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1 Patrocinio APOCRIFO DANTESCO 2016 IV edizione VINCITORI i. INFERNO. Giordano Bruno fra gli Eretici (Gabriele Giuseppe Aniello - Liceo classico L. Da Vinci, Terracina LT) ii. PURGATORIO. Foscolo fra i Lussuriosi (Martino Masolo - Liceo classico E. Cairoli, Varese) iii. PARADISO. De Gasperi nel cielo di Mercurio (Matteo Varca - Liceo classico Pitagora, Crotone)

Patrocinio APOCRIFO DANTESCO 2016 IV edizione VINCITORI · 2017. 3. 3. · 1 Patrocinio APOCRIFO DANTESCO 2016 IV edizione VINCITORI i. INFERNO. Giordano Bruno fra gli Eretici (Gabriele

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Patrocinio

APOCRIFO DANTESCO 2016 IV edizione

VINCITORI i. INFERNO. Giordano Bruno fra gli Eretici (Gabriele Giuseppe Aniello - Liceo classico L. Da Vinci, Terracina LT) ii. PURGATORIO. Foscolo fra i Lussuriosi (Martino Masolo - Liceo classico E. Cairoli, Varese) iii. PARADISO. De Gasperi nel cielo di Mercurio (Matteo Varca - Liceo classico Pitagora, Crotone)

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0. Bando

Indicazioni poetiche 1. Mettiti nei panni di Dante. Puoi farlo se sei uno studente o una studentessa di una delle ultime tre classi di una delle scuole secondarie superiori di lingua italiana. La partecipazione è personale: non è possibile partecipare al concorso in coppia o in gruppo. 2. Scegli un noto personaggio storico o letterario, di qualsiasi epoca storica (futuro compreso). (Se credi di essere più bravo di Dante puoi anche spostare un personaggio già presente nella Commedia, ma devi motivare lo spostamento in modo molto credibile). Per conoscenza, nell'allegato A, alla fine del regolamento, si trova l'elenco dei personaggi protagonisti degli apocrifi delle precedenti edizioni del concorso. 3. Colloca coerentemente il personaggio prescelto in uno dei gironi infernali, in una delle cornici purgatoriali o in uno dei cieli paradisiaci. 4. Racconta in almeno 10 e non più di 20 terzine dantesche (+ 1 verso di chiusura) l’incontro che avviene fra Dante e il personaggio che hai scelto. 5. Rispetta le regole date da Dante all'aldilà, così come tutte le caratteristiche linguistiche, poetiche, grammaticali, drammatiche e narrative della Divina Commedia. Più topoi danteschi sono poeticamente presenti nel tuo apocrifo, più il tuo Apocrifo Dantesco Anacronistico sarà pregiato. Insomma, deve sembrare scritto da Dante.

Indicazioni tecniche 6. Quota di partecipazione. La quota di partecipazione individuale al concorso è di 5 euro, da versarsi alle seguenti coordinate bancarie: - BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA, agenzia di S. Ilario d’Enza. - INTESTATARIO: “DON PIETRO MARGINI” SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE - IBAN IT10D0538766500000002251666 - CAUSALE: "Partecipazione concorso apocrifo dantesco + nome partecipante" 7. I premi. 7.1. Prima categoria: Premi “Apocrifo Dantesco Anacronistico 2016” Verranno aggiudicati i tre seguenti premi:

“Miglior Apocrifo Dantesco Anacronistico Infernale 2016”,

“Miglior Apocrifo Dantesco Anacronistico Purgatoriale 2016”,

“Miglior Apocrifo Dantesco Anacronistico Paradisiaco 2016”. Ognuno di questi tre classificati riceverà un premio di 100 euro.

Gli Apocrifi vincitori (così come gli Apocrifi ritenuti meritevoli) saranno pubblicati sulla pagina facebook dedicata al concorso, e sul blog del presidente di giuria, rispettivamente agli indirizzi:

www.facebook.com/ApocrifoDantescoAnacronistico

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www.matteodebenedittis.wordpress.com. Tutti i vincitori riceveranno un attestato di partecipazione. Gli

altri partecipanti lo riceveranno solo su loro richiesta. 7.2. Seconda categoria: Premi speciali. La giuria si riserva la possibilità di insignire di premi speciali tutti gli apocrifi che a suo parere ne saranno meritevoli. 8. La giuria. La giuria sarà composta da insegnanti, studenti ed ex studenti del Liceo Scientifico “San Gregorio Magno” di S.Ilario D'Enza (Re). Inoltre, la giuria sarà composta anche dai vincitori delle precedenti edizioni che desiderino farne parte. La giuria valuterà le seguenti condizioni di vittoria: - la perfezione formale dell'Apocrifo (un solo endecasillabo o una sola rima non corretti pregiudicano gravemente la vittoria. Inoltre è richiesta perfezione grammaticale e sintattica. In altri termini: se pensi che due parole facciano rima quando hanno le ultime lettere uguali non sei pronto per questo concorso; se pensi che un endecasillabo abbia sempre undici sillabe non sei pronto per questo concorso); - la sua coerenza con l'universo dantesco (ad esempio i contrappassi, le caratteristiche tipiche dei gironi, delle cornici e delle sfere, l'organizzazione dello spazio oltremondano, la lingua dantesca...); - l'originalità, lo stupore, la novità e la profondità psicologica dell'incontro narrato dall'Apocrifo. La giuria si riserva altresì la possibilità di non aggiudicare uno o più premi, qualora non ci fossero le condizioni sufficienti per assegnarlo. 9. Cosa inviare. 9.1. L'apocrifo. Invia i file del tuo Apocrifo Dantesco Anacronistico all'indirizzo mail [email protected] entro il 31 dicembre 2016. I file devono essere tutti in duplice formato testo (.doc, .rtf, .odt...) e pdf. Si prega di impaginare l'apocrifo secondo le indicazioni contenute nell'allegato B. L'oggetto della mail dev'essere: Apocrifo Dantesco seguito dal nome del personaggio prescelto e dal girone/cornice/cielo dantesco nel quale è stato posizionato. 9.2. I dati. Allega anche un file di testo con i tuoi dati: nome, cognome, data di nascita, indirizzo di residenza, contatti mail e telefonici, scuola e classe di appartenenza (che saranno trattati ai sensi delle vigenti leggi sulla privacy). 9.3. La ricevuta. Allega anche la ricevuta del versamento della quota di partecipazione. 10. Documenti aggiuntivi: il commento. Al fine di rendere perfettamente comprensibile l'Apocrifo Dantesco Anacronistico si consiglia all'autore di allegare alla mail anche un proprio Commento all'Apocrifo Dantesco (che può anche prevedere la parafrasi dell'Apocrifo stesso). Tale Commento serve ad esplicare alcuni passaggi delle

