45
3 StrumentiCres Febbraio 2004 SPUNTI DI RIFLESSIONE Pace, globalizzazione e nuove forme partecipative Sabina Siniscalchi* Nell’aprire il Public Forum, l’incontro internazio- nale di associazioni, movimenti e ONG che si è svol- to a Genova nei giorni precedenti il G8 del luglio 2001, la sociologa americana Susan George ha commenta- to: “Per la prima volta nella storia esiste un movi- mento mondiale che porta avanti delle riven- dicazioni non legate ai propri interessi, ma agli in- teressi di tutti; un movimento che avanza richie- ste in favore e in difesa dell’umanità intera”. In queste parole risiede il senso della partecipazio- ne alle iniziative genovesi di tante organizzazioni della società civile italiana. Genova è stata la prima grande occasione di pre- senza in Italia di un nuovo e composito movimento di base; una presenza non sempre unitaria a volte persino contraddittoria, ma sicuramente animata dal desiderio di portare all’attenzione dell’opinione pub- blica e dei leader politici l’urgenza dei problemi mon- diali, l’esigenza di maggiore giustizia sociale, la testi- monianza di una diffusa solidarietà. Eppure, la manifestazione genovese, oscurata dal- la violenza delle forze dell’ordine e dei Black Block e insanguinata dall’uccisione di Carlo Giuliani, è stata considerata da molti una sterile protesta. Questa incomprensione è sembrata farsi più acuta dopo la tragedia dell’11 settembre: complici i mezzi d’informazione, alcuni intellettuali e politici hanno cercato di far passare l’idea che criticare la globa- lizzazione significasse disconoscere i valori della ci- viltà occidentale e che essere contrari ad una nuova guerra equivalesse a prendere le parti dei terroristi; è stata veicolata la farneticante equazione “no global” uguale ad antioccidentali, pacifisti uguale ad antiamericani. Questo tentativo è stato smascherato dai messag- gi, dai contenuti e dallo stile di tutte le mobilitazioni che si sono succedute in Italia dopo Genova: le due Marce per la Pace da Perugia ad Assisi, le più nume- rose degli ultimi vent’anni, i Forum Sociali Europei del novembre 2002 e 2003 che hanno visto riunite, a Firenze e a Parigi, migliaia di persone in rappresen- tanza di associazioni, reti e gruppi, e, soprattutto, la straordinaria mobilitazione per la pace del 15 febbraio 2003. In questi eventi italiani, come nel World Social Forum che per tre anni consecutivi si è celebrato a Porto Alegre, la società civile, accanto alla protesta contro la guerra, l’ingiustizia e la mancanza di de- mocrazia, ha avanzato idee e strategie alternative, dimostrando che un altro mondo non solo è possibi- le, ma è già in costruzione 1 . Le fila del movimento si sono via via ingrossate e arricchite di nuove diversità, includendo invece di escludere realtà tra loro molto differenti, che hanno imparato a riconoscersi, a dialogare, a condividere esperienze e impegno sociale, ideali e progetti. Alla manifestazione per la pace di Roma era pre- sente l’intero universo sociale e culturale italiano: associazioni e sindacati, studenti e pensionati, reli- giosi e non credenti, partiti politici e disobbedienti, intellettuali e casalinghe, Rete di Lilliput e Social Forum, no global e new global. 2 A Roma, si è finalmente colmata la distanza tra movimento e pubblica opinione, si è saldata la frat- tura tra manifestanti e gente comune. Il motivo unificante non è stato soltanto il rifiuto di una nuova guerra, ma un più profondo desiderio di pace. Si è fatta strada la convinzione che il terrorismo non può essere sconfitto dall’invasione militare del- l’Iraq, ma da una nuova politica mondiale che abbia come fine supremo la pacifica convivenza tra popoli e paesi. Si esigono risposte diverse da quelle militari, si con- fida nei negoziati allargati a tutte le controparti, si chiedono iniziative concrete per riformare un siste- ma mondiale che produce squilibri sempre più acuti e contraddizioni sempre più laceranti. Si percepisce l’assurdità di una ricchezza crescen- te, più grande che in qualsiasi altro periodo della sto- ria umana, che, tuttavia, non allevia la sofferenza di metà della popolazione mondiale: due miliardi e ottocentomila persone costrette a vivere con meno di due dollari al giorno. 3 Ci si scandalizza di fronte al fatto che tre multi- miliardari hanno un reddito che equivale al prodotto nazionale lordo di 49 paesi, dove vivono nella mise- ria 600 milioni di uomini, donne e bambini. Si contesta il fatto che cibo ed acqua vengano spre- cati, quando un miliardo e trecento milioni di perso- ne non hanno acqua potabile e ottocento milioni di individui soffrono di malnutrizione e fame. Ci si interroga sull’efficienza delle Istituzioni finan- ziarie internazionali: Banca Mondiale e Fondo Mo- netario Internazionale che, a parole, dicono di voler sconfiggere la povertà e, attraverso la globalizzazione, favorire la crescita economica di tutti i paesi. Nei fat- 1 già segretario nazionale di Mani Tese, direttore della Fondazione Culturale di Banca Etica

Pace, globalizzazione e nuove forme partecipative · esperienze e impegno sociale, ideali e progetti. Alla manifestazione per la pace di Roma era pre-sente l’intero universo sociale

Embed Size (px)

Citation preview

3StrumentiCres ● Febbraio 2004

SPUNTI DI RIFLESSIONE

Pace, globalizzazione enuove forme partecipativeSabina Siniscalchi*

Nell’aprire il Public Forum, l’incontro internazio-nale di associazioni, movimenti e ONG che si è svol-to a Genova nei giorni precedenti il G8 del luglio 2001,la sociologa americana Susan George ha commenta-to: “Per la prima volta nella storia esiste un movi-mento mondiale che porta avanti delle riven-dicazioni non legate ai propri interessi, ma agli in-teressi di tutti; un movimento che avanza richie-ste in favore e in difesa dell’umanità intera”.

In queste parole risiede il senso della partecipazio-ne alle iniziative genovesi di tante organizzazioni dellasocietà civile italiana.

Genova è stata la prima grande occasione di pre-senza in Italia di un nuovo e composito movimentodi base; una presenza non sempre unitaria a voltepersino contraddittoria, ma sicuramente animata daldesiderio di portare all’attenzione dell’opinione pub-blica e dei leader politici l’urgenza dei problemi mon-diali, l’esigenza di maggiore giustizia sociale, la testi-monianza di una diffusa solidarietà.

Eppure, la manifestazione genovese, oscurata dal-la violenza delle forze dell’ordine e dei Black Block einsanguinata dall’uccisione di Carlo Giuliani, è stataconsiderata da molti una sterile protesta.

Questa incomprensione è sembrata farsi più acutadopo la tragedia dell’11 settembre: complici i mezzid’informazione, alcuni intellettuali e politici hannocercato di far passare l’idea che criticare la globa-lizzazione significasse disconoscere i valori della ci-viltà occidentale e che essere contrari ad una nuovaguerra equivalesse a prendere le parti dei terroristi;è stata veicolata la farneticante equazione “no global”uguale ad antioccidentali, pacifisti uguale adantiamericani.

Questo tentativo è stato smascherato dai messag-gi, dai contenuti e dallo stile di tutte le mobilitazioniche si sono succedute in Italia dopo Genova: le dueMarce per la Pace da Perugia ad Assisi, le più nume-rose degli ultimi vent’anni, i Forum Sociali Europeidel novembre 2002 e 2003 che hanno visto riunite, aFirenze e a Parigi, migliaia di persone in rappresen-tanza di associazioni, reti e gruppi, e, soprattutto, lastraordinaria mobilitazione per la pace del 15 febbraio2003.

In questi eventi italiani, come nel World SocialForum che per tre anni consecutivi si è celebrato aPorto Alegre, la società civile, accanto alla protestacontro la guerra, l’ingiustizia e la mancanza di de-mocrazia, ha avanzato idee e strategie alternative,dimostrando che un altro mondo non solo è possibi-le, ma è già in costruzione1 .

Le fila del movimento si sono via via ingrossate earricchite di nuove diversità, includendo invece diescludere realtà tra loro molto differenti, che hannoimparato a riconoscersi, a dialogare, a condividereesperienze e impegno sociale, ideali e progetti.

Alla manifestazione per la pace di Roma era pre-sente l’intero universo sociale e culturale italiano:associazioni e sindacati, studenti e pensionati, reli-giosi e non credenti, partiti politici e disobbedienti,intellettuali e casalinghe, Rete di Lilliput e SocialForum, no global e new global.2

A Roma, si è finalmente colmata la distanza tramovimento e pubblica opinione, si è saldata la frat-tura tra manifestanti e gente comune.

Il motivo unificante non è stato soltanto il rifiutodi una nuova guerra, ma un più profondo desideriodi pace.

Si è fatta strada la convinzione che il terrorismonon può essere sconfitto dall’invasione militare del-l’Iraq, ma da una nuova politica mondiale che abbiacome fine supremo la pacifica convivenza tra popolie paesi.

Si esigono risposte diverse da quelle militari, si con-fida nei negoziati allargati a tutte le controparti, sichiedono iniziative concrete per riformare un siste-ma mondiale che produce squilibri sempre più acutie contraddizioni sempre più laceranti.

Si percepisce l’assurdità di una ricchezza crescen-te, più grande che in qualsiasi altro periodo della sto-ria umana, che, tuttavia, non allevia la sofferenza dimetà della popolazione mondiale: due miliardi eottocentomila persone costrette a vivere con menodi due dollari al giorno.3

Ci si scandalizza di fronte al fatto che tre multi-miliardari hanno un reddito che equivale al prodottonazionale lordo di 49 paesi, dove vivono nella mise-ria 600 milioni di uomini, donne e bambini.

Si contesta il fatto che cibo ed acqua vengano spre-cati, quando un miliardo e trecento milioni di perso-ne non hanno acqua potabile e ottocento milioni diindividui soffrono di malnutrizione e fame.

Ci si interroga sull’efficienza delle Istituzioni finan-ziarie internazionali: Banca Mondiale e Fondo Mo-netario Internazionale che, a parole, dicono di volersconfiggere la povertà e, attraverso la globalizzazione,favorire la crescita economica di tutti i paesi. Nei fat-

1 già segretario nazionale di Mani Tese, direttoredella Fondazione Culturale di Banca Etica

StrumentiCres ● Febbraio 20044

��������������������

ti, le politiche perseguite da queste istituzioni e daiGoverni più ricchi che ne condizionano le decisioni,penalizzano fortemente i paesi e le categorie più de-boli, contribuendo ad accrescere la povertà e l’esclu-sione sociale.

Già a partire dagli anni Ottanta, le ONG impegnatenei paesi in via di sviluppo, hanno cominciato a de-nunciare i danni causati dai tagli alla spesa pubblicain settori vitali come la sanità e l’istruzione, impostiai paesi indebitati per risanarne i bilanci; vent’annidi queste politiche - denominate di aggiustamentostrutturale - hanno prodotto scuole senza maestri epresidi sanitari senza medicine, riducendo l’aspetta-tiva di vita, aumentando la mortalità infantile e ma-terna, acutizzando l’analfabetismo e l’abbandono sco-lastico.

Ci si preoccupa di fronte allo smantellamento deidiritti dei lavoratori, al declino delle politiche pubbli-che in favore dell’occupazione, al comportamentosocialmente irresponsabile di molte aziende, che pro-vocano precarietà e impoverimento dei lavoratori edelle loro famiglie, fino all’estremo scandalo dellosfruttamento della manodopera minorile.

Si criticano le iniziative dell’Organizzazione Mon-diale del Commercio che, in nome della libera-lizzazione piena dei mercati, aprono la strada allaprivatizzazione di beni e servizi fondamentali per ilbenessere umano, come le medicine, l’acqua potabilee l’istruzione.

Si temono i rischi di una finanza cresciuta in modoabnorme: ogni giorno 2 mila miliardi di dollari ven-gono scambiati nei mercati finanziari, ma non servo-no a sostenere investimenti produttivi ed economiareale e, cosa ancora più vergognosa, riciclano i pro-fitti illeciti derivanti dalla vendita di armi e droga, daltraffico di esseri umani, dai paradisi fiscali; per que-sto si diffida degli speculatori che, svincolati da ognicontrollo, riescono a mettere in crisi valute forti edeconomie solide, com’è accaduto qualche anno fa nelSud Est asiatico, distruggendo in pochi mesi la ric-chezza economica costruita in decenni.

Si evidenziano le inadempienze e le incoerenze deiresponsabili politici: il mancato rispetto degli impe-gni assunti dai Governi in occasione delle Conferen-ze Mondiali sullo Sviluppo degli anni Novanta4 , inmateria di tutela dell’infanzia, dell’ambiente, dei di-ritti umani, delle donne.

Si ritiene inaccettabile che, di fronte ai crescentiinvestimenti in operazioni belliche, si diminuiscanole risorse e gli interventi a favore dello sviluppo uma-no e la salvaguardia dell’ambiente: i fondi per la coo-perazione con il Sud del mondo sono oggi al minimostorico e ammontano a meno del 10% delle spesemondiali per armamenti. Secondo gli studi preparatidall’ONU, basterebbero 54 miliardi di dollari per ga-rantire a tutti gli abitanti del pianeta beni fondamen-tali come il cibo, l’acqua, l’istruzione primaria, la sa-nità di base, oggi se ne spendono 500 miliardi perprodurre armi.

Si sta ancora aspettando di veder destinare allo svi-luppo il dividendum di pace che doveva liberarsi conla fine della Guerra Fredda, ora una nuova corsa agli

armamenti pregiudica di nuovo e pesantemente que-sta scelta.

Nella Conferenza mondiale di Monterrey del mar-zo 2002 dedicata a “Finanza e sviluppo”, il Governoamericano ha promesso di aumentare i suoi aiuti aipaesi poveri di 5 miliardi di dollari l’anno, nelcontempo, lanciando la più grande campagna di riar-mo dai tempi del Vietnam, ha programmato di au-mentare le spese militari di 120 miliardi di dollariall’anno per un periodo di cinque anni portando ilbilancio alla difesa nel 2007 a 451 miliardi di dollari.

L’incontro dei G8 di Genova, che è costato qualco-sa come 400 miliardi di vecchie lire, pur avendoun’agenda molto densa, non è giunto a nessuna riso-luzione concreta su debito, disoccupazione, ambien-te, criminalità internazionale, povertà mondiale.

L’unica decisione condivisa è stata l’accoglimentoparziale della proposta del Segretario Generale del-l’ONU di costituire un fondo per la lotta alle malat-tie, ma il finanziamento concesso pari a 1,3 miliardidi dollari è del tutto insufficiente e ammonta a menodi un terzo di quanto richiesto da Kofi Annan, ben-ché corrisponda solo ad una piccola percentuale diquanto l’Italia ha deciso di spendere per costruire unanuova portaerei!

La società civile considera urgente la costruzionedi un apparato istituzionale mondiale, di un sistemamultilaterale di governo che serva a prevenire i con-flitti, scovare i criminali internazionali, garantire idiritti umani fondamentali, proteggere beni globalicome l’ambiente e le culture, assicurare la stabilitàeconomica e la giustizia sociale. Per questo guardacon apprensione al progressivo disconoscimento, so-prattutto da parte del Governo americano, di impor-tanti accordi internazionali già negoziati.

Dopo aver definitivamente respinto la ratifica, giànegoziata dal suo predecessore, del trattato di Ottawaper la messa al bando delle mine terrestri, lo scorsoluglio il Presidente Bush ha affossato la proposta del-l’ONU di una Convenzione per limitare il commer-cio internazionale di armi leggere e, poco prima, siera opposto al rafforzamento del controllo sull’ap-plicazione della Convenzione, adottata nel 1975, cheproibisce la produzione e il possesso di armi biologi-che.

E’ soprattutto a causa degli Stati Uniti che moltiaccordi, già ratificati dalla maggioranza degli Stati,rimangono inapplicati, come nel caso del Protocollodi Kyoto o del mandato della Corte Penale Interna-zionale.

E’ un segnale inquietante che, se da un lato minala costruzione di un sistema di diritto globale a ga-ranzia della sicurezza e dello sviluppo sostenibile, dal-l’altro dimostra il senso di dominio unilaterale checaratterizza i comportamenti e le decisioni dellaGrande potenza. Questa visione di potere infinito stapaurosamente prendendo il sopravvento sul doveredi confrontarsi con gli altri, sul bisogno di ricono-scersi in un sistema di regole condiviso, sulla neces-sità di rafforzare l’ONU: la scelta estrema sarà rap-

5StrumentiCres ● Febbraio 2004

��������������������

presentata dalla dichiarazione di guerra all’Iraq, an-che in assenza di una Risoluzione del Consiglio di Si-curezza.

Non si vogliono negare altre responsabilità: quelledell’Europa incapace di prendere posizioni forti eunitarie, giocando un ruolo decisivo nelle più scot-tanti vicende internazionali o quelle dei Paesi in viadi sviluppo che continuano a dissipare risorse uma-ne ed economiche in conflitti fratricidi.

E’, tuttavia, innegabile che la mancanza di un si-stema di governo internazionale e la debolezza poli-tica e finanziaria delle Nazioni Unite siano imputabilisoprattutto ai paesi più potenti.

Di fronte a una situazione mondiale così dramma-tica, bisogna riconoscere che il movimento di conte-stazione, venuto alla ribalta in occasione della confe-renza di Seattle del 1999, ha avuto un primo, eviden-te successo: la presa di coscienza dei difetti e dei ri-schi della globalizzazione.

I responsabili politici e istituzionali, anche italiani,cominciano ad ammettere che la globalizzazione nonè una panacea, come si millantava fino a poco tempofa. Proprio grazie alle critiche della società civile, siinizia a capire che affidare la vita dei popoli e dei cit-tadini solo all’economia non è una cosa saggia, per-ché l’economia segue propri criteri, legati alla ricercadel profitto e agli interessi degli investitori, ed essinon sono affatto una garanzia per il bene collettivo.

Si comincia ad accettare l’idea che il mercato mon-diale è asimmetrico e non funziona secondo quellalibera concorrenza che, in modo sano, potrebbe assi-curare la crescita economica di tutti i paesi.

Fino a qualche anno fa i toni erano di irriducibileottimismo: nel 1998, celebrando i primi tre anni di

vita del WTO, l’allora Direttore generale RenatoRuggiero, poi Ministro caduto in disgrazia del Go-verno Berlusconi, sosteneva che “L’economia senzafrontiere rappresenta un fattore di uguaglianza, nelsenso che la diffusione della tecnologia tende a cre-are ovunque pari opportunità, prevedendo l’avven-to di un’era di capitalismo senza contrasti”.

I suoi successori sono sicuramente più cauti, rico-noscendo che la liberalizzazione del commercio, an-che se è importante per la crescita economica, deveandare di pari passo con altre riforme.

Il mercato mondiale è più dinamico e la tecnologiasempre più avanzata, ma i problemi sociali rimango-no enormi, in alcune situazioni, non solo non sonorisolti da questi traguardi, ma ne risultano accentua-ti: Internet rimane inaccessibile per 2 miliardi di per-sone che non dispongono di elettricità e questo ag-grava la loro condizione di esclusi.

Dunque la globalizzazione non è buona di per sé,ma per essere davvero utile allo sviluppo e al benes-sere di tutti i paesi e di tutti i popoli deve essere go-vernata. Anche questa visione è ormai condivisa daipiù: il capitalismo selvaggio e sfrenato, infatti, comin-cia a fare paura anche ai ricchi, perché speculazionie frodi possono colpire ovunque e chiunque; nono-stante i dogmi del liberismo li aborriscano, sono dun-que indispensabili regole e controlli. Anche su que-sto versante, le organizzazioni della società civile sonoun passo più avanti dei responsabili istituzionali: perognuno dei problemi individuati, hanno messo a pun-to soluzioni, hanno maturato posizioni comuni, in unpercorso di “globalizzazione dal basso”, che è cresciu-to di pari passo con la globalizzazione economica efinanziaria.

Spesso queste strategie sono mutuate dall’impegnoche le associazioni portano avanti nei vari settori so-ciali, a fianco dei poveri e degli emarginati; l’azionedi pressione politica mantiene un forte legame conl’azione di solidarietà: ne trae impulso e, nelcontempo, la rinvigorisce.

Le Associazioni non si riconoscono più in un clichèche le vuole soccorritrici dei deboli, reti di salvezzaper coloro che non ce la fanno, erogatrici di servizi abuon mercato; ormai sono diventate veri e proprisoggetti politici, interlocutori delle istituzioni,depositarie di conoscenze ed esperienze utili a mi-gliorare il mondo.

Il nuovo movimento mondiale riesce a coagulare,attorno agli stessi obiettivi politici, realtà che opera-no in paesi e in settori diversi: dalla cooperazione allosviluppo all’ambiente, dalla difesa dei diritti umanialla tutela delle minoranze culturali.

Significativa a questo proposito è la frase inizialedella dichiarazione del primo incontro di PortoAlegre: “Siamo diversi donne e uomini, adulti e gio-vani, popoli indigeni, contadini e urbani, lavorato-ri e disoccupati, senza casa, anziani, studenti, per-sone di ogni credo, colore, orientamento sessuale.L’espressione di questa diversità è la nostra forza ela base della nostra unità. Siamo un movimento disolidarietà globale, unito nella nostra determinazio-ne di lottare contro la concentrazione della ricchez-za, la proliferazione della povertà e delle inegua-glianze e la distruzione della nostra terra. Stiamo

StrumentiCres ● Febbraio 20046

��������������������

�Alessandro Marescotti

costruendo alternative”.Ogni iniziativa politica, ogni Campagna è ormai

considerata terreno d’impegno comune ed è soste-nuta dalle diverse espressioni del movimento; è suc-cesso con Jubilee 2000, la Campagna per chiedere,in coincidenza con il Giubileo, la cancellazione deldebito dei paesi più poveri.

E’ accaduto per l’azione che ha rivendicato il dirit-to dei paesi con gravi emergenze sanitarie a produr-re e distribuire farmaci essenziali, senza subire ricorsida parte delle multinazionali farmaceutiche davantiall’Organizzazione Mondiale del Commercio.

E prima ancora con l’approvazione del Trattato perla messa al bando delle mine che è stato il frutto del-la Campagna Mondiale, insignita del Premio Nobelper la Pace nel 1997.

Ogni volta che una di queste iniziative è andata abuon fine, trasformandosi in norma internazionale ein impegno delle Istituzioni, non si è trattato sempli-cemente di un successo per il movimento, ma di unavittoria per l’umanità intera.

Ho condiviso con mio figlio e i miei studenti, stu-diando assieme i libri di scuola, questa ricerca inizia-ta con i traumi delle recenti guerre. Abbiamo creatoun sito di “cooperative learning” per condividere frapiù persone la storia della pace.

Molti ricorderanno il 2003 come un anno storicodel movimento per la pace. Esso è apparso come l’al-tra (e unica) forza globale in grado di contrapporsiagli Stati Uniti. Il 15 febbraio 2003 il movimento perla pace ha riempito le piazze di 603 grandi città delmondo e per la tv americana Cnn sono scesi in strada110 milioni di cittadini per dire no alla guerra in Iraq.Mai nella storia era accaduta - in simultanea mon-diale - una cosa del genere. Il New York Times del 16febbraio 2003 ha scritto che ci “sono due superpo-tenze sul pianeta: gli Stati Uniti e l’opinione pubblicamondiale”.

1 Il primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre si èriunito sotto il titolo “Un altro mondo è possibile”, il se-condo è stato intitolato “Un altro mondo è in costruzione”

2 La definizione “No global” viene utilizzata dai mezzid’informazione per definire il movimento di opposizionealla globalizzazione liberista. Il termine “New global” è stataconiato in Italia da alcune associazioni, come le Acli, che sidefiniscono l’ala moderata del movimento.

3 La soglia di due dollari al giorno viene utilizzata dallaBanca Mondiale per indicare il reddito minimo al di sottodel quale una persona è da considerarsi in condizioni dipovertà assoluta.

4 Nel corso degli anni Novanta le Nazioni Unite hannopromosso una serie di conferenze mondiali per stabilireprincipi e strategie, comuni a tutti i paesi, nei vari campidello sviluppo umano: a New York nel 1990 si è svolta laConferenza sui diritti dei bambini, nel 1992 a Rio de Janeiroc’è stata la Conferenza su “Ambiente e sviluppo”, nel 1993a Vienna la Conferenza sui diritti umani, nel 1994 quellade Il Cairo su Popolazione e Sviluppo, nel 1995 il Summitsullo Sviluppo Sociale di Copenaghen e la Conferenza diPechino su “Donne e sviluppo”, nel 1996 la Conferenza“Habitat” di Istanbul e quella di Roma sulla “Sicurezza Ali-mentare”.

La storia della paceè su Internet

Le radici storichedel pacifismo

Dopo quell’esperienza in tanti si sono chiesti: mail movimento per la pace è nato di recente o ha radicilontane? Si può parlare di una storia del movimentoper la pace anche per i secoli passati? E chi ha co-struito la storia del movimento per la pace? E’ abba-stanza intrigante chiedersi se il pacifismo ha radicianche nella storia antica o se nella preistoria gli uo-mini erano più pacifici dei loro discendenti che in-ventarono la scrittura e le altre forme di civiltà. Se siè convinti che il movimento per la pace sia un sog-getto storico è indispensabile scoprirne quindi le ra-dici con un paziente lavoro di ricerca, simile a quelloche gli umanisti realizzarono per portare alla luce letestimonianze di qualcosa che sembrava sepolto ne-gli archivi della storia.

Altri movimento storici dotati di identità forti (adesempio il movimento dei lavoratori o delle donneche hanno saputo ricostruire la propria storia) han-no scavato nel passato e hanno portato alla luce ciòche la storia ufficiale dei vincitori ha ignorato, taciu-to o deliberatamente manipolato. Ogni soggetto sto-rico consapevole dei propri compiti è tale solo se hala consapevolezza della sua storia. E questo vale inparticolare per il movimento per la pace che,* presidente di Peacelink

7StrumentiCres ● Febbraio 2004

��������������������

racchio da cui il lettore esce chiedendo aiuto. E daquesta immagine di storia malefica se ne esce a voltecon l’attesa del partito buono che ci protegge e che cisalva. E che ci chiede magari un complice silenzioaltrimenti “vince il nemico”. Una storia tutta centra-ta sulla malvagità che opprime gli uomini e devastail passato fa piazza pulita - a pensarci bene - dei tantiche hanno costruito qualcosa di buono. Come in tan-ti giornali l’impegno positivo non fa notizia o non vain prima pagina, così anche nella storia il meccani-smo rischia di riprodursi e di spazzare via la “piccolastoria”, le tante testimonianze profetiche e lungimi-ranti.

L’obiezione verso questo approccio è che si facciala storia dei perdenti e delle buone intenzioni, dei“profeti disarmati” che caddero in rovina, come pen-sava prima Machiavelli e poi la storiografia marxista.E in effetti vi è il rischio che la ricerca si arresti suuna narrativa di storie commuoventi, piene di buonisentimenti ma a cui sfugge la storia strutturale. I gua-sti delle guerre sono stati così profondi che la storiadelle biografie, per quanto animata di ideali e segna-ta dalle sofferenze, non giunge ad analizzarecompiutamente. Ad esempio i dati statistici, iretroscena economici e gli “invisibili” giochi di pote-re ci dicono della guerra tante cose che poi sono ar-gomenti per la pace. La guerra si fa una tale bruttapubblicità nella storia che la storia della pace è an-che storia del suo opposto dialettico, la guerra, contutte le sue sfaccettature sia esperienziali che di tipostrutturale.

Storia della pacee storia della democrazia

La storia “calda” (quella raccontata) e la storia“fredda” (quella analizzata) debbono convivere den-tro la storia della pace. La storia alternativa alla guer-ra è quella che si confronta con la guerra, non quellache vive in un mondo a parte separato dalla guerra.Quindi la storia della pace si occupa anche di storiamilitare ma lo fa con un occhio attento alla vicendaumana della sofferenza dei soldati, alle esperienze didiserzione e ribellione, alle conseguenze sociali, am-bientali ed economiche dei conflitti armati. Dettoquesto occorre però aggiungere che la storia dellapace vive di un suo specifico che la innalza al di so-pra del suo opposto dialettico (la storia della guerra)e che annota i progressi positivi - in campo sociale,istituzionale, culturale, artistico, ecc. - di chi ha lot-tato per essa. Possono essere conquiste “esterne” ac-quisite oggettivamente nella società o conquiste “in-terne” della coscienza collettiva.

La storia della pace è la storia della dignità dellepersone, ossia della costruzione dei diritti umani,della democrazia, della giustizia, della legalità. E’ lastoria di regole e di garanzie, è la storia della costru-zione del tessuto di rapporti e norme che fanno espri-mere la volontà generale e che al tempo stesso tute-lano i diritti delle minoranze. E’ la storia della pro-gettazione e realizzazione delle regole del conflittosociale nonviolento in cui non prevale il più forte e ilpiù violento ma chi acquisisce più consenso: è quin-di la storia della democrazia.

prefigurando metodologie nonviolente di risoluzio-ne dei conflitti del presente e del futuro, non può esi-mersi dal compito di verificare se i conflitti del pas-sato abbiano sperimentato soluzioni innovative di-verse dalla guerra.

La Peace HistoryLa storia della pace ha avviato il suo percorso di

ricerca da alcuni anni e negli Stati Uniti vi sono giàdegli studi di “Peace History”. Chi conosce l’inglesepuò prendere contatto con realtà stimolanti come laPeace History Commission e la Peace History Society.Tuttavia fare storia della pace non è semplice. Vi è ladifficoltà di reperire fonti alternative. Ma c’è ancheun altro problema: una delle cose più complesse dadefinire è che cosa si intenda per “storia della pace”.Ad esempio: la storia della pace deve studiare le guer-re? Occorre cioè circoscrivere l’ambito storico e l’og-getto stesso dello studio al fine di compiere una op-portuna ricerca e selezione delle fonti.

Come ricercare cosa?Personalmente ritengo che la storia della pace deb-

ba mettere in evidenza la biografia di tanti “piccoli”personaggi ignorati dalla storia ufficiale e di tanteazioni positive che hanno costruito “l’altra storia”.Un’altra società è possibile se diventa possibile un’al-tra storia che valorizzi non solo i grandi personaggima anche la gente comune che ha operato per il cam-biamento pacifico e nonviolento. La storia occorrestudiarla non solo come storia di mascalzoni e dimascalzonate altrimenti diventa una sorta di spau- �

StrumentiCres ● Febbraio 20048

�����������������������

� Contro il conformismoe l’assuefazione

Nel libro “Con il mondo a scuola”1 è citato il casodi un preside americano che all’inizio di ogni annoscolastico scriveva ai suoi insegnanti questa lettera:“Caro professore, sono un sopravvissuto di un cam-po di concentramento. I miei occhi hanno visto ciòche nessun essere umano dovrebbe mai vedere: ca-mere a gas costruite da ingegneri istruiti, bambiniuccisi con veleno da medici ben formati, lattanti uc-cisi da infermiere provette, donne e bambini uccisi ebruciati da diplomati di scuole superiori e universi-tà. Diffido - quindi - dell’educazione. La mia richie-sta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani.I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostrieducati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmannistruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sonoimportanti se non servono a rendere i nostri figli piùumani”. Anche la storia rientra in questo discorsoeducativo. La storia non può e non deve essere unesercizio di assuefazione alle guerre, alla logica dellaviolenza e della sopraffazione altrimenti diviene piùche mai attuale il grido poetico di Salvatore Quasi-modo: “Dimenticate i padri”2 .

La mia esperienza

PeaceLink nel 1999 ha pubblicato su pagine webuna “Storia della nonviolenza e dei diritti umani” cheavevo cominciato a scrivere nel 1991 subito dopo iltrauma della prima guerra in Iraq. Nel corso deglianni questa storia della pace l’ho riletta e riscritta coni miei studenti e infine anche con mio figlio che oraha 17 anni. In tal modo è stata arricchita e rielaborata.Ora è diffusa mediante un file scaricabile da Internet:è un libro elettronico che può essere letto e stampatogratuitamente. Il risultato è solo una piattaforma dipartenza per un’ulteriore ricerca. In un primo tempoavevo pensato ad un titolo del tipo “la storia della pacespiegata a mio figlio” ma poi mi sono convinto cheera una storia “ricercata assieme” e da qui è nata l’ideadi costruire su Internet un ambiente di “cooperativelearning” per espandere questa opera di ricerca con-divisa. E’ necessario infatti lavorare in gruppo perraccogliere nuovi esempi di storie alternative allaguerra, a conferma che “un’altra storia è possibile”.La storia della pace può crescere e oltrepassare l’am-bito ristretto di “storia settoriale” per diventare unapproccio complessivo alternativo di tipo storiogra-fico. Alle tradizionali correnti storiografiche, ora incrisi assieme alle ideologie classiche, occorre affian-care dialetticamente una nuova impostazionestoriografica che faccia proprie le culture e le aspira-zioni del movimento che oggi nel mondo costituiscel’unica alterativa all’impero del denaro e delle armi.

1 Maria Teresa Tarallo, “Con il mondo a scuola”,Multimage, http://www.umanisti.it/multimage/conilmondo.htm

2 Salvatore Quasimodo, “Uomo del mio tempo”

Un’opera apertascritta su PhpeaceLa rivoluzione di Linux può entraredentro la storia. Con un softwaredi cooperazione è ora possibile unascrittura collettiva della storia dellapace. Il sistema open source è aperto atutti coloro che vogliono migliorareil prodotto finale.

Era dal 1991 che mio padre aveva incominciato alavorare alla storia della pace. Avevo cinque anni al-lora. Poi crescendo, studiando determinati argomen-ti, mi sono accostato sempre più a quello che era illavoro di realizzazione della storia della pace. Ho co-minciato così dapprima a “scribacchiare” e poi a scri-vere anche io andando a costituire la seconda metàdella “squadra di scrittori” che ha dato vita ad un li-bro elettronico, distribuito su Internet, che può di-ventare cartaceo. Questa storia della pace potrebbeessere utilizzata anche nelle scuole in quanto utilestrumento di approfondimento e riflessione.

