari, Napoli 1838)”.21 Sempre sultema delle “epidemie” va segnalato un altro significativo interventodel De Renzi, “Sulla necessità di avere una storia delle principaliepidemie. Con riflessioni sulla Danzimania. Discorso letto all’Ac-

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cademia Pontaniana nella sessione del 18 novembre 1838” («Il Fi-liatre Sebezio», fasc. 96, dicembre 1838). Tale contributo si collocamolto probabilmente nella scia del dibattito apertosi in seguito allatraduzione italiana (avvenuta proprio nel 1838) dell’importante vo-lume di J.F. Hecker sulle “danzimanie”. Il suo interesse per il ta-rantismo va quindi letto come uno degli innumerevoli riflessidell’articolato dibattito che coinvolse quasi tutti i maggiori espo-nenti del mondo scientifico napoletano in un’ampia risonanza na-zionale ed europea. Non a caso il contributo del De Renzi, che nel1831 aveva fondato un proprio giornale medico, «Il Filiatre Sebe-zio», sul quale appariranno diversi contributi sull’argomento,22

venne tradotto l’anno successivo in Francia.23 Come ci informa lastampa specializzata dell’epoca, il De Renzi in seguito alla pubbli-cazione delle sue note sul tarantismo, fu invitato in Francia, dal se-gretario dell’Accademia di Medicina di Parigi. Nei quarantacinquegiorni di permanenza nella capitale francese presentò alla citataAccademia il suo lavoro. «La prelodata Accademia adottando undottissimo rapporto dei suoi commissari Andral e Virey, trovò re-prensibile quanto era stato detto circa talune particolarità nella sto-ria naturale della tarantola, e riguardo alla etimologia di una talvoce, non che intorno alle mediche conclusioni da lui dedotte.Opinarono i valenti commissari Virey ed Andral Seniore che gliaragni arabi comunicano nel morso un veleno col quale uccidonoanche dei piccoli vertebrati, ma ch’essi fuggono l’uomo; che in nes-sun’altra regione la tarantola è pericolosa; che i sintomi che attri-buisconsi alla tarantola, si debbano ripetere dall’amore, dalle

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passioni ardenti ecc». (Tonelli, «Annali Universali di Medicina»,LXXIV, 1835, pp. 318-319).La breve comunicazione del De Renzi ai colleghi dell’Accademia

deriva da una breve permanenza dell’autore in Salento che però,è bene precisarlo, non coincise con il periodo estivo quando sa-rebbe stato possibile osservare “in vivo” il rituale del tarantismo.Pur interna a quella associazione tra tarantola, veleno e malattia,tutta dentro l’orizzonte dell’osservazione naturalistica, interessataalla formulazione di un quadro eziologico e in fondo pienamentepartecipe di quel clima positivista che segnò la ripresa degli studisul tarantismo nel quadro di una sempre maggiore riduzione pa-tologica del fenomeno, la descrizione del De Renzi si rivela tuttaviaricca di informazioni e interessante da più punti di vista. Convintosostenitore della necessità del recupero dell’ippocratismo che inqualche modo lo contrappose al generale movimento di rinnova-mento di quegli anni, il De Renzi propugnò un “suo originale con-cetto dell’osservazione non disgiunta dal ragionamento”.24 Unmetodo originale, che si discosta da un certo assolutismo scienti-fico e che significativamente traspare da queste puntuali “osser-vazioni” sul tarantismo salentino. Con una prosa forbita edelegante che si apre con un suggestivo quadro corografico dellapenisola salentina, il De Renzi ne descrive la sintomatologia, ladiagnosi, la terapia, raccogliendo e annotando diverse informa-zioni derivanti dal suo dialogo con gli informatori locali. Le notiziesulla “divisa musicale” della taranta, cioè la credenza che chiunquesia stato morso balli solo sulle note di quella particolare melodia;

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l’intuizione che al fondo del fenomeno vi sia il tema che oggi po-tremmo definire “dell’eros precluso”; i due casi riportati (uno, par-ticolarmente emblematico, riguardante una bambina di appena tremesi), registrati entrambi a Novoli, uno dei luoghi elettivi del ta-rantismo salentino dove, ci informerà qualche decennio più tardil’erudito De Simone, c’è la “vera pianta della Taranta”.25 Da espertodi politica sanitaria, attento alle iniziative di prevenzione, analizza(il primo in assoluto) l’acqua “miracolosa” del pozzo della chiesadi San Paolo a Galatina, che già allora risulta gravemente inqui-nata. Cita infine una notevole bibliografia sull’argomento: dal Ba-glivi, al Serao, dal Lichtental per gli effetti terapeutici della musica26

agli autori locali come il medico calabrese Spizzirri, il salentinoRosato Dimitry, autore di una citata memoria sul tarantismo alchiar.mo prof. Pietro Ruggiero, medico degli “Incurabili” e docenteuniversitario a Napoli.27 Il De Renzi conclude affermando che ilveleno è vero e reale, che agisce sul sistema nervoso presentandoeffetti in parte simili a quelli della vipera. Ed è singolare – lo no-tava già il Turchini – «che la teoria del morso che influisce suinervi, abbandonata nel XVIII secolo, di fatto viene ripresa neiprimi decenni dell’Ottocento dopo la crescita degli studi psichia-trici tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo».28 De Renzi in-somma tralascia ogni considerazione sugli aspetti simbolici eculturali del rituale, sulla funzione della componente coreutico-musicale, considera in definitiva il movimento e la diaforesi comegli strumenti utili a combattere il morbo. Come sottolinea UbaldoCeccarelli, «egli insomma ribadisce la teoria secondo la quale il ve-

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leno agisce direttamente sul sistema sanguigno e sul sistema ner-voso centrale, percorrendo in certo senso i concetti della neurop-sichiatria moderna che dal Charcot in poi riconobberonell’isterismo collettivo, nel ballo di san Vito, ed in altre danzima-nie, compreso il tarantolismo, dapprima una forma di psicosi e inseguito all’avvento della psicanalisi, una nevrosi».29

Ciononostante l’articolo del De Renzi costituisce una testimo-nianza oltremodo significativa utile a ricostruire i multiformi per-corsi che attraversano la complessa vicenda delle categoriedescrittive e interpretative del fenomeno.

