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Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio e Allergologia Dipartimento di Medicina Interna - Universita’ di Genova Direttore Prof. G.W. Canonica ELEMENTI DI MALATTIE ELEMENTI DI MALATTIE DELL’APPARATO DELL’APPARATO RESPIRATORIO RESPIRATORIO Aggiornamento 2011 Dispense per il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia Giovanni Passalacqua, Fulvio Braido, Vito Brusasco, Angela Cinquegrana, Emanuele Crimi, Andrea De Maria, Carlo Mereu, Manlio Milanese, Roberto Quaglia, Antonio Scordamaglia, Filippo Tarchino, Mario Taviani Giorgio Walter Canonica Hanno collaborato alla redazione e stesura i dottori: Alberto Bordo, Gianluca Ferraioli, Valentina Garelli, Chiara Lagasio, Sofia Karamichali, Fiorenza Marugo, Grazia Piroddi, Francesca Schifò, Veruska Schoepf, Lorenzo Stellino

Pneumologia (Prof. Canonica) v.2011

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Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio e Allergologia Dipartimento di Medicina Interna - Universita’ di Genova

Direttore Prof. G.W. Canonica

ELEMENTI DI MALATTIE ELEMENTI DI MALATTIE DELL’APPARATO DELL’APPARATO RESPIRATORIORESPIRATORIO

Aggiornamento 2011

Dispense per il Corso di Laurea

in Medicina e Chirurgia

Giovanni Passalacqua, Fulvio Braido, Vito Brusasco, Angela Cinquegrana,

Emanuele Crimi, Andrea De Maria, Carlo Mereu, Manlio Milanese, Roberto Quaglia,

Antonio Scordamaglia, Filippo Tarchino, Mario Taviani Giorgio Walter Canonica

Hanno collaborato alla redazione e stesura i dottori: Alberto Bordo, Gianluca Ferraioli, Valentina Garelli, Chiara Lagasio, Sofia Karamichali, Fiorenza Marugo, Grazia Piroddi,

Francesca Schifò, Veruska Schoepf, Lorenzo Stellino

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CONTENUTI 1. INTRODUZIONE E CONCETTI GENERALI 2. STRUTTURA E FUNZIONI DELL’APPARATO RESPIRATORIO 3. IL RESPIRO E IL SUO CONTROLLO 4. LE PROVE DI FUNZIONALITA’ RESPIRATORIA 5. SCAMBIO DEI GAS ed EMOGASANALISI 6. METODOLOGIA DIAGNOSTICA 7. LE POLMONITI 8. TUBERCOLOSI (TBC) 9. BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA (BPCO) 10. ASMA BRONCHIALE 11. ALVEOLITI ALLERGICHE ESTRINSECHE 12. SARCOIDOSI 13. PNEUMOCONIOSI 14. NEOPLASIE POLMONARI E NODULO SOLITARIO 15. MESOTELIOMA PLEURICO E TUMORI PLEURICI 16. MALATTIE IMMUNOLOGICHE E GRANULOMATOSI 17. FIBROSI INTERSTIZIALI DIFFUSE 18. SINDROME BRONCHIECTASICA 19. POLMONE E PATOLOGIA CARDIOVASCOLARE 20. TROMBOEMBOLIA POLMONARE (TEP) 21. VERSAMENTO PLEURICO E PLEURITI. 22. PNEUMOTORACE (PNX) 23. ADULT RESPIRATORY DISTRESS SYNDROME (ARDS) 24. INSUFFICIENZA RESPIRATORIA 25. SINDROME MEDIASTINICA 26. MALFORMAZIONI, MALATTIE DELLA GABBIA TORACICA E

DEL DIAFRAMMA 27. MALATTIE NEUROMUSCOLARI 28. DISTURBI RESPIRATORI DEL SONNO 29. CENNI SULLA VENTILAZIONE MECCANICA E OSSIGENOTERAPIA 30. APPENDICE

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PREFAZIONE

Le malattie dell’apparato respiratorio sono, insieme con quelle cardiovascolari, le patologie internistiche di più frequente riscontro e l’incidenza di alcune di esse e’ in aumento costante. Fin dall’inizio della Professione, i medici sono chiamati ad affrontare ed interpretare sintomi e segni di possibile origine polmonare, a fare diagnosi e magari ad instaurare immediatamente una terapia. Come in ogni branca della Medicina, una buona conoscenza si acquisisce solo con l’esperienza diretta, ma e’ vero anche che la preparazione teorica di base e le nozioni fisiopatologiche elementari sono irrinunciabili perché l’esperienza clinica diventi produttiva ed utile.

Ci rendiamo conto che non si può insegnare “tutta la pneumologia” nel corso di un anno accademico e che non è proponibile imporre allo studente l’acquisto e lo studio di testi di pneumologia completi, ma voluminosi e costosi. D‘altro canto, esiste un corpo di conoscenze di base sulle malattie dell’apparato respiratorio dalle quali non si può prescindere per il futuro esercizio della professione. Da tutte queste considerazioni è nata l’idea originaria delle “dispense” di pneumologia, pubblicate per la prima volta nel 2000 in forma cartacea. Il successo riscosso tra gli studenti e lo sviluppo della tecnologia hanno portato a versioni informatiche delle dispense, pubblicate nel 2005 e nel 2008. Questa ultima edizione aggiorna le precedenti, tenendo conto delle più recenti acquisizioni della letteratura.

Ribadiamo che questi Elementi di Malattie dell’Apparato Respiratorio non devono essere considerati il testo su cui si studia “per passare l’esame”, ma la base delle minime conoscenze indispensabili ed una traccia degli argomenti che devono essere approfonditi. La buona volontà di fare didattica attiva è testimoniata dall’impegno di tutti i collaboratori che si sono dedicati alla stesura di queste dispense, amalgamando chiarezza espositiva ed aggiornamento. Prof. Giorgio Walter Canonica Direttore Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio

Clinica di Malattie Dell’Apparato Respiratorio Padiglione Maragliano, piano terra Segreteria 0103538933; degenza 0105553505 FAX: 0103538904 e-mail [email protected] [email protected]

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1. CONCETTI GENERALI Dal punto di vista strettamente anatomico, l’apparato respiratorio è costituito da: vie respiratorie superiori (naso, seni paranasali, faringe, laringe), vie respiratorie inferiori (trachea e bronchi), polmoni, pleure. Dal punto di vista clinico e fisiologico esso comprende però anche tutte quelle strutture che ne garantiscono il funzionamento: gabbia toracica (coste, articolazioni, muscoli respiratori scheletrici, diaframma e mediastino), sistemi di controllo (centrale e periferico) e vascolarizzazione. L’apparato respiratorio include un’enorme estensione di superficie epiteliale, di rete vascolare e linfatica e contiene una cospicua quantità di cellule e strutture immunologicamente competenti. Com’è noto, la principale funzione fisiologica dell’apparato respiratorio è l’ematosi, cioè lo scambio dei gas tra ambiente esterno e sangue (apporto di O2 e rimozione di CO2) per garantire il metabolismo cellulare; tale funzione è strettamente connessa al mantenimento dell’equilibrio acido-base. La funzione dell’ematosi (o respirazione propriamente detta) è assicurata, schematicamente, da alcuni principali componenti:

- ventilazione: spostamento di gas dall’ambiente esterno agli alveoli polmonari. - perfusione: arrivo del sangue da ossigenare agli alveoli e ritorno alla circolazione - diffusione: passaggio dei gas dal sangue all’aria alveolare e viceversa

Funzioni accessorie sono: la difesa immunologica, funzioni endocrine, metaboliche e di emuntorio.

L’apparato respiratorio è contenuto nella gabbia toracica e prende rapporto con tutte le strutture in essa presenti (cuore, grossi vasi, grandi vie linfatiche, nervi e tratto digerente). Pertanto, alterazioni di tali strutture possono influenzare il funzionamento dell’apparato respiratorio, ma anche le malattie dell’apparato respiratorio possono estendersi alle strutture circostanti.

L’apparato respiratorio può ammalarsi primitivamente, oppure essere coinvolto secondariamente a malattie sistemiche o di altri organi. Nella maggior parte dei casi, le malattie primitive dell’apparato respiratorio sono dovute ad agenti (infettivi, organici od inorganici) che penetrano direttamente nell’albero bronchiale dall’esterno, a neoplasie o a malformazioni. Nel caso di patologie non primitivamente respiratorie ci si trova di fronte a malattie cardiovascolari, disordini immunologici o patologie complesse. In entrambi i casi si manifesteranno segni e sintomi respiratori: sono questi segni e sintomi che di solito il medico osserva sul paziente, e dai quali deve risalire alla malattia che li ha prodotti. Aiutano il medico nella diagnostica, la serie di osservazioni semeiologiche tipiche dell’apparato respiratorio (dispnea, tosse, emottisi, cianosi ecc.) e le indagini strumentali o per immagini.

Non sempre la sistematica patologica è di aiuto nella pratica clinica. Ad esempio, alcune entita’ (fibrosi interstiziali diffuse, ipertensione polmonare) solo rarissimamente sono primitive ed usualmente rappresentano l’evoluzione anatomopatologica di altre malattie. Identicamente, l’insufficienza respiratoria non è una malattia a sé, ma una condizione fisiopatologica provocata da numerose malattie polmonari o extrapolmonari

Per motivi storici e culturali vi sono alcune branche della medicina respiratoria che hanno mantenuto una certa autonomia. Molto schematicamente, tutto quanto riguarda il flusso dell'aria nell'AR viene definito ventilazione ed è di competenza della fisiopatologia respiratoria in senso stretto, che si occupa quindi della funzione meccanica del polmone e dei bronchi e le indaga per mezzo delle prove di funzionalita' respiratoria (PFR). La broncologia studia essenzialmente i grossi bronchi e le loro malattie, avvalendosi di tecniche endoscopiche diagnostiche ed interventistiche. La tisiologia, fino a pochi decenni fa specializzazione a sé stante, si occupa della tubercolosi. L’evoluzione tecnologica ha reso oggi largamente disponibili i ventilatori meccanici, che vengono utilizzati spesso anche a domicilio: la ventiloterapia sta quindi

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assumendo un ruolo a parte nel contesto della pneumologia, così come lo studio dei disturbi respiratori del sonno.

Nell’affrontare la”sfida” che ogni paziente propone, l’anamnesi accurata e l’esame obiettivo

restano il punto di partenza indispensabile. Non è accettabile l’uso indiscriminato degli accertamenti strumentali e laboratoristici ed ogni indagine deve essere richiesta solo per comprovare o escludere una diagnosi razionalmente formulata sul paziente.

La tabella 1 riporta una sinossi delle malattie di interesse pneumologico o prevalentemente

pneumologico e di quelle non pneumologiche ma in cui è rilevante l’aspetto respiratorio. TABELLA 1: MALATTIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO Malattie primitivamente respiratorie • Malattie ostruttive

- Asma bronchiale - Bronchite cronica - Enfisema

• Malattie infettive - Tracheobronchiti - Broncopolmoniti - Polmoniti - Pleuriti - Tubercolosi - Infezioni del paziente immunodepresso • Neoplasie (e sindromi paraneoplastiche) - Broncopolmonari - Pleuriche • Pleuriti • Pneumoconiosi • Alveoliti allergiche estrinseche • Bronchiectasie • Fibrosi polmonari diffuse • Tromboembolia polmonare • Pneumotorace • Disturbi respiratori del sonno • Malformazioni polmonari Malattie non polmonari con coinvolgimento dell’apparato respiratorio Malattie autoimmuni (Es. Lupus, sclerosi sistemica, artrite reumatoide, Sjogren ecc) Malattie cardiovascolari (Es Tromboembolia polmonare, Scompenso cardiaco, ipertensione polmonare primitiva) Vasculiti e granulomatosi

(Es. Sarcoidosi, Churg-Strauss, Wegener) Malattie metaboliche Malattie ereditarie e complesse (Es. Fibrosi cistica, Deficit alfa1 antitripsina) Malattie della gabbia toracica e del diaframma Malattie neuromuscolari (Es. SLA, sclerosi multipla, danno midollare)

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2. STRUTTURA E FUNZIONI DELL'APPARATO RESPIRATORIO Per affrontare lo studio sistematico delle malattie respiratorie, alcune nozioni di anatomia e fisiopatologia sono assolutamente irrinunciabili. Per tale motivo in questo capitolo e nei seguenti verranno ripresi alcuni elementi di base da utilizzare per affrontare gli argomenti successivi. L’apparato respiratorio (AR) è costituito anatomicamente dalle vie aeree, dai polmoni e dalle numerose componenti strutturali e di controllo che contribuiscono in maniera essenziale alla principale funzione dello scambio gassoso. Dal punto di vista anatomico può essere utile suddividere le strutture in: vie aeree superiori ed extrapolmonari, polmone e vie aeree intrapolmonari, pleure, gabbia toracica, mediastino, sistema linfatico, piccola circolazione. La conoscenza di tali strutture è indispensabile (e data per scontata) almeno per la localizzazione delle patologie. 2.1 STRUTTURA ANATOMICA

Il naso è la parte dell’AR che provvede alla conduzione dell’aria alle vie aeree inferiori. Le cavita’ nasali sono rivestite da epitelio cigliato e ghiandole mucipare e intensamente vascolarizzate. Normalmente tutto il flusso aereo passa per il naso ove l’aria viene riscaldata e saturata in umidita’ fino al 95%. Il muco, le ciglia ed il battito ciliare svolgono una fondamentale funzione di depurazione dell’aria inalata. I seni paranasali svolgono funzione di coibentazione termica e di risuonatori. Sono rivestiti anch’essi di epitelio ciliato e drenano nella cavità nasale. La faringe è un tratto di conduzione comune anche all’apparato digerente ed è rivestita da epitelio ciliato in alto e pluristratificato in basso. In faringe (retrobocca) sono contenute le tonsille e l’anello di Waldeyer. La muscolatura faringea è responsabile della deglutizione coordinata e della chiusura dell’epiglottide ad ogni deglutizione. L’epiglottide e la rima glottidea connettono la faringe con l’apparato respiratorio. La laringe, con il complicato sistema di muscoli e cartilagini è deputata alla fonazione. L’innervazione è fornita dai nervi ricorrenti (vago) ed in parte dai laringei superiori. L’innervazione della laringe passa nel mediastino ed è in contatto (tramite le pleure) con i polmoni. La trachea ha struttura rigida (cartilagini tracheali) e si estende per 10-12 cm dalla laringe alla biforcazione dei bronchi principali (detta carena tracheale), posteriormente all’esofago. Il bronco principale sinistro, di circa 4-5 cm decorre più orizzontalmente del destro e si trova sopra all’atrio omolaterale. Il bronco principale destro è più verticale e più corto (1-3 cm). Nella maggior parte dei casi, i bronchi principali e quelli dei lobi inferiori sono extrapleurici e pertanto ci si riferisce a loro come vie respiratorie extrapolmonari. L’albero bronchiale si suddivide dalla trachea alla periferia, in modo dicotomico, in bronchi sempre più piccoli numerati convenzionalmente in ordine crescente (Figura 1). Partendo dalla trachea (per definizione ordine 0), si incontra la prima divisione nei bronchi principali (di ordine 1); ogni bronco principale da origine ai bronchi lobari (ordine 2), ogni bronco lobare si divide nei bronchi segmentali (ordine 3) e cosi’ via. Al bronchiolo terminale si arriva, a seconda della zona polmonare, dopo suddivisioni di 15-20 ordini. Ogni bronchiolo terminale da’ origine ad altre 3 o 4 suddivisioni di bronchioli respiratori che terminano, tramite i dotti alveolari) a fondo cieco nei sacchi alveolari. In questi avviene lo scambio dei gas vero e proprio.

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Le vie aeree si definiscono propriamente bronchi fino a che è presente una struttura cartilaginea (diametro di circa 1 mm), dopodichè diventano bronchioli. A partire dai bronchioli cominciano ad essere presenti gli alveoli (dove si effettua lo scambio dei gas); gli alveoli diventano poi sempre più numerosi fino ai sacchi alveolari propriamente detti (figura 2). Ogni bronchiolo terminale ventila un acino, che costituisce quindi l’unita’ funzionale del polmone. Da ogni bronchiolo terminale originano dunque 3-4 divisioni di bronchioli respiratori e da ciascuno di questi ultimi, due ulteriori suddivisioni, fino al sacco alveolare. La superficie disponibile per lo scambio di gas varia tra 40 e 80 m2. Il lobulo polmonare è invece la più piccola unità anatomica ed è costituito da numerosi acini.

Alveoli polmonari

Dal punto di vista anatomico, ogni lobo dei polmoni è costituito da zone quasi completamente indipendenti sia anatomicamente che dal punto di vista circolatorio: i segmenti. Ve ne sono 10 a destra e 9 a sinistra. La suddivisione segmentale dei bronchi è osservabile direttamente in vivo fino almeno al V ordine grazie alla fibrobroncoscopia. La nomenclatura endoscopica dei bronchi è ormai standardizzata e numera i bronchi segmentali da 1 a 10 in senso craniocaudale (fig 3).

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Figura 3: bronchi segmentali 2.2 ISTOLOGIA DELL’ALBERO BRONCHIALE E DELLA SUPERFICIE RESPIRATORIA Le vie aeree inferiori fino ai bronchi di circa 1 mm hanno struttura rigida mantenuta da anelli cartilaginei (che diventano placche isolate man mano che si procede verso la periferia): queste vie respiratorie quindi possono variare solo di poco il calibro. A partire dai bronchioli la struttura è prevalentemente muscolare ed il calibro puo, variare anche considerevolmente. Tutta la parte che non contiene alveoli è definita vie aeree di conduzione. Nei bronchi, l’epitelio è ciliato con numerose cellule mucose, caliciformi mucipare e di Clara. Le fibre muscolari sono disposte concentricamente e collegano tra di loro gli anelli o le placche cartilaginee. A livello dei bronchi di calibro più piccolo e dei bronchioli sono disposte le fibre elastiche che danno la particolare consistenza del polmone. Nei bronchioli terminali l’epitelio diventa progressivamente cubico e le fibre muscolari sono disposte prevalentemente alle biforcazioni. La parete degli alveoli è rivestita da pneumociti di I tipo, che sono meno numerosi ma dotati di maggior superficie e pneumociti di II tipo di forma cubica. Al di sotto di questi è presente la membrana basale, poche fibre collagene e fibre elastiche. Ancora oltre vi è l’endotelio dei capillari polmonari che servono allo scambio dei gas. Nell’alveolo sono particolarmente abbondanti i macrofagi (Mφ). Lungo tutto l’albero respiratorio vi sono anche mastociti, linfociti B (che secernono le IgA) e linfociti T CD4+ e CD8+. Il tessuto linfatico è organizzato in placche sparse di centri germinativi o meno organizzati, che costituiscono globalmente il BALT (Bronchial Associated Lymphoid Tissue). Gli alveoli, separati dai setti alveolari, possono comunicare direttamente tramite i pori di Kohn. Il surfactante è una miscela complessa di fosfolipidi, secreta dai pneumociti di II tipo e che riveste tutta la superficie interna degli alveoli. La sua funzione è quella di aumentare la tensione superficiale e mantenere quindi gli alveoli beanti. L’interstizio polmonare (Figura 4) è la struttura che regge e circonda gli alveoli, contiene i capillari polmonari e le ultime diramazioni respiratorie. E‘ inoltre responsabile in parte del

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ritorno elastico del polmone. Parallelamente alla superficie di scambio dei gas, l’interstizio è molto esteso e vascolarizzato. Essendo costituito prevalentemente di collagene, fibre elastiche e strutture rigide è ben visibile alla radiografia standard ed alla TAC. Le fibre elastiche sono responsabili del ritorno elastico del polmone che sostiene l’espirazione completamente passiva. Danni alle fibre elastiche rendono il polmone meno capace di svuotarsi spontaneamente. L’interstizio contiene bronchi, bronchioli, capillari e linfatici. La sua importanza è dovuta al fatto che proprio in esso si verificano spesso le principali manifestazioni di malattia: infiltrazione cellulare, deposizione di collagene, alterazione dei vasi sanguigni, distruzione della struttura connettivale-elastica. Infine, l’interstizio polmonare è sottile e di limitata compliance e quindi non può impregnarsi di liquidi. La superficie interna delle vie aeree di conduzione è costituita da epitelio cigliato ricoperto da un sottile strato di muco che viene continuamente prodotto dalle ghiandole caliciformi e mucose. Le ciglia, col loro battito, fanno muovere lentamente lo strato di muco (5-10 mm/min) e lo spostano dalle parti più profonde fino alla trachea e faringe, ove viene deglutito. Lo scorrimento del muco determinato dalle ciglia è detto clearance mucociliare. A livello della faringe, il muco proveniente continuamente dalle vie aeree viene poi deglutito in maniera impercettibile. L’aumento della produzione di muco causa tosse con espettorazione. Il muco ha consistenza viscoelastica ed è particolarmente adesivo: esso intrappola ogni impurità e particella che vengono quindi riportate all’esterno. Qualsiasi difetto o delle ciglia o del muco riduce o annulla la funzione di filtro attivo delle vie aeree e favorisce il ristagno e le sovrinfezioni. Figura 4. Interstizio polmonare

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2.3 CIRCOLAZIONE SANGUIGNA Il polmone è servito da due circolazioni largamente indipendenti, di cui una funzionale (piccolo circolo) ed una nutritiva. • La circolazione polmonare (ventricolo destro, valvola polmonare, arterie polmonari, capillari, vene polmonari, atrio sinistro) provvede allo scambio dei gas. I rami delle arterie polmonari si suddividono finemente nell’interstizio seguendo i bronchi ed i bronchioli, fino a formare la rete capillare che avvolge gli alveoli. Dai capillari alveolari, le vene polmonari in coppia riportano il sangue ossigenato all’atrio sinistro (figura 5). Fino al calibro di circa 1 mm le arterie hanno struttura prevalentemente elastica, poi prevale la struttura muscolare (vasi di resistenza). La circolazione polmonare è a bassa pressione (<15 cm H2O) ed ampio letto vascolare e fornisce quindi bassa resistenza al flusso.. • La circolazione nutritiva porta sangue già ossigenato alle strutture più periferiche del polmone ed è servita da rami di derivazione aortica: arterie bronchiali, mammarie, intercostali. Le arterie nutritizie arrivano fino all’interstizio, avvolgendosi ai bronchi in decorso spirale. Esistono peraltro anastomosi tra i due circoli (a livello precapillare, metarteriole) che normalmente non sono in funzione

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Figura 6: drenaggio linfatico 2.4 LINFATICI Il polmone è fornito di un’ampia rete di vasi linfatici a struttura semplice e ricchi di valvole. Esistono due vie di drenaggio preferenziale: una superficiale diretta verso la pleura ed una profonda diretta verso gli ili. Quest’ultima segue il decorso dei vasi e nervi interstiziali. Le reti linfatiche drenano nel dotto toracico e nei dotti linfatici, tributari della cava superiore. I segmenti basali drenano anche nei linfonodi del mediastino posteriore e retroperitoneali. I linfonodi veri e propri cominciano a essere presenti attorno ai bronchi lobari e segmentari. I gruppi di linfonodi principali sono quelli ilari, tracheobronchiali superiori e inferiori e quelli paraaortici; vi sono poi aggregati sparsi retrosternali, intercostali e mediastinici. I linfonodi ilari, tracheobronchiali e paraaortici sono ben visibili alla TAC e vanno incontro a linfoadenomegalia in corso di processi neoplastici e infiammatori. La struttura generale delle vie e stazioni linfatiche è riportata in figura 5 2.5 PLEURA (figura 7) La pleura è formata da due foglietti (sierose) deputati a facilitare lo scorrimento dei polmoni. Essi rivestono la cavità in cui sono contenuti (pl. parietale) senza interruzione e si riflettono sul peduncolo ilare ad avvolgere i polmoni (pl. viscerale o polmonare). La pleura viscerale si addentra nelle fessure interlobari ed intersegmentarie. La pleura, partendo dal versante del cavo, è formata da: mesotelio, connettivo sottostante (scomponibile in uno strato di fibre collagene ed elastiche), strato fibroelastico superficiale, strato di tessuto connettivo lasso, strato fibroelastico profondo. Il rivestimento mesoteliale è rappresentato da cellule uniformi regolari, allungate ed unite tra loro; caratteristica essenziale è la polarità : un versante della cellula mesoteliale è a contatto con la lamina basale, l' altro è cosparso di numerosi microvilli. Alle cellule mesoteliali competono la funzione meccanica (scivolamento dei foglietti pleurici) la permeabilita’ e l’assorbimento del

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liquido pleurico e l’attivita’ macrofagica. La pleura parietale è iirrorata dai vasi sistemici (arterie intercostali); quella viscerale è essenzialmente vascolarizzata dai rami delle arterie polmonari La rete linfatica della pleura viscerale (drenaggio profondo) sbocca nei linfonodi ilopolmonari e mediastinici, ampiamente collegata con quella dei polmoni. La linfa della sierosa parietale è in rapporto con i sistemi regionali sottostatnti nella catena mammaria interna e nei linfonodi intercostali (drenaggio superficiale). L'innervazione della pleura viscerale proviene dal plesso polmonare, presentando cellule gangliari lungo il suo decorso. L'innervazione della pleura parietale proviene dai nervi intercostali, dal vago, dal frenico e dal simpatico ed’ è di tipo senssoriale (stimoli dolorosi) . Lo spazio pleurico è virtuale (cavo pleurico) e contiene scarso liquido sieroso (circa 150 ml). Figura 7: anatomia della pleura

2.6 CENNI SULLE FUNZIONI La funzione vitale dell’AR è quella di consentire lo scambio dei gas e l’ossigenazione ai tessuti. In pratica, l’AR deve fornire ossigeno al sangue e smaltire all’esterno l’anidride carbonica. Cio’ si realizza tramite il mantice ventilatorio che muove l’aria all’interno dei polmoni ed il circolo arterioso polmonare (piccolo circolo) che porta il sangue in contatto con l’aria alveolare. Il contatto fisico tra sangue ed aria è realizzato dallo spazio interstiziale (endotelio, collagene, epitelio alveolare). L’umidificazione, il riscaldamento e la depurazione meccanica dell’aria fanno parte della funzione respiratoria. Lo scambio dei gas consente una regolare ossigenazione del sangue e dei tessuti; qualsiasi alterazione dello scambio gassoso mette in funzione meccanismi di compenso ventilatori (variazione del respiro) e metabolici (variazioni degli elettroliti e del pH. La funzione respiratoria comprende quindi anche la regolazione dell’equilibrio acido-base. Anche se non è parte anatomica dell’apparato respiratorio, il sistema di trasporto dei gas nel sangue è parte funzionale della respirazione. Il polmone, in quanto dotato di vasta rete circolatoria e di un sistema immunitario molto rappresentato svolge alcune funzioni immunologiche e metaboliche. Le IgA secretorie che sono

Pleura parietale

Pleura viscerale

diaframma

Torace

Coste

Cavita pleurica

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presenti su tutta la superficie dell’albero respiratorio fungono da barriera immunologica per gli antigeni. I macrofagi alveolari, molto numerosi sono in grado poi di fagocitare e presentare al sistema immunitario le particelle o microrganismi che raggiungono gli alveoli. Il sistema immunitario è comunque abbondantemente rappresentato lungo tutto l’AR, ed organizzato in aree linfocitarie definite BALT e linfonodi a struttura propria. La funzione di emuntorio consiste nell’eliminazione delle sostanze tossiche volatili (chetoni, etanolo, ammoniaca) col respiro. Il circolo polmonare rappresenta il principale sito di degradazione della noradrenalina e della 5-idrossitriptamina. Peculiare del polmone è l’attivazione dell’angiotensina I ad angiotensina II, mediante l’angiotensin converting enzyme (ACE).

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3. IL RESPIRO E IL SUO CONTROLLO 3.1 CENNI DI FISIOLOGIA

I centri che regolano il respiro sono situati nel tronco dell’encefalo. L’integrazione dei segnali dalla periferia ai centri e fra i centri stessi contribuisce alla regolazione del ritmo e del profilo ventilatorio. Le variazioni di tensione di CO2, O2 e del pH evocano variazioni della ventilazione al fine di mantenere il loro equilibrio, ciò avviene tramite la stimolazione di specifici recettori. I chemocettori centrali situati nella superficie ventrale del midollo allungato sono sensibili agli ioni H+, la cui concentrazione aumenta all’aumentare della PCO2. I chemocettori periferici del glomo carotideo, della biforcazione della carotide comune e dell’arco aortico sono rispettivamenti innervati dal IX e X paio di nervi cranici e sono sensibili sia alla variazioni di PO2 che a quelle di PCO2 e pH. Gli stimoli respiratori provenienti dai recettori vengono integrati a livello dei centri situati nella regione bulbo-pontina in modo da mantenere un ritmo respiratorio costante e idoneo a mantenere costanti le variabili bioumorali nelle diverse situazioni fisiologiche o patologiche. Gli stimoli ai muscoli effettori vengono inviati tramite il nervo frenico. 3.2 CONTROLLO DELLA VENTILAZIONE La ventilazione polmonare è normalmente automatica e controllata da centri pacemaker bulbopontini (inspiratorio, espiratorio, pneumotassico, apneustico), che inviano impulsi ritmici al diaframma e agli altri muscoli respiratori tramite il frenico e i nervi toracici. Pertanto, in condizioni di riposo, la ventilazione avviene spontaneamente ad un ritmo fisso (nell’adulto 14-18 atti al secondo). Tali centri possono essere controllati in parte dalla corteccia e questo consente di variare frequenza e profondità del respiro anche volontariamente. Anche il cervelletto, che rileva la posizione del corpo e l’equilibrio può modificare almeno in parte la ventilazione automatica. La ventilazione è poi controllata in maniera involontaria dai parametri interni (PO2, PCO2, pH). I recettori deputati all’analisi del sangue sistemico sono i glomi aortico e carotideo, estremamente sensibili all’ipossia, ma anche i chemocettori centrali, sparsi nei ventricoli cerebrali che sono più sensibili all’ipercapnia. Infine, vi sono riflessi intrapolmonari probabilmente mediati da recettori meccanici e trasmessi per via vagale: - il riflesso da eccessiva distensione (o inflattivo o di Hering-Brauer) che inibisce la ventilazione; - il riflesso da recettori j (juxtapulmonar capillary), sensibili alla congestione arterovenosa, alla

ipossia e bradicardia, che stimolano la ventilazione; - il riflesso irritativo, verosimilmente mediato da recettori epiteliali. - il riflesso di Head, responsabile verosimilmente dei respiri profondi involontari che intercalano

la normale respirazione. La complessità delle connessioni (FIGURA 3.1 e i diversi livelli di controllo spiegano perchè la ventilazione a riposo può essere controllata volontariamente, mentre in condizioni di sforzo, quando compaiono ipossia o ipercapnia, intervengono i meccanismi automatici. Analogamente, quando il controllo corticale non è possibile (coma) od esistono gravi alterazioni metaboliche o dei gas ematici, il respiro è regolato prioritariamente da centri bulbopontini che funzionano autonomamente ed hanno pattern ventilatori caratteristici. A riposo, il soggetto normale respira a volume corrente (tidal volume) e non ne è cosciente. Mano a mano che aumenta la richiesta di ossigeno ai tessuti (sotto sforzo), i centri respiratori rispondono aumentando la profondità e poi anche la frequenza del respiro.

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3.3 ALTERAZIONI DEL RITMO RESPIRATORIO (FIGURA 2)

Irregolarità dell’attività respiratoria, sia in termini di frequenza che di volume corrente, possono manifestarsi in varie condizioni morbose. Nei pazienti affetti da encefalopatie (es. acidosi metabolica, encefalopatia portale, grave vasculopatia) si può osservare un tipo di alterazione del ritmo respiratorio caratterizzata da alternanza di incrementi e decrementi del volume corrente seguiti da periodi di apnea (respiro di Cheyne-Stokes) od un respiro interciso (respiro di Biot) o ancora un respiro di Kussmaul. Durante il sonno l’attività ventilatoria è depressa per cui si osservano, anche nei soggetti sani, aumento della PaCO2 con lieve diminuzione della PaO2 ed occasionali apnee di breve durata (<10 s). Negli obesi di sesso maschile, solitamente russatori, l’ipoventilazione è più marcata, le apnee sono più frequenti e di maggior durata, e si associano ad alterazioni del ritmo cardiaco (sindrome di Pickwick). Si distinguono due tipi di apnea durante il sonno: quella di tipo ostruttivo e quella di tipo centrale. L’apnea ostruttiva è caratterizzata da presenza di movimento paradosso del sistema respiratorio (espansione del torace e riduzione del volume addominale, e viceversa) ed è conseguenza di un collasso delle vie aere superiori durante l’inspirazione, cui possono contribuire alterazioni della loro geometria (retrognatismo) e del controllo del tono della loro muscolatura. L’apnea centrale è caratterizzata dall’assenza di movimenti del sistema respiratorio ed è attribuibile ad una ridotta soglia di eccitabilità dei centri respiratori.

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3.4 IPERVENTILAZIONE E IPOVENTILAZIONE

L’iperventilazione è l’aumento della ventilazione alveolare in eccesso rispetto alle richieste metaboliche e viene pertanto definita dalla riduzione della PaCO2, mentre si definisce iperpnea l’aumento della ventilazione minuto con normale PaCO2. L’iperventilazione si osserva in alcune malattie polmonari in maniera saltuaria (crisi di asma) o persistente (fibrosi), ma è più spesso associata a condizioni patologiche extrapolmonari (tabella 1).

L’ipoventilazione è la riduzione della ventilazione alveolare al di sotto di quanto richiesto dal metabolismo energetico e viene pertanto definita dall’aumento della PaCO2. Essa può manifestarsi per anomalie a carico della cosiddetta pompa respiratoria (sistema neuromuscolare) che a carico dell’organo di scambio (polmone). Tabella 1. Cause più frequenti di alterazione della ventilazione IPERVENTILAZIONE IPOVENTILAZIONE Fibrosi polmonare Alterazioni del SNC (vascolari, morbo di Parkinson) Edema polmonare Ipoventilazione primitiva (sindrome di Ondine) Posizione supina Lesioni midollari Attacco asmatico Miastenia gravis Diabete Polineuriti Insufficienza epatica Sclerosi laterale amiotrofica Uremia Poliomielite Alterazioni del SNC (ponte, mesencefalo) Paralisi del nervo frenico Febbre Malattia di Pompe Ansia Cifoscoliosi Intossicazione da salicilati Spondilite anchilosante Esercizio fisico intenso Broncopneumopatia cronica ostruttiva Encefalite Mixedema

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3.5 MUSCOLI RESPIRATORI Il principale muscolo dell’inspirazione è il diaframma. La sua forma a cupola lo rende unico

dal punto di vista funzionale rispetto a tutti gli altri muscoli scheletrici. La disposizione dall’alto verso il basso delle fibre muscolari della sua porzione laterale giustapposta al cavo addominale (Figura 3) fa sì che la loro contrazione innalzi le coste le quali, per l'orientamento del loro asse di rotazione sulle articolazioni costo vertebrali, si spostano anche in direzione laterale. Questo meccanismo, oltre alla spinta verso l’esterno esercitata dall’aumento della pressione addominale, dovuto alla discesa della cupola diaframmatica, determina un allargamento della cavità toracica. Altri muscoli inspiratori sono i muscoli intercostali esterni, la cui contrazione determina innalzamento delle coste, i muscoli parasternali, che rappresentano le porzioni di muscolo intercostale situate fra le parti cartilaginee delle coste, i muscoli scaleni, la cui contrazione causa innalzamento delle prime due coste, ed i muscoli sterno-cleido-mastoidei, che non sono attivi durante il respiro tranquillo (Figura 4). L'attività coordinata dei muscoli inspiratori è necessaria in quanto, se il diaframma fosse l'unico muscolo che si contrae durante l'inspirazione, la pressione pleurica negativa farebbe rientrare la gabbia toracica. Ciò non avviene in quanto quest'ultima viene stabilizzata dal tono dei suoi muscoli inspiratori.