Il contenuto della storia della pace si trova sul sitowww.peacelink.it nella sezione tematica “storia”.Grazie a Francesco Iannuzzelli è stato realizzato unsistema di pubblicazione elettronica su Internet chepermette un accesso facile e una eventuale modificadelle informazioni. In breve possiamo dire che que-sta sezione è destinata a divenire una biblioteca vir-tuale - consultabile da ogni scuola e da ogni personadotata di collegamento ad Internet – in cui è possi-bile inserire, leggere o stampare documenti storici,saggi critici scritti da studenti o insegnanti, contri-buti culturali di varia provenienza. Il tutto viene rac-cordato alla storia della pace il cui testo contiene deilink ossia dei collegamenti ipertestuali che offronodegli approfondimenti sui testi integrali della biblio-teca virtuale. Nel testo principale della storia dellapace i documenti spesso non possono essere citati informa estesa per ragioni di spazio o per non appe-santire la lettura. Ci siamo infatti rapidamente ac-corti che scrivere una storia della pace con un’ap-pendice di documenti storici e di saggi storiograficiavrebbe causato un’eccessiva lunghezza del libro. Equindi abbiamo scelto di inserire delle note a piè dipagina contenenti dei link che rinviano alla sezionedi storia del sito di PeaceLink o ad altri siti di inte-resse storico. Ci è sembrato interessante operare la

Daniele Marescotti

9StrumentiCres ● Febbraio 2004

�����������������������

scelta del “sito biblioteca” aperto a chiunque vogliacollaborare per incrementare l’archivio di documen-tazione.

Il software che consente ciò si chiama Phpeace edè realizzato naturalmente in linguaggio php. Bastaessere provvisti di password e di username per en-trare da redattori nel sistema ed inserire nuovi arti-coli, documenti storici e saggi critici nella sezione distoria di PeaceLink. Tali articoli dovranno poi essereconvalidati, ai fini della pubblicazione su web, da unamministratore della sezione. Questo è un esempiodi sito dove non esiste un solo webmaster ma in cuitutti i redattori possono partecipare aggiungendo ar-ticoli, immagini o documenti storici. Un simile pro-cedimento si rifà al concetto di groupware, che è unsistema elettronico di collaborazione a distanza suspecifici progetti. Tale software di collaborazione fapensare un po’ al sistema operativo Linux. Perché?Linux è un sistema open source cioè basato su unaprogrammazione aperta a tutti coloro che voglionomigliorare il prodotto finale. Anche per un libro distoria si può applicare la filosofia dell’open sourcetrasformandolo in un’opera aperta destinata ad uncontinuo incremento e miglioramento. Infatti, qua-lora ci dovessero essere degli errori, essi possono es-sere corretti da tutti i redattori che hanno accesso allasezione storica del sito. Chi non fosse redattore puòcomunque segnalarci gli errori dando quindi anch’egliun valido contributo alla storia della pace.

Un grazie va infine alla realizzazione stessa dellastoria della pace che mi ha permesso di migliorare lacapacità di citazione delle informazioni e di inseri-mento delle note a piè di pagina.

In conclusione ho avuto l’opportunità di scrivere ilmio primo libro anche se in condivisione con miopadre. Ogni generazione riscrive e ripensa la storiaponendo domande nuove al passato. Riscrivere la sto-ria non vuol dire cambiarne la verità oggettiva maarricchirla di nuove risposte. Per questo mi auguroche altri studenti come me vogliano contribuire an-che loro a questa ricerca nel passato finalizzata adottenere delle risposte utili per il presente e per il fu-turo. Tutte le informazioni per collaborare a questogroupware sono su http://italy.peacelik.org/storia

NOTE SUGLI AUTORI

Alessandro Marescotti è nato nel 1958 einsegna Lettere in una scuola media superioredi Taranto. E’ presidente di PeaceLink e dal 1991si è occupato di telematica per la pace. Scrive perdiverse riviste e ha collaborato alla realizzazionedi vari libri. Nel 2003 ha partecipato alla stesuradei libri “Bandiere di pace” (Chimienti editore),“Né un uomo né un soldo” (Baldini editore), “An-nuario della pace” (Asterios editore).

Daniele Marescotti è nato nel 1986 ed è stu-dente del quarto anno di una scuola media su-periore di Taranto. Cura le pagine web del sitodella casa editrice Qualevita.

Educazionealla pace: normeper la scuola

Approfondire la storia della pace è una ricercache si inserisce nel più complessivo lavoro perl’educazione alla pace. Alcuni insegnati temonodi andare “fuori del programma ministeriale” odi incorrere nelle ire di presidi ostili a queste cose.

Ecco allora alcune norme da citare nella pro-grammazione personale la quale, si badi bene,non può essere sostituita e cancellata con unaprogrammazione collegiale di dipartimento:l’art.33 della Costituzione garantisce la libertà diinsegnamento individuale.

Per quanto concerne l’educazione alla pace,essa ormai è entrata nella vita della scuola dallaporta principale e non deve più vivere nellasemiclandestinità. Il Ministero della Pubblica Istru-zione, con la circolare ministeriale del 27 giugno2003 (Prot. n. 1775-DIP-Segr), ha invitato a cele-brare la “Giornata Internazionale della Pace” peril 21 settembre. Tale circolare fa riferimento allaRisoluzione 55/282 del 7/09/01 dell’AssembleaGenerale delle Nazioni Unite. Con tale risoluzionel’Onu invita le strutture governative, le istituzio-ni formative e la società civile ad adoperarsi at-tivamente per coinvolgere e sensibilizzare sultema della pace.

Tale azione non si limita ad una sola giornatama ad un intero decennio L’Onu ha proclamato(Delibera 53/25 del 10/11/1998) il periodo 2001-2010 “Decennio Internazionale per una Culturadi Pace e Nonviolenza per le Bambine e i Bambi-ni del Mondo”. In precedenza, l’Onu aveva pro-clamato il periodo 1995-2004 “Decennio perl’educazione ai Diritti Umani”. Per rafforzare que-ste decisioni, il 13 settembre 1999 (Delibera 53/243), l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite haapprovato una “Dichiarazione” e un “Programmad’azione per una cultura di Pace” in cui al primoposto vi è l’obiettivo di rafforzare una cultura dipace e di nonviolenza attraverso l’educazione.

Storia della pacesu Internet

Storia della pace e dei diritti umanihttp://italy.peacelink.org/pace/articles/art_1331.html

Biblioteca di storia della pace con link ad altri sitisimilihttp://italy.peacelink.org/storia

Mailing list sull’educazione alla pacehttp://lists.peacelink.it/educazione/maillist.html

StrumentiCres ● Febbraio 200410

���������������������������������������������� PROPOSTE DIDATTICHE

“La cultura svolge in primo luogo la funzionedi rendere possibili le relazioni tra gli individui,mediando tra le persone e il loro ambiente e dan-do, di conseguenza, un senso alla realtà. Essaadempie inoltre alla funzione di motivare le per-sone, indicando loro gli obiettivi cui tendere. Lacultura svolge questo compito non con un insie-me di prescrizioni, ma proponendo criteri e mo-delli che le persone possano usare per compren-dere la situazione che hanno davanti e per im-maginare il proprio futuro”

G. Mantovani

Circa tre anni fa, la scuola media “Rinascita - A.Livi” di Milano intraprese il viaggio verso la realizza-zione di un Progetto triennale intitolato Scuola-Co-munità. Il Collegio optò per questo titolo nonostantele diffidenze emerse nei confronti dell’introduzionedel secondo elemento del binomio terminologico,connotato da rimandi a valenze religiose di un’areache si riconosce nel modello della Comunità di S.Patrignano, dalla quale il ministro Moratti ha mu-tuato princìpi etici e norme pedagogiche. La scelta,pur non dissipando tutte le perplessità, è stata tutta-via sostanziata da motivazioni che non lasciano dub-bi sulle finalità educative del Progetto. In esso sonoinfatti ribaditi i legami con la lotta antifascista e ilmovimento partigiano, cui appartenevano i giovaniche fondarono la scuola nel 1945, dandole il nome diuno dei più giovani caduti della Resistenza: AmletoLivi. Su queste radici storiche, ricordate ogni annocon una commovente cerimonia davanti alla lapideposta all’ingresso della scuola, si è articolata lasperimentazione didattica fino agli anni ’70, quandofu ottenuto il riconoscimento del Ministero.

Da allora in poi la sperimentazione si è sviluppatasull’elaborazione di Progetti triennali, esaminati eapprovati dagli ispettori ministeriali. Dopo la messain atto della “didattica per concetti”, negli ultimi annila sperimentazione ha assunto il tipico impianto del-la “didattica per progetti”. Di conseguenza le ore dicompresenza sono state denominate ore di proget-to, essendo caratterizzate dalla trattazione di temi

interdisciplinari e da una specifica modalità di svol-gimento delle lezioni scandita dalle seguenti fasi: larilevazione delle preconoscenze, la motivazione al-l’esplorazione, la preliminare esplicitazione del per-corso agli allievi, la negoziazione iniziale e in itinere,la sperimentazione e la scoperta, la preparazione delprodotto finale, la riflessione conclusiva e la comu-nicazione dell’esperienza.

In seguito all’elaborazione dell’ultimo Progetto, aquesto impianto si è deciso di affiancare il metododel cooperative learning, inteso come canale comu-nicativo per un accesso facilitato alle conoscenze at-traverso una partecipazione motivata e gratificante.L’apprendimento cooperativo è uno dei tre cardinidella Progetto Scuola-Comunità. Gli altri due sonorispettivamente: una diffusa osmosi tra la sferacognitiva e quella socio-affetiva dell’esperienzaformativa e una maggiore interazione fra insegnan-ti, alunni e genitori. E’ stato di conseguenza struttu-rato un orario che, una volta a settimana, prevedeuno spazio chiamato Attività Sociali, in cui 6 alunnidesignati dall’Assemblea di ogni classe partecipanoall’Assemblea generale dei delegati e alle Commis-sioni di autogestione della vita scolastica, tra cui c’èanche il coro dei ragazzi diretto da un docente di edu-cazione musicale. Le Commissioni sono cinque e cia-scuna ha un insegnante responsabile, ma i protago-nisti sono gli allievi che, per esempio, organizzano itornei di calcetto, pallavolo, pallamano, pallatennis,pallacanestro, e scelgono gli studenti incaricati diarbitrare le partite durante l’intervallo mensa (13,05-14,25).

L’Assemblea dei delegati è composta dai rappre-sentanti degli alunni eletti in ogni classe, che discu-tono dei problemi della scuola e fanno proposte permigliorare la qualità delle relazioni, suggerendo an-che modifiche da apportare all’organizzazione sco-lastica interna. Una volta al mese i lavori delle Com-missioni e dell’Assemblea generale sono sospesi perconsentire lo svolgimento dell’Assemblea in ognunadelle classi, dove i rispettivi delegati riportano il loroorientamento sulle questioni generali in discussio-ne, confrontandosi con i compagni e raccogliendo leosservazioni espresse e dibattute. L’Assemblea diclasse mensile è autogestita ed è condotta dai rap-presentanti alla presenza di un insegnante con fun-zione di osservatore, mentre le Assemblee settima-nali dei delegati sono condotte da due docenti, chene sono i garanti e agiscono su mandato del Colle-gio. Alle lezioni in classe, in contemporanea con leCommissioni e l’Assemblea dei delegati, partecipa-no tutti gli alunni tranne i due delegati e gli altri 4

Michele Crudo

Un’esperienza in progressdi educazione alla cittadinanza

11StrumentiCres ● Febbraio 2004

�����������������������

che escono per andare nelle Commissioni. Le lezionivertono su temi interdisciplinari, coerentemente conle ipotesi programmatiche tracciate nel ProgettoScuola - Comunità, eminentemente inteso come la-boratorio di democrazia, che, ponendosi nellaprospettiva dell’educazione alla cittadinanza,persegue un consapevole processo di maturazionegradualmente proiettato verso la comprensione del-le dinamiche del rapporto individuo/società, parte-cipazione diretta/partecipazione delegata, diritti/doveri, leggi dello Stato/princìpi morali.

Tenendo presente il quadro concettuale e l’orien-tamento pedagogico appena configurati, ho struttu-rato per la III C dell’anno scorso un progettoformativo cui ho dato il titolo di “Il piccolo grandemondo dei lillipuziani” . E’ stato svolto nell’arco del-l’anno scolastico 2002/03, utilizzando la quinta oradel mercoledì di ogni settimana ad eccezione di quel-la mensile prevista per l’Assemblea dei delegati. Ilcampo di indagine esplorato è stato quello delleinterconnessioni geo-antropiche della globalizza-zione, nell’ambito del quale è stato circoscritto l’ar-gomento relativo agli effetti e alle reazioni innescatein Italia dall’arrivo degli immigrati. I concetti e leparole-chiave presi in esame, oltre a quello diglobalizzazione, sono stati: pregiudizi, tolleranza,Paesi sviluppati, Paesi sottosviluppati, migrazione,discriminazione.

Il metodo di lavoro è stato semplice e lineare, es-sendosi basato sulla lettura, commento e sintesi del-le informazioni riportate dai giornali. Gli articoli suiquali ci si è soffermati maggiormente sono stati quel-li sulla legge Bossi-Fini, sugli itinerari delle migra-zioni, sulle vittime delle carrette del mare e degliscafisti del racket. Con l’aiuto di dati statistici, reperitidai rapporti annuali dell’UNDP e da siti internet, sonostati inoltre autoprodotti planisferi sugli indici di svi-luppo umano, sulla crescita demografica e sui flussimigratori. La ricostruzione del contesto è stata com-

pletata da grafici e istogrammi sulle attuali presenzedi immigrati in Italia, suddivisi per aree di prove-nienza e appartenenza nazionale.

Una particolare attenzione è stata dedicata, versola fase finale del progetto, al fenomeno migratorioche ha interessato l’Italia tra la fine del XIX e l’iniziodel XX secolo. Grazie ai dati e alle descrizioniestrapolate dal libro di G. A. Stella “L’orda. Quandogli albanesi eravamo noi”, i ragazzi hanno potutorendersi conto che: a) le migrazioni sono fenomenicostanti nel panorama dei periodici spostamenti de-gli esseri umani sul nostro pianeta; b) le cause chehanno spinto nel passato gli italiani a emigrare nondifferiscono da quelle che spingono oggi gli emigrantidel Terzo mondo a sfuggire la miseria e a mettersialla ricerca di migliori condizioni di vita; c) la reazio-ne dello Stato italiano e di parecchi nostri connazio-nali nei confronti dei cosiddetti extracomunitari as-somiglia al rifiuto, alimentato dagli stereotipi, con-tro cui si scontrarono cento anni fa gli emigranti ita-liani, che, per esempio, negli USA erano offensi-vamente chiamati “macaroni” .

Come previsto nella didattica per progetti, l’espe-rienza si è conclusa con la sistemazione del materia-le, raccolto nella cartelletta del diario di bordo, e lastesura delle tesine d’esame che sono state brillante-mente esposte a giugno. La comunicazione è statainvece tenuta ai genitori in occasione della “Giorna-ta aperta” che tradizionalmente si tiene alla fine del-l’anno scolastico. Ciascuno dei quattro alunni offer-tisi ha illustrato, aiutandosi con dei lucidi, gli obiet-tivi didattici, le finalità educative, i contenuti e le fasidel lavoro.

Sull’onda del successo ottenuto ho riproposto ilprogetto anche per la III C di quest’anno, ma, aven-do il Collegio votato a settembre l’estensione da unaa due ore delle Attività Sociali, ho ampliato il campod’indagine chiedendo la collaborazione della collegadi L1. Il progetto è stato approvato dal Consiglio diclasse ed è ora nella sua prima fase di attuazione, conla visione di “1492: la conquista del paradiso (solola prima parte), “Mission” e “Amistad” , tre film chesono stati selezionati per far capire agli allievi le ra-dici storiche dello squilibrio Nord/Sud. I ragazzi han-no ben accolto il progetto, accettando gran parte deipunti esplicitati nel momento della negoziazione ini-ziale. Quest’anno però è in programma anche la pre-parazione di cartelloni per l’allestimento di una mo-stra. E non è l’unica novità. A differenza dell’annoscorso, è stato infatti aggiunto ai problemi connessicon la globalizzazione l’aspetto ecologico dello sfrut-tamento delle risorse naturali. Verrà quindi preso inconsiderazione, parallelamente ai temi del curricolodi storia e geografia riguardanti le rivoluzioni indu-striali, la superiorità tecnologica delle potenze euro-pee e la conseguente supremazia economica dei Pae-si del Nord, la questione dell’attuale rapporto uomo-ambiente alla luce degli accordi internazionali firmatia Kyoto.

Tutto questo nelle intenzioni. Si vedrà alla fine del-l’anno scolastico quali risultati saranno raggiunti.Comunque, a giudicare dal livello delle riflessioni fi-nora espresse dagli allievi, gli esiti si preannuncianopiuttosto lusinghieri.

StrumentiCres ● Febbraio 200412

CINQUE ANNI DI STRUMENTIDOSSIER monografici

Lavorare per progetti, lavorare sui progetti:Benin, Burkina Faso. Un modo nuovo di concepirelo sviluppo e lavorare nella didattica20 ottobre 98Quali storie del NovecentoProposte tematiche e mappe concettuali21 febbraio 99

Quali storie del NovecentoIpotesi di curricolo verticale nell’ottica delle educazioni22 giugno 99

Lavorare per progetti, lavorare sui progetti: BrasileL’ottica dello sviluppo “autocentrato”23 ottobre 99

Il ruolo della scuola per un’Europa sociale e solidale24 febbraio 00

Idee e suggestioni per i nuovi curricoli dell’autonomia25 maggio 00L’altra economiaProposte del terzo settore contro la povertà26 ottobre 00La scelta dei manuali nella prospettivadell’educazione allo sviluppo27 febbraio 01

Nuovi approcci all’insegnamento della letteratura28 giugno 01Equità sociale e diritti di cittadinanzaeducazione allo sviluppo, area di progetto, metodocooperativo29 ottobre 2001

Nuovi approcci all’insegnamento della letteraturaProposte di percorsi didattici30 febbraio 02

La scuola e la formazione del cittadino nel mondoglobalizzato31 maggio 02

Pianeta acqua32 novembre 02Lavorare per progetti, lavorare sui progetti: IndiaLuci e ombre sull’India33 febbraio 03

Educazione interculturale e attività artistico espressive34 giugno 03

Costruire una cittadinanza partecipataIdee, suggerimenti, percorsi35 ottobre 03

PROPOSTE DIDATTICHE

Dall’individualità … all’alterità … alla mondialitàA. Blundetto, F. Formento, M. Revelli

20 ottobre 98Progetti, contesti comunicativi e percorsi formativiL’esperienza della scuola media “Rinascita-Livi”Michele CrudoScienza Under 18Pietro Danise 20 ottobre 98L’Autonomia illumina i colori della “Casa del Sole”M. Bocca, E. Gatta, C. Perego, G. Romagnoli,M.T. Tirotto 21 febbraio 99L’erranza e l’itinerarioL. Cornero, M. Heidt, F. Mangiaracina

21 febbraio 99

Novecento e flessibilità dei segmenti curricolariMichele Crudo 22 giugno 99

Se a scuola si produce un filmITSOS Albe Steiner 22 giugno 99

Percorsi interculturali attraverso l’uso delle fontiFare esperienza dell’”altro” nello studio del ‘900:l’uso delle fonti oraliDino Barra 23 ottobre 99

SPUNTI DI RIFLESSIONE

Conoscenze fondamentali e sviluppo umanoIl Cres, la scuola italiana e lo sviluppoChiara Profumo 20 ottobre 98

Da Copenhagen a Ginevraper uno sviluppo socialeMarina Ponti 22 giugno 99Gli studenti stranieri “cresconoLaura Morini 22 giugno 99Guerre stellari, virtuali o reali?Laura Morini 23 ottobre 99

La “Prima Planetaria”Riccardo Petrella 24 febbraio 00Autonomia scolastica, istanze di cambiamentoe risorse formative dell’area interdisciplinareMichele Crudo 24 febbraio00

Diversità e diritto allo studioLucia Della Montà 25 maggio 00

Una scuola per quale società?Patrizia Farronato 26 ottobre 00

L’albero dalle radici rovesciate. Bambini e guerraMassimo De Giuseppe 27 febbraio 01

Autonomia scolastica e il Piano dell’Offerta FormativaMichele Crudo 27 febbraio 01Ipotesi e suggestioni per l’elaborazione di unpatrimonio pedagogico-didattico condivisoMichele Crudo 28 giugno 01

La scuola come bene pubblicoChiara Profumo 29 ottobre 2001

Curricolo dell’area geostorico-socialeMichele Crudo 29 ottobre 2001Il fascino contraddittorio della civiltà occidentaleMichele Crudo 30 febbraio 02

Fiamme in ParadisoRaffaele Taddeo conversa con scrittoridi recente immigrazione 30 febbraio 02Babbo Natale, couscous e tortelliniMarco Aime 31 maggio 02

La musica indiana in Occidente, due mondi a confrontoOliviero Vincenti 31 maggio 02

Educazione alla legalità e alla cittadinanzaJole Garuti, LIBERA 31 maggio 02

Un anno di Ministero MorattiCarla Olivari Flick 32 novembre 02Autonomia e interculturalitànella fase di transizioneElena Bertonelli 33 febbraio 03

La guerra in Iraq e le anomalie della democraziastatunitenseMichele Crudo 34 giugno 03

Iraq l’ennesimo paese nato a tavolinoAnna Biraghi 34 giugno 03

La declinante credibilità di Bush dopol’occupazione dell’IraqMichele Crudo 35 ottobre 03

Orientarsi nella realtà geopolitica mondiale(Atlante Le Monde Diplomatique/il Manifesto)Anna Biraghi 35 ottobre 03

Emigrazione interna italiana: una esperienzadi laboratorio delle fonti musicografiche (e altre)Leonardo Rossi 23 ottobre 99

Tra differenza delle culture e cultura delle differenzeGiovanna Stanganello 24 febbraio 00

Storia di una riscopertaAmbrogio Bombelli 25 maggio 00

Cultura dell’identità, identità delle cultureGiovanna Stanganello 25 maggio 00

Uomini in movimento: diversi da chi?Tiziana Causarano 26 ottobre 00

Tanti fili, un tessuto… insieme per tessere la vitaAlessandra Ferrario 26 ottobre 00

Lo spettacolo teatrale multimediale,un utile strumento didatticoM.Luisa Mansi Briganti 27 febbraio 01

Educhiamo al lavoroMaria Piccio 27 febbraio 01

Strategie di didattica interculturale: il laboratoriodi lettura espressivaTiziana Causarano 28 giugno 01

Io e lui, io e lei: uguali e diversiSilvana Marino,Emilia Sorrentino 29 ottobre 01

Io, noi, gli altriLoredana Armellini,Sara Storero 30 febbraio 02Uno straniero fra noiPaola Morini 31 maggio 02

Sud del mondo. Testimonianze letterarie e cinematograficheSilvia Gasperini 32 novembre 023000 studenti in tre anniMassimiliano Lepratti 32 novembre 02

Diamo un calcio al lavoro minorileFiorella Imperiale 32 novembre 02Per una cittadinanza mondiale10 associazioni a Trieste 32 novembre 02Il mito come strumento di costruzionedell’identità personaleMonica Ducati 33 febbraio 03Storie di migrazioniFiorella Tagliaferri 33 febbraio 03Valutazione e programmazione: riflessionesu un’esperienza appena conclusaMichele Crudo 33 febbraio 03Il lavoro minorile nell’età della globalizzazioneGiovanna Stanganello 34 giugno 03Sperimentare il microcredito nell’Area di ProgettoMarina Medi 35 ottobre 03

�����������������������UN DOSSIER A SCELTA

PER I NUOVI ABBONATI

13StrumentiCres ● Febbraio 2004

INFORMAZIONE DI GUERRAE CONTROINFORMAZIONE DI PACE

dossierdossier

A cura di Gianluca Bocchinfuso

Come cinema, giornali e televisione raccontanoi conflitti contemporanei

Riflessioni - percorsi didattici - letture critiche

StrumentiCres ● Febbraio 200414

dossier

StrumentiCres ● Febbraio 200414

DEMOCRAZIA È ANCHELIBERTÀ DI INFORMAZIONE

Mauro Casaccia*

Si dice che la verità sia la prima vit-tima delle guerre. Oggi più che mai,con l’invasione e occupazione dell’Iraq,questa affermazione trova conferma.

Proprio sulla menzogna, o megliosulle menzogne, talvolta inconsistentieppure costantemente brandite e am-plificate dal coro ridondante del circomediatico globale, sono stati fondati ipresupposti della campagna bellica,tuttora in corso sebbene G.W. Bushl’abbia dichiarata ufficialmente conclu-sa a maggio.

Il grado odierno di inquinamento edistorsione dell’informazione è tale chela memoria corre al più clamoroso de-ragliamento giornalistico del ventesi-mo secolo, le fosse comuni di Timi-soara, orrendo crimine del regime co-munista di Ceausescu in disfacimen-to, notizia falsa gonfiata a dismisuradal sistema mediatico, in un degene-rante gioco autoreferenziale.

Allora la menzogna crebbe a poste-riori, deriva incontrollata. Oggi è in-vece a priori, preventiva come la guer-ra cui ha condotto e condurrà, suogerme innescante. Oggi la menzognaè elevata a metodo, praticato dai po-teri forti e accolto dai mezzi d’infor-mazione.

Lo ha candidamente esplicitato ilpresidente Bush: “Quando potremo, vidiremo cosa stiamo facendo, quandonon potremo non vi diremo nulla, e sesarà necessario vi mentiremo anche”.

William Russell, il grande corrispon-dente che raccontò i massacri dellaGuerra di Crimea scatenando le ire delgoverno inglese, fu probabilmente ilprimo a usare l’espressione ha le manicoperte di sangue per descrivere, comesottolinea John Pilger riadattandola aicapi di stato contemporanei, quegliimpeccabili politici che, da lontano,ordinano lo sterminio di gente comu-

Soprattutto quando si parla di guerrane. Un comportamento, quello del cor-rispondente, fedele a ciò che i suoiocchi gli consentivano di vedere sulcampo di battaglia e, quindi, ai suoilettori; per lo stesso motivo intollera-bile per la classe politica al potere e legerarchie militari.

L’acme di questa intollerabilità, inanni recenti, è stato raggiunto inVietnam, la prima guerra dell’era te-levisiva. Una guerra il cui consenso ècrollato, ed è stata persa, quando leimmagini dei corpi senza vita fasciatinei sacchi di plastica hanno fatto irru-zione attraverso gli schermi nei salottistatunitensi. Mai più, concordaronovertici politici e militari, avrebbe do-vuto accadere.

Da quel rovescio nacque l’ipotesidell’opzione zero, l’idea di creare at-traverso il news menagement, la ge-stione dei media, l’illusione della guer-ra chirurgica, asettica, pulita, capacedi non creare vittime.

Nei conflitti moderni il numero dimilitari caduti è andato riducendosi,mentre è esponenzialmente aumenta-to quello dei civili, i danni collaterali.Una definizione vergognosa e ipocri-ta, quest’ultima, alla quale è stato fattoricorso con minore frequenza nel les-sico dei commentatori dall’Iraq; ciòsoprattutto grazie all’impatto che letelevisioni satellitari arabe, come AlJazeera e Al Arabiya, in alcuni casi ri-prese dai circuiti televisivi internazio-nali, hanno avuto sul racconto del con-flitto, riconducendolo senza artifici re-torici alla tragica schiettezza della vio-lenza, del dolore, della morte.

Il dato di fondo, tuttavia, resta l’am-putazione che l’informazione eseguesul reale nell’elaborazione della favolabellica. Nel racconto dei media la morteè igienizzata; come rileva Robert Fisk,è ripulita della sua oscenità. E ladepurazione implica l’amputazione delsangue, dei corpi carbonizzati, dellemembra devastate, del fetore dei ca-daveri. I civili ammazzati scompaio-no. Deve essere così, è necessarioperché la guerra sia tollerabile e quin-

scrive: “La guerra dipende dal consen-so dell’opinione pubblica. E il consen-so dipende dalla capacità di nascon-dere la realtà della guerra e di valuta-re quanto sia tollerata la morte”.

I successivi perfezionamenti delmeccanismo di intossicazione dell’in-formazione, a partire dalla Guerra delGolfo nel ’91 e poi in Somalia, Jugo-slavia, Afghanistan, si sono basati so-prattutto sull’esclusione dell’inviato dalterreno degli eventi e sulla manipola-zione per inondazione, vale a dire unatipologia di censura per eccesso, ide-ata negli Stati Uniti durante la presi-denza Reagan, che sfrutta il fenome-no di mercificazione della notizia, as-sociato a una mutazione radicale delrapporto tra giornalismo e realtà, tragiornalismo e categorie di spazio etempo, fornendo ai giornalisti solomateriali accuratamente selezionati.

Il campo di battaglia viene sigillatoe i giornalisti tenuti fuori, lontani, ri-dotti a riecheggiare strategie comuni-cative altrui, ad attendere informazionipreconfezionate nei briefing quotidia-ni del portavoce di turno. “Ma questoè un lavoro da ufficio postale e non dagiornalisti” spiega Ryzsard Kapuscinski“Per questa ragione dal Kosovoall’Afghanistan non ci sono state piùnotizie vere”.

L’attuale conflitto in Iraq costituiscel’ultimo salto qualitativo nel rapportotra media e guerra: dall’espulsione delcorrispondente dal terreno degli eventiall’arruolamento nelle fila dell’eserci-to, condizione che inevitabilmente det-ta una prospettiva, un angolo visivonon certo indipendente.

Giornalismo embedded. Con la tra-duzione italiana di bed il gioco di pa-role diviene semplice: giornalismo let-teralmente messo a letto con le trup-pe. Informazione militarizzata, arruo-lata mediante un apposito contrattoche gli inviati sono chiamati a firmare.

Tutto in attesa che la deriva del si-stema mediatico si completi, rinun-ciando magari alla figura del reporterin favore delle web-cam, in modo taleda amplificare al massimo la sensa-zione di presenza, di vedere tutto, sor-

* Operatoce di pace in IraqSCV Mani Tese genova

di realizzabile.A questo proposito Julian Barnes

15StrumentiCres ● Febbraio 2004

dossier

15StrumentiCres ● Febbraio 2004

ta di vouyerismo mediatico degli spet-tatori delle guerre, senza in realtà sa-pere nulla. Prossima frontiera dell’in-formazione il giornalismo drone,spersonalizzato, ideato per similitudinecon gli aerei militari privi di pilota.

Il Quarto Potere muore. Con l’acce-lerazione della globalizzazione liberistae con l’affermarsi della logica insita nelconcetto di guerra preventiva vienesvuotato del proprio significato.

Al contrario si rivela il ruolo che imezzi di informazione svolgono nellapreparazione del momento bellico, illoro divenire arma strategica fonda-mentale nella gestione dei conflitti. Lamacchina mediatica mondializzata, cheha il suo centro nervoso ben radicatonel Nord del pianeta, di fronte alle pre-tese di guerra permanente e alla con-nessa richiesta di patriottismo perma-nente ha scelto di abdicare alla fun-zione di controllo e critica dei poteri.

In un quadro globale caratterizzatoda crescente complessità e dal venirmeno del confine tra gli ambiti dellaguerra e della non-guerra, sancitodefinitivamente dall’11 settembre2001 e dagli eventi conseguenti, il si-stema informativo rinuncia all’autono-mia che gli era rimasta.

Dal cosiddetto effetto CNN, intesocome protagonismo dell’attore comu-nicazione nella determinazione dell’an-damento del conflitto, si passa all’ef-fetto Fox, individuando l’emittenteamericana Fox News di Rupert Mur-doch come vero e proprio emblema delpiù sfrontato patriottismo informativo.

Posta davanti al fatidico appello delpresidente Bush, “O con noi o controdi noi”, con cui si è voluta precludere,ai media come all’opinione pubblica,qualsiasi forma di neutralità, l’industriadella notizia compie una scelta di non-indipendenza e sposa la causa dellaguerra giusta, umanitaria, contro il

terrorismo, di liberazione, per la de-mocrazia, contro il Male o come la sivuol chiamare. Si piega cioè all’usomilitare.

A tutti i mezzi d’informazione è ri-chiesto di schierarsi, prendere parteal conflitto anziché conservare unaposizione indipendente che permettadi considerare e comprendere le ra-gioni dei vari soggetti coinvolti. E’ ri-chiesto di diventare un’arma nelle manidi chi ha il compito di condurre strate-gicamente la campagna militare, alpari di bombardieri e missili, sebbenerivolta prevalentemente all’opinionepubblica interna.

Alla mancata conformità viene im-mediatamente attribuito il significatodi affiliazione con il nemico, in basead una logica che traduce la comples-sità delle forze in gioco in una sempli-ce contrapposizione noi/loro, nellaquale ciascuno schieramento è trasfor-mato in un monolite privo di sfumatu-re.

L’arma informativa, in uno scenariodi questo tipo, assume due compitifondamentali: da una parte l’indivi-duazione semplificata del nemico e lasua demonizzazione; dall’altra lacompattazione del fronte del noi, fa-vorendo la generalizzata adesione eidentificazione con esso.

Ennio Remondino chiarisce al meglioquale sia la natura della guerra nellasua trattazione mediatica. “La guerraha soltanto l’indicativo presente. Nonc’è passato prossimo o remoto, e nonc’è il tempo futuro. Anche il condizio-nale è sconsigliato, soprattutto quan-do parli di ragioni e di torti, di conse-guenze e di vittime. La guerra ha bi-sogno di Buoni e di Cattivi, senza tonidi grigio a suscitare dubbi. La guerraè certezza. La guerra pesa sul generefemminile, ma è sempre maschia. La

guerra è sempre voluta dal Cattivo edè subita dal Buono. La guerra non èmai una scelta, ma un dovere impo-sto dalla storia. La guerra, per chi lacombatte, è sempre patriottica, o ide-alistica o umanitaria. La guerra, peruna rete televisiva, è lo spettacolo dimaggiore ascolto i cui costi principalisono sopportati da altri”.

Questi i connotati dell’informazionein guerra che, tuttavia, nell’attualecontesto internazionale tendono a di-venire tratti costanti del modo di sele-zionare ed elaborare le notizie, a se-guito del processo di permanentiz-zazione del conflitto. La pretesa diguerra infinita. E preventiva.