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terzine che necessitano di nota, a spiegare gli eventuali neologismi o a chiarire in prosa le licenze poetiche utilizzate. Al fine di semplificare la correzione, si prega di impaginare l'apocrifo numerando i versi uno ogni cinque. 11. Scadenze e premiazione. Entro la fine di febbraio 2017 saranno comunicati tramite mail e messaggio facebook i vincitori del concorso, che dovranno ritirare il premio personalmente, pena la non assegnazione del premio stesso, nel corso della cerimonia di premiazione che avverrà in data e luogo che saranno comunicate personalmente ai vincitori e agli altri partecipanti tramite sulla pagina facebook www.facebook.com/ApocrifoDantescoAnacronistico e sul blog www.matteodebenedittis.wordpress.com. In ogni caso la cerimonia di premiazione non avverrà oltre la fine dell'anno scolastico 2016/2017. L'organizzazione offre ai vincitori: il pernottamento la sera antecedente la premiazione e un rimborso per le spese di viaggio pari a 50 euro.

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INFERNO Giordano Bruno fra gli eretici Poi ch’ebbi il tergo a Farinata porto, 1 che giuso era omai casso ne la cassa

donde era pria sdegnosamente sorto,

lo duca seguitai con fronte bassa,

qual fantolin che per sentier oscuro 5 al genitor securo il passo lassa.

Ed ecco, un po’ più in là, di costa al muro ond’era cinto l’aspro avel cocente,

vidi un sepulcro e nel suo ventre scuro

giacer supina un’anima dolente. 10

Chiusi avea gli occhi e ‘l volto assai deforme, qual per soverchia bile internamente

chiusa talor veggiamo l’uom che dorme

e le cimmeriche regioni varca

pugnar feroce demoniache torme. 15

Stett’io com’om cui grave dubbio carca e ‘l duca mio, che intese la favella

di mia mente, disse: “Quest’eresiarca

dormir non puote, ché l’ardente cella

ognor lo strazia. Ma in suo dir ti fida 20 acciò i tuoi crucci per sua sorte svella.”

Quei, che sentì ‘l parlar de la mia guida, sanza degnarne disserrar li cigli

disse con lingua più di me rapìda:

“Io nacqui Filippo, né altri figli 25

Fraulissa a Giovanni Bruno diede là ‘ve il Cicala scema coi suoi tigli.

Da Nola a Napoli fanciullo il piede

mossi e in tetro chiostro poi fui Giordano,

non per amor di Cristo o innata fede 30

ma per li sillogismi del Vairano che, come tu ben sai, parecchie fiate

il teologale lume fanno vano.”

Io, che le guance avea tutte innostrate,

dimandai: “Qual fallo, anima dannata, 35 trasseti dal chiostro all’urne infocate?”

“Col fuoco ch’or m’opprime fu bruciata la mia carne da vili inquisitori.”

rispuose, si levò con faccia irata

e alfin mostronne gli occhi e parve fuori 40

sua bile esacerbata. Poi riprese: “Ma più m’arsero gli eroici furori

onde ‘l mio verbo la tua Chiesa offese,

per ch’essa rise al suon de la mia morte.

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Sprezzai le religioni e lor pretese 45

di rinserrare a la Ragion le porte.

Dio credetti uno, non in tre distinto, e tutto assorto ne la propria corte

e ‘l mio pensier, oltre ogni Sfera spinto,

mondi infiniti vide e l’universo 50

da niun confine tutt’intorno cinto.

Però che in questa tomba u’ son riverso che gli omeri m’opprime e ‘l fiato toglie

e al novissimo dì m’avrà sommerso,

solo chiudendo gli occhi le mie doglie 55

oblìo e, come m’hai trovato, tale qual uomo a la manier che dormir soglie,

posso varcar lo spazio siderale” Così parlò quel gran guerrier di Nola

e poi ricadde giuso col suo male, 60

né poscia proferì altra parola.

PARAFRASI:

Dopo che ebbi dato le spalle a Farinata, che ormai era sparito (casso) giù nella cassa dalla quale prima era uscito con atteggiamento

sdegnoso, seguii Virgilio (lo duca) con la testa bassa, come un bambino (fantolin) che lungo un sentiero sconosciuto (oscuro) cede il

passo al padre sicuro. Ed ecco, un po’ discosto, accanto (di costa) al

muro dal quale era circondato quel terribile cimitero cocente (l’aspro avel cocente), vidi un sepolcro e nel suo interno (ventre) scuro giacere

supina un’anima dolente. Aveva gli occhi chiusi e il viso molto deformato (assai deforme), come talora vediamo per eccedente rabbia

