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PARTE III: EINSTEIN, PODOLSKY, ROSEN E BELL 291

PARTE III: EINSTEIN, PODOLSKY, ROSEN E BELL

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PARTE III:EINSTEIN, PODOLSKY, ROSENE BELL

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292 Andrea Carati e Luigi Galgani

Capitolo 14

EPR 1935, Bell 1964

14.1 Esistono le cose anche se non le guardiamo? DaEPR alle disuguaglianze di Bell, e ritorno alla elet-trodinamica microscopica classica

Il problema se le cose esistano fuori di noi, indipendentemente dalla nostra co-scienza, è un problema centrale della filosofia. Ad esempio, per quanto riguardala filosofia moderna, possiamo ricordare come il vescovo Berkeley si chiedesse segli alberi esistono, dietro di noi, anche quando non li osserviamo, e concludesseche in effetti essi esistono perché c’è Dio che li osserva.

In meccanica quantistica sembra che in qualche modo si abbia a che fare conun problema analogo, in relazione all’assioma di riduzione o precipitazione dellostato all’atto di una misurazione. Ricordiamo che, secondo la cosiddetta “formu-lazione ortodossa”’ della meccanica quantistica, i valori che si possono osservareper una data osservabile sono gli autovalori del corrispondente operatore (au-toaggiunto); inoltre, dato uno stato ψ, esso ci permette soltanto di calcolare laprobabilità di osservare ognuno dei valori possibili. Ma il valore “non esiste”prima dell’atto di osservazione, il quale farebbe “precipitare” istantaneamentelo stato ψ su un nuovo stato, l’autostato della osservabile relativo all’autovalo-re osservato. Solo allora l’osservabile avrebbe un valore: proprio l’autovalorecorrispondente a quell’autostato.

Naturalmente, anche in meccanica classica si concepisce che esistano situa-zioni in cui si dispone solo della probabilità di osservare uno dei possibili valoridi una variabile dinamica (o osservabile), ma ciò solo a causa di una nostra igno-ranza dello stato del sistema, mentre si ammette che non vi sia alcuna ostruzionein linea di principio a conoscere lo stato esatto del sistema, rappresentato da unpunto nel corrispondente spazio delle fasi. Invece in meccanica quantistica nonsi tratta di ignoranza dello stato del sistema, perché secondo la teoria ortodossalo stato ψ fornisce una conoscenza “completa” del sistema, oltre la quale non sipuò andare. Pertanto il valore “reale” in qualche modo “non esiste” finché non

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si compie l’osservazione. Prima, per esprimersi con le parole di Heisenberg, ivalori esistono solo in maniera “potenziale”.

Ci si può domandare se sia possibile costruire una teoria che inglobi la mec-canica quantistica, nella quale però i valori delle osservabili esistano anche senon compiamo una osservazione, nello stesso senso in cui i valori “esistono” inmeccanica classica. Naturalmente, questa idea va intesa nel senso che essa do-vrebbe essere compatibile con i risultati della MQ, che si assume descrivano cor-rettamente delle “leggi di natura”. Ovvero, i valori delle osservabili dovrebberoesistere pur ammettendo che ad esempio non sia possibile osservare contempora-neamente posizione e momento di un oggetto microscopico. Ciò, a causa dellaperturbazione introdotta dal processo di misurazione, come richiesto dalle rego-le di indeterminazione di Heisenberg, di cui si dà per scontato che descrivanoadeguatamente una proprietà “della natura”.

Questo problema fu ampiamente discusso alla conferenza Solvay del 1927, incui prese forma la cosiddetta “interpretazione ortodossa” della meccanica quan-tistica. In seguito, nel suo celebre libro von Neumann dette addirittura un ar-gomento che sembrava dimostrare che non è possibile formulare coerentementeuna “teoria a variabili nascoste”. Con tale termine si denotava una teoria de-terministica che contenesse, oltre alle consuete coordinate classiche (q , p) di unsistema, anche ulteriori variabili, diciamole λ (dette “nascoste”, ovvero non os-servabili con misure macroscopiche). Si richiedeva allora che, mediando su talivariabili con procedimenti analoghi a quelli della meccanica statistica, si otte-nessero gli stessi risultati della MQ. Tuttavia questo argomento di von Neumannnon aveva convinto Einstein, e infatti il problema venne risollevato da un celebrelavoro di Einstein, Podolsky e Rosen del 1935. Questo lavoro non venne accoltofavorevolmente da Bohr, Heisenberg, Born e Pauli1, ma in ogni caso esso mise inluce diversi aspetti significativi che seguono dai principi comunemente ammessinella stessa “teoria ortodossa”, e dunque plausibilmnete riflettono delle effettiveproprietà della natura.

Il primo aspetto è che il principio di “precipitazione dello stato” (come co-munemente si dice) sembrerebbe comportare una qualche forma di azione a di-stanza, se si accetta che il fenomeno della precipitazione si applichi anche a si-stemi composti ad esempio da due particelle inizialmente contigue che poi, pereffetto di una mutua interazione, si separano. La stranezza consiste nel fatto cheun atto di osservazione compiuto su una delle due particelle farebbe in generaleprecipitare il sistema completo, e avrebbe pertanto l’effetto di influenzare anchela seconda particella lontana. Naturalmente la discussione di questo problemasembrerebbe richiedere di avere a disposizione una teoria relativistica, e sarebbequindi alquanto più complicata.

Un altro aspetto messo in luce nel lavoro EPR è che una trattazione intermini completamete ortodossi del sistema di due particelle sopra menziona-

1Per una vivida testimonionza si veda ...

Fondamenti della fisica: EPR 295

to sembrerebbe dimostrare che sia compatibile con l’interpretazione ortodossaaffermare che ad esempio posizione e momento “esistono” per una particella.

Il problema delle variabili nascoste rimaneva dunque “nell’aria”, tenuto vivospecialmente da Bohm. Così nel 1964 Bell ritornò sul problema, e anzitutto mo-strò (in maniera chiarissima, almeno così sostanzialmente afferma egli stesso)2come sarebbe errato l’argomento di von Neumann, che dimostrerebbe l’impos-sibilità di ogni teoria a variabili nascoste. Nello stesso lavoro Bell credette diavere anche dimostrato positivamente che una tale teoria sia possibile, anche segli permaneva qualche dubbio. Infine, nello stesso anno egli uscì con un se-condo lavoro, che contiene la celebre disuguaglianza di Bell. Bell dimostra chel’ipotesi che i valori delle osservabili esistano prima che si compia una osserva-zione (ipotesi dell’esistenza dei valori, come potremmo chiamarla), conduce a unacondizione coinvolgente (attraverso certe correlazioni) dei dati concretamenteosservabili. Si tratta di una condizione di compatibilità: se i dati effettivamenteosservati soddisfano una certa disuguaglianza (quella di Bell, appunto), allora èpossibile una teoria a variabili nascoste. Altrimenti no. Si noti che tali disugua-glianze sono violate se le correlazioni in esse coinvolte sono stimate secondo lepredizioni della MQ. In altri termini, la teoria a variabili nascoste considerata daBell non riproduce i risultati quantistici, e quindi non realizza l’idea centrale diEinstein, ovvero cercare una teoria che riproduca i risultati della MQ, e tuttaviadica qualcosa di più.

A priori si possono compiere delle esperienze che permettano di verificare setali disuguaglianze sono soddisfatte o no, e dunque, come si diceva a quei tempi,permettano di decidere se eventualmente sia errata la MQ. Esperimenti di questotipo sono stati effettivamenti compiuti, particolarmente da Aspect, ed esiste unconsenso praticamente universale che essi mostrino che la disuguaglianza di Bellnon è soddisfatta in natura. Dunque da una parte vengono confermate le predi-zioni della MQ (la MQ è giusta, come spesso si diceva allora), mentre le teorie aparametri nascosti non sarebbero possibili.

Naturalmente le cose sono più complicate. Perché le disuguaglianze di Bellvengono dimostrate facendo certe precise ipotesi sulla ipotetica teoria a variabilinascoste, e particolarmente rilevante risulta una di queste. che Bell stesso chiamala “vital assumption”. Naturalmente, è anche ovviamente possibile immaginaredelle strane teorie, inventate ad hoc proprio per evitare la vital assumption. D’al-tra parte risulta che non è necessario invocare una strana teoria, perché una teoriache viola le disguaglianze di Bell è già pronta, servita sul piatto. Si tratta dellateoria delle particelle descritte dall’equazione di Newton congiunta con l’elettro-dinamica classica nella forma estesa di Dirac: la teoria che coinvolge il terminedi reazione di radiazione introdotto da Planck, discusso a lungo da Lorentz eAbraham e infine posto in forma relativistica nel 1938 dal grandissimo Dirac.

2Sembra molto probabile che questo non sia vero. Come probabilità a priori, se dovessimoscommettere su chi dei due ha torto – ammesso che la cosa sia così semplice da poter dire che unodei due (von Neumann o Bell) ha ragione e l’altro torto –, scommetteremmo che ha torto Bell. Ciripromettiamo di ritornare su questo problema in futuro.

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Risulta anzitutto che questa teoria è formulata in maniera tale che vi comparein maniera del tutto naturale una variabile che ha tutte la caratteristiche di una“variabile nascosta”. Inoltre essa viola la disugaglianza di Bell, perché non fa innessun modo uso di nulla che abbia a che fare con la vital assumption.3 Un altrocontroesempio è fornito dalla cosiddetta teoria di Bohm, ai giorni nostri parti-colarmente studiata e fatta conoscere dal trio Dürr, Goldstein e Zanghi, su cui ciproponiamo di ritornare in unìaltra occasione.

Un altro significativo aspetto di questo problema delle disuguaglianze di Bell,è che esso viene compreso in maniera illuminante se viene inquadrato nell’ambi-to di un problema alquanto più generale, che riguarda la teoria delle probabilità.Si osserva anzitutto che in natura ci si imbatte in una fenomenologia in cui idati empirici si presentano come delle frequenze relative, come tipicamente av-viene nell’esperimento del lancio di N dadi, quando si osservano, al crescere delnumero di lanci, le frequenze relative con cui escono i numeri 1,2,. . . , 6. Sipresenta allora il problema generale du stabilire se queste serie empiriche sianodescrivibili in termini probabilistici, cioè mediante una misura di probabilità inun opportuno “spazio di eventi”. È questo un problema classico, che nel casodelle probabiltà discrete (come quello dei dadi) fu risolto già da Boole in un suofondamentale lavoro del 1862. 4 Nel caso consideraato da Boole esiste uno spaziodegli eventi elementari, sul quale si possono assegnare diverse probabilità a prio-ri. ed egli mostra come il fatto che esista una tale probabilità a priori induce uncerto numero di disuguaglolianze che devono essere soddisfatte dalle frequenzeempiriche. Il passo successivo fu di considerare il caso in cui lo spazio degli even-ti elementari è un insieme infinito con la potenza del continuo (come gli spaziIRn ) o superiore (come uno spazio funzionale, ad esempio lo spazio delle curvein IRn ), sicché non è neppure noto se sia possibile introdurre delle probababilità apriori sulla spazio degli eventi elementari. Qui il contributo fondamentale vennedato da Kolmogorov nel 1933. Quello che si trova è che, affinché sia possibile unaambientazione probabilistica, le frequenze relative empiriche devono soddisfareancora opportune condizioni di compatibilità. Tra l’altro, questo requisito, dellacompatibilità delle serie di dati è, nell’ambito delle teorie statistiche, un proble-ma concreto che interessa particolarmente le scienze sociali e la medicina (test dicompatibilità per i campioni per gli exit poll, test di efficacia dei farmaci). Ora,come fu messo in luce da Accardi, particolarmente con la sua analisi del proble-ma delle due fenditure, le disuguaglienze di Bell non sono altro che condizionidi compatibilità di questo tipo. Il fatto che esse sono violate sperimentalmenteappare dunque come un vincolo posto dalle leggi di natura alla possibilità di unacoerente descrizione probabilistica.

3Si noti che la vital assumption si presenta in maniera del tutto spontanea, se non si hannoin mente le proprietà effettivamente inaspettate che sono state dimostrate in anni recenti esserepresenti nell’elettrodinamica microscopica classica. Infatti, non le aveva immaginato neppure Di-rac, il quale comunque aveva esplicitamente predetto che dalla sua teoria ci si dovevano attenderenovità sorprendenti.)NOTA PER GLI AUTORI: citare le paole esatte di Dirac.

4G. Boole, On the theory of probabilities Phil. Ttrans. R. Soc, London 152, 225 (1862).

Fondamenti della fisica: EPR 297

Ora, i due esempi sopra citati (teoria elettrodinamica microscopica classica,e teoria di Bohm) mostrano che dovrebbe essere possibile una ambientazioneprobabilistica adeguata per una teoria a parametri nascosti. Tuttavia questa nonè ancora disponibile. Naturalmente, una teoria probabilistica adeguata per ladescrizione della natura (o almeno degli aspetti relativi alla fisica atomica) giàesiste, ed è quella fornita dalla MQ, specialmente nella formulazione datale davon Neumann. La semplicità e l’armonia con la quale essa descrive ad esem-pio l’interferenza che si osserva nell’esperienza delle due fenditure è un fattoassolutamente stupefacente, che evidentemente riflette una profonda novità dellaambientazione peobabilistica della MQ rispetto a quella più tradizionale dellaMeccanica Statistica Classica.

Prendendo atto di questo fatto, sembra tuttavia possibile, nella situazione at-tuale, tenere un atteggiamento analogo a quello di Einstein, ovvero cercare unateoria che riottenga tutti i risultati empirici già ottenuti dalla MQ, inglobandoliin un ambito probabilistico più ampio, in qualche modo più soddisfacente. Irisultati recentemente ottenuti nella elettrodinamica microscopica classica sem-brano incoraggianti. Tantopiù che questa medesima elettrodinamica ha prodottorisultati concreti, come la dimostrazione microscopica dell’esistenza dei polari-toni (che non ha potuto ancora essere ottenuta con i metodi della QED), e ilcalcolo teorico delle curve di dispersione (indice di rifrazione in funzione dellafrequenza) di cristalli ionici. 5

Questi problemi costituiscono il tema del presente capitolo. Richiameremodapprima, molto sommariamente, quale sia la cosiddetta “formulazione ortodos-sa” della meccanica quantistica, come venne stabilita sostanzialmente a seguitodella conferenza Solvay del 1927. Nello stesso contesto ricorderemo anche, al-trettanto sommariamente, cosa si intenda per “teoria a variabilli nascoste”. Il-lustreremo poi il lavoro di EPR (con il suo caratteristico intreccio di aspetti dilocalità e di causalità) e la risposta che a tale lavoro diede Bohr. Verremo poi alproblema della disuguaglianza di Bell, dimostrandola in una delle sue forme piùsemplici. Discuteremo poi il problema dell’ambientazione delle disuguaglian-ze di Bell entro il problema generale delle condizioni di compatibilità per unatrattazione probabilistica di serie empiriche di frequenze relative. In particolareillustreremo l’esempio trovato da Accardi per il problema delle due fenditure.Infine mostreremo come l’elettrodinamica classica di una particella soggetta al-la forza di reazione di radiazione fornisca un esempio di modello a parametrinascosti che viola le disuguaglianze di Bell. In una appendice svolgeremo un eser-cizio che chiameremo “il gioco delle tre carte” (gioco del tipo “gratta e vinci”,concepito da Mermin), il quale fornisce un esempio di esperimento i cui risultatipermettono di decidere se “i valori esistono” prima dell’osservazione oppure no.

5NOTA PER GLI AUTORI, Vedere la discussione di Koopman nella conferenza di Berkeleydl 1964. Vedere anche le condizizoni di compatibilità some discusse da Mackey, particolarmentenel suo 7–ttimo assioma sulla teoria delle probabilità, dove discute degli eventi incompatibili.

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14.2 La “formulazione ortodossa” della meccanica quan-tistica, e il problema dei parametri nascosti

Questo paragrafo deve ancora essere scritto in forma soddisfacente. Per prosegui-re nella lettura, e corroborare i cenni dati nella introduzione a questo capitolo,sono comunque sufficienti i richiami degli assiomi della meccanica quantisticache verranno esposti qui sotto nella maniera più semplice Per semplicità di espo-sizione, viene considerato il caso paradigmatico in cui si abbiano operatori con“spettro discreto e nondegenere”.