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Note

1 Angelo Turchini, Morso, Morbo, Morte. La tarantola tra terapia medicae cultura popolare, Franco Angeli, Milano 1987.

2 Gino L. Di Mitri, Storia biomedica del tarantismo nel XVIII secolo, Ol-schki, Firenze 2006.

3 Clara Gallini, Intervista in Vincenzo Santoro e Sergio Torsello a curadi, Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento, Ara-mirè, Lecce 2002.

4 Ernesto de Martino, La terra del rimorso, il Saggiatore, Milano 1961,pag. 263.

5 Antonio Pitaro, Considerations et expérencies sur la tarentule de laPouille et sur les accidentes causés par la piqûre de cet insecte, Impr. DeGuiget et Michaud, Paris, 1805, p. 64. Il medico calabrese, testimone didue casi di tarantismo, riportò un singolare rimedio usato dai mietitoriper soccorrere le “vittime della tarantola”. Sulla ferita veniva posto il ragnoschiacciato sul quale erano legate due monete bagnate con della saliva.Il medico tentò di dare una risposta scientifica all’empirismo popolarechiamando in causa il galvanismo: «il metallo delle monete, gli umoridella tarantola, la saliva stabilivano una comunicazione elettrica eccitantesull’epidermide che favoriva la risoluzione della malattia». Cfr. AlfredoFocà, Riccardo Guerrieri, Stefania F. Leo, Antonio Pitaro: medico e scien-ziato da Borgia a Parigi, Laruffa Editore, Reggio Calabria 1999.

6 Ignazio Carrieri, Il Tarantolismo Pugliese, «Gli Incurabili», VIII, 1893(Rist.Grottaglie, Altamarea, 1998). «Nell’ex Collegio medico cerusico diNapoli – ricorda il Carrieri – il tema del Tarantismo pugliese fu anche

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svolto nelle dissertazioni che periodicamente si tenevano in quel fiorenteistituto con grande profitto di giovani medici e con positivo vantaggiodella scienza. I dottori onorevoli Pignatelli e Lamartora, entrambi pugliesi,presentarono un lavoro sull’argomento. Su quel tema il prof. S. DelleChiaie fece una dotta lezione, mostrando ai giovani tutte le diverse speciedi tarantole e la struttura delle glandole accernenti il virus». I medici pu-gliesi, non solo i più noti, erano dunque in prima fila nello studio del fe-nomeno. Il medico Raffaele Castellano di Massafra (Ta) ad esempio tennenel 1889 un’interessante conferenza sul tema “Il tarantolismo nellascienza”, come segnala Antonio Basile in Taranto, Taranta, Tarantismo,Ed. Nuoveproposte, Taranto 2000, pag. 98.

7 Saggio sul tarantismo di Puglia del dott. R. Demitry sallentino (estrattoda MSS) in «Giornale medico napoletano», vol. 4, pp. 129-139. Il Demitry,che fu allievo di Cirillo a Napoli, al suo ritorno in Salento si dedicò perpiù di vent’anni allo studio del tarantismo. La sua memoria è estrema-mente interessante perché in una certa misura confuta la teoria, allora in-valsa, della “naturale” ipocondria dei pugliesi.

8 Giuseppe Ferramosca, Nota sul tarantismo, «Osservatore Medico», XII,15 giugno 1834, p. 90 (Rist. in «Il Filiatre Sebezio», IV, 1834, pp. 74-77).

9 Il grande scienziato e naturalista salentino (1787-1867) era legato daun profondo sodalizio umano e intellettuale al De Renzi. Quest’ultimoera membro dell’Accademia degli Aspiranti naturalisti fondata dal Costache dominò il settimo Congresso internazionale degli scienziati che sitenne a Napoli nel 1845, e lesse un lungo e commovente elogio funebrein occasione della scomparsa dello scienziato alessanese nel quale sotto-lineava che Costa «fin dalla sua prima gioventù fu testimone dè furoridella jena coronata». Cfr. Della vita e delle opere di Oronzo Gabriele Costa,Napoli, Tip. San Francesco Da Paola, 1868. Il Costa scrisse del tarantismo

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in Annuario zoologico contenente cenni Zoologici ossia descrizione som-maria delle specie nuove di Animali discoperti in diverse contrade delRegno nell’anno 1834, Napoli, 1834, pp. 28-37 (rist. in Sergio Torsello, Iltarantismo nelle Calabrie. Uno scritto poco noto di Achille Costa del 1876,in «Note di storia e cultura salentina», XVIII, 2006, pp. 39-58). Sulla com-plessa personalità di Gabriele Oronzo Costa, “erede di quella tradizionegalileano sperimentale trapiantata a Napoli con l’Accademia degli Inve-stiganti”, come ricorda Mario Proto, vedi i saggi raccolti in Oronzo Ga-briele Costa e la tradizione scientifica meridionale nell’Ottocento, (a curadi Antonio Caloro e Mario Spedicato), Congedo, Galatina 1992.

10 Achille Vergari, Tarantismo o malattia prodotta dalle tarantole vele-nose, Napoli, 1839 (Rist. in Bruno Vergari, Problematiche filosofiche scien-tifiche in campo medico, Congedo, Galatina 1994, pp. 159-188) che, pursenza mai citarlo espressamente, si rifà abbondantemente al De Renzi.Ultimo “protomedico” del Regno di Napoli, il Vergari, nella stesura dellasua erudita monografia si avvalse della collaborazione di una nutritaschiera di medici che gli inviarono lettere e memorie sul tarantismo nellevarie località. Tra i salentini, Samuele Pasquali di Lecce, Donato Calabresedi Campi, Antonio Franza di Gallipoli, Achille Palma di Galatone. Nume-rose anche le testimonianze dalla Calabria: Giovanni Nigro, viceproto-medico del distretto di Rossano, Vincenzo Milano del distretto diCatanzaro, Francesco Morrone del distretto di Crotone.