(soverchia bile) repressa interiormente (internamente chiusa) l’uomo

che dorme e sogna (le cimmeriche regioni varca -Nell’antichità si riteneva che nella terra del mitico popolo dei Cimmeri, situato ai

confini della Terra, si trovasse una grotta in cui risiedevano i Sogni-) combattere inferocito (pugnar feroce) schiere di demoni (demoniache

torme). Io restai come chi è oppresso da un tremendo dubbio (com’om

cui grave dubbio carca) e la mia guida, che comprese i miei pensieri (che intese la favella di mia mente), disse: “Quest’eretico non può

dormire poiché il sepolcro ardente lo strazia continuamente. Ma affidati alle sue parole (Ma in suo dir ti fida), in modo che estirpi i tuoi

tormentosi dubbi circa la sua sorte (acciò i tuoi crucci per sua sorte

svella). Quel dannato (Quei), che udì le parole di Virgilio (de la mia guida), senza degnarsi di aprirci gli occhi (sanza degnarne disserrar li

cigli), prima che potessi parlare io (con lingua più di me rapìda) disse: “Io sono nato con il nome di Filippo e Fraulissa Savolina (madre di

Bruno) non partorì (diede) altri figli a Giovanni Bruno lì dove il monte

Cicala digrada con i suoi tigli (là ‘ve il Cicala scema coi suoi tigli. Da fanciullo mi recai (il piede mossi) da Nola a Napoli e in un tetro

chiostro presi il nome di Giordano (all’età di circa 14 anni Bruno entrò nel convento napoletano di San Domenico Maggiore), non per amore

nei confronti di Cristo o per innato sentimento religioso (innata fede),

ma per apprendere la filosofia da Teofilo da Vairano (l’agostiniano Teofilo da Vairano fu, a detta di Bruno stesso, il suo più grande

insegnante di filosofia), la quale, come tu ben sai, parecchie volte offusca il lume della teologia (Anche Dante, dopo la morte di Beatrice

nel 1290, cercò consolazione negli studi filosofici, illudendosi di poter

raggiungere la verità senza l’aiuto della fede e della teologia)” Io, che avevo le guance tutte arrossite (innostrate, dal latino ostrum=ostro),

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domandai: “Quale peccato, anima dannata, ti ha condotto da un chiostro a queste bare infuocate?” “Col fuoco che ora mi opprime io fui

arso al rogo (fu bruciata la mia carne) da vili membri della Santa

Inquisizione.” rispose, si sollevò con il volto irato e finalmente ci aperse gli occhi (mostronne gli occhi) e apparve esteriormente la sua

collera esasperata (sua bile esacerbata); poi riprese: “Ma maggiormente mi accesero l’animo (Ma più m’arsero) gli eroici furori

(espressione con cui Bruno indica il suo appassionato sforzo verso

l’infinito alla base della propria filosofia) in virtù dei quali le mie parole attaccarono la Chiesa in cui tu ti riconosci (la tua Chiesa),

motivo per il quale essa gioì al clamore suscitato dalla notizia della mia morte (per ch’essa rise al suon de la mia morte). Disprezzai le religioni

tradizionali e le loro pretese di ostacolare il libero sviluppo della

ragione umana (lor pretese di rinserrare a la Ragion le porte). Credetti in un Dio unico, non distinto in tre persone (nel 1576 Bruno rifiutò il

dogma della Santissima Trinità), e tutto immerso (assorto) nel creato (ne la propria corte) (Bruno fu sostenitore del pampsichismo, dottrina

che afferma che concepisce la Terra come permeata da una “grande

anima”) e il mio pensiero, spinto oltre ogni Sfera (la cosmologia medievale si fondava sull’idea di un universo finito e costituito da sfere

concentriche), concepì (vide) infiniti mondi e un universo non circondato da alcun confine (da niun confine tutt’intorno cinto).

Perciò (Però che) in questa tomba, che mi stringe le spalle e toglie il

respiro e che nel giorno del giudizio universale mi coprirà del tutto (al novissimo dì m’avrà sommerso), solo chiudendo gli occhi dimentico i

miei mali e, simile ad un uomo nella maniera in cui è solito dormire, come mi hai trovato, posso attraversare lo spazio siderale.” Così parlò

quello spirito combattivo originario di Nola (quel gran guerrier di Nola)

e poi ricadde giù con suoi dolori (col suo male) e non disse più nulla.

COMMENTO

Dante, dopo aver lasciato Farinata degli Uberti, nel girone degli eretici incontra l’anima di Giordano Bruno, caratterizzata, anche attraverso il

frequente utilizzo di termini relativi al campo semantico del fuoco e

del calore, da un atteggiamento fiero e combattivo, non meno di quello di Farinata stesso. Bruno fa pochi riferimenti alla propria vita e si

sofferma maggiormente nel delineare le cause che lo portarono sul rogo nel 1600, difendendo orgogliosamente la propria filosofia e non

mancando di attaccare anche da morto la Chiesa e la religione. La sua

figura, emblematicamente, domina interamente il canto, lasciando pochissimo spazio alle parole di Dante e di Virgilio.