Gli assiomi della meccanica quantistica

Nel caso paradigmatico di spettro discreto e nondenegere gli assiomi sono iseguenti.

1. Ad un sistema si associa uno spazio di Hilbert complesso. Dati due suoivettori ψ, ϕ esiste quindi il loro “prodotto scalare”, che indicheremo conl’usuale notazione di Dirac oppure con la notazione più consueta in mate-matica:

ψ|ϕ�

equivalente a (ψ,ϕ)

2. A ogni quantità osservabile è associato un operatore autoaggiunto A, e ivalori “possibili” an dell’osservabile sono gli autovalori di A, relativi aicorrispondenti autovettori (normalizzati) un . Questi sono definiti comesoluzioni dall’equazione agli autovalori

Au = au .

3. La massima informazione sullo “stato fisico” del sistema è fornita da unvettore ψ (normalizzato) dello spazio di Hilbert.

Dati uno stato ψ e una osservabile cui corrisponde l’operatore A, alloral’osservabile “ha” un ben preciso valore soltanto se lo stato ψ coincide conuno degli autovettori di A, diciamo ψ = un : in tal caso l’osservabile “ha”con certezza il valore an .

Ma in generale si ha solo un’informazione di tipo “intrinsecamente proba-bilistico”. Si sviuppa ψ sulla base degli autovettori un di A,

ψ=∑

ncn un ,

e allora la probabilità che misurando A si trovi il valore an è data da

Pr(an |datoψ) = |cn |2 = |(un ,ψ)|2 .

Fondamenti della fisica: EPR 299

4. L’evoluzione temporale ψt dello stato, quando non si compie alcuna misu-razione (evoluzione libera) è una evoluzione unitaria (cioè che conserva lanorma dei vettori) retta dall’operatore hamiltoniano H del sistema

ψt =U tψ0 , U t = e−i H t/ħh .

Equivalentemente, ψt è soluzione dell’equazione di Schroedinger

i ħhψ=Hψ

relativa la “dato iniziale” ψ0.

5. Invece, quando (diciamo al tempo o ) si compie la misurazione di una os-servabile, diciamo A, trovando il valore an , allora lo stato ”precipita” (ocollassa) istantaneamnete sulla direzione del corrispondente autovettoreun . Ovvero: ad un tempo “immediatamente successivo” a quello dellamisurazione che ha fornito il vaolre an di A si ha (con evidente notazione)

ψ+0 = un .

Aggiungiamo qualche sommaria osservazione.

• Si noti il carattere assolutamente diverso delle due evoluzioni (libera, o indottada una misurazione). L’evoluzione è descritta da due operatori che hanno natu-ra matematica completamente diversa, unitaria o mediante proiettore. Sarebbemolto interessante approfondite la relazione matematica tra le due evoluzioni,mostrando come si possa riguardare la seconda evoluzione come un caso limitedella prima.

• Dell’assioma sulla precipitazione a seguito di una osservazione si fa uso per fissarelo “stato iniziale” del sistema. Si compie una misurazione, e allora lo stato inizialeè quello corrispondente, nel modo sopra indicato, al valore osservato, ovvero: lostato iniziale ψ0 è dato da ψ+0 = un .

• L’assioma dato sopra per la probabilità dei valori di un’osservabile A, quando ilsistema si trova nello stato ψ, è una particolarizzazione di un assioma generale,la cui origine si trova in un interessantissimo lavoro di Heisenberg. Lo si puòformulare come segue.Assioma: Assegnati due stati ψ, ϕ, ciascuno di essi “si trova parzialmente anchenell’altro”, e “la probabilità che l’uno possa essere osservato nell’altro” 6 vieneespressa attraverso il loro prodotto scalare, essendo data dalla quantità

|(ψ,ϕ)|2 .

La cosa si controlla subito osservando che si ha cn = (un ,ψ).

6La formulazione qui data può certamente apparire oscura. Dirac dà la seguente. formulazione(paragrafo 18, pag 76 dell’edizione del 1958). Egli si riferisce al caso in cui ψ è l’autostato di unoperatore A relativo a un suo certo autovalore a, mentre ϕ è l’autostato di un altro operatore B ,relativo all’autovalore b :

Aψ= aψ , Bϕ = bϕ .Allora |(ϕ,ψ)|2 è la probabilità che la seconda osservabile B abbia il valore b se il sistema è nellostato in cui la prima osservabile A ha certamente il valore a. E viceversa.

300 Andrea Carati e Luigi Galgani

Il problema dei parametri nascosti

Il problema se le osservabili abbiano dei valori anche quando non le si osserviha una lunga storia, e va generalmente sotto il nome di problema dei parametrinascosti. Infatti, fin dagli inizi della meccanica quantistica venne subito dibattutose fosse possibile “completarla” aggiungendo, all’informazione fornita dallo statoψ, l’ulteriore informazione fornita dai valori assunti da altre coordinate, detteparametri nascosti (“hidden parameters”, in tedesco “verborgene parameter”7). Laconoscenza di tali parametri ripristinerebbe una “conoscenza completa dello sta-to del sistema”, dalla quale si dovrebbero ottenere le previsioni della meccanicaquantistica compiendo operazioni di media sui parametri nascosti.

Si tratta di un procedimento analogo a quello che si compie in termodina-mica statistica. Infatti la termodinamica (scienza macroscopica) viene ”dedotta”in meccanica statistica, partendo da un modello microscopico che fa intervenireparametri nascosti (che non si osservano), le posizioni e le velocità delle mo-lecole di un gas, e allora si “spiega” la termodinamica, in quanto questa vieneottenuta dalla dinamica microscopica attraverso operazioni di media sugli statimicroscopici, pesati ad esempio con la misura di Gibbs.8

Sul problema dei parametri nascosti in meccanica quantistica pareva che unarisposta definitiva (in senso negativo; non sarebbero possibili teorie a parametrinascosti per la meccanica quantistica) fosse stata data da von Neumann, con unargomento esposto nel suo celebre libro,9.10 Oggi l’argomento di von Neumannviene talvolta ritenuto irrilevante, a causa dell’opinione espressa da Bell nel suosecondo lavoro sull’argomento,11 in cui, dopo avere indicato l’obbiettivo dicendo“An attempt will be made to clarify what von Neumann and his successors actuallydemonstrated”, conclude: “It will be urged that these analyses leave the total questionuntouched”, dicendo addirittura che egli “can restate the position with such a clarityand simplicity that all previous discussions will be eclipsed”! 12 Come abbiamo giàdetto, non siamo sicuri che Bell abbia ragione, e ci ripromettiamo di tornare suquesto argomento in un’altra occasione.

7Questo è il nome classico che risale a Helmholtz, Boltzmann. Naturalmente, nei paesi dilingua tedesca questo è ancora il termine corrente. Si veda, reperibile in rete, la conferenza di KedarS. Ranade, Verborgene Parameter und die Bellsche Ungleichung, Technische Universität Darmstadt(2003).

8Si potrebbe obiettare che un effetti si osserva un singolo sistema, che si dovrebbe trovare inuno stato ben determinato, e quindi obiettare sul signifucato di prendere una media sui dati iniziali.La risposta dovrebbe essere che sotto condizioni molto generali, per sistemi macroscopici il valoremedio praticamente coincide con il valore concreto che corrisponde a tutte i singoli stati iniziali“tipici”. Comunque, questo è in effetti un problema di fondo che ha molto aspetti sottili.

9J. von Neumann, Mathematische Grundlagen der Quanten Mechanik, Springer–Verlag (Berlin,1932, 1981, 1996), trad, italiana a cura di G. Boniolo. Il poligrafo (Padova, 1998), Cap. IV, Sex. 1, 2.

10Il lettore può leggere ad esempio la versione della dimostrazione di von Neumann datanesull’American Journal of Physics nel 1961. Si veda J. Albertson, Am. J. Phys. 29, 478 (1961).

11J.S. Bell, Rev. Mod. Phys. 38, 447 (1966).12Si veda anche quanto viene detto a questo proposito nel libro di S. Weinberg, Dreams of a final

theory, Pantheon Books (New York, 1992), (pagg. 78 e seguenti) che non abbiamo ancora avuto iltempo di studiare.

Fondamenti della fisica: EPR 301

14.3 Einstein, Podolski e Rosen (EPR)

Ma soprattutto le argomentazioni di von Neumann vennero ignorate da Ein-stein, Podolsky e Rosen.13 Questi autori, come se niente fosse, se ne escono nel1935 con un lavoretto di quattro pagine sul Physical Review, in cui riaprono ilproblema sul “realismo”, ovvero sull’affermazione che le osservabili non hannoun valore se non vengono osservate (o misurate). L’aspetto caratteristico del lo-ro approccio, è che essi pretenderebbero di muovere questa critica dall’interno,ovvero muovendosi nell’ambito stesso degli assiomi della meccanica quantisticache erano da tutti accettati.

Nella sostanza, EPR sostengono che sarebbe consistente, all’interno della meccanicaquantistica, attribuire valori alle osservabili anche quando non vengono osservate. Atal fine argomentano che si possano assegnare posizione e momento ad una particella(particella II) in base a misurazioni compiute su un’altra particella (particella I), cosìlontana dalla prima da potersi ritenere che la misurazione (compiuta sulla seconda) nonperturbi la prima.

Si vede dunque che nell’argomentazione di EPR di presenta un intreccio profondotra meccanica quantistica e relatività (si tratta del cosiddetto “problema della località”),riguardante il modo in cui si possono “influenzare” oggetti lontani, tramire segnali chesi propagano al più alla velocità della luce. Il punto delicato è che gli assiomi dellameccanica quantistica posti in discussione sono formulati in un ambito nonrelativistico.

Il lavoro, di quatto pagine, consta di due paragrafi. Nel primo, non facilissimo aleggersi, gli autori si dilungano a dichiarare, a parole, che cosa vogliono fare. In effetti,a nostro parere questo (cosa vogliano fare) si capisce benissimo leggendo il paragrafo 2,nel quale danno delle formule concrete su cui si può appoggiare l’attenzione.

Descrizione dettagliata del lavoro: cuore del primo paragrafo

Lasciamo al lettore il piacere di leggere il primo paragrafo, e qui ne trattenia-mo soltanto la conclusione che gli autori traggono rispetto al decidere se unaproprietà sia reale o no. Nelle loro parole:

“We shall be satisfied with the following criterion, which we regard as reasonable. If, withoutin any way disturbing a system, we can predict with certainty (i.e., with probability equalto unity) the value of a physical quantity, then there exists an element of physical realitycorresponding to this physical quantity.” Ovvero: Se possiamo predire con certezza ilvalore di una osservabile senza osservarla, allora possiamo dire che quella osservabilepossiede “realmente” quel valore.

Secondo paragrafo, prima parte

Veniamo dunque al secondo paragrafo di EPR, che si legge benissimo. Ne diamoqui un riassunto volutamente non troppo dettagliato, per stimolare il lettore apassare alla lettura diretta.

13A. Einstein, B. Podolsky, N. Rosen, Can quantum–mechanical description of physical reality beconsidered complete?, Phys. Rev. 47, 777–780 (1935).

302 Andrea Carati e Luigi Galgani

Gli autori considerano un sistema composto da due sottosistemi I e II cheinteragiscono al tempo 0 e poi si separano. Si pensi tipicamente a due particelleprodotte da una disintegrazione nucleare, che si allontanino in direzioni opposte,avendo momenti opposti, come particelle libere, senza alcune mutua interazione.Allora l’osservazione viene compiuta sul sistema I (osservando una di due osser-vabili non commutanti A e B di I) dopo un tempo tanto grande che i due sistemisi siano talmente allontanati da potersi supporre che la misurazione compiutasu I non influenzi in alcun modo lo stato del sistema considerato (sistema II).Diciamo che il sistema delle due particelle è inizialmente a Milano, e che le dueparticelle a un certo tempo successivo si trovano una a Tokyo e l’altra a NewYork. Per questo motivo, il paradosso EPR è intrinsecamente legato alla proprie-tà di località: si fanno delle osservazioni locali sul primo sistema, ammettendoche non influenzino il sistema II, che è quello di cui ci occupiamo.

Gli autori anzitutto richiamano un fatto generale ben noto, riguardante unsistema composto di due sottosistemi, che costituisce il cuore di tutto il lavoro.Si tratta del fatto che una osservabile, diciamo A, di I è anche una osservabiledel sistema totale: dunque, se misuriamo l’osservabile A di I facciamo precipitarelo stato totale, e pertanto si ottiene un ben definito stato anche per II, anche sequesto’ultimo è lontano. Analogamente, osservando una osservabile B , sempredi I, si ottiene un diverso ben definito stato di II. Siano uk (x1) gli autostati di A evs (x1) quelli di B .

Sia Ψ(x1, x2) lo stato del sistema completo al momento in cui si compie l’os-servazione sul primo sistema. Ovviamente consideraimo uno stato generico,ovvero che non sia fattorizzato nella forma Ψ(x1, x2) = Ψ1(x1)Ψ2(x2) (uno statonon fattorizzato viene detto, con terminologia dovuta a un successivo lavoro diSchroedinger, entangled, ovvero “intrecciato”).14 Allora possiamo sviluppare Ψsu una base o sull’altra, con coefficienti dipendenti parametricamente da x2, e siavrà15

Ψ(x1, x2) =∑

k

ψk (x2)uk (x1)

Ψ(x1, x2) =∑

sϕs (x2)vs (x1) .

(14.3.1)

Pertanto, se misurando l’osservabile A del sistema I trovo il valore ak , alloralo stato Ψ precipita (o collassa) sullo stato ψk (x2)uk (x1), il che vuol dire che ilsecondo sistema si trova nello stato ψk (x2). Se invece misuro B e trovo bs , allora“faccio precipitare” sistema II su un altro stato, ovvero ϕs (x2).

Nelle parole di EPR, “We see therefore that, as a consequence of two different measurementsperformed upon the first system, the second system may be left in states with two differentwave functions.”

14Si veda E. Schroedinger, . . .15Si fissi x2. Allora Ψ(x1, x2) definisce una funzione di x1, che potrà essere sviluppata sulla base

{uk (x1)} con certi coefficienti ck . Ma tali coefficienti dipendono dal valore fissato di x2, ovverosono funzioni di x2, che potremo chiamare ψk (x2), cioè corrispondono a una funzione d’onda(uno stato) del sottosistema I.

Fondamenti della fisica: EPR 303

Ma. . . “On the other hand, since at the time of measurement the two systems no longerinteract, no real change can take place in the second system in consequence of anything thatmay be done to the first system16. Thus it is possible to assign two different wave functions(in our example ψk and ϕr ) to the same reality (the second system after the interaction withthe first).”

A questo punto ci si potrebbe fermare, perché questo è sostanzialmente ilcuore di tutto il lavoro EPR, e concerne già anche il caso di una singola osserva-zione di un sistema composto da due sottosistemi che si siano allontanati l’unodall’altro. Se compio una misurazione della osservabile A di I, evidentementeperturbandolo in qualche modo, determino anche lo stato di II, “without in anyway perturbing it”.

Secondo paragrafo, seconda parte

Veniamo comunque alla seconda parte del paragrafo 2, in cui gli autori danno unesempio concreto17. A prima vista, questo esempio sembrerebbe non aggiungerenulla di sostanziale. Vi è però un punto significativo, che riguarda la connessionedi tale esempio con la successiva osservazione critica di Bohr. Vale dunque lapena di soffermarsi anche su questa parte.

L’ esempio riguarda il caso in cui si ha un sistema di due particelle su una retta, e leosservabili A, B sono la posizione Q e il momento P della prima particella. Gli autoriassumono che lo stato del sistema totale (nel momento in cui si compie la misurazionesu I) sia quello dato dalla “funzione impropria”

Ψ(x1, x2) =∫ +∞

−∞e i(x1−x2+x0)p/ħhd p

dove x0 è una costante. Ricordando δ(x) = 12π

∫+∞−∞ e i p xd p, si vede subito che questa è

proprio la funzioneΨ(x1, x2) = 2πδ(x1− x2+ x0) .