11 Giuseppe M. Carusi, Della tarantola e del tarantismo. Memoria deldott. Giuseppe Maria Carusi, Stamperia del Vaglio, Napoli 1848. Il Carusiannota: «Nel 1847 circolava a premura dell’accademia degli aspiranti natu-ralisti una Ministeriale dell’Interno a tutti medici di Puglia, e così l’ebbianch’io. In quella ministeriale leggevasi i seguenti quesiti: se la tarantolapugliese sia o pur non sia velenosa; e se mordendo l’uomo, vada questi

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soggetto a quella famosa malattia, detto Tarantolismo». La memoria del Ca-rusi è stata recentemente ripubblicata in appendice al volumetto di MauroGioielli, Tarantismo molisano, Palladino editore, Campobasso 2011.

12 Antonio De Martino, un allievo del De Renzi, pubblicherà Esperienzesull’istinto e sul morso della tarantola di Puglia, in «Il Filiatre Sebezio»,XXXVII, 1849, pp. 69-72.

13 Paolo Panceri, Esperienze sopra il veleno della Lycosa tarentula, «Ren-diconti dell’Accademia Pontaniana», Anno XVI, pp. 90-99 (Ripubbl. in «Ren-diconti della Reale Accademia delle scienze», VII, 1874). Il Panceri, che futra i pochi a negare l’effetto del veleno della tarantola, concludendo «essereil celebre falangio minor di sua fama» segnala, a testimonianza della circo-lazione internazionale del dibattito, l’opera del «dottissimo bibliotecariodell’Accademia di medicina di Parigi», Charles Ozanam, autore di Étudesur le evenin des arachnides et son emploi thérapetique, suive d’une dis-sertation sur le tarentisme et le tigretier, Chez, J.B. Baillietre, Paris 1856.

14 Arnaldo Cantani, Lezioni sul tarantismo (corea major germanorum)illustrata da quattro casi clinici, «Il Morgagni», XIV, pp. 545-585. Al ter-mine della sua lunga dissertazione, il Cantani sostiene che il tarantismosarebbe una «nevropatia di conducibilità intermedia tra l’isterismo e lapsicopatia che si sviluppa sul fondo isterico». Il Cantani fu anche autoredi una celebre e discussa prolusione dal titolo Il positivismo nella medi-cina, nella quale auspicava che la medicina diventasse una scienza so-ciale. Lo scritto è ora riproposto in Arnaldo Cantani, Il positivismo nellamedicina e altri scritti, a cura di Antonio Borrelli, Denaro Libri, Napoli2010.

15 Giuseppe De Masi, Sul tarantolismo. Lettera ad un amico, in «Gaz-zetta medica di Puglia», VI, 1874, pp. 25-40 (Rist. a cura di Luigi Chiriatti,Bleve, Tricase 1997).

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16 Alberto Campelli, Sopra un caso di tarantismo felicemente curato, «IlMorgagni», 20, pp. 538-543.

17 Per un sintetico ma puntuale panorama della cultura scientifica sa-lentina tra Sette e Ottocento si veda Luigi Scorrano, Replicati esperimentie diligenti osservazioni. Aspetti della cultura scientifica tra Sette e Otto-cento, in «Bollettino storico di Terra d’Otranto», 5, 1995, pp. 195-220. “Ban-dire l’empirismo” era il programma di una rara rivista scientifica locale,«L’igea salentina», diretta dal medico Aureliano de Mitry, della quale usci-rono tre numeri tra il 1842 e il 1843. Lo stesso Dimitry fu autore di unalettera apparsa su «Effemeridi di medicina», nel 1841 dedicata “alle ideeora dominanti nel Salento sul tarantismo” che confutava la teoria che ilveleno della tarantola producesse il ballo. Cfr.: Giuseppe Tonelli, Letteraal chiarissimo professore Francesco Cervelleri. Quattro parole sul taran-tismo di Puglia del dott. Giuseppe Tonelli in replica alle poche parole delsig. Samuele Costa sullo stesso argomento, in «Annali Medico – Chirurgici»,fasc. 3, vol. 4, maggio 1841, pp. 301-312.

18 Sulla posizione critica del De Masi si veda Eugenio Imbriani, La let-teratura sul tarantismo in Terra d’Otranto dopo l’Unità d’Italia, in Ri-morso. La tarantola tra scienza e letteratura, Besa, Nardò 2001, pp. 23-39.

19 Cfr. Osservazioni sul morso della tarantola del sig. Gaetano Spizzirrimedico in Marano (Calabria Citra) comunicate da suo nipote SamueleSpizzirri, allievo in medicina, in «l’Osservatore medico» Anno XV, n. XIX,1 ottobre 1827, pp. 146-147.

20 La Storia della medicina italiana, apparve in cinque tomi tra il 1845-1848, presso i tipi della Tipografia de «Il Filiatre Sebezio» a Napoli. Le pa-gine del secondo tomo dedicate al tarantismo, ampiamente utilizzate daE. de Martino per le acute riflessioni sulle origini medievali del fenomeno,sono state recentemente riproposte in Salvatore De Renzi, Tarantismo,

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«Archivio di etnografia», Anno I, n. 2, 1999, pp. 87-90. Sulla poliedricapersonalità del De Renzi, medico, patriota, cultore di storia napoletana,infaticabile organizzatore di cultura, si veda Antonio Garzya, Lettere escritti vari di Salvatore De Renzi, Napoli, «Quaderni dell’Accademia Pon-taniana», 1999 che, tra l’altro, ne fissa la data di nascita al 1799, pubbli-cando l’atto di battesimo.

21 Si veda V. Cappelletti – F. Di Trocchio, De Renzi Salvatore, in Dizio-nario Biografico degli Italiani, vol. 39, Roma, Istituto dell’EnciclopediaItaliana, 1991, pp. 112-18.

22 Sul giornale diretto da De Renzi apparvero numerosi articoli sul ta-rantismo. Oltre a quelli già citati ospitò una lunga polemica sull’argo-mento: Tarantismo avviso del redattore agli associati, VI, XXXVI, 1833,pp. 379-380; Poche parole sul nuovo fatto di tarantismo, osservato daldott. Giovanni Ferramosca di Muro Leccese nella Terra d’Otranto e regi-strato dall’osservatore medico del 15 giugno 1834, VIII, 44, 1834, pp. 74-79; Sul tarantismo. Lettera di un anonimo, IX, 49 (1835) pp. 27-34; Sultarantismo. Lettera di un anonimo, IX, 51 (1835) pp. 184-191.