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PURGATORIO Foscolo nella cornice dei lussuriosi Virgilio fe’: “Tua mente or sia veloce, 1 ché cosa nova poi dovrìa referre”. E un’ombra ver’ noi venne e prese voce: “O uomo che qui vieni de le terre che morte prima veggiono, e seconda, u’ popoli tra loro etterne guerre principian, e Fortuna le asseconda, dimmi de ‘l Ciel qual favore tu avesti, che pur se’ qui, e porti quasi monda di carne veste, e vita manifesti.” 10 Rispuosi: “Vita nostra è peregrina, ovunque Dio noi voglia, e che lo attesti lo Apostol de le genti, il fa dottrina; e per Sua grazia noi siam quel che siamo: s’io qui accresco Sua gloria divina, felice obbedisco a Colui ch’i’ amo seguendo l’orme di questo mio Duce, già per li antichi al Dio vero richiamo”. “Or se’ tu colui che fama traluce insin – rispuose – al secol mio? Credea 20 falsi tuoi canti intessuti di luce u’, pria ch’i’ nato fu’, fosti altro Enea. E tu Virgilio sei.”, mirando il padre con reverenza, “A Te, Dio, gloria sea!” Poi continuò: “Dal latte de mia madre, fuggendo sino all’ultimo giaciglio de l’Aquila bicipite le squadre, sapore non conobbi che d’essiglio. Son Niccolò Ugo Foscolo, de Zante, de’ versi tuoi ammirator, e figlio. 30 Ne l’altro mondo considerai sante non orazioni né offerte d’incensi ma rime mie, e provai con cor zelante corrispondenza d’amorosi sensi co’ cari estinti miei, a calde e meste lagrime mie conforto. Ma mai spensi li ardori del desìo, che pur in este fulgenti fiamme posero mio spirto, guerrier vinto d’Amor. Or da celeste incendio, qual ruggea ‘n roveto irto 40 u’ Moïsé Dio vide prender loco, acceso è lo cor mio, di lauri et mirto. Tu vedi me pur contento nel foco perch’io trovai de la sete riposo ne l’acqua de l’etterna pace, e poco mancò de predarmi a l’invidïoso nemico che qui è nulla. Florïana curò ne l’anglo rifugio penoso lo padre suo, devota a la fontana ch’al mondo grazie piove, e che io appresi 50 soffrire per mia parte sovrumana a cui negava vita e vilipesi. Naufrago in gran tempesta, vidi ’l porto: a’ Sacramenti umìl le palme tesi e ’n pace alfine, lasso e quasi morto, ebbi ciò che l’antica patria spera: resurrezion in Colui ch’è risorto.” Qui si partì, sul volto gioia vera, mentr’io de maraviglia costernato lo mio pingea, ché ‘n fronte posto m’era 60 stato qualcun ch’ancor non era nato.

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Commento all’Apocrifo Dantesco Parafrasi: Virgilio disse: “La tua mente ora sia rapida nel comprendere, poiché poi dovrà riferire sulla terra una cosa grandiosa”. Ed uno spirito venne verso di noi e disse: “O uomo che vieni qui dall’emisfero delle terre, dove si possono vedere la morte corporale e quella spirituale in atto, e dove i popoli iniziano tra di loro guerre infinite, e la Storia (Fortuna) lascia loro fare, dimmi quale grazia divina avesti per essere qui, portando la tua veste di carne già quasi del tutto purificata, e manifestando vita”. Risposi: “La nostra vita è un pellegrinaggio, ovunque Dio ci voglia, e il fatto che lo dica anche San Paolo rende ciò dottrina della Chiesa; e per grazia di Dio noi siamo così come siamo: perciò se il mio viaggio qui nell’aldilà accresce la gloria di Dio, io obbedisco felice a Lui che amo, seguendo i passi di Virgilio, che mi fa da guida, e che indicò la vera religione già ai suoi contemporanei”. Rispose lo spirito: “Sei dunque tu colui la cui fama splende fino alla mia generazione? Credevo falsa la tua Commedia, pur se piena di bellezza e di senso, nella quali raccontasti il tuo viaggio nell’Aldilà, parallelo a quello di Enea nell’Eneide, compiuto prima che io nascessi. E tu sei Virgilio.”, disse guardando il mio maestro con reverenza, “A te, o Dio, sia gloria!”. Poi continuò: “Da quando, poppante, bevevo il latte materno, in poi, sempre fuggendo fino alla mia morte le armate dell’Impero Asburgico, non sentii alcun altro sapore se non quello dell’esilio. Sono Niccolò Ugo Foscolo, nativo di Zante, ammiratore dei tuoi versi e, come poeta, figlio della tua poetica. Nell’emisfero dei vivi considerai come sante non le preghiere o i riti cristiani, ma le mie rime, e sentii con il mio cuore impetuoso un dialogo di sentimenti di affetto con i miei cari che erano già morti, conforto alle mie lacrime calde e tristi. Ma non spensi mai l’ardore del desiderio amoroso, che ha fatto sì che il mio spirito sia qui a purgarsi, nella cornice dei lussuriosi, poiché appunto è stato vinto dalla forza dell’amore carnale. Ora, invece, il mio cuore, desideroso di gloria e di amore terreno, è acceso da una fiamma di amore divino, quale quella che bruciava il roveto ardente in cui Mosè vide che Dio dimorava. Tuttavia tu mi vedi contento in questo fuoco purgatoriale, e quindi salvato, perché trovai sollievo alla sete del mio cuore in Cristo, e mancò poco a Satana, il nemico invidioso che qui nel Purgatorio non può niente, di catturarmi. Floriana, mia figlia, curò me nel penoso rifugio trovato in Inghilterra, credente in Dio, il quale fa piovere le sue benedizioni sul mondo come una fontana e che capii da mia figlia che soffriva per l’anima a cui io negavo l’immortalità, e che in vita spregiai. Allora, come un naufrago in mare, vidi la pace per la vita che avevo vissuto tempestosamente: mi avvicinai ai Sacramenti umile, e, infine in pace, ma stanco e alla fine della mia vita, ebbi ciò che l’Italia, mia antica patria, spera da molto tempo, ovvero una resurrezione, quale quella di Cristo, che è risorto, e sostenuta da lui”. E qui Foscolo se ne andò, con un volto pieno di gioia, mentre io dipingevo il mio di meraviglia, costernato, perché mi ero reso conto che mi era stato posto davanti qualcuno che ancora non era nato. Note: 2. “Poi”, nell’emisfero delle terre, dei viventi, a cui Dante tornerà e testimonierà il suo viaggio. 5. Si riferisce alla morte corporale e a quella spirituale (Cantico delle Creature). 7. L’anima esprime un’attenzione particolare alla Storia e a come si svolge, e un’amarezza per la sofferenza che i suoi conflitti provocano. È per questo e per altri motivi (l’essere peccatore, poeta, esule e profondamente legato alla propria patria) imago Dantis. 13. “Lo Apostol de le genti”, è S. Paolo. San Paolo “attesta” (v. 12) che la vita è un pellegrinaggio verso il Cielo in Fil 3, 13-14. 14. Citazione letterale da San Paolo (1Cor 15, 11). 18. Virgilio è considerato un autore protocristiano dalla cultura medioevale. Nel canto XXI del Purgatorio, è lodato dal poeta latino

