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L'ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE: MEZZI E FONTI DI PROVAPROF. FRANCESCO ROSA

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Università Telematica Pegaso L'istruzione dibattimentale:

mezzi e fonti di prova

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 L’ESAME DEI TESTIMONI NEL SISTEMA PROCESSUALE PENALE --------------------------------------- 3

2 L’ESCUSSIONE TESTIMONIALE: ESAME DIRETTO, CONTROESAME E RIESAME ------------------ 6

BIBLIOGRAFIA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8

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1 L’esame dei testimoni nel sistema processuale penale

Nel processo penale la fase dell’Istruzione dibattimentale rappresenta il momento dell’esame

testimoniale, che assume un’importanza strategica, spesso decisiva, ai fini dell’indagine circa la

realtà degli accadimenti e per la soluzione del giudizio di cui sono oggetto. La acquisizione della

prova in dibattimento, nel contraddittorio delle parti, con i criteri dell’oralità e dell’immediatezza, è

la caratteristica saliente del sistema accusatorio. L’accusa, impersonata dal Pubblico Ministero ha

l’onere della prova di reità, diversamente dall’imputato che non deve provare la sua innocenza, in

forza del principio costituzionale di presunta non colpevolezza (art. 27 Cost.), ora rafforzato in

“presunzione di innocenza”. La prova consiste nella dimostrazione della verità o del modo di essere

di un fatto o di uno o più comportamenti e i mezzi per conseguire tale dimostrazione sono, in via

principale, la testimonianza, l’esame delle parti, i confronti, le ricognizioni, gli esperimenti

giudiziali, le perizie e le documentazioni. In via secondaria, concorrono alla formazione della prova,

attraverso la loro utilizzazione in sede processuale gli atti delle indagini preliminari, soprattutto

quelli irripetibili sin dall’inizio o divenuti tali successivamente (artt. 431 e 512 c.p.p.). Le prove che

il giudice deve valutare per saggiare la fondatezza della pretesa punitiva azionata dal PM sono solo

quelle legittimamente acquisite nel dibattimento (art.526 c.p.p.). Di fronte al diritto dell’accusa e

della difesa all’ammissione di prove a carico e a discarico, sta il dovere del giudice di escludere le

prove illecite e quelle vietate, ma non le prove atipiche (ossia non disciplinate dalla legge). Sono

illeciti quei mezzi di prova, la cui assunzione violerebbe la libertà morale della persona, costituendo

metodi o tecniche (es. ipnosi, siero della verità) che alterano le normali potenzialità o capacità

psichiche. Sono prove vietate quelle acquisite in violazione di norme di legge (artt. 188 e 191c.p.p.).

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In ordine alle prove atipiche, la loro mancata previsione nella legge non equivale a divieto; la prova

è, di regola, ammissibile (art. 189 c.p.p.), dovendo il processo tendere alla ricerca della verità reale.

Seppure modesta deve considerarsi l’ingerenza del giudice nella formazione della prova, essendo

marginale il suo ruolo di stimolo o impulso, questi può rivolgere domande a testi, periti, consulenti

e parti e può indicare a queste ultime temi di prova nuovi o più ampi, da non essere trascurati. Dal

primo affermarsi della Psicologia come scienza autonoma, negli anni tra la fine dell’800 e gli inizi

del 900, il tema della testimonianza ha suscitato un grande interesse, sia nel campo della ricerca

applicata, sia della ricerca di base, per le connessioni con gli studi sulla percezione, la memoria, la

suggestione (Binet, 1900; Stern, 1903). Nella ricerca attuale, la testimonianza rappresenta uno degli

argomenti centrali della Psicologia giuridica, ossia di quella branca della Psicologia che si applica al

mondo legale e forense. L’esperienza testimoniale comporta la capacità di rievocare e riferire il

ricordo di un evento spesso altamente emozionale o, al limite, traumatico. Le condizioni di

esposizione all’evento e le caratteristiche disposizionali, stabili o temporanee, del testimone

possono falsare la percezione di quanto accade (Ainsworth, 1998). Inoltre, la memoria di un evento

di rilevanza emotiva è ben lontana dall’essere un attendibile ritratto dell’accaduto. Il dibattito sulla

relazione tra emozione e memoria è complesso. Alcuni studiosi hanno sostenuto che l’emozione

danneggia inequivocabilmente la memoria, provocando amnesie retrograde da cui non è più

possibile recuperare il materiale originario (Loftus e Burns, 1982). Altri, invece, hanno ritenuto che

sia possibile recuperare ricordi di eventi traumatici anche a distanza di molti anni da quando si sono

verificati (Treisman, 1964). Il tempo risulta importante rispetto alla memorizzazione di materiale

emozionale, per il suo più lento decadimento (“slow forgetting”) (Reisberg e Heuer, 1992). D’altra

parte, l’emozione può dar luogo a ricordi vividi e persistenti anche di dettagli relativamente

periferici, sia per effetto della focalizzazione al momento della codifica dell’esperienza, sia

provocando più frequenti reiterazioni dell’accaduto (Heuer e Reisberg, 1990). Le reiterazioni post