Si tratta dunque di uno stato in cui la distanza tra le due particelle è uguale ad x0:

x2− x1 = x0 .

Si constata poi immediatamente che in questo stato si ha anche

p1+ p2 = 0 ,

dove p j è il momento della particlella j = 1,2. In effetti si constata subito che il sistemadi due particelle libere su una retta ha due costanti del moto, momento totale e differenzatra le posizioni delle due particelle, e che si tratta di due osservabili che commutano.18

16“This is, of course, merely a statement of what is meant by the absence of an interactionbetween the two systems”.

17Essi usano formalmente le autofunzioni improprie alla Dirac, ma questo non è per noi unproblema.

18Infatti, ricordando le regole di commutazione canoniche [p j , xk] =−i ħhδ j k , si ha

[p1+ p2, x1− x2] = [p1, x1]− [p2, x2] = 0 .

304 Andrea Carati e Luigi Galgani

Gli autori considerano le osservabili A= −i ħh ∂∂ x1

, momento p1 della particella 1, eB = x1, posizione della particella 1, che hanno autofunzioni improprie rispettivamente

up (x1) = e i p x1

vx (x1) = δ(x − x1) ,(14.3.2)

e mostrano che, nello stato Ψ considerato, se si osserva il momento della prima particellae si trova p, allora la seconda viene ad avere momento −p. Se invece, nello stesso stato,si osserva la posizione della prima particella e si trova x, allora risulta che la posizionedella seconda particella ha un valore definito, esattamente x + x0.

Sulla base di tale esempio, gli autori concludono: “Then, by measuring eitherA (cioè p1) or B (cioè x1) we are in a position to predict with certainty, and withoutin any way disturbing the second system, either the value of the quantity P (cioèp2) ... or the value of the quantity Q (cioè x2)” Quindi, secondo il criterio di“realtà” introdotto nel primo paragrafo (if, without in any way perturbing, ...) laseconda particella, descritta dallo stato quantistico Ψ del sistema totale, avrebberealmente un valore della posizione (se misuro la posizione x1), sia un valore delmomento (se misuro il momento p1). E questo, si noti bene, come conseguenzadegli assiomi della teoria “ortodossa”.

Alcuni commenti.

• Effettivamente non sembra chiarissimo cosa questo argomento di EPR implichi.Infatti da una parte, poiché è a piacimento del primo ooservatore fare in modoche la seconda particella abbia un definito valore della posizione oppure un va-lore del momento (a seconda che il primo misuri posizione oppure momento),allora sembrerebbe ragionevole concludere che tali valori debbano realmente esi-stere indipendentemente dal fatto che avvenga o non avvenga la misura del primoosservatore (perché questi non influenza il secondo): la particella II ha ”realmen-te” sia una posizione sia un momneto. D’altra parte i due corrispondenti valoridipendono dal risultato della misurazione compiuta su I (perché lo stato su cuiprecipita la seconda dipende dallo stato su cui è precipitatata la prima). Quindila particella II non ”ha” dei valori definiti di posizione e momento. Dunque, alminimo resta ancora qualcosa in più da capire.

• Facciamo notare per inciso che. nediante la misurazione di x1 determiniamonon la coordinata x2 della seconda particella , ma più propriamente la differenzax2 − x1, ovvero la distanza della seconda particella dalla prima. Questa osserva-zione è il cuore della critica di Bohr ad EPR, che qui anticipiamo: “Se si conosce laposizione della seconda particella rispetto alla prima, allora ci deve essere un unico si-stema di riferimento inerziale per entrambe, diciamo costituito di connessioni rigide.Quindi una misurazione sulla prima particella, che sappiamo disturbare il sistema di

Invece, ovviamente, si ha [p1+ p2, x1+ x2] 6= 0, corrispondentemente al fatto che momento totalee centro di massa di un sistema composto si comportano come momento e posizione di unaparticella singola, e quindi hanno commutatore uguale a −i ħh.

Fondamenti della fisica: EPR 305

riferimento, attraverso la connessione rigida finisce col disturbare anche la misurazio-ne della seconda particella”. In conclusione (è questa l’osservazione di Boh), nonè vero quanto affermato da Einstein e compagni, ovvero che la misurazione sullaprima particella non perturba la seconda.

• Facciamo anche osservare che questo tipo di informazione sulla particella 2, chesi ottiene mediante osservazioni sulla particella 1 in virtù dell’esistenza di unacostante del moto (x2−x1−x0 oppure p1+ p2 ), potrebbe apparire per certi aspettidel tutto familiare. Si pensi a due amici che partono da Milano per andare uno aNew York e l’altro a Tokyo, e prima di partire abbiano preso ciascuno un guantoo una scarpa da uno stesso paio di guanti e da uno stesso paio di scarpe. Dunque,se il primo amico a Tokyo guarda il guanto che ha in tasca e vede ad esempio cheè destro, egli saprà, senza disturbare l’amico a New York, che l’amico ha il guantosinistro. Oppure, se guarda la scarpa che ha nel sacco e trova che è sinistra saprà,senza disturbare l’amico a New York, che l’amico ha la scarpa destra.

• Tuttavia, relativamente alla precedente osservazione, nel nostro caso si ha un ele-mento nuovo. Perché secondo il postulato di precipitazione non si tratta solodi venire a sapere quale è la scarpa dell’amico a New York, ma del fatto che lascarpa dell’amico a New York assume quella proprietà (essere destra o sinistra)solo quando l‘amico a Tokyo guarda la propria scarpa. Questo sembra essere ilmotivo per cui, nella conclusione dell’articolo, gli autori commentano come illoro argomento indichi che la meccanica quantistica sia una teoria non completa,secondo la definizione che essi avevano dato nel paragrafo 1: “We are thus forcedto conclude that the quantum–mechanical description of physical reality given by thewave function is not complete”. E infine: “While we have thus shown that the wavefunction does not provide a complete description of physical reality, we left open theproblem whether or not such a descripton exists. We believe, however, that such atheory is possible.”

14.4 La risposta di Bohr. I commenti di Einstein e la sua“profonda solitudine” a Princeton

All’articolo di EPR venne fornita una risposta da Bohr, con un articolo dalmedesimo titolo, pubblicato pochi mesi dopo nella medesima rivista.19

Rimandiamo ad una futura nuova versione di queste note una discussione piùdettagliata di tale lavoro. Qui basti ricordare che Bohr contesta la affermazionecentrale di EPR, ovvero che l’osservazione fatta sul sistema I non influenzi inalcun modo il sistema II. Si ricordi quanto avevamo anticipato poco sopra, cioèche il primo oservatore ha una informzione su x2 − x1 e non sulla coordinatax2. Ebbene, Bohr fa notare che, affinché si possa affermare che la seconda parti-cella ha una precisa posizione rispetto alla prima, è necessario che l’apparato dimisura della posizione della seconda particella sia rigidamente connesso con l’ap-parato di misura della posizione della prima. D’altra parte ben sappiamo (come

19N. Bohr, Can quantum–mechanical description of physical reality be considered complete?, Phys.Rev. 48, 696–702 (1935).

306 Andrea Carati e Luigi Galgani

ci ha insegnato Heisenberg) che l’osservazione della posizione della prima par-ticella comporta necessariamente un (incontrollato) trasferimento di momentodalla particella all’apparato di misurazione20, e quindi, a causa della connessionerigida, anche all’apparato di misura della seconda particella. Si avrebbe quindiuna perturbazione anche sulla seconda particella, come se essa fosse osservatadirettamente.

Tra l’altro, nell’articolo Bohr sembra prendersi in qualche modo gioco di Einstein, per-ché nella nota a pag. 701 egli commenta come la necessità di fare ricorso al principio dicomplementarità (che dovrebbe essere, nella terminologia di Bohr, il cuore stesso dellasua obiezione ad EPR) provenga proprio dalla teoria della relatività, e quindi da Einsteinstesso: “Just this circumstance ... ensures the compatibility between the argumentation ou-tlined in the present article and all exigencies of relativity theory ... The writer will discussa very interesting paradox suggested by Einstein concerning the application of gravitationtheory to energy measurements, and the solution of which offers an especially instructiveillustration of the generality of the argument of complementarity.”

L’ “Einstein Festschrift”

La discussione tra Bohr e Einstein ebbe un seguito nel contributo che Bohr scris-se per l’Einstein Festschrift, una serie di articoli che diversi autori scrissero inoccasione del settantesimo compleanno di Einstein, nel 1949 (sei anni prima del-la sua morte, avvenuta nel 1955),21 a ciascuno dei quali Einstein diede una breverisposta (di speciale interesse è la autobiografia scientifica di Einstein, che apre ilvolume) Ma nell’articolo di Bohr non si trova nulla di sostazialmente nuovo. L’u-nico punto rilevante è che, nella sua risposta, Einstein ammette che Niels Bohr èl’autore “that seems to me to have come nearest to doing justice to the problem”.

Vale la pena di riportare tutto il commento, peraltro breve, di Einstein (pag. 682).Anzitutto c’è l’inizio, interessante, dove dice cosa intende per “ortodosso”.

“And now just a remark concerning the discussion about the Einstein–Podolsky–RosenParadox. I do not think that Margenau’s defense of the ”orthodox” quantum position (”ortho-dox” refers to the thesis that the ψ–function characterizes the individual system exhaustively)hits the essential aspects. Of the “orthodox” quantum theoreticians whose position I know,Niels Bohr seems to me to come nearest to doing justice to the problem.”

Poi continua“Translated into my own way of putting it, he argues as follows: If the partial systems A

and B form a total system22 which is described by its ψ–function ψ(AB), there is no reasonwhy any mutual independent existence (state of reality) should be ascribed to the partial sy-stems A and B viewed separately, not even if the partial systems are spatially separated fromeach other at the particular time under consideration. The assertion that, in this latter case,the real situation of B could not be (directly) influenced by any measurement taken on A is,

20Abbiamo già osservato che era questo un cavallo di battaglia di Heisenberg, il quale nededuceva qualitativamente la necessità del principio di indeterminazione.

21P.A. Schilpp, Albert Einstein: philosopher–scientist, Tutor (New York, 1951). Traduzioneitaliana Einaudi (Torino, 1958).

22Qui la notazione non è più quella du EPR. Qui A e B stanno per I e II.

Fondamenti della fisica: EPR 307

therefore, within the framework of quantum theory, unfounded and (as the paradox shows)unacceptable.

Qui dunque Einstein sembra proprio dare ragione a Bohr: secondo la meccanicaquantistica, una ossrevazione sulla particella 1 influisce sulla particella 2. In effetti, lecose sono un poco più complicate, perché subito dopo aggiunge:

“By this way of looking at the matter it becomes evident that the paradox forces us torelinquish one of the two following assertions:

1. the description by means of the ψ–function is complete

2. the real states of spatially separated objects are independent of each other.

On the other hand, it is possible to adhere to (2), if one regards the ψ–function as thedescription of a (statistical) ensemble of systems (and therefore relinquishes (1) ). However,this view blasts the framework of the “orthodox quantum theory”.

Osservazione. Critica di Bohr e località. Si noti che la seconda proprietà indica-ta da Einstein (particelle in posizione mutua di tipo spaziale non si influenzano) vienecomunemente denotata con il nome di località. Dunque Einstein afferma che sarebbepossibile una teoria locale a variabili nascoste. Vedremo che il contributo di Bell consi-sterà proprio nel dimostrare che invece dovrebbe essere impossibile una teoria locale aparametri nascosti. Ma. come anche vedremo. forse le cose sono ancora più complicate.

La “profonda solitudine” di Einstein

Dunque Einstein sembrò dare in qualche modo ragione a Bohr, anche se nonappariva completamente convinto. Egli “sentiva” che “c’era ancora qualcosa dacapire”, ma non era in grado di portare questa sensazione ad produrre qualcheproposta di teoria che portasse a delle formule concrete. Come abbiamo ripetuta-mente sottolineato in queste note, in fisica, al di là delle affermazioni di principio,sono le formule quelle che “fanno una teoria”.

In ogni caso, in qualche modo la comunità scientifica (un entità sociologicadifficile a definirsi, ma avente una realià ben corposa – non dice Einstein stessoche esistono i fisici “ortodossi” ?) si convinse che Einstein avesse sostanzialmentetorto. Questo è ben testimoniato dal lavoro che Heisenberg scrisse nel 1955 in oc-casione del convegno organizzato per il settantesimo compleanno di Bohr.23 Intale lavoro, dedicato proprio a questioni di fondamento (si osservi il titolo: “Thedevelopment of the interpretation of the quantum theory” ), Heisenberg neppuremenziona il lavoro EPR, come se per delicatezza non volesse infierire su Ein-stein, approfittando di una sua “bufala”, potremmo dire, o se vogliamo di unasua “svista”. Si capisce così, per inciso, come sia potuto accadere che Einstein, inuna sua celebre lettera a Schroedinger in cui discute brevemente il “paradosso delgatto”, confessasse di trovarsi a Princeton “in prodonda solitudine”.24

23W. Heisenberg, The development of the interpretation of the quantum theory, in Niels Bohr andthe development of Physics, edited by W, Pauli, L. Rosenfeld e V. Weisskopf, Pergamon Press (NewYork, 1955).

24Letters between Einstein and Schroedinger Przbaum ed.

308 Andrea Carati e Luigi Galgani

Molto interessante, per quanto riguarda i rapporti della comunità scientifica con Ein-stein, è anche l’atteggiamento di Born, che si trova illustrato particolarmente in tre ar-ticoli raccolti nel volumetto M. Born, Physics in my generation, Springer Verlag (NewYork, 1969). Born cita il lavoro EPR (aderendo al giudizio di Bohr) nel suo contribu-to al volume per i settanta anni di Einstein (pag. 53 del citato volumetto Physics in mygeneration). Ma poi non lo cita più, né nella sua “Nobel Lecture” del 1955 dal titolo “Sta-tistical interpretation of quantum mechanics” (pag. 89 del citato libretto), né nel lavoro“In memory of Einstein” (pag. 155). Nel primo di questi tre lavori, dopo avere descrittoi grandi contributi di Einstein dell’inizio secolo dice: “That is the core of the young Ein-stein, thirty years ago... The Einstein of today is changed...” (pag. 62). E nell’ultimo deitre lavori, a pag. 163, dopo avere ricordato una corrispondenza con Einstein a propositodelle relazioni tra dinamica e probabilità, dicendo che “the resulting correspondence is ajumble of misunderstandings, and some of his letters reveal a little irritation”, a pag. 164

dice addirittura “This is a way of thinking diametrically opposed to Einstein’s own, and it isnot surprising that he looked upon me as a renegade”. Testimonianze analoghe si trovanoripetutamente nelle lettere tra Einstein e Born, pubblicate e commentate da Born stesso.

14.5 Il contributo di Bell

Nonostante la solitudine di Einstein, il problema sollevato da EPR tornò in augenel 1964 con un lavoro di Bell.25 Tale autore, pur confessando di essere con ilcuore dalla parte di Einstein, portò un contributo che apparentemente andava indirezione contraria.

Egli infatti stabilì una disuguaglianza che deve essere soddisfatta da certe correlazioni26,se queste sono calcolate nell’ipotesi che esistano parametri nascosti, e mostrò che tale di-suguaglianza non è soddisfatta dai valori di aspettazione calcolati secondo le prescrizionidella meccanica quantistica.

In ogni caso, Bell ebbe il merito di contribuire alla discussione conferendo-le un carattere nuovo, perché la dimostrazione della disuguaglianza può esseresottoposta non solo a un vaglio logico abbastanza stretto, ma anche a verificasperimentale.

Seguirono infatti lavori sperimentali, di cui i più noti sono quelli di Aspect, 27 28 chesono comunemente interpretati come evidenza contro l’esistenza di parametri nascosti.

25J.S. Bell, Physics 1, 195 (1964), in J.S. Bell, Speakable and unspeakable in quantum mechanics,Collected Papers, Cambridge U.P. (Cambridge, 1987).

26Valori di aspettazione – o valori medi – del prodotto di due osservabili aventi ciascuna valormedio nullo.