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Stazio proprio per avergli fatto conoscere la vera religione, quella cristiana, e avergli potuto dare la salvezza eterna. In questo canto vi è un altro poeta salvato dalla Grazia operante. 19. “Che”, uso dantesco del pronome relativo, sta per “la cui”. 21. Si riferisce alla “Commedia” stessa. 22. “Fosti altro Enea”; ripercorresti il viaggio di Enea nell’aldilà (Inferno II, 32, “Io non Enea, io non Paolo sono”). Sono ripresi entrambi i due autori di una catàbasi già citati da Dante. Nella figura del protagonista dell’Eneide è riecheggiato Virgilio (già lodato ai vv. 17-18) e dunque la classicità, amata da Foscolo. 27. Foscolo fuggì per l’Europa temendo l’arresto degli Asburgo (il cui stemma è l’aquila con due teste). 28. Foscolo apparentemente contraddice Dante, dicendo che per sua esperienza la vita è stata un esilio, pù che un pellegrinaggio. Alla fine del discorso, tuttavia, dichiara che “Naufrago in gran tempesta, vidi’l porto” (v. 53), ponendosi dunque in accordo con Dante e il suo discorso più dottrinale che esperienziale (Dante personaggio non conosce l’esilio che dovrà subire, ma Dante autore ne è conscio). 29. Foscolo si presenta. È situato nella cornice dei lussuriosi, in cui Dante sceglie di collocare tutti i grandi poeti che cantarono rime d’amore e nella cui corrente Dante si colloca. Egli è un suo continuatore nella letteratura italiana e nella trattazione di temi importanti quali l’amore e il fine ultimo dell’uomo. 30. “altro mondo” si riferisce sempre al nostro emisfero. 32. Foscolo è stato notoriamente ateo. Di una sua conversione in extremis non sappiamo nulla (si pensi al 5 maggio di Manzoni, dove è immaginata la conversione di Napoleone). 34. Citazione foscoliana (“Celeste è questa / corrispondenza d’amorosi sensi”, Carme dei Sepolcri, v. 30); essa è l’affetto tra vivi e morti, che ce li fa sentire ancora presenti con noi (“celeste”, v. 39). 36-42. Predomina qui la figura etimologica del fuoco, indice della pena di questo cerchio nonché dell’animo infiammato del poeta e del vizio della lussuria. 38-39-40. Citazione indiretta a “Alla sera”, sonetto foscoliano (“Questo spirto guerrier ch’entro mi rugge”) 40-41. Episodio biblico, il roveto ardente (Esodo 3, 2-6) 42. La pianta del mirto è simbolo di Afrodite già dalla classicità. Raffigura qui la passione d’amore, il peccato della lussuria. L’alloro è simbolo di gloria, indica il peccato della superbia. 43. “color che son contenti / nel foco”, Inferno I, vv. 118-119. Foscolo ci esplica perché è “pur” qui nel Purgatorio: è stato salvato. 46. Satana. “là onde invidia prima dipartilla”, Inferno I, v. 111 47. Figlia di Foscolo, di cui si sa molto poco; qui si immagina essere stata lei il tramite della grazia di Dio, che ha provveduto a salvare il padre. Dante immagina spesso le conclusioni di vite notevoli nella sua Commedia (per esempio, Bonconte da Montefeltro in Purgatorio V). 48. Foscolo fu costretto all’esilio in Inghilterra tra il 1816 e il 1827, anno della morte. 49. La Provvidenza divina, Dio (oppure, come in Paradiso XXXIII, 12, la Madre di Cristo). 50. Uso transitivo di “piovere”. Per esempio: "Padre e Signor, s'al popol tuo piovesti / già le dolci rugiade entro al deserto" (Tasso). 54. “ma io deluse a voi le palme tendo”, citazione foscoliana (sonetto In morte del fratello Giovanni). 56-57. Richiamo all’Italia, patria vilipesa e amata da Foscolo come da Dante, ancora in attesa di un “risorgimento” (v.54, “umìl”, come “di quella umìle Italia fìa salute”, Inferno I, v. 106). 61. “dinanzi agli occhi mi si fu offerto”, Inferno I, 62. Dante rimane con senso di stupore per l’incontro appena fatto (“cosa nova”; v. 2); non ci spiega come sia stato possibile, ma non si può escludere in un canto successivo la sua domanda e la risposta conseguente di Virgilio.