La gestione mediatica delle guerre,sostiene Giulietto Chiesa, è solo unsottoinsieme della mistificazione totaleche il sistema informativo sta produ-cendo sul corpo vivo della realtà. Esarebbe inimmaginabile se la struttu-ra globale dei media non avesse pre-cedentemente metabolizzato una lo-gica comunicativa che rovescia i valo-ri della notiziabilità attraverso un noncasuale intreccio di nuove regole, fon-date sui processi di velocizzazione emercificazione della notizia, deconte-stualizzazione e banalizzazione, sullataylorizzazione del lavoro giornalisti-co, sulla logica dominante dell’imma-gine in diretta, portatrice dell’erroneoassunto che vedere equivalga a capi-re.

Così si concreta la subalternità fisio-logica dei grandi mezzi di comunica-zione, sempre più concentrati in con-glomerati multimediali, al potere co-stituito. Così si produce la musica difondo che copre le voci alternative,potenzialmente discordanti, nei canaliprincipali dell’informazione. Così quellache George Orwell chiamava la veritàufficiale scrive la storia contempora-nea. E chi non si allinea viene penaliz-zato, colpito. Gli episodi della televi-sione di Belgrado o dell’Hotel Palestinea Baghdad rappresentano un esplicitoindizio in questo senso. Uno fra molti.

Quel che sappiamo dai territori diguerra, mascherato da eccedenza in-formativa, è sempre di meno quanti-tativamente e sempre più distortoqualitativamente. E ogni contrazionedel tasso di informazione dell’opinio-ne pubblica corrisponde a una riduzio-ne del tasso di democrazia.

L’impianto democratico è snaturato,cessa di esistere in assenza del dirittodi sapere, di essere correttamente in-formati. L’emergenza informativa, resapalese dalla tipologia di gestione deimedia nelle situazioni di conflitto, sitraduce immediatamente e dramma-ticamente in emergenza democratica.

StrumentiCres ● Febbraio 200416

dossier

StrumentiCres ● Febbraio 200416

Le guerre contemporaneee il problema delle fonti

A PROPOSITO DI INFORMAZIONE

Gianluca Bocchinfuso*

* Formatore Cres, Docente di Lettere,S.M.S. De Marchi-Gulli, Milano

Quando lo scorso 16 settembre, ilgiornale statunitense online Alternetha pubblicato lo studio Us plan forglobal domination tops Project Censo-red’s annual list, sulle dieci notizie piùcensurate nel 2003 negli Stati Uniti1 ,passato inosservato su quasi tutti imezzi d’informazione italiani, la miameraviglia è stata vedere ancora qual-cuno stupirsi della pratica della cen-sura totale su notizie che, se rese to-talmente note, potrebbero invertirela rotta politica delle potenze mondialie i loro disegni di espansione. Ma ilcentro di questo intervento più che ri-guardare il problema della censura sunotizie ritenute “scomode” e fuori daiprogetti espansionistici che sfornano idipartimenti militari, vuole riflettere sulproblema della verifica delle fonti nel-le guerre contemporanee, alla luce delradicale cambiamento della società incui viviamo.

L’ultimo decennio è stato caratteriz-zato dal definitivo passaggio dall’epo-ca dell’industrializzazione a quella dellacomunicazione con un cambiamentorepentino anche dei nostri stili di vita.Lo sviluppo esagerato dei mezzi di co-municazione, da internet ai telefoninie televisioni satellitari, paradossalmen-te sta creando uno scenario di confu-sione generalizzata che nasconde unaverità plateale: viviamo nel pieno flu-ire del sistema di comunicazione dimassa ma non abbiamo accesso a tut-te le notizie e soprattutto non dispo-niamo, come cittadini, di mezzi ade-guati per controllarne la fonte. La stes-sa rete globale di internet è uno spa-zio incontrollato, dove, dal punto divista giornalistico, si trova di tutto maspesso non si ha la possibilità di con-trollare la reale verità o la provenien-za prima. A tale proposito, un recente

libro di Walter Molino e Stefano Porro,Disinformation technology2 , se da unlato mette in evidenza il ruolo fonda-mentale che ha acquisito negli ultimianni internet come canale d’informa-zione, dall’altro pone anche il proble-ma della possibilità di creare bufalegiornalistiche che velocemente passa-no per vere e rimbombano su scalamondiale.

Il problema del controllo si moltipli-ca per dieci quando in gioco c’è la guer-ra. L’informazione sui conflitti tra glistati già dal 1800 registra omolo-gazione, censura, manipolazione3 , maoggi, proprio perché sono cambiatimezzi e sistema, la questione diventapiù problematica e di difficile soluzio-ne. Le guerre vengono preparate conuna corazzata mediatica che, ancoraprima dell’inizio del conflitto, stabili-sce giustezza dello stesso, forze delbene e forze del male, verità e bugie,vincitori e vinti. La stampa (non tuttaper fortuna) si pone in una posizionedi inequivocabile obbedienza, soggio-gata dagli interessi degli editori (tito-lari in molti casi di imperi che sguaz-zano nella fabbrica e negli utili della

guerra) ed impossibilitata a racconta-re veramente i fatti. Il passo successi-vo, la guerra, è ormai racconto di im-magini4 , controllate e verificate da-gli eserciti in campo. È scomparsostando così le cose l’inviato di guerrapuro: i giornalisti raccontano le fasi delconflitto al seguito delle truppe; sonoembedded che svelano agli utenti nonle loro inchieste sul campo, verità ta-ciute, ma leggono e rimpastano veli-ne dei dipartimenti militari in loco chepongono una seria questione sulla ve-rifica delle fonti. Diventa impossibilescandagliare la veridicità delle notizie,perché è impossibile verificare, osser-vare, toccare con mano.

I cieli luminosi dell’Iraq durante laprima guerra del Golfo hanno apertoun capitolo insolito, con l’inizio dellenuove guerre e la fine della “Guerrafredda”: una fase in cui si pensava dipassare ad un periodo di pace e inve-ce si sta realizzando una continuaescalation militare, anche con violenticonflitti locali ed etnico-religiosi, innome di un nemico preparato con curae “travolgendo il diritto internazionaleesistente”5 . In questo flusso indiscri-minato, l’informazione naviga senzaguida e senza scopo, perché diventa-no rari i casi in cui ci sono voci controo testimonianze che riescono ad an-dare al di là della verità del palazzo ea raccontare fatti che potrebbero fareriflettere e pensare in modo diverso emeno omologante. Invece predomina-no le “menzogne dell’impero”, comele ha definite Gore Vidal6 : un insiemedi notizie prive di fonti che aggiusta-no, cambiano, invertono la realtà afavore della propaganda più forte e piùricca di interessi economici e finanzia-ri. La possibilità del giornalista liberodi muoversi all’interno di un marasmasimile è quasi impossibile: professio-nisti che hanno cercato di trovare ve-rifiche alle loro intuizioni hanno persola vita sul campo; si ricordino per tuttiIlaria Alpi e Antonio Russo. Quando il17 marzo 2003, il presidente Bush, neldiscorso alla nazione, ha testualmen-te affermato che “il regime irachenocontinua a possedere e nasconderealcune delle armi più mortali mai in-

17StrumentiCres ● Febbraio 2004

dossier

17StrumentiCres ● Febbraio 2004

ventate […] ha aiutato e ospitato uo-mini di Al Qaeda”, ha tracciato unastrada di non ritorno. Eppure a pochiè venuto, anche solo per un attimo,un dubbio sulla veridicità di questeaffermazioni, visto che tutte le ispe-zioni fatte prima e dopo l’inizio dellaguerra non hanno prodotto prove.Anzi, è stato provata e taciuta dallamaggior parte dei mezzi di comunica-zione internazionale l’eliminazione fat-ta dagli uomini dell’amministrazioneBush di ottomila delle 11.800 paginedel rapporto che il governo irachenoaveva sottoposto al Consiglio di sicu-rezza dell’Onu e all’Agenzia internazio-nale per l’energia atomica (Aiea). “Inquelle pagine c’erano i dettagli di comegli Stati Uniti avessero fornito all’Iraqarmi chimiche e batteriologiche oltrea componenti essenziali per la armi didistruzione di massa Le pagine richia-merebbero in causa non solo i funzio-nari delle amministrazioni Reagan eBush, ma anche importanti societàcome Bechtel, Eastman Kodak eDupont, e i ministeri di energia e agri-coltura”7 .

Ma se l’informazione bellica è sem-pre più omologante, se i giornali e letelevisioni non vanno oltre il ballettodi interviste e di racconti dei politici diturno, se nessuno scenario vienecontestualizzato, storicizzato, dibattu-to, analizzato, cosa rimane ad un sem-plice cittadino per cercare di capirequalcosa di diverso, non omologante?Innanzitutto c’è bisogno di tanta vo-lontà di capire e studiare, attraversoaltri canali informativi, che possonoessere voci giornalistiche fuori dal coro,libri, documenti consultabili, ricerchestoriografiche e storiche. Per il sem-plice cittadino (ma anche per chi fainformazione) ogni evento, a maggiorragione quando questo è totalizzantecome una guerra, non può essere rac-contato prescindendo dalle radici sto-riche. Non si capisce il Medio Orientedi oggi se non si torna indietro di anni;non si comprendono le guerre etniche,religiose, paramilitari, tribali in Africa,in America Latina, se si taglia via l’oc-cupazione imperialistica che da fineOttocento in poi ha solo visto un’evo-luzione del termine e degli assetti po-litici che non hanno cambiato la so-stanza delle cose; o nel cuore dell’Asiaex sovietica, dopo la fine della diviso-ne del mondo in due blocchi contrap-posti. C’è bisogno di uscire dall’otticadi “scontro di civiltà” che porta a giu-stificare ogni mossa dell’Occidente in-dustrializzato e avanzato, anche quan-do va contro il diritto naturale e so-vrano degli stati. Se le forze occiden-tali riescono solo a ragionare, sul-

l’esempio del presidente Bush, nell’ot-tica dell’Asse del male da annullare conil principio machiavellico che “il finegiustifica i mezzi”, non sarà possibilealcuna soluzione delle controversie in-ternazionali e alcuna possibilità di starenei fatti per raccontarli esattamente erealmente. Perché, ormai, le decisionipiù importanti ci vengono propinatecome ossimori in cui le guerre diven-tano “giuste”, gli stati non schieratidiventano “traditori”, le dittature e lemonarchie assolute compiacenti diven-tano nel giro di qualche ora “demo-crazie al servizio della guerra infinita”,le azioni di guerra pura si trasformanoin “lotta al terrorismo”, l’occupazionedi interi stati si trasforma nella piùumana “lotta di liberazione”, l’Occiden-te si erge a “bene” e l’Oriente arabo èbollato come “male”. Noi siamo porta-ti a scoprire la guerra solo quandoentra in casa nostra, quando ci colpi-sce con la sua dolorosa scia di sangue(si pensi all’Italia americana con laretorica patriottica del dopo Nasiriya)o quando ci impegna direttamente.Passato l’attimo è immediatamentetabù politico e informativo, perché l’at-tenzione viene spostata ad altro e lamacchina della propaganda ha altriobiettivi da impallinare e se questi nonesistono vengono creati simultanea-mente senza alcuna possibilità di ar-resto. Il laboratorio dell’informazioneplanetaria non conosce mai il buio: è

sempre al lavoro per creare “fatti” daprima pagina e nemici da combattere,con la sepoltura della politica e la finedel confronto democratico in nome dicause militari considerate a priori “giu-ste”. Un elmetto per ogni politico, sen-za considerare, come ha scritto nel suoultimo saggio Todorov, che “la guerraè una confessione di scacco, il segnoche tutte le vie politiche sono imprati-cabili, non resta che il ricorso alla for-za bruta”8 .

E non basta preparare il consenso eil bagaglio mediatico-propagandistico,perché le ferite delle guerre restanointatte e non mutano la realtà dei fattiche ritorna, sempre, anche a distanzadi molti anni. Servirebbero solo la li-bertà e il coraggio di raccontare con leparole la realtà e la volontà politica disuperare le asimmetrie che produco-no un mondo a due velocità, in cui ilcontrollo delle risorse naturali e deicanali di commercio delle ricchezzeplanetarie sono in mano ad un’esiguaminoranze che gestisce il tutto in ma-niera onnipotente. E quando questagestione non è possibile solo dal pun-to di vista economico, si adunano eser-citi rafforzati dalla lunga onda di pro-paganda che li anticipa, lasciandomoribondo ogni diritto individuale,anche quello, ovviamente, di esserecorrettamente informati.

1 Kari Lydersen, Alternet, Stati Uniti,in Internazionale, 26 settembre-2 otto-bre 2003, numero 507, pagg. 20-21-22-23

2Walter Molino - Stefano Porro,Disinformation technology. Dai falsi diInternet alle bufale di Bush, Apogeo Edi-tore, Milano 2003

3Claudio Fracassi, Sotto la notizianiente. Saggio sull’informazione plane-taria, I Libri dell’Altritalia, Roma 1994,pag. 54

4Amedeo Ricucci, Le pietre di Arafat,i carri armati di Sharon, i kamikaze, l’as-sedio e le telecamere, in L’Informazionedeviata, a cura di Davide Demichelis,Angelo Ferraris, Raffaele Masto, LucianoScalettari, Zelig Editore, Milano 2002,pag. 45

5Massimo Fini, Il vizio oscuro dell’Oc-cidente. Manifesto dell’antimodernità,Marsilio, Venezia 2002, pag. 29

6Gore Vidal, Le menzogne dell’impe-ro ed altre tristi verità, Fazi Editore, Roma2002.

7Kari Lydersen, op. cit., pag. 21.8Tzvetan Todorov, Il nuovo disordine

mondiale. Le riflessioni di un cittadinoeuropeo, Garzanti, Milano 2003, pag. 39

StrumentiCres ● Febbraio 200418

dossier

Mass-media con l’elmettoElena La Rocca*

StrumentiCres ● Febbraio 200418

* Docente di Italiano e Storia.

Ricordo quasi con stupore la reazio-ne che molti di noi hanno avuto in oc-casione della prima guerra del Golfo:memori del passato, delle tessereannonarie e della difficoltà a procurarsiqualche cosa di commestibile, abbia-mo svuotato i ripiani dei supermerca-ti, facendo scorta di tutto il possibile,dalla pasta ai fagioli, dal sale, allescatolette di tonno. Quando poi è ini-ziata la seconda guerra del Golfo, nes-suno si è angosciato al punto di fareuna spesa un po’ più consistente delsolito, nessuno ha più temuto un ral-lentamento della catena commercia-le, una difficoltà a garantire i riforni-menti alimentari. Certo nel ‘91 ci ave-vano detto che l’esercito di Saddamera il quarto esercito del mondo, certonel frattempo siamo stati “spettatori-partecipi” di molte altre guerre. Usol’espressione “spettatori-partecipi” neltentativo di definire una situazioneparticolare che fino al ‘91 non appar-teneva al nostro vissuto personale. Perla prima volta ci siamo trovati infatti apartecipare ad una guerra con unadelibera parlamentare, aerei soldi ecc,rimanendo però spettatori di questaguerra che leggevamo sui giornali,guardavamo in TV, ma che non ci coin-volgeva direttamente, visto che lebombe cadevano altrove, il sanguescorreva altrove.

In questi dodici anni ci siamo abi-tuati, sia perché siamo stati coinvoltiin un numero eccessivo di guerre, siaperchè i mass media ci hanno bom-bardato di informazioni , reportage efilmati esaltando questo ruolo ambi-guo di spettatori-partecipi di cui par-lavo. In questi dodici anni il messag-gio dei mass media può essere appar-so vario e diversificato, ma nel com-plesso, a parte alcune eccezioni che siproponevano come alternative o perlo meno critiche, ha veicolato fonda-mentalmente l’idea che la guerra im-minente fosse necessaria, ma nonpreoccupante, in altri termini hasempre teso a dimostrare che la guerrain discussione in quello specifico mo-mento (fosse l’Iraq o il Kossovo) era

inevitabile e giusta, per poi rassicu-rarci che tutto andava bene: non ave-vamo perdite, sganciavamo bombeintelligenti, colpivamo solo obiettivimilitari ecc. ecc. Quando si profila al-l’orizzonte la prospettiva di una guer-ra in una profusione di dibattiti, arti-coli, analisi, tra crisi di dubbio più omeno oneste si afferma in modo mar-tellante, anche se ricco di sfumaturesempre lo stesso messaggio: “la guer-ra è un orrore, ma questa guerra èinevitabile e giusta”. Ed almeno negliultimi tempi ogni volta riappare lo stes-so arsenale retorico, tra cui primeggiaindubbiamente l’eterno paragone conHitler, quale icona assoluta del male(si pensi a Saddam/Hitler, Milosevic/Hitler), insieme al trattato di Monaco,al presunto pacifismo delle democra-zie europee o quando si vuol esserepiù brutali all’ignavia di queste demo-crazie che non avevano più il coraggiodi combattere.

Numerosi sono gli esempi che si pos-sono riportare per illustrare questospecifico gioco di paragoni, ma vorreicitare un solo caso che, proprio per-ché molto artefatto diventa emble-matico di una tendenza: all’inizio de-gli anni ‘90 i governi della Croazia edella Bosnia, per curare la loro imma-gine internazionale si erano affidati adun’agenzia statunitense di pubblicherelazioni, una di quelle strutture chesi possono definire specialiste nell’im-pacchettamento delle notizie.1 Co-sciente che sia il presidente croatoTudjman, sia quello bosniaco Itzebe-govic potevano essere accusati per iloro scritti o discorsi di antisemitismo,il direttore dell’agenzia, intervistato inseguito, si è vantato di essere riuscitoa ribaltare la situazione ed imporrenell’opinione pubblica l’idea che la pa-rola Serbi coincidesse con la parola

Nazisti, anche utilizzando termini al-tamente evocativi2 . E’ possibile che ilsignor James Harff, direttore appuntodell’agenzia in questione, sopravvalutiil proprio operato per farsi un po’ dipubblicità, ma il fatto stesso che parliin questi termini mostra come siascientemente utilizzato l’accostamentocon Hitler ed i nazisti per appellarsiall’emotività e troncare qualsiasi ana-lisi. Le analisi sono troppo pericolose,non si sa mai dove andranno a para-re! Per questo motivo spesso nei com-menti l’analisi critica viene sostituitadalla retorica, nell’informazione pre-vale la ridondanza, l’amplificazione:l’esercito del nemico è ogni giorno piùpericoloso, le armi di distruzione dimassa sempre più aggressive. Unavolta iniziata la guerra l’atteggiamen-to cambia: i toni si fanno più pacati, inun certo senso prevale la rassi-curazione: “non massacriamo civili enon subiamo perdite”. Probabilmentenon può essere diversamente dato chei mass media sono di loro natura stret-tamente legati con il potere, se nonaltro perché fanno parte integrantedell’establishment e perché sono del-le vere e proprie imprese, che sulmercato devono vivere e sopravvive-re. A questo proposito è interessantericordare quanto sostiene Chomsky:“Sia che si definiscano ”liberal” oppu-re ”conservatori”, i principali mediasono grandi aziende, possedute da (estrettamente legate a) società ancorapiù grandi. Come altre imprese ven-dono un prodotto a un mercato. Ilmercato è quello della pubblicità, cioèdi un altro giro di affari. Il prodotto èl’audiènce…… Abbiamo quindi dellegrandi imprese che vendono un pub-blico piuttosto benestante e privilegia-to ad altre imprese. Non stupisce chel’immagine del mondo che esse pre-sentano rifletta gli interessi e i valoriristretti dei venditori, degli acquirentie del prodotto.”3

La posizione di Chomsky è indub-biamente radicale e per certi aspettidestabilizzante: riusciamo a vedercicome un mercato di lettori, spettatori(diciamo in generale audiènce), cuiviene venduto un prodotto (notizie,immagini pubblicità ecc), ci è moltopiù difficile vederci come un prodottovenduto dal nostro giornale preferitoal mercato della pubblicità. Da cittadi-ni a consumatori, da consumatori aprodotto: si può dire che il cammino èmolto in discesa! Anche se non si vuole

19StrumentiCres ● Febbraio 2004

dossier

19StrumentiCres ● Febbraio 2004

assumere un giudizio così duramentecritico come quello di Chomsky, rima-ne il dato che i mass media sono lega-ti al potere, sia per gli assetti proprie-tari, sia perché gli uomini che scrivo-no sui giornali e dirigono reti televisi-ve fanno parte della classe dirigentedi cui condividono valori ed interessi,sia infine perché ottengono le infor-mazioni da centri a loro volta legatiall’establishment: nei fatti si rivolgo-no più o meno tutti alle stesse fonti,sia per quello che riguarda le informa-zioni locali (istituzioni politiche e cul-turali polizia ecc.), sia soprattutto perquelle nazionali o peggio ancora inter-nazionali, dato che l’80% delle notiziedel mondo è controllato da quattrograndi agenzie, due statunitensil’Associated Press e la United PressInternational, una britannica la Reuter,e una francese l’Agence France Pres-se. Questo meccanismo fa sì che an-che i giornali le reti o i programmi te-levisivi che vogliono essere alternativisono costretti a caratterizzarsi soprat-tutto sul piano dell’analisi critica, delrifiuto della retorica ufficiale, utilizzan-do però le stesse informazioni di basedi cui dispongono gli altri.

Oltre a queste considerazioni gene-rali (ruolo dei mass media, proprietà,agenzie) si deve tenere presente chela guerra costituisce una situazione percerti aspetti estrema, in cui le fonti diinformazione sono strettamente con-trollate dagli stati belligeranti stessi,bisogna quindi scordarsi il sogno ro-mantico del reporter che tutto solo sulcampo di battaglia registra e raccontala verità; nei fatti i giornalisti sononecessariamente costretti ad affidarsiai comandi militari per avere accessoalle informazioni. Detti comandi pos-

sono in alcuni casi scegliere la stradadella censura totale, passando solonotizie vaghe e generiche come è peresempio capitato nel caso delleMalvinas-Falkland nel 1982 o, nellostesso anno, dell’invasione del Libanomeridionale da parte di Israele o quelladi Grenada da parte degli Stati Unitinel 1983. Per quanto riguarda la guerraper le Malvinas-Falkland, per altro maidichiarata ufficialmente, si ebbero piùinformazioni dal governo militareargentino che da quello britannico, cheapplicò una rigida censura evitandoqualsiasi immagine che potesse tur-bare l’opinione pubblica, tanto che iprimi filmati dell’Atlantico del Sud ar-rivarono a Londra quaranta giorni dopol’inizio del conflitto. Il fatto è che eraben vivo il ricordo della guerra delVietnam in cui le telecamere avevanomostrato in diretta la devastazione ela sofferenza prima, la sconfitta del-l’impero poi, evento indubbiamentetraumatico, seguito per certi aspetti indiretta, per cui molti pensavano (e for-se ancora pensano) che l’opinione pub-blica, sensibilizzata da certi servizi,avesse pesantemente influenzato l’esi-to della guerra, in altri termini che laguerra fosse stata prima di tutto per-sa alla televisione.

E’ ragionevole immaginare che lacensura totale sia il massimo idealedei comandi militari, ma purtroppo nonsempre è possibile, per cui questi ulti-mi possono decidere di venire a patticon la stampa dando informazioni epermettendo riprese sul campo, masterilizzando in un certo senso le noti-zie in modo che perdano consistenza,non sembrino più riguardare morti edistruzione come per esempio è acca-duto nella prima guerra del Golfo in

cui i tracciati delle bombe sul piccoloschermo sembravano piacevoli giochidi guerra e si confondevano con i varivideogiochi cui siamo abituati. Di quel-le bombe affascinanti finchè solcavanoil cielo non si sapeva più nulla appenatoccavano terra: rumore, distruzionee morte, tutto spariva.

Per poter rendere tutto ciò credibilesi possono, per così dire, arruolare igiornalisti scegliendoli accuratamenteed inserendoli quasi nella strutturamilitare: in occasione della secondaguerra del Golfo abbiamo sentito par-lare apertamente di inviati “embed-ded”, ma anche nella prima guerra delGolfo al fronte potevano arrivare solopochi giornalisti, tutti anglosassoni,scelti dai comandi militari; questi “pri-vilegiati” osservavano e poi riferivanoai colleghi delle notizie, che per altrovenivano ulteriormente censurate dal-l’esercito. Controllare i giornalisti pre-senti sul terreno in fondo è una vec-chia tecnica, si potrebbe dire che nonrappresenta niente di nuovo sotto ilsole, vi sono però dei metodi più mo-derni ed attuali che in qualche modosfruttano le caratteristiche dei mass-media stessi.

Si può, per esempio, cortocircuitarel’informazione fornendone troppa edin questa logica sono stati creati “verie propri laboratori di propagan-da”4 ,come li chiama Ramonet, con ilcompito di fornire informazioni 24 oresu 24 alle varie emittenti, che trasmet-tono appunto 24 ore su 24, concepitinegli ultimi tempi, anche come rea-zione agli attentati dell’11 settembre2001, portano avanti una tendenza cheera già emersa con l’amministrazioneReagan e che è andata rinforzandosinel tempo. Si possono così inondare imass-media di comunicati, o meglioancora di filmati a costo di proporreimmagini d’archivio come se fossero“vere ed attuali”, l’immagine di unbombardiere che si alza in volo duranteun’esercitazione, ripreso con la luceadatta nell’angolatura giusta, diventapiù credibile di un “vero”bombardiereche si prepara a compiere la propriamissione. La tecnica più raffinata èforse quella di costruire veri e proprieventi mediatici che spesso hanno benpoco a che vedere con la realtà. Nelsecondo conflitto iracheno abbiamotutti sentito parlare del soldato JessicaLinch, catturata in un’imboscata no-nostante avesse resistito strenuamen-te. Il Pentagono stesso aveva in se-guito consegnato ai media una video-cassetta che mostrava l’eroica libera-zione della giovane donna: un com-mando era penetrato nell’ospedaledove Jessica era prigioniera e l’aveva

StrumentiCres ● Febbraio 200420

dossier

StrumentiCres ● Febbraio 200420

strappata agli iracheni. Peccato che aguerra finita gli stessi giornalisti sta-tunitensi abbiano scoperto che la ra-gazza non presentava ferite d’arma dafuoco, ma gravi lesioni compatibili conun incidente stradale, che i medicidopo averla curata avevano tentato direnderla agli americani e non essen-dovi riusciti avevano avvisato le forzearmate Usa che l’esercito iracheno siera ritirato dall’area e che la ragazza liaspettava. A questo punto era inter-venuto il commando liberando Jessicatra spari ed esplosioni varie. Il dr.Anmar Ouday ha così descritto la sce-na a John Kampfner, della Bbc: ”Sem-brava di essere in un film di Hollywood:Di soldati iracheni non c’era neppurel’ombra, ma forze speciali americanehanno sfoderato tutte le loro armi spa-rando a salve. Tra le esplosioni i sol-dati urlavano “Go! Go! Go1” Quell’at-tacco contro l’ospedale è stato unasorta di show, di film d’azione, di quellicon Sylvester Stallone.”5 Il filmatorimarrà nella storia della guerra, o dellapropaganda o dell’informazione o me-glio ancora in quella di Hollywood.

Certamente esistono anche dei con-trappesi a questa situazione: ladeontologia, l’onestà professionalecostringono l’inviato a guardare oltrel’apparenza, a scavare ed indagarespesso rischiando in proprio come di-mostrano numerosi casi di giornalistiuccisi sul campo: inoltre siamo fonda-mentalmente una società “aperta” percui le informazioni, anche le peggiori,tendono ad emergere come per esem-pio è accaduto del caso di Mutla Ridgein Iraq.

Alla fine della prima guerra del Gol-fo fuggirono da Kuwait City un nume-ro imprecisato di persone tra cui vierano non solamente i soldati iracheniin rotta, ma anche civili, lavoratoriemigrati dall’Asia, che intasarono coni loro veicoli la vecchia strada Jahra-Umms Quars, probabilmente avevanoevitato l’autostrada giudicandola trop-po vulnerabile. Appunto ai piedi dellacollinetta di Mutla Ridge la colonna fubombardata e distrutta da aerei sta-tunitensi, ma quello che indubbiamen-te era un terribile attacco aereo con-tro un esercito in ritirata sul momentofu oscurato dalla censura o dall’auto-censura o dalla confusione e la retori-ca, per cui sugli schermi di tutto ilmondo si videro solo soldati che si ar-rendevano uscendo dai loro rifugi. Soloin seguito, mettendo insieme vari datitra cui le lamiere d’auto ed i bagagliaccumulati nel deserto si è ricostruitala verità, ma ormai l’attenzione del-l’opinione pubblica si era spostata al-trove. Caratteristica essenziale infatti

dell’informazione soprattutto televisi-va è il fatto di lasciare una traccia la-bile ed effimera, visto che punta mol-to all’impressione del momento, percui coinvolge, ma poi svanisce: comenel caleidoscopio, che da bambiniguardavamo con occhi incantati, leforme e le luci si compongono e scom-pongono lasciando nella memoria soloun vago ricordo. In realtà per motividi vario genere una notizia è valida ecoinvolgente solo se “attuale”: peresempio il massacro di soldati e civiliin fuga scuote l’opinione pubblica solomentre è in atto, la notizia che “emer-ge” sei mesi, un anno dopo è quasiininfluente almeno a livello di grandepubblico. Questa caratteristica offreinteressanti possibilità a chi detiene ilpotere: può organizzare qualche ope-razione dubbia o discutibile mentrel’attenzione generale è rivolta altrove,è quello che Ramonet6chiama “l’effet-to paravento”, per cui una notizia nenasconde un’altra, e forse non è uncaso che, mentre tutti erano sconvoltidal “massacro di Timisoara”7 , gli StatiUniti hanno invaso Grenada nel silen-zio generale dei mass-media.

Censura, manipolazione dell’infor-mazione, arruolamento dei giornalisti“embedded”, creazione di eventi me-diatici, l’elenco è lungo, non si deveperò pensare che il tragitto sia soloverticale, dall’alto dei cieli dei genera-li e degli inviati speciali alla terra degliutenti, in effetti il rapporto per certiaspetti è di interdipendenza; chi offrele notizie o chi vuole manipolare l’opi-nione pubblica deve in ogni caso te-nere conto delle aspettative di que-st’ultima, per esempio le immaginiraccapriccianti sconvolgono lo spetta-tore, che tra le altre cose spesso nonama sentir criticare una guerra in cuicrede e su cui, volente o nolente, haimpegnato qualche cosa di sé.

Jonathan Glover8 analizzando laguerra ne parla come di una trappolain cui le società si cacciano per unasvariata serie di motivi, secondo lui an-che il fronte interno, che nel caso deimass media si identifica con il pubbli-co, finisce col diventare un elementodi questa trappola, dato che gli inviatispeciali, non possono deludere leaspettative della propria audiènce, néturbarla oltre una certa misura: peresempio alcune reti televisive 9 cheavevano mostrato le conseguenze del-la distruzione di un rifugio antiaereo aBaghdad, duecento o trecento civili arsivivi, ricevettero proteste immediatedato che il servizio appariva tropposconvolgente. Del resto non c’è da stu-pirsi, basta pensare a noi stessi, aquale reazione potremmo avere se alle

otto di sera, mentre si prepara damangiare o si sparecchia la tavola, citrovassimo sotto gli occhi le immaginidi una catasta di corpi torturati ed uc-cisi o di morti causati da un nostromissile “intelligente”. Reagiremmonaturalmente male, ma, se noi nonvogliamo vedere, il giornalista è spin-to e costretto ad adeguarsi, a mostrarciuna guerra “accettabile, di buon gu-sto”. Sempre Grover riporta la testi-monianza di Martin Bell, inviato dellaBBC in Bosnia all’epoca delle stragi chesi trovò a dover edulcorare i propriservizi per non turbare troppo gli spet-tatori: e come dice lo stesso Bell10 :“Preoccupati di non sconvolgere lagente e di non offenderne la sensibili-tà, non soltanto ripulivamo la guerrama la rendavamo persino aggraziata,come se fosse una maniera accettabi-le di regolare i conflitti tra gli uomini,e le sue vittime non morivano mai dis-sanguate, ma spiravano graziosamen-te lontano dagli occhi degli spettato-ri.”

Forse si crea una specie di circuito: imass media strutturalmente legati alpotere preparano l’opinione pubblicaad accettare e sostenere una guerra edi conseguenza sono costretti a dareun’immagine rassicurante secondo laquale le situazioni difficili si risolvonovelocemente con l’arrivo dei “nostri”ed i morti spariscono sullo sfondo,escluso qualche eroe nostro di cuisapremo vita, morte e miracoli o qual-che cattivo loro il cui cadavere colvolto tumefatto, potremo vedere inprima pagina.

1 Cfr. Claudio Fracassi, Sotto la noti-zia niente, I libri dell’altra Italia 1994,pag.162

2 ibidem, pag.1633 Noam Chomsky, I cortili dello zio

Sam, Gamberetti 1995, pag. 97-984 Ignacio Ramonet, Menzogne di Sta-

to, Le Monde diplomatique, luglio 2003.5 Ibidem.6 Ignacio Ramonet, La tirannia della

comunicazione,1999 Asterios Editore,pag.33

7 Nel dicembre 98 si era diffusa lanotizia di un massacro a Timisoara, ope-rato dalle forze della Securitate diCeausescu e si giunse a parlare di 4700morti. Si scoprì in seguito che la stragenon era mai avvenuta e la notizia erafalsa, frutto di superficialità, tendenza alsensazionale, isteria collettiva.

8 Jonathan Glover, Humanity, IlSaggiatore 2002

9 la CNN negli Stati Uniti , la BBC e laITN in Inghilterra

10 Jonathan Glover, ibidem, pag.221

21StrumentiCres ● Febbraio 2004

dossier

21StrumentiCres ● Febbraio 2004

Guerre e bugieMassimiliano Lepratti

* Referente per la Formazione,Mani Tese

“Guerra? Che guerra?Qui tutti i giorni c’è la guerra.Corro sempre dietro a mio figlioper tirarlo fuori dalle sparatorie.Della guerra io so tutto.”

(Deise Nogueira che vivenella favela di Maré

a Rio de Janeiro, Brasile)

“Mai si mente così tanto come pri-ma delle elezioni, durante una guerrao dopo una partita di caccia” dicevaVon Bismarck negli anni ’70 del XIXsecolo.

La bugia è infatti un elemento indi-spensabile delle strategie di guerra,nessun racconto dei combattimentisarebbe digeribile dall’opinione pubbli-ca se non venisse velato dalle bugieche tutti desideriamo sentire, nessu-na guerra sarebbe accettata se la simostrasse per quella che è.