I principali muscoli espiratori sono quelli addominali (obliquo esterno, obliquo interno, trasverso e retto), la cui contrazione determina abbassamento delle ultime coste e spostamento del contenuto addominale verso l’alto. Altri muscoli ad azione espiratoria sono il triangolare dello sterno, la cui contrazione determina un abbassamento della gabbia toracica, e gli intercostali interni. I muscoli espiratori non partecipano al respiro tranquillo, nel quale l’espirazione avviene passivamente, ma vengono attivati quando è necessario un aumento della ventilazione minuto (esercizio fisico) o in presenza di ostruzione bronchiale.

Figura 3 Disposizione anatomica del diaframma.

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Figura 4 3.6 MECCANICA RESPIRATORIA: TORACE E POLMONE

Il polmone esibisce un comportamento elastico, conferitogli dal tensioattivo alveolare, dal tessuto connettivo-elastico dell’interstizio, dai bronchi ed i vasi con le loro strutture elastiche e muscolari, ed infine da cellule contrattili del polmone come gli anelli muscolari posti all’entrata degli alveoli e le cellule contrattili interstiziali.

Le caratteristiche elastiche del polmone sono descritte dalla pressione necessaria per insufflare e desufflare il polmone in funzione del volume (curva pressione-volume). La figura 5 mostra come la pressione necessaria per insufflare il polmone aumenti linearmente col volume nei due terzi inferiori della curva, per poi aumentare in modo progressivamente maggiore fino a raggiungere un plateau in prossimità del massimo riempimento. Ciò indica che il polmone ha nella sua struttura un limite alla massima espansione.

CPT= capacità polmonare totale; CFR= capacità funzionale residua; VR= volume residuo; CV = capacità vitale (vedi capitolo sulla spirometria)

P, cmH2O

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La parete del torace è delimitata superiormente dalla gabbia toracica ed inferiormente dal diaframma e, data la scarsa compressibilità del suo contenuto, dalla parete addominale. Le caratteristiche elastiche del torace sono sostanzialmente diverse da quelle del polmone (figura 5). Se non esposta ad alcuna forza esterna, il volume della parete toracica si colloca al suo punto di equilibrio, che corrisponde circa al 60% del volume di massimo riempimento del sistema respiratorio. Per distendere il torace al di sopra di questo punto è necessario applicare un’ulteriore pressione sulla sua superficie interna, mentre per comprimerlo è necessario applicare una pressione sulla sua superficie esterna. A differenza della curva pressione-volume del polmone, quella del torace è lineare nella parte superiore e presenta un plateau nella parte inferiore. Ciò indica che il torace ha nella sua struttura un limite alla massima compressione. In vivo, quando torace e polmone sono solidali ed interdipendenti la curva pressione-volume della Fig 3.5 è data dalla somma algebrica delle due curve isolate. Il volume dove la pressione positiva del polmone (circa 5 cm H2O) è controbilanciata da quella negativa del torace (-5 cm H2O) corrisponde al 40% del totale ed è il volume di rilasciamento del sistema toraco-polmonare, in quanto la somma algebrica della pressione del torace e del polmone sono:-5+5=0. Nel respiro tranquillo questo volume corrisponde alla fine dell’espirazione (passiva, per la pressione positiva di ritorno elastico del polmone) ed all’inizio dell’inspirazione successiva (attiva, da contrazione del diaframma). In valore assoluto espresso in litri questo volume è la somma del volume mobilizzabile di riserva espiratoria mobilizzabile e del volume residuo non mobilizzabile, e si chiama in quanto somma di due volumi Capacità Funzionale Residua.

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4. LE PROVE DI FUNZIONALITA’ RESPIRATORIA 4.1 CARATTERISTICHE DEL SISTEMA RESPIRATORIO E VOLUMI POLMONARI

L’elasticità del sistema respiratorio è la somma delle caratteristiche elastiche del polmone e della parete toracica, come mostrato in figura 5 del cap. 3. In condizioni statiche, essa regola tre volumi polmonari di grande rilevanza clinica e funzionale: la capacità polmonare totale (CPT, in inglese TLC), il volume residuo (VR, RV) e la capacità funzionale residua (CFR, FRC).

La CPT è la quantità d'aria contenuta nel polmone alla fine di una inspirazione massimale, ovvero quel volume a cui la forza dei muscoli inspiratori è in grado di controbilanciare la forza di retrazione elastica del sistema respiratorio (dovuta in maggior parte alle caratteristiche elastiche del polmone ed in misura minore a quelle del torace). Nell’ambito della patologia cardiorespiratoria si riscontrano aumenti e riduzioni della CPT. Nell’enfisema per esempio, la CPT aumenta perché la pressione elastica del polmone è ridotta così che la forza dei muscoli inspiratori può maggiormente espandere il sistema respiratorio. Al contrario, nelle fibrosi polmonari l’aumento dell’elasticità del polmone contrasta la forza dei muscoli inspiratori e l’espansione massimale del sistema respiratorio risulta ridotta.

Il VR è la quantità di gas che rimane nel polmone dopo un’espirazione massimale, ovvero quel volume a cui la forza dei muscoli espiratori è in grado di controbilanciare la forza espansiva del sistema respiratorio (dovuta quasi totalmente alle caratteristiche elastiche del torace che ha una forza elastica espansiva fino al 70% del massimo riempimento dei polmoni). Con l'avanzare dell'età il VR tende però ad aumentare non tanto perché si riduca la forza dei muscoli espiratori ma perché le vie aeree si chiudono durante l'espirazione. Lo stesso vale per le malattie ostruttive, in cui l’aumento del VR è proporzionale alla gravità della malattia. In corso di difetti ventilatori restrittivi quali la fibrosi e gli esiti della resezione polmonare il VR si riduce.

La CFR è la quantità di gas che rimane nel polmone alla fine di un’espirazione tranquilla (vedi Capitolo precedente). In un individuo sano a riposo la CFR è quel volume al quale la pressione dell’apparato respiratorio è zero, quando cioè vi è un equilibrio statico fra la pressione di ritorno elastico del polmone e la pressione espansiva della parete toracica. Fisiologicamente la CFR si riduce nel passaggio dalla posizione eretta a quella supina, a causa dello spostamento in direzione cefalica del diaframma per azione della forza di gravità sul contenuto addominale. Durante l'esercizio fisico la CFR si riduce per l'azione dei muscoli espiratori. Nella patologia, la CFR si riduce nelle malattie restrittive per aumento della forza di retrazione del polmone o del torace, mentre aumenta nelle malattie ostruttive per riduzione della forza di retrazione elastica del polmone (enfisema) o per fattori dinamici (es. ostruzione al flusso aereo) che non consentono di raggiungere il volume di rilasciamento del sistema durante il tempo concesso all’espirazione.

Fra le ulteriori suddivisioni della CPT, riveste particolare interesse clinico la capacità vitale (CV, VC), che è la massima quantità d'aria mobilizzabile con un singolo atto in o espiratorio, ovvero la differenza tra CPT e VR. Una sua riduzione è sempre segno di patologia polmonare sia essa restrittiva od ostruttiva. Le cause di riduzione della CV possono essere la riduzione in toto del volume polmonare (restrizione) o la precoce chiusura delle vie aeree e conseguente intrappolamento d'aria (ostruzione). Ulteriori suddivisioni della CV sono il volume di riserva inspiratoria (VRI, IRV), che è la massima quantità di aria che può essere introdotta nel polmone a partire dal livello di fine inspirazione corrente, ed il volume di riserva espiratoria (VRE, ERV), che è la massima quantità di aria che può essere espulsa a partire dalla CFR. La capacità inspiratoria (CI, IC) cioè la somma di VRI e Vt indica la quantità massima d’aria che si può inspirare a partire dal volume di fine espirazione (CFR). Essa si riduce in tutti i casi di aumento della CFR causando ridotta tolleranza allo sforzo. Questi parametri indicano il volume disponibile per aumentare la profondità del respiro qualora le richieste metaboliche lo richiedano, come nel caso dell'esercizio fisico. Nell’obesità il VRE è spesso ridotto poiché a causa dell’aumentata pressione elastica del torace il

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soggetto ventila a bassi volumi, cioè il volume corrente si posizione vicino al VR. La ripartizione dei volumi e delle capacità polmonari in condizioni normali e patologiche sono illustrate nella figura 1.

Figura 4.1. Volumi e capacità polmonari in condizioni normali (A), nell'enfisema (B) e nella fibrosi (C). CPT, capacità polmonare totale; VR, volume residuo; CV, capacità vitale; VRE, volume di riserva espiratoria; VRI, volume di riserva inspiratoria; VT, volume corrente; CFR, capacità funzionale residua; CI, capacità inspiratoria. 4.2 I PARAMETRI SPIROMETRICI Respiro spontaneo

Il volume corrente (Vc o VT dove t deriva dall’inglese tidal) è la quantità di aria mobilizzata ad ogni respiro e corrisponde, in condizioni di riposo, a circa 600-800 mL. Il prodotto di VT per la frequenza respiratoria (f), che è di 12-14 atti al minuto in condizioni normali a riposo, corrisponde alla ventilazione minuto. La frequenza respiratoria può, quando notevolmente aumentata, essere indicativa di un evento acuto grave (per es. crisi asmatica acuta con pericolo di vita). Il VT è di scarso interesse clinico, ma assume un notevole interesse nella risposta all'esercizio fisico in quanto un suo mancato incremento indica un limite ventilatorio all’esercizio fisico. Resistenze al flusso

Durante respiro spontaneo, il flusso espiratorio è generato da una differenza di pressione fra gli alveoli e la bocca, dovuta in parte al dispendio di energia necessario per accelerare l'aria (accelerazione convettiva) da una zona con area totale molto ampia (vie aeree periferiche) ad una area totale piccola (vie aeree centrali e trachea) ed in parte agli attriti fra le molecole in movimento lungo le vie aeree. La resistenza delle vie aeree aumenta in presenza di ostruzione bronchiale. La maggiore resistenza si crea nelle vie aeree centrali intrapolmonari durante l’espirazione. Anche nell’ostruzione delle vie aeree extra-toraciche (trachea) o superiori (laringe) si può avere aumento patologico delle resistenze. Nel caso di ostruzione non fissa l’aumento delle resistenze è più intenso nella fase inspiratoria in quanto le pareti tracheali subiscono la pressione del polmone che si riempie. Espirazione forzata

In corrispondenza dei due terzi inferiori del volume polmonare il flusso espiratorio aumenta durante una manovra espiratoria forzata proporzionalmente alla pressione applicata fino ad una soglia sopra la quale non vi è più incremento di flusso per incremento di pressione (figura 2). Ciò documenta la presenza di limitazione al flusso. Per comprendere il fenomeno si immagini un contenitore rigido (torace) contenente un pallone (polmone) collegato con l'esterno da un tubo compressibile (via aerea). Il flusso d’aria che ne esce dipende dalla pressione di spinta presente a livello alveolare (Pressione alveolare, Palv) e dalla resistenza del tubo. Palv è la somma di pressione di retrazione elastica (Pel) del polmone + pressione pleurica (Ppl)). Con il movimento dell’aria la pressione viene dissipata, per cui ci sarà un punto in cui la pressione all’interno della via

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aerea uguaglierà la pressione circostante (nel cavo pleurico). A valle di questo punto la via area verrà compressa. Aumentando la pressione muscolare il flusso aereo non aumenta poiché la maggiore pressione di spinta viene controbilanciata da una maggiore compressione della via aerea. Pertanto, la manovra di espirazione forzata è in gran parte indipendente dallo sforzo e può essere utilizzata per valutare la presenza di eccessiva limitazione al flusso espiratorio. Figura 2 Alla fine dell’inspirazione massima Durante l’espirazione, con una pressione pleurica dovuta all’azione dei muscoli espiratori di 25 cmH20 ed elastica di 25 Durante l’espirazione, con una pressione pleurica di 50 cmH20 ed elastica di 25

Numerosi parametri funzionali possono essere estratti dalla curva di espirazione forzata ed utilizzati a scopo diagnostico (figura 3). Di questi, i più importanti sono il volume espiratorio massimo nel primo secondo (VEMS o FEV1) e la capacità vitale forzata (CVF o FVC). Il rapporto VEMS/CVF (indice di Tiffeneau), ha un valore diagnostico importante in quanto la sua riduzione è patognomonica di anomalia ostruttiva (asma, broncopneumopatia ostruttiva cronica, bronchiettasie, fibrosi cistica, bronchiolite obliterante). Il rapporto VR/CPT è detto indice di Motley o di enfisema e quantifica lo stato di intrappolamento d'aria.

Massima ventilazione volontaria (MVV)

E’ la massima quantità d’aria che un soggetto può mobilizzare in un minuto. Una riduzione della MVV sproporzionata rispetto alla riduzione del VEMS è indicativa di disfunzione dei muscoli inspiratori o di ostruzione delle vie aeree extratoraciche. La MVV si calcola su circa 10 s di ventilazione massimale volontaria e viene confrontata con il VEMS. Si considera normale se corrisponde a circa 35 X VEMS. 4.3 LE PFR: ASPETTI PRATICI La fisiopatologia respiratoria studia la ventilazione (volumi e flussi di aria nell’apparato respiratorio), la meccanica respiratoria (elasticità/compliance polmonare) e la diffusione dei gas. Pertanto sono tradizionalmente di competenza di questa branca le prove di funzionalità respiratoria (PFR), i test di diffusione, le prove broncodinamiche (test di provocazione

1 s 1 s

VEMS

VEMS

CVF CVF

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bronchiale e di reversibilità). Le PFR studiano lo spostamento di gas (flussi e volumi) dal polmone all’aria atmosferica e viceversa. Si utilizzano spirometri, pneumotacografi e cabine pletismografiche. • Gli spirometri registrano gli spostamenti dei volumi mobilizzabili attraverso il movimento di una campana il cui bordo inferiore è immerso nell’acqua (spirometri a campana), o di un mantice a soffietto (spirometri a secco): i movimenti sono graficati nella curva volume/tempo(che abbiamo già descritto sopra in figura 1) . I volumi non mobilizzabili quali VR e capacità che lo comprendono (CPT, CFR) non sono determinabili con la normale spirometria . • I pneumotacografi sono in grado di misurare i flussi forzati in ed espiratorio misurando la caduta di pressione attraverso una resistenza nota o la velocità di rotazione impressa ad una turbina. Il volume in/espirato si ottiene quindi per integrazione del flusso nel tempo. Sono attualmente gli strumenti più utilizzati e forniscono la curva flusso-volume mostrata in figura 4.

Quest’ultima fornisce un immagine visiva del comportamento dei flussi in ed espiratorio e la possibilità, ancor prima dell’analisi numerica, di evidenziare anomalie dei flussi in base alla loro forma ed al posizionamento del volume corrente rispetto al flusso espiratorio. Il calcolo dei

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volumi fornisce le stesse informazioni dello spirogramma classico. Da osservare che nella curva flusso-volume, la manovra espiratoria è forzata e massimale. • La cabina pletismografica è utilizzata per la misura diretta del volume di gas intratoracico facendo compiere le manovre respiratorie al soggetto chiuso in una cabina a tenuta stagna che registra le variazioni di volume e pressione. Tutti i volumi ed i flussi, oltre che in valore assoluto (L o L/s) sono espressi solitamente come % del valore predetto o teorico (in base a peso, altezza, sesso e razza) per quella data persona. Utilizzando i parametri descritti sopra, e soprattutto in base al rapporto VEMS/CV, è possibile distinguere anomalie ostruttive, restrittive o miste. Ricordiamo che l'anomalia restrittiva configura un quadro in cui tutti i volumi e le capacità polmonari sono ridotte in proporzione, mentre l'anomalia ostruttiva rappresenta il quadro di ostacolo al flusso nelle vie aeree, indipendentemente dai volumi (sproporzione). Un buon esempio di anomalia restrittiva è la pneumonectomia, in cui tutti i volumi ed anche il VEMS sono dimezzati, ma il rapporto VEMS/CV rimane proporzionalmente normale. Esempio della anomalia ostruttiva pura è l’asma, in cui i volumi sono conservati ma esiste una importante resistenza al flusso ed il VEMS è sproporzionatamente più ridotto della CVF. Tuttavia esistono anche anomalie ostruttive nelle quali fenomeni di intrappolamento d’aria conseguenti a chiusure delle vie aeree periferiche provocano anche importanti riduzioni della CVF. In questi casi la riduzione consensuale di VEMS e CVF con VEMS/CVF nella norma indurrebbe alla diagnosi di anomalia spirometria ostruttiva. Solo la misura del VR e quindi della CPT permettono la giusta interpretazione: anomalia ostruttiva quadro atipico. In sua presenza è opportuno procedere con la broncodilatazione Le principali alterazioni volumetriche e di flusso nelle sindromi ostruttive e restrittive sono riassunte in tabella e riprodotte in figura 5 e 6. Il percorso diagnostico per l’interpretazione della spirometria è riportato in Fig 7 secondo le recenti linee guida congiunte delle società per le malattie respiratorie europea ed americana (2005). Anomalie tipiche dei principali difetti ventilatori. OSTRUTTIVI RESTRITTIVI PARAMETRI ASMA/BRONCHITE

CRONICA ENFISEMA EXTRAPOLMONARI PARENCHIMALI

CPT CFR VR VEMS CVF VEMS/CVF MVV

Normale Normale o aumentata Aumentato Ridotto Normale o ridotta Ridotto Normale o ridotta

Aumentata Aumentata Aumentato Ridotto Normale o ridotta Ridotto Normale o ridotta

Ridotta Ridotta Normale o ridotto Normale o ridotto Ridotta Normale Ridotta

Ridotta Ridotta Ridotto Normale o ridotto Ridotta Normale Normale

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FIGURA 5: Sindrome ostruttiva

FIGURA 6 SINDROME RESTRITTIVA

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FIGURA 7: INTERPRETAZIONE DELLA SPIROMETRIA

CV, Capacità Vitale; VEMS, volume espiratorio massimo al primo secondo; CPT, Capacità Polmonare Totale; IP, ipertensione polmonare; Mal.PT&NM, malattie della parete toracica & neuro-muscolari; BC, bronchite cronica; E, enfisema 4.4 PROVE BRONCODINAMICHE E DI DIFFUSIONE Le prove broncodinamiche valutano in maniera indiretta la motilità bronchiale, ovvero la risposta funzionale (VEMS) in seguito all’inalazione di agenti broncocostrittori o broncodilatatori. Tali prove si suddividono in: 4.4.1 Test di broncodilatazione o di reversibilità Si effettua su soggetti con ostruzione bronchiale in atto. Si somministrano 400 mcg di salbutamolo per inalazione e si ripete la prova di espirazione forzata dopo 15 minuti. E’ considerato significativo un incremento di almeno 12% del VEMS rispetto al valore basale (almeno 200 mL in valore assoluto). La reversibilità della broncostenosi è caratteristica distintiva dell’asma (vedi definizione), mentre nei soggetti con broncopneumppatia cronica ostruttiva (BPCO) la risposta al test è scarsa o nulla. 4.4.2 Test di provocazione bronchiale (TPB) L’iperreattività bronchiale (IRB) viene generalmente definita come una risposta anomala in termini di funzione polmonare a stimoli che hanno poco o nessun effetto negli individui sani ed è

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tipica (anche se non esclusiva) dell’asmatico. E’ possibile testare l’IRB facendo inalare metacolina (o istamina, soluzioni ipo- ed iperosmolari, aria secca e fredda). Più frequentemente si utilizza la metacolina che stimola direttamente i recettori muscarinici sulla superficie del muscolo liscio. Nel caso si volesse riprodurre l’asma da esercizio fisico è possibile utilizzare l’inalazione isocapnica di aria secca (in grado di causare ostruzione delle vie aeree con meccanismo verosimilmente legato a variazioni di osmolarità e di temperatura) o l’ esercizio fisico stesso secondo protocolli ben definiti. Mentre nel test alla metacolina una caduta del VEMS del 20% rispetto al controllo è considerata significativa, nel caso dell’ esercizio fisico è sufficiente una variazione del 10% dopo la cessazione dell'esercizio stesso. In pratica, ai fini clinici, il test si esegue in soggetti con valori spirometrici nella norma o con ostruzione lieve (VEMS>70%) facendo inalare la metacolina a varie concentrazioni e raddoppiando le dosi fino alla riduzione significativa del VEMS. La dose di metacolina in grado di ridurre il VEMS del 20% rispetto al controllo viene definita PD20-VEMS (Provocative Dose). Tanto più bassa è la PD20 tanto più elevata è l’iperreattività. Convenzionalmente, se dopo l’inalazione di 1200 mcg di metacolina (dose massima) non si raggiunge la riduzione del 20% del VEMS, si parla di PD20>1200 mcg e di normale reattività bronchiale. 4.4.3 Test di diffusione I test di diffusione valutano l’integrità della membrana alveolo-capillare ossia la sua capacità di lasciar diffondere i gas dall’aria al sangue. La capacità globale di diffusione (DL) per un determinato gas è: -direttamente proporzionale: alla superficie del letto capillare in contatto con gli alveoli

al volume del sangue capillare (o al suo contenuto in Hb) alla costante di diffusione dei tessuti

- inversamente proporzionale: allo spessore della membrana alveolo-capillare Capacità di diffusione alveolo-capillare per il Monossido di Carbonio (DLCO). E’ il test di diffusione più utilizzato. Il CO, inalato a bassissime concentrazioni (0.3%), è il gas di elezione per lo studio della diffusione per la sua altissima affinità per l’Hb (200 volte quella per l’O2), per il suo rapido equilibrio aria-sangue capillare (eliminando così la dipendenza dal flusso ematico), per la sua concentrazione nulla nel sangue capillare all’ inizio dell’equilibrio.

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5. PERFUSIONE, TRASPORTO DEI GAS ED EQUILIBRIO ACIDO-BASE 5.1 PERFUSIONE Perché lo scambio dei gas (CO2 ed O2 ) avvenga in maniera ottimale occorre che siano efficienti sia la ventilazione (vedi capitolo 4) che la perfusione. La perfusione polmonare deputata alla respirazione è sostenuta dal piccolo circolo che parte dal cuore destro, si sfiocca nei capillari polmonari attorno agli alveoli, e ritorna al cuore sinistro tramite le 4 vene polmonari. Fino al calibro di circa 1 mm le arterie hanno struttura prevalentemente elastica, poi prevale la struttura muscolare (vasi di resistenza). Questi vasi di resistenza sono molto sensibili all’ipossiemia e quindi in corso di ipossiemia cronica si ha sempre vasocostrizione polmonare con aumento delle pressioni. Normalmente la circolazione polmonare è a bassa pressione (10-15 cm H2O) ed amplissimo letto vascolare e fornisce quindi bassa resistenza al flusso. In prossimità dei capillari alveolari, la pressione è prossima ai 10 cm H2O (figura 1). Il ventricolo destro, per sua struttura anatomica, non è in grado di far fronte a pressioni elevate e la sua capacità di ipertrofizzarsi è molto ridotta, quindi risponde agli aumenti di pressione essenzialmente dilatandosi. 5.2 RAPPORTO VENTILAZIONE/PERFUSIONE

Lo scambio dei gas respiratori tra l’ambiente esterno ed il sangue dipende dall’efficienza della ventilazione, della perfusione e dal loro corretto accoppiamento. Nella posizione eretta, sia la ventilazione che la perfusione sono, a causa della forza di gravità, maggiori alle basi che agli apici dei polmoni. Tuttavia la differenza apice-base è più marcata per la perfusione che per la ventilazione, per cui il rapporto fra ventilazione e perfusione (V’/Q’) è maggiore agli apici e progressivamente si riduce scendendo verso le basi (figura 2). Ad un rapporto V’/Q’ ideale di 1 corrisponderebbe un ideale scambio di gas fra alveoli e sangue, per cui la pressione in ossigeno del sangue arterioso (PaO2) sarebbe di 100 mmHg e quella di anidride carbonica (PaCO2) sarebbe di 40 mmHg. I due casi estremi di anomalia della distribuzione della V’/Q’ sono quelli di V'/Q' = 0 (assenza di ventilazione) e V’/Q’= ∞ (assenza di perfusione). Nel primo caso il sangue venoso non può cedere la CO2 né assumere O2 e pertanto torna alle sezioni sinistre del cuore con la stessa composizione con cui era arrivato dalle sezioni destre come sangue venoso (effetto shunt destro-

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sinistro), nel secondo caso l’aria alveolare non può cedere O2 né assumere CO2 (effetto spazio morto).

Figura 2: rapporto ventilazione/perfusione in stazione eretta

5.3 SCAMBI GASSOSI E DIFFUSIONE ALVEOLO-CAPILLARE

Il sistema respiratorio ha come funzione fondamentale quella di provvedere allo scambio dei gas fra l’ambiente esterno e l’organismo. Il metabolismo energetico dell’intero organismo comporta l’assunzione di O2 e la produzione di CO2. Lo scambio dei gas che raggiungono le unità alveolari avviene per diffusione passiva attraverso uno strato molto sottile (~1µ), la membrana alveolo-capillare, la cui estensione di superficie è però assai vasta (~100 m2). Sia la funzione della pompa che del polmone hanno ampi margini di riserva al fine di far fronte alle richieste metaboliche durante l’esercizio. Eventi patologici possono ridurre le riserve sia della pompa che del polmone e causare insufficienza respiratoria durante lo sforzo e, nei casi più gravi, anche a riposo. La misura dei gas (O2 e CO2) nel sangue che raggiunge i tessuti (sangue arterioso) fornisce le indicazioni sul funzionamento globale del sistema.

Durante la fase inspiratoria l’aria percorre le vie aeree a velocità sempre minore fino a raggiungere gli alveoli, dove trova l’aria della precedente espirazione con la quale si mescola per diffusione molecolare (mixing alveolare). La diffusione dei gas dall’alveolo all’emoglobina avviene per diffusione multifase aria-sangue ed è regolato dalla legge di Fick, secondo cui i fattori favorenti la diffusibilità sono la superficie di scambio, la differenza di pressione parziale fra i due comparti, la diffusibilità del gas, mentre quello sfavorevole è lo spessore della barriera alveolo-capillare. La capacità di diffusione aria-sangue viene modificata da cause sia fisiologiche che patologiche. Nella broncopneumopatia cronica ostruttiva l’esame consente di valutare il grado di enfisema, in quanto riflette le riduzioni della superficie alveolare e del ridotto volume capillare tipiche di questa malattia. Nelle malattie restrittive l’esame consente di valutare le interstiziopatie, anche in stadio

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preclinico (sarcoidosi, alveolite allergica, polmoniti da radiazioni, connettiviti, interstiziopatie da farmaci, polmoniti in corso di infezione HIV). Nelle vasculopatie polmonari (embolia polmonare ricorrente), ipertensione polmonare, connettiviti la spirometria può essere normale e la misura della diffusione alveolo capillare misurata col monossido di carbonio (CO) ridotta. 5.4 TRASPORTO DELL’ O2 E DELLA CO2 NEL SANGUE La solubilità dell’ ossigeno molecolare (O2) nel plasma sanguigno è molto bassa, ed infatti esiste una molecola (Hb) specificamente deputata al trasporto del gas. La capacità per l’ O2 del sangue circolante in condizioni fisiologiche e per valori di emoglobinemia di 14.6 g/dL, è circa 9 mmol/L (20mL per 100 mL). Pertanto 1 g di emoglobina è in grado di legare 1.39 mL di O2. Il rapporto esistente in condizioni di equilibrio, fra la saturazione dell’Hb con l’O2 e la tensione parziale arteriosa (PaO2) dello stesso è tradizionalmente raffigurato dalla curva di dissociazione dell’ossiemoglobina. La sua forma sigmoide assume un’importanza fondamentale nel corso del fisiologico meccanismo di trasporto dell’O2. Infatti, al di sopra dei 60 mmHg di PaO2 l’Hb è saturata per oltre il 90%, mentre al di sotto di tale valore la saturazione decresce in maniera critica. Per tale motivo si assume convenzionalmente una PaO2 di 60 mmHg come limite per definire l’insufficienza respiratoria. L’anidride carbonica (CO2) ha una solubilità in soluzione acquosa 20 volte maggiore rispetto a quella dell’O2, anche se la quantità di CO2 fisicamente disciolta corrisponde soltanto al 5% del suo contenuto totale nel sangue ed è pertanto insufficiente da sola al trasporto di tutta la CO2. Tuttavia la CO2 disciolta in semplice soluzione chimico-fisica riveste dal punto di vista fisiologico un ruolo fondamentale in quanto: - l’accesso alla riserva degli ioni bicarbonato (HCO3

-) e carbamato (NHCOO-) avviene attraverso la CO2 solubilizzata

- l’elevata solubilità e liposolubiltà ne consentono l’agevole passaggio transmembranale - la velocità diffusiva alveolo-capillare della CO2 è così elevata da risultare non solo

sovrapponibile a quella dei gas inerti, ma talmente istantanea da non essere misurabile. Il 90% della CO2 del sangue circolante è presente in forma di HCO3

- e l’anidrasi carbonica eritrocitaria è l’enzima deputato a convertire la CO2 intracorpuscolare in acido carbonico (H2CO3), la maggior parte del quale andrà incontro a dissociazione in idrogenioni (H+) ed HCO3

- . I sistemi di trasporto della CO2 sono riassunti in Figura 3.

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5.5 SISTEMA ACIDO-BASE L’equilibrio acido-base nel sangue è regolato dalla legge di Henderson-Hasselbach: pH= 6.1 + log [HCO3

-]/[CO2] . Il pH ematico ha un range di normalità molto ristretto (7.35-7.45) entro il quale si possono svolgere normalmente le funzioni cellulari. Il pH viene mantenuto costante dalla funzione tampone della CO2 e dei bicarbonati, dalle proteine plasmatiche e dagli acidi fissi. Il sistema più rapido di compenso del pH è quello respiratorio, mediante la variazione dell’equilibrio CO2-HCO3

-. Il compenso renale agisce tramite l’escrezione o la ritenzione di ioni H+ sotto varie forme, ma impiega alcuni giorni per essere completamente efficace. Per contro, aumenti o diminuzioni della PaCO2 (patologie respiratorie con ritenzione di CO2) fanno variare molto rapidamente il pH del sangue. L’aumento o la diminuzione del pH dovute invece a perdite o ritenzione di idrogenioni (alcalosi o acidosi metabolica) vengono compensate dalla respirazione in maniera molto meno efficiente. Come è noto, l’equilibrio acido base, si esprime in termini pratici come rapporto [rene]/[polmone]. Il rene, in risposta all’acidosi e alla riduzione del pH (aumento della CO2), regola la concentrazione di ioni HCO3

-, mediante il riassorbimento di HCO3

- e la aumentata escrezione di H+; tale meccanismo impiega alcuni giorni per essere pienamente efficiente. In acuto si avranno quindi diminuzione del pH (e dell’ossiemia) e aumento della CO2 plasmatica (acidosi respiratoria acuta). Una volta entrato in funzione il compenso renale, il pH verrà riportato in range normale grazie ad un aumento dei bicarbonati plasmatici, nonostante la PaCO2 possa rimenere elevata (acidosi respiratoria compensata). D’altro canto, una aumentata eliminazione di CO2 (iperventilazione psicogena, asma, occlusione di rami delle arterie polmonari) conduce ad una alcalosi respiratoria che vede aumento del pH, riduzione della CO2 e diminuzione dell’O2. Pertanto, in caso di alterazioni gasanalitiche, la riduzione della PaO2 configura quasi sempre una causa respiratoria. Anche se i termini di acidosi ed alcalosi respiratoria permangono nell’uso comune, sarebbe più corretto utilizzare i termini di acidemia e alcalemia quando siano presenti variazioni misurabili del pH. Speculari variazioni si possono avere se il pH del sangue varia per aumento o diminuzione delle valenze

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acide (alcalosi o acidosi metabolica). In tali casi, il compenso respiratorio (riduzione o aumento della PaCO2) intervengono prontamente, ma sono di scarso rilievo. 5.6 DATI DELL’EMOGASANALISI ARTERIOSA (EGA) L’EGA si esegue prelevando un campione di sangue arterioso che viene immediatamente analizzato con apposito strumento. I principali parametri sono riportati in tabella PARAMETRO RANGE NORMALE PaO2 80-100 mmHg PaCO2 35-45 mmHg PH 7.35 - 7.45 HCO3- 16-30 mEq/L SaO2% > 95%

Nel soggetto normale, a livello del mare la PaCO2 è di 35-45 mm Hg e la PaO2 di 80-100 mm Hg, con un pH compreso fra 7,35 e 7,45. La ventilazione alveolare (V’A), che è data dal prodotto del volume corrente sottratto del volume dello lo spazio morto anatomico e moltiplicato per la frequenza ventilatoria, è di circa 5 L/min a riposo. Ogni riduzione del valore di V’A è causa di riduzione della pressione alveolare di O2 e di incremento di quella di CO2. Mentre la PaO2 dipende da vari fattori oltre la V’A (spessore di membrana, flusso ematico, quantità di emoglobina), la PaCO2 è strettamente correlata alla V’A poiché la CO2 non ha praticamente ostacoli alla diffusione dal sangue verso l’alveolo. Pertanto ogni incremento di PaCO2 indica un decremento di V’A, che può essere dovuto ad ipoventilazione globale o aumento dello spazio morto. Sul piano pratico ciò significa che un eccesso di ritenzione di CO2 può essere corretto aumentando la ventilazione minuto (es. ventilazione meccanica). Per contro, l’ipossiemia non può essere corretta aumentando la ventilazione in quanto dovuta principalmente ad alterato rapporto ventilazione/perfusione. Tramite ossimetri cutanei (pulsiossimetri) applicati ad un dito o al lobo dell’ orecchio, si può determinare la saturazione di O2 nel sangue capillare. La saturazione percentuale (Sa%) emoglobinica per l’O2 indica la quantità di O2 legata rispetto a quella teoricamente massima possibile. La SatO2% non costituisce un indice particolarmente utile nella valutazione della funzionalità polmonare poiché se la PaO2 è superiore a 60 mmHg le modificazioni di Sa% sono modeste. Rimane utile nel monitoraggio di pazienti affetti da importante deficit funzionale per la sua facile determinazione, in modo non invasivo ed economico. Viene inoltre utilizzata nello studio dei disturbi del sonno e per valutare la risposta all’esercizio. In linea di massima, le alterazioni più comuni dell’emogasanalisi possono essere compendiate in tabella. PaO2 PaCO2 pH HCO3

-

Acidosi respiratoria acuta ↓ ↑ ↓ = o ↓ Acidosi respiratoria compensata ↓ ↑ = ↑ Alcalosi Respiratoria acuta = ↓↓ ↑ =/↓ Alcalosi Respiratoria compensata =/↓ ↓ = ↑ Acidosi metabolica = ↓ ↓ =↓ Alcalosi metabolica = = ↑ ↑

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6. METODOLOGIE DIAGNOSTICHE La raccolta della storia clinica del paziente costituisce l’anamnesi, mentre il rilievo dei dati oggettivi costituisce l’esame obiettivo. La semeiotica (interpretazione di segni e sintomi) è sempre il primo e spesso l’unico approccio diagnostico per il medico, considerando che nella pratica (ambulatorio, studio specialistico, guardia medica) non sono sempre disponibili le metodiche strumentali. L’esame obiettivo di un malato ha forse scarsa sensibilità (frequenti i falsi negativi), ma specificità abbastanza elevata (rari i falsi positivi). Ciò implica che qualsiasi reperto anomalo è da approfondire. Cosa sia “normale” all’ascoltazione o alla percussione si può descrivere solo approssimativamente a parole e deve essere imparato con la pratica. Un sunto delle numerose tecniche di indagine usate in pneumologia è riportato in tabella 1 Tabella 1: indagini diagnostiche in pneumologia FUNZIONALI PER IMMAGINI LABORATORISTICHE/

BIOLOGICHE Spirometria Radiogramma standard Esame escreato Emogasanalisi Tomografia computerizzata Esame liquido pleurico Test di diffusione Risonanza magnetica Test cutanei allergologici Test da sforzo Scintigrafia Test alla tubercolina Arteriografia Markers tumorali ENDOSCOPICHE PET Broncoscopia Ecografia CHIRURGICHE Pleuroscopia Mediastinoscopia Biopsia transbronchiale Biopsia a cielo aperto 6.1 ANAMNESI Come in tutte le altre branche della clinica, l’anamnesi comprende: • anamnesi famigliare (presenza di malattie allergiche, metaboliche od ereditarie); • fisiologica: funzioni vitali, alvo e diuresi, peso, nutrizione, attività fisica. • Nell’ambito delle patologie respiratorie è di speciale importanza l’anamnesi lavorativa

- esposizione a polveri (es. slilice, carbone, berillio) - esposizione ad amianto (fattore di rischio per asbestosi e mesotelioma)

• Fumo di tabacco (quantità e durata). L’esposizione al fumo si calcola grossolanamente in pack-year, ossia il numero di pacchetti fumati al giorno moltiplicato per il numero di anni di fumo. • patologica remota e prossima Occorre stabilire da quanto tempo durano i sintomi respiratori, com’è stato il loro esordio (graduale o brusco), il decorso e la risposta ad eventuali terapie. Importante indagare la presenza di tosse, emoftoe, dispnea (a riposo, sotto sforzo, notturna) e febbre. 6.2 METODOLOGIA DELL’ESAME OBIETTIVO L’esame obiettivo va eseguito secondo una procedura razionale. Se possibile, il paziente dovrebbe stare seduto, a torace completamente scoperto. I punti di repere sono indicati in figura 1 6.2.1 ISPEZIONE Si valutano la forma del torace e la sua simmetria statica. Devono essere osservate deformità della gabbia toracica (cifosi, scoliosi ecc.). La simmetria dinamica (durante una inspirazione profonda) considera se i due emitoraci si espandono contemporaneamente e nella stessa misura.