23 L’anno dopo, l’articolo che qui si ripubblica fu tradotto in francesecon il titolo Note sur le tarantisme observè dans le Royaume de Naples, epubblicato in «Gazete medicale», 1833. Una traccia della ricezione francesein M.M. Andrai et Joseph Virey, Rapport sur le tarentisme et le memoiredu doct. Salvatore De Renzi, «Accademia de medicine de Paris», 10, set-tembre 1833.

24 Per una rapida ricostruzione del dibattito sul ritorno dell’ippocratismoche coinvolse il De Renzi si veda V. Cappelletti - F. Di Trocchio, De RenziSalvatore, cit. pag. 116.

25 De Simone L.G., La vita nella Terra d’Otranto, in «Rivista Europea»,a. VII, vol. II, pp. 67-86 e 559-72; III 341-352; III, pp. 507-528, (Rist. a

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cura di Eugenio Imbriani, Del Grifo, Lecce 1997). Esponente di spiccodell’erudizione locale, il giudice Luigi De Simone, interrogò «i due piùcelebri musicisti della Taranta né nostri contorni, essi sono un cieco Fran-cesco Mazzota da Novoli (il violino), Donata Dell’Anna di Arnesano (ilTamburrieddhu)», che gli rivelarono importanti informazioni etnografichesul tarantismo.

26 Pietro Lichtental, Trattato sull’influenza della musica sul corpoumano e del suo uso in certe malattie, Milano Presso Giuseppe Maspero,1811 (Rist. anast. Forni, Bologna, 2007, Tarantismo, pp. 52-56).

27 Su Pietro Ruggiero (Palo di Puglia 1760 - 1837) si veda il profilo bio-bibliografico in Scienziati di Puglia. Secoli V a.C. – XXI d.C., a cura diFrancesco Paolo De Ceglie, Adda, Bari 2007, pag. 179.

28 Angelo Turchini, Morso, Morbo, cit. pag. 73.29 Ubaldo Ceccarelli, Le osservazioni e gli studi sul tarantismo di Salva-

tore De Renzi, in “Atti del XXIV congresso nazionale di storia della me-dicina (Taranto – Bari, sett. 1969)”, Arti Grafiche E. Cossidente, Roma1970, pp. 178-183:182. In realtà è la moderna categoria di nevrosi che èstata messa a punto da Freud e dalla psicoanalisi, ma di nevrosi si parlae si scrive anche prima.

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Salvatore De Renzi

Osservazioni sul tarantismo di Puglia

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Questo saggio di Salvatore De Renzi viene ripubblicato rispettando fedel-mente la stesura originale. Sono stati corretti solo alcuni evidenti refusi distampa.

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Osservazioni sul tarantismo di Puglia – Prolusione ac-cademica recitata nell’ordinaria seduta del 28 luglio 1832dell’Accademia medico-chirurgica napoletana, dal dott.SALVATORE DE RENZI, socio della medesima

Le Puglie per la posizione ed i rapporti topografici e per la na-tura del suolo, offrono condizioni interamente proprie, che meri-tano di essere rilevate. Al Nord un’immensa pianura, nuda dialberi, intersecata da paludosi torrenti nel verno, ed in està fessain larghi crepacci; nel mezzo sonvi umili colline di una pietrabianca, rossiccia o giallognola, coverte da leggiero strato di terra,sul quale pur vegetano ameni vigneti, e boschetti di aranci, dimandorle e di ulive, fra le quali la ceratonia siliqua eleva le foltechiome di un verde cupo e delizioso; al sud infine seguono lestesse colline, con un pendìo poco rilevante, che per tutto offronoscoverte pietraje o gessaje, sulle quali veggonsi umili vigne, o lungiboschi dell’albero di minerva, che abbraccia colle estese radiciquei sassi, che senza di esso presenterebbero lo spettacolo delladesolazione.Quest’ultima parte che forma la Terra d’Otranto, sullaquale Idomeneo, e Pirro, le squadre di Augusto e quelle dei Cro-ciati, la baronale potenza, e le incursioni dè Saraceni, han lasciateorme incaccellabili di gloria e di sventura, ed in cui Taranto, Brin-disi e altre città sono ancora per ricordarci quello che fummo; me-rita più di ogni altra di essere conosciuta. A guisa di promontorioessa s’inoltra fra le onde cupamente azzurre di un doppio mare:

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priva di fiumi e di fonti, colle spiagge contaminate per lungo trattoda impuri ristagni, soggetta a libere e variabilissime correnti atmo-sferiche che si alternano or dallo stretto che la divide dall’anticaGrecia, ed or dal golfo cui dà Taranto il nome, e ch’è dominatodalle montagne Bruzzi e Lucane, dalle quali irreligiosi torrenti ca-dono ad interrare gli avanzi di Metaponto, di Sibari e di Eraclea.Avendo avuto non ha guarì l’opportunità di fare colà un viaggio,accompagnandovi, da medico, rispettabile persona, ho dato operaa ricercare quanto poteva istruirmi sulla parte che riguarda la pro-fessione che esercito e gli studj miei prediletti, e fra le numeroseosservazioni che a me naturalmente sonosi offerte, due sole hotrovato che meritassero riguardo maggiore, cioè il così detto inquei luoghi costipo, ed il tarantismo. Per costipo ivi intendesi qua-lunque affezione reumatica acuta, e le malattie acute di petto dalcatarro alla pulmonìa. Il costipo è una voce magica, come siesprime un viaggiatore; affari, piaceri, tutto è trascurato pel timoredi andarvi soggetto. Ma non è questo un panico timore, ed evviuna ragione per cui quei morbi son colà più frequenti. In diciottogiorni che sono restato in quella provincia non ho potuto osser-vare due ore soltanto di costanza nell’atmosfera. Spesso un ventoimpetuoso agita l’aria con violenza mentre il sole scotta con i suoiraggi di fuoco. Ai tiepidi fiati degli austri subentrano in un mo-mento i gelati buffi degli aquiloni; ad un meriggio affannosamentecaldo succede sovente una fresca sera, e spesso dopo una nottetranquilla sopraggiunge burrascosa l’aurora. A questo si aggiungeun suolo nudo e sassoso, una pietra fragile e polverosa, l’aspetto