27A. Aspect, J, Dalibard, G. Roger, Experimental test of Bell’s inequalities using time–varyinganalyzers, Phys. Rev. Lett. 49, 1804–1807 (1982); A. Aspect, Phys. Lett. 54A, 117 (1975); Phys. Rev.D 14, 1944 (1976); A. Aspect, P. Granger, G. Roger, Phys. Rev. Lett. 47, 460 (1981); 49, 91 (1982).

28Si veda anche J.F. Clauser, A. Shimony, Rep. Progr. Phys. 41, 1981 (1978); J.F. Clauser, M.A.Horne, A. Shimony, R.A. Holt, Phys. Rev. Lett. 23, 880 (1969); J.F. Clauser, M.A. Horne, Phys.Rev. D10, 526 (1974); G. Bertolini, E. Diana e A. Scotti, Nuovo Cimento 63B, No. 2 (1981).

Fondamenti della fisica: EPR 309

Ma soprattutto la dimostrazione mette chiaramente in luce il ruolo svoltodalle ipotesi esplicitamente introdotte, particolarmente da una cosiddetta “vitalassumption”, che sostanzialmente ammonta a richiedere che la misurazione suuna particella non abbia alcuna influenza su quella lontana. Si tratta della cosid-detta “ipotesi di località”, che sembrerebbe richiesta dalle prescrizioni della teoriadella relatività.

Questo in effetti è il cuore dell’osservazione di Bohr, il quale aveva proprioobbiettato che, in virtù del principio di indeterminazione, si ha invece una per-turbazione sulla particella “non osservata”. Qui in certo senso continua il dialo-go tra sordi.29 Da una parte Bohr dice che c’è una influenza lontana, dovuta alprincipio di indeterminazione, e i suoi amici sembrano non citare Einstein perdelicatezza. Dall‘altra parte si insiste su fatto che questo sembra contraddire larelatività. Forse è per questo che Bell non cita mai Bohr, come se per delicatezzanon volesse sottolineare che questi avesse preso un abbaglio. rispetto ai requisitidella teoria della relatività.

E in effetti, nella nota 2 Bell riporta la seguente frase di Einstein, che egli ritiene centra-le. “But on one supposition we should, in my opinion, absolutely hold fast: the real factualsituation of the system S2 is independent of what is done with the system S1, which is spa-tially separated from the former” (pag. 85 del colume per il settantesimo compleanno diEinstein).

La situazione sembra dunque essere piuttosto intricata. Come si vedrà, ipresenti autori ritengono di potere mostrare che hanno ragione entrambi i gruppidi persone, anzi più di tutti avrebbe ragione Einstein, che riconosceva le ragionidi Bohr, ma manteneva tuttavia una riserva.

In ogni caso, il lavoro di Bell aprì nuovi orizzonti, aprendo la via a teleporta-tion, crittografia quantistica ed altro, di cui comunque qui non ci occuperemo

La disuguaglianza di Bell

Nella introduzione al suo lavoro,30 Bell enuncia il problema nella maniera se-guente. “The EPR paradox was advanced as an argument that quantum mechanicscould not be a complete theory, but should be supplemented by additional variables.These additional variables were to restore to the theory causality and locality. In thisnote that idea will be formulated mathematically and shown to be incompatiblewith the statistical predictions of quantum mechanics. It is the requirement of lo-cality, or more precisely that the result of a measurement on one system be unaffectedby operations on a distant system with which it has interacted in the past, that createsthe essential difficulty.”

29Queste parole “dialogo rea sordi” si trovano proprio in un commento di Born nell’epistolariotra lui ed Einstein.

30J.S. Bell, Physics 1, 195 (1964), in J.S. Bell, Speakable and unspeakable in quantum mechanics,Collected Papers, Cambridge U.P. (Cambridge, 1987).

310 Andrea Carati e Luigi Galgani

Si noti per inciso che qui Bell sembra completamente ignorare la critica di Bohr, ovveroche l’osservazione sulla prima particella perturba anche la seconda. Anzi, non cita maiBohr.

Poi, nel secondo paragrafo, Bell formula il problema riferendosi alla versionedell’argomento EPR che era stata data pochi anni prima da Bohm, e particolar-mente da Bohm e Aharonov31. Si considerano ancora due particelle che hannointeragito, si separano e vengono osservate quando sono lontane, con la sola dif-ferenza che le osservabili incompatibili che si misurano sono, invece di posizionee momento, le componenti dello spin (si considerano particelle di spin 1/2) intre direzioni diverse (ricordiamo che le relazioni di commutazione per le com-ponenti dello spin sono le medesime che valgono in generale per le componentidel momento angolare). Il sistema viene preparato inizialmente in uno stato disingoletto. Questo comporta che se si osservano le componenti degli spin delledue particelle lungo una medesima direzione, allora certamente le due misurazio-ni devono dare risultati opposti. “Consider a pair of spin one-half particles formedsomehow in the singlet spin state and moving freely in opposite directions. Measu-rements can be made, say by Stern–Gerlach magnets, on selected components of thespins S1, S2 32 If (nello stato di songoletto) measurement of the component S1

a = S1 ·a,where a is some unit vector, yields the value +1 (in unità ħh/2) then, according toquantum mechanics, measurement of S2

a yields the value −1 and vice versa.”La condizione di singoletto verrà utilizzata nel seguente modo. Intendiamo

occuparci delle misurazioni della componente dello spin di uno dei due sottosi-stemi, diciamo il primo (Bell scambia tra loro il primo e il secondo sottosistema,rispetto ad EPR), in direzioni diverse, diciamo due direzioni a, b, mentre eviden-temente su ogni singolo sottosistema è possibile eseguire misurazioni ogni voltasolo in una direzione, diciamo a. A questo rimediamo, preparando il sistema to-tale nello stato di singoletto e misurando il sottosistema che ci interessa (il primo)nella direzione a e il secondo nella direzione b. Dunque il risultato osservato sulsecondo assicura che il primo, se fosse stato osservato nella medesima direzioneb, avrebbe dato un risultato ben preciso, opposto a quello osservato sul secondo:nello stato di singoletto si è garantiti che vale

S1a = −S2

a . (14.5.1)

Questo è l’analogo di quanto avveniva per il momento nell’esempio consideratoda EPR: se osservo che la prima particella ha momento p, allora la seconda hamomento −p. (si ricordino i guanti destro e sinistro dei due amici).

Poi Bell aggiunge: “Now we make the hypothesis, and it seems one at least worthconsidering, that if the two measurements are made at places remote from one ano-ther the orientation of one magnet does not influence the result obtained with theother. Since we can predict in advance the result of measuring any chosen component

31D. Bohm, Y. Aharonov, Phys. Rev. 108, 1070 (1957).32Bell denota S j , j = 1,2, con la lettera σ j .

Fondamenti della fisica: EPR 311

of S2, by previoulsy measuring the same component of S1, it follows that the resultof any such measurement must actually be predetermind. Since the initial quantummechanical wave function does not determine the result of an individual measure-ment, this predetermination implies the possibility of a more complete specificationof the state.”

Dunque, Bell introduce l’ipotesi dei parametri nascosti, cioè che le osserva-bili abbiano effettivamente dei valori, i quali sono individuati dall’assegnazionedi variabili non accessibili alle osservazioni, che egli denota con λ. Si ammetteallora che i valori effettivamente osservati in una successiva misurazione corri-spondano ai valori medi (o valori di aspettazione) rispetto a una distribuzione diprobabilità assegnata per i parametri nascosti, come avviene im meccanica clas-sica quando si assegna una densità di probabillità ρ nello spazio delle fasi delsistema considerato.

Nel nostro caso avremo allora due osservabili S1a , S2

b, spin della particella 1

nella direzione a e spin della particella 2 nella direzione b (si tratta di direzio-ni arbitrarie, considerate come parametri), ciascuna con valori possibili ±1 (ilvalore dello spin in unità ħh/2). E Bell aggiunge:

“The vital assumption is that the result S2b for particle 2 does not depend on the setting a of

the magnet for particle 1, nor S1a on b”.

Abbiamo già fatto osservare che questa ipotesi è proprio quella criticata daBohr, il quale affermava che l’osservazione della posizione di una particella per-turba il valore del momento dell’altra. D’altra parte, osservatori in posizionemutua spacelike non dovrebbero influenzarsi, dice Bell.

In ogni caso, Bell continua:“If ρ(λ) is the probability density of λ, then theexpectation value of the product of the two components is33

E(S1a S2

b) =∫

dλρ(λ) S1a (λ)S

2b(λ) . (14.5.2)

This should equal the quantum mechanical expectation value, which for the singletstate is (questo risultato, che Bell dà per noto, è dimostrato qui in Appendice34)

E q (S1a S2

b) = −a ·b . (14.5.3)

But it will be shown that this is not possible.”Dunque abbiamo a che fare con delle correlazioni. Ricordiamo che nella

teoria delle probabilità viene chiamata correlazione di due variabili casuali A, Bil valor medio (o aspettazione) del prodotto meno il prodotto dei valori medi.

33Diversamente da Bell, denotiamo con E invece che con P il valore medio, o valore di aspet-tazione. Inoltre Bell usa la notazione P (a,b) invece di P (S1

a , S2b). Questa notazione è un po’ infe-

lice, perché in seguito le due notazioni a, b si riferiranno a due direzioni diverse della medesimaparticella.

34Non ancora scritta. La dimostrazione si può trovare nella Appendice B alla tesi di ChiaraPassoni, reperibile nella home page di Luigi Galgani, alla voce Archivio.

312 Andrea Carati e Luigi Galgani

Nel nostro caso, le due variabili casuali hanno valor medio nullo, e quindi lacorrelazione è semplicemnte il valor medio del prodotto.

La impossibilità di riprodurre la correlazione quantistica (14.5.3) con unateoria a parametri nascosti, almeno nelle ipotesi formulate da Bell, viene da luiprovata nel paragrafo 4 (dal titolo Contradiction), come immediata conseguenzadella seguente disuguaglianza (di Bell, per l’appunto)

|E(S1a S2

b)− E(S1a S2

c )| ≤ 1+ E(S1b S2

c )) , (14.5.4)

che dimostreremo poco più sotto.

In questa disuguaglianza si considerano due particelle preparate (a Milano) in stato disingoletto e inviate una verso New York e l’altra verso Tokyo. Le osservazioni sono fattelungo tre possibili direzioni di versori a, b, c.

Che questa disuguaglianza non sia soddisfatta in MQ, si vede immediata-mente. dalla (14.5.3). Infatti se la correlazione E(S1

a S2b) coincidesse con quella

quantistica data dalla (14.5.3), la disuguaglianza di Bell prenderebbe la forma

|a ·b− a · c| ≤ 1−b · c (14.5.5)

per ogni terna di versori a,b,c. Se ora prendiamo i tre versori complanari, con a,b ortogonali, diciamo con b che forma un angolo π/2 con a, e inoltre c compresotra di loro formando un angolo ϑ con a, avremmo

cosϑ+ sinϑ ≤ 1 , 0<ϑ <π/2 .

Ma questa è ovviamente non soddisfatta.35 36

Riconduzione a una forma più semplice

Per la dimostrazione, conviene trasformare la disuguaglianza in un’altra, checoinvolge solo tre osservabili (anziché quattro). Ciò si ottiene subito usandola proprietà di singoletto, ad esempio nella forma S1

b =−S2b (e la linearità dell’a-

spettazione), sicché si tocca il secondo membro e la la disuguaglianza prende laforma

|E(S1a S2

b)− E(S1a S2

c )| ≤ 1− E(S2b S2

c ) . (14.5.6)

Nella dimostrazzione della disuguaglianza di Bell, mescoleremo le notazionidi Bell con quelle di Accardi,37 e quindi riformuliamo prima la disugiaglianza in

35Basta prendere il quadrato di ambo i membri e si resta con la disuguaglianza sin (2ϑ)< 0 con0<ϑ <π/2.

36Nel suo lavoro Bell mostra questa incompatibilità dando prima un argomento generale, relati-vo a quello che avviene nella formula (14.5.5) quando c è prossimo a b. Infatti il secondo membroraggiunge il minimo proprio per b− c= 0, ed è quindi quadratico in |b− c| in un intorno dello 0,mentre il primo membro è lineare. Nelle sue parole: “Unless E is constant, the left hand side is ingeneral of order |b−c| for small |b−c|. Thus E(S1

b S2c ) cannot be stationary at the minimum value (−1)

at b = c, and cannot equal the quantum mechanical value (14.5.3).”. Poi riporta una dimostrazionedella incompatibilità alquanto più complicata di quella data qui.

37L. Accardi, Urne e camaleonti, Il Saggiatore (Milano, 1997).

Fondamenti della fisica: EPR 313

queste ultime notazioni. Si considerano tre variabili casuali (random variables)A, B , C . Nel caso di Bell si tratta delle componenti dello spin in unità ħh/2 dellaparticella 1 o della particella 2 in una delle tre direzione a, b, c, precisamenteusiamo le notazioni

A= S1a , B = S2

b , C = S2c .

Comunque, questo è irrilevante, e l’unica cosa di cui si fa uso è che si tratta divariabili casuali che possono assumere solo i valori ±1.

Ci occupiamo ora delle correlazioni di tali osservabili, ovvero delle aspetta-zioni di prodotti di due tali variabili (che hanno media nulla), ad esempio E(AB),dove il valor medio o di aspettazione è definito come in ogni teoria probabilistica,tipicamente nella forma E(A) =

D A(λ)ρ(λ)dλ, dove D è un dominio assegnato(è questo punto, riguardante il dominio, il punto delicato della dimostrazione).Allora si ha

Disuguaglianza di Bell. Si considerino tre variabili casuali (random varia-bles) A,B ,C che possono assumere solo i valori ±1 (“variabili dicotomiche” ), e sidenoti con E il valore di aspettazione rispetto ad una assegnata distribuzione diprobabilità. Allora vale la disugaglianza

|E(AB)− E(AC )| ≤ 1− E(BC ) , (14.5.7)

ovvero: la differenza delle aspettazioni relative a due coppie di variabili casuali, invalore assoluto, è maggiorata da 1meno l’aspettazione relativa alla terza coppia.

Dimostrazione. Si osserva anzitutto che si ha

E(AB)− E(AC ) = E(AB −BC ) = E�

AB (1−AC/AB)�

= E�

AB (1−BC )�

.

Abbiamo usato nel primo passaggio la linearità del valore di aspettazione (fattoche sembrerebbe banale,38 ma che è il punto cruciale della futura critica chefaremo) e, nell’ultimo passaggio, il fatto che B = 1/B (questo è veramente banale,perché abbiamo assunto B =±1). Si ha allora (dato che il modulo di un integraleè minore o uguale all’integrale del modulo, e che |AB |= 1)

|E(AB)− E(AC )| ≤ E(|1−BC |) .

Si osserva infine che vale1−BC ≥ 0

ancora perché B ,C =±1, sicché il prodotto BC assume solo i valori±1, e quindi1−BC assune solo i valori 0 e 2. Dunque

E(|1−BC |) = E(1−BC ) = 1− E(BC ) .

Osservazione 1: Sul ruolo della “vital assumption”. Vogliamo qui mettere in rilievoquale è il punto della dimostrazione in cui svolge un ruolo essenziale la “vital assump-tion”. Se cade la “vital assumption”, si deve ammettere che l’atto di misurazione del

38Si ricordi E(A) =∫

ρ(λ)A(λ)dλ.

314 Andrea Carati e Luigi Galgani

sistema, che si compie fissando l’assetto o setting degli strumenti di misura, ad esempioa Tokyo, disturbi la misurazione del sistema lontano, a New Yoork. Allora i valori diaspettazione dovranno essere calcolati rispetto a distribuzioni di probabilità che sonodiverse per ogni coppia di assetti o setting. Si ha ad esempio una densità di probabilitàρab quando ci si riferisce a un setting con la direzione a per l’osservazione a Tokyo, e bper l’osservazione del sistema a New York. In teoria delle probabilità questo si esprimedicendo che si tratta di probabilità condizionate in maniera diversa, e l’aspettazione con-dizionata viene denotata esplicitamente in maniera corrispondente. Invece di E(·), la sidenota ad esempio con E(·|a,b).