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Devono essere valutate le cicatrici, le lesioni cutanee, i circoli venosi ed il colorito. La cianosi (Hb ridotta> 5g/100mL) si valuta meglio e precocemente a livello delle labbra (prolabio), della lingua e delle estremita’ (soprattutto il letto ungueale). La presenza di coilonichia (unghie a vetrino d’orologio) e di dita a bacchetta di tamburo (osteopatia di Pierre-Marie) sono indice di ipossiemia di lunga durata. Dovrebbe sempre essere misurata la frequenza respiratoria che nell’adulto normale è di 14-18 atti/min. L’aumento e la diminuzione della frequenza respiratoria si chiamano tachipnea e bradipnea; le variazioni della profondità del respiro sono dette iperpnea e ipopnea. La retrazione in inspirazione degli spazi intercostali e delle fosse sovraclaveari (tirage) è sempre patologica, come pure l'utilizzo dei muscoli respiratori accessori. Va valutato anche il decubito del paziente: le alterazioni di piu’ frequente riscontro sono la semiortopnea e l’ortopnea. Figura 1 Reperi del torace

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6.2.2 PALPAZIONE Alla palpazione si valutano innanzitutto l’espansibilità e l’elasticità del torace durante l’inspirazione, ponendo le mani a piatto con i pollici sulla linea paravertebrale all’altezza della 9-10 costa. Il torace normale si espande simmetricamente e contemporaneamente sui due emilati all’atto dell’inspirazione (si parla altrimenti di respiro asimmetrico). Si valuta poi il fremito vocale tattile (FVT), facendo parlare il paziente o facendogli pronunciare una parola ricca di consonanti (es. trentatré). Il FVT è la vibrazione dell’aria prodotta dalla laringe e trasmessa a bronchi, bronchioli, alveoli, fino alla gabbia toracica. Perchè il FVT sia percepibile occorre quindi che: a) la vibrazione sia generata, b) che sia trasmessa al polmone c) che dal polmone si trasmetta alla parete toracica. L’occlusione di un bronco o la presenza di aria o liquido nel cavo pleurico, riducono la trasmissione del FVT alla superficie. La presenza di un addensamento polmonare, che sia a contatto diretto con la parete toracica (assenza di versamento pleurico) aumenta l’intensità del FVT. Gli aspetti del FVT sono riassunti in tabella 2. Tabella 2. FVT e sue alterazioni Meccanismo Fisiologico

Alterazione Meccanismo Patologico

Esempio FVT

Produzione della vibrazione in laringe

La vibrazione non si produce

Paralisi corde vocali Assenza laringe

Laringectomia Paralisi dei ricorrenti

Conduzione della vibrazione tramite le vie aeree

La vibrazione non si trasmette

Occlusione di uno o piu’ bronchi

Tumori, compressione estrinseca

La vibrazione è condotta in eccesso

Addensamento parenchimale con bronco pervio

Polmonite lobare Grandi masse neoplastiche

Trasmissione alla Parete toracica

La vibrazione non arriva alla parete toracica

Il polmone non è a contatto della parete toracica

Pneumotorace, Versamento pleurico

6.2.3 PERCUSSIONE (tabella 3) La percussione si effettua in maniera mediata (dito plessore che percuote il dito plessimetro appoggiato sulla cute). La percussione evoca dal polmone normale il suono chiaro polmonare (SCP). La presenza di SCP indica sempre l’esistenza di parenchima polmonare aerato. Con la percussione si può delimitare topograficamente il sottostante polmone solo se questo contiene aria ed è a contatto con la parete toracica. E’ consigliabile effettuare prima una percussione comparativa (alternativamente a dx e a sx simmetricamente) sui due emitoraci per individuare possibili differenze del suono plessico. La successiva percussione delimitativa definisce le aree di SCP sul torace alle quali corrisponde il parenchima aerato. Si delimitano per prime le aree di Konig di SCP che corrispondono agli apici polmonari, comprese tra il muscolo cucullare e l’articolazione della spalla e che devono essere simmetriche. Partendo poi dal II spazio intercostale dorsale si scende, con il dito plessimetro parallelo alle coste, una costa per volta, fino ad individuare il passaggio dal SCP al suono ottuso degli organi addominali. Tale cambiamento di suono indica che si sono raggiunte le basi polmonari. A questo punto si valuta se le basi polmonari sono alla stessa altezza (IX-X costa) e se si espandono normalmente. Ciò si effettua facendo fare un’inspirazione profonda al paziente e verificando se l'area di SCP si sposta caudalmente di 1-2 spazi intercostali. La presenza di ottusità (o ipofonesi) indica che al di sotto della zona percossa esiste una regione addensata: addensamento parenchimale, neoplasia, versamento pleurico, atelettasia. La presenza di suono iperchiaro indica aumento del contenuto aereo, mentre un suono timpanico indica la presenza di una cavità unica ripiena d’aria

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Tabella 3. I suoni plessici SUONO GENESI ESEMPIO DI

PATOLOGIA SUONO CHIARO Parenchima polmonare aerato SUONO IPERCHIARO

Aumento del contenuto aereo Enfisema, pneumotorace

SUONO TIMPANICO

Presenza di grandi cavita’ contenenti aria

Caverne, pneumotorace

SUONO OTTUSO Addensamento del parenchima Polmoniti, masse neoplastiche

SUONO OTTUSO Interposizione di liquido Versamenti pleurici 6.2.4 ASCOLTAZIONE Sul torace normale si ascolta su tutti i campi polmonari (ossia dove esiste polmone ventilato) il murmure vescicolare fisiologico (MVF). Tale reperto ascoltatorio è dovuto al flusso turbolento dell’aria negli alveoli e che si trasmette alla parete toracica. Perchè il MVF sia percepito occorre che: a) gli alveoli siano ventilati, b) che bronchi, bronchioli e alveoli siano pervi, c) che il polmone sia a contatto con la parete toracica (cavo pleurico virtuale e pleure intatte). In determinate regioni, corrispondenti alla trachea ed ai grossi bronchi può anche essere percepito il soffio bronchiale o tracheale. L’ascoltazione si effettua comparativamente sui due emitoraci, con particolare attenzione alle basi. Il MVF può ridursi in intensità o scomparire (silenzio respiratorio) dove il polmone non sia aerato (addensamento, ostruzione bronchiale) o se il polmone non è a contatto con la parete toracica (versamento pleurico, pneumotorace). Se il soggetto viene invitato a parlare, si ascolta solo una vibrazione che riporta le parole estremamente distorte (pettoriloquia). Nel soggetto normale si ascolta solo il MVF. Ogni altro rumore, che puo’ provenire dai bronchi, dagli alveoli o dalla pleura, è da considerarsi patologico. Si distinguono: rumori umidi, rumori secchi e sfregamenti pleurici (tabella 4). • I rumori umidi (rantoli) sono prodotti dalla presenza di liquido all’interno dei bronchi o degli alveoli. Ovviamente, il passaggio di aria durante la respirazione forma delle vere e proprie bolle che si rompono. A seconda del calibro del bronco dove si genera il rumore, si distinguono grossolanamente rantoli a grandi, medie e piccole bolle. I rantoli di origine alveolare hanno un particolare timbro di crepitio fine ed infatti sono detti crepitanti, quelli bronchiolari sono detti subcrepitanti; si ascoltano nello scompenso cardiaco o nelle fasi precoci delle polmoniti e broncopolmoniti. • I rumori secchi (ronchi) si producono allorchè l’aria incontra una riduzione di calibro dei bronchi e il flusso da laminare (silenzioso) diventa turbolento (rumoroso). Pertanto i ronchi indicano sempre la presenza di ostruzione bronchiale. A seconda del tono, che in parte dipende dal calibro dei bronchi interessati, si possono avere ronchi russanti, gementi, fischianti e sibilanti (comunemente detti sibili e fischi o wheezing). Poichè i bronchi tendono già fisiologicamente a ridursi di calibro durante l’espirazione, i rumori secchi si ascoltano preferenzialmente o più intensi durante la fase espiratoria. • I rumori pleurici (sfregamenti) sono dovuti alla confricazione dei due foglietti pleurici tra di loro durante il movimento respiratorio. Perchè si producano occorre che le superfici pleuriche, che normalmente sono lisce e lubrificate, siano scabrose o irregolari. Gli sfregamenti pleurici pertanto si ascoltano solo in determinate regioni, sono fissi, sono sincroni col respiro e sono in- ed espiratori. • L’occlusione/ostruzione delle alte vie aeree da’ origine allo stridore inspiratorio (o cornage), che rappresenta quasi sempre il sintomo di patologia acuta e di emergenza. • Se su una certa area si possono ascoltare le parole distintamente (pettoriloquia), occorre sospettare un sottostante addensamento. Se esiste un cospicuo versamento pleurico ed il

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parenchima è quindi compresso, ma i grossi bronchi sono pervi, si puo’ ascoltare il soffio bronchiale. Nel caso di grandi cavità (caverne ed escavazioni), che comunicano con i bronchi si puo’ ascoltare il soffio anforico. Tabella 4. I suoni respiratori SUONO MECCANISMO ESEMPI MVF Aria che produce una

turbolenza negli alveoli Polmone normalmente ventilato

Rumori umidi (rantoli)

Presenza di liquido nei bronchi che forma bolle

Bronchite, polmonite, ARDS, edema polmonare, bronchiectasie

Rumori secchi (ronchi)

Riduzione di calibro dei bronchi

Malattie ostruttive: asma, BPCO. Compressione dei bronchi da edema.

Sfregamenti pleurici

Attrito dei due foglietti pleurici

Pleuriti (fase iniziale o come esito)

Stridore Ostruzione/occlusione delle grosse vie

Edema laringeo, masse neoplastiche. Corpi estranei

Pettoriloquia Trasmissione della voce attraverso addensamenti

Masse neoplastiche, polmoniti

Assenza/ riduzione del MVF

Distretti non ventilati Distretti addensati Riduz globale della ventilazione Interposizione di liquido

Occlusione di bronchi, pneumotorace Neoplasie, polmoniti Enfisema Versamento pleurico

6.3 METODICHE LABORATORISTICHE Le metodiche che specificamente valutano le due principali funzioni dell’apparato respiratorio cioè la meccanica ventilatoria (PFR) e lo scambio dei gas (EGA) sono descritte nei capitoli 4 e 5. Si fa cenno qui di seguito alle altre metodiche di indagine che vengono utilizzate per la diagnosi delle malattie respiratorie. Ognuna di queste metodiche deve essere scelta sulla base di un ragionamento fisiopatologico e di un sospetto clinico. Il loro impiego indiscriminato e “a tappeto” espone i pazienti a rischi ingiustificati e complica la procedura diagnostica. 6.3.1 ESAME DELL’ESCREATO

L’escreato può essere prodotto spontaneamente (cosa che si verifica in molte patologie polmonari) oppure essere indotto artificialmente. In quest’ ultimo caso si applica la procedura dell’espettorazione indotta (induced sputum), che consiste nel fare inalare al paziente un aerosol ultrasonico di soluzione salina ipertonica al 3-5%. La procedura è semplice, e relativamente sicura e può essere applicata anche in presenza di significative riduzioni della ventilazione polmonare se il soggetto è collaborante. All’esame macroscopico si valutano immediatamente colore, aspetto, densità ecc. L’esame microscopico comprende: a) citologia: tipo di cellule presenti; b) batteriologia: ricerca germi comuni, coltura ed antibiogramma (compresa la ricerca di micobatteri vedi TBC. L’esame escreato è di primaria importanza in tutte le patologie infettive (specialmente batteriche), ma puo’ fornire anche indicazioni sulla presenza o meno di determinate malattie infiammatorie, alcune delle quali presentano una particolare citologia. Infine, può essere eseguita la ricerca di cellule atipiche e/o neoplastiche. 6.3.2 TORACENTESI ED ESAME DEL LIQUIDO PLEURICO

La toracentesi è una metodica invasiva che consiste nel prelevare il liquido pleurico tramite la puntura della parete toracica e della pleura parietale (puntura esplorativa). Si esegue

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ovviamente solo se la presenza di versamento pleurico è accertata (semeiotica fisica e radiologia) o fortemente sospetta. Dopo accurata disinfezione della cute ed anestesia di superficie, si punge con un ago di grosso calibro montato su siringa la parete toracica, fino a penetrare in cavo pleurico. A questo punto si aspira il liquido pleurico (solitamente 5-20 cc sono sufficienti). Se si vuole svuotare un versamento abbondante, si collega l’ago ad un sistema di aspirazione a stantuffo oppure si lascia defluire il liquido per gravità (toracentesi evacuativa). La comparsa di tosse, ipotensione o di dolore puntorio impone di sospendere la manovra. La toracentesi si effettua a paziente seduto; si preferisce pungere su ascellare media o posteriore all’altezza del IV-VI spazio intercostale. L’ago va introdotto sfiorando il margine superiore della costa per evitare lesioni al fascio vascolonervoso. Le complicanze della toracentesi (pneumotorace, emotorace, infezione) sono rarissime. La distinzione fondamentale è tra essudati (di origine infiammatoria) e trasudati (da alterazioni idrostatiche/oncotiche). Si definisce essudato se: a) LDH versamento/LDH siero > 0.6; b) proteine versamento/proteine siero > 0.5; c) LDH > 100. 6.3.3 TEST ALLERGOLOGICI I test cutanei (skin prick test) individuano la presenza di sensibilizzazione a determinati allergeni respiratori (acari della polvere, graminacee, olivo, parietaria, epiteli di cane e di gatto, muffe ecc.). Si applica una goccia di ciascun estratto allergenico alla faccia volare dell’avambraccio e la si punge con apposita lancetta. Lo sviluppo di un pomfo indica che esistono IgE specifiche per tale allergene adese ai mastociti cutanei che li fanno degranulare. L’entità del pomfo si rapporta (classi da 0 a ++++) al pomfo prodotto dall’istamina che è il controllo positivo. Il test è molto sensibile e specifico, si legge in circa 10 minuti ed è privo di rischi. Pertanto, è sempre la prima scelta nel sospetto di allergia respiratoria. Il dosaggio delle IgE specifiche nel siero (RAST) è altrettanto specifico e sensibile, ma costoso e fornisce i risultati in alcuni giorni. Pertanto è sempre di seconda scelta o di conferma; oppure si esegue in prima istanza ove lo skin test non sia effettuabile (ad esempio perchè il paziente assume antistaminici). Il dosaggio delle IgE totali (PRIST) e gli eosinofili circolanti sono poco sensibili e specifici: non sono quindi mai test diagnostici dirimenti. Molto sensibili e specifici sono i tests di provocazione nasale e congiuntivale. La somministrazione di piccole quantità di allergene nel naso o nella congiuntiva riproduce nel soggetto allergico i sintomi clinici (rinite e congiuntivite). 6.3.4 TEST ALLA TUBERCOLINA

Implica una reazione ritardata di IV tipo e valuta (dopo inoculo nel derma) l’avvenuta sensibilizzazione al bacillo di Koch. La sua positività indica che l’organismo è già venuto in contatto col bacillo ed è quindi in grado di sviluppare una risposta immunitaria specifica. Quindi non è diagnostico di malattia in atto, ma solo di pregressa infezione o di avvenuta vaccinazione. Si utilizza per l’inoculo la PPD (purified protein derivative), una miscela di antigeni micobatterici; una unita’ tubercolinica (UT) corrisponde a 0.02 mcg di PPD. Il test alla tubercolina si può effettuare: - con dispositivi già pronti (tine test), costituiti da 4 punte imbevute di PPD - mediante inoculazione intradermica di 0.1 mL di PPD (reazione di Mantoux) Il risultato si legge dopo 48-72 ore; la positività è documentata da eritema, papule, infiltrazione, indurimento. 6.3.5 MARKERS BIOLOGICI E BIOCHIMICI I cosiddetti “marcatori tumorali” sono sostanze proteiche prodotte da cellule neoplastiche (o da cellule normali in condizioni patologiche), che possono essere dosati nel sangue. I più importanti marcatori tumorali sono indicati in tabella 5.

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Tabella 5. Principali marcatori tumorali SIGLA ORIGINE ASSOC.PREFERENZIALE NSE (Enolasi neurospecifica) Cellule neuroendcrine microcitoma aFP (alfa fetoproteina) Cellule epiteliali adenoK, K epidermoide CYFRA (Framm. Citocheratina) Cellule epiteliali K epidermoide CA 19.9 Cellule epiteliali adenoK CEA (ag carcinoembrionario) Cellule epiteliali adenoK Occorre ricordare che i marcatori tumorali sono poco specifici (eccezion fatta per la NSE) e quindi non consentono da soli di porre una diagnosi. Possono essere utili come conferma di un sospetto clinico già presente e soprattutto per il follow-up dei tumori già diagnosticati. In medicina respiratoria si utilizzano anche altri indici biochimici, legati a patologie di pertinenza polmonare, come l’angiotensin converting enzyme (sarcoidosi) o il d-dimero (tromboembolia polmonare). Per il significato di tali esami si rimanda agli specifici capitoli. 6.4 METODICHE PER IMMAGINI 6.4.1 RADIOGRAFIA STANDARD

La radiografia convenzionale del torace rappresenta a tutt’oggi la metodica per immagini di prima scelta e dotata di elevatissima capacità di discriminare le strutture normali dalle patologiche. Si esegue praticamente sempre nel caso di patologia pneumologica. La radiografia standard del torace comprende la proiezione postero-anteriore (PA) e la latero-laterale (LL) sinistra. Le strutture radiotrasparenti (aria) hanno aspetto più scuro,mentre le strutture dense (parenchima, osso), sono radioopache e chiare. L’ RX del torace mostra alcuni reperti caratteristici e riproducibili, tra cui i tre archi di sx e i due archi di dx. (FIGURA 2). Il fascio vascolonervoso (FVC) è costituito dal profilo cardiaco, dall’aorta e dai grossi vasi e dagli ili. I polmoni sono radiotrasparenti ed è visibile la trama interstiziale che è più spessa all’ilo e si affina verso la periferia. L’emidiaframma destro è più alto del sinistro, mentre sotto al sinistro si puo’ osservare talvolta l’aria della bolla gastrica. Gli angoli costrofrenici sono sempre acuti e trasparenti: la loro opacazione indica presenza di versamento o di aderenze pleuriche. Le scissure interlobari non sono normalmente visibili; si delineano solo in caso di processi infiammatori con raccolte liquide o ispessimento (scissurite). Le zone radioopache (ipodiafanie) di parenchima polmonare indicano solitamente addensamento del parenchima (polmonite, neoplasie) o versamento pleurico (figura 2 A), mentre quelle ipertrasparenti indicano aumento del contenuto aereo (bolle, caverne, enfisema). Per tutti i casi dubbi all’RX, la seconda istanza è sempre la TC.

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Figura 2 RADIOGRAMMA STANDARD POSTERO-ANTERIORE NORMALE

Figura 2A, reperti patologici tipici

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6.4.2 TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA (TC)

E' l'esame per immagine di seconda scelta dopo l’RX standard. Fornisce immagini di strati traversi (detti “tagli”) del corpo (sottili da 5 ad 1 cm) visti idealmente dalla parte caudale. Le apparecchiature più moderne consentono anche la ricostruzione tridimensionale delle strutture anatomiche. La gamma di contrasto (scala dei grigi) è estremamente ampia (da -1000 per l'aria a +1000 per l'osso) e pertanto si possono scegliere “finestre” appropriate per la densita' della struttura da studiare. Usualmente si applicano le finestre parenchimale (che dettaglia bene interstizio, vasi e bronchi) e mediastinica (che dettaglia tutte le strutture dense toraciche e i linfonodi) (Figura 3). La somministrazione di mezzo di contrasto, consente poi di visualizzare il decorso dei principali vasi e la vascolarizzazione delle strutture. La TC ad alta risoluzione (HRCT) consente di effettuare sezioni sottili (2 mm) e di vedere quindi in dettaglio l'interstizio polmonare, i piccoli vasi ed i bronchi fino al IV-V ordine di suddivisione. La TC con metodica a spirale è un particolare tipo di tecnica ad alta velocità che consente di eliminare in parte gli artefatti dovuti alla respirazione. La TC ha praticamente le stesse indicazioni della radiologia convenzionale. È fondamentale nella stadiazione delle lesioni neoplastiche. Di solito si esegue in seconda istanza per motivi di costi, tempi ed esposizione alle radiazioni. Figura 3 Esempi di sezioni TC

6.4.3 SCINTIGRAFIA Scintigrafia di perfusione. Si somministrano endovena dei macroaggregati di albumina marcata con Tc99. I macroaggregati vanno a localizzarsi e sono trattenuti nei capillari polmonari più distali e pertanto indicano fedelmente la vascolarizzazione arteriosa polmonare. La radioattività accumulata si rileva dall’esterno mediante gamma camera. Di solito si eseguono 6 proiezioni. Se esiste una occlusione in qualche punto dell’albero arterioso, il tracciante non arriva in quel punto e si osserverà un’area “fredda”. La scintigrafia perfusoria è importante quindi in tutte le sospette alterazioni vascolari, prima tra tutte la tromboembolia polmonare, ove rimane l’esame diagnostico di riferimento.

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Scintigrafia ventilatoria. Si fa respirare al paziente dello Xn133, il quale arriva fino agli alveoli ma non diffonde nel sangue e viene rilevato con una gamma-camera. Tale metodica rileva quindi l’integrità della ventilazione. E’ utile soprattutto in associazione con la scintigrafia perfusoria. La differenza tra aree ventilate e perfuse si definisce “mismatch”. per evidenziare aree ventilate ma non perfuse o viceversa. Scintigrafia con Ga67. Il Ga67 si localizza preferenzialmente in zone ad elevato metabolismo e quindi in zone di attiva infiammazione e ben vascolarizzate. E’ ovviamente poco sensibile e poco specifica, ma utile come test di conferma e per il follow-up di malattie infiammatorie come la sarcoidosi. Scintigrafia ossea total body. Il tracciante radioattivo si concentra in sede di rimaneggiamento osseo (figura 4). Individua pertanto, in presenza di tumore polmonare già diagnosticato, la presenza di metastasi ossee. E’ poco specifica perché individua anche le zone di rimaneggiamento osseo non tumorale (es. osteoartrosi)

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6.4.4 ECOGRAFIA E RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE L'ecografia è una metodica non invasiva e priva di rischi. Tuttavia essa è di scarsa utilità nello studio del polmone a causa del predominante contenuto aereo. Può essere utilizzata occasionalmente per precisare la diagnosi di raccolte saccate o per guidarne l'esplorazione. Può essere anche utile per individuare ascessi subfrenici o definire meglio le patologie sottodiaframmatiche. La risonanza magnetica nucleare (RMN) del parenchima polmonare di solito aggiunge poco alle informazioni ottenute con RX e TC. Risulta invece molto utile per lo studio del mediastino e delle strutture ad alta densità in quanto consente di precisare molto bene i rapporti anatomici e di visualizzarli anche sul piano sagittale e su piani obliqui. Pertanto la sua indicazione si rivolge principalmente alla diagnostica delle malattie neoplastiche. 6.4.5 TOMOGRAFIA A EMISSIONE DI POSITRONI (PET) In realtà è più una metodica metabolica che di immagine. Infatti rivela l’accumulo selettivo di glucidi radioattivi in determinate strutture che li utilizzano per la loro attività metabolica. In pratica si somministra del desossiglucosio marcato con 18P. L’isotopo decade producendo positroni che annichilandosi con gli elettroni producono coppie di fotoni, le quali vengono rivelate dall’apparecchiatura. Non sostituisce in alcun modo la TC per quanto riguarda i rapporti anatomici delle strutture, ma ha indicazione nella diagnostica differenziale dei noduli solitari, per i quali ha una elevata sensibilità (in altre parole un nodulo solitario sospetto neoplastico e negativo alla PET, è quasi certamente negativo). La PET può causare falsi positivi, in quanto il radiotracciante si accumula selettivamente non solo nelle neoplasie ma anche nelle zone di rimaneggiamento infiammatorio. Altre indicazioni sono la diagnostica delle masse polmonari altrimenti non definibili o le localizzazioni pleuriche. Solitamente la PET si esegue contemporaneamente alla TC (TC-PET), consentendo di sovrapporre le immagini anatomiche a quelle funzionali.

Figura 5. TC/PET che mostra Un nodulo metabolicamente Attivo. 6.4.6 ARTERIOGRAFIA POLMONARE E BRONCHIALE Consiste nell’iniettare, tramite accesso periferico, un mezzo di contrasto nell’arteria polmonare o nelle arterie bornchiali mentre si esegue la radiografia. Consente di visualizzare con estrema precisione tutto l’albero vascolare del polmone, o quello arterioso funzionale (piccolo circolo) o quello arterioso nutritizio (arterie bronchiali) e individuare quindi: ostruzioni dell’arteria polmonare e suoi rami (embolie) sanguinamenti.e/o malformazioni arterovenose delle arterie bronchiali.

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Nel caso di sanguinamenti è possibile anche eseguire la microembolizzazione. Non è mai un esame di routine in quanto richiede strutture specificamente attrezzate e personale qualificato. 6.5 METODICHE ENDOSCOPICHE 6.5.1 BRONCOSCOPIA La broncoscopia è un’indagine endoscopica che può essere eseguita con strumenti rigidi o a fibre ottiche (fibrobroncoscopia, FBS) e che permette di visualizzare le vie aeree, identificare anomalie endobronchiali e raccogliere materiale diagnostico tramite lavaggio bronchiale (Bronchoalveolar lavage, BAL), spazzolamento (brushing), e biopsia. Il broncoscopio a fibre ottiche permette la valutazione di vie aeree più piccole e distali rispetto a quelle visualizzabili col broncoscopio rigido, ma quest’ultimo permette un maggiore controllo delle vie aeree e una più efficace aspirazione; per questo è particolarmente utile in pazienti con neoplasie ostruenti centrali, corpi estranei o emottisi massiva. Le indicazioni all’esecuzione della broncoscopia sono: a) radiologiche. Quadri sospetti per neoplasie broncopolmonari, opacità rotondeggianti, ingrandimenti del mediastino, addensamenti, ecc. b) cliniche. Emoftoe, tosse persistente, stridori e sibili, paralisi delle corde vocali e diaframmatiche, disfagia, algie toraciche adenopatie sovraclaveari ed ascellari, sindromi paraneoplastiche, ecc. c) laboratoristiche. Cellule atipiche nell’espettorato, positività del micobatterio nell’espettorato senza alterazione RX. d) Endoscopia chirurgica, in rianimazione respiratoria, broncoinstillazioni e broncoaspirazioni, estrazioni di corpi estranei. Con l’esame broncoscopico è possibile accompagnare alla diagnostica per immagini endoscopica, una valutazione biologica mediante l’esecuzione di particolari metodiche di prelievo: • Lavaggio bronchiale (BL) • Brushing bronchiale (spazzolamento con scovolino per la raccolta delle cellule superficiali) • Biopsia bronchiale • Agoaspirazione transbronchiale (TBNA) • Lavaggio broncoalveolare (BAL) La broncoscopia è utilizzata anche a scopo terapeutico per esempio nella rimozione di corpi estranei, nelle intubazioni difficili, nel posizionamento di stents tracheali o bronchiali, nella laser-terapia per il trattamento di tumori benigni o maligni delle vie aeree, nel posizionamento di radiocateteri per la terapia radiante endobronchiale (brachiterapia). 6.5.2 LAVAGGIO BRONCOALVEOLARE (BAL) Si esegue in corso di fibrobroncoscopia e si effettua instillando (tramite broncoscopio) in un bronco segmentale o subsegmentale soluzione fisiologica e poi aspirandola. L’esame del BAL rispecchia abbastanza fedelmente la cellularita’ del polmone profondo (bronchioli ed alveoli) ed è utile per la diagnosi di malattie infiammatorie caratterizzate da alveolite (alveoliti allergiche, sarcoidosi, fibrosi interstiziali etc.), per la ricerca di cellule atipiche (neoplasie) e per l’individuazione di batteri. Nel BAL del soggetto normale si osservano: - Macrofagi alveolari (90-95%) - Linfociti (2-5%), che sono per l’85% di tipo T (con rapporto CD4/CD8 = 2/1), per il 10% di

tipo NK e per il 5% di tipo B. - Neutrofili: circa il 3% (aumentano nei fumatori) 6.5.3 MEDIASTINOSCOPIA

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La mediastinoscopia rappresenta un metodo diagnostico e stadiativo di tipo chirurgico che consiste nell’eseguire biopsie mirate di linfonodi mediastinici, o altre lesioni solide del mediastino supero-anteriore. In anestesia generale si esegue un’incisione sopragiugulare attraverso cui si raggiunge il piano tracheale; si incide la fascia pretracheale e la si scolla dalla trachea creando uno spazio attraverso cui si inserisce il mediastinoscopio, si ricerca la lesione da bioptizzare sulla guida del radiogramma T.C., e con la pinza bioptica si eseguono numerosi prelievi per il successivo esame istologico. La diagnosi di lesione solida del mediastino si avvale della mediastinoscopia solo quando altre indagini bioptiche, meno invasive (broncoscopia e agoaspirazioe T.C. guidata), si siano rivelate non diagnostiche. Le indicazioni sono: a) Rilievo alla T.C. di una lesione solida in sede paratracheale non diagnosticata con la

broncoscopia, l’agoaspirazione o altro metodo meno invasivo. b) Stadiazione di neoplasie polmonari di cui è noto l’istotipo, associate a linfonodi mediastinici paratracheali aumentati di volume, specie se la neoplasia interessa il lobo inferiore sinistro. 6.5.4 TORACOSCOPIA La toracoscopia rappresenta un’indagine endoscopica rivolta ad accertare la diagnosi di lesioni occupanti lo spazio pleurico, sia se a partenza dalla pleura parietale o viscerale, sia se di origine polmonare o mediastinica. La toracoscopia si esegue introducendo uno strumento rigido nel cavo pleurico attraverso uno spazio intercostale dopo aver creato un pneumotorace, il che consente di ispezionare i recessi pleurici, il mantello polmonare e la pleura mediastinica. Alla fine dell’indagine si lascia nel cavo pleurico un tubo di drenaggio per il controllo del versamento e per un eventuale pneumotorace. Il liquido pleurico e le biopsie pleuriche verranno poi sottoposte alle indagini cito-istologiche. Sono indicazioni: a) Versamenti pleurici non diagnosticati con la broncoscopia e la toracentesi. b) Lesioni solide della pleura parietale visibili alla TC. Inoltre un versamento pleurico, non neoplastico all’esame citologico, in presenza di carcinoma polmonare, può richiedere una toracoscopia stadiativa. 6.5.5 VIDEOTORACOSCOPIA (VATS) Non è altro che l’abbinamento di una telecamera e di uno strumento televisivo alle ottiche toracoscopiche tradizionali; la possibilità di usare strumenti adatti per un’endoscopia intereventistica quali dissettori, coagulatori, forbici, pinze, suturatrici, permette di eseguire veri e propri interventi terapeutici sul polmone, sul mediastino e sulla pleura. Indicazioni della VATS DIAGNOSTICA TERAPEUTICA Versamento pleurico Lesioni pleuriche Stadiazione di neoplasie Lesioni della parete toracica Malattie mediastiniche Pneumotorace Emotorace Empiema Malattie polmonari diffuse Noduli polmonari

Lisi di aderenze Pleurodesi Pleurectomia Resezione di bolle Resezione di noduli Emostasi nell’emotorace Simpaticectomia Finestra pericardica Asportazione di masse mediastiniche

La caratteristica fondamentale (e il vantaggio) della toracoscopia rispetto alla chirurgia a cielo aperto è la riduzione del trauma senza tuttavia compromettere la buona esposizione del campo operatorio.