Le menzognee le veritànascoste

Ogni volta che uno stato si apprestaad un nuovo conflitto è quindi indispen-sabile che studi il modo di mentire al-l’opinione pubblica; la strategia è soli-tamente articolata in due grandi men-zogne e due verità nascoste. La primamenzogna riguarda la ferocia e la pe-ricolosità del nemico, entrambe ven-gono opportunamente esagerate percreare un clima emotivo di profondosdegno per le sue azioni e per coloroche all’interno dei “nostri” rifiuteran-no di liquidarlo attraverso la guerra:pacifisti, persone di buon senso … com-plici insomma. Se la prima menzognaavrà sortito effetto e l’attacco saràpartito, interverrà la seconda menzo-gna: le nostre armi fanno vincere, manon fanno tanto male anche perché inostri soldati sono eroi determinati, maprofondamente umani (scrivono lette-re dolorose a madri e fidanzate, han-no figli piccoli o genitori malati…).Contestualmente partirà il processo di

oscuramento di alcune verità: la pri-ma è quella relativa al numero di vitti-me su cui non si saprà nulla di precisose non dopo la fine delle ostilità (for-se); la seconda è quella relativa agliobiettivi della guerra, che non vengo-no esplicitati prima, ma vengono defi-niti ex post a seconda di ciò che suc-cede realmente sul campo (se non sitrovano le armi di distruzione di mas-sa in Iraq, l’obiettivo diviene la cac-ciata di un regime comunque odioso,se non si trovano Osama Bin Laden eil mullah Omar, l’obiettivo diviene lacacciata del regime dei talebani e cosìvia), è più o meno la stessa dinamicadelle partite di calcio fra bambini incui chi tira a casaccio guarda la dire-zione del pallone e sostiene poi di aver-lo voluto indirizzare proprio lì.

Se questa è la struttura generale delracconto dei belligeranti, ogni singoloconflitto verrà poi arricchito di specifi-che bugie e di verità nascoste, e quan-do a distanza di mesi alcuni fra gli stes-si protagonisti delle finzioni ammet-teranno di aver mentito, l’opinionepubblica sarà impegnata altrove e de-gli avvenimenti passati ricorderà piùle false affermazioni iniziali delle smen-tite.

Alcune fra le piùgrandi bugie

Ad illustrare concretamente i mec-canismi di cui sopra stanno moltissimicasi rintracciabili fra le guerre nove-centesche e quelle di inizio del nuovosecolo. La scelta che si è deciso di ope-rare nelle righe seguenti è un solo pic-

colo esempio di un lavoro che potreb-be avere contenuti ben più ampi.

Un primo esempio risale alla primaguerra mondiale1 e si riferisce alle sup-poste ferocie della popolazione belganei confronti dei tedeschi raccontatedalla stampa filogermanica dell’epoca:donne, vegliardi e bambini belgi si sa-rebbero dati ad atrocità inenarrabili aidanni dei soldati tedeschi feriti, cavan-do occhi, tagliando dita, nasi e orec-chie; le donne belghe avrebbero get-tato i feriti dalle finestre, mentre unbambino si sarebbe addirittura aggi-rato con un secchio colmo degli occhicavati ai nemici. Per rendere ancorapiù tragicomico il quadro è sufficienteleggere i giornali italiani dell’epoca iquali, una volta che il governo indivi-duò nei tedeschi i nemici del nostropaese (e si sa dopo quali tentenna-menti sulla scelta), si lanciarono confoga in una narrazione rovesciata: ilCorriere della Sera e il Messaggeroraccontavano ad esempio di bambinibelgi di tre anni crocifissi dai tedeschie di bimbe mutilate dei piedi e costrettea correre sui moncherini per il passa-tempo degli occupanti. Le cronacheerano così ricche di episodi simili cheuna volta finita la guerra furono moltii turisti a stupirsi di non vedere il Bel-gio pieno di moncherini.

In epoca più vicina alla nostra gliepisodi simili sono molti e ampiamen-te documentabili (seppure poco notial grande pubblico). Il loro numero ela loro sfrontatezza sono aumentatidopo che la guerra degli Usa alVietnam2 ha mostrato ai politici e aimilitari una verità scomoda: le opinionie i racconti dei giornalisti non semprecoincidono con la retorica patriotticadei loro governi e i reportage delleefferatezze compiute dagli eserciti“amici” contribuiscono ad alienarel’opinione pubblica interna alla causadella guerra. Per rimediare al rischioche questa dinamica pericolosa potes-se rafforzarsi, le guerre degli ultimianni sono state pianificate ponendogrande attenzione al problema dellacomunicazione giornalistica.

Un esempio da manuale è stata laguerra combattuta nel 1991 dagli StatiUniti e dai loro alleati (sotto l’egidadell’ONU) contro l’Iraq, reo di aver in-vaso il Kuwait. Claudio Fracassi ha ri-costruito alcune tra le bugie di un’ope-razione che più di ogni altra fu studia-ta per ingannare l’opinione pubblicamondiale: “A Washington una “fanciul-

StrumentiCres ● Febbraio 200422

dossier

StrumentiCres ● Febbraio 200422

la kuwaitiana di quindici anni sfuggitaallo sterminio” rese una drammaticatestimonianza alla commissione Dife-sa della Camera: raccontò tra l’altrocome i soldati irakeni avessero stac-cato la corrente alle incubatrici del-l’ospedale di Kuwait City, uccidendo ineonati. Solo dopo la guerra si vennea sapere che la ragazza era la figliadell’ambasciatore kuwaitiano presso leNazioni Unite, che era assente dal suopaese da molti anni, e che la sua rac-capricciante, ma falsa testimonianzaera stata costruita su un copione pre-parato e sceneggiato dagli specialistidella “Hill & Knowlton”. Gli stessi che,pochi giorni dopo l’invasione, aveva-no girato ad Hollywood e poi fornitogratuitamente alle TV di tutto il mon-do le “prime immagini dell’invasionedel Kuwait” riprese da un “turistateleamatore””3 . E prosegue Fracassi:“La maggior parte delle informazionierano taciute o deliberatamente ma-nipolate dalle fonti ufficiali. Come quel-le sulla “distruzione all’80%” dell’avia-zione irakena nel primo giorno di bom-bardamenti (in realtà più di metà del-la flotta aerea si rifugiò successiva-mente in Iran); quelle sulle “bombeintelligenti” (che furono soltanto, siseppe poi, il sette per cento del totaledegli ordigni sganciati, e si rivelaronopoco intelligenti, al punto che nei pri-mi giorni 77 su 167 mancarono il ber-saglio); quelle sulla “precisione chirur-gica” dei bombardamenti (fu la stessaAeronautica USA, alla fine della guer-ra, a constatare che su un totale di88.500 tonnellate di esplosivo sgan-ciato sugli obbiettivi militari irakeni, il70 per cento aveva mancato il bersa-glio: 61.950 tonnellate di bombe era-no cioè cadute su ambienti civili)”4 .

Le guerre combattute successiva-mente dagli Usa hanno tentato di se-guire la stessa strategia mass media-tica; un esempio efficace è riscontra-bile nelle modalità con cui venne rac-contata nel 1999 la guerra condottadalla Nato contro la Jugoslavia diMilosevic, reo della persecuzione et-nica a danno dei kossovari. Lì le men-zogne si concentrarono in particolarenella fase di ricerca del pretesto perattaccare; un primo caso fu quello dellastrage di Racak, episodio gestito adarte per esacerbare contro i serbi l’opi-nione pubblica mondiale in vista del-l’ultimatum da porre a Milosevic neidecisivi colloqui di Rambouillet5 . Inquell’occasione il fatto oggettivo furappresentato dalla morte per arma dafuoco di 45 kossovari i cui corpi ven-nero ritrovati in parte mutilati, la rico-struzione soggettiva previde invecel’attribuzione di quelle morti a un’ese-cuzione sommaria operata da serbi su

civili disarmati a cui sarebbero stateoltretutto inferte orribili mutilazioni. Laricostruzione operata dalle autopsie (erimasta taciuta fino alla fine del con-flitto con la NATO) negava con certez-za l’ipotesi dell’esecuzione sommaria(i colpi non erano stati sparati da di-stanza ravvicinata), smontava comple-tamente la tesi delle mutilazioni (leferite risultavano essere state infertepost mortem, presumibilmente damorsi di animali), e rendeva assai dub-bia l’ipotesi che i kossovari fosseroinermi (il professor Dunijc, patologodell’università di Pristina, rilevò suquasi tutti i corpi degli uccisi la provache avessero fatto uso di armi da fuo-co).

Il secondo pretesto per attaccare laJugoslavia fu ottenuto dai militari del-la Nato attraverso una modalità am-piamente collaudata; gonfiare in modoclamoroso il numero delle vittime del-la persecuzione nemica: “centomilakossovari sono stati uccisi o rapiti dal-le forze serbe” gridava il portavoceNato Jamie Shea, sconvolgendo ilmondo. In realtà il numero delle vitti-me si aggirava intorno a tremila, unacifra comunque terribile, ma comple-tamente incapace di reggere ai para-goni con l’olocausto (e di Milosevic conHitler) che tanta parte del giornalismomondiale riportava all’epoca con non-curanza delle verifiche6 .

Fortunatamente la strategia didisinformazione bellica ha avuto vitapiù difficile in occasione dei recenticonflitti in Afghanistan e in Iraq: lapresenza di mass media alternativi (laTV in arabo Al Jazeera) nonché la di-sponibilità di mezzi tecnici a bassocosto e di facile impiego per giornali-sti coscienziosi (internet, i videotele-foni) ha impedito che i governi e i mi-litari occidentali potessero esercitare

il monopolio dell’informazione con lastessa pervasività delle occasioni pre-cedenti. Naturalmente ciò non ha im-pedito che forti tentativi di disinfor-mazione siano stati messi in campo. Iracconti parziali sui miglioramenti chele donne afgane avrebbero avuto gra-zie all’intervento bellico (miglioramenticonosciuti solo da una parte ristrettadella popolazione); i goffi tentativi diattribuire a Saddam Hussein una mi-nacciosa potenza d’armamenti (com-presi i maldestri dossier preparati dalgoverno inglese incollando articoli vec-chi di oltre dodici anni, o l’imbaraz-zante caso del falso traffico d’uraniofra il Niger e l’Iraq); l’improbabile casodel soldato Jessica Linch, “salvata”grazie a una troupe più hollywodianache militare dalle braccia di “carnefi-ci” nella realtà assai poco feroci (alpunto che dopo averla curata aveva-no tentato a rischio della propria vitadi riconsegnarla al suo esercito, pertacere del fatto che le ferite le eranostate procurate non dai seguaci diSaddam, ma da un banale incidentedel camion dove viaggiava).

Questi ed altri sono esempi di unpotente meccanismo di disinforma-zione che a volte fallisce il suo scopo,ma che purtroppo non manca di inse-rire veleni pericolosissimi nell’opinio-ne pubblica mondiale, difendendo l’im-probabile tesi di un’umanità e di unagiustizia della guerra (naturalmentequando a combattere sono coloro chedifenderebbero le ragioni della demo-crazia e della libertà).

1 Il racconto è tratto da un articolo diMarco D’Eramo, pubblicato a pag. 25 e26 de “Il Manifesto” dell’11/04/99.

2 E’ da ricordare che la guerra ebbe ilsuo inizio ufficiale nel 1964, dopo chedue cacciatorpediniere statunitense de-nunciarono di essere stati attaccati nelGolfo del Tonkino da siluri nord-vietna-miti. Si doveva apprendere a distanza dimolti anni da fonti autorevoli (la viva vocedi alcuni membri dell’equipaggio deicacciatorpediniere) che l’attacco non eramai esistito (episodio citato da IgnacioRamonet su “Le Monde Diplomatique delluglio 2003, pag. 1).

3 Claudio Fracassi: “Sotto la notizianiente”. Libera Informazione Editrice1994, pagg. 136-7

4 Ibidem, pagg. 140-15 La ricostruzione è tratta da un arti-

colo di Tiziana Boari pubblicato su “IlManifesto” del 15/04/00 a pag. 10.

6 Guy Dinmore del Financial Times ri-cordava come il tasso di omicidi dei ser-bi verso i kossovari in un anno di guerrarisultasse inferiore al tasso di omicidi neldistretto di Washington

23StrumentiCres ● Febbraio 2004

dossier

TV e regime: il caso deiBalcani negli anni ‘90Elisabetta Assorbi

23StrumentiCres ● Febbraio 2004

Da sempre, se si vuol togliere la li-bertà, si comincia con la censura deimedia: quando ancora la televisionenon esisteva, le perentorie veline diregime per la stampa non lasciavanospazio a idee né a dubbi.

Il giornalista Ignacio Ramonet no-tava in un suo libro [“Propagande si-lenziose” ed. Asterios 2000, pag18],che “Farsi amare è il compito asse-gnato negli stati totalitari odierni aiministeri della propaganda, ma ancheai redattori dei giornali e ai maestri discuola”; oggi si agisce sul più diffusomezzo di comunicazione, la televisio-ne.

Se, come diceva Huxley, “64.000 ri-petizioni fanno una verità”, quanteverità avrà costruito Milosevic ripeten-do che “il povero popolo serbo saràspazzato via dal nemico islamico,kosovaro, albanese”? E lo ha ripetutoproprio tanto, visti i risultati della guer-ra del ’99, che peraltro spentisi gli echidei bombardamenti, è finita nel gran-de dimenticatoio collettivo. RyszardKapuscinski, lo scrittore reporter po-lacco sempre in giro per il mondo adesercitare un buon giornalismo etico,in un’intervista del ’99 al quotidiano“la Repubblica” notava che col Kosovoè stato lampante. “Il Pentagono eraeffettivamente sicuro che Belgradoavrebbe ceduto immediatamente… eil bello è che i mass media collabora-no a costruire la rimozione. Finite lebombe, il Kosovo è stato archiviato”[Sabato 27 novembre 1999]

Oggi, proprio per esercitare il valo-re della memoria, desidero ripercor-rere alcune tappe di quella guerra chepoi non è così lontana, per dimostrareche il ruolo della televisione durantequei tragici settantotto giorni è statofondamentale per l’uso che ne è statofatto: manipolazione delle coscienze e

costruzione della “GrandeSerbia”, che riunisse tutte lepopolazioni serbe dellaCroazia e della Bosnia-Erzegovina.

Già le discordie etnichedovute alla decisione presadopo la morte di Tito nel1980, di far ruotare la pre-sidenza annuale fra le seirepubbliche che costituiva-no la Jugoslavia, furonodebitamente fomentante daimedia; le immagini televi-sive indussero un’intera ge-nerazione di serbi, bosniacie musulmani a detestare ipropri vicini.

Slobodan Milosevic perimporre il suo governoriaccese l’odio etnico a par-tire dal 1989, in occasionedel sesto centenario dellavittoria dei turchi sui serbi.Riunite le televisioni e benun milione di persone nello stesso luo-go della battaglia - KosovoPolje, il cam-po dei merli - catalizzò l’orgoglio na-zionale, affermando che anche a tantisecoli di distanza il popolo serbo eraminacciato di scomparire, a opera deimusulmani. Ma quali? Nel 1989 neiBalcani restava solo il popolo kosovaroa seguire la parola del Profeta…

Il primo passo verso l’annientamentodel Kosovo fu la dissoluzione del par-lamento kosovaro, con la conseguen-te proibizione di uso della linguaalbanese nell’intero territorio di quel-la che era stata una semi-repubblicacon oltre 150.000 funzionari di linguaalbanese. Le conseguenti azioni di pro-testa e gli attentati verso i serbi furo-no amplificati a dovere dalla TV ser-ba, con lo slogan “Kosovo culla dellanazione serba”, ripetuto continuamen-te.

Quando poi si giunse alla guerra, l’in-domani dell’attacco NATO, il 26 marzo1999, rotte le relazioni diplomatichecon USA, Gran Bretagna, Francia eGermania, Milosevic vince subito duenemici, i film e il giornalismo occiden-tale: tutti gli inviati col passaporto diPaesi aderenti alla NATO vengono in-fatti allontanati e l’orrore della puliziaetnica è conosciuto “fuori” solo attra-verso movimenti filo-albanesi, per

mezzo della TV di propaganda anti-serba, nonché attraverso i racconti deiprofughi civili. L’informazione serbadiventò allora strumento di guerra,perché ricompattò tutto il popolo at-torno al dittatore, il quale già nel 1991/’92 aveva epurato dalla televisione distato RTS di Belgrado tutti i non serbie i non allineati al regime. Per questomotivo, nel periodo dei bombardamen-ti del ’99, la RTS poteva addiritturaaffermare che la contraerea serba ab-batteva a ripetizione gli aerei dellaNATO. Ma la propaganda attraverso laTV, al fine di tenere calmi gli animi,contemporaneamente propinava pana-cee di tipo magico,per mezzo dell’in-tervento di maghi e veggenti, che sper-giuravano la fine della guerra attra-verso argomenti parapsicologici (vedi“la Repubblica” del 21 aprile 1999):uso mediatico che in occidente non riu-sciremmo davvero a credere possibi-le.

Tuttavia l’uso dei maghi, delle bugiee della propaganda qualche effettosulla popolazione lo ebbero, se nonaltro fu l’esorcismo nei confronti del-l’angoscia che attanagliava i belgra-desi, ripetutamente bombardati, chenon potevano sapere, pur sospettan-dolo, quanto tremenda fosse la guer-ra. A tanto si spinse la situazione che,

delle conoscenze.Arruolare i media per legittimare la

guerra è stato l’intento di Milosevic findall’inizio della sua ascesa politica,volta a perseguire i propri ideali di

StrumentiCres ● Febbraio 200424

StrumentiCres ● Febbraio 200424

dossier

con la sbrigatività tipica dei militari,alcuni generali inglesi proposero dibombardare la sede della RTS, consi-derata strumento di repressione diMilosevic, e lo fecero sapere con tantasollecitudine, che la notizia circolò,finchè se ne ebbe la certezza quandola BBC e la CNN ( inglesi e americani)disdettarono i satelliti per le trasmis-sioni televisive, proprio la sera dell’at-tacco.

Solo a guerra finita si saprà che lanotte in cui la Nato bombardò la tele-visione di Belgrado, il regime lasciònegli uffici solo personale sospetto disimpatie anti-serbe, collaboratori sco-modi che furono così eliminati. I mortifurono sedici.

Come allora affermò Ennio Remon-dino, corrispondente per il TG1, “Laguerra, per una rete televisiva, è lospettacolo di maggiore ascolto i cuicosti principali sono sopportati da al-tri” (in AA.VV: “L’informazione devia-ta” Zelig editore 2002). Dall’altro ver-sante, quello “democratico”, durantela guerra in Kosovo, l’Alleanza raffor-zò il coordinamento per la diffusionedelle notizie, per assicurare un effica-ce flusso d’informazione tra i luoghidelle operazioni militari e le capitalidella Nato, a seguito delle comunica-zioni discordanti sugli attacchi a con-vogli civili, che fecero numerose vitti-me e sui quali poco si seppe (o si vol-le) appurare.

PolemicheL’uso della tv in tempo di guerra è

stato fonte di polemiche aspre proprioin Italia, a seguito di un’iniziativa gior-nalistica di Michele Santoro, che perla trasmissione “Moby Dick” di ItaliaUno aveva organizzato, il 15 aprile1999 da Belgrado, una diretta permostrare come la tragedia fino ad al-lora era stata “guardata da una solaparte e le ragioni dei serbi … sacrifica-te”.

Fece perciò interviste ad operai or-mai disoccupati, ai cosiddetti scudi-umani, fatti schierare dal regime ser-bo sui ponti di Belgrado per difenderli.

C’era chi diceva che dello sterminio“non sapeva niente”, che la pulizia et-nica “non è vera”; Santoro ripetè piùvolte che la diretta televisiva era fattain condizioni di guerra, per affermarela sua posizione, di non essere lì perfar propaganda ai serbi. Tutto ciò nonevitò per lui l’accusa di aver “fatto tele-Milosevic”. La CNN è diventata ormaiun modello, anche se si continua a di-scutere sulla faziosità della piazza in tv.

Del resto, la guerra dei media è en-trata in Kosovo ancor prima delle bom-

I dati sulle violazioni della libertà distampa e sulle violenze, fino all’omici-dio, furono fornite alla fine di maggio’99 dall’organizzazione “Reporter sen-za frontiere”:

“Il regime di Milosevic ha annienta-to la stampa albanese, ha messo atacere con la censura i media indipen-denti serbi, ha minacciato, malmena-to ed espulso decine di giornalisti stra-nieri”. Simbolo riassuntivo di tale po-litica fu l’uccisione, l’11 aprile aBelgrado, di Slavo Curuvija, giornali-sta di opposizione accusato di “tradi-mento”.

Proposte

La guerra nei Balcani, come tutteormai, è stata una guerra di informa-zione e di disinformazione. In propo-sito, è stato proposto il “Manifesto perla libertà di stampa”, promosso da ungruppo di intellettuali, giornalisti egiuristi, che si rivolge all’ONU con unarichiesta operativa: la costituzione sim-bolica dei Caschi blu della notizia, per

aprire “corridoi informativi” nelle areedi conflitto ed assicurare all’opinionepubblica internazionale una cronacacompleta e una conoscenza puntualedegli eventi.

L’obiettivo è quello dell’immunità pertutti coloro che lavorano sul campo peri vari mass-media, articolato in treparti:

1) una Carta delle informazioni intempo di guerra, da sottoporre al Con-siglio di sicurezza dell’ONU;

2) un Osservatorio, composto daprofessionisti di prestigio, che indaghisulle violazioni e sulla completezza in-formativa;

3) un Tribunale etico internaziona-le, incaricato di comminare sanzionimorali.

Sicuramente nel Villaggio globalequesto strumento potrebbe avere ef-ficacia ma, alla luce di quanto è suc-cesso in questi ultimi anni, dal giorna-lismo “embedded” alle polemiche sulleinformazioni della presa americana diBaghdad, mi chiedo: che fine ha fattoquesta proposta?

be della Nato.

Glossario/1Glossario/1Glossario/1Glossario/1Glossario/1Armi nucleari di bassa potenzaContro tutti gli accordi che proibiscono la sperimentazione, la costruzione

e l’uso di armi nucleari, accordi firmati ma non a caso mai ratificati dai paesidotati di armamento nucleare, è nata una nuova generazione di “armi nucle-ari di bassa potenza” (meno di 5 kilotoni, cioè 5 mila tonnellate di tritolo), daimpiegare in small strikes, “piccoli attacchi nucleari”, accanto alle armi con-venzionali. Viene quindi a cadere la distinzione tra guerra nucleare e guerraconvenzionale, già negata di fatto dall’uso, ufficialmente ammesso, dellebombe a uranio impoverito.

Si tratta delle “bombe nucleari penetranti”, in grado di distruggere bunkeranche profondamente interrati, per decapitare i centri di comando nemici;delle “armi a radiazione rinforzata” che provocano un calore, un’onda d’urtoe una contaminazione minore ma una radiazione immediata maggiore, percui uccidono di più ma danneggiano di meno le cose, permettendo di occu-pare la postazione colpita poco tempo dopo l’esplosione senza eccessivi dan-ni; delle “bombe nucleari miniaturizzate” (suitcase bomb), delle dimensionidi una valigia e in grado di essere trasportate e fatte detonare da una solapersona. (m.m.)

Bombe intelligentiSecondo la Nato, si tratta di ordigni teleguidati che, grazie alle nuove tec-

nologie, vengono lanciati da aerei e possono centrare gli obiettivi nemici conun “trascurabile margine di errore e senza effetti collaterali”. In questo modopossono essere diretti anche verso obiettivi situati in aree densamente po-polate, come palazzi, dove si pensa risieda il comando nemico, o installazionistrategiche, come gli impianti televisivi, le centrali elettriche o le fabbriche diarmi. In realtà le cosiddette “bombe intelligenti” sono di due tipi: quelle aguida laser, molto costose e con un margine d’errore di tre metri, che peròrichiedono qualcuno a terra con un puntatore laser che indirizzi l’arma versol’obiettivo; quelle a guida GPS (Sistema di Posizionamento Globale) che siindirizzano verso un obiettivo le cui coordinate sono individuate da un siste-ma di satelliti, ma sono molto più imprecise.

Nella guerra dell’Afghanistan solo il 20% dei missili era a guida laser, men-tre il 40% era GPS e un altro 40% era costituito da bombe “stupide”. (m.m.)

25StrumentiCres ● Febbraio 2004

dossier

25StrumentiCres ● Febbraio 2004

Benché le guerre siano sempre sta-te accompagnate da una “manipola-zione dell’informazione” va detto chela “disinformazione” di guerra ha fat-to dagli anni Novanta del Novecentoun salto di qualità senza precedenti.Questo fenomeno si spiega, come cer-cherò di chiarire più avanti, con ragio-ni essenzialmente politiche, ma è sta-to certo favorito dagli enormi progressidelle telecomunicazioni, dalla possibi-lità di mostrare la guerra “in diretta” odi informarcene “in tempo reale” viainternet.

La manipolazioneper inondazione

Fino alla guerra del Vietnam, e an-che dopo, l’immagine e la Tv ebberoun ruolo relativamente limitato. Laguerra era raccontata attraverso unflusso discontinuo di notizie e di im-magini, che lasciava qualche varco inpiù alle contraddizioni, ai dubbi, allariflessione critica.

Dagli anni Ottanta cominciò invecead essere sperimentata negli Stati unitila cosiddetta “manipolazione per inon-dazione” che ebbe il suo battesimo delfuoco nella guerra del Golfo del 1991e che consiste nel fornire a getto con-tinuo immagini “inconfutabili” (anchequando sono montaggi preconfezionatida agenzie pubblicitarie) e informazioniminuto per minuto (i famosi briefingdei generali).

La guerra, non più raccontata marappresentata mentre accade, ci dà l’il-lusione di star vedendo tutto e ci im-pedisce di accorgerci che non vedia-mo nulla (eccetto i lampi sempre ugualidel bombardamento di Bagdhad), diporci domande, di cercare conferme.“L’occultamento tramite Tv è gigante-sco”, scrisse Rossana Rossanda nel1991. “Il Vietnam ci mandava imma-

gini alcune delle quali ci abitano anco-ra - i villaggi sfondati, il contadino cheè anche vietcong […] Adesso, via sa-tellite, le immagini fluiscono in pochiluoghi dove vengono catturate. Sequalcuna ne sgocciola, è stata calco-lata e manipolata”. Ma senza che cene accorgiamo. “Penso di non aver maisubito manipolazione di sorta”, ha di-chiarato durante la guerra del Kosovoil corrispondente di France Inter daBruxelles, “oppure ero manipolato tal-mente bene che non me ne sono ac-corto.”

La controinforma-zione si difende

Questa accresciuta efficacia delladisinformazione di guerra ha reso piùdifficile e al tempo stesso più neces-sario un lavoro di controinformazioneche è stato svolto instancabilmente pertutti gli anni Novanta, in Occidente, daassociazioni pacifiste, gruppi, piccoleriviste spesso operanti con povertà dimezzi e pochi quotidiani o periodici re-lativamente diffusi, più che da grandiforze organizzate. Anche questo, comedirò, per ragioni politiche.

Nonostante ciò alcuni risultati di ri-lievo sono stati ottenuti soprattuttonella denuncia delle violazioni dei di-ritti umani, condotta particolarmenteda Amnesty, o con campagne specifi-che come quella contro le mine, insi-gnita del Nobel, o sull’embargo all’Iraq.Ma altrettanto preziose sono statel’analisi delle tecniche di manipolazio-ne, il puntuale smontaggio della pro-paganda di guerra, la documentazio-ne delle vere ragioni e degli effetti deibombardamenti “chirurgici” o delleguerre “umanitarie”.

In Italia questo lavoro ha conosciu-to nel decennio 1991-2001 significati-vi sviluppi. Fino al 1994/95 i gruppiche facevano controinformazione era-no relativamente pochi e si preoccu-pavano soprattutto di dimostrare lafalsità delle notizie e delle ragioni dif-fuse dai media per legittimare le guerreo di fornire quelle che i media cerca-vano di nascondere. Si servivano, inol-tre, in prevalenza di strumenti tradi-zionali per non dire obsoleti: opuscoli,

Controinformazionedi guerraWalter Peruzzi*

* direttore di “Guerre&Pace. Mensiledi informazione internazionalealternativa”

��

volantoni, riviste - anche valide mapoco accattivanti e poco diffuse, se sieccettuano giornali come “Avvenimen-ti”, specie durante la prima guerra delGolfo, e “il manifesto”. Più efficaci,anche al fine di raggiungere un pub-blico, furono le mostre fotograficheesposte nelle piazze, nelle scuole e,meno, nelle fabbriche.

Dal 1994/95, invece, questo tipo diinformazione non solo si moltiplicò suvari quotidiani e periodici ma divennepiù incisivo: in risposta a una disinfor-mazione tutta giocata sulle immaginisi diffusero videocassette sulle guer-re, la “sindrome del Golfo”, gli em-barghi. Se uno dei primi esempi delgenere, il video girato nel 1991 in Iraqda Ramsey Clark e diffuso in Italia dalComitato Golfo, era di qualità assaimodesta, spesso poco leggibile, in se-guito furono prodotti video di alta qua-lità professionale (come alcuni di quellidi “Un ponte per” e molti altri), cheraggiunsero un pubblico molte decinedi volte più vasto di quello toccato dalmateriale cartaceo.

Allo stesso tempo gruppi che si ri-volgevano a un pubblico più limitatodi attivisti poterono andare oltre que-sto livello minimo dedicandosi a pro-durre con sempre maggiore frequen-za analisi dei conflitti e del loro conte-sto politico, economico, militare. An-che una piccola rivista come “Guer-re&Pace”, nata nel 1993 proprio per“criticare l’informazione manipolata” efornire“notizie taciute”, conobbe neglianni un’evoluzione di questo tipo.

Dall’ultimo scorcio del Novecento,infine, la controinformazione di guer-ra riuscì anche a circolare, come ladisinformazione, “in tempo reale”, at-traverso liste e giornali diffusi per po-sta elettronica o numerosi siti internet(di cui “Peacelink” è stato un capo-sti-pite). Oggi è così disponibile quotidia-namente, per un vasto pubblico, unaminiera di informazioni, notizie, anali-si critiche.

Le difficoltàpolitiche

Ma questi grandi passi avanti nonbastano a risolvere il problema con cui

StrumentiCres ● Febbraio 200426

StrumentiCres ● Febbraio 200426

dossier

la controinformazione si trova a misu-rarsi: come raggiungere e influenzareil grande pubblico; e come riuscirvi intempo “utile”.

I devastanti effetti dell’embargo al-l’Iraq, ad esempio, furono oggetto findal 1991 di una delle campagne inter-nazionali (e italiane) più martellanti.Ma hanno impiegato quasi un decen-nio prima di diventare noti al grandepubblico attraverso trasmissioni tele-visive a larga diffusione.

Lo stesso può dirsi per l’uso dei pro-iettili all’uranio: il loro impiego in Iraqfu denunciato già nel 1993 dai pacifi-sti tedeschi; in Italia fu la prima a par-larne, nel 1994, “Guerre&Pace”, chefu anche la prima a parlare nel 1997,sulla scorta di una precedente denun-cia dei pacifisti statunitensi, del loroimpiego nel 1995 in Bosnia. Ma anco-ra nel 2001, quando scoppiò lo scan-dalo non più tacitabile dei soldati ita-liani contaminati, il presidente del con-siglio Amato poteva dichiarare a “Re-pubblica”: “Noi abbiamo sempre sa-puto che [l’uranio] era stato usato inKosovo e non in Bosnia”.

Le ragioni di queste difficoltà e diquesti ritardi della controinformazionesono le stesse che consentono un usocosì abilmente distorto dei media daparte della disinformazione di guerra.Non sono ragioni tecniche, come dice-vo all’inizio, ma politiche, cioè legateal passaggio da un sistema interna-zionale pluralistico o diviso in “campi”a un “ordine mondiale” monopolareguidato dagli Usa e rafforzato dalla crisidei partiti di sinistra e dei movimentidi massa tradizionali.

A ciò ha corrisposto per un verso ilformarsi di un “pensiero unico” el’omologazione a tale pensiero del si-stema dei media e degli stessi organi-smi internazionali; per altro verso unanuova legittimazione delle guerre, inquanto“operazioni di polizia” o “inter-venti umanitari” decisi per il bene ditutti dalla comunità internazionale.

Da qui l’autorevolezza della disinfor-mazione e la mancanza di spazi perchi potrebbe contraddirla o la conces-sione di spazi costruiti ad arte, comeil salotto Vespa, per zittire il pacifistadi turno.

Nuove prospettive

La controprova viene dalla recenteguerra preventiva contro l’Iraq. Le con-suete invenzioni sulle “armi di Sad-dam” o altre pretesti hanno trovatoassai meno credito o sono statesbugiardate più rapidamente non tan-to perché la controinformazione fossetecnicamente più agguerrita ma per-

ché ha potuto giovarsi di due condi-zioni politiche favorevoli: in primo luo-go la crisi del monopolarismo, cioè ildissenso che ha contrapposto il papa,la “vecchia Europa” e l’Onu a Bush,rendendo “legittimo” criticarlo; in se-condo luogo e ancora più l’impetuososviluppo negli ultimi anni di un movi-mento alternativo, che ha saputo farecontroinformazione con le bandiere aibalconi prima che con “argomen-tazioni” affidate a materiali poco letti.Ciò apre sicuramente prospettive nuo-ve e più incoraggianti nella lotta con-tro le diverse forme di manipolazione,particolarmente asfissianti in Italiadata l’anomala concentrazione dei

media nelle mani del capo del gover-no. Questo non significa che il lavoropuntiglioso di documentare, denuncia-re, controinformare sia inutile o chenon esista il problema di farlo in for-me sempre più creative ed efficaci.Significa soltanto che la costruzione diuna incisiva controinformazione non èprecedente o indipendente rispetto allacostruzione di un movimento e di unsoggetto politico di massa capaci diservirsene.

Combattenti nemiciVengono così definite dall’amministrazione USA le persone fatte prigionie-

re in occasione del conflitto in Afghanistan, per evitare di riconoscere loro lostatus giuridico di “prigionieri di guerra”. In questo modo i prigionieri si tro-vano senza la protezione del diritto internazionale con la scusa che non sonosoldati regolari, che non sono tutti di nazionalità afgana (ci sono anchepakistani, arabi, britannici, francesi o altro) e che sono sospetti membri direti terroristiche internazionali come Al Qaeda.