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bianchiccio della campagna non coltivata; le rugiade abbondevoli,ed il frequente ed impetuoso squilibrio dell’elettricità; e finalmenteil modo di costruzione. Nella maggior parte dei paesi le case sonodi un sol piano e poggiano sul nudo terreno: dopo un piccolocortile succede l’appartamento, che riceve lume dal giardino, odal cortile medesimo. Se qualche abitazione ha un piano superiorequesto è unicamente destinato per magazzino. Con siffatte dimore,che hanno l’apparenza ed il gusto delle case antiche che osser-viamo in Pompei, si sta cautelato dai buffi dè venti impetuosi chevi spirano, e più fresco si gode in està; ma sono esse però moltoumide, specialmente dopo le piogge. Sono queste le circostanzetutte che influiscono alla produzione di tali morbi, i quali spessoprendono lo stato cronico e quindi le reumatologie, e le tisi, con-seguenze di esse, sono fatalmente comuni nella provincia e sonmiassicurato che in Lecce e Taranto, due delle maggiori città, trapassaper tisi la quarta parte di quei che scendono nella tomba. Riguardoal tarantismo si sa purtroppo ciò che si è scritto in favore e controdi esso. Baglivi lo ha accolto con troppa buona fede,Serao lo negacon soverchia incredulità. Io ho desiderato accertarmene, e poichéla stagione non mi offriva l’opportunità di esser testimone deglieffetti che produce il morso del phalangio di Aristotele, volli al-meno prendere tutte le indagini da persone degne di fede, e rac-colsi numerose spezie dell’animale che meco conservo. È questoun insetto appartenente alla famiglia dei ragni, e che presental’esterno di diversi coloriti. Ve n’ha dei neri che son più temuti, edi maggior volume, e telgono la voce comune di saettone; ve ne

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son bigii, giallicci, e variegati. La più bella tarantola presenta l’ad-dome ed il dorso di un rosso vivo con un solco nero sul dorso; ilrimanente del corpo e la grossa testa son dipinte da una lucidavernice nera segnata alla parte superiore da due linee bianche:nere sono le antenne e la proboscide è nera, ma degli otto suoipiedi i due anteriori terminano con bianco pelume, i quattro se-guenti hanno la penultima maggiore falange di un rosso carne, edi due ultimi sono di color cinerino. Posseggono esse otto occhi,dè quali quattro ne sono visibili a occhio nudo e tengono inoltredue maggiori e due minori mascelle, fra le quali evvi nuda probo-scide. Io non ricercherò l’etimologia del suo nome, lasciando taliricerche agli oziosi: trovasi in essa però l’origine del nome di unballo nazionale, ch’è l’espressione della giovialità del nostro po-polo, della sua mobilità, del suo gusto per i piaceri. Ma è egli veroche il morso della tarantola produca gli effetti comunemente gli siattribuiscono, che non si curano che ballando al suono di dati ac-cordi? Non trovansi nella Iapigia che pochi soltanto che pongonoin dubbio tutto ciò che accertato vi viene dal filosofo del pari chedall’idiota, e testimoni vi si presentano quei medesimi che sonoandati soggetti al morso dell’insetto. Il volgo dice che ciascuna ta-rantola muovesi ad un accordo particolare, e che colui che n’èmorso ha bisogno precisamente di quella data melodia per muo-versi, e che gli atteggiamenti che colle mani accompagnasi il ballosono quelli stessi che colle sua falangi fa la tarantola nell’intesserela sua tela. Un caso inoltre mi si è raccontato in Novoli, amenopaese, posto sei miglia a ovest di Lecce, e di buonissimi e cordiali

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abitatori, che sembra affermare queste assertive. Concetta Scardìa,figlia di D. Pasquale è morsicata dalla tarantola al terzo mese del-l’età sua. La bambina ne diviene in sulle prime inquieta, manifestaquindi un inceppamento del respiro ed uno acuto pianto ed unostridulo lamento caccia fuori tra le forti inspirazioni. Sintomi sof-fogativi, vomito, lassezza e celerità di polso, non che gl’indizi dellaflogosi locale nel sito del morso, confermano gli afflitti genitori sullanatura della malattia. Si tenta il suono consueto, la bimba si agita,si dimena, come in una forte convulsione; si fa muovere allora perlungo tratto, finchè abbondevole sudore viene a manifestarsi sullacute, e l’innocente fanciulla n’è defatigata, appressa, avvilita. Cori-cata, si abbandona ad un sonno che diviene riparatore, e dal qualetorna quasi sana ai teneri amplessi materni. Con tutto ciò è d’uopoosservare che i fatti sieni ancora diminuiti di numero di quel che sinarravano per lo passato, e nella maggior parte avvengono in per-sone, alla cui buona fede può con ragione elevarsi alcun dubbio, edi un’età in cui le passioni sogliono spiegare maggiore intensità. So-vente, come sono stato assicurato, l’amare rappresenta la parte es-senziale del dramma, e vezzose forosette mostransi attarantate pernascondere più grave ferita che le fa delirare. Un culto medico dellevicinanze di Lecce, che molto studio ha fatto sull’argomento, si dièa pericolosi esperimenti. Egli avvicinò al piede di un mietitore dor-miente una tarantola di quelle cui si attribuisce più efficace veleno,ed instigolla in modo che la spinse a mordere quell’infelice, ed uc-cise e poi nascose l’insetto per non dar campo a riscaldamento difantasia. Svegliatisi il mietitore, e sentesi addolorato il piede ove os-