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7. LE POLMONITI 7.1 GENERALITA’ Le polmoniti sono processi flogistici del parenchima polmonare, e possono essere determinate da fattori infettivi, chimici, fisici ed autoimmunitari. Con il termine polmonite s’intendono comunemente le forme ad eziologia infettiva di natura batterica, micobatterica, virale, fungina o, molto raramente in Italia quelle protozoaria e elmintica. Le polmoniti fanno parte delle sindromi infettive delle basse vie aeree; nella definizione di polmonite è implicita la presenza d’alterazioni RX compatibili con tale diagnosi, e che permettono di differenziarla ad esempio dalle riacutizzazioni di bronchite cronica. Le polmoniti rappresentano attualmente la sesta causa di morte nei Paesi industrializzati e possono essere classificate su base eziologica (batteriche, virali, ecc.), su base anatomo-patologica (alveolare, interstiziale, alveolo-interstiziale, necrotizzante) o su base epidemiologica (nosocomiale, acquisita sul territorio o comunitaria, da aspirazione, in ricovero protetto, nell'ospite immunocompromesso). Scopo di queste distinzioni è di formulare una diagnosi presuntiva dell’agente eziologico e permettere un idoneo trattamento con farmaci antimicrobici attivi sugli agenti prevalenti nelle differenti forme in attesa di identificare l’agente patogeno; inoltre, di formulare una prognosi prevedendo eventuali complicanze proprie delle singole forme. 7.2 CORRELAZIONI ANATOMO-CLINICHE ED EPIDEMIOLOGICHE La classificazione anatomo-patologica presuppone la disponibilità di una radiografia del torace. Nelle forme interstiziali l’essudato flogistico è localizzato prevalentemente nei setti interalveolari. L’estensione della flogosi è spesso ampia con interessamento generalizzato plurilobare e bilaterale. In alcuni casi può essere più evidente una compartecipazione flogistica anche alveolare, con conseguenti polmoniti alveolo-interstiziali. Nelle polmoniti alveolari la flogosi è localizzata prevalentemente negli alveoli e l’estensione può essere segmentale o lobare o multilobare. Le forme necrotizzanti, che comprendono l’ascesso polmonare e la polmonite necrotizzante, sono caratterizzate da sovvertimento della struttura polmonare e necrosi del tessuto. Esiste una discreta, ma non assoluta correlazione fra le differenti forme di polmonite. Le polmoniti interstiziali sono in genere determinate da virus (p.es. influenza A e B, adenovirus, CMV, virus parainfluenzali, RSV), micoplasmi, clamidie, rickettsie (tutti patogeni intracellulari), e solo più raramente da batteri, miceti e protozoi. Le forme alveolari, di cui è il prototipo la polmonite pneumococcica (polmonite lobare franca), sono più frequentemente determinate da batteri a replicazione extracellulare. Le forme necrotizzanti sono sempre determinate da una flora microbica mista che comprende, oltre a stafilococco e germi Gram-negativi, la presenza di anaerobi. E’ tuttavia il caso di ricordare che nella pratica clinica alcuni patogeni possono determinare quadri assai variabili da caso a caso e differenti da quanto descritto sopra. Ad esempio, micoplasma e clamidia possono frequentemente anche manifestarsi con quadri radiografici di tipo interstizio-alveolare localizzato od adenopatico, come pure miceti possono dare luogo a focolai di tipo interstiziale. La distinzione su base epidemiologica delle polmoniti è basata su una differente prevalenza di agenti infettivi nei differenti ambienti e tipologia di pazienti in cui esse si possono manifestare:

1) polmoniti acquisite in comunita', sono contratte sul territorio, in ambiente extranosocomiale, da soggetti immunocompetenti, sono più frequentemente determinate da pneumococco (S. pneumoniae), Haemophylus influenzae, M. catarrhalis, Micoplasma, Clamidie (C. pneumoniae e C. psittaci) e virus (p.es. Influenza A e B);

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2) polmoniti nosocomiali, acquisite in ospedale, ad insorgenza entro 72 ore dopo il ricovero o dopo la dimissione, in pazienti con riduzione delle difese ma non necessariamente immunocompromessi (interventi chirurgici, cateteri venosi centrali, politraumatizzati, etc.), più frequentemente determinate da batteri Gram-negativi (p.es. Pseudomonas spp., Serratia marcescens, Klebsiella spp., Enterobacter aerogenes, Acinetobacter aerogenes) e Gram-positivi (S.aureus, Enterococco, S.epidermidis) ospedalieri spesso multiresistenti in seguito alla elevata pressione antibiotica e selezione di resistenze, e da miceti;

3) polmoniti nell'ospite immunocompromesso, acquisite sia in comunita' sia in ambiente nosocomiale, in soggetti con deficit immunitari primitivi o secondari (chemioterapia antineoplastica, trapianto d'organo, AIDS), determinate da riattivazioni endogene da patogeni endocellulari (CMV, P.carinii, Criptococco, M.tuberculosis hominis, Histoplasma capsulatum, ), endogeni enterici sia Gram-negativi sia Gram-positivi (P.aeruginosa, Enterobacter, Enterococco), o circolanti in comunità (pneumococco, H.influenzae, S.aureus, S.epidermidis). 7.3 POLMONITI ALVEOLARI L'agente eziologico paradigmatico di queste forme e' rappresentato dallo pneumococco (Streptococcus pneumoniae), che in era preantibiotica era responsabile di oltre il 90% delle forme acquisite sul territorio. L'evoluzione clinica ed anatomo-patologica decorrono in parallelo. Si ha di solito l'interessamento d’interi segmenti o lobi polmonari, con disseminazione ed estensione del germe per via endobronchiale. Questa fase d’invasione e' segnata clinicamente dalla comparsa di febbre elevata, subcontinua o remittente, preceduta solo da brevi prodromi costituzionali, tosse produttiva, cefalea, dispnea, escreato rugginoso (o croceo). L'obiettivita' clinica e' costituita da un reperto iniziale di rantoli crepitanti (crepitatio indux) seguita da assenza di murmure vescicolare, comparsa di soffio bronchiale ed ipofonesi. In fase di risoluzione compare nuovamente un reperto ascoltatorio umido (crepitatio redux). La remissione della febbre avviene spesso per crisi, oppure per lisi accelerata con rapida defervescenza. Il reperto radiologico e' quello di un'opacità omogenea, lobare o multilobare, a risoluzione lenta, frequentemente accompagnata da reperti di versamento pleurico (pleurite metapneumonica o parapneumonica a seconda del tempo di comparsa rispetto alla polmonite). Possibili complicanze sono rappresentate da empiema libero o saccato, batteriemia con sepsi, meningite (rare in era antibiotica con trattamento adeguato), localizzazioni settiche a distanza. L’età di maggiore incidenza è nell’anziano e nel bambino. E’ frequente fino al 40% dei casi l’insorgenza di herpes labialis concomitante. Le manifestazioni cliniche sono associate a notevole leucocitosi con neutrofilia assoluta e relativa che talora assume caratteristiche di reazione leucemoide, con aumento notevole di tutti i parametri di flogosi componenti la reazione di fase acuta (Fibrinogeno, Proteina C reattiva, α1 e α2-globuline, C3, C4, VES, piastrinosi, etc.) E’ disponibile una preparazione vaccinale 23-valente di antigeni polisaccaridici, efficace nel prevenire forme invasive nell’anziano. La polmonite stafilococcica, determinata da Staphylococcus aureus, ha caratteristiche spesso intermedie fra le forme alveolari e necrotizzanti. Si tratta di una forma grave, spesso ad acqusizione extraospedaliera particolarmente in eta' pediatrica, ma anche di tipo nosocomiale. E' caratterizzata da flogosi alveolare con interessamento suppurativo (microascessi confluenti perivasali e peribronchiali) e fenomeni necrotico-emorragici localizzati. L'immagine radiologica e' caratterizzata in un primo tempo da opacita' multiple delimitate di tipo alveolare, che nell'evoluzione successiva assumono aspetti bollosi o cavitari con livelli idroaerei (pneumatoceli), con aspetto generale "a volo di palloncini". Le caratteristiche cliniche sono comuni alle altre forme alveolari, ma possono assumere anche caratteristiche fulminanti ad evoluzione tumultuosa. Analogamente alla polmonite

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streptococcica (S. pyogenes ß-emolitico e S. viridanti α-emolitici), può insorgere come polmonite secondaria ad infezione da virus influenzale (A o B). Il virus replica infatti nelle cellule epitelialibronchiali, è citopatico e ne determina necrosi e sfaldamento favorendo in modo significativo la colonizzazione ed invasione della lamina propria da parte di comuni patogeni respiratori (S.aureus, S.pyogenes, S.pneumoniae) altrimenti controllati dalla barriera mucosa. Le polmoniti da Haemophylus influenzae sono più frequenti in età pediatrica, nel giovane adulto, e nei pazienti anziani, sono tipicamente extraospedaliere, hanno caratteristiche d’interessamento alveolare a manifestazione segmentale o lobare con possibile versamento pleurico concomitante. La disponibilità e diffusione in età pediatrica del vaccino contro H.influenzae b (Hib) dovrebbe ridurre in futuro l’incidenza di infezioni invasive (meningite, polmonite) in età pediatrica, come già verificato negli USA dove la vaccinazione è stata applicata universalmente dal 1990. Le polmoniti da batteri Gram-negativi (E.coli, Enterobacter spp., Pseudomonas spp., Proteus spp., Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter spp.), sono poco frequenti sul territorio (2-4% del totale), ed usualmente compaiono in pazienti anziani con bronchite cronica. In ambiente ospedaliero sono più frequenti (fino al 50-60% del totale) dopo interventi chirurgici, trapianto d’organi, chemioterapia antineoplastica, unità di terapia intensiva. Si possono manifestare con iniziale febbricola in ascesa, seguita da febbre elevata e progressivo peggioramento delle condizioni cliniche, tosse produttiva con espettorato muco-purulento, sudorazione, tachipnea e tachicardia, reperto di ronchi e rantoli a medie e piccole bolle su vaste aree d’auscultazione polmonare. L’evoluzione può essere rapidamente peggiorativa con batteriemia, sindrome settica e shock. Infiltrati radiografici rilevanti possono essere assenti nei pazienti neutropenici a causa della neutropenia stessa e della ridotta capacità di risposta flogistica, e solo in fase di ripresa midollare possono apparire segni radiografici precedentemente assenti. L’interessamento polmonare ha caratteristiche diffuse, alveolari, fioccose, ed è prevalente (ma non esclusivo) ai lobi e segmenti superiori per K.pneumoniae, mentre P.aeruginosa ha una maggiore preferenza per i segmenti e lobi inferiori, con interessamento più diffuso ed esteso. I miceti determinano polmoniti alveolari od interstizio-alveolari, con focolai multipli e più raramente singoli, d’aspetto fioccoso in parte cofluente a disposizione multisegmentale. Compaiono usualmente nell’ospite neutropenico o comunque immunocompromesso e sono determinate da Candida spp. Aspergillus spp., Mucor spp. Particolarmente severa è l’aspergillosi polmonare invasiva o polmonite da aspergillo, che richiede terapia per periodi prolungati e conserva elevata mortalità malgrado la scelta di antimicotici adeguati. Alla radiografia possono essere visibili uno o più focolai, spesso più delimitati rispetto alle altre forme da miceti. La tomografia computerizzata può mostrare immagini suggestive di questa forma, un aspetto a vetro smerigliato della lesione od una semiluna aerea. Si ricorda che la presenza di miceti all’esame colturale dell’espettorato è sicuramente indicativo di colonizzazione delle vie aeree, ma non e’ sufficiente a definire l’eziologia micotica di una polmonite. Alcune forme di polmonite da miceti possono essere acquisite in particolari situazioni ricreative o lavorative, quali Coccidioides inmitis, Blastomyces dermatitidis, Histoplasma capsulatum (non endemici in Italia, ma in Nord-, Centro e Sud America), e Cryptococcus neoformans associato a volatili in genere. Infine anche Actinomyces spp e Nocardia asteroides possono determinare polmoniti alveolari con frequenza molto bassa. 7.4 POLMONITI INTERSTIZIALI Caratteristica comune a tutte le polmoniti interstiziali è la discrepanza, particolarmente in fase iniziale di malattia, fra quadro radiologico ed obiettività clinica (si parla infatti di polmoniti atipiche) . Le presentazioni cliniche ed evoluzioni di malattia possono differire notevolmente per

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estensione e gravità a seconda degli agenti eziologici coinvolti e le condizioni cliniche ed immunitarie dei pazienti. Gli agenti eziologici sono usualmente patogeni intracellulari, quali virus (Influenza A e B, parainfluenza, ECHO, Coxackie, Adenovirus, Cytomegalovirus), Mycoplasma pneumoniae, Clamidie (C.psittaci e C.pneumoniae), Rickettsie, talora miceti (P.carinii, Histoplasma capsulatum, Coccidioidomicosi) e sono più frequentemente acquisiti in comunità. Fanno eccezione le forme da P.carinii, Cytomegalovirus, H.capsulatum e C.neoformans che sono riattivazioni endogene nel paziente immunocompromesso o con AIDS. La sintomatologia clinica ha esordio spesso subdolo, graduale, con segni a carico delle prime vie aeree, iniziale febbricola che può assumere caratteristiche subcontinue o remittenti, usualmente senza brivido. Tali sintomi sono accompagnati da astenia intensa, cefalea, artralgie diffuse e mialgie dorso-lombari ed alla radice degli arti. Compare tosse secca, che solo in fase avanzata in caso di sovrapposizioni batteriche può diventare produttiva. L’esame obiettivo in questa fase è generalmente negativo, e nella maggior parte dei pazienti resta tale durante tutto il decorso della malattia. Talora possono comparire in una fase successiva ipofonesi localizzata e rantoli crepitanti circoscritti. Le caratteristiche radiologiche sono variabili. Possono essere presenti infiltrati flogistici interstiziali diffusi ilofughi, infiltrati interstiziali circoscritti in aree mantellari oppure ilo-parailari isolati od accompagnati da eventuale adenopatia ilare satellite. La persistenza di queste immagini può prolungarsi anche per un periodo consistente (2 settimane). Il quadro clinico è accompagnato da leucocitosi contenuta (a volte assente), con linfocitosi relativa o monocitosi. In fase iniziale può talora essere presente neutrofilia, che tuttavia viene sostituita rapidamente da una linfocitosi. Sono associati segni di flogosi sistemica, tuttavia piu’ contenuti rispetto a forme batteriche. Queste caratteristiche sono usualmente speculari a quanto osservato nelle forme batteriche. Il livello di gravità di queste polmoniti è variabile. Sono spesso autolimitate a prognosi fausta le forme virali dell’ospite competente. Assumono gravità rilevante la forma primaria da virus influenzale associata ad estensione alveolare dell’invasione virale ed insorgenza precoce durante la malattia e la forma secondaria da sovrapposizione batterica, di comparsa più tardiva in fase di convalescenza nei pazienti anziani o con comorbilità. Una delle possibili evoluzioni gravi è la sindrome da “distress” respiratorio (ARDS, Adult Respiratory Distress Syndrome), che richiede terapia respiratoria intensiva. 7.5 POLMONITI NECROTIZZANTI Sono quasi sempre dovute alla attiva replicazione nel parenchima polmonare di batteri anaerobi, eventualmente associati a batteri Gram-negativi. Si verificano più spesso in seguito ad inalazione di materiale enterico o faringeo (vomito, alterazioni dello stato di coscienza, rigurgito) od in caso di atelettasie segmentali o lobari da ostruzione bronchiale endogena od esogena (neoplasie). Qualora la replicazione con distruzione di tessuto polmonare venga delimitata dalle difese dell’organismo si avranno ascessi polmonari con aspetto di livelli idro-aerei alla radiografia del torace. In caso contrario si avrà rapida progressione senza delimitazione ad una gangrena polmonare. Le manifestazioni cliniche sono simili alle forme batteriche, con possibilità di quadri tossiemici rilevanti. Si avrà vomica, in caso di apertura di un ascesso in un bronco. Leucocitosi neutrofila e segni di flogosi sistemica sono usualmente accentuati. 7.6 CLINICA E ITER DIAGNOSTICO A parte alcune caratteristiche delle singole forme, i segni e sintomi clinici generali sono: febbre spesso elevata (febbre settica), tosse produttiva (alveolari) o secca (interstiziali), all’ascoltazione rantoli crepitanti (ca.70-80%), segni di consolidamento (ca.20-30% dei casi), brivido (20% dei

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casi), ed un corteo di sintomi costituzionali aspecifici (astenia, iporessia, mialgie, artralgie, sudorazione, ecc.) che compaiono in periodo prodromico e persistono in fase acuta. Se l’interessamento del parenchima o dell’interstizio e’ abbastanza esteso, è compromesso anche lo scambio dei gas con conseguente ipossia. L’anamnesi, l’esame obiettivo, alcuni dati ematochimici (esame emocromocitometrico con formula leucocitaria che evidenzia spiccata leucocitosi con neutrifilia nelle forme batteriche, VES, fibrinogeno, PCR e elettroforesi proteica) e la radiografia del torace permettono sempre di porre diagnosi di polmonite e di iniziare un processo diagnostico eziologico ragionato. La diagnosi definitiva si avvale di (a) esame colturale dell’espettorato, per ricerca di batteri, micobatteri o miceti; (b) emocolture; (c) sierologia per patogeni intracellulari (2 sieri, acuto e convalescente a distanza di almeno 12-15 gg.) sui quali ricercare l’incremento anticorpale patogeno-specifico. Solo in pochi e particolari casi possono essere effettuare anche indagini invasive quali:

• fibrobroncoscopia con prelievi mirati endobronchiali di secrezioni, sulle quali eseguire gli accertamenti batteriologici, mediante catetere protetto (ciò al fine di evitare contaminazione di flora orofaringea o bronchiale non rilevante), o con lavaggio selettivo broncoalvolare,

• eventuale biopsia transbronchiale endoscopica (p.es. Aspergillus spp, miceti invasivi, Nocardia, Actinomices)

• biopsia polmonare percutanea guidata (tomografia). (Tabella 7.1) Nel caso di versamento pleurico complicante la polmonite deve essere eseguita la toracentesi con esami chimico-fisico, citologico e colturale. 7.7 CENNI DI TERAPIA La terapia deve possibilmente essere mirata sulla base dell’agente infettivo identificato come responsabile del quadro clinico. In fase iniziale, in attesa dell’esito degli accertamenti specifici ed in ambiente domiciliare o dove non siano disponibili strumenti diagnostici adeguati a raggiungere una definizione eziologia, va applicata una terapia ragionata basata sull’esperienza scientifica acquisita sulla base dei dati pubblicati (empirica-esperienza). Vengono generalmente utilizzati schemi di ragionamento adeguati alla situazione epidemiologica (comunità, nosocomiale, immunocompromissione), all’aspetto radiologico (vedi sopra) ed alla prevalenza di sensibilità e resistenze ai farmaci nell’ambiente dove è stata acquisita la polmonite (territorio, ospedale, reparto). Sono riportati in tabella 7.2 e 7.3 alcuni schemi di possibile terapia antibiotica empirica delle polmoniti acquisite in comunità (CAP) ed in alcune forme di polmonite nosocomiale.

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Tabella 7.1 Metodiche diagnostiche per accertare la presenza di Schizomiceti, Miceti e Virus Organismo Campione Colorazione Sierologia Sperimentale Batteri Aerobi+F.Anaer. Esp,BAQ,EC,

ATT,AE Gram No No

Anaerobi ATT, BAQ, AE, Gram No No Legionella sp. Esp., ATT, BP, BA IFAd IFAi, EIA Antigenuria Nocardia sp. Esp., BAL, BP, ATT Gram, Carbolfucsina No No Chlamydia sp. TNF, Esp, BAL Negativa CF (c.psittaci)

µIF(c.pneum.) PCR (c.pneum.)

Mycoplasma sp. Esp, TNF negativa CF, EIA PCR Micobatteri Esp, EI, TTA, BAL,

BAQ ZN, Fluorocromi Carbolfucsina

EIA PCR

Miceti Blastomyces sp. coccidioides sp.

Esp., EI, BAL, BP KOH+PC CF, ID, LA No

Histoplasma sp. Esp., EI, BAL, BP GMS CF, ID Antigene, urine, siero

P.carinii

EI, BAL Blu Toluidina, Giemsa, GMS, IFAd

No no?

Aspergillus sp. BP EE, GMS ID Antigene sierico Cryptocossus sp. Esp, Siero, BAL EE, GMS, India No Antigene sierico o

BAL Zygomiceti Esp, BP EE, GMS No No Virus Influenza LN, ANF,BAL IFAd CF,EIA,LA, IFA PCR Parainfluenza 1-4

LN, ANF,BAL no CF,EIA,LA, IFA PCR

RSV LN, ANF,BAL IFAd CF,EIA,LA, IFA PCR Adenovirus LN, ANF,BAL IFAd CF,EIA PCR Enterovirus LN, ANF,BAL IFA, LA CF,EIA PCR CMV LN, ANF,BAL Giemsa IFAd, IFAi,EIA, PCR Hantavirus

LN, ANF,BAL no EIA PCR

Esp=espettorato BAQ=broncoaspirato quantitativo EC=emocoltura ATT=aspirato transtracheale AE=aspirato empiema BP= biopsia polmonare IFA= immunofluorescenza EIA=immunoenzimatico BAL=lavaggio broncoalveolare TNF=tampone nasofaringeo CF=fissazione complemento µIF=microimmunofluorescenza EI=espettorato indotto PC=contrasto di fase ID= immunodiffusione LA=agglutinazione latex GMS=Gomori Metenamina Arg. ZN=Ziehl-Neelsen LN=lavaggio nasale ANF=aspirato naso-faringeo EE=ematossilina-eosina

Tabella 7.2. Terapia iniziale delle polmoniti acquisite in comunità (CAP, community acquired pneumonia)

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7

Tipo di paziente

A Sospetta Polmonite Batterica

B Sospetta Forma Atipica (Clamidia, Micoplasma, Legionella)

Ambulatoriale (<65aa, non comorbidità)

1°scelta: Amoxicillina/clavulanato 2° scelta: Cefalosporine orali di 2° o 3° generazione 3° scelta: fluorochinoloni di 3° generazione

Uno di 1° o 2° scelta colonna A + Macrolide (claritromicina, azitromicina)

Ospedalizzato (in Medicina o Pneumologia o Malattie Infettive)

1° scelta: penicillina protetta (amoxiclav; piperacillina/tazobactam; ampicillina/sulbactam) 2° scelta: Cefalosporina di 2° o 3° generazione (non anti- pseudomonas) e.v. 3° scelta: Fluorochinolone 2-3° generazione e.v.

Uno di 1° o 2° scelta colonna A + Macrolide (claritromicina, azitromicina)

Ospedalizzato (in Terapia Intensiva)

Cefalosporina di 3° o 4° generazione, o Carbapeneme o Piperacillina/tazobactam + Fluorochinolone ± Aminoglicoside o Glicopeptide

Tabella 7.3. Alcuni schemi esemplificativi di terapia ragionata nelle possibili polmoniti battericche nosocomiale Tipo di paziente/polmonite

Sospetta Polmonite Batterica Note:

Polmonite “ab ingestis” Amoxicillina/clavulanico + metronidazolo Cefalosp. 2° gen. + metronidazolo. Cefalosp 3° gen. + metronidazolo Carbapeneme

Sospetta infezione stafilococcica (S.aureus)

Cefalotina o cefamandolo o amoxicillina/clavulanico. Cotrimossazolo + Glicopeptide o Glicopeptide o Rifampicina+fluorochinolone

Sempre maggiori resistenze a Cefalosp. 1° e 2° generazione anche in comunità. In caso di S.epidermidis (nosocomiale) è necessario un antibiogramma, evitare Cefalosp. e Pen protette

Deficit immunologici e/o manovre strumentali

Cefalosporina di 3° gen.± aminoglicoside, Carbapeneme, Piperacillina o Mezlocillina ± Aminoglicoside

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8. TUBERCOLOSI (TBC) La tubercolosi (TBC), nota fin dall’antichità, è sempre stata una causa maggiore di morbilità e di mortalità. La sua importanza e la sua diffusione sono testimoniate dallo sviluppo di una specifica branca della pneumologia (tisiologia) e dall’intenso sforzo sanitario durante tutto il 1800 e la prima meta’ del 1900 (sanatori, cliniche tisiologiche). Le caratteristiche del micobatterio e le risposte dell’organismo, rendono la TBC una malattia peculiare tra tutte quelle infettive con una estrema varietà di quadri clinici, anatomopatologici e radiologici. La maggior parte delle conoscenze sulla TBC derivano dalla Scuola Italiana (Cardarelli, Monaldi, Forlanini), le cui definizioni cliniche restano per la maggior parte valide a tutt’oggi. Ancora attualmente si definisce il processo tubercolare come specifico, per differenziarlo dalle altre forme infettive. Nonostante i progressi dell’immunologia, la TBC sfugge ad ogni tentativo di inquadramento patogenetico organico: la sua classificazione e la sua nosografia rimangono essenzialmente cliniche e descrittive. Dopo la scoperta dell’agente etiologico - bacillo di Kock (bK) - (1882) e dei raggi X (1895), la piu’ recente svolta clinica risale agli anni ‘40 e ‘50 con la scoperta dei farmaci antitubercolari, che ancora oggi sono in uso. 8.1 EPIDEMIOLOGIA La prevalenza dell'infezione a livello mondiale è di circa 1/3 della popolazione (1,7 miliardi) e variabile per aree geografiche, massima nel sud-est asiatico e nell'Africa sub-sahariana. All'eta’ di 14 anni l'indice tubercolinico (positivita’ all'intradermoreazione tubercolinica) che esprime l'avvenuto contatto con il bK, cioè dell'infezione, è passato in Italia dal 10-12% degli anni '70 al 3-4% del 1990 (10% a 20 anni) fino all’1% (attuale). La morbosita’ in Italia è passata dallo 0,2-0,3% del 1950 al 0,05% degli anni '70, ed allo 0.004 % nel 1990. La mortalita’ in Italia è passata da circa lo 0,2% all'inizio del secolo allo 0,005 % degli anni '70; nel mondo si stima attualmente di circa 3 milioni anno (nel 1990 i pazienti HIV/bK positivi nel mondo erano circa 3 milioni, dei quali circa l'80% in Africa e solo il 6% in Europa e nei paesi industrializzati). La TBC è classicamente una malattia dei ceti meno abbienti e di coloro che vivono in condizioni igieniche e di nutrizione scadenti. Infatti la denutrizione e le concomitanti infezioni compromettono la risposta immunitaria dell’organismo e facilitano lo sviluppo di malattia. Questo spiega sia la distribuzione geografica, sia il fatto che negli ultimi anni ci sia stata una ripresa della malattia in Italia, correlata all’immigrazione. 8.2 EZIOLOGIA Il Mycobacterium tuberculosis (Famiglia Mycobacteriacee) fu individuato da Koch come repsonsabile della malattia nel 1800 e da allora è comunemente definito bacillo di Koch (bK). I patogeni per l'uomo sono rappresentati dalle varieta’ hominis, bovis e africanum che sono definiti tipici (M. tuberculosis complex), per le loro caratteristiche di crescita. Il bK è un bacillo (2-5 x 0,3µ), aerobio a 37° C, ed a crescita molto lenta (scissione semplice in 24 h), resistente al calore ma non alla luce solare. La sua struttura lo rende acido-alcool resistente: alla colorazione di Ziehl-Nielsen (fucsina fenicata, decolorazione con HCl o H2SO4, controcolorazione con blu di metilene) appare pertanto di colore rosso su sfondo azzurro. I costituenti principali e tipici del bK sono: - esoproteine (tubercoline), responsabili dell'ipersensibilita’ (PPD) - lipidi (circa il 30%): cere con acidi micolici, responsabili dell'acido-resistenza - fosfatidi - acidi grassi ramificati (fattore”cordale” ), responsabili della virulenza Ha metabolismo aerobio ed in specifici terreni forma colonie a crescita lenta, irregolari, grigiastre e rugose, cosiddette colonie eugoniche o tipiche. I Micobatteri atipici: sono quei micobatteri patogeni solo in particolari condizioni di immunodepressione, che formano in coltura colonie atipiche (a rapida crescita, insensibili o sensibili alla luce, colorate, lisce, ecc.). Tra questi ricordiamo il gruppo detto Mycobacterium Avium Intracellularis Complex, il M. Kansasi, Scrofulaceum ecc.). Il BCG (Bacillo di Calmette-Guerin) è un particolare ceppo patogeno a virulenza ridotta.

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Classificazione di Runyon dei micobatteri patogeni Sviluppo Produz. Pigmento Varieta’/specie TIPICI tuberculosis complex Lento Assente hominis, bovis, africanum ATIPICI (Avium-intracell. comp)

Gruppo I (Fotocromogeni) Lento Alla luce Kansasii, asiaticum, simiae Gruppo II (Scotocromogeni) Lento Al buio Gordonae, scrofulaceum Gruppo III (Non cromogeni) Lento Assente Avium, terrae, ulcerans Gruppo IV (A rapida crescita) Rapido Assente Fortuitum, chelonae 8.3 PATOGENESI Le vie di infezione da bK sono: aerogena (di gran lunga la piu’ frequente); enterica (più rara e abbastanza tipica del Myc. Bovis); genitale o cutanea (rarissime). Il quadro clinico ed anatomopatologico sono la risultante di un equilibrio tra bK ed ospite che si puo’ esprimere come: bK Virulenza e carica batterica Malattia = -------- = ------------------------------------------- ospite fattori genetici/acquisiti di resistenza Per resistenza individuale anti-tubercolare si intende la capacitaà di limitare la moltiplicazione del bK, nonchè di eliminarlo dalle sedi sia intra- che extra-cellulari, in rapporto a fattori acquisiti geneticamente o naturalmente. Fattori individuali di rischio sono: razza (?), terapie immunosoppressive, malattie concomitanti (silicosi, diabete, ecc), malnutrizione, ecc. La risposta immunitaria al bK è rappresentata da una classica reazione cellulare: la fagocitosi macrofagica del bK, l’elaborazione delle componenti antigeniche e loro presentazione ai linfociti T, l'attivazione linfocitaria T ed il succesivo "arming" macrofagico, rappresentano i cardini fondamentali nell'evoluzione dell'infezione verso l'eventuale malattia o guarigione; la reazione anticorpale sembra avere invece scarsa importanza. L'evoluzione dell'infezione è pertanto variabile in ogni individuo, ed anche in diversi momenti nello stesso individuo, in rapporto al bK (carica e virulenza) ed in rapporto alla resistenza dell'organismo infettato; ne conseguono risposte immunologiche diverse con quadri anatomo-patologici e clinici estremamente variabili. • Ad elevata resistenza individuale genetica (fagocitosi macrofagica o attività linfocitaria NK costituzionalmente molto efficienti) e ridotta carica e virulenza del bK, consegue di solito la distruzione immediata del bK e quindi la guarigione. • Nel caso di reazione immunologica abnorme (o d'ipersensibilità) in risposta a carica antigenica ridotta, si puo’ assistere alla formazione del tubercolo, espressione di relativa resistenza organica. Tale elemento istopatologico è caratterizzato da scarsa, o talvolta assente, necrosi caseosa centrale con macrofagi, cellule epitelioidi e giganti, circondate da un vallo periferico linfocitario, connettivo e fibroblasti. • Se la reazione immunologica (o d'ipersensibilità) avviene in risposta ad una elevata carica antigenica si puo’ assistere a un maggiore processo di caseificazione (necrosi caseosa); il processo di caseificazione è un ulteriore tentativo dell'organismo di limitare la moltiplicazione del bK in quanto il "caseum", scarsamente ossigenato, rappresenta un ambiente non idoneo alla moltiplicazione dello stesso bK. I focolai caseosi possono andare incontro a incapsulamento fibrotico e/o calcificazione con possibilita’ di "murare" all'interno del focolaio, o all’interno degli stessi macrofagi, dei bK quiescenti, come può avvenire in esito a un complesso primario. • Infine, nel caso di una scarsa reazione immunologica ad un’elevata carica/virulenza batterica può svilupparsi una tubercolosi essudativa o nodulare. In tal caso la delimitazione del processo infettivo è scarsa/assente e sono imponenti i fenomeni essudativi circostanti con infiltrazione neutrofila. I lipidi e le proteine del "caseum" vengono rapidamente idrolizzati con svuotamento dello stesso nelle vie bronchiali, cui può conseguire disseminazione per via broncogena e possibile broncopolmonite tubercolare; possono altresì formarsi ampie cavità (tisi) nelle quali la moltiplicazione del bK avviene con estrema facilità. Nei pazienti con immunodeficienza acquisita da HIV, con risposta T linfocitaria scarsa/assente, i quadri istopatologici e clinico-radiologici si presentano generalmente senza queste caratteristiche. La normale reazione immunologica dell’organismo origina il granuloma tubercolare o tubercolo, che ha come caratteristica distintiva la necrosi caseosa. Si parla di miliare in caso di disseminazione a largo raggio di tubercoli (<1mm) caseosi, che sono quindi espressione di un fallimento del sistema immunitario ad arginare il bK. La caverna (polmonare) o escavazione o tisi è il risultato della distruzione del parenchima polmonare ad opera dell’azione combinata del bK e della risposta immune. Se prevalgono i fenomeni d’infiammazione acuta, come risposta al bK si ha l’aspetto essudativo. Se prevale la reazione di tipo ritardato (cellulare) si ha la formazione del granuloma caseoso (aspetto produttivo).