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evento di materiale emozionale possono incidere notevolmente sul ricordo. Pensando tra sé, ma

soprattutto parlando con gli altri, per esempio con gli stessi operatori giudiziari, il testimone può

tendere a semplificare il ricordo e a renderlo coerente con gli schemi abituali di esperienza,

preservandone al limite il nocciolo essenziale (Neisser, 1981). Inoltre, gli interrogatori possono

produrre un notevole effetto di suggestione. Un aspetto interessante del problema riguarda il

monitoraggio della fonte d’informazione. Interrogati ripetutamente, specie se intimoriti dagli stessi

operatori giudiziari, i testimoni finiscono col cedere alle loro suggestioni post-evento. Anche nel

caso in cui sono potenzialmente in grado di attingere all’informazione originaria, i testimoni

finiscono col credere alla suggestione, sia perché non hanno valide ragioni per reputarla falsa, sia

perché proviene da una fonte giudicata accurata e credibile (Wright, 1996). In questo senso, la

suggestione diventa funzionale alla costruzione della versione dei fatti più utile alla parte che la

attua. La persuasione e l’ancoraggio alle regole del senso comune sono gli strumenti su cui si fonda

l’operazione di costruzione della verità processuale (Wright, 1996). Interessanti filoni di ricerca si

sono infine sviluppati anche sulla testimonianza di minori, specialmente coinvolti in reati di

maltrattamenti e abusi sessuali. In questi casi, l’esperienza testimoniale diventa ancora più

problematica, sia perché il minore vittimizzato è particolarmente sensibile alle suggestioni che

provengono da fonti autorevoli (dal pubblico ministero, dall’avvocato, dal perito, ecc.), sia perché il

trauma vissuto ha effetti ancora più drammatici sul ricordo (Fassone, 2002).

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2 L’escussione testimoniale: esame diretto, controesame e riesame

Un’analisi delle regole relative alla prova testimoniale viene condotta attraverso

l’avvicendamento di tre momenti, uno necessario e due eventuali:

• Esame diretto ovvero l’interrogatorio del teste da parte di chi lo ha introdotto al fine di

ottenere, tramite l’esposizione dei fatti da questo conosciuti, conferma e supporto alla

versione che intende dimostrare. Nell’esame diretto, chi interroga ha, in genere,

preventivamente vagliato al di fuori del dibattimento sia l’attendibilità sia il bagaglio di

informazioni in grado di essere ricavato dall’esaminato, e l’approccio psicologico sarà

presumibilmente conciliativo e collaborativo;

• Controesame condotto dall’antagonista di chi ha richiesto l’escussione del testimone per

porre nel dubbio le valenze probatorie emerse dalle dichiarazioni precedentemente rese e,

nel contempo, per aggiungere elementi di sostegno alla propria tesi. Oggetto del

controesame possono essere sia i fatti, sia la credibilità del teste. Nel primo caso, si

contesterà la ricostruzione degli avvenimenti così come esposta, al fine di provare che questi

si sono svolti secondo una sequenza diversa, alla presenza di circostanze differenti o che,

magari, le cose sono andate in maniera del tutto opposta. Nel caso in cui il controesame

verta sull’attendibilità del testimone, l’obiettivo sarà di screditarlo riguardo all’idoneità di

fornire informazioni fruttuose. In questa fase, il clima psicologico sarà tendenzialmente di

conflittualità e diffidenza;

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• Riesame nuovamente condotto da chi ha introdotto la prova, che tenterà il recupero

dell’attendibilità del teste e della veridicità dei fatti dichiarati in sede di esame diretto e

contestati nel controesame. La regola generale, che vuole la prova testimoniale assunta

tramite domande che il pubblico ministero e i difensori delle parti propongono direttamente

al teste, viene fissata dall’art. 498 del codice di procedura penale. I vari commi della norma

in questione scandiscono il tempo dell’operazione, fissando le cadenze attraverso le quali i

soggetti si alterneranno nell’esaminare il testimone: chi ha introdotto la prova comincerà con

l’esame diretto per poi essere seguito, nel controesame, dalle altre parti e, infine ed

eventualmente, procedere al riesame. Analizzando alcune peculiarità dei momenti in cui si

manifesta l’escussione della prova testimoniale, vi è concordia nel ritenere che l’alternanza

di esame diretto, controesame e riesame si svolga senza interruzioni e che tali fasi

dell’esame incrociato siano espletate con immediatezza, concentrazione e consequenzialità.

Infine la Corte di Cassazione ha ribadito il ruolo del giudice che, nel corso del controesame

o in un momento successivo, può ammettere i testimoni a rendere dichiarazioni spontanee

integrative delle risposte date alle domande e pertinenti al tema di prova e, in entrambi i

casi, legittimamente basarvi il proprio convincimento (Summerfield,1977).

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