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PARADISO ALCIDE DE GASPERI NEL CIELO DI MERCURIO 1 Poscia che ‘l primo spirto inver la schiera moss’ebbe a danza ‘l suo fulgido vanto, un altro, che parea maggio lumera, fora sen trasse, e seguitando ‘l canto: 5 “Virtutem sacrificio ex omne terra offerant tibi Deus, sic te laudanto”. Qual quei ch’a notte tragge de la serra del sol fiammella umìle, sì vid’io fulger sua face più onde più erra. 10 “Alma gentil, ch’al sommo ciel d’Idio t’accigni” ei fe’, par che durando ‘l priego, “se pei miei detti ‘l savio tuo disio quiescere possa, non farolti niego”. Ed io, ch’ardea d’alto saver nel petto 15 qual spirto ei fosse, ch’a onestà sussiego sì dolcemente disgiugneva: “O eletto al trïunfo etternal onde ‘l ciel ride, scoprine tu chi se’ ch’io goda al detto”. Cui ei soave: “I’ son quel buon Alcide 20 ch’ebbe sì caro onde tu se’ ‘l paese com’om ch’intenda a l’opra mia s’avvide. Nove rinovellar l’antiche offese quando crudo oppressor li fece oltraggio e contra ‘l suo con lo stranier contese. 25 Ma come ‘l fer prova sua tempra a saggio, sì a l’onta sé levarono le genti sparte su l’uno suol, d’un sol coraggio. Quei che cercando libertà, fidenti d’ogne parte pugnando, a Dio spiraro 30 una face qui splendono lucenti. E ‘l sagrifizio a buon frutto menaro adiuvandoli ‘l Ciel, quelli per questi: sovrano ebbe a nomarsi ‘l popol chiaro. Sciolta la greggia de’ suo’ ceppi mesti 35 me, cui simil fu prova, a guida elesse, onde m’è tal ben, che tu mo chiedesti”. “Or quinci” io dissi, “alfine ne concesse a merto ‘l Ciel la disïata grazia, che tanto reggitor l’Italia resse?” 40 E quei: “ O savia brama non mai sazia, sì l’essere conviensi a te, se pure tua canoscenza sazïar te strazia! Pon freno al tuo gioir: vetuste cure, ch’irrisolute traggonsi d’antico, 45 posar non lassan quelle genti scure. Già eran parti a’ tempi de’ quai dico diverse al compier quel voler simìle, onde l’un l’altro aver non può inimico. L’alto proposto or tiensi sì per vile 50 che niun ben regga, o ch’il faccia per frode, come ben sa chi ven del bello ovile. Pur ferma Italia fia a la ‘nfame lode, che piega ‘l collo a giogo d’altro impero, e del mal frutto in sua superbia gode! 55 Vien tempo e, a mezzo ‘l fosco, unqu’a Lui sero, là ‘ve più chiara splende speme adduce, onde più chiaro par lo stesso nero”. E ‘l lume suo co’ suoi fe’ sola luce. Commento 1 Poscia che ‘l primo spirto inver la schiera moss’ebbe a danza ‘l suo fulgido vanto,

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un altro, che parea maggio lumera, fora sen trasse, e seguitando ‘l canto: 5 “Virtutem sacrificio ex omne terra offerant tibi Deus, sic te laudanto”. Parafrasi: Dopo che il primo spirito ebbe mosso, danzando, il suo alone di luce verso la schiera, un altro, che sembra fonte di luce ancora più splendente, ne uscì e proseguendo il canto (disse): “Ti offrano, o Dio, virtù in sacrificio da tutta la terra, così ti lodino”. Il “primo spirto” cui si fa riferimento è Giustiniano, il cui intervento occupa per intero il sesto canto del Paradiso e si conclude nel settimo con un solenne inno di lode a Dio. L’episodio proposto si colloca in continuità con quest’ultimo. Giustiniano torna alla sua schiera muovendo, in una danza, l’alone di luce che lo circonda, definito “fulgido vanto” in quanto segno della sua beatitudine. Un altro spirito, che si scoprirà appartenere ad Alcide De Gasperi, esce dalla schiera proseguendo l’inno. Il contenuto del canto, tuttavia, ha un carattere differente rispetto al precedente, in quanto anticipa i temi fondamentali del suo discorso. Giustiniano rivolge a Dio una lode sublimata, sciolta da ogni rapporto con la terra e limitata all’ambito paradisiaco (“Osanna, sanctus Deus sabaòth,/ superillustrans claritate tua/ felices ignes horum malacòth!”, in traduzione “Osanna, santo Dio degli eserciti, che sovrillumini con la tua luce i beati fuochi di questi regni!”); De Gasperi concentra, invece, il suo canto sul mondo terreno e sulla virtù concreta. 7 Qual quei ch’a notte tragge de la serra del sol fiammella umìle, sì vid’io fulger sua face più onde più erra. Parafrasi: Come colui che di notte discosta una piccola fiammella dai raggi del sole, così io vidi la sua luce splendere più chiara e per questo spandersi. Lo splendore delle singole anime non è distinguibile nella schiera, che appare come un’unica luce, qui paragonata al sole, nei cui raggi si confonde il fioco bagliore di una fiammella. Quando, però, quest’ultima viene tratta in disparte rischiara la notte che, con la sua oscurità, ne esalta l’umile splendore. Il poeta può finalmente percepire appieno quella luce, fino ad ora solo vagamente intuibile (“parea maggio lumera”). 10 “Alma gentil, ch’al sommo ciel d’Idio t’accigni” ei fe’, par che durando ‘l priego, “se pei miei detti ‘l savio tuo disio quiescere possa, non farolti niego”. Parafrasi: “O nobile anima, che ti accingi verso l’Empireo” disse quegli, come continuando il suo canto, “qualora attraverso le mie parole il tuo desiderio di conoscenza possa placarsi, non vi opporrò rifiuto”. È il primo intervento di De Gasperi che, come Giustiniano, esorta il poeta a porgli delle domande. Dante, apostrofato come “alma gentil”, è investito di una nobiltà proveniente dalla volontà divina, che gli ha concesso di attraversare, vivo, i regni dell’Oltretomba e giungere fino al “sommo ciel d’Idio”. La beatitudine dello spirito è sottolineata dal suo tono di voce, che pare proseguire spontaneamente la melodiosa armonia del canto. Ed io, ch’ardea d’alto saver nel petto 15 qual spirto ei fosse, ch’a onestà sussiego