In conclusione, se cade la “vital assumption” la disuguaglianza di Bell non dovrebbeessere scritta nella forma (14.5.4), ma piuttosto nella forma

|E(S1a S2

b|ab)− E(S1a S2

c |ac)| ≤ 1+ E(S1b S2

c |bc) . (14.5.8)

Ma allora, se si cercasse di ripercorrere la dimostrazione data sopra, ci si arresterebbeaddirittura al primo passaggio, perché evidentemente, quando si hanno condizionamentidiversi, non vale più la linearità dell’aspettazione (l’integrale, su un certo dominio, dif + g è in generale diverso dalla somma degli integrali di f e di g , calcolati su duedomini diversi dal dominio dato). In appendice verrà illustrato come una trattazionedell’elettrone classico di Dirac conduca in maniera naturale ad avere parametri nascostiambientati in spazi di probabilitìà, che sono diversi, a seconda dei diversi setting. In talmodo, ad ogni coppia di setting corrisponde uno spazio di probabilità diverso, e quindila vital assumption (un unico spazio di probabilità, qualunque sia la coppia di setting)viene a cadere automaticamente, senza alcuna forzatura sul modello.

Osservazione 2 : Il ruolo del test di coincidenza. Aggiungiamo qui un altroelemento che si deve tenere presente nella discussione. Ringraziamo L. Accardi ed A.Scotti per le lunghe conversazioni avute con loro a questo proposito.

Fin dal lavoro di EPR, si resta con l’impressione che si discuta di situazioni speri-mentali in cui si compie una osservazione sul sistema I, diciamo a New York, e indipen-dentemente un’altra osservazione sul sistema II, ad esempio a Tokyo. Ma non è affattocosì, perché in tutti gli esperimenti che di solito si eseguono, a partire da quello già citatodi Aspect, i due rivelatori devono comunicare con un comune osservatore, ad esempio aMilano, dove era stato prodotto il sistema globale I + II, che poi si disintegra mandan-do le due particelle in direzioni opposte. Si tratta del fatto che non si manda una solacoppia di particelle, ma tutto un fascio di particelle, e allora bisogna garantirsi che le dueparticelle effettivamente osservate sono gemelle, cioè provengono da una ben definitacoppia iniziale, cioè siano state create insieme in uno stato entangled. Negli esperimentiquesto fatto viene controllato con un test di coincidenza. In altri termini, i due rive-latori (a New York e a Tokyo) ricevono moltissimi segnali, e poi l’osservatore che difatto compie l’esperimento (a Milano) raccogliendo le registrazioni dei due apparati dimisura, seleziona tra tutti i segnali le coppie che hanno superato il test di coincidenza, ecompie la statistica solo su tale campione, selezionato a partire dalle informazioni brute.Si compie in tal modo, come si dice, una analisi condizionata dei segnali, e quindi direm-mo in ambito probabilistico che stiamo considerando valori di aspettazione condizionati.Il condizionamento avviene in effetti non solo attraverso il test di coincidenza, ma ancheper il fatto che i due rivelatori si trovano ad avere degli assetti (setting), o direzioni n1,n2, ben definiti, come ad esempio la coppia n1 = a, n2 = b, oppure la coppia n1 = a,n2 = c, ed ogni coppia di segnali accettati corrisponde ad una ben definita coppia si set-ting (assetti). Inoltre, si considerano orientamenti, ad esempio b, che devono essere imedesimi per i due osservatori lontani.

Fondamenti della fisica: EPR 315

14.6 Il punto di vista di Accardi. Urne e camaleonti. Ilproblema delle due fenditure e la legge di Bayes.

Luigi Accardi è un matematico italiano che ha studiato probabilità a Mosca neglianni 1970, quando Mosca era il centro della matematica mondiale. Il più anzianodei presenti autori ha assistito personalmente alla discussione della sua tesi di dot-torato, alla Università di Mosca nel 1974, davanti a una commissione presiedutada Kolmogorov, con interventi di celebri studiosi, tra i quali Gelfand. Accardiha un profondo interesse per il problema dei fondamenti della Meccanica Quan-tistica, e i suoi studi su questo argomento lo hanno portato a fondare un filonedella matematica che va sotto il nome di Probabilità Quantistica. Sul problemadelle disuguaglianze di Bell egli ha un punto di vista originale, che si trova espo-sto in forma divulgativa in un suo libro,39 in una forma dialogica che vorrebbeispirarsi a quella dei Dialoghi galileiani. Ciò rende l’esposizione interessante let-terariamente, ma un poco di difficile lettura. Inoltre l’autore si concede il lussodi prendere un po’ in giro diversi autori, più o meno celebri, e questo gli haprocurato non poche difficoltà nella comunità scientifica.

Noi riteniamo che il suo punto di vista sia interessante e colga un aspettomolto profondo del problema, sicché sia utile cercare di esporlo. Per fare ciònella maniera più semplice e concisa, faremo riferimento ad un esempio che a luiè particolarmente caro. Si tratta del classico problema delle due fenditure, cherisulta illuminante per comprendere il ruolo della disugiaglianza di Bell.

Sul ruolo delle probabilità condizionate

Il problema che discutiamo ha un aspetto generale, che riguarda le condizionidi compatibilità di certe probabilitù condizionate. Cominciamo a consideare unesempio, che riguarda il Problema dell’esistenza della misura di Gibbs. Si abbia unsistema di spin sui siti di un reticolo infinito, anche semplicemente monodimen-sionale. Formalmente si può assegnare una energia a ogni configurazione deglispin, e quindi si potrebbe ingenuamente pensare di potere definire la ben nota efamiliare misura di Gibbs, proporzionale ad exp(−βH ), dove H è l’hamiltonia-na del sistema. Ma si vede facilmente che non è facile dare senso preciso alle serieche si devono sommare nel compiere tale procedimento, e dunque si cominciaa definire la misura su segmenti finiti del reticolo. Poi bisogna accertarsi che ta-li “misure parziali” siano compatibili tra di loro, perché solo in tal caso si puòestendere la misura a tutto il reticolo infinito (mostrare l’esistenza della misuradi Gibbs, come si dice).

Ora, quelle che abbiamo chiamato “misure parziali” sono in effetti delle “mi-sure condizionate”. Il problema consiste allora nel garantirsi che tali “probabilitàcondizionate” siano mutualmente compatibili, perché questo garantisce allora

39L. Accardi, Urne e camaleonti, Il Saggiatore (Milano, 1997).

316 Andrea Carati e Luigi Galgani

l’esistenza della misura di Gibbs.40 Ma ancor di più. Questi risultati sull’esisten-za della misura di Gibbs, iniziati a Mosca da Dobrushin, e ben noti ad Accardi,costituiscono in effetti una estensione, al caso di sistemi interagenti, del primofondamentale risultato ottenuto da Kolmogorov nel suo celebre lavoro del 1933,in cui egli formulò matematicamente la moderna teoria delle probabilità.41 An-che in tale lavoro si aveva il problema di definire una misura di probabilità, quan-do erano assegnate delle “misure parziali”, cioè delle probabilità condizionate,su certi insiemi che erano detti insiemi cilindrici, e Kolmogorov mostrò comela misura globale esiste quando le probabilità condizionate soddisfano certe pre-cise condizioni di compatibiltà. Infine, come ultima osservazione preliminarea questo proposito, vogliamo ricordare che il problema di trovarsi di fronte acerti dati, analoghi a probabilità condizionate, e di cercare di interpretarli comecorrispondenti ad “eventi” entro un ben definito ambito probabilistico, sia unproblema comunissimo nell’ambito della statistica matematica. Gli statistici san-no benissimo che i dati empirici debbono soddisfare ad opportune condizioni diconsistenza o di coerenza affinché questo sia possibile.

Sostanzialmente la tesi di Accardi sembra essere che le disuguaglianze di Bellsiano da comprendersi come condizioni di consistenza di questo tipo, e che ilpiù semplice esempio sia proprio quello delle due fenditure, che ora passiamo adillustrare.

Probabilità congiunta e probabilità condizionata. La legge di Bayes

Naturalmente, si richiede di avere un minimo di nozioni sul calcolo delle pro-babilità, ma qui, almeno per cominciare ad illustrare il problema, quello che ririchiede è veramente pochissimo. Basta riferirsi alla situazione più semplice pos-sibile, quella con un numero finito di eventi, come il gioco dei dadi. Ci sonosei eventi elementari: esce 1, oppure 2, . . ., oppure 6. Sappiamo fare l’unionee l’intersezione di eventi, e quindi abbiamo a che fare con insiemi, con la loroalgebra rispetto alle operazioni di unione e intersezione che conosciamo, e infineabbiamo una misura, cioè una legge che assegna ad ogni insieme un numero posi-tivo (o nullo), con la condizione che l’insieme totale (evento certo) ha misura 1.La probabilità P (A) di un evento A è semplicemente definita come la misura delcorrispondente insieme. Nel caso dei dadi, la misura di un insieme proviene dauna misura assegnata agli eventi elementari, ad esempio 1/6 a ciascuno di essi nel

40Un proprietà cruciale che debbono avere le probabilità condizionate è che le corrispondenticorrelazioni spaziali tra due segmenti disgiunti decada a zero abbastanza rapidamente all’aumen-tare della distanza tra i segmenti. Problemi di questo tipo sono stati studiati in Italia, con sing-nificativi risultati, dalla scuola di Fisica Matematica di Roma. Recentemente, una applicazionesignificativa di tali metodi è stata data a Milano nella dimostrazione di proprietà di stabilità, nelsenso della teoria delle perturbazioni, per sistemi di tipo Fermi Pasta Ulam al limite termodina-mico, metre i risultati noti in precendenza non erano estendibili al limite di infinite particelle atemperatura non nulla. Si veda A. Carati, L. Maiocchi, preprint.

41Una traduzione italiana è stata resa disponibile da Accardi, e cercheramo di procurarcela emetterla in rete.

Fondamenti della fisica: EPR 317

caso di dadi non truccati. Due concetti fondamentali sono quelli di probabilitàcongiunta e probabilità condizionata, che denoteremo rispettivamente con

P (A∩B) , P (A|B) .

L’evento “avviene A e anche B” corrisponde all’insieme intersezione degli insiemicorrispondenti rispettivamente ad A e a B , e la sua probabilità è semplicementela misura di quella intersezione: questa è la probabilità congiunta di A e B , de-notata con P (A∩B). Quando si parla di probabilità condizionata di A “dato B”,denotata con P (A|B), ci si riferisce invece alla probabilità di A se abbiamo l’infor-mazione che è avvenuto B . Allora si fa una cosa semplicissima e ragionevole: ci sirestringe a considerare l’insieme B (di cui sappiamo che è avvenuto) e anche tuttii suoi sottoinsiemi; invece, tutto quanto riguarda quello che è fuori di B (fuoridell’insieme corrispondente) lo rimuoviamo dalla nostra mente. Naturalmenteora dovremo rinormalizzare la misura di B , perché è B l’evento certo, ovveroil suo insieme rapprsesentativo è l’insieme “totale”, che dunque deve ora averemisura 1. Formalmente questo si ottiene definendo

P (A|B) =P (A∩B)

P (B). (14.6.1)

Si tratta della celebre legge di Bayes.Questa definizione di probabilità condizionata viene data riferendosi alla pre-

cedente nozione di probabilità congiunta, definita facendo riferimento alla mi-sura a priori asegnata sull’insieme totale. Ma il punto sottile è che in tutte lesituazioni che si incontrano è invece la probabilità condizionata che svolge unruolo fondante. Infatti, ogni volta che vogliamo ragionevolmente introdurre laprobabilità di un evento, ci troviamo sempre nel caso in cui ci attendiamo diosservare quell’evento in una certa definita situazione. Ad esempio mi chiedola probabilità di incontrare mio fratello a Milano sapendo che abita a Torino enon avendo nessuna altra notizia su di lui (primo caso), oppure sapendo anche(secondo caso) che questa sera lui ha programmato di venire a Milano per andarea sentire un’opera alla Scala. Dunque tutte le probabilità sono condizionate, edi solito lasciamo sottintese le informazioni che abbiamo a priori sui possibilieventi. Ma la cosa è profonda. Ad esempio, il celebre Keynes, premio Nobelper l’economia, che faceva parte del famoso circolo di Cambridge insieme conRussell e diversi altri, scrisse un noto libro sulla probabilità,42 e lungo tutto illibro, sempre, fino quasi alla noia, quando parla della probabilità di un evento, ladenota come una probabilità conidizionata, con un simbolo simile a quello cheabbiamo usato sopra. Per questo motivo, si preferisce considerare le probabilitàcondizionate come enti primitivi, come dati sperimentali, e porsi il problema sesia poi possibile trovare un comume spazio di probabilità (con una sua algebradi eventi su cui sia definita una misura di probabilità), nel quale le probabilità

42J.M. Keynes, A treatise on probability, Mcmillan (Londra, 1948).

318 Andrea Carati e Luigi Galgani

condizionate si possano poi esprimere in termini di quelle composte medianteuna inversione della relazione (14.6.2), ovvero come

P (A∩B) = P (A|B)P (B) . (14.6.2)

Questo però richiede che le probablità condizionate siano mutuamente compati-bili.

L’esempio delle due fenditure

A questo punto, quanto qui richiamato dovrebbe essere sufficiente per venire al-l’esempio della due fenditure, in cui viene bene illustrato il ruolo delle condizionidi compatibiltà, che si esprimono mediante una semplice disuguaglianza, analogaalla disuguaglianza di Bell.

La discussione viene svolta da Accardi nel capitolo VI del suo libro, e il cuoreè esposto alle pagine 278, 279. Egli ricorda anzitutto come il problema vienetrattato da Feynman, in un modo (qui illustrato in appendice) che già Koopmanaveva giudicato non soddisfacente. Accardi invece lo riformula nel modo seguen-te. Consideriamo un fascio di particelle che incidono su uno schermo in cui sonopraticati due fori o due fenditure, 1 e 2, e vengono poi raccolte ed osservate suun secondo schermo. Si considerano i seguenti eventi, tutti relativi al caso in cuientrambe le fenditure sono aperte:43

1. X : la particella arriva nella regione X del secondo schermo

2. 1 : la particella passa per il foro 1 (e arriva poi in qualche punto del secondoschermo)

3. 2 : la particella passa per il foro 2 (e arriva poi in qualche punto del secondoschermo)

4. X ∩ 1 : la particella arriva in X e passa per il foro 1

5. X ∩ 2 : la particella arriva in X e passa per il foro 2 .

Accardi introduce poi le probabilità condizionate P (X |1), probabilità che laparticella arrivi nella regione X quando solo il foro 1 è aperto, e P (X |2), pro-babilità che la particella arrivi nella regione X quando solo il foro 2 è aperto,e le considera come quantità empiriche, date dalle osservazioni. Si pone allorail problema se sia possibile senza contraddizione, mediante le familiari relazio-ni (14.6.2) tra probabilità composta e probabilità condizionata, ottenere delle

43Nei punti 4 e 5, invece di dire che “la particella passa per il foro 2” oppure “passa per il fo-ro 2”, sarebbe più appropriato dire “la particella arriva nella regione X essendo uscita dal foro1” oppure “dal foro 2” (e analogamente nei punti 2 e 3). Infatti la particella potrebbe girare trai due fori e infine, provenendo da uno di loro, giungere in X . Una situazione di questo tipo siverifica nell’analogo classico dell’effetto tunnel nell’ambito dell’elettrodiamica di Dirac, che illu-streremo nel prossimo paragrafo. Comunque, in una prima lettura è forse meglio trascurare questaprecisazione, concentrandosi sull’aspetto centrale in discussione.