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8.4 CLINICA DELLA TBC La TBC viene classicamente suddivisa in: • primaria: quadri clinici, radiologici ed anatomopatologici conseguenti al primo contatto del bK con l’ospite; • post-primaria: quadri clinici, radiologici ed anatomopatologici conseguenti alla reinfezione (esogena) o alla

riattivazione (endogena) del bK in un ospite che abbia gia’ avuto un primo contatto. Le manifestazioni cliniche della TBC polmonare sono abbastanza monomorfe in confronto alla varietà di quadri radiologici ed anatomopatologici: astenia, calo ponderale, febbricola o febbre, tosse, talvolta emottisi od emoftoe. La VES è solo modicamente elevata. Trattandosi generalmente di malattia a lento decorso, vi è il tempo perchè si instauri una anemia normocromica (o ipocromica) normocitica ed una immunodeficienza secondaria. 8.4.1 TBC PRIMARIA. Nella maggior parte dei casi decorre in forma asintomatica (silente) o paucisintomatica (lieve astenia, febbricola e tosse). Piu’ raramente puo’ presentarsi con manifestazioni cliniche imponenti (vedi oltre). Nell’ospite immunocompetente la prima infezione evoca una risposta immunitaria efficace che riesce a eliminare definitivamente o a bloccare il bK. In assenza di sintomi, l’unica manifestazione è la positivizzazione della reazione tubercolinica. La prima infezione da origine al cosiddetto complesso primario (di Ghon) caratterizzato da: 1. focolaio parenchimale di alveolite aspecifica, essudazione, necrosi caseosa e sclerocalficazione 2. linfangite consensuale 3. adenopatia ilare con essudazione, necrosi caseosa e sclerocalcificazione. Nella maggior parte dei casi il complesso primario evolve verso la guarigione spontanea senza esiti, oppure con esiti calcifici entro i quali possono peraltro sopravvivere micobatteri murati intracaseosi e/o intramacrofagici. Questi, in caso di episodi di immunodepressione, possono riattivarsi (TBC post-primaria). Raramente, l'infezione primaria può presentare un decorso sfavorevole, per scarsa risposta immunitaria o elevata carica/virulenza del bK, ed evolvere verso la formazione di: - caverne (tisi primaria) - processi broncopolmonitici (broncopolmonite tubercolare primaria) - disseminazione miliare (miliare primaria) 8.4.2 TBC POST PRIMARIA. La tubercolosi polmonare post-primaria può essere secondaria a riattivazione endogena (più frequente) o a reinfezione (esogena). La sintomatologia è variabile in rapporto alla forma evolutiva: astenia, deperimento, febbricola serotina, tosse con espettorazione talora emoftoica. Dal punto di vista classificativo la tbc post-primaria riconosce i seguenti quadri clinico-radiologici: Infiltrato tisiogeno, forma essudativa solitamente localizzata agli apici polmonari, generalmente singola, con facile tendenza all'escavazione (tisi) Broncopolmoniti (e/o lobiti) tbc, sempre espressione di fenomeni essudativi e secondarie a disseminazione broncogena-aspirativa di materiale caseoso Miliari tubercolari, secondarie a diffusione per via linfo-ematogena e pertanto con possibile diffusione a organi extra-polmonari, in cui l'elemento istologico caratteristico è il tubercolo, espressione di un certo grado di risposta immunologica all'agente patogeno. 8.4.3 PLEURITE TUBERCOLARE L'incidenza è variabile nei vari paesi ed in rapporto a diversi fattori (risposta immunologica dell'ospite, HIV, ecc) ed è generalmente secondaria a rottura nel cavo pleurico di un focolaio caseoso sub-pleurico 6-12 settimane dopo l'infezione primaria. Tale evento determina lo sviluppo di una reazione immunologica di tipo ritardato nel cavo pleurico con infiammazione e compromissione del drenaggio linfatico; pertanto, sono coinvolti sia i macrofagi, con produzione di TNF e IL-1, linfociti (anche NK) con produzione di IL-2 e IFNγ. La sintomatologia è aspecifica (febbre, perdita di peso, ecc.) accompagnata dai classici segni semeiologici del versamento pleurico. La toracentesi permette di valutare le caratteristiche chimico-fisiche, la citologia (essudato ricco di linfociti) del liquido pleurico sia la ricerca del bK. La diagnosi di certezza dell'eziologia viene raggiunta solo con la dimostrazione del bK, mediante esami batterioscopici diretti o colturali, sui possibili campioni: liquido pleurico (la positività è ridotta e variabile dal 10 al 35%), biopsie pleuriche multiple (dal 50 all'80%). 8.4.4 TBC EXTRAPOLMONARE La TBC extrapolmonare, quadro di TBC postprimaria, è generalmente secondaria ad una miliare diffusa e, come tale, può essere disseminata a svariati organi e/o apparati. Le sedi che possono essere generalmente interessate da tale processo sono: - sierose (pleurite, meningite, peritonite) - laringe (laringite tubercolare) - urogenitale (pielonefrite, orchi-epididimite)

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- ossa e articolazioni (in particolare osteomielite TBC vertebrale, M.di Pott) 8.5 DIAGNOSTICA La diagnosi di malattia in atto richiede obbligatoriamente la dimostrazione dell’agente patogeno nell’organismo. Diagnosi batteriologica di malattia. Deve essere effettuata evidenziando l'agente patogeno su campioni biologici: escreato, lavaggio bronchiale, broncoaspirato, liquido pleurico, succo gastrico, urine, feci, prelievi istologici, ecc. Le metodiche utilizzabili sono le seguenti. - Esame batterioscopico diretto. Si effettua colorando il campione con il metodo di Ziehl-Nielsen e sfrutta l'acido-alcool resistenza del bK (sono necessari almeno 5-104 batteri/ml per poterli individuare all'esame microscopico diretto). La diagnosi differenziale si pone con le nocardie che hanno caratteristiche batterioscopiche simili. - Esame colturale. Si effettua inseminando il campione su opportuni terreni di crescita: individua una carica batterica notevolmente inferiore (10-100 batteri/ml) e permette sia la tipizzazione che l'antibiogramma. Tuttavia, richiede tempi molto lunghi (oltre 20-30 giorni) a causa del lento sviluppo del bK. - Recenti metodiche. Includono l’amplificazione di materiale genetico (polymerase chain reaction) e la sua individuazione con sonde di DNA. Tuttavia, queste metodiche sembrano presentare problemi di sensibilità e specificità; inoltre, nessuno dei test sierologici proposti per la ricerca di anticorpi specifici è in grado di consentire una diagnosi affidabile. Radiologia. Nonostante l’avvento della TAC e delle altre tecniche di diagnostica per immagini, la radiologia convenzionale rimane il principale strumento di diagnosi ed anche di classificazione delle varie forme cliniche di TBC. Intradermoreazione tubercolinica (vedi cap 6, diagnostica); si ribadisce che il riscontro di una positività dell’intradermoreazione tubercolinica non è espressione di malattia in atto, ma solo di pregresso avvenuto contatto (infezione) con il bK. 8.6 CENNI DI TERAPIA ANTITUBERCOLARE Nel trattamento della tubercolosi vanno considerate le problematiche inerenti sia le caratteristiche del bK, che i farmaci utilizzati ed il paziente. Riguardo il bK ricordiamo che è dotato di una crescita lenta e quindi non è necessaria una concentrazione ematica costante di farmaco (questo giustifica la somministrazione giornaliera in dose unica o pulse dose). Inoltre, il bK può presentare resistenza naturale o acquisita ad un farmaco; ciò richiede l’uso contemporaneo di più farmaci antitubercolari per evitare la selezione di ceppi resistenti. Infine, in fase di malattia attiva il bK può essere contemporaneamente presente in diverse sedi e presentare diversi gradi di attività (intracavitario=moltiplicazione intensa; intracaseoso=moltiplicazione intermittente; intramacrofagico=scarsa moltiplicazione). I farmaci possono avere attivita’ battericida o batteriostatica ed hanno assorbimento ed eliminazione variabili. Per ciò che concerne il paziente, è essenziale la sua buona aderenza (compliance) al trattamento e le eventuali patologie concomitanti. I farmaci impiegati nel trattamento della TBC sono: la rifampicina (RIF), l'idrazide dell'acido isonicotinico o isoniazide (INH), l'etambutolo (ETB), la pirazinamide (PZA) e la streptomicina (SM). La terapia farmacologica antitubercolare d’attacco prevede l'impiego contemporaneo di almeno 2 farmaci battericidi al fine di superare, se possibile, la resistenza naturale e l'insorgenza di resistenza acquisita; il trattamento deve essere condotto per lungo tempo anche dopo il raggiungimento della negativizzazione degli esami batteriologici e la stabilizzazione del quadro clinico. Il più usato tra gli schemi terapeutici prevede un trattamento per 2 mesi con almeno tre o quattro farmaci (es.: INH + RIF + PZA + ETB o SM), seguito da un ciclo di 4 mesi con RIF + INH. Tale strategia permette anche di ottenere una rapida sterilizzazione, con riduzione della contagiosità. Chemioterapia preventiva e chemioprofilassi anti-tbc. In alcuni soggetti ad alto rischio di contrarre o sviluppare la malattia tubercolare (infetti da HIV, conviventi con malati affetti da tbc, personale sanitario, ecc.) è necessario un trattamento farmacologico al fine di prevenire la malattia. Il farmaco di preferenza è l'INH che si somministra almeno per 6 mesi sia per la prevenzione che per la profilassi. 8.7 PROBLEMI ATTUALI DELLA MALATTIA TUBERCOLARE Il problema che investe tutti i paesi, sia in via di sviluppo che industrializzati, è la comparsa d’infezioni tubercolari causate da ceppi di bK resistenti a più farmaci antitubercolari. Un paziente può sviluppare malattia tubercolare causata da ceppi di bK resistenti ad un farmaco anti-tbc sia se il paziente non è mai stato sottoposto a trattamento anti-tubercolare (cosiddetta: resistenza primaria) sia nel caso di precedenti tratatmenti (cosidetta: resistenza acquisita). Mentre in Italia, agli inizi degli anni ’60, la prcentuale di bk resistenti ad un solo farmaco anti-tubercolare era di circa il 12-14% dei casi, attualmente la farmaco-resistenza appare in crescita sia per un solo che per più farmaci. La nomenclatura internazionale in atto definisce come DR-TB (Drug Resistant TB = tbc farmaco-resistente) quelle forme causate da un ceppo bK resistente ad 1 solo farmaco anti-tubercolare tra quelli di 1° scelta (INH, RIF, ETB, SM) e MR-TB (Multi Drug) quelle forme causate da un ceppo contemporaneamente resistente a INH e RIF. Inoltre, si fa presente come siano comparse, e siano in aumento, anche forme tubercolari definite XDR-TB (Extensively

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Drug Resistant) causate da ceppi di bK resistenti, contemporaneamente, a INH+RIF+due e/o tre farmaci cosiddetti di 2° scelta (aminoglucosidi. chinolonici, cicloserina, paraminosalicilico, ecc). Tale aspetto è particolarmente evidente in molti paesi e, in particolare, nell’est Europa (Russia). I più recenti (2005-2006) dati epidemiologici dimostrerebbero che nei paesi industrializzati la percentuale di casi XDR/MDR è del 6% (14% nell’Est Europa ex Russia ?) mentre XDR/nuovi casi totali di TBC è circa pari al 2% (5% ex Russia ?). Considerata l’estrema facilità degli spostamenti internazionali appare evidente il grosso problema di politica e sicurezza sanitaria; è necessario diagnosticare, isolare e trattare idoneamente queste forme di tbc farmaco-resistente nel più breve tempo possibile al fine di ridurre i contagi di forme di tubercolosi di difficile approccio terapeutico. Nomenclatura clinico-radiologica delle forme TBC TBC PRIMARIA TBC POSTPRIMARIA Complesso primario (tubercolo, linfangite, adenopatie) Complicanze: adenopatia gigante, focolai multipli apicali (di Simon)

Focolaio isolato (reinfetto di Paul-Aschoff) Infiltrato fugace a risoluzione Lobite tubercolare Infiltrato a cavitazione precoce (Assmann-Redeker) Miliare acuta generalizzata ESITI Tubercoloma Fibrosclerosi Bronchiectasie Fibrotorace

Broncopolmonite caseosa primaria Caverna (tisi) primaria Miliare acuta diffusa primaria Scissurite o pleurite Broncopolmonite tubercolare

Lobite tubercolare con caverne

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9. BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA (BPCO): BRONCHITE CRONICA ED ENFISEMA 9.1 DEFINIZIONI Premesso che non esiste a tutt'oggi nessuna definizione di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO, COPD) universalmente accettata, la definizione più attuale è la seguente: "Sindrome caratterizzata dallo sviluppo di progressiva riduzione del flusso aereo espiratorio, non completamente reversibile, associata ad una risposta infiammatoria broncopolmonare, dovuta all’inalazione di particelle o gas tossici” – GOLD (Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease 2003) (http://goldcopd.com/) La bronchite cronica e l'enfisema rappresentano, o possono rappresentare in maniera più o meno prevalente uno sull’altro, due aspetti fondamentali caratterizzanti tale condizione clinica; tuttavia, occorre precisare che la definizione di bronchite cronica è essenzialmente clinica mentre quella d’enfisema è fondamentalmente anatomo-patologica. Infatti, si definisce come bronchite cronica quella condizione clinica caratterizzata da “tosse con espettorazione per almeno 3 mesi l'anno e per 2 anni consecutivi, non attribuibile ad altra patologia polmonare o cardiaca. Con il termine d’enfisema si definisce “l'aumento permanente del contenuto aereo a valle dei bronchioli terminali con distruzione dei setti interalveolari, senza fibrosi”. In linea di massima si può affermare che nella BPCO coesistono in grado variabile le 3 componenti (ipersecrezione, ostruzione, enfisema) e che i quadro clinico di ciascun paziente è dato dalla variabile associazione delle 3 componenti. Anche se i pazienti con asma bronchiale persistente di grado moderato-grave possono presentare nel corso degli anni un’ostruzione cronica irreversibile del flusso aereo espiratorio, non vi è accordo se questi casi possano essere classificati come BPCO; così come devono essere escluse da questa definizione tutte le altre sindromi con diffusa ostruzione, non solo extratoracica ma anche intratoracica cronica al flusso aereo espiratorio, causate da altre patologie ben definite, quali ad esempio la fibrosi cistica e la sindrome bronchiectasica. L'unica eccezione è rappresentata dal deficit ereditario di α1-antitripsina (AAT), forse perchè gli effetti negativi sui polmoni sono significativamente aggravati dal fumo di tabacco ed in questi pazienti la BPCO è quasi sempre associata a enfisema polmonare. La BPCO ha un’incidenza di circa il 10% nei soggetti con età maggiore di 60 anni ed è la quinta causa di mortalità nel mondo. Oltre all’elevata prevalenza, la BPCO è una malattia cronica ad evoluzione decennale (possono passare fino a 20 anni dalla diagnosi al decesso), invalidante ed ingravescente nonostante la migliore terapia. Gli elevati costi sociali sono dovuti alla spesa farmaceutica, all’assistenza domiciliare, all’O2 terapia a lungo termine, ai ricoveri ospedalieri ed in rianimazione. 9.2 EZIOLOGIA Dal punto di vista eziopatogenetico non esiste a tutt'oggi un'unica e semplice teoria che possa spiegare l'insorgenza e l'evoluzione della malattia, tuttavia sono chiaramente dimostrati fattori sia ambientali che legati all'ospite in grado di svolgere un ruolo etiologico importante. • Fattori ambientali. Il fumo di sigaretta è certamente il fattore di rischio più importante di questa malattia. Nella pratica clinica, oltre il 90% dei BPCO sono o sono stati fumatori, mentre non è vero il contrario: solo circa il 50% dei forti fumatori sviluppa BPCO. Studi condotti su biopsie bronchiali e/o polmonari di fumatori con BPCO hanno evidenziato la presenza di un processo infiammatorio caratterizzato da infiltrazione T-linfocitaria (CD8+), sia nella mucosa bronchiale delle vie aeree centrali e periferiche sia nei setti interalveolari, unitamente a distruzione degli stessi setti e delle fibre elastiche polmonari (enfisema); anche

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la muscolatura delle arterie polmonari presenta infiltrazione linfocitaria. E' stata evidenziata una correlazione tra grado di infiammazione/sviluppo d'enfisema e ostruzione al flusso aereo espiratorio (gravità della BPCO). Tra gli altri fattori ambientali che possono svolgere un ruolo etiologico importante ricordiamo l'esposizione ad inalanti professionali (NO2 e SO2, silice, ecc) e urbani (SO2, O3 e particolati), fumi e gas tossici. Dubbia è l'importanza di altri fattori esogeno-ambientali quali il fumo passivo, il basso stato socio-economico, l'alcoolismo, ecc. • Fattori legati all'ospite. Un chiaro ruolo etiologico importante è rappresentato dal deficit di α1-antitripsina (AAT), nonchè pregresse infezioni respiratorie (specialmente infezioni polmonari tubercolari), mentre risulta ancora discusso l'eventuale ruolo etiologico di altri fattori quali un basso peso alla nascita, infezioni virali in età infantile o dell'atopia. Tuttavia, è bene ricordare al riguardo che un certo ruolo, sia favorente che di protezione nello sviluppo della BPCO, deve essere svolto da alcuni fattori genetici tutt'ora non ben conosciuti alla luce del fatto che circa il 10-15% dei forti fumatori non sviluppa BPCO. 9.3 PATOGENESI E FISIOPATOLOGIA (Figura 2)

Come i fattori, ambientali e/o genetici, intervengano nella patogenesi della malattia è ancora oggetto di dibattito; esistono al proposito due teorie, la teoria inglese e la olandese. Secondo la teoria inglese il fumo e gli agenti inquinanti ambientali condurrebbero allo sviluppo della malattia attraverso le seguenti fasi: 1°) bronchite cronica semplice (con ipersecrezione mucosa e espettorazione), seguita da 2°) bronchite cronica mucopurulenta (ristagno mucoso intrabronchiale con infezioni ricorrenti) a cui conseguirebbe la 3°) bronchite cronica ostruttiva (espressione del danno broncoalveolare persistente ed evolutivo a seguito delle infezioni ricorrenti). Secondo la teoria olandese in alcuni individui esisterebbe una predisposizione genetica caratterizzata da atopia ed iperreattività bronchiale; su tale substrato genetico nel corso della vita interverrebbero fattori esogeni ambientali, quali allergeni o inquinanti ambientali (fumo, fattori occupazionali, infezioni respiratorie), che favorirebbero lo sviluppo o dell'asma o della BPCO. Indipendentemente dalla validità o meno di tali teorie, è fondamentale nello sviluppo della BPCO il concetto di uno sbilanciamento del sistema proteasi/antiproteasi (elastina/elastasi) nonchè ossidanti/antiossidanti: da una parte i fattori etiologici (principalmente fumo di sigaretta) determinerebbero l'insorgenza di un processo infiammatorio con un eccesso di carico proteasico-ossidante, dall'altra parte i sistemi di difesa dell'organismo non sarebbero più in grado di fronteggiare tale carico; ne conseguirebbe, oltre che al danno infiammatorio della parete bronchiale, una distruzione delle fibre elastiche polmonari e dei setti interalveolari (enfisema).

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In generale, si passa comunque dalla semplice ipersecrezione mucosa, via via

all’ostruzione irreversibile delle piccole vie con ostacolo al flusso espiratorio, fino alla distruzione dei setti e all’enfisema. Nella bronchite cronica semplice il meccanismo fisiopatologico è l’aumentata produzione di muco associata a riduzione della clearance ciliare (da danno epiteliale), il che favorisce ovviamente le sovrinfezioni e l’aggravamento del danno. Quando interviene l’ostruzione si squilibra ovviamente il rapporto ventilazione/perfusione e si determina innanzitutto ipossiemia, dapprima lieve e poi via via sempre piu’ marcata. L’ipossiemia è uno dei fattori principali della dispnea (dapprima da sforzo e poi a riposo). L’ipossiemia provoca come risposta compensatoria e la riduzione di calibro delle arterie polmonari con conseguente ipertensione polmonare e cuore polmonare cronico. L’ipossiemia inoltre, tramite stimolo eritropoietinico induce poliglobulia, la quale aggrava la cianosi e aumenta la viscosità ematica, peggiorando il quadro. E’ da ricordare tuttavia che solo il circa 10% dei pazienti con BPCO sviluppa una poliglobulia manifesta. Col procedere della malattia, si ha distruzione dei setti che induce da una parte riduzione della superficie di scambio (che aggrava l’ipossiemia) e dall’altra la riduzione del ritorno elastico del polmone che rimane iperinflato (aumento del volume residuo e dello spazio morto). Ciò comporta un’aumento della capacità funzionale residua ed il fatto che il soggetto debba ventilare a volumi alti: questo è l’altro importante determinante della dispnea. L’iperinflazione peggiora inoltre l’ostruzione dei bronchioli piu’ piccoli. La distruzione parenchimale coinvolge anche le arterie polmonari, che vengono inoltre compresse dagli alveoli iperinflati. La perdita di superficie respiratoria comporta che neanche la CO2 possa più essere eliminata efficacemente, ed infatti col progredire della malattia l’insufficienza respiratoria diventa ipercapnica. L’ipercapnia comporta acidosi, che viene solitamente compensata dal rene trattenendo bicarbonato. E’ chiaro che un paziente in acidosi respiratoria

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compensata ha un equilibrio molto labile e bastano minime ulteriori variazioni della CO2 (infezioni, scompenso cardiaco, embolia polmonare) per precipitare il quadro verso l’insufficienza respiratoria acuta, il coma ipercapnico e l’arresto respiratorio.

Quindi la BPCO si articola su un continuum di alterazioni fisiopatologiche che subentrano negli anni, via via che la malattia peggiora e che costituiscono un circolo vizioso che conduce a insufficienza respiratoria, dapprima ipossica e poi ipossica-ipercapnica, fino all’acidosi respiratoria e al cuore polmonare cronico. In fase di stabilità il paziente con BPCO ha una insufficienza respiratoria lieve o moderata, ma è predisposto a sovrinfezioni intercorrenti (batteriche o virali), le quali scompensano rapidamente la situazione e precipitano l’insufficienza respiratoria che diventa manifesta e spesso grave. Le cause piu’ frequenti di riesacerbazione sono i virus influenzali, lo streptococco, l’emofilo, la pseudomonas aeruginosa. 9.4 ANATOMIA PATOLOGICA Le alterazioni anatomo-patologiche presenti nei polmoni di soggetti con BPCO interessano le vie aeree centrali, periferiche e il parenchima polmonare; nelle fasi avanzate della malattia possono essere presenti anche alterazioni del circolo polmonare (ipertensione polmonare) e del cuore destro. • Vie aeree centrali. E' presente infiammazione della mucosa con infiltrazione T-linfocitaria (CD8+ attivati) e conseguente iperproduzione di muco secondaria all'infiammazione delle ghiandole mucose; in passato tale iperproduzione di muco era considerata secondaria all'ipertrofia delle ghiandole mucose (cosiddetto indice di Reid aumentato = rapporto spessore ghiandola/parete). Nelle fasi più avanzate di malattia si assiste ad una marcata neutrofilia intrabronchiale, espressione di gravità di malattia, la cui origine risulta ancora non ben chiara (azione chemiotattica svolta dall'IL-8 rilasciata dall'epitelio bronchiale sotto stimoli infiammatori?, stimoli infettivi?, ecc.). • Vie aeree periferiche. E' presente infiammazione anche a livello dei piccoli bronchi e bronchioli (diametro 2 mm circa) con iperproduzione di muco, ipertrofia del muscolo liscio bronchiale, ispessimento della parete bronchiale, fibrosi, deformità e restringimento bronchiolare, distruzione degli attacchi alveolari peribronchiolari; quest'ultima correla con il grado di infiammazione nelle vie aeree e contribuisce, unitamente al restringimento bronchiolare, alla limitazione al flusso espiratorio. Inoltre, è presente metaplasia della mucosa bronchiale. • Parenchima polmonare. Il parenchima polmonare è sede di un processo infiammatorio con distruzione della struttura alveolare dei setti e allargamento degli spazi aerei intorno ai bronchioli terminali (enfisema). In passato sono state descritte due forme principali di enfisema, distinte sia sul piano clinico-funzionale che sulla base della regione dell'acino interessata dal processo di distruzione: l'enfisema centrolobulare (Tipo B) e l'enfisema panlobulare (Tipo A). Nel primo le zone di distruzione sono localizzate principalmente nella parte centrale dell'acino, intorno ai bronchioli terminali, circondate da aeree di parenchima polmonare; tale tipo di enfisema sarebbe piu’ comune nei fumatori ed è quello che (tramite aumento dello spazio morto) produce, il maggiore squilibro ventilazione/perfusione. L'enfisema panlobulare è invece caratterizzato da una distruzione omogenea del parenchima polmonare coinvolgendo uniformemente tutto l'acino, ed è spesso associato a deficit di AAT. 9.5 CLINICA I sintomi più frequenti sono: - la tosse cronica, specie al mattino al risveglio e spesso produttiva, con espettorazione a carattere mucopurulento nel corso delle esacerbazioni

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- la dispnea, ad insorgenza graduale e progressiva, all’inizio solo sotto sforzo e che poi nelle fasi avanzate di malattia limita notevolmente le normali attività quotidiane, fino alla dispnea a riposo. Con la progressione della malattia e dell’ ipossiemia, compare la cianosi e nelle fasi piu’ avanzate cuore polmonare, edemi declivi (scompenso destro) e ippocratismo digitale. All'esame obiettivo può evidenziarsi un'espirazione prolungata, eventualmente a labbra socchiuse (“pursed lips breathing”) e con possibile ricorso ai muscoli accessori della respirazione, nonchè presenza di respiro sibilante o "ronchi russanti". Sono presenti anche rantoli a medie/grosse bolle, modificabili sotto i colpi di tosse, espressione dell'ipersecrezione e dell'espettorato presente nelle vie respiratorie. Data la varieta’ di rumori che si possono ascoltare, il torace del paziente con BPCO è spesso definito come “juke-box chest”. Con il progredire dell'ostruzione bronchiale e l’insorgenza dell’enfisema diviene evidente l'iperinsufflazione, aumenta il diametro antero-posteriore del torace (torace a botte), si riduce la mobilita’ e l’espansibilita’, cala l'intensità dei suoni polmonari e dei toni cardiaci. Spesso sono presenti rientramenti paradossi degli spazi intercostali inferiori. Come già accennato, la BPCO è una miscela variabile da soggetto a soggetto delle tre componenti: ostruzione bronchiale, ipersecrezione ed enfisema. A seconda di quale predomini, si potranno avere prevalentemente sibili o rumori umidi o riduzione globale dei suoni polmonari. Spesso nelle fasi avanzate della malattia e nel corso dell’insufficienza respiratoria si osserva, oltre all’ingravescente ipossiemia, una marcata ipercapnia che comporta la comparsa di acidosi respiratoria. Si definisce riesacerbazione/riacutizzazione, il peggioramento della dispnea e/o l’aumento della quantità e purulenza dell’escreato. Oltre all'accentuazione dei sintomi citati sopra, può comparire febbre. Nel caso di pazienti con acidosi respiratoria compensata, l’esacerbazione conduce spesso all’aggravarsi dell’insufficienza respiratoria (acuta su cronica) e all’arresto respiratorio da carbonarcosi. In passato si è utilizzata una terminologia particolarmente descrittiva per differenziare dal punto di vista clinico/obiettivo i pazienti affetti rispettivamente da enfisema centrolobulare (o di tipo B) da quelli affetti da enfisema panlobulare (o di tipo A). In particolare, nei primi (tipo B) sembravano piu’ frequenti cianosi, cuore polmonare e edemi ma scarsa dispnea a riposo, mentre nei secondi (tipo A) non vi era cianosi, a prezzo di una dispnea evidente; pertanto, all'inizio degli anni '60, sulla base di tale aspetto clinico alcuni specialisti inglesi, coniarono rispettivamente i termini “blue bloater” (gonfio blu) e “pink puffer” (sbuffatore roseo). Tuttavia, nella pratica clinica quotidiana la maggior parte dei pazienti non può essere schematicamente classificata in questi due gruppi e, contrariamente a passate interpretazioni, questi termini descrittivi non sono strettamente correlati a specifici quadri funzionali o anatomo-patologici: pertanto, il loro uso non va incoraggiato. La BPCO è una patologia che evolve nel tempo con livelli crescenti di gravità; può essere classificata in stadi sulla base del grado di ostruzione bronchiale, come riportato nelle nuove linee guida internazionali (GOLD): - Grado 0 (a rischio): tosse con espettorazione, spirometria nella norma - Grado 1 (BPCO lieve): VEMS/CVF <70%; FEV1>80% del predetto - Grado 2 (BPCO moderata): VEMS/CVF <70%; FEV1 tra 79% e il 50 % del predetto. - Grado 3 (BPCO grave): VEMS/CVF <70%; FEV1 tra 50% e il 30% del predetto - Grado 4 (BPCO molto grave): VEMS/CVF <70%; FEV1<30% o FEV1<50% ma

insufficienza respiratoria (PaO2<60mmHg) o cuore polmonare.

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9.6 DIAGNOSTICA La diagnosi di BPCO si fonda anzitutto su un'indagine anamnestica (abitudini di vita e di lavoro, fumo di sigaretta, presenza e comparsa dei sintomi) e clinica accurata. Si procederà successivamente alle indagini strumentali. Al primo posto è la spirometria (pre- e post-broncodilatatore), necessaria per valutare la presenza dell'ostruzione bronchiale (riduzione del rapporto FEV1/CV e del FEV1) e della sua scarsa reversibilità; inoltre, tale indagine consentirà la valutazione dei volumi polmonari (riduzione della CVF, aumento del VR, aumento della CPT), la gravità (stadiazione) della malattia e della sua progressione nel tempo. Potrà essere anche valutata la capacità di diffusione del CO. L' EGA, se non importante nelle fasi lievi di malattia, diventa essenziale nelle fasi più gravi o nel corso delle riacutizzazioni della malattia (valutazione dell'ipossiemia e dell'eventuale ipercapnia). 'RX del torace anche se non è importante per la diagnosi di BPCO è comunque utile per escludere altre eventuali patologie o complicazioni (polmoniti, distrofie bollose, neoplasie). L’ esame batteriologico dell'escreato, consente l'individuazione dei germi frequentemente responsabili degli episodi di riacutizzazione e peggioramento della malattia nonchè, sulla base dell'antibiogramma, il loro corretto trattamento. L’ ECG per valutare l’interessamento cardiaco (segni di cuore polmonare), e l’emocromo (valutazione della eventuale poliglobulia) andrebbero comunque eseguiti. In particolari casi si eseguono: dosaggio AAT, nei casi di enfisema ad inizio giovanile, generalmente di tipo panacinoso, in pazienti senza rischio tabagico o professionale; polisonnografia, nei casi sospetti di sindrome di apnea del sonno; TC ad alta risoluzione, nel sospetto di bronchiectasie o bolle di enfisema associate. Infine, nell'ambito di una diagnostica differenziale, bisogna ricordare come talvolta possa risultare particolarmente difficile differenziare i pazienti affetti da BPCO da quelli anziani con storia di asma ed ostruzione bronchiale persistente. 9.7 CENNI DI TERAPIA La sospensione del fumo è il "trattamento" più efficace. Anche se per definizione la BPCO è caratterizzata da ostruzione al flusso aereo espiratorio scarsamente reversibile, la terapia farmacologica di fondo e basata sull'uso di farmaci broncodilatatori per via inalatoria (anticolinergici, β2-stimolanti a lunga durata d'azione).Tuttora dibattuta è l'utilità dei preparati di teofillina a lento rilascio, che comunque vengono ancora largamente impiegati. A fianco del trattamento farmacologico trovano posto sia i programmi di riabilitazione respiratoria che, nei pazienti con ipossiemia cronica, l'ossigenoterapia a lungo termine (OLT). In casi particolari, quali pazienti permanentemente incapaci di adeguata ventilazione spontanea o nel caso di insufficienza respiratoria acuta, può essere proposta la ventilazione meccanica. In corso di riacutizzazioni, generalmente secondarie a infezioni batteriche o virali delle vie aeree, possono essere impiegati steroidi per via parenterale per un breve (4-5 gg) ciclo di terapia unitamente a un trattamento antibiotico (penicillina protetta, macrolide, chinolonico, cefalosporina); nel caso di riacutizzazioni particolarmente gravi o che non rispondono alla terapia domiciliare deve essere prescritto il ricovero in ospedale. In questi ultimi anni, alcuni risultati positivi si sono ottenuti nel grave enfisema con iperdistensione mediante la riduzione chirurgica del parenchima polmonare; tuttavia i risultati di tale nuovo trattamento sono ancora oggetto di valutazione. 9.8 DEFICIT DI α1-ANTITRIPSINA (DAAT)

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L’ AAT è una globulina sintetizzata dagli epatociti che appartiene alla famiglia delle proteasis inhibitors (Pi) e blocca l’attivita’ dell’elastasi e di altre proteasi. La sua ridotta produzione per difetto genetico (trasmesso in maniera rigorosamente mendeliana) consente la distruzione progressiva, da parte delle proteasi, dell’impalcatura del polmone. Sono presenti 3 fenotipi elettroforetici: PiMM, PiMZe PiZZ; il primo è quello normale, il secondo è l’eterozigote con livelli di AAT pari al 60% circa, mentre l’omozigote PiZZ ha livelli di AAT intorno al 10-15% del normale. Questi ultimi soggetti sviluppano precocemente (intorno ai 40 anni) un enfisema panlobulare e quindi un’insufficienza respiratoria cronica grave. Il fumo di sigaretta aggrava e anticipa il danno anatomico. Pertanto, il rilevo di dispnea ingravescente e di un quadro di enfisema diffuso e imponente in un soggetto giovane, in assenza di altra patologia dovrebbe far sospettare tale deficit, che si conferma con il dosaggio della AAT sierica. La terapia consiste nella sospensione del fumo e nella somministrazione di AAT endovenosa, la quale comunque non risolve la patologia, ma ne ritarda l’evoluzione.

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10. ASMA BRONCHIALE 10.1 GENERALITA’ Secondo la definizione operativa proposta nelle linee guida (dette GINA, Global INitiative for Asthma) dell' O.M.S (www.ginasthma.com) l'asma bronchiale e’ una “Malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, in cui molte cellule giocano un ruolo. Questa infiammazione causa un aumento della responsività bronchiale che provoca episodi ricorrenti di respiro sibilante (wheezing), respiro corto, costrizione toracica e tosse, particolarmente di notte ed al primo mattino. Questi episodi sono solitamente associati ad una ostruzione bronchiale diffusa e variabile, solitamente reversibile sia spontaneamente che dopo trattamento”. La versione italiana delle linee guida GINA (www.ginasma.it) aggiunge anche che l’asma causa un declino progressivo della funzionalità respiratoria e provoca un rimodellamento della parete bronchiale. I caratteri distintivi dell’asma sono comunque: infiammazione cronica delle vie aeree, episodi di broncospasmo reversibile (spontaneamente o con farmaci) ed iperreattività bronchiale. Gli episodi di broncospasmo sono i ben noti attacchi asmatici; se il broncospasmo persiste senza periodi di remissione si ha lo stato di male asmatico. L'ostruzione bronchiale, che è l'evento principale‚ è sostenuta da vari fattori tra loro strettamente connessi: spasmo della muscolatura liscia, ipersecrezione di muco, edema della mucosa e infiammazione. A differenza di quanto si pensava fino a pochi anni fa, attualmente è accettato che l’asmatico va comunque incontro nel lungo periodo ad una perdita progressiva della funzionalità respiratoria, anche se meno importante di quello che si verifica nella BPCO. Ricordiamo che broncostenosi non implica automaticamente asma: l’ostruzione bronchiale si puo’ avere anche in BPCO, infezioni virali, scompenso cardiaco etc. La diagnosi di asma richiede la dimostrazione della reversibilità del broncospasmo, dell’iperreattività e se possibile della natura infiammatoria. Esistono delle “zone grigie”: nelle fasi iniziali della BPCO la broncostruzione può ancora essere reversibile e, viceversa, nell’asma grave il broncospasmo può temporaneamente non esserlo. 10.2 EPIDEMIOLOGIA E CLASSIFICAZIONE

L'asma bronchiale interessa oltre il 5% della popolazione, con punte di prevalenza del 10-15% nei bambini e adolescenti. Dopo almeno due decenni di incremento costante della prevalenza, questa sembra essersi stabilizzata negli ultimi anni. La mortalità rimane comunque attestata su 10-15/100.000. In almeno 2/3 dei casi, l’asma ha eziologia allergica, ossia è sostenuta da una reazione IgE-mediata. Gli allergeni piu’ frequentemente responsabili sono: acari della polvere (dermatofagoidi), pollini (parietaria, graminacee, olivo, betulla, ambrosia), epiteli animali (gatto, cane) e piu’ raramente muffe (aspergillo, alternaria). Esistono anche forme di asma professionale, da sostanze inorganiche (isocianati, formalina, acrilati), ma sono piu’ rare. L’asma professionale può essere sia IgE-mediata che non IgE-mediata Casi particolari sono l’asma da sforzo fisico e da aspirina e salicilati in genere. Nel primo caso si invoca uno squilibrio della termoregolazione dell’aria inalata e nel secondo caso uno squilibrio della produzione di prostaglandine/prostacicline. Altra possibile causa di asma è il reflusso gastroesofageo, nel quale si suppone si abbia inalazione di piccole quantità di materiale acido che scatena il broncospasmo. Tutte le precedenti, che richiedono comunque una certa predisposizione, vengono comunemente e per comodita’ definite asma estrinseco (ad indicare che sono causate da fattori esogeni noti ed individuabili). Le forme di asma per cui non e’ chiaramente individuabile il fattore scatenante (si ipotizza l’infezione virale) vengono definite anche se impropriamente asma intrinseco. In alcuni casi l’asma non è una malattia a se stante, ma la manifestazione di un altra patologia, come avviene ad esempio nell’aspergillosi, nella S.di Churg-Strauss o nelle polmoniti eosinofile.