In particolare i circa 660 detenuti a Guantanamo vivono ormai da due anniin una sorta di limbo legale, poiché il governo USA ha rifiutato di applicareloro le Convenzioni di Ginevra, ma non applica neppure il diritto comunedato, che non si trovano su territorio statunitense.

Diversi esperti di diritto internazionale hanno denunciato la detenzione aGuantanamo come una mostruosità giuridica (anche perché i prigionieri nonhanno mai visto avvocati difensori e per nessuno ancora sono state formula-te imputazioni precise) e hanno ribadito che la definizione di “combattentenemico” non può prescindere dalle Leggi umanitarie internazionali. (g.b.)

Diritto d’ingerenzaDagli anni ’90 si è diffusa la convinzione che è possibile dar vita ad un

ordine mondiale basato sui diritti umani e in base a tale idea è nato il concet-to di diritto umanitario d’ingerenza, come diritto-dovere di interveniredov’è necessario, per ripristinare quell’insieme di diritti che spettano indi-stintamente a tutti gli uomini, in quanto universali. L’ambiente favorevolealla sua affermazione è costituito da una serie di crisi sviluppatesi alla finedel XX secolo:nel ’91, crisi tra Iraq e Kuwait, ora detta I guerra del Golfo;caos in Somalia nel ’92; crisi della Bosnia e, nel ’98, del Kosovo. L’appello aldiritto “naturale” alla legittima difesa contro un’aggressione armata è pre-sente nell’articolo 51 della Carta dell’ONU, ma è la risoluzione 688 del 5aprile 1991 a costituire l’atto fondatore, perché legittima interventi armati diuno Stato sovrano per mettere fine a violazioni di massa dei diritti dell’uomoe del diritto umanitario. Ciò che appare evidente è però la mancanza sia diun Tribunale sopranazionale in grado di emettere giudizi imparziali, sia delladecisione concorde che stabilisca a quale Stato o autorità debba essereaffidato senza restrizioni il compito di affermare questo diritto. (e.a.)

Effetti collateraliVengono indicate in questo modo tutte le conseguenze non direttamente

volute di un attacco o di un bombardamento rivolto a un obiettivo strategicoo militare. Sono compresi in questo concetto, espresso in modo volutamenteprivo di drammaticità quasi fosse una conseguenza minimale e inevitabile, imorti tra la popolazione, la distruzione di edifici civili e di pubblica utilità, losmantellamento della rete dei servizi, l’inquinamento del territorio ecc. (m.m.)

Glossario/2Glossario/2Glossario/2Glossario/2Glossario/2

27StrumentiCres ● Febbraio 2004

123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567123456789012345678901234567890121234567890123456712345678901234567890123456789012123456789012345671234567890123456789012345678901212345678901234567

dossier

27StrumentiCres ● Febbraio 2004

Letturecritiche

a cura di GianlucaBocchinfuso

I CONFLITTIDIMENTICATI

P. Beccegato, W. Nanni (a cura di), Iconflitti dimenticati, in collaborazionecon Famiglia Cristiana e il Regno,Feltrinelli, Milano 2003.

Perché un volume sui conflitti dimen-ticati del mondo? Perché esistono zonedi guerra che vengono ignorate daigrandi apparati della comunicazione erimangono ai margini anche dell’im-pegno internazionale per la tutela deidiritti delle persone?

Questo libro curato da Paolo Becce-gato e Walter Nanni prende in esamecinque diverse realtà dilaniate da guer-re: Colombia, Giunea-Bissau, Angola,Sierra Leone e Sri Lanka. A queste siaggiungano le due realtà definite di“controllo” (pag. 14), il Kosovo e i ter-ritori occupati da Israele in Palestina.Tra gli obiettivi della ricerca dei cura-tori: analizzare le tipologie dei conflit-ti e mappare il mondo tra zone di guer-ra e di pace; cercare di capire perchéalcuni conflitti vengono regolarmentedimenticati; individuare la spiegazio-ne di questo oblio generalizzato.

Gli autori, nel loro studio fornito an-che di grafici e proiezioni, sottolinea-no a più riprese che se da un lato ilproblema della manipolazione dell’in-formazione non è nulla di nuovo, dal-l’altro “le stime dell’intensità dei con-flitti, la terminologia impiegata e per-sino definizioni come ‘conflitto a bas-sa intensità’ (la cui genealogia portaalle dottrine di controinsorgenza sta-tunitensi), ‘pulizia etnica’ o ‘genocidio’hanno fondamentali implicazioni sullacomplessa rete di rapporti politici, or-ganizzativi e di opinione su cui si reg-gono la guerra e le aspettative strate-giche a essa legate” (pag. 15). Il cam-biamento della terminologia per indi-care la natura dei conflitti e per rac-contare fatti accaduti riveste un’impor-tanza fondamentale per evitare di ri-flettere su ciò che realmente accadee, soprattutto, per raccontare ognicosa attraverso la logica del più fortee gli interessi in campo. Questo suc-cede ormai in maniera sistematica.Inoltre, parallelamente a questo modod’informare, vengono taciute le veritàprincipali sui perché una guerra si com-batta: cioè, il controllo delle risorseenergetiche di determinati paesi. An-cora una volta entra in gioco il cam-biamento dei conflitti che si è deter-minato a partire dal 1989 con il pro-pagarsi delle “nuove guerre”: “si trat-ta di conflitti a matrice etnonazionale,che insanguinano le periferie del pia-

neta in contesti di marcata dele-gittimazione delle istituzioni, tumultuo-sa riforma economica e rinascita deinazionalismi” (pag. 23). Le guerreodierne violano sistematicamente ildiritto umanitario con cifre che stima-no le vittime per il 90% tra i civili (pag.24).

La ricerca degli autori ha indagatoquanto siano dimenticati determinaticonflitti nel nostro paese, ponendoanche delle ipotesi iniziali: per la po-sizione geografica, per l’intensità delconflitto, la durata, per i rapporti cul-turali e storici, i rapporti economici;per la presenza o meno di un inter-vento militare internazionale. Quattroi momenti diversi per la produzione deidati: l’opinione pubblica, con un son-daggio telefonico su un campione dipopolazione italiana; l’interesse deimass media, televisione, radio, agen-zie di stampa, stampa quotidiana na-zionale, internet; atti del governo edelle istituzioni europee in base allaproduzione legislativa accessibile at-traverso consultazione informatica;infine, i documenti ufficiali del Papa edella chiesa cattolica in merito. Lo stu-dio dei due autori, che si avvale anchedella collaborazione di Famiglia cristia-na e de Il Regno, dimostra che effetti-vamente esiste una propensione ge-neralizzata a dimenticare, a non ricer-care le cause, a non capire e informar-si. “Anche i conflitti che vedono ilcoinvolgimento di alleanze internazio-nali armate (per esempio quello com-battuto in Kosovo nella primavera del

1999) dopo gli eventi bellici cadonorapidamente nell’oblio dei media: leconseguenze del conflitto e i drammiche caratterizzano il dopo guerra ven-gono perlopiù dimenticati”. (pag. 114).

È un panorama fosco a cui però gliautori si propongono di porre un ri-medio, indicando alcune considerazio-ni. Non bisogna dimenticare, scrivo-no, che “la ragione di molti conflittitrova una sua specifica ragion d’esse-re nelle asimmetrie che caratterizza-no il pianeta dal punto di vista dellatutela dei diritti, dell’accesso alle ri-sorse e ai servizi, della ripartizionedelle opportunità e dei redditi” (pag.115). Fondamentali essere informati,con giornali e televisioni che vadanooltre la comunicazione delle notizie,cercando, invece, le ragioni dei fatti eil loro sviluppo storico e sociale. Nonsecondario è “il compito dell’educare”,che deve partire dal primo livello, cioèla scuola: “occorre educare a percorsidi cittadinanza e mondialità” (pag.118) per sensibilizzare le nuove ge-nerazione e scongiurare qualsiasi pos-sibile dimenticanza.

La conclusione dello studio diBeccegato e Nanni e delle possibilistrade percorribili per superare l’assen-za d’informazione e miopia collettiva,è rivolta alle istituzioni politiche, le soleche possono “cambiare rotta” (pag.119), superando diseguaglianze e sot-tosviluppo che generano i conflitti: “Ilriequilibrio delle diseguaglianze sociali( unito alla lotta contro la proliferazionedegli armamenti e alle lotte ambien-tali contro l’inquinamento e l’esauri-mento delle risorse naturali, prime fratutte quelle idriche) diventa la base sucui fondare il processo di costruzionedella pace” (pag. 120).

L’INFORMAZIONEDEVIATA

De Michelis D.- Ferrari A. - Masto R.- Scalettari L., (a cura di), L’informa-zione deviata. Editore Zelig, Milano2002, pp. 214, Euro 12,40.

Questo saggio, che ha un sottotitoloesplicativo “Gli inganni dei mass me-dia nell’epoca della globalizzazione”, ècurato dai giornalisti Davide Demi-chelis, Angelo Ferrari, Raffaele Mastoe Luciano Scalettari, in collaborazionecon il Premio “Ilaria Alpi”. È un volu-me denso che nasce da più mani e piùstorie, raggruppate in quattro sezionispecifiche: L’informazione della guer-ra, La guerra dell’informazione, L’in-

StrumentiCres ● Febbraio 200428

StrumentiCres ● Febbraio 200428

dossier

formazione negata, L’informazione deidiritti e delle solidarietà. Tra gli inter-venti quelli di Claudio Fracassi,Giulietto Chiesa, Ennio Remondino,Ibrahim Helal, Toni Capuozzo, FrancoDi Mare, Sandro Ruotolo, AngeloFerrari, Stefano Salvi, Giuseppe Frangi.Ogni riflessione tratta l’informazionein riferimento a specifiche zone inguerra del mondo ma il filo rosso cheunisce tutte le posizioni dei giornalistiè la messa in evidenza della merci-ficazione delle notizie, vendute spes-so come importanti e, soprattutto, lacontinua confusione che volutamentesi tende a fare tra i mezzi di comuni-cazione e la realtà: “I mass media nonsono la realtà, ma sono una accurata,filtratissima selezione nella moltitudi-ne caotica e ingestibile degli avveni-menti che accadono ogni giorno, ogniora e ogni minuto sul pianeta” (pagg32-33). In un panorama siffatto,l’utente se da un lato ha il diritto diessere informato dall’altro può caderefacilmente nella rete della manipola-zione dell’informazione che lascia pas-sare spesso (e in un modo controllatoe selezionato) notizie che vengonodate per importante ma che in realtàsono solo secondarie nel grande con-testo internazionale.

Per quanto riguarda il rapporto trainformazione e guerra, scrive ClaudioFracassi nel suo intervento prenden-do in esame i contesti specifici, dallaprima guerra del Golfo all’Afghanistan,sono legate “ormai da matrimonio”(pag. 37). Secondo l’ex direttore diAvvenimenti, ogni guerra viene deci-sa dai vertici politici e pianificatacapillarmente, sottolineando un aspet-to non secondario e spesso ignoratoche non passa attraverso la manipo-lazione della realtà: “talvolta è suffi-ciente illuminare improvvisamentezone oscurate del pianeta, raccontar-ne gli orrori depurandoli dal contesto,dalla storia, dalle responsabilità, equindi trasformandoli in pure emozio-ni” (pag. 40). Il giornalista, scrive, inAfghanistan nel 2002 è successo que-sto. È sempre più difficile fare liberainformazione da un paese in guerra: ilracconto della realtà e le notizie muo-iono sotto i colpi delle armi, perché la“propaganda è naturale” (AmedeoRicucci, pag. 45).

Giulietto Chiesa parte da EnduringFreedom, definita “pietra angolaredell’informazione globalizzata” già daltitolo e spiega che “i militari e i politiciche fanno la guerra fanno il loro me-stiere” (pag. 60) e, nel pieno dell’in-formazione tecnologica, migliaia di oredi trasmissioni giornalistiche non ciaiutano a capire la verità, perché tut-

to passa da quello che Chiesa defini-sce “terrorismo di Stato, l’unico delit-to perfetto esistente in natura” (pag.63). Non sapremo mai, spiega, la pie-na verità sull’attentato dell’11 settem-bre 2001 come non abbiamo mai sa-puto chi è stato veramente ad uccide-re John Kennedy.

Nella sezione La guerra dell’informa-zione spiccano i due interventi di EnnioRemondino e Sandro Ruotolo. Remon-dino, già corrispondente del Tg1 daBelgrado, partendo dalla sua esperien-za di inviato, sostiene che “l’informa-zione è spesso strumento della guer-ra” (pag. 83) e lo è attraverso l’uso disinonimi e neologismi che trasforma-no “una guerra in una non-guerra”. Ilgiornalista prende in esame l’uso mi-rato di alcuni termini per nasconderela vera realtà, per addolcire i fatti efarli accettare dalla pubblica opinionee sottolinea che in televisione “la guer-ra è certezza, ha soltanto l’indicativopresente, ha bisogno di buoni e catti-vi” (pag. 89); “la guerra, per una retetelevisiva, è lo spettacolo di maggioreascolto i cui costi principali sono sop-portati da altri” (pag. 89). L’informa-zione siffatta diventa senza memoria,senza verifiche, astratta, fuori dal con-testo storico che deve raccontare. L’at-tenzione di Sandro Ruotolo si concen-tra, invece, sull’antico ruolo dell’inchie-sta giornalistica. Per il giornalista diSciuscià, ormai molti giornalisti han-no abbandonato l’inchiesta sul campoche pone sempre il problema dellaverifica delle fonti e si limitano solo “arincorrere le impressioni, le emozioni,le dichiarazioni politiche” (pag. 110),perdendo in autorevolezza e indipen-denza. Al contrario, l’inchiesta, dice,“presuppone autonomia, indipenden-za, libertà, tutte qualità pericolose per

il potere politico” (pag. 111).Questo volume, unendo l’esperien-

za sul campo di giornalisti di diversetestate e con differenti storie perso-nali, apre gli occhi sul complesso mon-do dei media, in mano, sia a livellonazionale che internazionale, a pochigruppi economici e finanziari che, so-prattutto nei momenti di maggiore crisicome una guerra, fanno passare soloun’informazione a senso unico e, perquesto, “deviata”. Mentre l’informazio-ne non deve essere merce; deve ac-cogliere, come scrive padre AlexZanotelli nella postfazione, “le diver-sità” (pag. 210); “i mass media devo-no essere a misura d’uomo” (pag.211). Le televisioni e i giornali devonoaiutare a capire le dinamiche del mon-do. Solo così si potranno avere rispo-ste che non siano solo semplici eastruse comunicazioni ma racconto delreale.

SOTTO LA NOTIZIANIENTE

Claudio Fracassi, Sotto la notizianiente, I Libri dell’Altritalia, Roma1994, pp. 254, Euro 3.

Quando Orson Welles, nel 1941, rac-contava in un celebre film il poteregiornalistico concentrato nelle mani delsuo personaggio, Citizen Kane, nonavrebbe mai immaginato cosa sareb-bero diventate oggi le grandi alleanzemediatiche che riescono a fare entra-re nelle case di milioni di spettatori,spesso indifesi criticamente, notizie einformazioni a senso unico.

Con lo sviluppo crescente delle nuo-ve tecnologie di comunicazione, conla politica e i rapporti internazionalilegati sempre più ad intese mutantiche hanno bisogno continuamente digiustificazioni popolari e ricadute in-terne, il mezzo televisivo e massmediatico in genere diventa lo stru-mento fondamentale per creare opi-nione attorno a fatti e scelte lontanidai sentimenti e dalle aspettative del-la gente.

Il volume di Claudio Fracassi (Sottola notizia niente, I Libri dell’Altritalia,Roma 1994, pp.254, euro 2,58), exdirettore del settimanale “Avvenimen-ti”, anche se pubblicato qualche annofa, è di estrema attualità, in quantol’analisi che fa il giornalista è ricondu-cibile ancora a molte delle questioniinternazionali che hanno caratterizza-to le scelte politiche degli ultimi anni,culminate con il conflitto irakeno. Tut-ti episodi militari preparati con cura,per fare arrivare i paesi belligeranti col

29StrumentiCres ● Febbraio 2004

dossier

29StrumentiCres ● Febbraio 2004

pieno del consenso popolare dato dalcontrollo radicale di network di infor-mazione e giornali. Questo non signi-fica soltanto piena proprietà ma an-che possibilità di manovrare personegiuste, al momento giusto e con uo-mini giusti ai livelli dirigenziali.

Fracassi partiva dalla riflessione sulla“preparazione” (non solo militare,quindi) della I Guerra del Golfo perdimostrare, attraverso una capillaredocumentazione frutto di un’accuratabibliografia, come, sempre, in ognimomento di scelte pesanti in politicainternazionale, il giornalismo si con-fonde, fino ad autoeliminarsi, con laguerra e il potere. Quest’ultimo, infat-ti, manovra pesantemente la possibi-lità di scelte e selezione libera dellenotizie da parte del giornalista che di-venta vittima, spesso cosciente, dellacensura. Ma, come spiega Fracassi, piùche alla censura, nel corso delle fasistoriche più importanti legate ai con-flitti bellici (a cui sono dedicati terzo,quarto e quinto capitolo), bisogna an-che guardare al potere della propagan-da: “tutta la pubblicità - scrive Fra-cassi - è propaganda. E una notevoleparte degli sforzi di coloro che hannoresponsabilità di comando si esercita-no nel coprire con la riservatezza, ocon il segreto, vicende che meritereb-bero di essere conosciute” (pag. 48).

A questo ragionamento l’autore legail concetto di news management che,spiega, rientra in maniera radicale inquelli che sono gli equilibri informatividelle moderne guerre.

Il news management sottintendenon l’idea (già di per sé fuori da ogniforma deontologica) di nascondere ifatti ma di “riprodurli”, cioè fabbrican-do l’informazione “dall’interno del suostesso universo” (pag. 48), arrivandocosì alla narrazione di eventi falsi, tra-sformati, manipolati, per farli passaresecondo convinzioni generali che ri-spondono a determinate linea politi-che ed economiche, nonché a poteriforti e ramificati. Se le premesse sonoqueste e considerato, come sottolineaa più riprese l’autore, che la guerra ela censura sono “le costanti che ac-compagnano lo sviluppo nell’era indu-striale, delle tecniche di comunicazio-ne e degli strumenti d’informazione”(pag. 55), il problema di fondo che sipresenta di fronte al giornalista è quel-lo delle fonti e della possibilità di veri-ficarle (per non incorrere nell’errore sulmassacro di Timisoara).

La guerra, ci ricorda Fracassi con unexcursus storico che parte dalla guer-ra di Crimea per arrivare al conflittonell’ex Jugoslavia, ha sempre trovatola giustificazione nelle “notizie-leggen-

de” che le hanno accompagnate, percreare un clima di consenso che, spes-so, nei confini patri dei belligeranti, eraassente. La costruzione del “si” gene-ralizzato (per esempio nel caso della IGuerra del Golfo, acuito ancora di piùnella seconda) assume l’aspetto an-che della cavillosità meticolosa edell’imbavagliamento assoluto con tan-to di “condizioni per gli inviati”, “comese la guerra non fosse guerra” (pag.138).

Allora, per un buon giornalista, di-venta fondamentale la possibilità diavere una fonte credibile e riscontrabileche vada oltre la propaganda del po-tere (che è insieme economico, mili-tare, finanziario, politico) che, spes-so, fa tutt’uno della realtà e della fin-zione-spettacolo. Tutto ciò risulta sem-pre più difficile perché l’informazioneè ormai totalizzante, in quanto attingedalle stesse fonti; ma, avverte Fracas-si, senza informazione non si può vi-vere perché è l’essenza stessa dellademocrazia. Allora, bisogna creare glistrumenti di codificazione ed interpre-tazione vera delle notizie che ci scor-rono quotidianamente davanti agli oc-chi: perché la fabbrica del consensoparte proprio dal linguaggio delle im-magini, che riescono a cambiare radi-calmente migliaia di opinioni diverse,plasmando in un unico pensiero milio-ni di cittadini. Si pensi, sottolinea l’au-tore con esempi ed episodi documen-tati, alle ascese politiche di Reagannegli Usa e di Berlusconi in Italia.

Ecco perché diventa fondamentalela possibilità di potere entrare nel comela notizia viene costruita e diffusa at-traverso i globali canali di informazio-ne.

Il cittadino critico è colui che cercaeffettivamente i diversi modi con cuiuna stessa notizia viene raccontata, inmodo che, potendo capire eventualidifferenze, anche flebili, potrà libera-mente scegliere quale sente più vici-no a lui o comunque accostarsi di piùalla verità dei fatti.

Il saggio di Fracassi è scritto conl’acume critico e appassionato del gior-nalista che vuole andare oltre la pro-pria corporazione. Il sottotitolo, Sag-gio sull’informazione planetaria, già

spiega che siamo di fronte ad un fe-nomeno che ha assunto valenzeincontrollabili e che rischia di risucchia-re al suo interno tutto e tutti. E quan-do i media stanno a braccetto con leguerre, con tutte le guerre, con le mi-gliaia di notizie che ogni giorno pas-sano dalle agenzie di stampa e attra-verso le reti telematiche, il rischio è dirimanere schiacciati da un meccani-smo informativo che è più grande dinoi, che sta sopra di noi e che ci mo-della mentalmente e culturalmente asua immagine e somiglianza.

LA GUERRA COMEMENZOGNA

Giulietto Chiesa, La guerra comemenzogna, Edizioni Nottetempo, Roma2003, pp. 46, Euro 3.

Questo agile libro è il resoconto diuna relaziona fatta da Giulietto Chie-sa al Circolo Agorà di Pisa nel marzodel 2002 ed aggiornata e ampliata allafine dell’agosto 2003.

Nucleo della posizione di Chiesa (pe-raltro presente nel volume dello stes-so autore, La guerra infinita, Feltrinelli,Milano 2002) è la “vendita” della guer-ra all’opinione pubblica non solo comegiusta ma come indispensabile mezzoper arrivare al compimento di deter-minati progetti di espansione econo-mico-finanaziaria-militare: “l’interosistema della comunicazione funzionanon in base alla verità, alla correttez-za informativa, ma allo scopo di dif-fondere notizie funzionali a una certainterpretazione della realtà, o di na-scondere parti della realtà a vantag-gio di altre, più funzionali agli schemidel dominio, più comode da racconta-re” (pag. 7).

In un contesto siffatto, l’autore pre-cisa che la carenza di informazione èsinonimo di carenza di democrazia. Ca-dono i principi basilari su cui si fondala possibilità democratica per ogni cit-tadino di essere informato in piena li-bertà, senza manipolazioni, offusca-menti di verità, censure.

Per Chiesa, tutte le guerre contem-poranee sono abilmente preparate daigrandi strateghi che affiancano i go-verni dei paesi in carica, con un’ampiacampagna mediatica che anticipal’evento bellico e diventa essa stessaevento.

Tutto quello che sta accadendo nelmondo di oggi, in Medio Oriente comein Afghanistan, non è altro che, perChiesa, una soluzione di passaggio chedovrà aprire la strada al vero progettostatunitense: “l’assalto” al crescente

StrumentiCres ● Febbraio 200430

dossier

StrumentiCres ● Febbraio 200430

impero economico-poitico rappresen-tato dalla Cina, considerata il nemicoultimo. La crescita costante della Re-pubblica popolare cinese, con un au-mento del prodotto interno lordo an-nuo intorno al 7-8%, pone il proble-ma del “come frenare questa ascesa”:“già alla fine del 2000 il Pentagono ri-teneva che nel 2017 il nemico princi-pale degli Usa sarebbe stato la Cina”(pag. 16).

La situazione attuale, per l’autore, èmolto rigida e marcatamente differen-te: lo sviluppo globalizzato ha creatodelle discrepanze economiche tali cheormai il mondo produce solo ricchez-za in mano a pochissime persone, la-sciando ai margini la soluzione realedei problemi planetari. La scelta dellaguerra come mezzo di espansione creauno scenario di “guerra dei ricchi con-tro tutti gli altri” (pag. 22), che nonporterà a nessun vincitore.

Nell’idea che il fine ultimo è l’ingressolento e graduale nel cuore dell’Asia adanno della Cina (“il vero nemico”),progetto che sarà compiuto nelle in-tenzioni del Pentagono nei prossimianni prima del 2017, l’Islam non rap-presenta, nelle tesi di Chiesa, che ilnemico “intermedio e transitorio” (pag.33) e “il sistema informativo lavora perfornirci una versione dei fatti che noncorrisponde nemmeno lontanamentealla verità delle cose e quindi ci impe-disce di capire quello che accade, anoi e a tutti i milioni di individui, uo-mini e donne, che si emozionano esoffrono davanti ai teleschermi” (pagg.33-34).

L’amara conclusione di Chiesa è du-plice. Da un lato il mondo sta diven-tando sempre più (anche con l’aiutodell’idea di guerra da esportare per“ragioni umanitarie”) un panoramaasimmetrico in cui la netta separazio-ne tra chi dispone di risorse e consu-ma e chi è tagliato fuori dallo sviluppoè sempre più marcata; l’enorme mag-gioranza delle persone sarà tagliatafuori dalla possibilità di vivere digni-tosamente e civilmente. Dall’altro lato,la politica internazionale messa incampo da Bush (e seguita da Berlu-sconi) e che andrà oltre l’Iraq, ha di-viso alla sua base l’Europa politica el’ha fatta piombare in una crisi da cuiè difficile pronosticare quando potràriemergere.

Chiesa riesce, con lo stile schietto epreciso che lo contraddistingue, amettere dei punti fermi sulle questio-ni internazionali che, dati alla mano,devono fare riflettere ma soprattuttospingere le persone a cercare di capi-re oltre ciò che passa dai canali d’in-formazione ufficiali.

Giornalista embeddedSono classificati embedded i giornalisti che, nelle guerre ufficiali, sono

“aggregati” ad un esercito per raccontare le fasi della guerra. L’embedded simuove con le truppe stesse a cui è assegnato, segue determinati tempidettati dai comandi militari, rimane sempre all’interno del gruppo militare“d’appartenenza”. L’informazione trasmessa dai luoghi di guerra è solo dinatura ufficiale: dispacci, comunicati, interventi dei comandi militari che ven-gono passati dopo attenta verifica e ritrasmessi attraverso i canali interna-zionali dagli embedded.

Nell’ultima guerra irachena erano molti gli embedded al seguito delle trup-pe statunitensi. Anche la giornalista del Tg1, Monica Maggioni. (g.b.)

Guerra preventivaSi è molto parlato di guerra preventiva a proposito dell’Iraq, in effetti la

dottrina strategica della Casa Bianca in materia di difesa nazionale , come èstata presentata nel settembre 2002, vede il suo asse portante nella “pre-emptive war”: di fronte al terrorismo e agli stati canaglia che lo appoggianosarebbe necessaria un’azione preventiva di difesa ,”anche se rimane incer-tezza sul momento e il luogo dell’attacco nemico”( come recita il documentodell’amministrazione Busch). Le nuove forme del conflitto (armi di distruzio-ne di massa e terrorismo) trasformerebbero la guerra preventiva in unasorta di legittima difesa, per essere più precisi il volto contemporaneo dellalegittima difesa L’idea dell’attacco preventivo non è certamente nuova, sipensi anche solo ai bombardamenti aerei contro la Libia attuati da Reagannel 1986 o al bombardamento israeliano del reattore nucleare iracheno nel1981, nuovo è invece il quadro di riferimento: non più un’azione specificacontro una minaccia specifica, ma una guerra indefinita contro un nemicodai contorni imprecisi “La guerra contro il terrorismo globale è un’impresaglobale di incerta durata”. Considerata l’ambiguità e la flessibilità del concet-to di terrorismo e stati canaglia, la guerra preventiva rischia di diventarepermanente. (e.l.r.)

Guerra umanitariaIn linea teorica si può definire in questi termini una guerra indirizzata a

difendere un popolo dal massacro o dal genocidio ad opera di un ingiustoaggressore, interno od esterno che sia, questa formula è stata invocatacome valida giustificazione per motivare la guerra del Kossovo ed i relativibombardamenti sulla Serbia ad opera della Nato nel 1999. In effetti proprionel corso degli anni ’90 è andata affermandosi la prospettiva dell’ingerenzaumanitaria come elemento chiave del nuovo ordine mondiale nato dopo lacaduta dell’Unione Sovietica e si è sostenuto che il”diritto internazionaleumanitario”legittimava la limitazione della sovranità degli Stati. Le massimeistituzioni internazionali com-preso il Consiglio di Sicurez-za delle Nazioni Unite hannodi fatto assecondato l’affer-marsi di questa dottrina. Il di-battito però rimane aperto.anche perché non è chiaro achi tocchi decidere dove equando intervenire ed il con-cetto di guerra umanitarianon è previsto dalla Cartadelle Nazioni Unite , anzi ri-schia di diventare un modoper aggirare la Carta stessache ammette solo l’uso col-lettivo della forza sulla basedi decisioni adottate dal Con-siglio di sicurezza (artt.39 e42) o la guerra per autodifesain caso di attacco armato sularga scala (art.51) (e.l.r.)

Glossario/3Glossario/3Glossario/3Glossario/3Glossario/3

31StrumentiCres ● Febbraio 2004

dossier

31StrumentiCres ● Febbraio 2004

Film di guerra traimmaginario e storia Un percorso didattico

Marina Medi

� Una riflessione suguerra e cinemacome bisognoformativo

Il percorso didattico che propongo ènato da alcune considerazioni sul ruo-lo formativo o disinformativo che le im-magini di guerra possono venire adassumere per i giovani.

Si sa che i bambini e i ragazzi, spe-cie i maschi, sono da sempre moltoattratti dalla guerra e dal mondo deisoldati, perciò anche i prodotti di con-sumo visivo a loro dedicati (film dicassetta, videogames, spot pubblici-tari) sono spesso a carattere bellico.D’altra parte per i ragazzi le immaginidi guerra non sono presenti solo neigiochi: sempre più spesso in questianni la cronaca televisiva parla di con-flitti e mostra scene di battaglie reali,e queste, a loro volta, vengono prestoimitate dall’ultima generazione di gio-cattoli e videogiochi. Quale immaginedella guerra ne deriva? Quale giudi-zio? Quale presa di posizione perso-nale?

Una seconda considerazione riguar-da il fatto che i ragazzi (e non sololoro) identificano spesso la storia quasisolo con momenti di guerre o di rivo-luzioni, nonostante che molti inse-gnanti propongano anche altri temi/problemi come oggetto dello studio delpassato. E’ possibile che questa ideasia influenzata in grande misura dallavisione di filmati cinematografici o te-levisivi a carattere storico? Infatti que-sto genere di film molto spesso privi-legia momenti di conflitto ed episodibellici perché sono quelli dove la cari-

ma) per rispondere a queste due do-mande: a) quanto l’immaginario deidiversi periodi storici che essi hannoin mente è associato a situazioni dicarattere bellico e quanto questo de-riva dal fatto che il cinema è per loro(e anche per molti adulti) un canaleinformativo sulla storia molto più for-te e persistente di quanto non sia lascuola? b) quanto invece il cinema puòcontribuire a dare del passato notizieprecise e dettagliate, oltre che resi-stenti nella memoria?

Ne è nato un percorso, pensato perla scuola media, ma adattabile conmolta facilità anche per le superiori,che si propone questi obiettivi:

1) analizzare il proprio immagina-rio sulla guerra, riflettendo su comeesso sia plasmato dai mass-media especialmente dal cinema;

2) analizzare alcuni film di guerra,verificando l’attendibilità storica dellaricostruzione e i messaggi implicita-mente trasmessi;

3) conoscere meglio, grazie al cine-ma, le caratteristiche dei conflitti belliciin alcuni significativi momenti dellastoria occidentale;

4) ripensare alle conoscenze appre-se nelle lezioni di storia per ricostruirenella lunga durata i modi di fare laguerra, in relazione con altri aspettidelle contemporanee società.

Si propone quindi di far realizzare airagazzi un lavoro che da una parte aiutia “decostruire” il proprio immaginarioe a valutare criticamente le proprioopinioni, dall’altro fornisca informazio-ni storiche documentate, dall’altro an-cora contribuisca a educare alla pace.

Il cinema e la guerra

Il cinema ha mostrato sempre mol-to interesse per la guerra. Le situazio-ni eccezionali create dai conflitti dan-no infatti la possibilità di raccontareun gran numero di storie: di avventu-ra e azione, di amore e morte, di ami-cizia e solidarietà, di inganni e tradi-menti ecc. Oltre alle pellicole del ge-nere cosiddetto bellico, quindi, anchemolte altre utilizzano situazioni diguerra per raccontare storie che ap-

partengono ad altri generi filmici, peresempio il melò, il giallo, la comme-dia, il comico.

Ovviamente anche il film di guerranon parla mai in modo oggettivo delconflitto di cui tratta; persino i docu-mentari d’epoca sono il risultato di ri-prese cinematografiche in gran parte“costruite” e di un montaggio che se-leziona le immagini, le ordina e le as-socia al commento parlato e musicalesecondo le scelte degli autori del fil-mato. Nei film di fiction poi il ruolo dichi realizza il film (regista, sceneggia-tore, produttore, costumista ecc.) èancora maggiore: sono loro che sele-zionano l’episodio da raccontare, lo ri-costruiscono e lo interpretano, sonoloro che intrecciano personaggi storicie di fantasia, sono loro che curano iparticolari dell’ambientazione conmaggiore o minore rigore storiografico.

Se prendiamo in esame i film di guer-ra, quindi, possiamo ricavare informa-zioni più che sui conflitti di cui tratta-no, sulle società che li hanno prodotti.Quali episodi bellici vengono recu-perati, quali dimenticati e per qualeragione? Quale rapporto esiste con ilcontemporaneo dibattito storiografico?Chi è identificato come il nemico? Qualisono i modi in cui è possibile e giustocombatterlo? Per quali valori si com-batte? Quale pace sarà possibile? Neemerge quindi un messaggio precisoche ha un impatto sul pubblico e con-tribuisce alla costruzione dell’immagi-nario collettivo sulla guerra.