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serva un circolare indurimento di color fosco – bruno, e del diametrodi un pollice circa. Fermassi col pensiero che fosse stato ferito daun’ape, che abbondantissime in queste regioni succhiano dai fiori ditimo e di ginestra un mele più dolce dè favi Iblei. Uno stordimentodi testa, una specie di affanno, un abbattimento in tutto il sistemanervoso, furono i sintomi che tosto si annunciavano. Oppresso, ab-battuto, delirante, trovatasi nello stato più miserando, allorché tenta-rono i soliti accordi, i quali svegliarono il ballo consueto, che dièall’infermo competa e subita guarigione. Né credasi poi che fosse intutto lieve cosa distruggere gli effetti del veleno della tarantola, poichésovente la vita vien tratta all’estremo, e persona di Novoli di circaanni 50, Francesca De Luca nomata, dopo gravissima e lunga malattia,ricevendo pure gli estremi conforti della religione, scampò appenada un male che le restò lunghe tracce di sua gravezza. Il veleno dellatarantola sembra quindi agire sul sistema nervoso, e vi produce unaspecie di esalamento. Questo accoppiato alla prevenzione ne crescel’intensità. In tal modo riunito l’effetto reale del veleno, e l’esaltazionecerebrale, si producono tutti gli effetti velenosi che hanno dello stra-vagante. Una energia suscitata nel sistema nervoso medesimo mercèdella musica, il violento moto che attiva la circolazione, ed apre ladiaforesi, sono al certo i mezzi di cui la natura si serve per distruggereil male. Mezzi ai quali l’arte potrebbe sostituire degli altri, e special-mente dè rimedi interni tratti dalla classe dè diaforetici, ma questi ul-timi siccome mancanti del prestigio della fantasia, sarebberocertamente di minore efficacia di quei che vengono ordinariamenteadoperati in quella provincia, in cui è d’uopo curare l’effetto fisico

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del male, e quello che ne riceve il morale. In tal circostanza richiamo,o Socj ordinari, la vostra attenzione sugli effetti della musica in sul si-stema nervoso. Non rammento l’influenza degli accordi che Davidetraèva dall’arpa divina, sull’agitato cuore di Saulle; non altri fatti mol-tissimi che ne presenta la storia e la mitologia. A chi non è noto inqual modo una dolce melodia vale a calmare gli spasimi nervosi, lapiù cupa melanconia; il delirio più furioso? Chi non sentesi tratto inuna dolcissima estasi, cò nervi in viva esaltazione, all’udire accentiarmoniosi? Il dott. LICHENTHAL nella sua opera sull’influenza dellamusica sul corpo umano, ha raccolto numerosi fatti per provare comealcuni accordi sono valevoli a calmare e guarire date malattie con-vulsive. Dagl’individui in preda a gravi affezioni melanconiche, e cheascoltano con indifferenza la musica più deliziosa, ne sono tratti al-l’istante allorché si toccano quegli accordi che hanno analogia allostato dè loro nervi. Drahonnet ne rapporta il caso di una donna chegiaceva oppressa da gravissima e diuturna monomania malinconica,ed ascoltava senza alcuna commozione il suono di un piano toccatoda sua sorella nella prossima stanza. Un giorno però comincia a suo-nar per caso un accordo, il quale produsse in un istante un invincibiletrasporto alla gioja nella compianta ammalata. Schiudendo la primavolta le sue labbra al sorriso del contento, prega la sorella perchécontinuasse a toccare quelle corde che le davano tanto sollievo. Lacontinuazione di questo mezzo valse in seguito a ridonarle comple-tamente una salute che si credeva perduta per sempre.1 Non potreb-

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1 Il ch. Pietro Ruggieri P. Prof. di patologia nella nostra Regia Università,

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besi quindi il tarantismo, definire per una monomania ipocon-driaca, in cui una particolare armonia può aver influenza a rime-nare il sistema nervoso nella normalità del suo modo di sentire.Per analogia, il veleno della tarantola può venir assimilato a

quello della vipera, avuto riguardo della diversa intensità e gradodi loro rispettiva virulenza. I fenomeni morbosi che si attribuisconoalla tarantola sono quegli stessi che si osservano dietro il morsodel coluber – berus, sembrano nell’uno e nell’altro caso attaccatodirettamente il sistema encefalico, ed il cardiaco. Lo stato vertigi-noso, l’abbattimento dè nervi, il tremor generale, le sincopi, il re-spiro affannoso, la nausea, il vomito, la profonda tristezza sonocomuni ad entrambi, come in ambi i casi il polso è frequente e ir-regolare. Sembra però che il veleno della tarantola agisca più di-rettamente sul nervo trisplanico e sue dipendenze. Le funzionidella respirazione ne sono lese fin da principio, ed una specie ditorpore nel sistema muscolare sembra essere la conseguenza im-mediata del virus. Evvi ancora nel Salentino altro argomento a cre-der mio che confirma la cennata analogia fra il veleno della viperae quello della tarantola. In S. Pietro a Galatina conservasi unpozzo, che secondo la credenza deli abitanti contiene un’acqua

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e così benemerito alla patria medicina per le dotte opere da Lui scritte divario argomento, ne ha riferito un fatto analogo a quello del dott. Dra-honnet, e che mostra l’influenza di speciali accordi della musica nellaguarigione di alcune malattie nervose.

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portentosa a guarire gli effetti del morso del falangio. Spettacolodi pietà si presenta nella calda stagione, d’infelici che ingombri ditristo assopimento, ligati sugli asini sono condotti in tal sito. Ivigiunti si fa loro bere abbondantemente dell’acqua il cui primo ef-fetto è di promuovere vomito incoercibile, in modo che il volgocrede che vi contenghi dell’emetico. Io mi ebbi della bontà dellacoltissima ed amabile Baronessa Gorgoni – Plantera una quantitàdi acqua che esaminai con diligenza. Era essa oltremodo pregnadi sostanze animali putrefatte, e conteneva abbondevole quantitàdi ammoniaca, sì che bevuta diventava cagione di nausea e vo-mito. Ed invero quel pozzo è in un sito dove distillano le acqueimputridite della città. Oltre all’influenza morale della bevanda, edelle conseguenze del vomito, non si potrebbe forse calcolareegualmente l’effetto dell’ammoniaca sull’animale economia? Si sacome è stata essa predicata da alcuni nel morso della vipera, seb-bene il celebre Fontana le presti poca fede. Il dot. Giri ha adope-rato ancora con vantaggio l’ammoniaca internamente neltarantismo, ed esternamente il sapone ammoniacale, accompa-gnandola però con eccitanti diffusivi. Anche il laudano liquido èstato dato da lui con molto vantaggio. Si sa parimenti che gli an-tichi usavano la teriaca nel morso della vipera, e la usavano pureinsieme col vino generoso, col pepe, coll’aglio, ec. Nel morso dellatarantola, come ne accertano Dioscoride, Plinio, Galeno, Oribasio,Rhasis, Serapione, ec. (Esculapio del Tevere, pag. 27). Riguardo ilmoto convulsivo degli arti esercitato o dalla forza del veleno, odalle forze della natura tendenti ad eliminarlo, egli è d’uopo riflet-