Fondamenti della fisica: EPR 319

probabilità congiunte (oggetti matematici incogniti), a partire dalle probabilitàcondizionate (quantità empiriche). Nelle sue parole: (pag. 276): Quando vuoifare ciò, “non stai semplicemente applicando le leggi della probabilità classica, mastai introducendo l’ipotesi che esistano quattro numeri

x = P (1) , y = P (2) , z = P (X ∩ 1) , t = P (X ∩ 2)

che non possono corrispondere a nessuna grandezza valutabile sperimentalmente.cioè non sono confrontabili con nessuna frequenza relativa effettivamente misurabi-le”. Questo è un punto cruciale. Infatti, se compio una misurazione per consta-tare se la particella passa per 1 o per 2, perturbo il sistema e sto considerandoun altro esperimento. Dunque x, y, z, t sono incognite e non corrispondono adei dati empirici. Invece sono dati empirici P (X |1) e P (X |2) oltre, naturalmen-te, a P (X ) che rappresenta il risultato stesso dell’esperimento, corrispondente adentrambe le fenditure aperte.

Ora, Accardi osserva che queste quattro incognite non possono essere arbitra-rie. Esse innanzitutto devone essere positive, e poi devono soddisfare le seguentirelazioni, in cui i dati empirici comppiaono a destra, come quantità assegnate:

P (1)+ P (2) = 1P (X ∩ 1)+ P (X ∩ 2) = P (X )

P (X ∩ 1)P (1)

= P (X |1)

P (X ∩ 2)P (2)

= P (X |2) .

(14.6.3)

Abbiamo già denotato con x, y, z, t le quattro incognite del problema. Intro-duciamo altre notazioni, a, b , c , per i parametri che entrano nel problema, comecorrispondenti a dati di osservazione, ovvero:

a = P (X ) b = P (X |1) , c = P (X |2) .

Allora le quattro equazioni prendono la forma

x + y = 1 , z + t = a z = b x t = cy ,

che costituisce un sistema lineare di quattro equazioni di primo grado in quat-tro incognitre con tre parametri. Il problema si risolve immediatamente persostituzione, e ad esempio per l’incognita x si trova

x =a− cb − c

,

ovvero, ripristinando i nomi delle quantità in gioco,

P (1) =P (X )− P (X |2)

P (X |1)− P (X |2). (14.6.4)

320 Andrea Carati e Luigi Galgani

Ma deve essere necessariamente 0 ≤ P (1) ≤ 1 e quindi, affinché si possano inter-pretare i “dati sperimentali” come consistenti con una interpretazione probabili-stica in un comune spazio di probabilità, i dati devono soddisfare la condizionedi compatibillità

0≤P (X )− P (X |2)

P (X |1)− P (X |2)≤ 1 . (14.6.5)

Questa condizione non è soddisfatta. Infatti, se ad esempio si prende la regio-ne X in posizione simmetrica rispetto ai due fori si può ritenere che P (X |1) siamolto prossimo a P (X |2), se non addirittura uguale, mentre evidentemente ilnumeratore sarà diverso da zero. Dunque la quantità che dovrebbe esere limitatatra 0 ed 1, in effetti diverge. Quindi concludiamo che il numero P (1), una dellenostre incognite, non esiste, e quindi non è possibile interpretare i dati empiri-ci (le probabilità condizionate) entro uno schema probabilistico con un unicospazio di probabilità.

Secondo Accardi, le disuguaglianze di Bell sono delle condizioni di questotipo, e quindi, in particolare, non avrebbero nulla a che fare con problemi legatialla località (cioè se si abbia o no una influenza lontana).44

Una conclusione provvisoria sul problema EPR–Bell

Sostanzialmente Accardi dà un argomrento che approfondisce e supera quello diBell. Bell aveva mostrato che una introduzione ingenua di parametri nascosti nonè possibile, perché introducendo dei parametri nascosti indipendenti dal condi-zionamento (setting degli strumenti) si deve soddisfare una disuguaglianza, cheinvece sembra venire violata in natura. Accardi sembra aggiungere che per tenerconto di tale violazione occorre una opportuna ambientazione probabilistica,che apparentemente non è ancora disponibile

Invece, il formalismo quantistico fornisce una soluzione che nel caso delledue fenditure è semplicissima. Facendo riferimento ad un unico spazio di Hil-bert, la situazione con il primo foro aperto viene descritta da una funzione ψ1che è nulla, sul primo schermo, nella regione fuori dal primo foro. Analogamen-te per la situazione con il secondo foro aperto, (ψ2 nulla fuori dal secondo foro).Allora la funzione ψ=ψ1+ψ2 risulta essere nulla nella regione del primo scher-mo fuori dai due fori, e quindi descrive bene una situazione con i due fori aperti.Inoltre, essa produce la corretta figura di interferenza in termini di |ψ1+ψ2|2.

Su problemi generali del tipo di quelli qui discussi. potrebbero risultare signi-ficativi gli studi di Bruno de Finetti,45 che su basi generali, al di là della meccanica

44Il punto di vista illustrato più sopra, relativo alla rilevanza delle probabilità condizionatenel’ambito dei fondamenti della teoria delle probabilità, particolarmente alla luce della teoria diDe Finetti, è discusso nel preprint F. Fagnola, M. Gregoratti, Bell’s Inequality Violations: Relationwith de Finetti’s Coherence Principle and Inferential Analysis of Experimental Data, Politecnico diMilano, 2010. Si veda anche A. Khrennikov, Beyond quantum.

45B. de Finetti, Theory of probability: a critical iontroductoy treatment, Wiley (London, 1874).Si veda anche l’articolo di Fagnola e Gregoretti citato poco sopra.

Fondamenti della fisica: EPR 321

quantistica, aveva proposto una fondazione della teoria delle probabilità pià largadi quella introdotta da Kolmogorov nel 1933.46

I presenti autori hanno mostrato come la teoria classica dell’elettrone di Di-rac, in virtù delle nuove possibililtà che essa offre nel tener conto della genericapresenza di soluzioni di tipo runaway, presenta in maniera del tutto naturale deiparametri nascosti ambientati in spazi di probabilità diversi a seconda dei diversicondizionamenti. Questo fatto è illustrato in appendice. Tuttavia resta ancoranon chiarito quale sia la relazione tra questi diversi spazi, ad esempio i due spazirelativi ad una sola fenditura aperta e quello relativo ad entrambe le fenditureaperte. La magia del formalismo della meccanica quantistica, che in manierasemplicissima, mediante la somma ψ1+ψ2 delle due funzioni corrispondenti adun solo foro aperto, riproduce i risultati corrispondenti ad entrambi i fori aper-ti (libro di Dirac, pag. 9), sfugge ancora alla comprensione (alla ”spiegazione”)che Einstein voleva ottenere nel suo classical program. D’altra parte è proprioEinstein che aveva detto che ”la strada sarà lunga e difficile”.47

Conclusione provvisoria sulla prospettiva del classical program di Einstein

È ben noto che esiste un dualismo nei fondamenti della meccanica quantistica: dauna parte la meccanica quantistica è ottima per dare le regole con cui descriverela fisica microscopica; d’altra parte gli strumenti di misura, macroscopici, devo-no essere pensati classici, e non come costituiti da particelle quantistiche. Questesono sostamzialente le parole di Landau, che dice: ”La possibilità di descrizionequantitativa del movimento di un elettrone richiede al tempo stesso l’esistenza di og-getti fisici che obbediscano con precisione sufficiente alla meccanica classica” (LandauLifshitz, Vol.3, Meccanica Quantistica non Relativistica, paragrafo 1 pag. 17). Si-curamente dicono così anche Bohr e von Neumann. Quindi si ha una situazionedi dualismo.48

Questo fatto può anche essere accettato come corrispondente ad una impos-sibilitá per l’uomo di ”conoscere” il mondo: Heisenberg e Bohr interpretavanoesplicitamente il principio di indeterminazione come un limite alla possibile co-noscenza umana (cosa ci sia al di là, come dice Bohr, ”we willingly leave to spe-culative philosophy”.) In questa forma la situazione poteva andare bene anche adEinstein. Quello che in realtà Einstein non digeriva è che la meccanica quantisti-ca parla di quello che possiamo conoscere del mondo, piuttosto che del mondostesso. A lui sembrava impossibile che non si potesse dare una descrizione ogget-

46Si veda L. Accardi, Milan J. Math.; Meyer, Quantum probability for probabilists: K.R. Partha-sarathy, An introduction ... (di questi due libri bastano le prime circa 20 pagine); Khrennikov, R.Gill, M. Guta e Dariano (Pavia).

47Un punto cruciale non ancora utilizzato potrebbe essere legato al fatto che lo spazio delle fasidi un sistema di particelle presenta una struttura ”a buchi” in virtú della condizione nonrunawyimposta dall’elettrodinamica classica di Dirac.

48Le cose cambierebbero se fosse possibile dedurre il comportamento limite classico in un am-bito puramente quantistico. Vi sono sono studiosi che cercano di compiere questa deduzione: sitratta del cosiddetto problema della decoerenza.

322 Andrea Carati e Luigi Galgani

tiva che implichi la nostra conoscenza soggettiva del mondo (si ricordi ”esiste unelemento di realtà” nell’articolo EPR ). In ogni caso, sicuramente è almeno veroche, se si riuscisse ad ”implementare” il programma di Einstein, potrebbe forserisultare eliminata la dicotomia sopra ricordata.

14.7 Un modello a parametri nascosti, nell’elettrodina-mica classica di Dirac, che viola la disuguaglianza diBell

Abbiamo visto come la dimostrazione della disuguaglianza di Bell dipenda inmaniera essenziale dalla “vital assumption”, ovvero l’ipotesi che il risultato dellamisurazione su una particella non dipenda dall’assetto (setting) dello strumentocon cui si osserva l’altra particella. Abbiamo anche commentato come questaipotesi presenti due aspetti apparentemente contradditori, perché da una partesembrerebbe essere richiesta dal principio della teoria della relatività o dal prin-cipio di causalità, dall’altra, come indicato da Bohr, sembrerebbe contraddire ilprincipio di indeterminazione.

Ora, una situazione paradossale in qualche modo analoga a questa si pre-senta già nell’elettrodinamica classica delle particelle puntiformi, come fu messoper la prima volta in evidenza in maniera esplicita da Dirac nel suo celebre la-voro del 1938,49 che tanta influenza ebbe su Wheeler e Feynman.. Infatti intale lavoro egli formulò una teoria relativisticamente covariante, quindi coerentecon i principi della relatività, per le particelle cariche puntiformi. Risulta peròche tale teoria tuttavia presentava aspetti apparentemente non compatibili con ilprincipio di causalità stesso (si tratta del cosiddetto “fenomeno della preaccelera-zione” che descriveremo più sotto). Ma il grande Dirac riteneva che non vi fossecontraddizione, e che la sua teoria fosse coerente.

Ai presenti autori è capitato, studiando per motivi di interesse generale l’e-quazione classica di Dirac, di imbattersi in una proprietà di notevole impattoqualitativo che essa presenta (possibilità di descrivere l’effetto tunnel), che nonera stata messa in luce da Dirac. Per il modo in cui si ottiene il risultato, ri-sulta che questa è la proprietà che permette di violare la disuguaglianza di Bell.Illustreremo ora questo fatto, e il modo in cui lo utilizziamo in relazione alladisuguaglanze di Bell. Faremo infine un commento sul fatto che anche in elet-trodinamica quantistica si presenta una certa forma di noncausalità, che apparein qualche modo simile a quella della elettrodinamica classica di Dirac, ovvero ilfatto ben noto (reso quantitativo da Bogolyubov) che il propagatore di Feynmannon si annulla identicamente fuori del cono di luce.

Lo stato dell’elettrodinamica classica delle particelle puntiformi è la seguente. L’elettro-dinamica di Maxwell era una teoria macroscopica, allo stesso livello dell’idrodinamica

49P.A.M. Dirac, Classical theory of radiating electrons, Proc. Royal Soc. (London) A 167, 148–168(1938).

Fondamenti della fisica: EPR 323

o della teoria della elasticità. Si deve a Lorentz l’idea di trarne una teoria microscopica“nel vuoto” (o nell’etere, come si diceva allora). Tale estensione della teoria di Maxwellincontra però delle difficoltà qualitative quando vuole descrivere cariche puntiformi, eciò conduce alla necessità di introdurre delle rinormalizzazioni e anche la forza di rea-zione di radiazione. Altre difficoltà insorgono allora perché si presentano genericamentesoluzioni prive di senso (soluzioni runaway). Dirac fu il primo a prenderne atto, e aformulare una sua via d’uscita, da cui si attendeva il presentarsi di fenomeni nuovi e in-teressanti. È per questo motivo che la elettrodinamica delle particelle puntiformi è in uncerto senso una teoria nuova rispetto a quella di Maxwell e a quella di Lorentz, ed è perquesto che essa ha suscitato l’interesse dei presenti autori.

Naturalmente, ogni studioso è indotto a chiedersi che bisogno ci sia di fare tuttoquesto sforzo quando già abbiamo a disposizione l’elettrodinamica quantistica. E ciòsoprattutto quando stiamo parlando di fenomeni di tipo ultramicroscopici, in cui ci at-tenderemmo che la fisica quantistica debba svolgere un ruolo essenziale. Comunque lostudioso potrebbe riflettere anche sui seguenti due fatti. Primo: Nel capitolo 28 del suomanuale di elettromagnetismo, dedicato alla massa elettromagnetica, Feynman si poneproprio quella domanda, e dice esplicitamente che non è la meccanica quantistica che ri-solve questi problemi. Secondo: L’elettrodinamica classica delle particelle puntiformi diDirac fu da questi formulata nel 1938, dieci anni dopo che egli aveva formulato l’elettro-dinamica quantistica la sua equazione quantistica per l’elettrone, inventando poi anchela creazione di coppie. Sembra naturale chiedersi quale motivo avesse per ritornare nel1938 ad una teoria di tipo classico ma con inattese prospettive. Al punto to di farglicommentare: “It would appear here that we have a contradiction with elementary ideas ofcausality ... (although) ... our whole theory is Lorentz invariant”, avendo però osservatoenfaticamente poco prima che “This will lead to the most beautiful feature of the theory.”.

La “forza” di reazione di radiazione

La “forza” di reazione di radiazione fu introdotta per la prima volta da Plancksul finire dell’ottocento in maniera fenomenologica, in relazione all’emissione diradiazione da parte di cariche accelerate (il prototipo è la radiazione di dipolo daparte di una antenna – una carica che viene forzata ad oscillare come un oscillato-re armonico). Se si studia il campo elettromagnetico “creato” da quella sorgente,si trova che dalla regione in cui è situata la sorgente viene emessa una energiaelettromagnetica la cui potenza (energia per unità di tempo) è data da

E =23

e2

c3|a|2 (formula di Larmor) ,

dove c è la velocità della luce, e la carica della particella (pensiamo che la sorgentesia un elettrone), ed a l’accelerazione della sorgente. Planck pensa naturalmenteche l’energia elettromagnetica emessa sia attribuibile ad una perdita di energia daparte dell’elettrone, e si chiede se sia possibile fenomenologicamente descriverequella perdita di energia come dovuta ad una qualche forza d’attrito, che tradizio-nalmente viene denotata con K. Dunque pensiamo a una particella il cui moto èdescritto dall’‘equazione di Newton

ma= F+K ,

324 Andrea Carati e Luigi Galgani

dove F è una assegnata forza “tradizionale” e K la “forza di reazione di radiazio-ne”, da determinarsi con la prescrizione che la corrispondente perdita di energiaper unità di tempo sia quella data dalla formula di Larmor. Ricordando come siottiene il teorema dell’energia (ovvero, moltiplicando ambo i membri dell’equa-zione di Newton per la velocità x) si vede subito che la forza K deve essere datada

K=23

e2

c3a

Infatti, vogliamo che si abbia

K · v= 23

e2

c3a · a .

Ma, usando al solito la formula di integrazione per parti, ovvero la regola di Leibniz perla derivata di un prodotto, si ha

a · a= a · v= ddt(a · v)− a · v .

Si trova dunque per K l’espressione data sopra, e risulta anche che l’energia della par-ticella contiene, oltre alla energia potenziale V corrispondente alla forza F, anche unulteriore termine, che viene detto termine di Schott, sicché l’energia della particella vienead avere la forma

E =12

mv2+V +23

e2

c3(a · v) .