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sì dolcemente disgiugneva: “O eletto al trïunfo etternal onde ‘l ciel ride, scoprine tu chi se’ ch’io goda al detto”. Parafrasi: Ed io, che ardevo per l’alto desiderio di sapere quale spirito fosse quello, che disgiungeva così dolcemente la propria nobiltà da ogni alterigia, (dissi): “O eletto al trionfo eterno, per il quale gioisce il cielo, rivelaci chi sei, così ch’io possa godere alle tue parole”. Al “savio disio”, cui accenna De Gasperi, corrisponde l’“alto saver” del poeta, da intendere come desiderio d’alta conoscenza. Dante non risulta particolarmente colpito dallo splendore del suo interlocutore, quanto piuttosto da come costui possa essere a un tempo così umile e glorioso. La richiesta ch’egli rivolge allo spirito, dunque, ha come scopo il conseguimento di una gioia (“ch’io goda”) che deriva da quello stato di beatitudine che inonda il cielo (“onde ‘l ciel ride”) , e si può attuare per mezzo della conoscenza della virtù che lo genera. Cui ei soave: “I’ son quel buon Alcide 20 ch’ebbe sì caro onde tu se’ ‘l paese com’om ch’intenda a l’opra mia s’avvide. Parafrasi: E a ciò, egli (rispose) soave: “Io sono quel buon Alcide, che ebbe assai caro il paese da cui tu provieni, come chiunque possegga intelletto comprese alle mie opere”. Il latinismo “cui” (con funzione di nesso relativo) segna un innalzamento stilistico del testo e fornisce un’aura di sacralità al discorso del personaggio. L’oggettività cui lo sottopone la sua condizione di beato, priva la formula di auto-presentazione“I’ son quel buon Alcide” d’ogni forma di superbia, tanto più che la grandezza del suo operato può essere testimoniata da “om ch’intenda” . Il significato di quest’ultima espressione (da estendersi a tutti gli uomini) è, infatti, connesso alla tradizione aristotelica, tanto cara a Dante, che individuava nella facoltà intellettiva l’elemento che, caratterizzandone la natura, distingue l’uomo dalle altre forme di vita. Nove rinovellar l’antiche offese quando crudo oppressor li fece oltraggio e contra ‘l suo con lo stranier contese. 25 Ma come ‘l fer prova sua tempra a saggio, sì a l’onta sé levarono le genti sparte su l’uno suol, d’un sol coraggio. Parafrasi: “Nuove offese rinnovarono le antiche, quando un crudele oppressore oltraggiò (l’Italia), e combatté contro il proprio popolo assieme agli stranieri. Ma come il ferro dimostra la sua tempra quando viene provato, così dinnanzi a quella vergogna le genti insorsero, divise sull’unico suolo (della patria), ma unite nel coraggio”. Riprendendo il discorso di Giustiniano, che aveva narrato la storia dell’impero dalla sua fondazione fino ai tempi di Dante, De Gasperi espone le vicende dell’Italia dalla Seconda Guerra Mondiale al giorno d’oggi. Gli orrori dell’oppressione nazi-fascista proseguono i tanti oltraggi commessi, nel corso dei secoli, contro l’autonomia e la sovranità degli italiani. La gravità di quest’ultima offesa è, però, accentuata dal fatto che un sistema come quello fascista, già di per sé dittatoriale, si sia avvalso del sostegno di un totalitarismo straniero, quello nazista, per compiere indicibili atrocità contro il proprio stesso popolo. L’esasperazione dinnanzi a questa ennesima prova, rinvigorita da secoli di esperienza, ha condotto gli italiani (paragonati al ferro temprato) a insorgere organizzando una coraggiosa resistenza, che ha unito gente d’ogni provenienza geografica e politica, abbattendo idealmente la suddivisione imposta alla penisola a seguito

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dell’armistizio del 1943. Quei che cercando libertà, fidenti d’ogne parte pugnando, a Dio spiraro 30 una face qui splendono lucenti. E ‘l sagrifizio a buon frutto menaro adiuvandoli ‘l Ciel, quelli per questi: sovrano ebbe a nomarsi ‘l popol chiaro. Parafrasi: “Coloro che, cercando la libertà e combattendo fiduciosi da ogni parte, resero l’anima a Dio, qui splendono lucenti come un unico bagliore. E quelli che rimasero in vita, con l’aiuto del Cielo, condussero, in loro vece, a buon fine quel sacrificio: quel popolo illustre si poté chiamare sovrano”. Il superamento d’ogni pregiudizio nella lotta per la libertà viene ribadito nella realtà paradisiaca, idealizzato paradigma del bene terrestre, dall’“una face” in cui splendono i caduti della resistenza. Il tema del sacrificio personale per il bene comune è, peraltro, assai caro a Dante, che ne fornisce una sacrale immagine nel personaggio di Catone Uticense (si veda Pg I, 71-74 “libertà va cercando, ch’è sì cara,/ come sa chi per lei vita rifiuta./ Tu ‘ l sai, ché non ti fu per lei amara/ in Utica la morte...”) La misericordia divina ricompensa un tanto nobile sacrificio, sostenendo i vivi (“quelli”) nell’opera iniziata assieme ai defunti (“questi”) e consentendo, così, al popolo italiano di chiamarsi finalmente sovrano (vd. Costituzione Italiana, art. 1). Sciolta la greggia de’ suo’ ceppi mesti 35 me, cui simil fu prova, a guida elesse, onde m’è tal ben, che tu mo chiedesti”. Parafrasi: “Una volta libero dalle tristi catene (dell’oppressione), il popolo elesse me, che avevo sofferto la prigionia, a sua guida, e da quel servizio proviene la mia beatitudine, tale che tu ora me ne chiedesti”. La definizione di “greggia”, con cui si indica il popolo, conferisce a De Gasperi, che ne diviene guida, un ruolo sacrale assimilabile a quello del pastore. Tuttavia, in ottemperanza ai principi della democrazia, la sua responsabilità ha origine da una comune condizione: le metaforiche catene dell’oppressione del popolo, i “ceppi mesti”, hanno un corrispettivo concreto nella “simil... prova” cui il personaggio ha dovuto far fronte, ossia la sua detenzione nel periodo fascista. L’attività politica si configura, dunque, come un’opportunità per dimostrare la propria virtù in funzione del bene pubblico. Da questa scaturisce la beatitudine di De Gaperi, collocato, non a caso, tra le anime che militarono per la gloria terrena. 37 “Or quinci” io dissi, “alfine ne concesse a merto ‘l Ciel la disïata grazia, che tanto reggitor l’Italia resse?” Parafrasi: “Ora dunque” dissi io, “ il Cielo ci ha concesso, alla fine, per questo merito la tanto agognata grazia, dacché un tale governante resse l’Italia?”. La replica di Dante riecheggia tutta l’apprensione per l’instabilità politica dell’Italia che pervade le pagine della “Commedia”. Il poeta ne individuava le cause nell’incapacità degli imperatori e nell’iniquità dei suoi abitanti, ma dinnanzi alla dimostrazione di coraggio del popolo e alla virtù della sua guida, egli è naturalmente portato a credere che la situazione politica sia decisamente migliorata.