Questo ruolo del cinema, che lo faessere “agente” di storia e non solosuo narratore, non esiste solamentein alcuni momenti particolari in cui l’in-dustria cinematografica è direttamentecoinvolta nella propaganda a favore diun conflitto (è il caso della secondaguerra mondiale in USA dove era sta-to istituito uno specifico ente per lapropaganda, l’OWI, che istruiva glisudios su che tipo di film fare, rivede-va le sceneggiature e addiritturariscriveva i dialoghi), ma si realizzaanche nei film a carattere commercia-le che non si propongono specifica-mente di fare un discorso sulla guer-ra, ma usano conflitti bellici storica-

ca drammatica è più forte.Ci è sembrato quindi interessante

proporre ai ragazzi una riflessione sulrapporto tra storia, guerra e prodottiaudiovisivi (ed in particolare il cine-

StrumentiCres ● Febbraio 200432

StrumentiCres ● Febbraio 200432

dossier

mente avvenuti solo come scenari perracconti che incontrino il favore delpubblico. Lo stesso si può dire per ifilm del genere fantascientifico e diquello catastrofico, dove si parla diguerre immaginate, ma a partire dal-la sensibilità, dalle paure, dalleproblematiche della società che li haprodotti.

Ciò non toglie, comunque, che,quando un film di guerra è stato rea-lizzato con accuratezza storiografica,può servire bene anche per narrareeventi, personaggi, problematiche diquel periodo storico. Ovviamente nondimenticando di analizzare chi ha rea-lizzato il film, quando e con quali mes-saggi espliciti e impliciti, perché l’illu-sione di realtà, che sta alla base delcinema, non abbassi la soglia criticadi chi guarda e faccia credere veritàquello che è ricostruzione storica piùo meno accurata.

Anche per questa ragione, dal pun-to di vista didattico è opportuno inse-rire il film all’interno di una contestua-lizzazione storica che ne permetta lalettura e di una problematizzazione cheguidi l’attenzione degli studenti versogli aspetti che si vogliano mettere inevidenza.

Inserimento curricolaree tematizzazioni

Il presente percorso è pensato comeun filone ricorrente, cioè una program-mazione in verticale che realizzi un’uni-tà di apprendimento modulare all’an-no, ma mantenga tra le unità un col-legamento di temi, problemi e moda-lità di lavoro. Nel caso della scuola me-dia, le tematizzazioni delle unitàmodulari nel triennio (da realizzareverso la fine dell’anno scolastico comeriflessione conclusiva sulla storia stu-diata nel corso delle lezioni) possonoessere le seguenti:

Prima: La guerra dall’antichità al Me-dio Evo

Seconda: Guerre di conquiste e dipredominio, di difesa e di liberazione

Terza: Guerre nel Novecento: guer-re “giuste” e guerre “orrore”

Per ogni unità modulare devono es-sere previste quattro fasi:

1) rilevazione delle precono-scenze e motivazione, (motivazio-ne al tema, ripensamento di quantogià se ne sa, individuazione collettivadelle domande di conoscenza, accor-do sugli obiettivi da raggiungere)

2) ricerca (delle risposte alle do-mande poste, a partire da un dossierdi testi scritti e filmici indicato dall’inse-

sente (esplicitazione di valutazioni estati d’animo soggettivi, collegamen-to delle riflessioni fatte con altre espe-rienze dei singoli studenti)

4) socializzazione (ricostruzionemetacognitiva, sintesi del percorso inmodo che possa essere riferirlo ad al-tri)

Un avvertenza: nella scelta dei fil-mati da analizzare si dovrà tener con-to che, siccome i film di guerra mo-strano inevitabilmente scene di violen-za e di morte, la loro visione non èfacile per i ragazzi più giovani e spe-cialmente per le ragazze. In ogni casoè importante accompagnare la visio-ne con momenti in cui sia possibileesprimere e discutere le emozioni cheil film ha generato.

Percorso didattico

1. LA GUERRADALL’ANTICHITA’AL MEDIO EVO

1.a fase: rilevazione delle preco-noscenze e motivazione.

Questo momento è particolarmenteimportante per motivare gli studentiallo studio del tema e per introdurlo.Propongo queste attività, che ovvia-mente possono essere modificate, manon saltate.

● “La guerra è …” Ogni studenterisponde a scelta (in base ai diversistili cognitivi) con un disegno libero, ilcompletamento di una metafora, unarappresentazione mimica…

● Alla presentazione dei lavori, ci sidomanda da quale fonte i ragazzi e leragazze abbiano derivato le loro im-magini sulla guerra, dato che non nehanno mai vissuta una direttamente.Le diverse fonti (immagini, scritte, ora-li) vengono mappate, sottolineando ilruolo di quelle visive

● Costruzione di un brain stormingsulla parola guerra, distinguendo traelementi, fatti, caratteristiche dellaguerra e emozioni che si provano. Siosserva l’eventuale varietà dei vissutiemozionali specie se riferiti alle diffe-renze di genere maschio – femmina

● L’insegnante pone domande sti-molo:

- quali film avete visto sulla guerra?Come riconoscete in quale periodo sto-rico sono ambientati? Propone unesempio ( per es. lo spezzone inizialedi “L’Impero colpisce ancora” di I.Kershner – USA 1980, in cui sono evo-

sato? Come faccio a sapere se sonovere o no? Come distinguo fra storia(prodotta dalla storiografia) e fanta-sia (prodotta dalla letteratura)?

- quali immagini della guerra dan-no?

● Fa una proposta di lavoro da con-cordare con la classe: ripensiamo allastoria studiata nel corso dell’anno, perverificare se esistono film (fiction, do-cumentari, cartoni animati) che neparlano, quale immagine del periodoe della guerra trasmettono, con qualeverosimiglianza rispetto ad altre fonti.

2.a fase: ricercaSi ripercorrono i principali momenti

della storia studiata nell’anno, analiz-zando film che ne parlino proposti dal-l’insegnante o dai ragazzi stessi. E’opportuno utilizzare pellicole di fictionche gli studenti conoscono o comun-que film che utilizzano un linguaggiocinematografico non troppo estraneoalla loro esperienza. Si possono usa-re anche filmati non di fiction, conmoderazione perché rischiano di ab-bassare il livello di motivazione deglistudenti e perché non è sempre facilevalutarne l’attendibilità storiografica;tra questi ho indicato alcune puntatedella serie “Ulisse “ di Alberto Angela,per la loro efficacia divulgativa e per ilrigore con cui si distinguono momentinarrativi da momenti di analisi dellefonti documentarie.

Per ciascun periodo, la rappresen-tazione della guerra data dai film deveessere poi confrontata con quella dialtre fonti (scritte, visive, narrative)suggerite dall’insegnante, risponden-do alle domande:

- Chi faceva la guerra? Come si fa-ceva?

- Perché si faceva? Chi era il nemi-co?

- Quale era il ruolo della guerra inquella società?

- Quanto era coinvolta la popola-zione civile e quale era il possibile vis-suto soggettivo delle persone che vi-vevano quelle guerre?

Si può dividere il lavoro tra gruppidiversi (per es. un periodo storico pergruppo), dopo essersi accordati su unamodalità di relazione uniforme, inmodo che alla fine sia facile procederea confronti tra le diverse società e lediverse epoche.

PERIODI STORICI ANALIZZATIED ESEMPI DI FILM- Preistoria: spezzoni da “La guerra

del fuoco” (J.J. Annaud – Francia-Ca-

gnante. Eventuali approfondimenti.)3) ritorno al personale e al pre-

cati periodi storici diversi) - quali informazioni danno sul pas-

nada 1981)● Egitto: la corsa delle bighe ne

33StrumentiCres ● Febbraio 2004

33StrumentiCres ● Febbraio 2004

dossier

● Roma: utilizzando spezzoni trattidalla puntata di “Ulisse” di AlbertoAngela sull’Impero romano, si puòanalizzare come la guerra fosse l’ele-mento portante della civiltà romana,quale fosse la vita del soldato roma-no, come avvenissero le battaglie. Sipuò accompagnare questo testo conaltri spezzoni sull’accampamento e lavita militare tratti per es. dal cartoneanimato “Asterix e la grande guerra”,da “Il gladiatore” (R. Scott – USA2000) e da “Spartacus” (S. Kubrick –USA 1960).

● Invasioni barbariche: molto uti-le lo spezzone sulla battaglia diTeotoburgo, sempre dalla puntata di“Ulisse” su Roma, e tutta la puntatadedicata alla caduta dell’Impero roma-no. Sulle conseguenze delle migrazio-ni di popoli non solo ad occidente, maanche in Cina, si può utilizzare il car-tone animato “Mulan” (T. Bancroft, B.Cook - USA 1998).

● Medio Evo: è un periodo storicomolto amato dal cinema e anche oramolto di moda, tanto che può essereinteressante far riflettere sul perchépiace così tanto agli autori di film e alpubblico. È opportuno mostrare le di-verse immagini che il cinema ha datodella guerra medioevale: il combatti-mento individuale, eroico del cavalie-re nelle battaglie e nei tornei ( peresempio “Principe coraggioso” di H.Hathaway – Usa 1954, il cartone ani-mato “La spada nella roccia” di W.Reitherman – Usa 1963, “Le due tor-ri” di P. Jackson – Usa 2002 , “Guerrestellari” di G. Lucas – Usa 1977, la seriedi Mad Max di G. Miller); una guerrafaticosa fatta di massacri e di assediesasperanti (per esempio nella pun-tata “Viaggio nel Medioevo” della se-rie “Ulisse” di Alberto Angela i duespezzoni “Morire in battaglia” e “As-salto al castello”); una società e uncavaliere molto in controtendenzacome quelli che emergono da “L’arma-ta Brancaleone” (M. Monicelli, Italia,1966).

3.a fase: ritorno al personalee al presente

E’ il momento di riflessione sulla sog-gettività, sulle scoperte che si stannofacendo e sulle loro implicazioni, an-che valutative, sia sui periodi storicianalizzati sia sui film che si sono vi-sti.

Questa riflessione può essere svoltacome attività a sé o può invece ac-compagnare il lavoro della fase pre-cedente, purché sia chiara la distin-zione tra il momento della ricerca e

Proiettili all’uranio impoveritoSono realizzati con un metallo che si ricava come sottoprodotto del pro-

cesso di arricchimento dell’uranio 238 (utilizzato sia nei reattori che nellearmi nucleari), di cui conserva il 70% della radioattività. Grazie alla suaeccezionale densità (pesa 1,7 volte più del piombo) e alla sua natura piroforica,questo metallo può attraversare le corazze dei carri armati, sviluppando al-l’interno un’altissima temperatura. Al momento dell’esplosione si trasformain aerosol le cui particelle radioattive si spargono su una vasta area e, pene-trando nel corpo umano per inalazione, ingestione o contaminazione di feri-te, possono provocare tumori e gravi danni genetici nelle generazioni suc-cessive. Usati nella prima guerra del Golfo e nei Balcani, questi proiettilisono probabilmente tra le cause della Sindrome del Golfo prima e di quelladei Balcani poi, che negli anni successivi a queste due guerre hanno provo-cato migliaia di morti nell’esercito degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Non cisono dati sulla mortalità nelle aree colpite dai bombardamenti. (m.m.)

Stati canagliaLa definizione, rogue states, è stata coniata ufficialmente dal Dipartimento

di Stato americano nel 1993, ma è stata “rilanciata” e fatta propria dal pre-sidente statunitense George W. Bush all’indomani degli attacchi a New Yorke Washington dell’11 settembre 2001.

I cosiddetti “Stati canaglia” sono quei paesi considerati dall’intelligenceamericana contigui con il terrorismo internazionale (non solo di matriceislamica fondamentalista) se non addirittura complici. Inoltre, alcuni di que-sti paesi sono accusati di possedere armi di distruzione di massa tanto dagiustificare ogni forma di “intervento preventivo” sul loro territorio. Siria,Libia, Sudan, Cuba, Iran, Iraq, Corea del Nord: sono i sette paesi messi albando dall’amministrazione statunitense. Iran, Iraq e Corea del Nord costi-tuirebbero lo “zoccolo duro” di quella che è stata definita l’internazionale delterrorismo e battezzata da Bush Asse del male.

Dopo la guerra contro l’Iraq e la deposizione e l’arresto di Saddam Hussein,i progetti non troppo taciuti degli Usa mirano alla progressiva emarginazionedella Siria e al suo ridimensionamento. Anche con l’uso della forza. (g.b.)

TerrorismoIn senso moderno, è un’elaborazione pratica delle idee populiste dell’or-

ganizzazione russa “Narodnaya Volya” del XIX secolo, che lottava contro lozarismo autocrate, colpendo alle spalle, nel mucchio, notabili e cortigiani,“per uccidere sbalordendo”. Ma essi non si uccidevano per uccidere, comeinvece accade oggi. Il salto di qualità si ebbe quando Komeini, il leader iranianosubentrato alla dinastia Pahlevi, spiegò ai suoi che “suicidarsi non è peccatomortale quando si uccide il nemico infedele” (anni ’80 del XX secolo). Ogginon esiste un’univoca nozione di terrorismo, tanto che nel mondo islamico,dopo l’attentato alle Twin Towers, dal Kuwait venne la proposta di indire unaconferenza internazionale per definirlo: sembrava illogico che grandi poten-ze assistessero e proteggessero alcuni terroristi, affermando contemporane-amente di voler combattere il terrorismo, sul quale molto si è discusso anchein sede ONU, soprattutto con attenzione alle cause e alle giustificazioni poli-tiche. L’Unione Europea, ma solo nell’ambito della Convenzione del 2000sulla repressione del finanziamento al terrorismo, lo definisce “qualunqueatto destinato ad uccidere o ferire gravemente un civile, o qualunque altrapersona che non partecipi direttamente alle ostilità, in una situazione di con-flitto armato, quando per la sua natura o per il suo contesto, questo atto miria intimidire popolazioni o a costringere un governo a compiere o ad astener-si dal compiere un atto determinato”. (e.a.)

Glossario/4Glossario/4Glossario/4Glossario/4Glossario/4

“Il Principe d’Egitto” (B. Chapman, S.Hickner, S. Wells – USA 1998)

● Grecia: ci sono stati nel passatopochissimi film su questo periodo, maproprio in questi mesi sono in uscitaun film su Troia e due su Alessandro

Magno. Può essere interessante discu-tere con i ragazzi perché, dopo tantaassenza, ci sia da parte del cinemacommerciale questa rinascita di inte-resse per la società greca (ma non perquella del periodo classico).

quello del ripensamento soggettivo.

StrumentiCres ● Febbraio 200434

StrumentiCres ● Febbraio 200434

4.a fase: socializzazioneDopo la ricostruzione metacognitiva

del percorso fatto, questo viene ela-borato collettivamente in un prodottoscritto-grafico o multimediale, perchépossa essere recuperato facilmentel’anno seguente quando si continueràcon il secondo modulo del filone ricor-rente. Un tipo di prodotto, realizzatomagari da chi si esprime meglio grafi-camente, potrebbe essere una seriedi vignette, ordinate cronologicamen-te, in cui il tipico soldato dell’epoca,con le sue armi e attrezzature, dichia-ra onestamente “Combatto perché…”.

2. GUERRE DI CONQUISTAE DI PREDOMINIO, DIDIFESA E DI LIBERAZIONE

1.a fase: rilevazione delle preco-noscenze e motivazione

Utilizzando tutte le conoscenze chei ragazzi hanno (quelle personali, quel-le studiate nell’anno, quelle acquisitecon il lavoro fatto nell’unità preceden-te) si costruisce un brain stormig sullediverse motivazioni che spingono alleguerre (“guerra per…”).

2.a fase: ricercaRispetto alla complessità del perio-

do storico in esame, suggerisco duepossibili tematizzazioni: da una partela trasformazione delle modalità delfare la guerra dovute all’introduzionedelle armi da fuoco, dall’altra la ne-cessità per le popolazioni che non di-spongono di armamenti moderni ditrovare forme diverse e originali dicombattimento.

PROBLEMI STORICI ED ESEMPIDI FILM

- L’introduzione delle armi da fuo-co: confronto tra lo spezzone “Morirein battaglia” della puntata “Vita nelMedioEvo” di Ulisse, dove si vede unabattaglia sotto la neve nel periodo dellaguerra delle Due Rose, con un’analo-ga battaglia sotto la neve ne “Il me-stiere delle armi” (E. Olmi, Italia- Fran-cia-Germania, 2001) per valutare qua-le delle due battaglie è antecedente eda che cosa lo capiamo, l’utilità dellearmature e la ragione della loropersistenza. De “Il mestiere delle armi”possono essere presentati altri spez-zoni (mentre personalmente non lofarei vedere tutto, a meno di poter fareun lavoro sul linguaggio e sui riferi-menti storici presenti nel film), comequello che si riferisce alla costruzionedei cannoncini e alla loro capacità dipenetrazione nelle armature, quelli che

descrivono la fatica del mestiere delsoldato, la mortalità delle ferite, lapericolosità, più che delle battaglie,della permanenza degli eserciti sui ter-ritori.

- La superiorità delle armi da fuo-co: si possono presentare diversi bra-ni che sottolineano il ruolo delle armida fuoco specie nelle conquiste colo-niali, anche nella lunga durata. Per es.lo spezzone iniziale di “Aguirre, furoredi Dio” (W. Herzog – RFT, 1972), dovegli spagnoli avanzano faticosamentenella giungla indossando le armaturee trascinandosi i cannoni; la scena di“Mission” (R. Joffé – GB, 1996) in cui isoldati sollevano i cannoni sul dirupodi una cascata per combattere gliIndios; l’attacco finale al villaggio in-digeno in “Giocando nei campi del Si-gnore” (H. Babenco – Usa, 1991)

- L’organizzazione della battaglia:le armi da fuoco e la costituzione deglieserciti nazionali modificano il mododi combattere e l’organizzazione mili-tare. Si può procedere facendo sco-prire agli studenti somiglianze e diffe-renze con il passato usando special-mente la puntata di Superquark di Pie-ro Angela “La battaglia di Waterloo”,che ricostruisce la battaglia alternan-do spezzoni del film di fiction “Water-loo” (S. Bondarcuk – Italia-URSS,1970), narrazioni, interviste, testimo-nianze, fonti documentarie, oppure laprima sequenza di “Balla coi lupi” (K.Costner – Usa, 1990) dove si possononotare il tipo di armamenti, le divise,la guerra di posizione, il ruolo dei co-mandi ecc.

- Guerre di difesa e di liberazione:si possono utilizzare scene da “Aguirre,furore di Dio”, dove gli spagnoli ven-gono lentamente distrutti da frecce chearrivano dalla foresta; l’organizzazio-ne della difesa indiana in “Un uomochiamato cavallo”(E. Silverstein – Usa,1970), anche se in realtà questa èguidata da un inglese; le parti sulleinsurrezioni popolari in “Queimada” (G.Pontecorvo – It-Fr, 1969) e in “Giù latesta” (S. Leone – Italia, 1971)

3.a fase: ritorno al personalee al presenteSi riprende il brain storming iniziale

e lo si ridiscute. In particolare si puòriflettere sul fatto che, mentre l’imma-gine stereotipata della guerra nellastoria assegna all’antichità la maggio-re ferocia, in realtà con i secoli le guer-re sono andate crescendo per violen-za e orrore. Può essere utile riprende-re la frase finale de “Il mestiere dellearmi”, dove si afferma la necessità diabolire le armi da fuoco così pericolo-se, per riflettere sugli armamenti at-

tuali chimici, batteriologici, nucleari. Sipuò discutere anche l’altra immaginetrasmessa nell’immaginario dall’epica,e cioè il combattimento eroico di indi-vidui superiori, che si scontra invececon la normalità del mestiere del sol-dato, fatto di fatica, sporcizia, noia,disumanità.

4.a fase: socializzazioneCome nel primo modulo, si procede

alla ricostruzione metacognitiva e allacontinuazione del prodotto iniziatol’anno prima.

3. GUERRE NEL 900:GUERRE “GIUSTE”E GUERRE “ORRORE”

1.a fase: rilevazionedelle preconoscenzee motivazioneBrain storming iniziale sulla parola

“soldato”. Sarebbe interessante che neuscisse una panoramica ampia sullecaratteristiche del soldato, ma anchesulle diverse emozioni collegate a que-sto concetto. Se le risposte risultas-sero troppo poco significative, un ul-teriore stimolo potrebbe essere costi-tuito dalla domanda: “Se tuo fratelloo il tuo ragazzo volessero fare il sol-dato, che cosa diresti?” (per le fem-mine, senza dimenticare che una car-riera militare ora è anche prevista egià immaginata da alcune ragazze) e“Se avessi 18 anni, faresti il soldato diprofessione?” (per i maschi). Al ter-mine, si ragiona sulla diversità delleopinioni/immagini che sono emerse,cercando di capire quanto queste di-pendano anche dall’idea che dellaguerra ciascuno si è fatto grazie ai film.

2.a fase: ricercaL’analisi delle guerre del Novecento

è molto complessa per varie ragioni:da una parte le guerre del secolo sonomoltissime e specialmente sono ancoramolto presenti nella memoria; dall’al-tro i film che sono ambientati o parla-no di queste guerre sono a loro voltamolteplici, siano essi di fiction odocumentaristici, dato che il cinema epoi la televisione hanno accompagna-to tutto il secolo; dall’altro ancora ilcinema nel corso del Novecento è sta-to usato in modo apertamente propa-gandistico o implicitamente ideologi-co sia in pace che in guerra, trasfor-mandosi esso stesso in uno strumen-to bellico.

Nel proporre questo percorso hoscelto quindi di prendere in esame soloalcune delle guerre del Novecento nelmondo (la prima guerra mondiale, laseconda, con il caso della Resistenza

dossier

35StrumentiCres ● Febbraio 2004

35StrumentiCres ● Febbraio 2004

italiana, e la guerra del Vietnam) eanche su queste mi sono limitata qua-si esclusivamente a utilizzare pellicoledella cinematografia statunitense e ita-liana per motivi di opportunità: da unaparte infatti questi sono i film più di-sponibili sul mercato delle videocas-sette, dall’altra il loro linguaggio cine-matografico è quello a cui i ragazzisono più abituati e quindi non richiedeun lungo lavoro di motivazione e dicomprensione. Ovviamente percorsimolto interessanti potrebbero esserefatti scegliendo invece proprio altrecinematografie (quella giapponese, peresempio) o analizzando guerre noncosì scontate (per esempio la guerradi Spagna, i conflitti postcoloniali, ilcaso nordirlandese o quello mediorien-tale ecc.).

Ho preso in considerazione poi alcu-ni film che in genere non si riferisconoa conflitti realmente accaduti, ma sicollocano in una realtà possibile ofuturibile. Sono questi infatti i film chemeglio svelano le tendenze implicitenelle società che li realizzano, diven-tandone dei rilevatori sociali privilegia-ti, e meglio costruiscono l’immagina-rio attuale sulla guerra, sia in sensobellicista che antimilitarista.

Come sempre, i film (interi ospezzoni) dovranno essere accompa-gnati dall’analisi di altre fonti e di testistoriografici consigliati dall’insegnan-te. Si potranno anche utilizzare can-zoni di guerra utilizzate nei diversi con-flitti, o canzoni sulla guerra composteda cantautori come De Andrè, DeGregori, Bob Dylan, Luigi Tenco, IvanoFossati e altri.

Le domande con cui guardare allediverse guerre rimangono comunquele stesse e cioè: chi faceva la guerra?Come si faceva? Perché si faceva? Chiera il nemico? Quale era il ruolo dellaguerra nella società? Quanto eranocoinvolti i civili e quale era il possibilevissuto soggettivo delle persone di chi

dossier

anni della nostra storia” prodotto dal-la BBC ed edito in Italia da I Docu-menti di Panorama.

- Seconda guerra mondiale: comeesempio delle direttive che l’OWI ave-va dato per i film durante la guerrapropongo “Gli eroi del Pacifico” (E.Dmytryk, USA 1945 ) e come prodot-to hollywoodiano “Il giorno più lungo”(Annakin, Martyon, USA 1962), moltodidattico e con una ricostruzione mol-to curata delle diverse forze in cam-po, anche se con una mitizzazione deld-day, che può essere invece messain discussione utilizzando almeno al-cuni spezzoni di “Il grande uno rosso”(S. Fuller, USA 1981) e di “Salvate ilsoldato Ryan”. (S. Spielberg, USA1998) Sempre hollywoodiano e baseper l’immaginario della battaglia na-vale “La battaglia delle Midway” (J.Smight, USA 1976), mentre sconsiglie-rei il recente “Pearl Harbour”, decisa-mente brutto. L’analisi di qualche filmantimilitarista come “I giovani leoni”(E. Dmytryc, USA 1958), “L’inferno èper gli eroi” (D. Siegel, USA 1962),“Duello nel Pacifico” (J. Boorman, USA1968), “Quella sporca dozzina” (A. V.MacLaglen, USA 1985) può completa-re l’immagine che il cinema Usa ha da-to e continua a dare della seconda guer-

no spesso in TV e piacciono molto,specie ai maschi; film come “Rambo”(solo il primo, però! T. Kotcheff, USA1982) o “Nato il 4 luglio” (O. Stone,USA 1989), che esprimono il disagiodei reduci; film come la trilogia diOliver Stone 4 (“Platoon” 1986, “Natoil 4 luglio” 1989,”Tra cielo e terra”1993) che, invece di descrivere unaguerra già troppo vista, la osservanocome un terreno di scontro tra “fal-chi” e “colombe”; film come “Apoca-lypse now” (F. Coppola, USA 1979) o“Full metall jacket” (S. Kubrick, Usa1987) dove la guerra, qualunque sia,è solo orrore e disumanizzazione.

- Altre guerre: le guerre degli ultimianni non sono quasi rappresentate neifilm statunitensi, forse perché troppo“sporche” o troppo viste in TV. Ma ifilm di guerra sono presenti ancora inmodo massiccio nella cinematografiaUsa ed è molto interessante analizzar-ne i messaggi impliciti ed espliciti. Pro-pongo tre tematiche: il pericolo nucle-are, mettendo a confronto “Thepacemaker” (M. Leder, USA 1997) conla satira pungente de “Il dottorStranamore” (S. Kubrick, Gran Bre-tagna 1964); l’addestramento milita-re, dove anche le donne vengonomascolinizzate dalla logica militare,come in “Soldato Jane” (R. Scott, USA1997); la lotta contro gli alieni, dovesi possono mettere a confronto“Indipendence day” (R. Emmerich,USA 1996), prototipo del film bellicistadegli ultimi anni, con “Fanteria dellospazio” (P. Verhoeven, Usa 1997), esa-sperazione satirica di tutti gli stereotipidella lotta contro gli extraterrestri.

3° fase: ritorno al personale e alpresente

Si riprende il brain storming inizialevalutando le risposte date in rapportoalle nuove acquisizioni.

Se si è realizzata la striscia di fu-metti che ripercorrono in successionecronologica le ragioni per le quali ilsoldato combatte, dovrebbe emerge-re una valutazione panoramica dellaguerra a carattere antieroico, perchéil soldato di solito combatte per soldi,per necessità, con fatica e molto pocoper grandi valori ideali.

4.a fase: socializzazioneLa riflessione metacognitiva questa

volta deve recuperare il lavoro nel suocomplesso per arrivare alla conclusio-ne del prodotto scritto, visivo omultimediale che si è andato elabo-rando negli altri anni e che potrà es-sere utilizzato in fase di esame, oltreche presentato ai genitori e agli altristudenti della scuola.

viveva quelle guerre?

GUERRE ANALIZZATE ED ESEMPIDI FILM- Prima guerra mondiale: “Charlot

soldato” (C. Chaplin, USA 1918) è unodei primi film sul conflitto, antimi-litarista anche se in chiave comica. Iprimi veri film sulla guerra non arriva-no prima degli anni ’30, come anche iprimi romanzi (Hemingway, Remar-que, Lussu), e sono tutti più o menoantimilitaristi. Tra i tanti successivi, perdare una panoramica sull’intera guer-ra sceglierei “Uomini contro” (F. Rosi,Italia 1970). Tra il materiale documen-tario mi sembra molto utile “1914Campi di battaglia“ della serie “100

ra mondiale, a differenza della prima.

- Resistenza: tra i molti film italianisi può scegliere il pezzo di “Paisà” (R.Rossellini, Italia 1946) su Firenze, perdare l’idea di una guerra di popolo nonprofessionale e “Il partigiano Johnny”(G. Chiesa, Italia 2000), specie nellasequenza iniziale dove la lotta parti-giana diventa scelta morale e di testi-monianza.

- Guerra del Vietnam: interessantefar notare come negli USA i film suquesta guerra siano successivi di al-meno 5-6 anni alla sua fine, perché laguerra era stata molto “vista” soprat-tutto attraverso la televisione e nellamemoria comune era collegata a trop-pe immagini negative. E’ opportuno farnotare ai ragazzi la differenza tra filmcome “Rombo di tuono” (J. Zito, USA1994) che, come tutti i film sui missingin action, sono militaristi, molto razzi-sti, ma, essendo film d’azione, passa-

StrumentiCres ● Febbraio 200436

StrumentiCres ● Febbraio 200436

Sitografiahttp://www.alternet.orgSito dell’Indipendent Media Institute, associazione chesupporta il giornalismo indipendentehttp://www.alternativenews.orgSito dell’associazione israeliano-palestinese Alternati-ve Information Center che si batte per la collaborazio-ne tra i due popolihttp://www.altpr.orgSito che raccoglie informazioni su guerra e globa-lizzazionehttp://buffalonews.comGiornale online che si occupa del rapporto tra politica emediahttp://www.conspiracyplanet.comSito con informazione alternative a quella ufficiale sta-tunitensehttp://www.ecn.orgSito che raccoglie posizioni movimentiste e non allinea-te rispetto alle questioni politiche generalihttp://www.guerrillanews.comSono presenti informazioni e inchieste su diritti umani,droga, guerra, globalizzazione e terrorismohttp://www.italian.itSito dell’Associazione a difesa della libertà di stampa edi espressione in ogni paese del mondohttp://www.mwaw.orgSito che si occupa di molti movimenti pacifisti del mon-do con continui aggiornamenti legati all’attualitàhttp://www.megachip.infoTestata online dell’associazione onlus Megachip, diret-ta da Giulietto Chiesa. Si occupa in maniera approfon-dita del mondo dei mediahttp://www.quintostato.itTesta online diretta da Carlo Formenti che si occupa diprivacy e uso responsabile delle nuove tecnologiehttp://www.rsf.orgSito che si occupa, con aggiornamenti quotidiani, di in-viati in paesi in guerrahttp://www.war-times.orgSito che “combatte” la propaganda bellica e unilateraledel governo statunitense con controinformazione miratahttp://www.presentepassato.itSito che mira alla comprensione del presente attraver-so la conoscenza del passato. Sono presenti percorsi eschede didattiche per la conoscenza della realtà con-temporanea.http://www.noallaguerra.orgSito che raccoglie molte posizione del movimento paci-fista contro le guerre in corso con spiegazioni e appro-fondimentihttp://www.stopwar.org.ukSito di controinfomrazione contro la guerra come stru-mento di soluzione delle problematiche internazionalihttp://www.peacelink.itSito pacifista molto aggiornato, con tematiche per lapace, notizie aggiornate quotidianamente e un ricco ar-chivio

dossier

BibliografiaAA.VV., Fare pace dove c’è guerra, Quaderni di Via

Dogana, Milano 2003.AA.VV., L’informazione deviata, Editore Zelig, MilanoAlbanese G., Il mondo capovolto. I missionari e l’altra

informazione, Einaudi, Torino 2003.Baudrillard J., Il delitto perfetto: la televisione ha uc-

ciso la realtà?, Cortina, Milano 1996.Beccegato P. - Nanni W. (a cura di), I conflitti dimen-

ticati, in collaborazione con Famiglia Cristiana e il Re-gno, Feltrinelli, Milano 2003.

Bentivegna (a cura di), Mediare la realtà: mass me-dia, sistema politico e opinione pubblica, Franco Angeli,Milano 1995.

Bindi L. (a cura di), Not in my name: Guerra e diritto,Editori Riuniti, Roma 2003.

Chiesa G., La guerra come menzogna, Nottetempo,Roma 2003.

Chomsky N., Il nuovo umanitarismo militare: lezionidal Kosovo, Asterios, trieste 2000.

Chomsky N., Linguaggio e libertà. Dietro la mascheradell’ideologia, Net, Milano 2002.

Colombo F., Ultime notizie sul giornalismo: manualedi giornalismo internazionale, Laterza, Roma 1998

De Michelis D.- Ferrari A. - Masto R. - Scalettari L., (acura di), L’informazione deviata. Gli inganni dei massmedia nell’epoca della globalizzazione, Editore Zelig,Milano 2002.

Dossier “Guerra&Pace”, La guerra dell’informazione.Come i media fabbricano il consenso alle guerre e ali-mentano il razzismo, Milano 2002.

Fini M., Il vizio oscuro dell’Occidente, Marsilio, Vene-zia 2002.

Fisk R., Notizie dal fronte, Fandango, 2003.Fossà G., The Bush Show. Verità e bugie della guerra

infinita, Nuovi Mondi Media, Bologna 2003.Fracassi C., Sotto la notizia niente: saggio sull’infor-

mazione planetaria, Libera Informazione Editrice, Roma1994.

Gagliardi R. (a cura di), Per un movimento per la pace.Per una storia del pacifismo, Edizioni Alegre, Roma 2003.

Giacomarra M., Manipolare per comunicare: lingua,mass media e costruzione di realtà, Palumbo, Palermo1997.

Giacopini V., Una guerra di Carta, Elettra Edizioni, 2003.Gubitosa A., L’informazione alternativa. Dal sogno del

villaggio globale al rischio del villaggio globalizzato, Emi2002.

Molino W. - Porro S., Disinformation technology. Daifalsi di internet alle bufale di Bush, Apogeo, Milano 2003.

Pilger J., I nuovi padroni, fandango 2002.Ramonet I., La tirannia della comunicazione, Asterios,

Trieste 1999.Ramonet I., Propagande silenziose, Asterios, TriesteRemondino E., La televisione va alla guerra, Sper-

ling&Kupfer, Milano 2002.Salam Pax, Baghdad Blog, Sperling&Kupfer, Milano

2003.Todorov T., Il nuovo disordine mondiale, Garzanti, Mi-

lano 2003.Vidal G., Le menzogne dell’Impero e altre tristi veri-

tà, Fazi editore, Roma 2002.Violante L., Un mondo asimmetrico, Einaudi, Torino,

2003.a cura di Gianluca Bocchinfuso

37StrumentiCres ● Febbraio 2004

37

dossier RUBRICHE

TESTI DI GUPPORTO

La storia dell’altro: israelianie palestinesia cura di Marina Medi

Tra i mezzi di comunicazione di mas-sa che contribuiscono a creare un im-maginario collettivo sulla guerra ce n’èuno particolare, ma molto importante:il libro scolastico.