L’equazione di moto della particella si scrive di solito nella forma

a= F/m+ εa , ovvero εa= a−F/m , (14.7.1)

in termini del parametro ε definito da

ε=23

e2

mc3. (14.7.2)

Questo ha le dimensioni di un tempo, che risulta essere estremamente piccolo,dell’ordine di 10−23 secondi. È questa la forma nonrelativistica della cosiddettaequazione di Abraham–Lorentz–Dirac (o ALD).

Data la piccolezza di ε si potrebbe ingenuamente credere cle le soluzioni siano piccoleperturbazioni di quelle relative ad ε = 0. M ciò non è vero in generale, e per il sistemacompleto si hanno fenomeni nuovi, qualitativamente diversi da quelli del caso impertur-nato. Il motivo è profondo, ed è relativo al fatto che nella equazione (14.7.1) si ha a chefare con una perturbazione singolare: questo significa che si ha una equazione diffe-renziale ordinaria, che cambia di ordine quando si passa al caso imperturbato (ε = 0).Infatti nel caso imperturbato l’equazione è del secondo ordine nella posizione, perchéla derivata più alta è quella relativa all’accelerazione, mentre nel caso perturbato si hauna equazione del terzo ordine (la derivata più alta è quella di a, derivata terza dellaposizione).

Fondamenti della fisica: EPR 325

Un caso analogo si presenta nelle equazioni algebriche. Un esempio significativo èquello dell’equazione di secondo grado

εx2+ b x + c = 0 ,

che perde un grado nel limite ε→ 0. Nel caso imperturbato l’equazione ha soluzione x =−c/b . Invece nel caso perturbato si hanno due soluzioni, e si controlla immediatamenteche per ε→ 0 una delle due tende a quella del caso imperturbato, mentre l’altra diverge.

Questo divergere di una delle due soluzioni è il fatto qualitativamente nuovo, e cisi attende che qualche cosa di analogo si presenti per l’equazione ALD (vedremo chesi tratta del fenomeno delle cosiddette soluzioni runaway messo in luce da Dirac). Mastranamente questo fatto era rimasto sostanzialmente incompreso fino a tempi abbastan-za recenti. Ad esempio, è possibile scrivere le soluzioni mediante uno sviluppo in seriedi potenze del parametro ε, ed infatti questa serie si trova scritta anche nel manuale diJackson. È naturale allora chiedersi se tale serie converga. Questa domanda venne infattiposta da Röhrlich (considerato una autorità nel campo dell’elettrodinamica) nell’occa-sione di una conferenza dedicata a Dirac, e la cosa incredibile è che Röhrlich afferma diattendersi che la serie converga. Invece, in poche righe è stato dimostrato che la seriediverge, avendo carattere asintotico.50 Questo fatto (il non essersi resi conto di tale ca-rattere della serie perturbativa), è una chiara dimostrazione del fatto che le implicazionidell’equazione ALD non sono ancora comprese dalla comunità scientifica. In effetti, sipuò mostrare che le soluzioni si dividono in due categorie, quelle che “assomigliano” allesoluzioni dell’equazione imperturbata (senza forza di reazione di radiazione, per questodette soluzioni di tipo meccanico) e quelle che sono qualitativamente diverse. È questo ilpunto in cui vedremo che interviene la cosiddetta “condizione nonrunaway” di Dirac.

Egli la introdusse in relazione alla versione relativistica della equazione di Abrahame Lorentz, ma in effetti, con un cambiamento di variabili egli stesso la ridusse al caso non-relativistico, e per questo motivo ci limitiamo a illustrarla in tale caso. Comunque, ri-cordiamo qui, per completezza di informazionel la versione relativistica dell’equazione.come formulata da Dirac. Si tratta dell’equazione

ε (aµ − aνaν xµ) = aµ − F µν xν/m

(con le consuete convenzioni sugli indici ripetuti, con c = 1 e con il punto denota deriva-ta rispetto al tempo proprio). Conviene però fare ancora un ulteriore commento. Poichél’equazione ALD è del terzo ordine, ogni soluzione sarà individuata dai dati inziali diposizione, velocità e accelerazione, i cui punti, di coordinate (x,v,a) possono dirsi co-stituire lo spazio delle fasi adatto a descrivere il modello. Si tratta di uno ‘spazio dellefasi esteso” (o ‘spazio delle fasoi ambiente”, come anche diremo), che estende il consueto‘spazio delle fasi meccanico”, con coordinate (x,v). Vedremo come l’accelerazione ini-ziale a0 svolge il ruolo di “parametro nascosto”, e vogliamo qui spiegare che senso abbiaquesta identificazione. In effetti, la cosa può apparire strana, ma questo fatto risulta solouna conseguenza del modo estremamente elementare e fenomenologico in cui abbiamointrodotto l’equazione ALD. Infatti, ci siamo comportati come se stessimo trattando unproblema puramente meccanico, descrivendo l’energia elettromagnetica emessa median-te una “forza” che abbiamo denotato con K, trattata alla stregua di una forza meccanica.Invece, in una trattazione fondamentale, il sistema dinamico da discutersi è quello diparticella, descritta dal suo stato meccanico consueto, con coordinate (x,v), e dal campo

50A. Carati, L. Galgani, Asymptotic character of the series of classical elctrodynamics, and anapplication to brehmsstrahlung, Nonlinearity 6, 905 (1993).

326 Andrea Carati e Luigi Galgani

elettromagnetico, con i suoi campi (E,B). Una trattazione completa che qui non abbia-mo il tempo di illustrare, mostra allora che i dati iniziali del campo elettromagnetico“lasciano una traccia” sulla accelerazione iniziale a0 della particella, che risulta quindi de-terminata quando siano assegnati i dati iniziali meccanici della particella (x0,v0) e i datiiniziali del campo elettromagnetico. È in questo schema che dovrebbe essere ambien-tato il problema, e riuslta quindi più comprensibile come possa pensarsi che il campoelettromagnetico iniziale, evidentemente impossibile da controllarsi esattamente, svolgail ruolo di parametro nascosto, una cui traccia rimane nella accelerazione iniziale dellaparticella.

La “condizione nonrunaway” di Dirac.

Vediamo ora come si manifesta la presenza (generica) di soluzioni divergentitra le soluzioni dell’equazione ALD, in maniera analoga a come si presenta ladivergenza di una delle soluzioni dell’equazione di secondo grado εx2+b x+ c =0.

Il cuore del fenomeno si comprende considerando il caso della particellalibera, in cui l’equazione ALD ha la forma

εa= a ,

le cui soluzioni sono evidentemente date da

a(t ) = a0e t/ε .

Si vede allora il fatto apparentemente paradossale che per la particella libera ingenerale le soluzioni divergono (ed esponenzialmente) al crescere di t , mentretutta la fisica è basata sul principio d’inerzia, per cui la particella libera ha motorettilineo uniforme, ovvero accelerazione nulla. Dirac allora afferma che questovuol dire che, tra tutte le soluzioni a priori concepibili, vanno ritenute solo lesoluzioni che si verificano in natura, cioè solo il sottoinsieme delle soluzioni chenon accelerano, e quindi sono caratterizzate da tutte le condizioni iniziali cona0 = 0. In termini geometrici, potremmo dire che nello spazio delle fasi ambienteod esteso ci si restringe a una sottovarietà che potremmo chiamare varietà fisicao varietà nonrunaway o varietà di Dirac, che nel caso della particella libera siidentifica con l’iperpiano a = 0 dello spazio esteso, ovvero con il tradizionale“spazio meccanico”.

Ma la situazione diviene molto più interessante nel caso di una particellain presenza di una forza, che ammettiamo annullarsi all’infinito. Allora, se cilimitiamo a considerare stati di scattering, ovvero soluzioni che si allontananoall’infinito, succede che la particella viene definitivamente a trovarsi in luoghi incui la forza è praticamente nulla, sicché localmente il moto è assimilabile a quellodella particella libera. Si capisce così come la prescrizione analoga a quella adattaper la particella libera sia ora che la particella si comporti come una particellalibera al limite di t →+∞, ovvero soddisfi la condizione

a(t )→ 0 per t →+∞ .

Fondamenti della fisica: EPR 327

È questa la celebre condizione nonrunaway di Dirac.

In effetti una condizione più generale e in qualche modo più significativa è la seguente.Si impone la condizione che l’energia totale irraggiata dalla particella durante tuttoil suo moto sia finita. Ad esempio, valutando la potenza irraggiata some espressa dallaformula di Larmor, questa condizione si esprime matematicamente nella forma integrale

∫ +∞

−∞a2(t )dt <+∞ ,

che comprende quella data sopra (a(t )→ 0 per t →+∞) come caso particolare. Formu-lata in questo modo, la condizione asintotica di Dirac non presenta più alcuna stranezza,e appare svolgere un ruolo non molto dissimile da quello che si presenta ad esmepionell’ambito dell’equazione di Schroedinger, quando si richiede che le soluzioni siano diclasse L2, ad esempio tendendo a zero abbastanza velocemente all’infinito.

Si tratta ora di immaginarsi come sia fatta la varietà fisica di Dirac, Matema-ticamente il problema si pone nel modo seguente:51 Dato uno stato meccanico(x0,v0) si considerano tutti i corrispondenti stati (x0,v0,a0) nello spazio dellefasiesteso, che abbiano proiezione (x0,v0) sullo spazio delle fasi meccanico (nelcaso unidimensionale, la retta parallela all’asse a che passa per il punto (x0, v0, 0)). Ognuno di tali punti dello spazio delle fasi esteso, come dato iniziale, daràluogo in generale ad una unica soluzione. Ci si chiede allora se tra tutte quelle in-finite soluzioni con assegnato dato meccanico (x0,v0) vi siano delle soluzioni chesoddisfino la condizione asitnotica a(t )→ 0 per t →+∞. Questo problema, es-sendo di tipo globale (perché coinvolge un dominio del tempo assegnato a priori,ovvero non è locale nel tempo), è di tipo completamente diverso dal problema diCauchy. Quest’ultimo è di tipo locale nel tempo ed in generale ha sempre solu-zione, e soluzione unica. Il problema presente. di tipo globale, è più simile a unproblema di Sturm–Liouville, e potrebbe avere un numero arbitrario di soluzio-ni (in particolare, nessuna soluzione). Dirac aveva evidentemente sottovalutatoquesto aspetto, perché affermava di attendersi che in generale il problema avesseuna e una sola soluzione. Nei termini geometrici sopra introdotti, questo vor-rebbe dire che la varietà fisica o nonrunaway o di Dirac sarebbe il grafico di unafunzione a= a(x,v), ovvero la varietà fisica avrebbe un solo “foglio”.

Si trova invece, nell’esempio di una particella su una retta soggetta ad unabarriera di potenziale, che in generale si ha “nonunicità”, ovvero per ogni statomeccanico (x0, v0) esistono più accelerazioni possibili, ovvero la varietà fisica è“folded” (ripiegata). Si tratta dell’effetto tunnel classico. e dell’effetto camaleonteche esso comporta.

51L.K. Hale, A.P. Stokes, J. Math. Phys. 3, 70 (1962).

328 Andrea Carati e Luigi Galgani

L’effetto tunnel e l’effetto camaleonte

L’effetto tunnel classico per l’equazione ALD nonrelativistica fu dapprima os-servato mediante integrazione numerica52. Ne venne poi trovata una elegantedimostrazione geometrico–analitica che fa uso delle tecniche della teoria dei si-stemi dinamici, che fu illustrata nel medesimo lavoro in cui si davano i risultatinumerici53. Successivamente ne venne data una dimostrazione indipendente, chafa uso delle tecniche di analisi funzionale per i problemi variazionali54

Si considera una particella su una retta, soddisfacente l’equazione ALD incui la forza esterna è dovuta ad una barriera di potenziale. Per una barriera ab-bastanza acuta, si trova che, se si fa partire la particella lontano dalla barrieracon un’energia meccanica prossima al valore del picco della barriera, allora si hanonunicità, e anzi il numero di possibili valori della accelerazione iniziale diven-ta illimitato quando l’energia meccanica della particella tende al valore del piccodella barriera. Fissata un’altezza della barriera, aumentando il valore del parame-tro nascosto (l’accelerazione) tra quelli possibili (che si trovano sulla varietà fisicache risulta essere ripiegata), le soluzioni alternativamente passano la barriera one vengono riflesse. Si ha quindi un effetto tunnel classico, in cui la probabilità dipassare o non passare la barriera viene determinata assegnando delle probabilitàa ciascuno dei valori possibili del parametro nascosto (l’accelerazione).

Un altro fatto rilevante è che tutti i possibili valori dell’accelerazione si schiac-ciano sul valore a = 0 (e in maniera esponenzialmente veloce) quando ci si allon-tana dalla barriera, il che vuol dire che i possibili valori del parametro nascostosono proprio nascosti, nel senso che sono assolutamente incontrollabili.

Ma la proprietà più rilevante per i nostri scopi è che il dominio dei valori pos-sibili per l’accelerazione dipende dall’altezza della barriera. Si ha qui quello cheAccardi chiamerebbe effetto camaleonte. Se infatti utilizziamo la barriera comestrumento di misurazione dicotomica (risultato +1 se la particella passa, −1 senon passa), allora, come dice Accardi in una situazione analoga, “The dynamics ofthe system may depend on the observables we want to measure” nel senso deguente:Se cambiamo il setting (l’altezza), la dinamica cambia in quanto cambia addirit-tura il dominio dei valori che può assumere il parametro nascosto, che definiscedinamicamente la soluzione.

Violazione della disuguaglianza di Bell

L’applicazione dell’effetto camaleonte (che è alla base dell’effetto tunnel classico)per la costruzione di un modello che viola la disuguaglianza di Bell è allora ab-

52Dato il generico carattere runaway delle soluzioni per tempi positivi, per risolvere numeri-camente l’equazione e trovare soluzioni nonrunaway è necessario usare metodi di tipo backward,cioè andando all’indietro nel tempo.

53A. Carati, P. Delzanno, L. Galgani, J. Sassarini, Nonuniqueness properties of the physicalsolutions of the Lorentz–Dirac equation, Nonlinearity 8, 65 (1995).

54B.Ruf, P.N. Srikanth, Rev. Mat. Phys. 12, 657 and 1137 (2000).

Fondamenti della fisica: EPR 329

bastanza banale.55 Si consideri un esperimento con due particelle su una rettache escono dall’origine in direzioni opposte, andando ciascuna verso una propriabarriera. L’altezza di ciascuna delle due barriere può essere fissata in tre assettidiversi. Si ha ora l’effetto camaleonte appena descritto, per cui lo spazio di pro-babilità del parametro nascosto (l’accelerazione) di ognuna delle due particelledipende dall’assetto della corrispondente barriera. Dunque si ha che anche lospazio di probabilità dei parametri nascosti del sistema globale, cioè il prodottocartesiano dei due spazi di probabilità, dipende dagli assetti delle due barriere, Èquindi del tutto ovvio che viene violata la “vital assumption” di Bell, e dunquela disugluaglianza di Bell non può più essere dimostrata. È anche facile trovaredelle distribuzioni iniziali di probabilità che conducono a una violazione di taledisuguaglianza.

Un’ultima rilevante osservazione è che il modello appena descritto è nonrela-tivistico, ma può essere esteso abbastanza facilmente al caso relativistico. Questosignifica che il condizionamento (dovuto all’avere fissato l’assetto degli appara-ti di misura) è presente anche in ambito relativistico, in cui una particella havelocità inferiore a quella della luce nel vuoto.

Esercizio (proposto da B. Ruf). Utilizzando un procedimento analogo a quello quiillustrato per l’analogo classico dell’effetto tunnel, mostrare che nell’ambito dell’elettro-dinamica classica alla Dirac per particelle puntiformi si ottiene anche la diffrazione dadue fenditure.

Commento finale. Il problema della causalità

Abbiamo già menzionato il fatto. messo in luce da Dirac, che una certa formadi apparente violazione della causalità si presenta nella equazione ALD: si trovainfatti che se si sottopone la particella all’azione di una forza “a impulso” neltempo (descritta da una funzione δ(t )), allora la particella “sente” la forza primache incontri l’impulso, entro un tempo caratteristixo ε.