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40 E quei: “ O savia brama non mai sazia, sì l’essere conviensi a te, se pure tua canoscenza sazïar te strazia! Pon freno al tuo gioir: vetuste cure, ch’irrisolute traggonsi d’antico, 45 posar non lassan quelle genti scure. Parafrasi: E quegli: “O mai contenta brama di sapere, così conviene che tu sia, anche qualora soddisfare la tua conoscenza sia per te fonte di dolore! Placa la tua gioia: le antiche sofferenze, che si trascinano irrisolte dai tempi più antichi, non lasciano quella gente afflitta aver pace”. L’apostrofe, indirizzata per sineddoche al poeta, ha il carattere di un’affermazione di massima. La gloria paradisiaca legittima il superamento di quei limiti imposti al sapere umano, vigorosamente affermati nel XXVI canto dell’“Inferno”. La morale è ribaltata: la conoscenza è un dovere a cui l’uomo deve adempiere, anche a costo di trarne sofferenza personale. E, in effetti, questa ricerca tronca immediatamente le speranze di Dante: la medesima endemica instabilità continua ad affliggere l’Italia. Già eran parti a’ tempi de’ quai dico diverse al compier quel voler simìle, onde l’un l’altro aver non può inimico. L’alto proposto or tiensi sì per vile 50 che niun ben regga, o ch’il faccia per frode, come ben sa chi ven del bello ovile. Parafrasi: “Vi erano già delle parti ai tempi di cui parlo, di parere differente riguardo al compimento di quell’intento comune, che non consente ad uno di considerare l’altro proprio nemico. Quel nobile proposito si considera oggi così spregevole, che nessuno è in grado di governare bene o che lo faccia per inganno, come ben sa chi proviene dalla tua Firenze”. Nell’Italia del dopoguerra il sistema bipolare democristiano-comunista era, sì, caratterizzato da una forte rivalità e da un dibattito molto acceso, ma aveva, da entrambe le parti un “voler simìle”, ossia il bene comune, in virtù del quale non può esistere inimicizia tra concittadini. A tal modello si contrappone la crisi politica attuale, in cui lo smarrimento di questo scopo principe comporta l’assenza di punti di riferimento stabili, come testimoniano le più recenti compagini governative. L’espressione “bello ovile”, con cui si indica Firenze, è ripresa da Dante, che così definisce con nostalgico affetto la patria perduta (“...vinca la crudeltà che fuor mi serra/ del bello ovile ov’io dormi’ agnello” Pd XXV, 4-5), qui utilizzata con identica commistione d’affetto e dispiacere per la città, culla delle arti. 52 Pur ferma Italia fia a la ‘nfame lode, che piega ‘l collo a giogo d’altro impero, e del mal frutto in sua superbia gode! Parafrasi: “Tuttavia resista ferma l’Italia alla vergognosa lusinga, che si sottomette alla volontà d’un indegno impero e, nella sua superbia, gode del suo iniquo operato!”. Tutto il discorso di De Gasperi, pervaso dell’ansia di libertà che animava la resistenza, sembra vanificato dalla “‘nfame lode”, l’ignobile sofistica che fa leva sugli istinti più bassi delle masse. L’esortazione a non cedere a tanta bruttura rivolta all’Italia, espande i confini della riflessione politica, che giunge a toccare le istituzioni europee, qui definite “altro impero”. L’aggettivo, utilizzato in senso etimologico come “diverso” (da latino alter), vuole rappresentare l’alterità di questa compagine rispetto all’impero di cui parla Dante, che trae

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origine dall’auctoritas romana, ma si caratterizza per la stessa debolezza e gli stessi scompensi d’equilibrio (si pensi alla negligenza dei regnanti tedeschi verso il “giardin de lo ‘mperio”), che precludono all’Europa una fondamentale opportunità politico-economica. Il testo riprende l’invettiva politica della “Commedia” nel suo crescendo, con il riferimento a Firenze, all’Italia e all’impero. 55 Vien tempo e, a mezzo ‘l fosco, unqu’a Lui sero, là ‘ve più chiara splende speme adduce, onde più chiaro par lo stesso nero”. E ‘l lume suo co’ suoi fe’ sola luce. Parafrasi: “Giunge un tempo, mai troppo tardi per Lui, e reca la speranza in mezzo alle tenebre, là dove splende più chiara, per cui pare più chiara la stessa oscurità”. E la sua luce si unì a quella delle altre anime. L’ultima terzina pronunziata dallo spirito riecheggia le parole di San Paolo “ubi peccatum abundavit, superabundavit gratia” (“laddove abbondò il peccato, sovrabbonda la grazia” Rm 5, 20). Il provvidenziale intervento di Dio giunge sempre al momento più adatto, stabilito dalla sua imperscrutabile sapienza (“unqu’a Lui sero”). De Gasperi non profetizza un improvviso miglioramento delle condizioni dell’Italia, ma la rinascita della speranza, il cui smarrimento getta l’uomo in un’invalicabile senso di smarrimento e oppressione. Terminato il suo discorso, l’anima torna nella schiera da cui era uscita, unendo nuovamente la propria luce a quella degli altri beati.