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tere che anche coloro che hanno osservato tal malattia in altri sitiparlano sempre degli stessi sintomi come costanti e patognomicidel tarantismo. Dal dottore Spizzirri venne ciò osservato nella Ca-labria, del pari che dal dott. Wirtzmann in Odessa e dal Mazzolenipresso Roma, siccome trovasi nell’Osservatore Medico registrato;ed i sintomi medesimi riferisce il dott. Raffa Pancaldo aver osser-vato in Sicilia, come scrive nella Biblioteca scientifico letteraria, elo stesso rapporta il dott. Giuseppe Giri anche nella maremma diViterbo, nell’Esculapio del Tevere. Può desumersi da ciò che peruna specie di antica ciarlataneria, da questa tendenza al moto ir-regolare se nè fatto derivare il ballo, al quale si fanno abbandonarei morsicati: il ballo però che non si esegue là dove non esiste que-sta superstiziosa credenza. In tal modo soltanto considerando lacosa può sceverarsi il vero dal falso, e formarsi una giusta idea ditarantismo. Riguardo le lesioni locali, nel salentino, queste si ri-conducono soltanto ad una flogosi circoscritta come quella delmorso dell’ape. In Odessa la flogosi è accompagnata da un fortedolore con gonfiezza dell’arto, sì che si usa con vantaggio ester-namente l’acqua di luce, o, in mancanza di essa, l’urina. In Calabriail dolore si è osservato acerbissimo e bruciante, comunicatesi al-l’ascelle, all’inguine, alle articolazioni, ed alle ossa, con colore it-terico della cute. In Sicilia non si è veduto nel sito del morso altroche una macchia rossa tendente al livido, con successivo gonfiore,e dolori generali. Il Dottor Demitry, che si è dato moltissimo a stu-diare ciò che concerne il tarantismo, considera il ballo come unrimedio semplicemente palliativo, e ne assicura che il freddo ado-

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perato nel sito del morso, ed internamente gli antimoniali, la scilla,la cipolla comune, ed altri diaforetici sono rimedi validissimi, mache gli acidi citrico ed acetico possono considerarsi come neutra-lizzanti diretti del veleno. Il dottore Spizzirri ha veduto sgombraregli effetti del tarantismo mediante bagno di vapori di vino in cuisiensi fatte bollire delle erbe aromatiche, mezzo per quanto pareanch’esso atto a promuovere la traspirazione. Il sig. Pancaldo nonci dice che in Sicilia si fosse usato un trattamento interno, ma perunica cura adoperarsi il moto in qualunque modo eseguito, anchein una culla. Conchiudendo quindi posso con ragione affermareche il veleno della tarantola sia vero e reale, che agisca sul sistemanervoso e sanguigno, che i suoi effetti non sono quasi mai mortali,e che sgombrar si possano mediante un trattamento energicamentediaforetico. Che tutto ciò che ha relazione alla musica ed al ballo,sebbene siano anch’essi rimedi utili, tuttavia si debbono definirepiuttosto a popolari inveterate credenze, le quali sonosi in qualchemodo vinte nelle Puglie occidentali, e che rimangono tuttora nellaJapigia, senza crederle di una efficacia esclusiva. Confesso peròche i fatti debbono essere un poco più attentamente considerati,ed il farlo sarebbe pur troppo utile ed indispensabile per la patriamedicina. Scrittori francesi, osservando che tutto sia meravigliosoin questa malattia, i suoi sintomi, la sua maniera di curarsi, e lasua cagione; pretendono che quanto si racconta sul veleno dellatarantola sia un tessuto di favole. Questo giudizio non si sarebbeemesso se si fosse partito dall’esame dei fatti, che debbonsi in taliquestioni unicamente consultata, e consultare con sana filosofia.

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Appendice I

Immagini della Tarantola nel XIX secolo

La complessa vicenda storica delle immagini della tarantola natein ambito scientifico è uno dei temi meno indagati nella letteraturasul tarantismo. Come ha osservato Gabriele Mina, «l’indagine ana-tomica e la raffigurazione della tarantola rientra in più ampio in-dirizzo della zoologia e delle scienze naturali dell’età moderna, ingrado di delucidare aspetti della pratica della dissezione, la logicadella classificazione e di organizzazione delle parti». In particolare,è proprio nel panorama della cultura medica dell’Ottocento chele immagini della tarantola, contestualmente al crescente sviluppodelle apparecchiature scientifiche e al perfezionarsi delle descri-zioni, si fanno via via sempre più precise, tese ad illustrare nonsolo la morfologia dell’insetto, ma anche gli organi interni, le mo-dalità di iniezione del veleno. Rientrano in questo quadro, soprat-tutto nei primi decenni dell’Ottocento, anche gli sforzi diaggiornamento della nomenclatura zoologica. Le tassonomie ot-tocentesche, insomma, fanno della tarantola un animale “reale”,da studiare in ogni minimo particolare con descrizioni e raffigura-zioni sempre più dettagliate, oltremodo minuziose, che diventanoparte essenziale, esplicativa del discorso medico scientifico.