I manuali di storia, si sa, sono pienidi battaglie e di guerre; poco spazio escarsa attenzione viene invece dedica-ta ai periodi di pace e di convivenza. Ecosì per molte persone, sia durante chedopo gli anni scolastici, la storia stessasi riduce spesso a una serie ininterrot-ta di vittorie e sconfitte, alleanze e trat-tati di pace, rivoluzioni e conquiste.

Ma i manuali non sono neutrali e,parlando di guerre, tendono a presen-tare alcuni fatti, a tacerne altri, a colle-garne altri ancora in modo tale che, ine-vitabilmente, in ciascun conflitto risul-

ta legittimata una sola parte, quellaidentificata con la propria. In questomodo l’insegnamento manualistico del-la storia contribuisce alla costruzionedell’identità nazionale o di gruppo e se-dimenta un immaginario collettivo suchi sia il “nemico”. Ed ecco che, di voltain volta, “noi” siamo i greci contro i per-siani, i romani contro i cartaginesi ocontro i barbari, i cristiani contro imusulmani, gli italiani contro gli au-striaci ecc.

I libri di storia sono uno dei campiminati più pericolosi per chi voglia fareun percorso di pace.

E quando poi la pace non c’è? Quan-do un conflitto è in corso, come evitareche il libro di storia sia di parte e addi-rittura apertamente propagandistico?

Nel corso del 2002 sei insegnantiisraeliani delle scuole superiori e sei

palestinesi, consapevoli del ruolo del-l’educazione e dell’importanza dei libriscolastici di storia per chi volesse co-struire un processo di pace, si sono tro-vati per provare a scriverne uno inno-vativo. L’iniziativa nasceva all’internodi un progetto organizzato dal PRIME(Peace Researc Institute in the MiddleEast), una organizzazione non governa-tiva e no profit formata nel 1997 da ungruppo di israeliani e di palestinesi.

Per prima cosa i 12 insegnanti hannoletto manuali di storia sia israeliani chepalestinesi e hanno scoperto, incredulie a volte indignati, quanto le due ver-sioni della storia fossero diverse. L’ideadi costruirne una comune, in un mo-mento in cui il conflitto continua a pro-durre morti e disperazione da entram-be le parti, è apparsa subito irrealistica.Allora i 12 insegnanti hanno fatto unascelta diversa: con molta pazienza e fa-tica hanno selezionato alcuni spezzonidai testi delle due parti e ne hanno ri-cavato un racconto parallelo, che hacome obiettivo esplicito la volontà diconoscere l’altro mettendo a confrontoi due punti di vista.

Ne è risultato un piccolo manuale, ilShared History Booklet (Libretto distoria condivisa), che, anche grafica-mente, presenta i brani della versioneisraeliana accanto a quelli della versio-ne palestinese lasciando in mezzo uno

spazio bianco perché gli studentipossano aggiungere osservazioni,commenti, impressioni ancheemotive.

Gli autori avrebbero voluto chequesto manualetto diventasse untesto ufficiale nelle scuole, ma lerispettive autorità si sono oppo-ste. Comunque dal dicembre2002 è stato adottato dagli inse-gnanti che lo hanno costruito nel-le prime due classi del loro istitu-to e questo gesto di resistenza,anche se limitato, è molto signi-ficativo specie in questo momen-to, in cui sia in Israele che in Pa-lestina si sono ridotti gli spazi deldibattito sui miti fondanti dellereciproche identità nazionali, cheinvece era stato vivo durante glianni Ottanta.

Il testo avrebbe dovuto analiz-zare tutto il Novecento, ma poi gliautori hanno deciso di prenderein esame solo tre momenti, fon-damentali per la storia dei duepopoli: il 1917, con la dichiarazio-

StrumentiCres ● Febbraio 200438

Lo scorso autunno, nel pieno della crisiirachena e in occasione della marciadella pace Perugia-Assisi, L’Unità, Ilmanifesto, Liberazione, Carta, hannodistribuito in abbinamento al giornalequesto supplemento.

Il volume è un insieme di riflessionisulla pace, curate da più autori che han-no in comune l’idea che la guerra, oggicome ieri, non può essere la soluzionedei conflitti e delle controversie inter-nazionali. Molti i temi affrontati: LaPerugia-Assisi, la pace ha buone gam-be (Flavio Lotti); Vietnam, ovvero lasconfitta della guerra (Piero Sansonetti);La guerra infinita: Palestina e Israele(Luisa Morgantini); Oltre dieci anni nelGolfo (Fabio Alberti); I Balcani, la guer-ra alle porte (Stefano Kovac); Tra lemontagne dell’Af-ghanistan (GiulianaSgrena); Dal 1991 al popolo del 15 feb-braio (Anna Pizzo e Pierluigi Sullo).

Tutti gli interventi partono dall’aspet-to storico dei conflitti ma con un occhiorivolto (perché il libro nell’insieme si pro-pone questo) all’organizzazione dei mo-vimenti della pace in occasione delle di-verse guerre esaminate e all’evoluzionedell’idea pacifista a distanza di anni e inscenari differenti. Il filo conduttore èsempre lo stesso: guerre vendute all’opi-nione pubblica come “giuste”, costruiteminuziosa-mente dal punto di vistamediatico, raccontate in maniera ap-prossimativa e filogovernativa, senza

larono la fine e l’inizio di due secoli. Lafine del pacifismo nove-centesco e l’ini-zio di qualcos’altro, i cui connotati sicominciano a distinguere solo ora, adoltre dieci anni di distanza” (pag. 76).

Il movimento per la pace, spiegano laPizzo e Sullo, ha dato grande prova disé con la manifestazione del 15 febbra-io 2003, “con quella che è stata proba-bilmente la prima protesta globale nellastoria umana, si identifica, nella sua plu-ralità, mutevolezza, andamento carsico,organizzazione a rete, con il movimen-to “un altro mondo è possibile”” (pag.78).

Da questo volume viene fuori un for-te sentimento di giustizia e una vogliadi contribuire, anche attraverso le sem-plici scelte quotidiane, a pensare nuoviscenari oltre quelli tracciati dall’uso del-le armi e della forza per la soluzione deiconflitti internazionali. Dalla guerra escesconfitto l’uomo che perde la sua uma-nità e piomba nella barbarie: esconosconfitti i più indifesi della società, ditutte le società, ad iniziare dai bambini.

Il libro si chiude con alcune poesiadella giovane Sara Ventroni in cui vienefuori il crudo linguaggio della guerraanche se l’autrice lascia spazio al pen-siero positivo, all’educazione alla pace,alla ricerca di realtà umane possibili erealizzabili oltre i fili spinati della soffe-renza, oltre la morte presente tinta ditecnologie e fabbriche, crude immaginidi martirio: “Seguono fili, seguono car-telli che seguono strade/ impraticabili.Segue l’infezione che non ha confine/Seguono avvisi e indicazioni: attento adove cammini/ per ogni uomo ci sonocento mine” (pag. 94); “L’ingegno èsempre l’ingegno/ La guerra dà il tem-po, ha il tempo/ della tecnica sullo spa-zio […] Nella guerra c’è o non c’è lin-guaggio?”. (pag. 86).

ne Balfour, inizio della realizzazionedell’utopia sionista con l’appoggio in-glese; il 1948, che per gli uni è l’annodell’Indipendenza e per gli altri è quel-lo della Catastrofe (Naqba); il 1987 conl’inizio della prima Intifada.

Colpisce nelle due versioni l’incapa-cità di presentare il conflitto che i duepopoli stanno vivendo con la comples-sità che ci si dovrebbe aspettare da unprodotto storiografico. In entrambe esi-ste solo il proprio punto di vista. Per dipiù, lo spazio riservato ai fatti, alle ana-lisi e alle spiegazione dei processi èridottissimo e molto più attenzione èdata agli stati d’animo, alle emozioniche le rispettive popolazioni hanno vis-suto: paura da un lato, disperazionedall’altro, volontà, in entrambi i casi, dinon cedere e di resistere fino all’oppo-sta vittoria.

Per questo nei testi delle due parti(cosa strana per l’immagine che noi

Un movimento per la paceGagliardi R. (a cura di), Un movimento per la pace. Per una storia del pacifismo,Edizioni Alegre, Roma 2003, pp. 94, Euro 3,40.

a cura di Gianluca Bocchinfuso

abbiamo di un manuale di storia) ap-paiono slogan, poesie dedicate agli eroicaduti, testi di canzoni diventate popo-lari. In particolare nel caso palestinesesembra non esserci bisogno di raccon-tare i fatti, che evidentemente tutti co-noscono perché li hanno vissuti o per-ché li sentono sempre raccontare: perparlare della Naqba si è preferito sce-gliere drammatiche fotografie di casedistrutte e abbandonate, per parlaredell’Intifada bastano dati statistici epoesie.

Ma la forza dirompente di questo li-bro sta proprio nell’accostare questedue versioni discordanti degli stessi av-venimenti; infatti da una parte si dimo-stra il carattere chiaramente manipo-latorio e propagandistico della storia edel suo insegnamento, dall’altra però sidà fiducia all’educazione e all’uso criti-co della ragione come strumenti dipace. Interessantissimo in questo sen-

so sarebbe sapere che cosa hanno scrit-to nella parte bianca centrale gli studen-ti palestinesi e quelli israeliani che han-no utilizzato questo testo.

Utilizzare l’edizione italiana di que-sto libro (Peace Researc Institute in theMiddle East, La storia dell’altro: isra-eliani e palestinesi, una città, Forlì2003) può essere molto interessanteanche nelle nostre scuole superiori. In-fatti analizzare il modo in cui quei treperiodi storici sono presentati nelle dueversioni parallele permette di avvicinar-si al conflitto israeliano-palestinese inun modo nuovo, vedendolo come dal-l’interno. Ma contemporaneamente sol-lecita una riflessione sulla storia e le suecaratteristiche e sul ruolo che il suo in-segnamento viene ad assumere nellacostruzione dell’immaginario collettivo,specialmente quando la guerra sembraaver escluso qualunque altra modalitàdi rapporto tra i popoli.

tenere conto delle verità reali.Rina Gagliardi, nel suo saggio intro-

duttivo, ricordando che l’intero volumenasce solo come “lungo appunto” che“si sforza di seguire un filo coerente diragionamento storico e politico attornoai temi della pace e della non violenza”(pag. 7), fa un excursus storico sul mo-vimento pacifista dall’antichità fino adoggi, passando per filosofi, storici, poli-tici, pensatori, scienziati, religiosi. Ilcambiamento che oggi stiamo piena-mente vivendo avviene in manieradrastica nel 1991: “Dalla prima guerradel Golfo del 1991 emerge con chiarez-za un pacifismo chiamato spesso “radi-cale” che assume una lettura della guer-ra come sistema stabile di confrontoeconomico, di potenza della nuova fasedella globalizzazione liberista. Senza piùl’Onu a contenere, né il confronto dellaguerra ad “equilibrare”. Basta l’Iraq percapirci: la guerra non finisce nel 1991,perché continua attraverso l’embargo,la no fly zone, la beffa del piano “petro-lio per cibo”, per dieci anni” (pag. 38).

Un ragionamento simile ritorna nel-l’intervento di Anna Pizzo e PierluigiSullo. Gli autori tracciano le caratteri-stiche nel pacifismo che, dopo il 1991,cambia fino a diventare oggi parte del-l’intero movimento che critica laglobalizzazione liberista. “Il 1991 - scri-vono - cambiò completamente lo sce-nario, molto più profondamente dellasimbolica e fragorosa “caduta del Murodi Berlrino […] In pochi mesi si accaval-

39StrumentiCres ● Febbraio 2004

123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901123456789012345678901234567890112345678901234567890123456789011234567890123456789012345678901

Rita Di Gregorio

Il nostro paese ha una debole tradi-zione di scrittura migrante,1 ossia discrittori stranieri che utilizzano la lin-gua italiana; nulla di paragonabile conl’espansionismo coloniale della narra-tiva inglese e francese. Ma è lecito pen-sare/sperare che questi scrittori si mol-tiplichino poiché la loro opera assumeun carattere “emancipativo” in quantoessa accoglie spinte fortemententeinnovative sul piano linguistico e, so-prattutto, in direzione di una decolo-nizzazione della mente. Comunicarecon lo ‘straniero’ con la diversità, in ge-nerale e nello specifico letterario, puòessere un’occasione per ‘sprovincia-lizzare le patrie lettere’, mescolare dueculture, due immaginari, rivisitare lapropria cultura - da entrambe le parti -mettere due paesi a confronto su un pia-no di reciprocità. Per la letteratura ladiversità/affinità è da sempre materiaprima che può svolgere un ruolo formi-dabile e la scrittura migrante, che se neoccupa, può divenire - secondo JarmilaOckayova - un’ibridazione e un mezzoattraverso cui individuare “l’essenzia-lità”, ossia “ciò che è libero da ogniparticolarismo, comune a tutti, profon-damente umano”. E Helga Schneidersottolinea l’arricchimento che può pro-curare la lettura delle opere di un ara-bo, un africano, un polacco che raccon-tano la loro cultura senza imporla. “[...]siamo fatti di tanti folclori, tante reli-gioni, tante persone e lo scambio è ne-cessario per crescere.”

La scrittura migrante, anche in Ita-lia, ha avuto un’evoluzione rispetto aglianni Novanta, infatti si è passati dagliautori stranieri che raccontavano di sée firmavano libri a quattro mani congiornalisti italiani (Kouma, SaidouMoussa Ba, Methnani...), alla pubblica-zione di libri scritti da singoli autoristranieri, consapevoli della loro scrittu-ra, quali ad esempio gli undici scrittoriche D. Bregola ha intervistato e che cipresenta in questo testo.

In questo senso, ha dato un grossoimpulso l’opera meritoria di ArmandoGnisci, considerato da Bregola il mag-gior critico e studioso della letteratura

italiana della migrazione, che si occupadell’argomento da più di una decina dianni cercando di promuovere e far co-noscere la scrittura migrante, in gene-rale, e gli autori stranieri che vivono escrivono in italiano e che ‘sono venutia trovarci’ sollecitandoci un confrontoe una ‘contaminazione’ fecondatrice.

“La letteratura italiana della migra-zione - scrive A. Gnisci - è l’espressionecivile della nuova mondialità. [...] Gliscrittori migranti [...] accrescono lapresenza dello scrittore nel mondo ecreolizzano le contrade dove si ferma-no. [...] sono i migliori della nostra epo-ca, come sostengo dal 1992, nel libro‘Il rovescio del gioco’. E scrittori mi-granti e creoli sono Rushdie e Kundera,Kureishi e Dakeyo, Glissant e Ngugi waThiong’o.”

Lo scrittore migrante, sostiene Gni-sci, anche quando non scrive di sé odella migrazione in generale, conosceperfettamente questa problematica e“la pone come poetica e come tematica,come pietra di paragone e pietra d’in-ciampo dell’epoca in cui viviamo”2

Secondo J. M. Martins, al concettoclassico di esule politico, economico oreligioso, oggi dobbiamo aggiungereanche quello di esule artistico o migran-te letterario, divenuto ormai un perso-naggio emblematico del nostro tempo,nonché portatore di originali contribu-ti alla letteratura del ventunesimo se-colo.

I testi degli scrittori migranti, a cau-sa della drammatica esperienza esisten-ziale e linguistica che la migrazione

comporta, possono servire a tracciareun percorso su erranza (in senso mate-riale ma anche psicologico/mentale) emeticciato, poiché sono connotati dalmovimento, dalla necessità di spostar-si verso un altrove e, pertanto, legati aduna identità in discussione, in cerca diluoghi e di altrove in cui riaffermarsi.La lettura di queste opere può costitui-re la maniera più economica e rilassantedi viaggiare e di entrare in contatto congli altri facendosi trasportare in un al-trove che, grazie alla mediazione delracconto, non è solo spazio-temporale,ma anche culturale psicologico e addi-rittura antropologico.

La maggior parte degli scrittori inter-vistati ammette che l’adozione della lin-gua del paese in cui si vive, oltre ad es-sere una libera scelta, nasce dal piaceredi conoscere, dalla volontà di trovare laricchezza espressiva per comunicarecon gli altri, per arrivare direttamentea farsi leggere dal pubblico per il qualesi scrive. Spesso il fattore lingua, perquesti autori, diventa secondario e pre-vale invece la curiosità per le esperien-ze di vita e la voglia di riflettere sui di-versi approcci della scrittura creativa.Relativamente alla qualità della loroscrittura in italiano, Bregola scrive chegli autori da lui contattati gli sembrano“...scrittori importanti che, attraversol’arte, hanno colorato con sfumatureproprie la lingua italiana onorandonela ricettività e la bellezza” (p.9)

Il già citato Julio Monteiro Martins,uno degli scrittori intervistati, mette inguardia contro l’idea che gli scrittori dimadrelingua diversa dall’italiano nonpossano “muoversi in questa linguasenza le stampelle di un revisore ita-liano nato per garantire loro il ‘nullaosta’ (p.110)”. Inoltre osserva come glistudiosi della cosiddetta ‘letteraturadella migrazione’, sia pure incoscia-mente, siano propensi a sottolineare‘una presunta impossibilità di autono-mia di autori non-europei in una cultu-ra europea’.

Jadelin Mabiala Gangbo teme che‘incasellando’ la scrittura degli autoristranieri come “scrittura migrante” sicorra il rischio di ghettizzarla e/o di far-la diventare una moda. Tuttavia, egliaggiunge, “L’importante è che questofenomeno crei qualcosa di positivo. Lamoda finirà, rimarranno gli scrittorie le testimonianze” (p.45).

L’albanese Ron Kubati guarda consperanza all’immigrazione e alla scrit-tura migrante i cui autori si trasforma-no in una miriade di agenti atti a tra-sformare costantemente dall’interno lacultura occidentale. “L’immigrato - diceKubati - è uno che parte pronto a pa-gare un prezzo molto alto. Diventa por-tatore di una ibridazione culturale. Perquesto motivo mi sembra l’avanguar-dia che segnala un nuovo stadio antro-

NARRATIVA

Da qui verso casaInterviste a cura di Davide Bregola. Edizioni Interculturali, Roma 2002Collana Kúmá Lettere migranti.

StrumentiCres ● Febbraio 200440

pologico dell’uomo sempre più deter-ritorializzato (p. 33).

Jarmila Ockayova sostiene che gliautori stranieri che hanno adottato lalingua italiana potrebbero dimostrareche la lingua, anche quella letteraria,prima che padronanza tecnica o les-sicale, non è che un mezzo, una chiaveper aprire le porte su ben altro, su qual-cosa che ha a che fare con i vissuti uma-ni e con le capacità espressive nel rap-presentarli. Questi scrittori stranie-ri, sempre secondo Ockayova, potreb-bero dare un valido contributo a far sìche “la complessità di questo labora-torio multietnico in cui si sta trasfor-mando l’Europa e l’Italia non vengavissuta come frammentazione e quin-di pericolo, ma come ricchezza, comeformidabile occasione di crescita cul-turale e umana. E anche come un po-tente anticorpo contro la malattiadell’omologazione.” (p.60)

Bregola ha contattato (direttamentenelle città in cui vivono, o telefonica-mente, o tramite lettera o posta elettro-nica), 11 fra gli autori stranieri che scri-vono romanzi in italiano e con ciascu-no di loro ha dialogato sul mestiere discrittore, parlando di narrativa, di libri,di poetiche, e da questo dialogo sononati i testi che compongono “Da quiverso casa”. Gli autori parlano dellaloro scrittura e riflettono su alcuniaspetti fondamentali, sul modo e il sen-so da dare allo scrivere oggi, in un’epo-ca globale, migrante e disincantata;ogni autore, ovviamente, ha una pro-pria poetica, stile, linguaggio o modo diraccontare che, quasi sempre, dipendo-no da esperienze personali/relazionali,da un modo di essere piuttosto che dauna scelta di tipo estetico.

Queste riflessioni - sulla letteratura esulla loro visione del mondo - costitui-scono il ricco e interessante materialedi cui è composto il libro. Il testo, quin-di, non si propone come una lista di casiparticolari o una ‘classificazione’ ridut-tiva degli scrittori stranieri in Italia, nécome un’antologia di racconti di vita,ma come una sorta di saggio collettivosulla scrittura e sulla migranza in ge-nerale e, in particolare, su quella intransito o stanziale nel nostro paese.Ovviamente, parlare della propria scrit-tura implica delineare anche la propriastoria e il proprio vissuto. Tanto che, afine lettura, si ha l’impressione di tro-varsi in mano una specie di raccontocollettivo, o meglio un’unica narrazio-ne della migranza, sfaccettata e com-plessa, costellata da asperità ma riccadi esperienze. Da questi frammenti divita emerge che la casa cui allude il ti-tolo non coincide con il luogo di par-tenza o paese d’origine, ma potrebbecorrispondere al luogo di arrivo o dipassaggio e, ancor di più, a un luogomentale/emozionale e al percorso per

raggiungerlo - fatto insieme da nativi estranieri - che attraversa ricordi, espe-rienze, persone, nuove lingue e identi-tà in trasformazione.

Su migrazione e letteratura e sulleCollane “Kumà “ e “Poetiche” si vedanoi dossier dei nn 28 e 30 di “Strumenti”e la scheda Letteratura e migrazionenel n 34 di “Strumenti” p. 37.

Alcuni testi degliautori intervistati

Younis Tawfik (Irakeno, vive a Tori-no): La Straniera, Bompiani 1999;L’Iraq di Saddam, Bompiani 2002.

Alice Oxman (nata a New York, vivefra Roma e N. Y.): L’amore, le armi,Mondadori 1987; Prima Donna, Mar-silio 1990; Una donna in più, Bompiani2000.

Ron Kubati (nato in Albania, vive aTerlizzi, in Puglia): Venti di libertà egemiti di dolore, 1991; Tra speranza esogno, 1992; Va e non torna, Besa2000; M, Besa 2002.

Jadelin Mabiala Gangbo (congolese,vive a Bologna): Verso la notte Bakon-ga, Lupetti-Manni 1999; Rometta eGiulieo, Feltrinelli 2001.

Helga Schneider (nata in Polonia, vis-suta in Germania e Austria, oggi vive aBologna): La bambola decapitata,Pendragon 1993; Il rogo di Berlino,Adelphi 1995; Il piccolo Adolf non ave-va le ciglia, Rizzoli 1998; Porta diBrandeburgo. Storie berlinesi (’44-’45),Rizzoli 1999; Lasciami andare, madre,Adelphi 2001.

Jarmila Ockayova (slovacca, vive aReggio Emilia): Verrà la vita e avrà ituoi occhi, Baldini & Castoldi 1^ ed.

1995; L’essenziale è invisibile agli oc-chi, Baldini & Castoldi 1995; Requiemper tre padri, Baldini &Castoldi 1998.

Tahar Lamri (algerino, vive a Mode-na): Solo allora, sono certo, potrò ca-pire, Racconti, pubblicati nell’Antolo-gia Fara Editore, Rimini, 1° premio delConcorso Eks&Tra 1^ edizione. Colla-bora con Ravenna Teatro, scrivendonarrazioni tra cui Wolof e La casa deiTuareg.

Christiana de Caldas Brito (brasilia-na, vive a Roma): Amanda Olinda Az-zurra e le altre, racconti, Lilith 1998;La storia di Adelaide e Marco, edizioniIl Grappolo 2000.

Julio Monteiro Martins (brasiliano,vive a Pisa, fondatore della scuola discrittura Sagarana di Lucca e dell’omo-nima rivista on-line): Racconti italia-ni, Besa 2002.

Helena Janeczek ( nata a Monaco diBaviera, vive in provincia di Milano):Lezioni di tenebra (poesie), Mondadori1997; Cibo, Mondadori 2002.

Smari Abdel Malek (algerino, vive aMilano): Due racconti pubblicati nel-l’Antologia La lingua strappata, Edi-zioni Leoncavallo; Fiamme in Paradi-so, Il Saggiatore 2000.

1 scrittura migrante, letteratura dellamigrazione, letteratura degli immigrati, diibridazione, transculturale ecc. sono le di-verse espressioni con cui ogni gruppo acca-demico che la studia indica la letteraturascritta in Italia da non italiani di origine.

2 citato da D.Bregola, p.149. Il testo Il ro-vescio del gioco, non più in commercio, saràpubblicato dalla Meltemi in un volume in-sieme ad altri testi dello stesso autore.

41StrumentiCres ● Febbraio 2004

a cura di Anna Amati

Presentazione

Il progetto interregionale “Un PO dicultura: un progetto scuola-ambiente-so-cietà per il bacino del fiume Po” , è natonel 1998 con il patrocinio della RegioneLombardia e ha coinvolto, nei suoi cin-que anni di attività, 1200 studenti, 500classi, 650 insegnanti, 300 scuole del ba-cino idrografico di questo fiume (Lombar-dia, Veneto, Emilia, Liguria). Al proget-to, coordinato dal Laboratorio Regionaledi Educazione Ambientale “Laura Conti”di Milano, hanno collaborato Poli localiche hanno avuto il compito di facilitare leinterazioni scuola/territorio, la circolazio-ne delle informazioni tra le scuole (un sitoInternet http://www.progetto.net, unanewsletter periodica, materiale on lineimplementato dai partecipanti), il colle-gamento fra progetti italiani e stranieri,di fornire materiale per la ricerca (kit ope-rativi di analisi e di cartografia, CD-rom),di organizzare un forum di discussione edeventi extrascolastici per coinvolgere lapopolazione, corsi di formazione per in-segnanti, campi di lavoro nazionali e in-ternazionali per studenti e docenti.

Il fiume Po e il suo bacino idrograficohanno rappresentato l’elemento unifican-te del territorio, visto come realtà inse-diativa, sociale, politica, culturale e geo-grafica; il progetto ha quindi richiesto lacollaborazione di diversi saperi dalla ge-ografia alla storia, dalla letteratura allabiologia, dall’economia alla sociologia.

Grazie al finanziamento del Ministerodell’Ambiente e della Tutela del Territo-rio, le attività realizzate sono state raccoltein tre volumi:

Vol. 1 Progetto PO. Azioni: moni-toraggio chimico batteriologico dei fiumiper uno sviluppo sostenibile.

Vol. 2 Progetto PO. Storie: riti e mitivecchi e nuovi per uno sviluppo sosteni-bile.

Vol. 3 Progetto PO. Mappe: lettura delterritorio per uno sviluppo sostenibile.

Nel titolo di ogni manuale si fa riferi-mento a “sviluppo sostenibile”, terminericorrente in molti documenti dell’ONUche trattano di problemi ambientali. Losviluppo sostenibile ha come finalità l’in-tegrazione del genere umano nell’ambien-te che si vuole salvare; questo significa cheè necessario non solo preservare i sistemi

viventi e la biodiversità, ma anche tenereconto dei bisogni delle generazioni futu-re. Qualunque intervento nell’ambienteche si proponga di conseguire uno svilup-po sostenibile, richiede il coinvolgimentodella comunità, la costruzione di relazio-ni personali, l’acquisizione di conoscenzesulla realtà sociale.

Il primo volume propone attività nel-l’ambiente e per l’ambiente: in particola-re fornisce informazioni sulle caratteristi-che di un bacino idrografico e metodo-logie per individuarne i problemi, indica-zioni operative su strumenti, metodi, pro-tocolli, elaborazione dei dati, utilizzo delsito Internet per il collegamento con entie scuole impegnati in attività analoghe.

Il secondo volume propone sette temiper eventuali progetti: acque che sgorga-no, del mistero, degli inferi, della rinasci-ta, che fluiscono, che curano, chete, cheirrompono, che perdono. Si tratta di unaraccolta di idee e di spunti operativi, ri-volti a docenti di scuole elementari, me-die, superiori utili a progettare e realizza-re percorsi, a promuovere e valorizzare lacultura dell’acqua e del fiume.

Il terzo volume fornisce indicazioni sul-la lettura e la costruzione di mappe e pre-senta diversi tipi di carte geografiche. Perancorare un progetto sia alla realtà localeche a quella globale, può essere di grandeaiuto la costruzione di una mappa che of-fra un quadro semplificato della realtà emetta in evidenza solo le caratteristichedel territorio che interessano, trascuran-do le altre. Al volume è allegata una map-pa tematica del Nord Italia, con le locali-tà caratterizzate dalla presenza dell’acqua(pozzi, fontane, fiumi, valli, laghi...), o inqualche modo collegate all’acqua (ponti,rive, sabbioni, canneti...).

I volumi possono essere utili a docentie studenti impegnati in un progetto, percoinvolgerli nella conoscenza e nella ge-stione del territorio e della comunità lo-cale; gli obiettivi che si sono voluti rag-giungere sono di fare acquisire conoscen-ze rigorose e stili di vita sostenibili, ren-dere familiare l’approccio interdisci-plinare, introdurre nelle scuole strumen-ti innovativi (uso di nuove tecnologie in-formatiche, progettazione e realizzazionedi interventi con la comunità locale).

Alcune riflessioni

Il materiale raccolto nei tre volumi èfrutto del lavoro di molte scuole che si è

protratto per diversi anni. Così come èstato realizzato, il progetto presenta uncerto grado di complessità in quanto im-plica un lavoro di ricerca, l’apporto di piùdiscipline, lo studio della flora e deimicroinvertebrati di riva e di acqua, ana-lisi chimico-batteriologiche dell’acqua, ilcoinvolgimento di scuole di diverso ordi-ne e grado e di più classi per scuola, iltutoraggio delle scuole superiori nei con-fronti delle scuole medie, iniziative di for-mazione degli insegnanti, collegamentilocali, nazionali, internazionali. Pensaredi ripeterlo integralmente senza un’orga-nizzazione adeguata e con classi prive dialcuni prerequisiti essenziali della chimi-ca e della biologia, significa condannarsia un sicuro insuccesso.

E’ quindi consigliabile che singoli inse-gnanti e singole classi inizino con proget-ti semplici in cui siano coinvolte una opoche discipline. Nel caso che queste pri-me esperienze diano risultati positivi, sipotrà allargare il campo delle indagini eestendere la partecipazione a più classidella stessa scuola, a più scuole, a agen-zie o associazioni esterne. Nella proget-tazione il progetto PO potrà essere utiliz-zato come sistema di riferimento ma nonripetuto passivamente. In qualunque pro-posta di educazione (ambientale o altro)i percorsi possono essere i più disparati,non devono essere predeterminati el’esperienza, inizialmente semplice, puòarricchirsi fino a livelli impensati di com-plessità. Ogni progetto nasce con moltesperanze e nessuna certezza; non esistealcun modello a cui ispirarsi ma solo ideee valori guida.

Iniziando un’attività di questo tipo èindispensabile presentare alla classe lesue diverse fasi (individuazione delle ri-sorse materiali e umane, esplorazione ericerca sul campo, raccolta e elaborazio-ne dei dati, organizzazione di una giorna-ta per la presentazione alla scuola e allacomunità dei risultati e delle proposte….).Per suscitare l’interesse e rendere fami-liare allo studente il proprio ambiente, sipossono prevedere incontri con espertidella gestione dell’acqua e l’escursione inun ambiente in qualche modo collegatiall’acqua; può anche essere utile fornirearticoli di giornali, audio, video, fare ri-corso al brainstorming, al metaplan, aigiochi di ruolo, alle interviste, ai questio-nari. Da queste prime indagini dovrebbe-ro emergere i concetti di interdipendenzae di complessità.(visione sistemica, pas-saggio dal locale al globale). Per conosce-re invece il grado di conoscenze degli stu-denti si può ricorrere a questionari, rela-zioni, discussioni.

Per quello che riguarda la metodologia,la principale indicazione è di creare unamolteplicità di situazioni da fare speri-mentare a studenti e insegnanti; dovran-no quindi trovare spazio momenti di stu-dio, incontri con esperti o rappresentantidella comunità, attività pratiche in aula olaboratorio, escursioni sul campo a sco-po percettivo e ricognitivo, raccolta e or-ganizzazione dei dati. Acquisite un certo

MATERIALI DIDATTICI

Un Po di culturaUn progetto di educazione ambientale per il bacino del fiume Po

StrumentiCres ● Febbraio 200442

numero di conoscenze e abilità, lo studen-te potrà avanzare proposte per interventimigliorativi che possono essere diretti(pulizia delle rive, analisi delle acque) oindiretti (divulgazione dei dati, pressionisugli organi competenti, promozione dicampagne di stampa, manifestazioni conla popolazione).

A seconda della classe in cui ci si trovaa operare, dovranno essere adottati per-corsi e strumenti diversi. Per molte scuo-le superiori la proposta può essere inseri-ta nel curricolo; nel triennio si tratta diun’esperienza interdisciplinare che coin-volge discipline dell’area scientifica, sto-rica, umanistica; nel biennio, nelle mediee nelle ultime classi delle elementari sitratta di fornire alcuni concetti e strumen-ti per un’osservazione di tipo naturalisticoe di proseguire con aspetti dell’area stori-ca e umanistica. Se, per esempio, si è adot-tato il tema proposto nel Volume 2° delprogetto PO “acque che sgorgano” , per leelementari e le medie si può iniziare conun’osservazione sul campo per definire

“Leggo e studio in L2. Testi di facile let-tura per lo studio delle materie scolasti-che” è una serie di sei fascicoli chel’IPRASE del Trentino ha realizzato all’in-terno di un laboratorio organizzato con ilCentro Interculturale Millevoci di Trento.Sono materiali didattici destinati a stu-denti limitatamente italofoni della scuo-la di base o dei corsi per adulti e per que-sto sono stati elaborati con particolari tec-niche di scrittura controllata per renderlicomprensibili e di facile lettura. Il lessicoinfatti utilizza un vocabolario di base, sen-za forme figurate ed espressioni idioma-tiche; le frasi sono brevi, con soggettiespliciti e verbi attivi nei modi finiti; lasintassi preferisce le proposizioni coordi-nate a quelle subordinate e comunqueesplicita, anche per mezzo della punteg-giatura, il rapporto tra gli argomenti; iltesto mantiene un elevato tasso di ridon-danza e preferisce ripetere le stesse for-mule piuttosto che cercare sinonimi.

I fascicoli perciò possono essere fruiticon l’aiuto dell’insegnante anche da stu-denti con un repertorio lessicale di pochecentinaia di parole, oppure possono es-sere utilizzati da alunni di livello più avan-zato in attività meno guidate dall’inse-gnante o per recuperare carenze nella let-tura e nello studio.