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In corso di scompenso cardiaco congestizio, si possono avere delle crisi dispnoiche notturne con sibili (dovute all’imbibizione dell’interstizio), che mimano in tutto e per tutto l’asma. A tale fenomeno è stato dato per motivi storici il nome di asma cardiaco, ma non si tratta di asma e deve essere più correttamente definito come dispnea parossistica notturna. Recentemente si sta tentando di suddividere l’asma in “fenotipi” che abbiano caratteristiche cliniche o patogenetiche comuni, ma tale suddivisione non risulta ancora soddisfacente data la notevole sovrapposizione dei fenotipi (Figura 1).

10.3 ANATOMIA PATOLOGICA E FISIOPATOLOGIA Il reperto fondamentale è l'infiltrazione di cellule infiammatorie con alterazioni della mucosa e sottomucosa bronchiali. Le cellule principalmente coinvolte, almeno nella forma allergica, sono gli eosinofili ed i linfociti CD4+. L’intensità dell’infiammazione varia nelle varie fasi della malattia. Reperto abbastanza tipico dell’asma è il remodelling (rimodellamento della parete bronchiale) costituito da: desquamazione epiteliale, ipertrofia del muscolo liscio, deposizione di collagene e ispessimento della membrana basale, iperplasia delle ghiandole e ipervascolarizzazione. Il remodelling sembra essere parzialmente indipendente dall’infiltrazione infiammatoria e almeno in parte responsabile dell’iperreattività. Nei casi d’asma grave si riscontrano tappi di muco denso a stampo bronchiale (spirali di Crushman) e cristalli di proteina eosinofila cationica (cristalli di Charcot-Leyden). In altre forme di asma, particolarmente quelle non allergiche, le cellule infiammatorie possono essere principalmente neutrofili. Come già detto, nella maggior parte dei casi l’asma è di natura allergica. In tale situazione, nella mucosa bronchiale esistono mastociti che sono ricoperti da IgE specifiche per un determinato allergene. Quando l’allergene inalato viene in contatto con tali IgE il mastocita degranula e rilascia i mediatori infiammatori preformati (istamina) che inducono direttamente il broncospasmo. In aggiunta, vengono sintetizzati altri mediatori (es. leukotrieni) e secrete citochine e chemochine che favoriscono il richiamo di altre cellule infiammatorie le quali a loro

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volta perpetuano l’infiammazione. L’infiammazione della mucosa rende a sua volta la muscolatura bronchiale più sensibile a qualsiasi stimolo (anche non allergenico) e, con l’ispessimento della mucosa e l’ipersecrezione, favorisce l’ulteriore restringimento del lume bronchiale. Quale che sia il primum movens, nell’asma è sempre presente un certo grado di infiammazione e questo spiega perché la crisi di broncospasmo possa essere indotta più facilmente che nei soggetti normali. Una delle principali caratteristiche dell'asma è quindi l’iperreattività bronchiale aspecifica che è appunto l’abnorme risposta contrattile della muscolatura liscia ad una serie di stimoli (fisici, chimici e farmacologici) che alla stessa dose non hanno effetto nel soggetto sano.. L’iperreattività bronchiale è sostenuta da: - squilibrio della regolazione nervosa e umorale della motilita’ bronchiale (ipertono vagale,

deficit dei β2 recettori, aumentata responsivita' colinergica - squilibrio del sistema non adrenergico-non colinergico (NANC) e alterazioni della sintesi

dei derivati dell'acido arachidonico - una alterazione della parete bronchiale conseguente alla flogosi Il risultato finale della broncostruzione è l’ipossia, tanto più grave quanto più l’ostruzione è intensa. L’ipossia, che si instaura abbastanza acutamente, induce come compenso una iperventilazione. Poiché la perfusione e la parete alveolare sono indenni, l’iperventilazione provoca quasi sempre un certo grado di ipocapnia e alcalosi respiratoria. Se il broncospasmo non recede, si aggrava l’ipossia, si ha esaurimento dei muscoli respiratori e lentamente si va verso l’ipoventilazione alveolare con ipercapnia e quindi insorgono sopore, acidosi e coma. 10.4 CLINICA Nel paziente allergico, l'asma può essere associata ad altre manifestazioni quali la rinocongiuntivite e la dermatite atopica o può essere scatenato da infezioni virali banali delle vie aeree superiori. L'attacco asmatico solitamente si caratterizza per la presenza di una triade fondamentale: la tosse, la dispnea ed il respiro sibilante. La tosse: inizialmente secca e stizzosa, che sovente precede l'accesso vero e proprio, solitamente al termine dell'attacco acquisisce carattere produttivo e si accompagna all'espettorazione di muco viscoso e filante. Il paziente è agitato, ansioso, parla con difficoltà ed è tachicardico. La dispnea e’ espiratoria dal punto di vista fisiopatologico (l’aria trova ostacolo ad uscire dai bronchi) ma il soggetto l’avverte come inspiratoria o fame d’aria (perché obbligato a ventilare a volumi polmonari maggiori). In corso di attacco acuto può osservarsi l’atteggiamento iperespanso del torace, con iperfonesi diffusa, ma il reperto caratteristico sono i ronchi diffusi e di varie tonalità (sibili, fischi, gemiti) spesso avvertiti anche dal paziente ed udibili senza fonendoscopio. I ronchi sono prevalentemente espiratori, ma se l’ostruzione è importante si possono udire anche in inspirazione. Sono segni di allarme (imminente arresto respiratorio): il sopore, la bradicardia (ipercapnia), la cianosi e la scomparsa dei rumori bronchiali (ipoventilazione). La tosse può comparire anche da sola (equivalente asmatico): in tal caso ha carattere stizzoso, è prevalentemente notturna, e non si accompagna ad alterazioni significative della funzionalita’ ventilatoria, mentre è positivo il test alla metacolina. Una rappresentazione dello spettro di gravità è riportata in Figura 2.

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Dal punto di vista clinico, per tradizione si distinguono alcune forme caratteristiche, come la “brittle asthma” o asma instabile e l’asma grave (severe asthma). Quest’ultima (che rappresenta meno del 5% dei casi) è un’asma che rimane sintomatica nonostante la terapia massimale e richiede per almeno 6 mesi l’anno il trattamento con steroidi sistemici per mantenere il controllo. Al di fuori dell’attacco acuto, e nel paziente non in terapia, l'asma può essere classificata, secondo le linee guida GINA in quattro stadi di gravità, in rapporto alla frequenza delle crisi ed al grado di compromissione ventilatoria. Tale classificazione di gravità assume altresì rilevanza clinica al fine del trattamento farmacologico. E’ importante ricordare che l’asma è una malattia variabile e possono esserci periodi di totale asintomaticità o poco sintomatici intervallati da attacchi acuti che possono essere scatenati da fattori ambientali, esposizione massiva ad allergeni, infezioni virali intercorrenti o anche alla riduzione o sospensione della terapia.

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10.5 DIAGNOSI L'anamnesi consente di raccogliere tutta una serie d’informazioni utili per poter inquadrare sia le caratteristiche di presentazione clinica del singolo paziente che per valutare i vari fattori eziopatogenetici coinvolti nella genesi del fenomeno. Importante la famigliarità atopica, l’allergia nota, le infezioni delle vie superiori come fattore scatenante, l’esposizione all’allergene. L'esame obiettivo è molto tipico e suggestivo durante l’attacco asmatico. L'ascoltazione evidenzia la presenza di rumori secchi (fischi, sibili, gemiti), che talvolta si possono udire anche senza fonendoscopio. L’EGA, durante la crisi rivela ipossiemia più o meno marcata, ma normo- o ipocapnia (quest’ultima dovuta alla tachipnea). Il rilevo di ipossiemia con ipercapnia indica insufficienza respiratoria acuta e impone possibili immediati interventi rianimatori. Il radiogramma toracico durante una crisi evidenzia solo l’atteggiamento inspiratorio e una modesta iperdiafania e quindi non è mai fondamentale. Se è possibile eseguire una spirometria, si evidenzierà una anomalia ostruttiva pressoché pura. Durante le fasi intercritiche l’esame obiettivo può essere completamente negativo. Le prove di funzionalità respiratoria (PFR) rappresentano l'indagine routinaria e necessaria per la diagnosi (figura 4). Permettono di valutare l’eventuale presenza di ostruzione, il suo grado e soprattutto la reversibilità. Le PFR evidenziano nel soggetto con asma in atto un quadro di insufficienza ventilatoria di tipo ostruttivo quasi puro (FEV1/CVF<70%). Quando il FEV1 è <80% si procede al test di reversibilita’, facendo inalare 200-400 mcg di un farmaco beta2-stimolante a rapida azione (salbutamolo) e rivalutando la PFR dopo 15 minuti. Un aumento del FEV1 di almeno 12% del valore basale (e >200 ml) indica che l’ostruzione è reversibile. Questo criterio differenzia l’asma dalla BPCO, ove la reversibilita’ è scarsa o assente. Nelle fasi intercritiche le PFR sono solitamente normali; in tal caso si esegue il test di broncostimolazione aspecifica utilizzando la metacolina (analogo sintetico dell’acetilcolina), il quale puo’ evidenziare l’iperreattivita’ tipica dell’asma. Si fanno inalare dosi crescenti di metacolina e dopo ogni dose si esegue la PFR. E’ significativa una riduzione del FEV1 del 20% rispetto al valore di partenza. Se non si ha riduzione del FEV1 di almeno il 20% con 1200 microgrammi di metacolina si dice che il test è negativo. Il test alla metacolina ha

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elevato valore predittivo negativo: se è negativo, l’asma può essere esclusa con probabilità >95%. Se l’anamnesi suggerisce una eziologia allergica, si praticano gli skin prick test (se necessario il dosaggio delle IgE allergene-specifiche). Per l’asma da sforzo o da freddo o da aspirina, esistono test di provocazione standardizzati che vanno comunque eseguiti dallo specialista. L’esame dell’espettorato e la broncoscopia non sono mai di prima istanza, e solitamente impiegati a scopi di ricerca.

10.6 CENNI DI TERAPIA Terapia dell'attacco acuto: I β2-agonisti inalatori (salbutamolo) costituiscono sempre il primo presidio terapeutico. Se l'accesso non regredisce si ripete l'inalazione ogni 10-15 minuti. Se dopo 30-60 minuti non si ottiene un effetto terapeutico si può passare ad inalazione continua di salbutamolo in aerosol avviando il paziente al più vicino pronto soccorso. Gli steroidi non sono broncodilatatori, ma devono essere subito e comunque usati. Solitamente si usano metilprednisolone (80 mg) o idrocortisone (500 mg) per via venosa o prednisone 50 mg per os. Se possibile, si somministra anche O2. Se la crisi non regredisce si impiega teofillina endovena. In pericolo di vita per esaurimento della ventilazione occorre praticare ventilazione meccanica. Terapia di mantenimento. Al di fuori dell’attacco occorre: mantenere una buona funzionalita’ respiratoria, impedire ulteriori attacchi, consentire le normali attività. Nell’asma allergica è fondamentale l’igiene ambientale per evitare l’esposizione all’allergene. Poichè l’asma è una malattia cronica, il paziente deve essere monitorato con continuità: questo può essere fatto ad esempio con la misurazione biquotidiana a domicilio del PEF e con una corretta educazione. La terapia viene adattata continuamente in base allo stato di controllo dei sintomi, aumentandola se l’asma non è controllata e riducendola se è completamente controllata. Se l’asma è completamente sotto controllo si usano solo i broncodilatatori short-acting al bisogno. Altrimenti si utilizzano gli steroidi inalatori a dosaggi via via crescenti e associando broncodilatatori a lunga durata d’azione (salmeterolo, formoterolo) e/o antileucotrienici. Se nonostante una terpia massimale l’asma rimane non controllata si fa ricorso anche agli steroidi per via generale.

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11. ALVEOLITI ALLERGICHE ESTRINSECHE (AAE) O POLMONITI DA IPERSENSIBILITA’ 11.1 DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE Le AAE definiscono un quadro morboso uniforme dal punto di vista clinico (febbre, tosse, broncospasmo) e anatomopatologico (alveolite) dovuto all’inalazione di proteine di origine organica o piu’ di rado di composti chimici. Tali sostanze causano, solo in soggetti predisposti, una alveolite da reazioni immunologiche di tipo III e IV e conseguente immunoflogosi. Il nome allergiche è solo convenzionale, infatti, la patogenesi non è IgE mediata. Si tratta quindi nella maggior parte dei casi di malattie professionali ed alcune di esse sono clinicamente note fin dal 1700, anche se la loro incidenza è rapidamente calata negli ultimi decenni, tanto da farle rientrare nel gruppo delle patologie “RARE”. La malattia paradigmatica e piu’ conosciuta è il polmone del contadino (farmer’s lung). Se il quadro clinico ed anatomopatologico sono uniformi, gli agenti eziologici sono molto diversi tra loro: li accomunano le dimensioni tali da farle penetrare fino all’alveolo, l’antigenicità e la natura proteica (tabella 1). Tabella 1 ANTIGENE MALATTIA Actinomiceti termofili (Microspora faeni, Termoactyn. Vulgaris ) B.cereus, B subtilis

Farmer’s lung o polm. del contadino (fieno) Bagassosi (canna da zucchero) Bissinosi (cotone) Mal. da condizionatori, Mal da detersivi Mal dei lavoratori dei funghi

Proteine di deiezioni aviarie Mal. dell’allevatore di uccelli (pidgeon’s lung) Aureobasidium, Graphium spp Sequoiosi Cryptostoma corticale Suberosi (sughero) Penicillum frequentans Mal. dei tagliatori d’acero Aspergillus clavatus Mal. dei lavoratori del malto Penicillum casei e roqueforti, Mal. dei lavoratori caseari Sitophylus grnarius Mal. del mugnaio Toluene disocianato e monoisocianato (DDI, TDI), anidride ftalica

Mal. Degli addetti alle verniciature

Piretro Mal dei lavoratori di insetticidi Aureobasidium pullulans Mal. Della sauna Polvere di caffè Mal. dei lavoratori di caffè 11.2 PATOGENESI Il primum movens è probabilmente una reazione di tipo III: il soggetto predisposto produce IgG ed IgA verso gli antigeni inalati e si formano immunocomplessi che attivano il complemento e richiamano altre cellule infiammatorie. Nonostante si possano rilevare nel BAL aumentati livelli di istamina e spesso si verifichino attacchi asmatici veri e propri, non sono mai state dimostrate IgE specifiche per gli antigeni. La reazione di tipo IV è quella che mantiene e amplifica il processo: verosimilmente dopo presentazione dell’antigene dai macrofagi ai linfociti T, questi ultimi si attivano e secernono le citochine attivatorie e chemiotattiche (IL-1, IL-2, IL-8, IL-12). La reazione infiammatoria alveolare si mantiene fino a che persiste l’esposizione all’antigene, conduce alla formazione di granulomi veri e propri, e se dura nel tempo arriva al danno anatomico dovuto alla distruzione dei setti, delle fibre elastiche e alla deposizione di collagene (fibrosi polmonare). Il rilievo anatomopatologico principale nelle forme acute è l’alveolite linfocitaria (CD8+) e neutrofilica, mentre via via che il processo si mantiene si formano anche granulomi, ispessimento o distruzione dei setti. E’ da sottolineare che il quadro anatomopatologico non dipende dall’antigene causale ma dalla durata dell’esposizione.

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11.3 CLINICA Sono colpiti quasi sempre soggetti giovani adulti (30-50 aa) e che lavorano; solo occasionalmente l’inalazione degli antigeni proteici puo’ avvenire da animali presenti nell’abitazione. Nelle esposizioni episodiche, acute e massive, il quadro è florido e mima la polmonite batterica con febbre, malessere generale, tosse, dispnea. All’esame obiettivo si rilevano rantoli a piccole bolle sparsi e non di rado rumori secchi da broncostenosi. Una inalazione massiva di antigene puo’ provocare veri e propri attacchi asmatici severi. Il quadro clinico si risolve rapidamente se il soggetto cessa di esporsi alla fonte antigenica e si ripresenta alla successiva esposizione. Se l’esposizione è prolungata e subdola ed il processo infiammatorio diventa cronico, i sintomi diventano piu’ sfumati ma ingravescenti: dispnea da sforzo e poi anche a riposo, febbricola persistente, crisi di broncospasmo ricorrenti. Alla lunga compaiono anche i segni di insufficienza respiratoria (cianosi, dita a bacchetta di tamburo), che indicano una compromissione della funzione ventilatoria, essenzialmente dovuta al danno interstiziale. 11.4 DIAGNOSI E CENNI DI TERAPIA La diagnosi è suggerita quasi completamente dall’anamnesi, dall’attività lavorativa e dal ricorrere dei sintomi ad ogni esposizione. I reperti RX ed ematochimici sono estremamente aspecifici. All’RX si possono rilevare dai segni di broncopolmonite al semplice aumento della trama interstiziale o un quadro a vetro smerigliato. Il BAL è piu’ suggestivo, data l’alveolite linfocitaria CD8+, l’aumento dei mastociti e dei polimorfonucleati la riduzione dei macrofagi. Importante è la riduzione del rapporto CD4/CD8, che è invece sempre aumentato nella sarcoidosi. Le alterazioni ventilatorie e respiratorie si manifestano in modo eclatante solo quando è già presente l’evoluzione ad interstiziopatia. La ricerca delle precipitine agli antigeni proteici è di scarso aiuto poichè poco sensibile. Il test di provocazione bronchiale specifico puo’ essere eseguito con alcuni antigeni, ma è di solito competenza delle strutture di Medicina del Lavoro: dovrebbe essere riservato sempre e solo ai casi non altrimenti diagnosticabili (tabella 2) Unica terapia efficace è l’allontanamento dalla fonte di esposizione antigenica. Nelle fasi acute si somministrano steroidi ed ossigeno. Se l’evoluzione è cronica ed a fibrosi interstiziale si usano essenzialmente i corticosteroidi ad alte dosi e poi alla dose minima efficace, monitorando la funzionalità ventilatoria, il quadro RX e l’EGA. Tabella 2. Riassunto degli elementi diagnostici SEGNI SISTEMICI Febbre, malessere, calo ponderale. SEGNI POLMONARI Tosse, dispnea, broncospasmo (rara l’emoftoe) RX TORACE Variabile dagli addensamenti tipo broncopolmonite (forme acute)

alla interstiziopatia diffusa (forme a lungo decorso) PFR S. dapprima ostruttiva; restrittiva o mista e ↓ DLCO nelle fasi

evolventi in fibrosi EGA ↓ PaO2 in caso di grave interessamento diffuso o nelle forme acute BAL ↑ linfociti (40-60%); ↓ CD4/CD8 (circa 1: 1 o meno)

↑ mastociti (3-5 %) in fase acuta ↑ polimorfonucleati (5-10 %) in fase acuta ↓ MF (50-60%) ↑ IgG solubili

EMOCROMO Anemia normocronica normocitica. EMATOCHIMICI ↑ VES SCINTI Ga67 Solitamente aspecifica SEGNI EXTRAPOLMONARI

Solitamente assenti

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12. SARCOIDOSI (Malattia di Besnier-Boeck-Schaumann) La sarcoidosi è (secondo la definizione ufficiale WASOG) una malattia granulomatosa cronica sistemica, ma con prevalente interessamento del polmone, ad eziologia sconosciuta. La lesione elementare e' il granuloma sarcoideo, che non ha mai necrosi caseosa; sono rilevabili alterazioni della risposta immunitaria sia locale che sistemica e della cellularita' polmonare. L'associazione di malattia polmonare e cutanea (lupus pernio) e' nota fin dalla meta' del secolo scorso. Il granuloma sarcoide fu descritto da Boeck all'inizio del 900, ma il primo inquadramento nosografico della sarcoidosi come patologia è opera di Schaumann nel 1914. La malattia ha assunto il nome di sarcoidosi solo a partire dagli anni 40 e la sua importanza è testimoniata dall’esistenza di una società ad essa dedicata (WASOG, World Association of Sarcoidosis and Other Granulomatous diseases). 12.1 EPIDEMIOLOGIA E IPOTESI EZIOLOGICHE Non esistono dati dettagliati sull'epidemiologia della Sarcoidosi in quanto la malattia è riconosciuta come entita' a se' solo da circa 50 anni ed i criteri di diagnosi sono stati precisati nell'ultimo ventennio. La prevalenza e' comunque bassa e si aggira tra 10 e 70 per 100.000 (in Italia 15/100.000). La razza nera e' colpita maggiormente di quella bianca. L'incidenza massima e' nella 3-4 decade e la mortalita' si aggira intorno al 5-10% dei casi diagnosticati. L'eziologia è sconosciuta, ma esistono diverse ipotesi indirette. • Genetica: vi sono casi di aggregazione famigliare della malattia ed una significativa maggior frequenza nei gemelli identici. HLA-B8 e' associato all'evoluzione ingravescente della malattia, ma non alla sua insorgenza, mentre HLADR17 sembra protettivo. • Infettiva. Occasionalmente nei granulomi sarcoidei indotti sperimentalmente sono stati rilevati batteri acido alcol resistenti, ed è sospetta l’analogia tra sarcoidosi e TBC (tabella 1). Inoltre, l'inoculazione di omogenato sarcoideo nel topo causa la formazione di granulomi, ma tale fenomeno non si verifica se l'omogenato viene sterilizzato. Date alcune analogie con la malattia infiammatoria intestinale, si e' ipotizzato anche il ruolo di nocardia, borrelia e yersinia, ma nessuna di queste ipotesi ha ricevuto finora conferme. Infine, uno studio caso controllo ha dimostrato che il 40% dei soggetti con sarcoidosi, aveva avuto contatto con altri soggetti malati. • Fisica. La berilliosi ha caratteristiche cliniche e granulomi indistinguibili dalla sarcoidosi, ma le storie cliniche dei pazienti non confermano se non i rari casi l'esposizione. Tabella 1 SARCOIDOSI E TBC SARCOIDOSI TBC Granuloma Non caseoso Caseoso Interessamento polmonare Preferenziale Preferenziale Eritema nodoso 30% dei casi 20% dei casi Segni sistemici Frequenti Frequenti Diffusione sistemci Frequente Infrequente 12.2 PATOGENESI E ASPETTI IMMUNOLOGICI (Figura 1) Il fenomeno iniziale e' rappresentato da una alveolite linfocitaria e solo in un secondo tempo le cellule si organizzano in granulomi interstiziali. Nel granuloma della sarcoidosi la necrosi e' assente o minima e mai caseosa. Sono presenti: macrofagi attivati (MF), istiociti, cellule epiteliodi, linfociti T attivati. Le cellule epitelioidi sono di origine macrofagica: non sono solitamente fagocitanti ma secretrici. Le cellule giganti (tipo Langhans) sono anch'esse di origine MF, con 20 30 nuclei. Tipiche inclusioni sono corpi asteroidi, corpi birifrangenti e corpi

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di Schaumann. Le cellule epitelioidi e giganti, stipate, occupano il centro del granuloma, insieme a linfociti CD4+; alla periferia del granuloma esiste un vallo di linfociti T CD8+. Si suppone che la formazione del granuloma non caseoso si verifichi a seguito di stimolazione da parte di un antigene sconosciuto. Il processo centrale e' il rapporto tra infociti T e M( alveolari. L'antigene, viene presentato da cellule dendritiche o MF ai LT che si attivano, secernono citochine (fenotipo TH1) e richiamano altri MF e PMN in sito. Il granuloma si automantiene e poi evolve o in fibrosi o si risolve. Nella sarcoidosi attiva, i linfociti T del BAL superano il 20% ed anche i PMN sono aumentati. I linfociti T hanno un elevato rapporto CD4+/CD8+ (intorno al 10-15/1, nel normale 2/1). D'altra parte, e' ridotto il numero dei linfociti CD4+ in sede periferica, e la linfopenia piu' o meno marcata e' la regola. Infatti, spesso sono ritardate o assenti le reazioni cutanee a BCG, o tossina tetanica. I MF verrebbero reclutati dalle citochine MCP1, TNFa e RANTES e prolifererebbero grazie a GM-CSF. Tutti i MF esprimono recettori di adesione, attivazione e crescita (CD11a CD11c ma non VLA1). Anche ICAM-1 e' coinvolta nella migrazione. Il vallo di CD8+ periferici potrebbe servire da elemento di controllo. Nel BAL si marcano il CD25+, CD4+, e mRNA per Il6 e IL8. Si ipotizza, che all'inizio del processo prevalgano i linfociti T di fenotipo TH1; nel caso di evoluzione a fibrosi interstiziale sembra avvenga uno switch al fenotipo Th2 che secerne citochine favorenti la fibrosi come IL4 e IL13.

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12.3 CLINICA La sarcoidosi puo' colpire praticamente tutti gli organi, ma alcuni sono piu' frequentemente interessati di altri. I segni sistemici sono estremamente aspecifici: febbre, poliartralgie, astenia, calo ponderale, linfoadenopatie, malessere generalizzato. Accanto a queste manifestazioni generali, si presentano poi i segni del coinvolgimento di specifici organi e apparati: • Polmone (90%): tosse (raramente emottisi), presenza di rantoli fini variamente distribuiti (rari i rumori secchi), dolore toracico variabile. Se la malattia evolve in fibrosi, compaiono i segni dell'insufficienza respiratoria: dispnea dapprima sotto sforzo e poi a riposo, cianosi, dita a bacchetta di tamburo. L'interessamento delle pleure e' molto raro (1-2%). • Linfonodi (90%): la linfoadenomegalia mediastinica e' la piu' frequente. Piu' raro l'interessamento dei linfonodi laterocervicali, ascellari e inguinali. • Cute (30%): eritema nodoso, lupus pernio o maculopapule variamente associate, fino all'aspetto di vasculite franca. L’eritema nodoso consiste di lesioni violacee dolenti e rilevate distribuite prevalentemente sulla faccia anteriore della gamba, che tendono a risolversi in 1-2 mesi. Il Lupus pernio consiste in placche depigmentate, indurate ma indolenti distribuite al volto e ad andamento cronico. • Occhio (25%): uveite anteriore e posteriore, congiuntivite, cheratite, xeroftalmia (s. Sjogren-simile) • Sistema nervoso (25%): polinevrite, mononevrite (paralisi del faciale), lesioni del chiasma ottico (emianopsia), lesione della postipofisi (diabete insipido). • Sistema osteo-articolare (10%): poliartralgie, entesiti, cisti ossee. La colonna dorsolombare e' colpita abbastanza frequentemente. • Cuore (5%): pericardite, disturbi di conduzione In numerosi casi la sarcoidosi e' silente e viene diagnosticata casualmente in corso di un esame radiologico eseguito per altri motivi. Esistono delle particolari associazioni di sintomi descritte per convenzione con l'eponimo: S. di Heerfordt: sarcoidosi + uveite + parotite. S.di Lofgren: sarcoidosi con adenopatia ilare + eritema nodoso. S.di Jungling: Sarcoidosi con cisti ossee mutiple + poliartralgie. In genere, le forme "floride" che esordiscono in forma relativamente acuta con poliartralgie o interessamento cutaneo sono quelle ad evoluzione piu' favorevole. L'interessamento dell'occhio, del sistema nervoso e del cuore sono elementi prognostici sfavorevoli. Le lesioni polmonari sono le piu' frequenti in assoluto, tanto che ne esiste una classificazione radiologica in stadi (Wurm 1958), riassunta in tabella 2 e figura 2. Tabella 2: classificazione radiologica della sarcoidosi STADIO DESCRIZIONE Stadio I adenopatia ilare bilaterale senza segni di interessamento parenchimale Stadio II adenopatia ilare + lesioni parenchimali reticolo-nodulari Stadio III solo lesioni parenchimali, Stadio IV fibrosi polmonare diffusa con aspetto a vetro smerigliato o a nido d'ape

(honeycomb lung)

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Figura 2: i 4 stadi RX della sarcoidosi

12.4 DIAGNOSTICA (tabella 3) LA diagnostica si basa su: quadro clinico e radiologico e dimostrazione del granuloma. I sintomi di esordio sono solitamente sistemici o aspecifici: poliartralgie, febbre, calo ponderale, tosse. Più indicative sono le lesioni cutanee o le cisti ossee. La radiografia del torace, con le lesioni sopra descritte, in associazione al sospetto clinico, e' suggestiva. La diagnosi di certezza richiede comunque la dimostrazione del granuloma sarcoideo; occorre quindi procedere alla biopsia delle linfoadenomegalie accessibili o dei linfonodi mediastinici. Esistono comunque alcuni elementi che da soli non sono probanti, ma tutti insieme contribuiscono alla diagnosi: • Il BAL e' rilevante: l'alveolite linfocitaria CD4+ (aumento dei linfociti T e aumento del rapporto CD4+/CD8+), associata alle lesioni polmonari, solitamente completa la diagnosi. • L’aumento aspecifico degli indici di flogosi (VES, PCR) e l’anemia normocromica normocitica (da malattia cronica). La linfopenia e la riduzione del rapporto CD4/CD8 sono abbastanza suggestive, ma tali alterazioni cellulari periferiche si rilevano solo dopo un certo tempo. • L’ipercalcemia (da incrementata produzione di vit.D da parte dei macrofagi attivati) e l’aumento dell'ACE sierico. • La positività della scintigrafia polmonare con Gallio67 • La ridotta reattività al test intradermico con antigeni comuni come la tubercolina o la tossina tetanica

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•L'inoculazione intradermica di omogenato sarcoideo (test di Kveim-Siltzbach) e' molto specifica, ma l'estratto non e' disponibile in Italia. Tabella 3 Riassunto degli elementi diagnostici SEGNI SISTEMICI Febbricola, artralgie, calo ponderale, astenia SEGNI POLMONARI Tosse, dolore toracico, dispnea, emottisi EGA ↓ PaO2 (solo in fase molto avanzata) BAL ↑ Linf. T (> 25%); ↑ CD4+/CD8+ > 5; ↓ MF alveolari EMOCROMO Anemia normocronica, normocitica. Linfopenia.

Riduz. del rapp. CD4/CD8 EMATOCHIMICI ↑ Ca++; ↑ ACE; ↑ VES SCINTI Ga67 Accumulo selettivo del tracciante agli ili o linfonodi maggiori SEGNI D'ORGANO Riduz. campo visivo; diabete insipido; riduz. Velocita' conduzione nervosa;

uveite; parotite. ISTOLOGIA LINFONODI Granuloma sarcoideo Purtroppo, sia il quadro clinico che quello RX si prestano a numerose diagnosi differenziali (tabella 4), che vanno tutte prese in considerazione durante il workup diagnostico Nel caso di linfoadenopatia ilare bilaterale, senza altri segni diagnostici o lesioni polmonari occorre fare diagnosi differenziale con i linfomi. Entrano anche in diagnosi differenziale le granulomatosi polmonari da esposizionre professionale (Berilliosi) e le granulomatosi infettive (TBC). TABELLA 4. Diagnosi differenziale 12.5 EVOLUZIONE E CENNI DI TERAPIA Si ha remissione completa in oltre il 70% dei casi in stadio radiologico 1 e 2. In caso di fibrosi polmonare gia' instaurata l'evoluzione e' ingravescente. La prognosi e' particolarmente sfavorevole se vi e' interessamento endocrino o neurologico. Nell'adenopatia ilare bilaterale senza altri segni di malattia si osserva il decorso. Se sono presenti lesioni cutanee o poliartralgia si tratta con antinfiammatori, riservando gli steroidi alle fasi di attivita'. Se vi sono segni di interessamento pomonare si comincia con prednisone 20 mg/die per 3 mesi; se guarisce follow up ogni 6 mesi, se il miglioramento e' insufficiente si raddoppia la dose di steroide e se peggiora si ricorre ad immunosoppressori (azatioprina, metotrexate).

QUADRO RX Linfoma Pneumoconiosi Fibrosi diffuse Berilliosi Alveolite allergica TBC K metastatico Istoplasmosi Polmone reumatoide

QUADRO CLINICO Linfoma Fibrosi diffuse Berilliosi TBC Mal autoimmuni Infezioni croniche Leucemie Tutte le cause di febbre ndd

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13. PNEUMOCONIOSI Le pneumoconiosi sono patologie causate dall’accumulo di polveri inorganiche inalate e dalla conseguente reazione dei tessuti polmonari. Le polveri inorganiche si distinguono in inerti e fibrosanti, ma tale distinzione non è comunque assoluta. Tra le pneumoconiosi, particolare rilievo hanno la silicosi (per la prevalenza ancora elevata), l’asbestosi (associazione col mesotelioma pleurico) e la berilliosi (che puo’ causare una granulomatosi fibrosante simile alla sarcoidosi). L’importanza delle pneumoconiosi e’ dovuta al fatto che esse sono quasi sempre il risultato di una esposizione lavorativa e pertanto implicano particolari problematiche medico-legali, assicurative ed assistenziali. Trattandosi di pneumopatie lavorative, vale per tutte l’importanza delle misure preventive primarie (controllo dell’esposizione, visite periodiche per i soggetti a rischio). Le pneumoconiosi da polveri fibrosanti sono riassunte in tabella 1, quelle da polveri inerti in tabella 2. Tabella 1. Pneumoconiosi da polveri fibrosanti ed esposizione professionale POLVERI FIBROSANTI:

TIPO DI ESPOSIZIONE LAVORATIVA

Silicosi Silice crsitallina (quarzo, tridimite, cristobalite) Silice amorfa (farina fossile, tripoli) Silice anidra (vetro di quarzo, pomice)

miniere, cave, estrazione di farina fossile, industria della ceramica, fonderie, sabbiatura, industria del vetro, gres, cemento, lavorazione di pietre silicee e mole artificiali.

Asbestosi Serpentino: crisotilo (amianto bianco) Anfiboli: crocidolite, amosite, tremolite

Industria estrattiva e siderurgica; lavorazione di tessuti di amianto, freni, frizioni, guarnizioni, pannelli per edilizia, isolanti, filtri, vernici.