Questo fatto è discusso da Dirac a pag. 158 del suo lavoro, nel paragrafo dal titolo“Motion of an electron disturbed by a pulse”. Egli aveva preliminarmente studiato il casorelativistico, ma poi con un cambiamento di variabile si riduce formalmente al casononrelativistico con equazione (ora il punto denota derivata rispetto al tempo)

ε−1 a− a = κδ(t ) , (a = x) .

Si tratta della sua equazione (33) dove abbiamo denotato il suo a con 1/ε. Nelle sueparole: This equation shows that, at the time t = 0, x increases discontinuously by an amount−κ, and before and after this time we have

ε−1 a− a = 0 .55Si veda A. Carati, L. Galgani, Non locality of classical electrodynamics of point particles and

violation of Bell’s inequalities, Nuovo Cimento B 114, 489 (1999). L’appendice contiene un banaleerrore (che avrebbe una storia abbastanza curiosa). La versione corretta è data nell’appendice allavoro A. Carati, L. Galgani, Theory of dynamical systems and the relations between classical andquantum mechanics, Found. of Physics 31, 69 (2001) – volume per il settantesimo compleanno diMartin Gutzwiller.

330 Andrea Carati e Luigi Galgani

According to the conclusions of the previous section, we must take a motion for which, aftert = 0, x is a constant, q say. We now have x zero just after t = 0, so it must have the valuek just before. The general solution is

x = c1e t/ε+ c2

where c1 and c2 are constants of integration. To obtain the motion of our electron beforet = 0 we must choose these constants of integration so that x = 0 for t = −∞ and x = κfor t = 0, the former condition taking into account that the electron is initially at rest. Thisfixes c2 = 0 and c1 = κε. Finally, we have the condition that x must be continuous at t = 0(since there is no δ function in x ), which gives us q = c1. Thus the solution of our equationof motion is

x = κε e t/ε for t < 0 , x = κε for t > 0 .′′

Poi egli descrive a parole il moto, dicendo: “We can describe the motion by sayingthat the electron is, to a high approximation, at rest for large negative values of t , but as tapproaches zero it acquires a velocity and acceleration, in accordance with the equations, ofsuch amounts that just before t = 0 the acceleration has the right value to be exactly cancelledby the effect of the pulse, so that after t = 0 the electron is left moving with constant velocity.”

Sostanzialmente,56 la forza impulsiva produce un salto finito dell’accelerazione altempo t = 0. Per tempi diversi da zero si ha la particella libera, con la soluzione generaleesponenziale per l’accelerazione che già abbiamo discusso. Ma per tempi positivi l’ac-celerazione deve essere nulla sempre (e quindi anche al tempo 0+ ) perché altrimenti lasoluzione sarebbe di tipo runaway. Invece per tempi negativi la soluzione resta esponen-ziale, e quindi l’accelerazione al tempo zero (al tempo 0− ) ha un certo valore, il qualeresta definito perché sono fissati sia il salto dell’accelerazione, sia il valore dopo il salto.Questo già basta per concludere che l’accelerazione “sente” la forza impulsiva, prima deltempo zero in cui essa agisce.

E infine Dirac commenta: “It would appear here that we have a contradiction withelementary ideas of causality. The electron seems to know about the pulse before it arrivesand to get an acceleration (as the equations of motion allow it to do), just sufficient to balancethe effect of the pulse when it does arrive. The electron will of course radiate all the time it isaccelerating and will thus be radiating before t = 0.”

Con questo breve rapporto sull’equazione classica dell’elettrone di Dirac ab-biamo voluto mostrare come uno dei massimi fisici del novecento abbia propo-sto che si possano considerare situazioni in cui sembrerebbe aversi una qualchedebole forma di violazione della causalità in ambito classico. Ora, sembra cheanche il meccanismo proposto da Bohr per spiegare il paradosso EPR sia statocriticato come se costituisse una qualche violazione della causalità, e qui ci limi-tiamo a fare presente che sembrerebbe esserci una certa analogia fra i due casi.Infine, abbiamo già citato il fatto che qualche cosa di strano accade anche in elet-trodinamica quantistica, perché il propagatore di Feynman, che fa intervennirein maniera simmetrica potenziali anticipati e potenziali ritardati, non si annullaidenticamente fuori dal cono di luce.

56Per l’equazione differenzialex = f (x)+ cδ(t )

con f regolare, la soluzione, ottenuta integrando x, ha in t = 0 il salto x(0+)− x(0−) = c .

Appendice A

Un “divertissement”. L’analogodelle disuguaglianza di Bell inun gioco del tipo gratta e vinci

Esiste una dimostrazione di una disuguaglianza di tipo di Bell facilissimamentecomprensibile. Questa è dovuta a Mermin1 e si trova discussa in un celebre librodi Edward Nelson.2

Si tratta di un gioco del tipo “gratta e vinci”, la cui analogia con l’esperimen-to dell’osservazione dello spin di due particelle lungo tre possibili direzioni dipolarizzazione (essendo le particelle create in uno stato di singoletto) appariràevidente.

Ricordiamo che, come abbiamo illustato in questo capitolo, la discussione di Bell vienecompiuta seguendo una tipologia leggermente diversa da quella di EPR. Infatti i Bell se-gue una tipologia proposta di Bohm. Si hanno due particelle “create” in coppie, diciamoa Milano, e le particelle di una coppia vengono osservate entrambe (e non una sola),una a New York e l’altra a Tokyo. Le particelle sono dotate di spin 1/2. Ci‘o significache si osserva la la proiezione dello spin di una particella lungo una definita direzione,allora il risultato della misurazione può essere uno di due valori opposti, che in unitàopportune sono ±1 (si dice che in tal caso lo spin è una “variabile dicotomica”). Nel-l’esperimento, la misurazione viene compiuta (da ogni osservatore sulla corrispondenteparticella), lungo una di tre possibili direzioni (le medesime per i due osservatori; questoè un punto delicato3 ). Infine, si ammette che le particelle di una coppia siano state create(a Milano) in uno “stato si singoletto”. Questo per noi significa semplicemente che se ledue particelle vengono osservate nella medesima direzione, allora i due risultati devonoessere opposti. Se per la prima si trova +1, allora per la seconda si trova certamente −1,e così via.

1N.D. Mermin, Am. J. Phys. 49, 940 (1981); Physics Today, April 1985, pag. 38-47.2E. Nelson, Quantum fluctuations, Princeton U.P. (Princeton, 1985), sec. 23, specialmente pag.

120.3I due osservatori devono comunicare per essere sicuri cle le due direzioni siano uguali.

331

332 Andrea Carati e Luigi Galgani

Avendo presente questa tipologia di esperimento alla Bohm–Bell, appariràchiaro il ruolo del gioco di tipo gratta–vinci, che ora descriviamo. Vi sono duegiocatori che giocano contro il banco. Il banco prende una scheda, la dividein due tagliandola orizzontalmente, e le due metà vengono date, una ciascuno, aidue compagni di gioco. Ognuna delle due metà contiene tre quadratini argentati,ad esempio posti in fila orizzontalmente, un quadratino a sinistra, uno al centro,uno a destra. Nel caso di Bell, il banco è la sorgente di coppie di fotoni cheescono in direzioni opposte, i due giocatori sono i due rivelatori, le tre posizionidei quadratini (sinistra, centro, destra) sono le tre orientazioni a, b, c (cioè isetting) in cui si misura lo spin del fotone.

I due giocatori non possono comunicare tra di loro. Ognuno dei giocatorigratta un quadratino sulla sua mezza scheda, e ne vede uscire un colore, che puòessere R (rosso) oppure V (verde). Una prima regola (analoga alla condizionedi singoletto) è che se i due giocatori grattano il quadratino con la medesimaposizione (entrambi il primo, o il secondo o il terzo), allora necessariamenteescono due colori diversi, e la giocata non è valida, ovvero il banco ritira lascheda (questo è l’analogo della condizione di singoletto nel caso di Bell’: se ledue direzioni coincidono, allora il risultato è già prestabilito) e ne dà un’altra.Nel gioco, il banco perde se risulta che i due quadratini (necessariamente inposizioni diverse) grattati dai due giocatori hanno colori diversi. Se i duecolori sono uguali vince il banco.

Ci poniamo il problema: quale deve essere la vincita rispetto alla posta,affinché il gioco sia equo?

Bisogna dunque calcolare la probabilità di vincita. Se ammettiamo che i co-lori esistano prima di osservarli, possiamo fare il conteggio secondo le consueteregole del calcolo delle probabilità, calcolando il numero dei casi favorevoli, divi-so per il numero di casi possibili. Facciamo dunque questo calcolo. Si trova chei possibili schemi di colorazione di ciascuna scheda – che poi verrà tagliata oriz-zontalmente, dandone quella siperiore a un giocatore e quella inferiore all’altro– sono otto, ovvero (escludiamo, secondo la regola assegnata, gli schemi in cuicompaiono colori uguali in quadratini corrispondenti)

R R R V V VV V V R R R

(A.0.1)

poi

V R R R V R R R VR V V V R V V V R

(A.0.2)

e infine

R V V V R V V V RV R R R V R R R V .

(A.0.3)

Fondamenti della fisica: EPR 333

Dobbiamo contare, in ognuna delle schede, quanti sono i casi favorevoli. Ricor-diamo che una giocata corrisponde a una scelta di un quadratino in alto e unquadratino in basso, in posizioni diverse.

Nella prima scheda, in tutti i casi possibilli (sei) i giocatori vincono. Lo stessoavviene nella seconda scheda. Nella terza, si hanno due casi su sei in cui vincono igiocatori, cioè i giocatori vincono in un terzo dei casi, e lo stesso si controlla chevale in tutte le rimanenti schede. Concludiamo che, se si ammette che i coloridei quadratini esistano, siano dati, indipendentemente dal fatto che li si gratti ono, la probabilità di vincita dei giocatori è

P > 1/3 ,

e quindi si deduce che è conveniente giocare se il banco paga almeno tre volte laposta.

D’altra parte, se il colore non esiste prima di grattare la carta, ma si crea adesempio proprio attraverso l’atto di grattare,4 allorai il conteggio sopra illustratonon ha più ragione di essere, e dunque cade il vinvolo sulle probabilità.

Infatti esiste un esperimento, quello compiuto di Aspect, che risproduce unasituazione sperimentale analoga a quella del gioco tipo gratta e vinci appenadescritto, in cui però si trova che la probabilità di vincita è

P = 1/4

anziché P > 1/3. Sembrerebbe dunque doversi concludere che nell’esperimentodi Aspect gli oggetti in gioco non hanno delle proprietà (l’analogo del coloreverde o rosso), indipendentemente dal fatto che si compia l’osservazione, cioè siavrebbe una dimostrazione sperimentale del fatto che in quella situazione non èvalido il criterio di realtà di EPR.5 6

Oppure non è valida almeno una delle condizioni richieste nel teorema diBell, presumibilmente la vital assumption.

In altri termini, le cose obbiettive sono le osservazioni, qui il colore dellacarta quando la si osserva. Poi si possono fare delle ipotesi su quello che non siosserva. Ad esempio si può fare l’ipotesi che il colore esista prima di compierel’osservazione. Oppure si può fare l’ipotesi che il croupier abbia predisposto uncerto ben definito meccanismo con cui venga creata il colore all’atto dell’osserva-zione. Ognuna di tali ipotesi comporta sulle frequenze un ben definito vincolo,ad esempio quello che abbiamo calcolato nell’ipotesi che i colori esistano pri-ma dell’osservazione. Abbiamo visto che le osservazioni di Aspect indicano una

4Ad esempio, si può pensare che il croupier fornisca, per grattare, una monetina che possaessere acida o basica e la carta sia ad esempio una cartina al tornasole.

5Si veda anche pag. 445 di E. Nelson, Field theory and the future of stochastic mechanics, in S.Albeverio et al. eds., Stochastic processes in classical and quantum systems, pag. 438-469, LectureNotes in Phyics n. 262, Springer (Berlino, 1986).

6NOTA PER GLI AUTORI. Questo punto non è spiegato bene.

334 Andrea Carati e Luigi Galgani

ben precisa serie di frequenze. Abbiamo anche visto come i risultati dell’elet-trodinamica classica alla Dirac potrebbero fornire un meccanismo adeguato alleosservazione di Aspect.

Appendice B

Il problema delle due fenditurecome discusso da Feynman, e lacritica di Koopman

NOTA PER GLI AUTORI Vedere Feynman, R. P. Leichton R. B. Sands, M.(1965) Lectures on physics. Quan- tum mechanics, Addison-Wesley P. C., Rea-ding (Mass), e Koopman citato nel libro di Costantini

vedere R.W. Garden, Modern logic and QM, Adam Hilger Ltd (Bristol,1874).

Discutere anche Haroche Rev Mod Phys 85, 1083 (2013) – Nobel lecture – earticolo successivo di Wineland, ricordando (esperimento dei bolognesi) il fattoche la figura di interferenza si costruisce mediante l’accumulo dell particelle sulloschermo – proprietà del sistema totale, alla Einstein„ nonostante che passi unaparticella per volta, provenendo tuttavia da un sistema altamente correlato, allaDicke. Dunque

P (A1,A2, . . .An) = P (A1)P (A2/A1)P (A3/A1,A2) . . . P (An/A1,A2 . . . ,An−1) .

NOTA VEDERE SE TENERE O ELIMINARE.VEDERE ANCHE QUANTO DETTO SU HEISENBERG

Statistica delle urne e statistica dei camaleonti. Accardi mette in luce un interessanteaspetto che caratterizza la descrizione probabilistica della meccanica quantistica rispettoa quella della meccanica classica. Il problema roguarda il modo in cui un sistema osser-vato “risponde” al procedimento di misurazione. Nel caso classico si ha una situazioneanaloga a quella familiare che si incontra nella statistica delle urne: una urna contiene unugual numero di palline nere e di palline bianche e, nell’atto di una misurazione (l’estra-zione di una pallina), la pallina estratta esce come già era, bianca o nera. La pallina “è”o bianca o nera. Invece nel caso della meccanica quantistica si ha una situazione simile aquella che si incontra nella osservazione dei camaleonti, ammettendo che questi siano inpossesso della proprietà che viene loro attribuita. Ovvero: se li si attira (per farli usciredall’urna) con una foglia (di colore verde) essi escono verdi, mentre se li si attira conun pezzo di corteccia di sughero (marrone) essi escono marroni. Mentre ana pallina “è”

335

336 Andrea Carati e Luigi Galgani

o bianca o nera. un camaleonte “diventa” bianco o nero, all’atto della misurazione, aseconda del modo in cui lo si misura.

Questa concezione di un “ruolo attivo” svolto dal procedimento di misurazione èin qualche modo analogo alla concezione che Heisenberg e Born hanno del principio diindeterminazione: se voglio avere una incertezza ∆x sulla posizione di una particella,sono costretto ad imprimerle un incremento di momento∆p tale che si abbia∆x∆p 'h. Si veda l’argomento di Heisenberg nelle sue lezioni a Chicago.1

1Consideriamo un’onda piana “monodimensionale” della forma cos(2πx/λ) di lunghezza d’on-da λ, che naturalmente si estende su tutta la retta. Vogliamo ottenere invece un’onda che si siestenda solo per una lunghezza ∆x da noi fissata; essa dunque contiene n lunghezze d’onda, doven =∆x/λ. Per fare questo dobbiamo costruire un “pacchetto”, sovrapposizione di onde di diverselunghezze d’onda in maniera che si abbia interferenza distruttiva per lunghezze maggiori di ∆x.Dobbiamo dunque calcolare quale deve essere il range ∆λ di lunghezze d’onda con cui costruireil pacchetto. Qualitativamente si capisce immediatamente che la lunghezza d’onda λ−∆λ devesoddisfare la condizione ∆x/(λ−∆λ) = n− 1, ovvero

∆xλ−∆λ

=∆xλ− 1 .

Eseguendo gli elementarissimi calcoli e usando ∆λ� λ (sicché λ2−λ∆Λ' λ2 ), si ottiene allora

∆x∆λλ2

' 1 ,

ovvero, in termini del numero d’onde k = 2π/λ,

∆x∆k ' 2π .

Con la relazione di de Broglie p = ħhk si ha infine

∆x∆p ' h .