La serie è stata pensata come supportoallo studio di alcuni argomenti di storia,geografia e scienze., e per ora comprendequesti titoli: Il sistema solare. Dalla car-ta poltiica al potere politico. La vita in

campagna e in città dopo l’anno Mille.La rivoluzione industriale. Il colonia-lismo. Dall’agricoltura di sussistenza al-l’agricoltura di piantagione.

Pur essendo semplici dal punto di vistalinguistico, i testi non vogliono essere“semplificati” rispetto ai testi normali.Come dicono gli autori: “Sono stati con-cepiti perché gli allievi limitatamenteitalofoni possano cominciare il più pre-sto possibile le materie scolastiche, riu-scendo così anche a far progredire la lorointerlingua attraverso l’esposizione a te-sti accessibili e comunicativamente rile-vanti. Vengono così a colmare una lacu-na nei materiali scolastici, che vanno daitesti esplicitamente rivolti agli stranieri,di livello elementare, direttamente aquelli rivolti agli alunni di madrelinguaitaliana, assai più complessi.”

D’altra parte non si propongono comeun manuale, ma come esempi di attivitàche l’insegnante può adattare alle proprieesigenze, anche se all’interno di ciascunfascicolo è possibile riconoscere una se-rie di scelte metodologiche molto signifi-cative come l’esplicitazione iniziale deidestinatari, degli obiettivi e dei prere-quisiti, l’utilizzo del brainstorming, l’usodelle immagini in funzione non decorativama testuale, la ricerca di metodologie at-tive.

L’iniziativa è pertanto molto interes-sante e sicuramente utile per tutti gli in-segnanti che hanno allievi con un reper-torio linguistico limitato, tanto più chetutti i fascicoli possono essere scaricati dalsito http://www.iprase.tn.it e stampati inbase alle necessità di ogni scuola.

Leggo e studio in italianoTesti predisposti per studenti stranieri

a cura di Marina Medi

alcune caratteristiche delle acque (traspa-renza, temperatura, velocità della corren-te) che nelle indicazioni del primo volu-me sono definite “tecniche alla portata ditutti”. Si può poi proseguire con una ri-cerca bibliografica e con interviste a vec-chi del luogo per stabilire il ruolo del fiu-me oggi e nel passato.

E’ consigliabile lasciare agli allievi ilmaggior spazio possibile di autonomiaprivilegiando modalità di lavoro dinami-che, senza però escludere lezioni frontalie momenti di studio. Il lavoro si potràconcludere con uno spettacolo o una mo-stra per presentare alla comunità il ma-teriale prodotto. Per le superiori si puòiniziare con un’analisi approfondita dellecaratteristiche chimiche, fisiche e biolo-giche delle acque, proseguire con una ri-flessione sull’importanza dei fiumi nelcorso della storia e concludersi con unariflessione sui miti e le leggende legati al-l’acqua nelle diverse civiltà.

In conclusione la ricerca potrebbe con-

centrarsi sulla realtà locale nelle classiinferiori, allargarsi dal locale al globalenelle classi superiori, individuando le so-miglianze e le differenze dovute aglispostamenti nello spazio e nel tempo.

E’ infine necessario tranquillizzare gliinsegnanti sul tema spesso ansiogeno del-la valutazione. Nella didattica per progettisi valutano le capacità, le abilità e i com-portamenti. Le capacità e le abilità ven-gono valutate con gli strumenti tradizio-nali della didattica (prove orali e scritte,questionari). Per i comportamenti (capa-cità di lavorare nel gruppo, autonomia,uso delle risorse….) si utilizzano altri stru-menti, come l’osservazione, la discussio-ne, il diario che costituisce il verbale diquello che è stato fatto durante le diversefasi del progetto.

In questo modo però si ottengono solorisposte qualitative, non traducibili in unvoto; è quindi consigliabile che questotipo di valutazione non venga espresso daun solo insegnante ma da tutti quelli chehanno partecipato al progetto.

Dato che sono prodotti in formatoWord, possono anche essere modificati eampliati, come consigliano gli stessi au-tori. Io lo farei senz’altro per alcune partiche, nonostante tutto, mi sembranocarenti proprio in relazione a un aspettofondante della proposta che dichiara divoler “tener presente il punto di vistainterculturale nella declinazione dei con-tenuti relativi alle singole tematiche”.

Per prima cosa espliciterei le finalitàformative dei singoli percorsi, cioè le ra-gioni per le quali scelgo di affrontare al-l’interno di un curricolo quei determinatitemi che solo apparentemente sono ovvii:perché far studiare a dei bambini appenaarrivati da una città della Cina la differen-za tra l’agricoltura di sussistenza e quelladi piantagione? O a neoemigrati dall’Eri-trea le caratteristiche dell’Italia dopo ilMille? Le ragioni possono esserci, ma bi-sogna esplicitarle perché incidono sullascelta degli obiettivi e di tutte le attivitàsuccessive.

Proprio in relazione agli obiettivi, tuttii fascicoli definiscono (anche se a volte inmodo un po’ generico) gli aspetti cognitivi(saperi) e quelli procedurali (saper fare)che il percorso si propone. Mancano in-vece del tutto gli aspetti socio-affettivi(saper essere) e quindi anche i significatiche questi temi possono avere per la sog-gettività degli studenti, la relazione conle loro esperienze precedenti e i loro vis-suti. Forse proprio questa scarsa attenzio-ne al soggetto che apprende incide anchesulla scelta degli esercizi che vengono pro-posti e che sono a volte un po’ banali epoco operativi (per es. le risposte vero/falso o il riempimento di testi con parolepredefinite).

Nonostante questi limiti credo senz’al-tro che valga la pena di conoscere questimateriali e più in generale la propostaformativa realizzata sull’intercultu-ralitàdall’IPRASE del Trentino.

43StrumentiCres ● Febbraio 2004

CINEMA E TEATRO

Cantando dietro i paraventidi Ermanno Olmi

Regia: Ermanno OlmiSceneggiatura: Ermanno OlmiFotografia: Fabio OlmiInterpreti: Jun Ichikawa, CarloPedersoli (Bud Spencer), Sally MingZeo Ni, Camillo Grassi, Davide Dra-gonetti, Yang Li XiangItalia, 2003, durata: 96’

“Cantando dietro i paraventi”, è unfilm di guerra e d’avventura che trasgre-disce tutte le convenzioni del genere.Ermanno Olmi evita di mostrare combat-timenti e scene d’azione per riprendere lariflessione sulla guerra come fenomenoche rappresenta, in estrema sintesi, ilmomento dell’incontro/scontro fra uomi-ni, sistemi di valori, forme di comunica-zione.

Il tema era stato affrontato dal registain maniera magistrale, ma da una diver-sa prospettiva, nel precedente “Il mestie-re delle armi”; qui, l’innovazione della tec-nologia bellica e l’intrigo politico, vede-vano soccombere il nobile guerriero Gio-vanni delle Bande Nere, personaggio con-siderato feroce nella sua epoca, a cui tut-tavia il regista riconosceva un forte sensodell’onore che ne preservava l’umanità.

Il film si chiudeva con la firma di unaccordo che impegnava gli uomini diguerra a non usare mai più il cannonesulle persone ma solo contro gli oggetti,le mura di un castello ...“Proposito quan-

to mai difficile da mantenere- come os-serva lo stesso regista -….proviamo apensare ai cannoni che si usano oggi…La storia dovrebbe essere maestra divita, ma l’uomo sconsideratamente di-mentica gli insegnamenti che gli deriva-no dall’esperienza passata…”.

In “Cantando dietro i paraventi” il ri-corso ad un registro fiabesco consente adOlmi di fare una proposta più ardita: quel-la di rinunciare alla logica della guerra,alle forme codificate dell’ “onore milita-re” in cui secoli di cultura patriarcale han-no cristallizzato comportamenti e ritualidel combattimento, illustrando piuttostol’efficacia dell’ impiego della forza comepuro “deterrente”, se unito alla capacitàdi esercitare l’arte della prudenza e del ri-spetto dell’avversario.

Come dire che l’evidenza brutale dellaforza non può sostituirsi alla politica, per-ché solo ponderazione e saggezza, solo ilrecupero dell’ intelligenza flessibile che saconiugare emozione e ragionamento, pos-sono condurre ad una più adeguata ge-stione delle relazioni conflittuali fra gliuomini.

Una fiaba dunque, o meglio un apologoambientato nello splendore di un mondofavoloso e fittizio: l’ estremo Oriente evo-cato mediante forme e stilemi di una rap-presentazione teatrale. Anche se Olmipreferisce il gioco allusivo dei rimandi,implicito nella metafora, non consenteinfatti allo spettatore di abbandonarsi alpiacere della pura partecipazione emoti-va, gli richiede una attenzione vigile sol-lecitata dal ricorso al più sintetico e rare-

fatto linguaggio del teatro.Nel prologo un giovane occidentale, che

appare disorientato in una città della Cinaalla ricerca di un fantomatico convegnodi cosmologia, viene invece condotto inun ambiguo teatro-bordello in cui unadanzatrice nuda interpreta l’antica leg-genda della vedova Ching, divenutapiratessa per vendicare il marito, capo deicorsari, ucciso con l’inganno.

Il ragazzo, alla ricerca di strumenti con-cettuali per capire il mondo (la lezione dicosmologia), si ritrova invece a compiereun’esperienza iniziatica: guidato dasapienti mani femminili apprende il lin-guaggio del corpo ed assiste, nel contem-po, .ad una rappresentazione di teatro-danza in cui le movenze sensuali dellaballerina accompagnano l’uso delle spa-de in una danza di guerra.

Gli opposti si conciliano, sembra sug-gerire il regista, o meglio, possono conci-liarsi se vengono preservate armonia ebellezza. Per capire il mondo non dobbia-mo ricorrere a principi astratti, ma parti-re dalla carne, apprezzando la vita nelleforme concrete in cui si manifesta.

I fatti richiamati nel film sono veramen-te accaduti nella lontana (e civilissima)Cina del XVIII secolo. La corsara Ching,dopo arrembaggi e saccheggi, dopo aversconfitto il primo inviato dell’imperato-re, decise di arrendersi benché il nuovocondottiero imperiale si fosse solo limi-tato a dispiegare davanti alle sue giunchel’imponente flotta pronta al combatti-mento.

Il principe che guidava la spedizionepunitiva non attaccò; fece lanciare versole navi corsare decine di aquiloni coloratisu cui erano scritte parole di antica sag-gezza, poi rimase in attesa; Ching capì che,nello scontro armato, per lei e i suoi nonci sarebbe stata via di scampo, ma intra-vide una possibilità di comunicare conl’avversario. Evitò l’inutile combattimen-to, si sottrasse alla legge dell’onore cheinduceva a preferire la morte alla sconfit-ta, scelse la vita tornando ad indossareabiti femminili.

Nel film il ritorno all’ordine è sigillatodall’atto di omaggio di Ching all’impera-tore e dal suo ritorno al tradizionale ruo-lo femminile. “Da quel momento, i quat-tro mari furono sicuri, i contadini ven-dettero le spade e comprarono buoi perarare la terra, e le voci delle donne ralle-gravano il giorno cantando dietro i pa-raventi..” scrive il poeta cinese Yuentsze–Yunglun, fonte dichiarata del regista.

Il messaggio è chiaro: raccontando po-eticamente una favola Olmi ha voluto can-tare la pace, o meglio illustrare una pos-sibilità di risoluzione pacifica dei conflit-ti. E’ una scelta efficace? Probabilmentesì, tuttavia il bisogno di “raccontare unafavola per trovare in essa la speranzautopica della pace del tutto assente dallarealtà di oggi…”, come ha dichiarato eglistesso in una recente intervista, acquistaquasi il sapore di un’amara ammissionedi impotenza di fronte alla durezza dellasituazione presente.

a cura di Laura Morini

StrumentiCres ● Febbraio 200444

RUBRICHE

TESTI DI SUPPORTO

A proposito di sviluppo: analisi a confrontoRita Di Gregorio20 ottobre 98

Immigrazione ed esclusionea cura di Michele Crudo21 febbraio 99

Portare il mondo a scuolaCres, Collana Crescendo21 febbraio 99

La pelle giusta (Paola Tabet)a cura di Michele Crudo 22 giugno 99

Televisione e Islam (Carlo Marletti)a cura di Marina Medi22 giugno 99

L’euro solidale (E. Baldessone, M. Ghiberti)a cura di Laura Morini22 giugno 99

Lo sciamano in elicottero (Marco D’Eramo)a cura di Michele Crudo23 ottobre 99Sulla nostra pelle (Noam Chomsky)a cura di Laura Morini24 febbraio 00

Mondo globale, mondi locali (Clifford Geertz)a cura di Elisabetta Assorbi24 febbraio 00

Un libro per riflettere insiemeLucia Della Montà25 maggio 00

Introduzione alla letteratura comparata(Armando Gnisci)a cura di A. Di Sapio e R. Di Gregorio26 ottobre 00

La testa ben fatta (Edgard Morin)a cura di Elisabetta Assorbi27 febbraio 01

Gente non comune (Eric Hobsbawm)a cura di Massimo De Giuseppe27 febbraio 01

Una storia diversa (Armando Gnisci)Poetica del diverso (Edouard Glissant)I dannati della terra (Franz Fanon)Spostare il centro del mondo (Ngugi wa Thiong’o)a cura di Rita Di Gregorio28 giugno 01

Insegnamento della storiaed educazione interculturale.Idee per un curricolo ne “La terra abitatadagli uomini”Dino Barra29 ottobre 01

Quale nuova cittadinanza in una societàdove la differenza è una risorsa?Maria Piccio30 febbraio 02

Ecologia quotidiana (M. Correggia)a cura di Rita Di Gregorio30 febbraio 02

Talebani (Ahmed Rashid)a cura di Elisabetta Assorbi31 maggio 02

Poetiche africane (a cura di Armando unisci)a cura di Rita Di Gregorio31 maggio 02

Educare ad una cittadinanza responsabile (M. Orsi)a cura di Elisabetta Assorbi32 novembre 02

Come un pesce fuor d’acqua (Centro COME)Tra memoria e progetto (CeDoc città di Arezzo)a cura di Elisabetta Assorbi33 febbraio 03

Fame e squilibri internazionali (W. Beretta Podini)a cura di Marina Medi33 febbraio 03

L’educazione storicadi D. Barra, M. Crudo, M. Peghetti33 febbraio 03

Letteratura e migrazioneAnna Di Sapio e Rita Di Gregorio34 giugno 03

Bandiera Nera (una città)a cura di Camilla Martinenghi34 giugno 03

La sfida della complessità (Marina Medi)a cura di Gianluca Bocchinfuso34 giugno 03

L’imperialismo dei diritti umani (A. Gambino)a cura di Elisabetta Assorbi35 ottobre 03

NARRATIVA

L’ambigua avventura (Cheikh Hamidou Kane)a cura di Camilla Martinenghi20 ottobre 98

L’ultimo romanzo di Toni Morrisona cura di Camilla Martinenghi21 febbraio 99

Chiara luce del giorno (Anita Desai)A cura di Anna Di Sapio22 giugno 99

Il Brasile raccontatoBrevi note sulla letteratura brasilianaAntonella Annovazzi23 ottobre 99

Jorge Amado, un brasiliano molto popolareanche in ItaliaRita Di Gregorio23 ottobre 99

Una finestra sulla narrativa swahiliEmilia Sorrentino24 febbraio00

L’arpa e l’ombra (Alejo Carpentier)a cura di Rita Di Gregorio25 maggio 00

La gatta di maggio (Rabia Abdessemed)a cura di Rita Di Gregorio26 ottobre 00

Lista d’attesa (Arango Rivas)a cura di Rita Di Gregorio27 febbraio 01

Rumba senza palme né carezze(racconti di donne cubane)a cura di Camilla Martinenghi28 giugno 01

L’harem e l’occidente (Fatema Mernissi)a cura di Rita Di Gregorio29 fottobre 01

La terrazza proibita (Fatema Mernissi)a cura di Giovanna Stanganello30 febbraio 02

L’amore, la guerra (Assia Djebar)a cura di Davide Caselli30 febbraio 02

Il viaggio delle bottiglie vuote (Kader Abdolah)a cura di Valeria Consoli31 maggio 02

Il palazzo degli specchi (Amitav Gosh)a cura di Laura Morini31 maggio 02

Signori della rugiada (Jacques Roumain)a cura di Rita Di Gregorio32 novembre 02

Sognando Palestina (Randa Ghazy)a cura di Dunia Martinoli32 novembre 02

Uomini sotto il sole (Ghassam Kanafani)a cura di Valeria Consoli33 febbraio 03

Santo Domingo - Respiro del ritmo (Danilo Manera)a cura di Rita Di Gregorio34 giugno 03

Le guerre e i bambini Il grande orfano, T. Monenembo– Allah non è mica obbligato, A. Kourouma)Rita Di Gregorio35 ottobre 03

La nuova Collana CRESCENDOcon la EMI

Arcipelago mangrovia (R. Di Gregorio,A. Di Sapio, C. Martinenghi)a cura di Chiara Ghirga35 ottobre 03

All’incrocio dei sentieri (Kossi Komla-Ebri)a cura di Raffaele Taddeo35 ottobre 03

CINQUE ANNI DI STRUMENTI

45StrumentiCres ● Febbraio 2004

CINEMA/TEATRO

Quale Africa propone la scuolaRita Di Gregorio20 ottobre 98

La Promesse (J.P. e L. Dardenne)a cura di Anna Di Sapio20 ottobre 98

Teatro-danza-musica tra Africa ed EuropaCamilla Martinenghi20 ottobre 98

La storia si può imparare anche al cinemaa cura di Donatella Calati21 febbraio 99

Il teatro africano “made in Italy”Camilla Martinenghi22 giugno 99

Train de vie ((Radu Mihaileanu)a cura di Camilla Martinenghi22 giugno 99

Il mediatore culturaleRita Di Gregorio23 ottobre 99

Central do Brasil (Walter Salles)a cura di Laura Morini23 ottobre 99

East is East (Damien O’Donnell)a cura di Camilla Martinenghi24 febbraio 00

L’estate di Kikujiro (Takeshi Kitano)a cura di Laura Morini24 febbraio 00

Teatro Africano “made in Italy”Camilla Martinenghi25 maggio 00

Il ruolo e l’identità del “maestro”R. Di Gregorio, C. Martinenghi25 maggio 00

Gudia – la bambola (Goutam Ghose)a cura di Anna Di Sapio26 ottobre 00

Il Cerchio (Jafar Panahi)a cura di Annalisa Gattoni27 febbraio 01

Il cinema iranianoAnna Di Sapio27 febbraio 01

Himalaya: infanzia di un capo (Eric Valli)a cura di Laura Morini27 febbraio 01

La petite vendeuse de Soleil (Djibril Diop Mambety)a cura di Anna Di Sapio28 giugno 01

Il mestiere delle armi (Ermanno Olmi)a cura di Massimo De Giuseppe30 febbraio 02

Teatro delle migrazioni – intervistaa Leonardo Gazzolaa cura di Camilla Martinenghi31 maggio 02

Un posto sulla terra. Cinema per (r)esisterea cura di Anna Di Sapio32 novembre 02

Incrocio di sguardi tra cinema e letteraturaa cura di R. Di Gregorio e C. Martinenghi33 febbraio 03

African cartoon (ed. Il Castoro)Pinuccia Casali34 giugno 03

Alle cinque della sera (Samira Makhmalbaf)a cura di Luciana Bottegal35 ottobre 03

MATERIALI AUDIOVISIVI

NongtaabaIn motorino tra i progetti di Mani Tese in Burkina21 febbraio 99

Siamo tutti terzo mondoa cura di Elisabetta Assorbi21 febbraio 99

Guaranì, il diritto di essere popoloa cura di Piera Herrmann23 ottobre 99

Pole, pole (Massimo Martelli)a cura di Elisabetta Assorbi24 febbraio 00

Clandestini della città (Marcello Bivona)a cura di Elisabetta Assorbi24 febbraio 00

Bambini a studiare, grandi a lavorare (CGIL)a cura di Laura Morini25 maggio 00

Siamo in debito (CSAM)a cura di Laura Morini25 maggio 00

C’era una volta (Rai Tre – Video Mission)a cura di Laura Morini e Annalisa Gattoni27 febbraio 01

Tempo di sceltea cura di Michele Dotti29 ottobre 01

Facciamo pace (Coop. SERMIS)33 febbraio 03

MATERIALI DIDATTICI

La didattica interculturale in Italiaa cura di Laura Morini20 ottobre 98

La grande avventuraa cura di Marco Fava21 febbraio 99

Educazione al futuroa cura di Donatella Calati22 giugno 99

Educazione ambientale e sostenibilità(L.Colucci, E. Camino)a cura di Pietro Danise26 ottobre 00

Solchiamo il Mediterraneo, crocevia di culturea cura di Donatella Calati26 ottobre 00

Facciamo sentire la voce dei bambinikit sullo sfruttamento infantilea cura del Cres27 febbraio 01

Interground (IRRSAE Puglia)a cura di E. Assorbi, V. Bini30 febbraio 02

Noi, cartoni animati dalle migliori intenzioni(RAI Educational)a cura di Elisabetta Assorbi30 febbraio 02

Ibiscus, intercultura(COSPE – ed. Vannini)32 novembre 02

Acqua, bene comune dell’Umanità(CIPSI)32 novembre 02

Percorsi di educazione alla paceSudan Un popolo senza diritti (Campagna Sudan)Israele-Palestina: due popoli, una terra(Afaq Orizzonti)a cura di Laura Morini33 febbraio 03

Un Pianeta di nuovo in movimentoa cura di Carla Vigolini35 ottobre 03

Yatra in marcia per i diritti dei bambinia cura di Roberta Grimaz35 ottobre 03

GEOGRAFIA

Che fine ha fatto il 53esimo stato africano?Riccardo Latini27 febbraio 01

La crisi argentinaAnna Biraghi31 maggio 02

EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO,EDUCAZIONE ALLA PACE

La 3° Assemblea dei PopoliVerso LikelembaGli altri siamo noi23 ottobre 99

Concorso Global March23 ottobre 99

Pappagalli verdi (Gino Strada)e la Campagna minea cura di Daniela Invernizzi24 febbraio 00

Immigrazione nel SandonateseFiorella Turchetto24 febbraio 00

Mundilab, un’esperienza pedagogicanei Paesi BaschiMiguel Arcibay, Gema Celorio, Hegoa28 giugno 01

Junta Mundos, per un “mondo di mondi”a cura di Michele Dotti28 giugno 01

La scuola incontra il Cresa cura di Francesca Senesi e Elisabetta Assorbi28 giugno 01

Global March: concorso34 giugno 03

StrumentiCres ● Febbraio 200446

LE NOSTREPUBBLICAZIONI

NOVITNOVITNOVITNOVITNOVITÀÀÀÀÀ

matiche dell’area del Mediterraneo, cogliendone alcuni degliaspetti fondamentali, ed è completato da un’analisi compa-rativa di 8 carte geostoriche e due percorsi didattici.

5) La conoscenza dell’altro tra paura e desiderio Mi-chele Crudo - pagg. 73 - euro 5,16Partendo da parole chiave come stereotipo, pregiudizio,etnocentrismo, xenofobia l’autore espone lo svolgimento didue unità didattiche sulle dinamiche che regolano irapporti interpersonali e sulle relazioni che intercorrono tracomunità culturalmente diverse.

6) Lo straniero L. Grossi, R. Rossi - pagg. 158 - euro 7,75Le voci letterarie del villaggio globale si articolano in percor-si di lettura che si muovono alla scoperta dei modi diversi diessere della figura dello straniero tra reale e immaginario,tra mondo classico e attualità.

7) Letterature d’Africa. percorsi di lettura L. Bottegal,R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi pagg. 87 - euro6,20I percorsi di lettura suggeriti si rivolgono tanto agli alunniquanto ai docenti per sottolineare l’importanza di far cono-scere e valorizzare la narrativa dell’Africa Subsahariana, re-gione di cui i mass-media offrono, in genere, solo un’imma-gine di miseria e arretratezza.

8) Penelope è partita Michele Crudo - pagg. 92 - euro6,71Il Quaderno propone, attraverso riflessioni teoriche e un per-corso didattico, di affrontare il tema del rapporto uomo/don-na, aspetto generalmente trascurato parlando di relazionecon l’altro.

9) Portare il mondo a scuola a cura di ONG Lombarde,IRRSAE Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano - pagg.220 - euro 12,91Il volume, frutto della collaborazione interistituzionale trascuola e extrascuola, offre elementi di conoscenza, suggeri-menti metodologici e esperienze didattiche utili a modificareatteggiamenti di rifiuto e di pregiudizio in atteggiamenti po-sitivi, capaci di cogliere e utilizzare la ricchezza culturale disocietà multietniche.

10) La gatta di maggio Rabia Abdessemed, apparato di-dattico a cura del Cres - pagg. 214 - euro 12,91I racconti della scrittrice algerina Rabia Abdessemed, ineditiin Italia, ci offrono uno spaccato dei complessi problemi so-ciali, di identità, di democrazia politica del Paese e costitui-scono un buon punto di partenza per una riflessioneinterdisciplinare e per la realizzazione dei percorsi di educa-zione ai diritti proposti nell’appara-to didattico.

11) La sfida della complessitàMarina Medi - pagg.114 - euro 8Un’ampia indagine sull’educazioneallo sviluppo nella scuola italiana,prendendo in esame le indicazioniministeriali, i libri di testo e la prati-ca didattica degli insegnanti.

Noci di cola, vino di palma. Let-teratura dell’Africa subsahariana acura di L. Bottegal, R. Di Gregorio,A. Di Sapio, C. Martinenghi - pagg.484 - euro 23,24Il testo evidenzia l’importanza dellaletteratura come strumento di conoscenza e di incontro traculture diverse per superare la visione stereotipata che si hadell’Africa e arrivare a percepirne tutta la complessità. Offreuna Panoramica delle letterature africane (a partire dalla tra-dizione orale) e una serie di schede su autori e romanzi tra-dotti in italiano, suddivise per aree linguistiche (e per pae-se).

COLLANA CRESCENDO - EMI

1. Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e intercultura –Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio e Camilla Martinenghi – pagg256 - euro 12,00Il quaderno cerca di fornire una panoramica della narrativacaraibica insulare dell’ultimo secolo per favorire il superamentodi stereotipi e offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione perl’educazione alla differenza. Le schede di presentazione degli au-tori e delle opere sono suddivise per aree linguistiche. Ipotesi dipercorsi didattici. e strumenti utili per gli stessi, completano iltesto.

2. All’incrocio dei sentieri I racconti dell’incontro – Kossi Komla-Ebri – pagg.192 - euro 10,00I racconti di Kossi Komla-Ebri, ambientati in Africa, in Francia ein Italia, attingendo al vissuto quotidiano, parlano di amore, diviaggi, di nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano glistereotipi con lo strumento dell’ironia. I temi dei racconti sonoapprofonditi dall’autore stesso nelle interviste e nei documentidella seconda parte, completata da un apparato didattico perun’educazione interculturale.

COLLANA CRESCENDO- Ed.Lavoro

OFFERTA SPECIALE

● L’INTERA COLLANA al prezzo complessivo di 55 euro

● Il volume fuori collana NOCI DI COLA, VINO DI PAL-MA. Letteratura dell’Africa sub-sahariana a 15 euro(18 euro con il quaderno “Letterature d’Africa - per-corsi di lettura”)

Nei prezzi sono incluse le spese di spedizione

1) Le migrazioni a cura di D. Barra e W. Beretta Podini -pagg.158 - euro 6,20Il quaderno si propone come strumento metodologico per chiintende affrontare il tema delle migrazioni in chiaveinterculturale. Vengono offerti elementi di conoscenza sul temae suggerimenti teorici per l’impostazione di percorsi discipli-nari esemplificati da concrete esperienze didattiche.

2) Percorsi interculturali e modelli di riferimento Mi-chele Crudo - pagg.53 - euro 5,16Nella prima parte del quaderno viene portato un esempio dimodello storiografico e presentato un modello tassonomico;nella seconda vengono strutturati i programmi di storia egeografia secondo un’ottica di educazione interculturale.

3) Educare al cambiamento a cura di M. Santerini, P.Scarduelli, P. Inghilleri, D. Demetrio, G. Favaro, M. Crudo -pagg. 76 - euro 5,16Viene affrontato il problema della funzione della scuola dalpunto di vista della rielaborazione culturale e pedagogica dellanozione di cambiamento, al fine di valorizzare e gestire lavariabile fondamentale della diversità che ne èil motore principale.

4) Mediterraneo: il mare della complessità a cura di L.Alberti, G. Carlini, A. Brusa, M. Gusso, C. Grazioli, D. Barra,M. Bocca, M. Crudo, M. Peghetti - pagg. 114 - euro 6,20Il quaderno propone una lettura trasversale delle proble-

47StrumentiCres ● Febbraio 2004

Per richiedere le pubblicazioni: utilizzare il C/C postale n. 291278 intestato a Mani Tese, Piazzale Gambara7/9, 20146 Milano. Scrivere in stampatello il proprio nome e indirizzo. Nella causale indicare il titolo dellapubblicazione che si desidera. Aggiungere eeeee 3 per spese postali.

Il ricavato servirà a sostenere finanziariamente le attività di Mani Tese in ambito educativo.

MATERIALI SUL LAVORO INFANTILE

Strumenticres Un numero e 3 - abbonamento annuale (3 numeri) e 8RIVISTA

TESTI SCOLASTICI

Fame e squilibri internazionali. Introduzione alleproblematiche dei rapporti Nord/Sud Wilma Beretta Podini- pagg.160. euro 7,40 (edizione completamente rivista e aggiorna-ta)Il testo, a carattere interdisciplinare, favorisce un primo approc-cio alle problematiche sulla fame nel mondo, alle sue conse-guenze e alle principali cause che la determinano. Corredato dacarte tematiche, grafici e dati statistici, il testo si chiude con unglossario e una sezione di esercizi.

Foreste tropicali. Quale futuro? D. Calati Boccazzi - pagg.166. euro 7,15Il testo offre elementi oggettivi di conoscenza della foresta tro-picale e affronta il complesso problema della deforestazione at-traverso l’analisi di fattori ecologici, economici, sociali, politici. E’corredato da dati statistici, cartine e diagrammi, griglie e propo-ste di lavoro interdisciplinare.

Brasile. La terra degli altri D. Calati Boccazzi - pagg. 112+32.euro 9,00Il testo, corredato da note metodologiche ed esercizi, individuanella terra il nodo cruciale per affrontare gli squilibri e le con-traddizioni della situazione socio-economica brasiliana.

Rifiuti ieri Risorse domani Pietro Danise, Consolato Danise -pagg. 110. euro 7,95Il testo fotografa la situazione dei consumi, dei rifiuti e dei siste-mi di smaltimento, per poi fornire gli elementi utili a trasformarei rifiuti in risorse. Offre spunti di lavoro utili a tracciare le coordi-nate fondamentali per passare da un modello di sviluppo inso-stenibile a uno sostenibile.

VIDEO E CDROM

Un pianeta in movimento nuova edizione - euro 10 (gratui-to per le scuole su richiesta scritta)Il cdrom, articolato in otto sezioni tematiche, si struttura attornoall’idea di un viaggio nella realtà migratoria, che consenta dicontrastare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi attraverso l’ana-lisi della dimensione spaziale e temporale di questo fenomeno.

Guida del mondo edizione 2001/2002 - euro 10Il cdrom riporta la storia, i dati geografici, politici, economici,sociali e ambientali di tutti i paesi, le condizioni di vita dei popoli,le prospettive per il futuro del pianeta.

Nongtaaba In motorino tra i progetti di Mani Tese inBurkina Faso - VHS 22' Mani Tese - euro 10Il video presenta lo stretto legame tra processo di sviluppo esalvaguardia dell’ambiente, il ruolo della donna in questo pro-cesso e la filosofia di Mani Tese sulla cooperazione con i paesi delSud del mondo, partendo dalla situazione concreta di alcuni vil-laggi nella fascia saheliana del BurkinaFaso.

JATARI Alternative di sviluppo nelle popolazioni indigenein Ecuador – VHS 30’ Mani Tese – euro 10Il video ripercorre il lavoro ventennale di Mani Tese in Ecuadorper consolidare processi di sviluppo nelle zone rurali del paese emostra l’autonomia raggiunta dalle organizzazioni contadine e imiglioramenti ottenuti nelle condizioni di vita della popolazionegrazie al lavoro collettivo.

1 “Burkina Faso e Benin” - euro 8 (gratuito per le scuole surichiesta scritta)Un ipertesto per conoscere il contesto, focalizzare il concetto disviluppo, analizzare l’attività di Mani Tese nella regione utiliz-zando la metodologia della “didattica per progetti”.

2 “Brasile” - euro 8 (gratuitoper le scuole su richiesta scrit-ta)Un ipertesto per conoscere lavivacità culturale di questo Pa-ese Emergente, comprendere lecause delle sue stridenti con-traddizioni, condividere l’impe-gno dei gruppi più attivi e diMani Tese al loro fianco per unfuturo più giusto.

LAVORARE PER PROGETTILAVORARE SUI PROGETTI

YATRA – In marcia per i diritti dei bambini Kit didatticoMani Tese-CRES – euro 5Il kit è articolato in 5 fascicoli (Bambini e bambine lavoratoriraccontano, Il lavoro minorile sulla stampa, Bambine e bambi-ni al lavoro in Italia, Globalizzazione e lavoro minorile, Cam-biare è possibile) autonomi ma ricchi di rimandi incrociati. Cia-scun fascicolo contiene materiali di lavoro e suggerimenti di-dattici. Il kit è arricchito da una bibliografia ragionata, dal dossierDallo sfruttamento all’istruzione e dalla rassegna stampa Laviolazione dei diritti dei bambini.

Dallo sfruttamento all’istruzione Dossier Mani Tese-CRESeuro 2,50Il dossier descrive in modo aggiornato e approfondito i proble-mi legati allo sfruttamento del lavoro minorile e l’impegno diMani Tese per i diritti dell’infanzia.

YATRA Dallo sfruttamento all’istruzione VHS 30’ Mani Teseeuro 8Il nuovo video contro lo sfruttamento del lavoro minorile pre-senta la drammatica situazione dei bambini in Benin, Brasile,India e Romania ma anche alcune proposte concrete per con-trastare il fenomeno: i progetti di sviluppo di Mani Tese e laGlobal March.

Mostra fotografica in 8 pannelli 70 x 100 - euro 5

MATERIALI SUL LAVORO MINORILE