Berilliosi Industria elettronica, ceramiche Talcosi Lavoratori di gomma, ceramica, cosmetici, vernici. Pneumoconiosi da Caolino Industria della carta e della pocellana Pneumoconiosi da Mica Industria elettrica, costruzione di stufe e fornaci 13.1 SILICOSI 13.1.1 Fisiopatologia e clinica E’una pneumoconiosi da inalazione di silice (Si) libera o (biossido di silicio) che si trova in natura come: Si cristallina, Si amorfa idrata o anidra. Il potere patogeno della Si è legato a: a) Concentrazione della polvere nell’aria che deve essere superiore a 100 part/ml; b) volume delle particelle: quelle con diametro tra 0,5/2 µ sono le più patogene; c) temperatura: oltre i 1000-1500 gradi il quarzo si trasforma in cristobalite, più fibrosante; d) durata: la pneumoconiosi insorge dopo 10-20 anni di esposizione; e) fattori individuali: danno della clearance mucociliare, tabagismo, flogosi, diversa reattività immunologica. La patogenesi della silicosi riconosce due stadi. Nel primo le particelle di Si vengono fagocitate dai macrofagi alveolari e interstiziali. I cristalli provocano lesione delle membrane lisosomiali con spandimento di enzimi e autodigestione della cellula. In questa fase si verifica la liberazione di mediatori chimici che richiamano ed attivano altre cellule (macrofagi, linfociti, fibroblasti). Nel secondo stadio prevale la stimolazione del fibroblasto, da parte del macrofago leso, con produzione di collageno e tessuto fibroso. La lesione elementare è costituita dal nodulo silicotico centroacinare (in prossimità del bronchiolo respiratorio). Inizialmente ha i caratteri di un granuloma (nodulo istiocitario), successivamente e’ formato da da fibre collagene ialinizzate con una periferia di collageno recente con macrofagi e linfociti (nodulo fibro-istiocitario), con aspetto a bulbo di cipolla. Si ha infine il nodulo fibroialino, scarsamente cellulare. I noduli sono disposti in sede parailare e nei lobi superiori in prossimità del connettivo perivascolare, subpleurico, interlobare. Si hanno: occlusione dei linfatici, ed ectasie venose. Le particelle di Si raggiungono i linfonodi con fenomeni di fibrosi e calcificazioni in tale sede. Macroscopicamente possiamo avere una forma

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disseminata con nodulazioni (micro o macronoduli) diffuse su entrambi i polmoni, una forma confluente con masse compatte in sede parailare bilateralmente e una forma massiva con fibrosi estesa e con zone pseudoescavate. Talvolta il quadro è quello di fibrosi diffusa senza noduli. La silicosi come malattia insorge solitamente dopo anni di esposizione a silice. I sintomi sono inizialmente vaghi e non sempre correlati al quadro radiologico che può costituire il primo segno di silicosi. Sintomi comuni sono la dispnea da sforzo ingravescente e la tosse. Nelle forme evolutive compaiono i segni di compromissione cardiocircolatoria (cuore polmonare) e frequenti sovrainfezioni batteriche. Non sono specifiche le alterazioni funzionali respiratorie e cardiache che presentano caratteristiche simili a quelle in corso di BPCO. Non sempre la malattia è evolutiva; in assenza di ulteriore esposizione alla silice il quadro può mantenersi costante per anni. Per motivi storici, ma non fisiopatologici, sono rimaste in uso le denominazioni di silico-TBC e la Sindrome di Caplan-Collinet (silicosi+artrite rematoide). 13.1.2 Quadri RX e nomenclatura Nell’evoluzione del quadro RX si ritiene che un primo stadio di reticolazione diffusa prevalente nelle regioni parailari preceda un secondo stadio nodulare e/o reticolonodulare con disposizione caratteristica ad “ali di farfalla”. L’evoluzione puo non essere così schematica: in alcune forme prevale la componente interstiziale in altre quella nodulare. L’interessamento linfonodale è costante con linfonodi ilari calcificati a guscio d’uovo. Negli stadi avanzati possono essere presenti opacità grossolane a volte escavate. Esiste una nomenclatura standard ad uso assicurativo per le lesioni radiologiche silicotiche. I noduli (prevalentemente ai campi superiori) sono indicati con i simboli p ( <1,5mm), q (1,5-3 mm), r (3-10 mm). La loro concentrazione varia da 0 a 3 (0= RX normale, 2= disegno polmonare ancora visibile tra i noduli). Le opacità irregolari sono clssificate come: s (fini), t-u (grossolane). 13.2 ASBESTOSI 13.2.1 Fisiopatologia e clinica L’asbesto è un silicato fibroso classificato come serpentino od anfiboli. Il serpentino (crisotilo o amianto bianco) arricciato e flessibile costituisce il 95% della produzione mondiale di asbesto e rappresenta la forma meno pericolosa. Le fibre anfibole comprendono: crocidolite (amianto azzurro), amosite (amianto marrone), antofillite, tremolite, actinolite che si presentano come aghiformi e sono patogene. La crocidolite più di altre risulta implicata nella genesi del mesotelioma pleurico, mentre non sembrano esistere differenze significative tra crisotilo ed anfiboli per quanto riguarda l’incidenza di asbestosi. Ancora oggi sono numerose le fonti di esposizione nonostante l’impiego crescente di materiali alternativi. L’esposizione prevalente è quella occupazionale (coibentatori, lavoratori dei cantieri navali, minatori) ma può riguardare anche la popolazione che vive in ambienti in cui si trovano materiali fatti con asbesto. Le fibre di asbesto più fibrosanti sono quelle di lunghezza superiore ai 5 µ e la loro concentrazione nell’aria deve superare 2/ml. La durata di esposizione deve essere molto lunga (10-20 anni) prima dell’insorgenza della fibrosi (anche se esistono casi dovuti ad esposizione massiva per brevi periodi). Le fibre di asbesto possono penetrare fino ai bronchioli respiratori ed agli alveoli. Perforando via via i setti alveolari possono anche migrare verso la periferia e raggiungere la pleura. Sia i soggetti esposti sia i soggetti con malattia presentano alveolite macrofagica di variabile entità; una volta giunti a livello alveolare i macrofagi si replicano, aumentano in numero assoluto e producono fattori chemiotattici per neutrofili, eosinofili e linfociti. E’ rilevante l’aumentata produzione di radicali ossidanti. Conseguono lesioni a carico dei pneumociti di tipo I e proliferazione riparativa dei pneumociti di tipo II. I macrofagi attivati producono fattori (fibronectina, PDGF) favorenti l’adesione dei fibroblasti alla matrice connettivale e secernono

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fattori di progressione (AMDGF) in grado di indurre proliferazione fibroblastica. Altri mediatori macrofagici coinvolti nell’ attivazione dei fibroblasti sono IL-1β, TNFα e IGF-1. La proliferazione fibroblastica rimpiazza i pneumociti di tipo II con successiva deposizione di tessuto. L’esito finale è l’ispessimento delle pareti alveolari, bronchiolari e la fibrosi diffusa. I neutrofili vengono richiamati precocemente nell’alveolo ad opera della IL-8 secreta dai macrofagi.. La fibrosi pleurica ha patogenesi nell’azione delle fibre di asbesto sulle cellule mesenchimali sub-mesoteliali che proliferano per effetto dei fattori di crescita liberati nel processo infiammatorio. L’effetto mutageno (fibre tra 1 e 5 µ) responsabile dell’insorgenza di mesotelioma sembrerebbe dovuto ad un danno diretto; quando le cellule entrano in mitosi le fibre interagiscono con le strutture cromosomiche o con le proteine a esse associate. 13.2.2 Quadro clinico e radiologico La sintomatologia nelle fasi iniziali è sempre modesta ed anche nelle fasi avanzate non ha nulla di caratteristico rispecchiando completamente la sintomatologia delle BPCO: dispnea da sforzo ingravescente e tosse. L’interessamento pleurico può dar luogo a versamento (anche emorragico) con tutti i segni e sintomi della pleurite. Se non interviene una neoplasia pleurica o polmonare, la pneumoconiosi evolve verso un quadro di insufficienza respiratoria e cuore polmonare. Questa pneumoconiosi ha spesso un carattere evolutivo anche dopo la cessazione dell’esposizione. Il quadro funzionale è quello della fibrosi con associati segni di ostruzione delle vie aeree (insufficienza ventilatoria restrittiva o mista). La fibrosi si manifesta radiologicamente con un quadro di tipo reticolare o reticolo-nodulare, inizialmente con opacità tenui prevalenti ai lobi inferiori; sucessivamente si possono avere opacità dense, conglomerazione di opacità nodulari o fibrosi massiva, ma tali quadri sono molto rari. Il quadro RX è quindi sempre meno importante rispetto alla silicosi; le opacità prevalgono ai lobi inferiori e non si escavano. Frequente è l’ispessimento pleurico fino a quadri di pachipleurite con calcificazioni. 13.3 BERILLIOSI L’esposizione al berillio (Be), usato nella produzione del fosforo fluorescente e come costituente di leghe metalliche, puo dare un quadro del tutto simile alla sarcoidosi. La patogenesi è riferibile a reazioni di 4°tipo. Il Be provoca una risposta cutanea di tipo ritardato simile a quella tubercolinica nei pazienti affetti da berilliosi. Inoltre i linfociti di sangue periferico e quelli di BAL (soprattutto T CD4+) di soggetti che presentano la malattia proliferano in vitro se stimolati con berillio. La stessa cosa non accade in soggetti che, pur esposti al berillio, non sviluppano la malattia. Questo suggerisce l’esistenza di fattori individuali predisponenti per lo sviluppo di ipersensibilità nei confronti di questo metallo e quindi delle lesioni a livello polmonare da esso indotte. Inoltre conferisce valore diagnostico al test di proliferazione linfocitaria in vitro. In base a recenti acquisizioni sperimentali, il berillio si comporta da aptene che, una volta legato a proteine endogene,acquista potere antigenico. Dal punto di vista clinico,la berilliosi si manifesta con un quadro di granulomatosi sistemica del tutto simile alla sarcoidosi. Il granuloma è similsarcoideo con cellule giganti, linfociti, plasmacellule; nel BAL è presente linfocitosi di tipo T. Rispetto alla sarcoidosi si ha un minor interessamento ghiandolare ilare. 13.4 PNEUMOCONIOSI DA POLVERI INERTI Sono pneumopatie da accumulo nel polmone di polveri che non provocano fibrosi e non stimolano in maniera particolare la risposta immune. Il danno polmonare è dovuto al venir meno dei meccanismi di depurazione del polmone per il superamento delle capacità della clearance mucociliare di smaltire tutte le polveri inalate. Se le polveri superano la concentrazione di 10/ml le normali capacità di depurazione vengono meno e si creerà un accumulo di polveri tanto maggiore quanto maggiore sarà la concentrazione nell’aria inspirata e quanto più prolungata sarà l’esposizione. In certi casi tali pneumoconiosi possono evolvere in fibrosi sia per la

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contemporanea presenza di silice nelle polveri sia per il coesistere di processi flogistici. La durata di esposizione prima che si manifesti il quadro clinico è in genere di molti anni. La non progressione del quadro clinico dopo la sospensione dell’esposizione (perche’ non esiste attivazione immunitaria) le differenzia dalle pneumoconiosi fibrosanti. Tabella 2. Le pneumoconiosi da polveri inerti POLVERI INERTI Accumulo e impregnazione del parenchima

TIPO DI ESPOSIZIONE LAVORATIVA

Antracosi Minatori e lavoratori del carbone Grafitosi Lavoratori di grafite Siderosi Miniere di ferro, laminatoi, industria siderurgica,

saldatori Pneumoconiosi da Stagno, Cerio, Bario

Lavorazione del minerale specifico

Nell’antracosi, il carbone inalato provoca un danno da sovraccarico dei sistemi di depurazione bronchiale con accumulo delle polveri a livello bronchiolare, danno dei bronchioli respiratori per atrofia della muscolatura e dilatazione del lume. L’accumulo delle polveri determina la formazione del nodulo coniotico costituito da macrofagi che inglobano le particelle di carbone; è questo lo stadio della pneumoconiosi semplice che puo complicarsi con un quadro di fibrosi se insorgono processi flogistici o per la coesistenza di quote di silice nelle polveri inalate. Il quadro RX iniziale di pneumoconiosi semplice è di tipo reticolare o reticolonodulare mentre nelle forme di fibrosi massiva prevalgono opacità di varie dimensioni prevalenti ai campi superiori. La sintomatologia è quella delle broncopneumopatie croniche. La siderosi è una pneumoconiosi che si riscontra nei minatori di miniere di Fe, negli addetti ai laminatoi, negli operai delle acciaierie, nei saldatori. E’ una pneumoconisi benigna e spesso asintomatica. Si manifesta all’RX con un quadro di reticolonodulazione che puo’ anche regredire dopo la sospensione dell’esposizione. Nell’espettorato di questi soggetti è caratteristica la presenza di macrofagi inglobanti Fe (siderociti). Dal punto di vista anatomopatologico si hanno macrofagi contenenti Fe in sede bronchiolare, peribronchiolare, perivascolare e linfatica. Esistono ovviamente forme miste di pneumoconiosi, dovute a polveri fibrosanti associate a quelle inerti. Va comunque evidenziato che le polveri di carbone esercitano, in alcuni casi, un effetto protettivo nei riguardi della fibrosi da silice per la presenza di silicato di alluminio che blocca la tossicità della silice stessa. Dal punto di vista anatomo patologico e radiologico l’evoluzione della fibrosi è lenta e meno grave rispetto alla silicosi pura. Le forme più comuni sono l’antracosilicosi (minatori di carbone addetti alla perforazione ed allo spargimanto di sabbia sulle rotaie) e la siderosilicosi che si riscontra nei lavoratori delle fonderie, negli addetti alla molatura di materiali ferrosi, nei macinatori di terra d’ocra.

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14. NEOPLASIE POLMONARI I tumori del polmone possono esser distinti in primitivi (se il tumore è d'origine polmonare), e secondari (metastasi di tumori a partenza da altri organi). I tumori primitivi sono, a loro volta, distinti in benigni e maligni. I tumori benigni sono rari (circa il 5% delle neoplasie), mentre i maligni (carcinoma broncogeno) rappresentano la stragrande maggioranza. In teoria, ciascuno degli istotipi presenti nel polmone può dare origine a neoplasie benigne o maligne, ed infatti la classificazione dell’OMS è basata sull’istologia. 14.1 TUMORI BENIGNI E A MALIGNITA’ RIDOTTA I tumori benigni possono presentarsi con forme istologiche diverse (tabella 1). Alcuni di loro, pur essendo classificati tra le forme benigne, hanno una certa potenzialità evolutiva. Per queste forme (tumori carcinoidi e cilindromi), si preferisce parlare di tumori polmonari a basso grado di malignità. Tali neoplasie evolvono lentamente, recidivano in loco e danno rare metastasi. I tumori benigni, come quelli a malignità ridotta, devono comunque essere tenuti ben distinti dai comuni carcinomi broncogeni per l’istogenesi, l’evoluzione clinica e il trattamento. A differenza del carcinoma broncogeno, non riconoscono alcun fattore eziologico particolare. I tumori periferici (amartoma, fibroma, leiomioma) sono asintomatici e solitamente di riscontro occasionale; i tumori situati in sede endobronchiale possono simulare un carcinoma broncogeno oppure dare luogo a processi infettivi ricorrenti o sindromi da ostruzione bronchiale. TAB 14.1 Classificazione dei tumori benigni e a basso grado (adenomi) Epiteliali: papilloma, polipo, timoma Origine ignota: amartoma, teratoma,

chemodectoma, t.a cellule chiare Mesenchimali vascolari: angioma, linfangiomatosi

Mesenchimali bronchiali: fibroma, condroma, lipoma, leiomioma, neurinoma, neurofibroma t.a cellule granulose

Dal punto di vista macroscopico gli adenomi si presentano come neoformazioni con sede in un bronco principale o lobare, aggettanti nel lume (forma peduncolata), con accrescimento endobronchiale, oppure si estrinsecano verso il parenchima polmonare assumendo particolari aspetti definiti ad “iceberg” (forme sessili). Dal punto di vista istologico si distinguono tumori carcinoidi (85%), adenomi adeno-cistici, carcinomi mucoepidermoidi, adenomi polimorfi. • Il carcinoide è una neoplasia costituita da cellule del sistema APUD e può quindi essere inserita nel capitolo delle neoplasie neuroendocrine; sembrano derivare patogeneticamente dalle cellule di Kultschitzski originate dalla cresta neurale. In base alla sede si distinguono: il carcinoide a sede centrale che si manifesta con un quadro sintomatologico di tipo ostruttivo; il carcinoide a sede periferica di riscontro poco frequente e paucisintomatico; e il carcinoma atipico con comportamento simile al microcitoma, con maggiore linfoinvasività e possibilità di metastatizzazione a distanza. • L’adenoma adenocistico insorge frequentemente a livello della trachea o della carena; ha crescita lenta e progressiva che non si accompagna ad un concomitante peggioramento del quadro clinico, tanto che la diagnosi è spesso posta quando la neoplasia ha raggiunto dimensioni tali da comprometterne la resecabilità. • Il tumore muco-epidermoide deriva dalle ghiandole mucose del bronco, microscopicamente può presentare svariati quadri che dall’adenoma muco-epidermoide benigno vanno fino al carcinoma epidermoide con possibilità di diffusione metastatica, a seconda del grado di differenziazione. • I tumori misti (adenomi polimorfi) sono solitamente ubicati in trachea e possono raggiungere dimensioni notevoli richiedendo interventi di ricostruzione tracheale.

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14.2 TUMORI MALIGNI (Carcinomi polmonari o broncogeni) 14.2.1 EPIDEMIOLOGIA

Nei primi decenni del secolo, il carcinoma polmonare (CaP) era una vera e propria rarità: la prima resezione per tumore del polmone, di cui si ha notizia, fu eseguita nel 1933. Oggi la situazione è radicalmente cambiata: il CaP rappresenta la neoplasia toracica più frequente, costituendo il 90% di tutte le forme neoplastiche primitive polmonari. Esso è anche la neoplasia più frequente nell'uomo, e la quinta nel sesso femminile. E’ la neoplasia che detiene il record della mortalità. Secondo i dati dell’OMS i nuovi casi di tumore del polmone sono stati 896.000 nel 1985 (11,8% di tutti i nuovi casi di cancro). La crescita ha tasso di 0,5% all'anno. Il CaP e’ la neoplasia più comune nei maschi (17,6% di tutti i nuovi casi). In Europa, tale percentuale raggiunge il 21% ed e’ responsabile del 29% delle morti per cancro nell’uomo. Nelle donne, le percentuali sono sensibilmente inferiori essendo rispettivamente pari al 4 e all'8%. Su base mondiale, il CaP rappresenta, nella donna, il quinto più frequente tipo di cancro, ed è in rapida crescita. In Italia, si hanno percentuali che si collocano ai livelli medio-alti Europei, con ampie differenze regionali tra le regioni del nord (altissimo rischio) e quelle del sud (rischio medio-basso). Globalmente, nel nostro paese, il numero di nuovi casi di CaP continua ad aumentare, rappresentando la prima causa di morte per neoplasia. Il picco d’incidenza si registra tra la quinta e la sesta decade di vita. Oltre un terzo dei nuovi casi è diagnosticato in soggetti d’età superiore ai 70 anni. Essendo la letalità del CaP molto alta, i tassi di mortalità rispecchiano fedelmente i tassi d’incidenza. In Italia il tasso di mortalità è di 81 per 100 000 maschi e di 12 per 100 000 femmine. In relazione all’età, il carcinoma del polmone è in rapido aumento con incidenza inferiore a 1 per 100 000 prima dei 30 anni e di 329 per 100 000 tra 70 e 74 anni. Alla diagnosi l’età media è di 60 anni. 14.2.2 FATTORI DI RISCHIO E CENNI DI PREVENZIONE Il CaP, come tutte le neoplasie, è una condizione ad insorgenza multifasica e multifattoriale; numerosi sono i fattori di rischio e nell’ambito di questi possono essere individuate le seguenti categorie: fumo di sigaretta, fattori genetici, fattori occupazionali, inquinamento ambientale e dieta. • Fumo. Numerosi studi hanno evidenziato una reale relazione statisticamente significativa tra fumo di sigaretta ed incidenza del carcinoma broncogeno. L’incidenza del CaP segue fedelmente il tabagismo nella popolazione. Secondo una recente stima, in Italia, fuma circa un terzo della popolazione maschile ed il 18% di quella femminile e la percentuale di decessi per tumore dell’apparato respiratorio da attribuire al fumo di sigaretta è pari all’87%. Altri studi dimostrano che le consorti di soggetti fumatori presentano un rischio 2-3 volte più elevato di contrarre la malattia; inoltre si è dimostrato un incremento significativo (da 35 a 53%) del rischio di insorgenza di carcinoma broncogeno nei soggetti non fumatori che convivono con fumatori. • Fattori genetici. Le neoplasie polmonari si associano ad anomalie cromosomiche (delezioni, amplificazioni, mutazioni) a carico della struttura dei cromosomi (3p, 13q e 17p) e del loro numero. Un ulteriore approfondimento dei meccanismi genetici della origine del CaP è dato dalla recente scoperta del gene FHIT (fragile histidine triad) che si trova sul braccio corto del cromosoma 3 (regione 3p14.2). anomalie dei prodotti di trascrizione di questo gene sono state riscontrate soprattutto nei microcitomi ma sono presenti anche nei non-microcitomi. La mutazione più studiata è quella a carico del gene p53 situato sul 17p: in una quota di pazienti (13-23%) sono stati rilevati anticorpi che riconoscono la p53. • Fattori occupazionali. E’ stimato che una percentuale di carcinomi broncogeni (variabile a seconda delle casistiche, ma sempre molto inferiore a quella legata al fumo) può essere attribuita all’esposizione occupazionale; gli agenti eziologici possono essere chimici o fisici: radiazioni,

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catrame, peci, fuliggini, paraffine grezze oli lubrificanti, asbesto, arsenico, cromo, nichel, cadmio, silice; è comunque da considerare l’effetto moltiplicatore del fumo di sigaretta. • Fattori ambientali Il benzopirene ed altri idrocarburi aromatici presenti nell’atmosfera si sono dimostrati cancerogeni nell’animale; queste sostanze hanno la prerogativa di permanere a lungo nei polmoni per la loro stabilità e per la loro difficile eliminazione. Comparando l’incidenza di neoplasie polmonari negli abitanti delle zone urbane rispetto a quelle rurali, in alcuni si nota per i primi un aumento di 2-3 volte. • Dieta L’assetto nutrizionale vitaminico è considerato un fattore che può incidere sul rischio per carcinoma broncogeno: è stata evedenziata una correlazione tra maggior consumo di verdure e minor rischio; il contrario è dimostrato per i grassi poliinsaturi. • Cenni di prevenzione Esistono tre livelli di intervento preventivo per il tumore del polmone: a) prevenzione primaria, il cui intento è quello di diminuire l’incidenza della malattia. Questa pertanto si prefigge lo scopo di far sì che la popolazione si ammali di meno. Attualmente, la miglior misura di prevenzione primaria è la lotta al tabagismo. b) prevenzione secondaria, che ha l’obbiettivo di diminuire la mortalità, per cui essa è volta al raggiungimento di diagnosi precoci e quindi utili ai fini di un trattamento adeguato. c) Prevenzione terziaria, il cui scopo è quello di controllare le complicazioni al fine di ottenere una adeguata qualità di vita, senza intervenire sulla sopravvivenza. 14.2.3 ANATOMIA PATOLOGICA Dal punto di vista istopatologico, i tumori maligni del polmone traggono origine nel 90-95% dei casi dall’epitelio di rivestimento e dalle ghiandole dell’albero bronchiale. Quattro sono gli istotipi principali, che, peraltro, vengono distinti in due sole grandi classi: i tumori non microcitomi (Non Small Cell Lung Cancer – NSCLC) ed i microcitomi o tumori a piccole cellule (SCLC, Small Cell Lung Carcinoma). I primi sono: il carcinoma a cellule squamose o epidermoide (circa il 40%)), l’adenocarcinoma (circa il 20%) ed il carcinoma a grandi cellule (15%). Fra i secondi sono compresi i tumori indifferenziati a piccole cellule di derivazione neuroendocrina. Questi due grandi tipi cellulari presentano differente evoluzione clinica e differente risposta al trattamento. In particolare, i SCLC sono virtualmente disseminati fin dall’inizio, molto invasivi ed a rapida replicazione. Queste caratteristiche fanno si che i SCLC paradossalmente rispondano meglio nel breve termine alla terapia citotossica. a) Tumori NSCLC - Carcinoma squamoso. I carcinomi squamosi si sviluppano come lesioni isolate, nodulari, rotondeggianti nel contesto del parenchima polmonare, o come tumori endoluminali e stenosanti all'interno dell'albero bronchiale. La superficie di sezione appare di aspetto friabile, talvolta granulare e caratteristicamente asciutta. La necrosi del tumore, talvolta visibile come ampie cavità, è tipica degli stadi avanzati. Microscopicamente si osservano complessi epiteliali uniformi, similepidermici; talvolta sono evidenti le tipiche formazioni a bulbo di cipolla e i caratteristici ponti intercellulari. La componente cheratinica è caratteristicamente responsabile della formazione di perle epiteliali dette anche perle cornee. Il tumore contiene uno stroma costituito prevalentemente da collagene di tipo I e III. Immunoistochimicamente, tutti i carcinomi bronchiali spinocellulari reagiscono con gli anticorpi anticitocheratina. - Adenocarcinoma L'adenocarcinoma si sviluppa prevalentemente alla periferia dei polmoni e si caratterizza per la presenza di strutture similghiandolari. Dal punto di vista istochimico, è dimostrabile la presenza di vacuoli secretori nel contesto di cellule epiteliali atipiche. In più del 50% dei casi si osservano aree focali di differenziazione squamosa. In una elevata percentuale si possono osservare strutture pleomorfe, sdifferenziate e a cellule giganti. Esistono quattro sottotipi principali di adenocarcinoma: 1) acinoso; 2) papillare; 3) solido con formazione di muco 4) bronchioloalveolare. L'adenocarcinoma acinoso è caratterizzato da strutture ghiandolari atipiche. Il carcinoma papillare presenta un modello di crescita a villi

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papillari che infiltrano il lume ghiandolare o che crescono all 'interno degli alveoli. L'adenocarcinoma solido cresce sotto forma di cordoni cellulari solidi. La dimostrazione di vacuoli citoplasmatici contenenti mucina è essenziale per distinguere queste forme dai carcinomi a grandi cellule. Nel carcinoma bronchioloalveolare, le cellule tumorali aderiscono strettamente alle pareti alveolari preesistenti. Attualmente, si ritiene che l'epitelio della parte terminale del bronchiolo, le cellule di Clara (cellule presenti su bronchi e bronchioli coinvolte nella secrezione della sostanza tensioattiva polmonare) o i pneumociti di tipo II siano le cellule d'origine del carcinoma bronchioloalveolare. - Carcinoma a grandi cellule La classificazione dell'OMS considera ancora il carcinoma a grandi cellule come entità a se stante, nonostante sia sempre più evidente che i carcinomi a grandi cellule sono varianti degli adenocarcinomi e, talvolta, dei carcinomi spinocellulari. Dal punto di vista istochimico, sono espressi diversi marcatori epiteliali, fra cui la cheratina, l'antigene epiteliale di membrana (EMA) ed il CEA. Nel carcinoma a grandi cellule possono osservarsi segni di differenziazione esocrina e/o neuroendocrina. b) Tumori SCLC - Carcinoma a piccole cellule Il carcinoma polmonare a piccole cellule si sviluppa di solito centralmente, mostrando una crescita a cuffia peribronchiale e perivascolare. Al microscopio ottico è documentabile la presenza di piccole cellule con nuclei apparentemente vuoti e con poco citoplasma. Le cellule assomigliano ai linfociti e possono avere un aspetto fusiforme. Il carcinoma a piccole cellule può essere del tipo "a chicco d'avena" (circa l'88%) o di tipo cellulare intermedio. Se un carcinoma a piccole cellule contiene anche significative aree di differenziazione istologica in senso spinocellulare e/o di adenocarcinoma è denominato carcinoma "combinato". Dal punto di vista citologico, le cellule tumorali sono di dimensioni 1,5 volte più grandi dei linfociti, sono disposte in ampi cordoni e presentano nuclei ipercromatici di forma irregolare spesso senza nucleoli e con sottili margini citoplasmatici. Le indagini immunoistochimiche sono utili per l'ulteriore caratterizzazione. Nel carcinoma a piccole cellule, originantesi da cellule simili a quelle del sistema neuroendocrino, è dimostrabile la presenza di sostanze simil-ormonali. Al microscopio elettronico si possono osservare strutture analoghe ai granuli neurosecretori intracitoplasmatici. Nel 95% dei casi, le cellule contengono granuli elettrondensi. Questi granuli contengono, tra gli altri peptidi, l'enolasi neurospecifica (NSE). Dal punto di vista istogenetico, il carcinoma a piccole cellule deriverebbe dalle cellule endocrine del Kultschitzky del sistema bronchiale (il cosiddetto sistema APUD). Differiscono dai carcinoidi per le loro caratteristiche pleomorfe, per l'invasione locale e vascolare, per la fibrosi stromale, per l'attività mitotica e per l'entità della necrosi. Utilizzando marcatori di proliferazione, i carcinomi a piccole cellule rivelano frazioni di crescita del 50% in confronto al 10% circa degli adenocarcinomi. Questo si correla bene con un tempo di raddoppiamento approssimativo di 50 giorni, rispetto ai 183 giorni degli adenocarcinomi. c) Tipi speciali di tumori del polmone e lesioni preneoplastiche Carcinoma occulto. Si parla di carcinoma occulto, quando si rinvengono cellule tumorali con l'esame citologico dell'escreato in presenza di negatività radiologica. In tali situazioni cliniche è necessario effettuare immediatamente l'esame endoscopico, possibilmente con metodiche in grado di identificare un carcinoma ad uno stadio precoce di sviluppo. Microcarcinoma. Tale termine è usato per i tumori primitivi del polmone che misurano meno di 3 mm, in assenza di malattia polmonare clinicamente rilevabile. Istologicamente la maggior parte dei microcarcinomi polmonari sono carcinomi a piccole cellule con diffusione metastatica già estesa, clinicamente manifesta. All'autopsia la minuta lesione primaria può in alcuni casi essere rilevata solo dopo l'attenta preparazione dell'intero sistema bronchiale. Formazioni neoplastiformi (Tumorlets) Le formazioni neoplastiformi sono proliferazioni epiteliali atipiche a carico del bronchiolo terminale nelle zona di passaggio alla componente alveolare. Si rinvengono frequentemente negli stadi avanzati della fibrosi polmonare,

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particolarmente nell'asbestosi, e nel tessuto polmonare dopo chemioterapia citotossica. Le formazioni neoplastiformi sono focali, visibili solo microscopicamente, talvolta multiple. Si pensa che siano precursori dei carcinomi a piccole cellule periferici. La diffusione linfatica del carcinoma polmonare colpisce inizialmente i linfonodi regionali peribronchiali ed ilari, successivamente i linfonodi mediastinici omolaterali e infine i controlaterali. La sede più frequente di metastatizzazione per via ematica risulta essere il fegato (40%); altri organi interessati sono lo scheletro (29%), surrene (26%), sistema nervoso centrale (14%) con differenze dovute al tipo istologico del tumore primitivo. 14.2.4 CLASSIFICAZIONE TNM La stadiazione è una misura dell'estensione della neoplasia. Si determina la dimensione del tumore, la sede ed il grado di infiltrazione loco-regionale (T). Successivamente, viene valutata la presenza di disseminazione linfatica (N) o ematogena (M). In base a questi parametri viene assegnato lo stadio. Le definizioni del grado di estensione della malattia neoplastica (TNM) per i NSCLC sono adottate universalmente e consentono confronti di casistiche all'interno della stessa istituzione, o tra istituzioni diverse. La stretta correlazione esistente fra estensione di malattia (stadio) da un lato e possibilità terapeutiche e prognosi dall’altro è di estremo valore per il singolo paziente. La classificazione TNM attualmente in uso è stata proposta da C. Mountain nel 1986 e riveduta nel 2009 (Tab 2). Tabella 2. Classificazione TNM 2009 T T0 T1s T1 T1a T1b T2 T2a T2b T3 T4

Tumore primitivo Nessuna evidenza di tumore primitivo Carcinoma in situ Tumore del diametro <3 cm circondato da parenchima pomonare o pleura viscerale con al massimo infiltrazione del bronco lobare < 2 cm tra 2 e 3 cm Tumore del diametro > 3 cm ma < 7 cm oppure tumore associato a: 1) infiltrazione del bronco principale con distanza > 2 cm dalla carena o 2) infiltrazione della pleura viscerale o 3) atelettasia o polmonite ostruttiva che dall’ilo si porta alla pleura viscerale senza interessare l’intero parenchima < 5 cm tra 5 e 7 cm Tumore del diametro > 7 cm oppure con invasione di 1) parete toracica, diaframma, nervo frenico, pleura mediastinica, pericardio, bronco principale ad una distanza < 2 cm dalla carena (senza coinvolgimento della carena) o 2) atelettasia o polmonite ostruttiva dell’intero polmone omolaterale o 3) lesioni tumorali multicentriche nello stesso lobo Tumore di qualsiasi diametro che infiltri il mediastino, cuore, grossi vasi, trachea, nervo laringeo ricorrente, esofago, corpo vertebrale, carena. Oppure lesioni tumorali multicentriche in lobi diversi o con versamento pleurico citologicamente positivo.

N N0 N1 N2 N3

Linfonodi regionali Assenza di interessamento linfonodale Metastasi linfonodali peribronchiali o ilari omolaterali ovvero intrapolmonari incluso l’interessamento per continuità Metastasi linfonodali mediastiniche e/o sottocarenali Metastasi nei linfonodi mediastinici contro laterali, ilari contro laterali o sopraclavicolari o omolaterali/controlaterali a carico della catena del m. scaleno

M M0 M1a M1b

Metastasi a distanza Assenza di metastasi a distanza Noduli neoplastici nel polmone controlaterale, localizzazioni pleuriche, versamento pleurico o pericardico con citologia positiva Presenza di metastasi a distanza

Le varie combinazioni TNM sono raggruppate in un piccolo numero di stadi di malattia così che in ogni stadio vi sia un'aspettativa di vita comparabile. La Tabella 3 riassume le modalità di raggruppamento in stadi.

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Stadi secondo il TNM T N M Stadio 0 Stadio Ia Stadio Ib

T1s T1a-T1b T2a

N0 N0 N0

M0 M0 M0

Stadio IIa T1a-T2a N1 M0 Stadio IIb T2b

T3 N1 N0

M0 M0

Stadio IIIa T1a-T3 T3 T4

N2 N1 N0-N1

M0 M0 M0

Stadio IIIB T4 T1a-T4

N2 N3

M0 M0

Stadio IV Tutti i T Tutti gli N M1a o M1b Per quanto riguarda i SCLC, la classificazione è molto più semplice, indicando una forma localizzata (confinata ad un emitorace ed ai LN regionali compresi in una finestra TC) ed una forma diffusa. Solo di recente si è cominciato ad utilizzare il TNM anche per il carcinoma a piccole cellule 14.2.5 PRESENTAZIONE CLINICA

La storia naturale del tumore polmonare, come per tutti i tumori maligni, inizia con il carcinoma in situ. Con l’inizio dell’accrescimento locale e dei fenomeni invasivi, il cancro del polmone può dare origine a segni e sintomi che dipendono dalla crescita locale del tumore, dall’invasione delle strutture circostanti e dei linfatici (vedi figura 1), dalla diffusione metastatica sistemica ed infine da effetti a distanza della malattia neoplastica (sindromi paraneoplastiche).

I sintomi e segni locali sono dovuti alla crescita del tumore entro il parenchima. Poiché il parenchima polmonare non ha recettori algogeni, il tumore può anche crescere senza manifestarsi e dare segno di sé solo quando invade qualche struttura “non muta”. L’invasione dei bronchi può causare tosse, emottisi, dispnea. L’atelettasia può favorire l’insorgenza di polmonite e talvolta ascesso. Non è infrequente diagnosticare occasionalmente il CaP proprio in corso di polmonite. Date le strutture anatomiche contigue, il CaP può anche presentarsi come: - Sindrome di Pancoast (algie persistenti alla spalla e al braccio) dovuta all’invasione del plesso brachiale - Sindrome di Claude Bernard-Horner (miosi ptosi, enoftalmo), da deficit dell’ortosimpatico cervicale che decorre presso l’apice polmonare. La sindrome irritativi di Pourfur-Petit (midriasi, retrazione palpebrale) è rarissima. Queste tre sindromi sono dovute ai tumori dell’apice, presso cui decorrono le strutture nervose. - Disfagia, da interessamento dell’esofago - Disfonia, da deficit e compressione del ricorrente - Singhiozzo, da irritazione del frenico o paralisi di un emidiaframma da compressione del frenico con dispnea - Versamento pericardico, con turgore delle giugulari, aritmie, segni di tamponamento. - Sindrome della vena cava superiore, con edema a mantellina - Versamento pleurico. Quest’ultimo può associarsi o no a dolore pleurico e provocare dispnea quando diventa molto abbondante. I segni e sintomi da replicazione metastatica dipendono ovviamente dalla sede della metastasi. Sedi preferenziali di metastatizzazione sono: surrene, ossa della gabbia toracica, vertebre e bacino (dolori ossei profondi e intensi), encefalo (crisi comiziali, sindrome psicorganica, deficit della coordinazione e movimenti fini), pleura e pericardio (versamenti), fegato ed il polmone stesso. Non è raro scoprire il CaP solo in seguito a manifestazioni delle sue metastasi.