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Tav. 1 – Tarantola di Pitaro

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Tav. 2 – Tarantola di Treviranus

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Tav. 2.1 – Tarantola di Treviranus

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Tav. 2.2 – Tarantola di Treviranus

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Tav. 2.3 – Tarantola di Treviranus

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Tav. 3 – Tarantola di Núñez

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Tav. 4 – Tarantola di Carrieri

Tavola spiegativa

N. 1 e N. 2: Lycosa tarentula dal vero.

N. 2: Forma generaledella glandola velenosa.

N. 3: Parte secretricedella glandolaa) Epitelio.b) Connettivo interno.c) Fibre muscolari.d) Connettivo esterno.

N. 4: Parte escretricedella glandolaa) Epitelio.b) Connettivo interno.c) Fibre muscolari.d) Connettivo esterno.

N. 5: Fibre muscolari.

N. 6: Cellule secretrici.

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Appendice II

Il tarantismo e la tarantola nell’Ottocento.Bibliografia diacronica

Il dibattito sul tarantismo nel XIX secolo è animato soprattuttodalle teorie di medici e naturalisti. Un dibattito variamente artico-lato, con ampie diramazioni in Spagna, Francia, Inghilterra a testi-monianza del vasto interesse internazionale attorno al fenomeno,nel quale non mancano le voci di una nutrita schiera di zoologi.Da segnalare, a questo proposito, il contributo di un fine letteratodanese Vilhelm Bergsoe (1835-1911) che esordisce con una dis-sertazione zoologica sulla tarantola prima di dedicarsi alla lettera-tura. Quasi certamente, Bergsoe fu anche il tramite attraverso ilquale il grande drammaturgo danese, Henrik Ibsen, inserì la fa-mosa scena di Nora che balla la tarantella nella sua opera più nota,Casa di bambole.1 Accanto a medici e scienziati, tuttavia, non man-cano in questo ricco panorama i contributi di folcloristi, eruditi,viaggiatori, cronisti regionali, raffinate scrittrici come l’inglese Ca-terin Grace Frances “Mrs Gore” (1799-1861). Sempre significativepoi le numerose testimonianze regionali (Campania, Sardegna, Pu-glia, Calabria) frutto di costanti osservazioni sul campo. Dopo ilsecolo dei Lumi, insomma, anche l’Ottocento positivista dispiega

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il suo armamentario teorico nel tentativo di svelare la complessafenomenologia del tarantismo. Ecco di seguito una bibliografia, si-curamente non esaustiva, ordinata secondo una scansione crono-logica, dei più importanti contributi sull’argomento.2

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Note

1 Su questi aspetti si veda il saggio di Sandra Colella, Ibsen, Bergsoe andtarantism. Some considerations abaut A doll’s house and Nora’s tarantella,in «Nort-west passage. Yearly review of the centre for Nothern Performingarts studies», Università di Torino, Edizioni di Pagina, 2008, pp. 193-205.

2 Tra i molti riferimenti imprecisi o incompleti che allo stato attuale nonè stato possibile verificare ne cito solo alcuni: Wolkenauer, Lettre sur latarentula «Archives litteraries de Vandeburg», uno scritto di G. B. Marzanosu «La Calabria» del 1890. Due infine le memorie inedite di cui abbiamonotizie emerse nel corso della ricognizione: quelle di Tommaso Chetchuti,autore di una Memoria sul tarantismo e Antonio Pitaro, autore di Nouveaumémoire sur la tarentula, Paris 1831. A queste bisogna aggiungere poi lamemoria inedita Nove osservazioni e conjetture sul male detto Tarantismo,letta il 18 marzo 1801 dall’arcidiacono di Altamura Luca de Samuele Ca-gnazzi nell’adunanza dell’Accademia dei Georgofili. Questo importantedocumento è stato recentemente pubblicato a cura di Anna Pietrofonte, Iltarantismo in uno scritto inedito di Luca de Samuele Cagnazzi, in «Alta-mura», bollettino dell’a.b.m.c., n. 50/51, 2009-2010, pp. 3-54.Si precisa inoltre che da questa rassegna bibliografica sono stati volu-

tamente esclusi tutti riferimenti bibliografici relativi alla voce “tarantella”che nell’Ottocento fu al centro di un vastissimo fenomeno di riscritturaanche in ambito colto che coinvolse i maggiori esponenti della culturamusicale e teatrale dell’epoca.Per una rassegna ragionata di questa fioritura letteraria e per la fortuna

non solo europea della tarantella come “vero e proprio genere pianisticoottocentesco” si vedano i fondamentali lavori di Marcello Cofini, Un in-contro di culture: la tarantella per pianoforte, Quaderni della taranta, Fi-renze 1995, Tarantella in musica, Accademia musicale salernitana, 2001.

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Bibliografia

1800MARMOCCHI F., Memoria sopra il ragno rosso di Volterra, Atti dell’Ac-

cademia delle Scienze di Siena detta Dè Fisico-Critici, 8.

1804 – 1807BALLANO A., Diccionario de Medicina y cirugía o Biblioteca manual

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RENDA A., Medicina popolare in Calabria, «Rivista delle tradizioni po-polari italiane», Fasc. IV, 1894, pp. 289-292.

1898GUERRIERI F., Il tarantolismo leccese (nella patologia, nella folklori-

stica), in AA.VV. Lecce 1898, Tipografia editrice salentina, Lecce (Rist. inGilberto Spagnolo a cura di, Ballanu, Ballanu. Il tarantolismo in unostudio del novolese F. Ferruccio. Guerrieri, «Lu Lampiune», Anno XII, n.2,1996, pp. 83-91).LONGIAVE I., Il tarantolismo in Sardegna, Tip. E. Libreria Gallizzi e

C., Sassari [rist a cura di Rosario Quaranta, Altamarea, Grottaglie, 1998].

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Ringraziamenti

Questo lavoro non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di molte per-sone che a vario titolo hanno messo a mia disposizione tempo e compe-tenze. Desidero pertanto ringraziare: il dott. Antonio Borrelli, responsabiledel sevizio informazioni bibliografiche della Biblioteca nazionale di Na-poli, Maristella Martella, che ha condotto in mia vece alcune ricerchenelle biblioteche bolognesi, Mauro Gioielli, per alcune segnalazioni ditesti e immagini della tarantola, Gabriele Mina, Pilar Leon Sanz, MarioCazzato, Andrea Carlino, Eugenio Imbriani, Flavia Gervasi e Silvia Or-lando per i suggerimenti e le segnalazioni.

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