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Le sindromi paraneoplastiche sono rare (5% dei CaP) e sono dovute all’azione di sostanze secrete dal tumore e dotate di attività biologica. Tali sindromi sono più frequenti con i SCLC e sono riassunte in tabella 4. Tabella 4 Sindromi Paraneoplastiche Endocrine Cushing, S.da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico, iperglicemia,

iperparatiroidismo, ginecomastia. Neuromuscolari S. miasteniforme (di Lambert-Eaton), parestesie, polinevriti Dermatologiche Acanthosis nigricans, sclerodermie localizzate, ipertricosi Vascolari Tromboflebiti ricorrenti e migranti (anche trombosi arteriose) Osteoarticloari Poliartralgie non infiammatorie, ippocratismo digitale

14.2.6 DIAGNOSI E STAGING La fase diagnostica e la successiva valutazione dell'estensione di malattia richiedono l'impiego razionale e ordinato dei molti metodi oggi disponibili (tab 14.5). Un approccio di tipo sequenziale prevede diversi interventi, partendo comunque da anamnesi, esame obiettivo, RX torace ed esami ematochimici. Ricordiamo che spesso, in presenza di sintomi suggestivi ed esposizione a fumo, il solo RX torace consente di indirizzare la diagnosi. E’ altresì vero che il CaP, una volta individuato deve essere tipizzato (istotipo) e stadiato (estensione TNM). Tab 14.5 Procedure diagnostiche Primo livello Secondo livello Terzo livello Anamnesi ed esame obiettivo Esame emocromocitometrico Esami ematochimici completi Rx torace (2 proiezioni: PA-LL)

TAC torace Fibrobroncoscopia (biopsia, brushing, BAL per esami citoistologici) Prove di funzionalità respiratoria

Toracoscopia Mediastinoscopia L.I.F.E. (Lung Imaging Fluorescence Endoscopy)

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Esame citologico su espettorato Marker tum. (CEA, NSE, CYFRA)

Toracentesi (in caso di versamento ) Agoaspirato transparietale (sotto guida TAC o ecografica)

Scintigrafia ossea Scintigrafia polmonare perfusoria TAC total body NMR

Le tecniche di imaging, consentono la stadiazione macroscopica (estensione, localizzazione, linfonodi, metastasi). La diagnosi tipizzazione può essere sia citologica che istologica. La certezza della diagnosi dipende dalla quantità di cellule maligne non necrotiche presenti nel campione bioptico. Vi sono almeno 6 diversi materiali biologici che possono essere prelevati per esame citologico: espettorato, lavaggio bronchiale, spazzolamento bronchiale, lavaggio bronco-alveolae, aspirato transbronchiale e transtoracico. I prelievi di tessuto per esame istologico sono invece eseguiti mediante biopsie bronchiali, transbronchiali, transtoraciche, toracoscopiche, biopsie a torace aperto (dalle biopsie cuneiformi o resezioni atipiche alle segmentectomie, lobectomie e pneumonectomie), biopsie di eventuali sedi metastatiche linfonodali (mediastinoscopia, mediastinotomia, biopsia di linfonodi sovraclaveari e scalenici). Ovviamente, questi ultimi prelievi, oltre a confermare la natura e l'istotipo della lesione, servono a documentarne l'estensione di malattia (informazioni di staging). La diagnosi patologica presenta difficoltà diverse a seconda della collocazione centrale o periferica del tumore primario. Per le lesioni centrali endoscopicamente visibili, la conferma cito-istologica si ottiene di solito tramite citologia dell'espettorato o con biopsia-abrasione e broncoaspirato in corso di fibrobroncoscopia. Per le lesioni periferiche, la possibilità di una diagnosi patologica è funzione del diametro della lesione (essendo molto bassa per le lesioni inferiori a 2 cm) e della sua collocazione topografica. La combinazione di lavaggio bronchiale, abrasione e biopsia bronchiale con ago e con pinze consente di ottenere la diagnosi in quasi la totalità dei casi in cui la presenza di una neoplasia dia segni endoscopici. Inoltre l'impiego, entrato progressivamente nella pratica clinica, del prelievo per agoaspirazione transtoracica sotto guida radiologica, consente di ottenere una definizione diagnostica nella stragrande maggioranza delle lesioni polmonari periferiche. Tuttavia, qualora la fibrobroncoscopia e l'agobiopsia transtoracica risultino negative, in assenza di una specifica diagnosi di patologia benigna, occorre obbligatoriamente giungere a una diagnosi ricorrendo, se necessario, a uno dei procedimenti bioptici di natura chirurgica già accennati. I markers tumorali possono essere di supporto diagnostico, ma da isolatamente sono privi di valore, mentre sono utili per il follow-up. Abbastanza istotipo specifici sono il CYFRA (CYtokeratine Fragment) per il Ca epidermoide e l’NSE (neurospecific enolase) per il SCLC. Gli altri marcatori (aFP, CA19.9, CEA) sono comuni a tutte le neoplasie di derivazione epiteliale. 14.2.7 CENNI DI TERAPIA E PROGNOSI Nel NSCLC gli interventi terapeutici possono essere raggruppati in: ad intento radicale e ad intento palliativo. La scelta è possibile solo dopo aver preso in considerazione i fattori prognostici. Per pazienti in stadio I e II, le determinanti prognostiche da considerare sono le dimensioni del tumore e la presenza o meno di metastasi linfonodali. Per pazienti in stadio III e IV, fattori prognostici importanti sono l’avanzamento di stadio, dal IIIA al IIIB e al IV, lo stato di validità generale del paziente. La chirurgia rappresenta la modalità terapeutica più efficace in quanto è l’unica che può garantire con buona probabilità la guarigione nel tempo, anche se più del 50% dei casi è inoperabile al momento della diagnosi. Il restante 45-55% dei casi risulta clinicamente operabile e di questi il 40% è rappresentato da carcinomi al I e II stadio. La sopravvivenza a 5 anni varia da circa il 75% dello stadio I a circa il 40% nello stadio II. Per pazienti in stadio IIIA (con metastasi linfonodali al mediastino omolaterale e/o sottocarenali), il trattamento chirurgico ha scarsi risultati per cui è utilizzato in combinazione (chirurgia + radioterapia e/o chemioterapia). Nello stadio IIIA, in questi ultimi anni, ha acquisto popolarità

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crescente l’impiego della chemioterapia (neoadiuvante) seguita dall’intervento chirurgico. Per i pazienti allo stadio IIIB (mediastinico e metastasi ai linfonodi mediastinici controlaterali o sovraclaveari), è escluso qualsiasi trattamento chirurgico, con possibilità invece di trattamenti di combinazione con chemio- e radioterapia o con sola chemioterapia. In ogni caso, per i tumori allo stadio IIIA e IIIB la tendenza è quella di impiegare il trattamento combinato (controllo locale chirurgico o la radioterapico, e controllo della malattia metastatica con la chemioterapia). Per i pazienti con evidenza di metastasi a distanza, stadio IV, il solo trattamento possibile è rappresentato dalla chemioterapia palliativa. Nei casi in cui il tumore determini ostruzione endoluminale della trachea e dei grossi bronchi è possibile procedere a tecniche disostruttive endobronchiali (laserterapia o radioterapia endobronchiale) con buoni risultati in termini di qualità di vita. Per il SCLC, il trattamento ha subito negli ultimi venti anni profonde modifiche, dal momento che la natura sistemica e la capacità di diffusione a distanza hanno reso evidente l’inefficacia dei trattamenti locoregionali. Di fatto, la chirurgia e la radioterapia da sole non costituiscono un trattamento efficace (sopravvivenza dell’1-3% a 5 anni). Tuttavia, sulla base di alcune considerazioni, è possibile definire il ruolo che ciascuna delle due modalità occupa attualmente nel trattamento del SCLC. La radioterapia trova utilizzo nei pazienti con malattia limitata, garantendo un buon controllo locoregionale e un miglioramento della sopravvivenza con migliore beneficio in combinazione con la chemioterapia. La radioterapia è poi indicata nel trattamento del SNC a scopo precauzionale, come radioterapia di profilassi, nei pazienti che hanno conseguito la remissione completa e come terapia palliativa in caso di metastasi cerebrali. In casi selezionati la chirurgia può trovare spazio quale trattamento iniziale o preceduto dalla chemioterapia. La polichemioterapia costituisce il trattamento di scelta del SCLC. L’evoluzione del carcinoma polmonare non sottoposto a terapia è molto rapida, con una sopravvivenza che nell’istotipo a piccole cellule è di circa 6 settimane, mentre negli istotipi non a piccole cellule può raggiungere una durata maggiore, pari a una sopravvivenza media di 12 settimane. Nelle forme non a piccole cellule la sopravvivenza a 5 anni è del 60-70% allo stadio I e del 40-50% dei casi allo stadio II, dopo resezione. Si riduce nei pazienti allo stadio IIIA dal 15-40% a meno del 5-30% rispettivamente dopo chirurgia o dopo chirurgia/radioterapia o chemioterapia/chirurgia. Nei pazienti allo stadio IIIB e IV la sopravvivenza a 5 anni è minore dell1% dei casi. Per il SCLC la sopravvivenza libera da malattia superiore a 5 anni è raggiungibile nel 10% dei pazienti con malattia limitata. Nei pazienti con malattia estesa la durata di risposta alla chemioterapia è di 6 mesi e la sopravvivenza mediana di 6-7 mesi. 14.3 NODULO POLMONARE SOLITARIO Un nodulo polmonare solitario o “coin lesion” è una lesione singola, rotondeggiante, di diametro <3 cm, circondata da parenchima polmonare senza altre anomalie (non atelettasia associata, non adenopatie). Le lesioni > 3 cm sono chiamate masse e sono maligne in circa io 90% dei casi. Vale comunque la regola che ogni lesione dovrebbe essere considerata maligna sino a prova contraria. Un nodulo polmonare solitario compare in circa lo 0,1-0.2 % di tutti i radiogrammi toracici. Nel 90% dei casi è un riscontro occasionale, su radiogrammi eseguiti per motivi non correlati al nodulo. La diagnosi precoce di un nodulo maligno può garantire una sopravvivenza dell’80% a 5 anni. Le principali cause di nodulo solitario sono elencate in tabella 1

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TABELLA 1. Diagnosi differenziale del nodulo polmonare solitario BENIGNI MALIGNI Displastici: amartoma, fibroma, neurofibroma Infiammatori infettivi: granuloma (TBC, nocardia, histoplasma, aspergilo, criptococco), ascesso, cisti idatidea, embolo settico Infiammatori non infettivi: artrite reumatoride, granulomatosi di wegener, sarcoidosi, polmonite lipoidea, amiloidosi. Congeniti: malformazione arterovenosa, sequestro polmonare, cisti Altre: tappo mucoso, infarto polmonare, atelettasia rotonda

neoplasie primitive carcinomi linfomi carcinoide sarcomi metastasi solitarie

Esistono alcuni criteri RX che fanno propendere per la natura benigna dei un nodulo solitario: - calcificazioni diffuse, centrali, laminari, concentriche, a popcorn (calcificazioni non strutturate, stipate o eccentriche sono presenti anche nei noduli maligni) - presenza di tessuto adiposo intralesionale - assenza di crescita volumetrica per un periodo superiore ai 2 anni; importante è il cosiddetto tempo di raddoppiamento di un nodulo, che se maligno varia da 40 a 360 giorni, mentre quello di un nodulo benigno è < 30 giorni o > 16 mesi; se la lesione è sferica un aumento del diametro del 30% corrisponde ad un raddoppiamento del volume. Bisogna considerare sospetto anche un aumento maggiore del 10% del diametro medio rispetto alle dimensioni iniziali - un nodulo non presente ad un esame eseguito meno di 2 mesi prima non può essere considerato maligno. Il passo successivo è l’esecuzione di TC del torace, che consente di riconoscere e caratterizzare la forma, i margini e la densità del nodulo. Anche qui esistono criteri suggestivi di benignità: margini regolari, contorni definiti, broncogramma aereo, forma ovoidale o lineare, calcificazioni, contenuto adiposo. Sono sospetti per malignità: i margini spiculati, i contorni mal definiti, le calcificazioni non di tipo benigno, la necrosi e l’interessamento pleurico. La risonanza magnetica ha un ruolo molto limitato nel NPS e può essere indicata nei pazienti allergici al MdC o per un migliore riconoscimento delle strutture degli apici polmonari e del mediastino. La tomografia a emissione di positroni (PET) è più accurata della TC nell’ imaging neoplastico in quanto consente una più precisa attribuzione anatomica delle sedi di ipercaptazione del tracciante e nel riconoscere metastasi linfonodali, permettendo inoltre di distinguere tra metastasi e linfonodi reattivi. È l’indagine con il miglior potenziale di predittivo di malignità. Alla PET, possono dare falsi negativi i noduli inferiori a 10 mm (sensibilità 69%), i tumori con ridotta attività metabolica (carcinoide polmonare, carcinoma bronchiolo-alveolare), mentre possono dare falsi positivi i processi infettivi/infiammatori (TBC, sarcoidosi, aspergillosi noduli reumatoidi, bronchiectasie, ascessi, granulomi). I falsi negativi sono tuttavia più rari dei falsi positivi e quindi un nodulo solitario negativo alla PET, è benigno con una probabilità di circa il 90%. In tabella 2 sono riportate le caratteristiche maggiormente correlate alla probabilità che un nodulo sia maligno Dimensioni nodulo > 2 cm Caratteristiche del paziente Età > 70 anni, storia di fumo, pregressi tumori maligni Morfologia Margini irregolari o spiculati. Calcificazioni non organizzate

Se cavitato, spessore della parete della cavità > 15 mm TC Enhancement > 15 HU PET Captazione > 2.5 SUV (Standard Uptake Value) Tempo di raddoppiamento >7 e < 400 giorni La migliore strategia per gestire un nodulo solitario è legata alla sua probabilità di essere maligno. Possiamo classificare i NPS in 3 categorie:

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noduli benigni: completamente calcifici o con calcificazioni a distribuzione di tipo benigno, con densità di tipo adiposo, stabili per almeno 2 anni, di dimensioni <50 mm3. Tali crteri, ovviamente non escludono la malignità al 100%.

noduli indeterminati: noduli di tipo non benigno ma con dimensioni comprese tra 50 e 500 mm3 (diametro medio 10 mm), oppure con caratteristiche benigne ma con margini spiculati (almeno in qualche parte) noduli sospetti: noduli di tipo non benigno e con dimensioni >500 mm3 Nel caso di nodulo definito benigno, ci si limita ad eseguire un controllo PET a 12 e 24 mesi. In caso di crescita o aumento dell’attività metabolica si procede alla biopsia. Nel caso di nodulo indeterminato, una PET positiva implica l’esecuzione della biopsia, mentre se la PET è negativa si procede al follow-up a 3-6 mesi. Se le dimensioni non aumentano si ricontrolla ad 1 anno, altrimenti si esegue la biopsia. Per il nodulo sospetto, se la PET è positiva si passa alla biopsia, mentre se è negativa ci si comporta come per il nodulo indeterminato. 14.4 TUMORI METASTATICI DEL POLMONE 14.4.1 GENERALITA’ Il polmone rappresenta la sede più frequente di metastasi (circa il 30% di tutti i tumori maligni presentano diffusione polmonare) ed in circa la metà dei casi, il polmone risulta essere la sola sede di diffusione del tumore primitivo. Occorre comunque tenere presente che un nodulo solitario polmonare anche in pazienti con storia oncologica positiva può rappresentare un tumore primitivo del polmone. Questo vale specialmente nei pazienti con Ca testa-collo, ove la distribuzione anatomica della seconda neoplasia riflette il concetto della cancerogenesi di area (“field cancerization”), dovuta all’esposizione dell’intera zona aerodigestiva a un comune agente mutageno. Le metastasi polmonari più frequenti sono quelle da: - mammella - colon-retto - melanoma - rene - apparato genitale maschile e femminile - tumore a cellule germinali (non seminomatoso) - sarcomi dei tessuti molli - sarcoma osteogenetico Per questi tumori, il polmone non è l’unico sito di metastasi. La mammella metastatizza frequentemente anche all’apparato muscolo scheletrico, il colon al fegato, il melanoma all’encefalo. Nel caso dei tumori dei tessuti molli e del sarcoma osteogenetico il polmone è il solo sito di metastasi nel 70% dei casi. Nella maggior parte dei casi le metastasi polmonari si presentano alla periferia del polmone con localizzazione subpleurica, mentre lo sviluppo bronchiale è relativamente poco comune (ad eccezione di melanoma, tumori germinali e carcinoma renale). Il quadro sintomatologico del cancro metastatico polmonare passa di solito in secondo piano rispetto a quello determinato dal tumore primitivo, ma nel 10-20% dei casi la dimostrazione radiologica dell’invasione metastatica del polmone è l’unico segno del tumore, la cui sede d’origine può restare ignota. Le localizzazioni periferiche rimangono asintomatiche anche per lunghi periodi, per poi manifestarsi con dolore toracico di tipo pleuritico o con sintomi causati da PNX o versamento pleurico. Nelle più rare localizzazioni centrali, i sintomi che possono manifestarsi sono quelli da ostruzione bronchiale, tosse ed emoftoe. Le manifestazioni radiologiche vengono suddivise in: - Opacità polmonari multiple: di solito bilaterali (reperto frequente nei carcinomi del rene, della

mammella, del testicolo e della tiroide).

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- Micronodulazione diffusa: compare quasi esclusivamente in corso di metastasi ematogene provenienti da tumori riccamente vascolarizzati, quali il carcinoma renale, della tiroide, l’osteosarcoma, ed il corionepitelioma.

- Linfangite carcinomatosa: è l’espressione dell’invasione maligna dei linfatici polmonari, e si manifesta con una marcata accentuazione del disegno broncovasale. Può associarsi ad una nodulazione, con un aspetto reticolo-nodulare. Possono dare questo quadro tumore della mammella, stomaco, tiroide, pancreas, laringe, e lo stesso K polmonare.

- Opacità solitaria, a moneta: relativamente più rara, solo il 3% di simili opacità è determinato da una metastasi.

14.4.2 TERAPIA CHIRURGICA L’intervento chirurgico di resezione di metastasi polmonari può aver un intento curativo, palliativo o diagnostico. I criteri di selezione per la resezione di metastasi con intento curativo sono i seguenti:

1. Lesione primaria completamente controllata 2. Il tipo istologico del tumore primitivo deve essere conosciuto 3. Le lesioni metastatiche devono essere limitate al polmone 4. Il tumore deve avere un tempo di raddoppiamento lento 5. Tutte le metastasi devono essere resecabili, con un rischio operatorio accettabile e un residuo

funzionale respiratorio adeguato 6. Intervallo libero tra terapia del tumore primitivo e insorgenza delle metastasi accettabile (in

genere almeno >12 mesi) 7. Assenza di valide terapie alternative (chemioterapia)

L’intervento chirurgico deve essere “economico” nel senso di risparmiare più tessuto polmonare possibile. In genere si praticano “wedge resection” o metastasectomie (“precise resection”), più raramente segmentectomie o lobectomie. Si utilizza solitamente la toracotomia/minitoracotomia.!La metastasectomia unica rappresenta un caso particolare perché può esservi il dubbio di un tumore primitivo, dubbio che può restare anche dopo l’exeresi: in questi casi è preferibile una lobectomia ad una resezione limitata.

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15. MESOTELIOMA PLEURICO MALIGNO I tumori pleurici primitivi si dividono in benigni e maligni. Tra i primi vi è il mesotelioma localizzato fibroso, che origina dalla pleura viscerale spesso in forma peduncolata, e la placca pleurica ialina, che origina più spesso dalla pleura perietale costale: queste placche, che non danno gravi manifestazioni cliniche, sono spesso calcifiche e bilaterali. Le neoplasie secondarie sono di gran lunga più comuni, e derivano per via ematica o linfatica dal polmone, dalla mammella e dallo stomaco. Tra i tumori pleurici primitivi assume una particolare rilevanza il mesotelioma pleurico maligno (MPM), perché viene riscontrato clinicamente molto più di frequente rispetto alle altre neoplasie primitive, per la sua refrattarietà alle attuali terapie e per l’associazione all’asbesto.

15.1 EPIDEMIOLOGIA Il MPM è una neoplasia rara, ma la sua incidenza aumenta in alcune aree dal 1950 ad oggi; ciò rispecchia l’esposizione ad asbesto (A), risalente almeno ad alcune decadi fa, e visto che l’utilizzo dell’A è cresciuto dalla seconda guerra mondiale alla fine degli anni ’70, si pensa che l’incidenza di MPM aumenterà ancora per alcuni decenni nei paesi industrializzati. L’incidenza mondiale è di 1-2 per milione ogni anno, ma vi sono notevoli variazioni geografiche, dovute soprattutto alla presenza di cantieristica navale. I casi nei maschi superano di molto quelli nelle femmine. Il lungo periodo di latenza per lo sviluppo del MPM, 30-40 anni, determina una crescita dell’incidenza per almeno un pari numero di anni dall’emanazione di leggi che limitino decisamente l’utilizzo dell’A. In Italia nel periodo 1970-1990 il tasso annuo di mortalità è passato da 0.78 a 1.31 per 100,000 e il numero annuo di decessi da 375 a 826. Tra il 1994 e il 1998, il Registro Mesoteliomi della Liguria, ha registrato 495 nuove diagnosi. L’età media alla diagnosi è di circa 60 anni, anche se sporadici casi sono segnalati in bambini. I lavoratori addetti alla coibentazione, quelli delle miniere e della manifattura dell’A, sono ad alto rischio. Anche le donne che convivono con questi lavoratori sono a rischio, a causa dell’A che si deposita sugli abiti da lavoro. 15. 2 EZIOPATOGENESI Asbesto o amianto (A) è un termine commerciale che designa una serie di fibre minerali resistenti al calore e all’attrito. L’A ha molteplici applicazioni, ma viene utilizzato soprattutto nel settore della cantieristica navale, dell’edilizia e della fabbricazione di tessuti ignifughi. L’esposizione all’A è pericolosa non solo per chi lo manipola direttamente, ma anche per chi soggiorna negli stessi ambienti dove l’A è utilizzato (esposizione paraoccupazionale) e per i conviventi dei lavoratori. L’A liberato dal normale invecchiamento di edifici in cui esso è contenuto è pericoloso per la popolazione generale (esposizione ambientale). Nel 1960 Wagner dimostrò l’associazione tra A e MPM, sulla base dell’esposizione, del riscontro dei corpi dell’A nel polmone e della capacità cancerogena dei vari tipi di A se iniettati nelle cavità sierose di animali. Intorno al 1960 fu anche evidenziata l’associazione dell’A con il mesotelioma peritoneale e pericardico e con il tumore polmonare. La cancerogenicità è legata alla struttura fibrosa dell’A e alle dimensioni dei vari tipi di fibre, in relazione alla capacità di arrivare e permanere in fondo all’albero respiratorio. Le fibre di diametro inferiore a 0.25 µ e di lunghezza maggiore di 8 µ (anfiboli) sono più pericolose delle fibre più corte e più spesse, che tendono invece a dare asbestosi (Figura 1). Le fibre, giunte in fondo all’albero respiratorio, vengono fagocitate dai macrofagi polmonari che però non riescono ad eliminarle, per la conformazione fisica che non consente un inglobamento totale, provocando un’infiammazione e la produzione di radicali liberi. Si è determinato che l’A catalizza la riduzione da H2O2 a OH• altamente reattivo, instabile e tossico, che danneggia la parete cellulare e secondariamente produce anione superossido. L’effetto tossico dell’A sembra essere mediato

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dal contenuto in ferro. Le fibre lunghe di A inducono oltretutto la produzione di citochine e fattori di crescita che promuovono la progressione neoplastica delle cellule mesoteliali determinando mutagenesi e miscoding del DNA mesoteliale. Sporadicamente appaiono tumori mesoteliali dopo radioterapia o infiammazioni croniche. Il MPM è prodotto sperimentalmente da vari agenti: il virus della leucosi aviaria, il dietilstilbestrolo e la sterigmatocistina, un metabolita della muffa; recentemente il virus SV40 inserito nel cavo pleurico di hamster ha provocato MPM. Questi riscontri, e il fatto che 10-30% dei casi non sono associati all’esposizione ad A, implica che fibre non asbestiformi e altri cancerogeni possano avere un ruolo causale. Il fumo non aumenta il rischio di MPM.

15. 3 ANATOMIA PATOLOGICA Nei primi stadi il MPM si presenta come multipli foci prominenti sulla pleura parietale in forma di minuscole vegetazioni o di accumuli circolari; negli stadi successivi, subentra la confluenza dei foci, con incarceramento del polmone in toto e dei singoli lobi. La corazza tumorale è spessa parecchi centimetri, soprattutto alle basi; il cavo pleurico è obliterato, anche se persiste in parte come cisti piene di liquido viscoso. Il MPM ha una citoarchitettura varia, pur se derivato da una singola linea cellulare; può essere: - epiteliale (tubulo papillare ed epitelioide) 50% - sarcomatoide (mesenchimale) o misto 25% - scarsamente differenziato o indifferenziato 25% Il MPM epiteliale si presenta con citoplasma acidofilo e nucleo vescicoloso, le cellule sono colonnari e pleiomorfe; è fortemente analogo all’adenocarcinoma polmonare da cui si differenzia tramite: 1) le mucine epiteliali, 2) l’anatomia macroscopica, 3) il maggior pleiomorfismo nucleare, 4) la presenza di grossi vacuoli citoplasmatici, 5) la presenza di cellule giganti. Il MPM sarcomatoso ha il mesenchima costituito da cellule fusate od ovali, con molteplicità di quadri istologici. Oltre a queste varietà e al MPM misto (bifasico), vi sono la varietà transizionale e la desmoplastica. 15.4 MANIFESTAZIONI CLINICHE E DIAGNOSI L’esordio del MPM è di solito insidioso; una modesta dispnea comunque ingravescente, seguita da dolore toracico sono i sintomi più comuni. Tosse, perdita di peso e astenia tendono a svilupparsi successivamente. Raramente il MPM si presenta con pneumotorace ricorrente o

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ingrossamento dei linfonodi sovraclaveari omolaterali. Il sintomo più penoso, con il progredire della malattia, è il dolore dovuto all’infiltrazione della parete toracica; esso può essere riferito all’addome e alle spalle. In linea di massima, un versamento con dolore in un paziente che abbia avuto esposizione all’asbesto è da considerarsi un MPM fino a prova contraria. L’esame radiografico iniziale mostra versamento pleurico nel 92% dei casi, neoformazione nodulare senza versamento nel 7% e pneumotorace spontaneo nello 0.5% dei casi. La TC conferma la presenza di versamento e solitamente evidenzia la presenza di pleura ispessita e mammellonature (Figura 2). Il liquido pleurico è limpido e vischioso o emorragico alla toracentesi. Contiene un alto numero di cellule mesoteliali, senza aumento dei neutrofili e dei linfociti. Tuttavia, le cellule di MPM si possono riscontrare nel liquido pleurico in solo circa il 50% dei casi. Il versamento è in genere di media entità, ma possono riscontrarsi da subito effusioni massive e recidivanti, tali da richiedere ripetute toracentesi. I versamenti tendono a ridursi nelle fasi più avanzate per il progressivo ispessimento della pleura e l’obliterazione del cavo. Il quadro radiologico evolve abbastanza rapidamente (settimane). L’estensione del tumore si stadia secondo il TNM (Tabella 1) Tabella 1: Estensione del MPM Stadio DESCRIZIONE T1

T1a: Tumore limitato alla pleura omolaterale inclusa quella mediastinica e diaframmatica; la pleura viscerale è indenne T1b: Tumore limitato alla pleura omolaterale, inclusa la mediastinica e diaframmatica, ma con localizzazioni focali anche alla viscerale

T2

Neoplasia che coinvolge tutte le superfici pleuriche (viscerale e parietale) piu’ uno dei seguenti quadri: 1) interessamento del diaframma; 2) tumore infiltrante le scissure o il sottostante parenchima polmonare

T3

Neoplasia localmente avanzata ma potenzialmente asportabile; tumore che coinvolge tutte le superfici pleuriche omolaterali e con almeno uno dei seguenti quadri: 1) coinvolgimento della fascia toracica; 2) estensione al grasso mediastinico; 3) focus solitario di tumore nei tessuti molli della parete toracica; 4) coinvolgimento del pericardio non transmurale

T4

Neoplasia tecnicamente inoperabile; tumore che coinvolge tutte le superfici pleuriche omolaterali e con almeno una delle seguenti caratteristiche: 1) estensione diffusa o con masse multifocali nella parete toracica, con possibile distruzione delle costole; 2) estensione diretta transdiaframmatica nel peritoneo; 3) estensione diretta alla pleura controlaterale; 4) estensione diretta a uno o più organi mediastinici; 5) estensione diretta alla spina dorsale

N0 Non linfonodi N1 Linfonodi peribronchiali o ilari omolaterali N2 Linfonodi mediastinici omolaterali o sottocarenali N3 Linfonodi controlaterali o sovraclaveari M M0 = assenza di metastasi; M1 = presenza di metastasi In stadi avanzati può esserci la retrazione dell’emitorace affetto, con lo spostamento omolaterale degli organi mediastinici. Possono comparire infiltrati tumorali della parete, specie in corrispondenza dell’inserzione di aghi per la toracentesi, di tramiti per la toracoscopia o di cicatrici post-toracotomia. Il MPM si sviluppa localmente, a volte per un lungo periodo di tempo, prima di invadere gli organi circostanti. La progressione dei sintomi verso l’exitus, è comunque legata all’interessamento locale. La diffusione al polmone è in genere solo locale, ma la compromissione funzionale è quasi totale, per la compressione da parte della massa tumorale (polmone incarcerato). La neoformazione può estendersi direttamente al diaframma, al peritoneo, al pericardio, allo spazio pleurico controlaterale o al mediastino. La diffusione alla fascia endotoracica e agli spazi intercostali, si ritrova nel 30-50% dei pazienti sottoposti a procedure diagnostiche o chirurgiche. Metastasi linfo-ematogene a distanza (al fegato, ai surreni, all’intestino, alle ossa e al cervello), sono riscontrate frequentemente all’autopsia, ma danno scarsa evidenza clinica in vita. Le metastasi a distanza sono più frequenti dopo la chirurgia (pleuropneumonectomia). Il riscontro di dita deformate a mazza di tamburo e di osteoartropatia ipertrofica è raro; altrettanto rare sono la flebite, la trombocitosi, l’anemia emolitica e

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l’ipercalcemia. L’ipoglicemia e la secrezione inappropriata di ormone antidiuretico (ADH) e gonadotropine sono sporadiche. Gli aspetti clinico-diagnostici sono riassunti in tabella 2. Tabella 2 Anamnesi: esposizione lavorativa, dispnea ingravescente, calo ponderale marcato Clinica: obiettivita’ di versamento, dispnea, dolore toracico. RX: versamento, lesioni pleuriche ed ispessimento, linfonodi, eventuale interessamento polmonare. TC: versamento, placche, ispessimenti e mammellonature. Interessamento linfonodale Marcatori tumorali: CYFRA, CEA, Ca19-9 Liquido pleurico: presenza di cellule mesoteliomatose (negativo in circa il 50% dei casi) Esami di conferma: agobiopsia, biopsia in toracoscopia; esplorazione chirurgica Figura 2: alcuni quadri di MPM

L’intervallo medio di sopravvivenza è tra i 9 e i 14 mesi, mentre una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è praticamente nulla. Sono comunque fattori prognostici favorevoli l’assenza di calo ponderale e l’integrita’ della pleura viscerale, l’insorgenza dei sintomi oltre 6 mesi dalla diagnosi. La morte è dovuta a progressiva dispnea e insufficienza respiratoria, con notevole perdita di peso e lisi muscolare. 15.5 CENNI DI TERAPIA Per assicurare che la chirurgia sia più radicale possibile, la resezione deve includere la pleura (allo stadio 1a) e il polmone (stadio 1b, 2, 3) e in molti casi il diaframma, il pericardio e una porzione della parete toracica. La pleuropneumonectomia è un intervento demolitivo, con un alto rischio intraoperatorio e sopravvivenza a 5 anni minore dell’11%. La sopravvivenza media è sovrapponibile per la pleuropneumonectomia e per la pleurectomia, che risulta dunque preferibile. I risultati della RXterapia sono scarsi, ma è efficace come palliativo per sedare il dolore dovuto all’estensione della neoplasia alla parete toracica e alle costole ed è utilizzata soprattutto come profilassi per impedire la gemmazione neoplastica dopo esami diagnostici invasivi. Con la chemioterapia la risposta e’ 20-60%, ma la sopravvivenza non varia. La pleurodesi è da utlizzare nei pazienti con ricorrenti versamenti pleurici, che procurano dispnea e

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richiedono ripetute toracentesi. La pleurodesi (unione della pleura parietale al polmone) si effettua spruzzando in toracoscopia talco sterile nel cavo pleurico il quale provoca pleurodesi permanente. L’inoculazione di IL-2 (immunoterapia intrapleurica) ha dato nell’uomo risultati molto promettenti. Dopo le procedure diagnostiche è raccomandata la radioterapia profilattica locale per impedire la diffusione alla parete toracica o a siti secondari. Se la neoplasia è ancora intrapleurica (stadio 1 e 1a), si applica l’immunoterapia intrapleurica. In pazienti allo stadio 2 e 3 nessun trattamento ha mostrato un’efficacia migliore degli altri, pertanto si può procedere con un trattamento palliativo o con un approccio multimodale (chirurgia radicale, radio e chemioterapia) il cui risultato dipende dalla radicalità dell’intervento. Nello stadio 4 si tende a praticare solo un trattamento conservativo e palliativo, mirato a lenire il dolore e la dispnea. 15.6 TUMORI BENIGNI DELLA PLEURA Tra i tumori benigni (abbastanza rari) il più frequente è il fibroma sottomesoteliale (o mesotelioma fibroso localizzato). Questo tumore non è associato all’esposizione all’asbesto, è più frequente nelle donne rispetto agli uomini e ha un picco d’incidenza tra la 6° e la 7° decade di vita. Di solito è una neoformazione unica, capsulata, della pleura viscerale o parietale, che insorge nel connettivo subpleurico e tende a protrudere negli spazi pleurici come una masserella peduncolata. La maggior parte dei pazienti sono asintomatici (70%). I sintomi più comuni sono: tosse (15%), dolore toracico (30%), dispnea (5%), febbre (3%), versamento pleurico (15%), ippocratismo digitale (4%), ipoglicemia (7%),correlata alla secrezione di un peptide insulino simile. La diagnosi è di solito casuale a seguito di una radiografia del torace o di una TC eseguita per altri motivi. La terapia è chirurgica e una exeresi completa offre una cura radicale. Lipomi, endoteliomi, angiomi e cisti sono tumori rari. La maggior parte di questi nasce dai tessuti subpleurici più che dalla pleura stessa. I lipomi alla TC torace hanno l’aspetto di una massa liscia ben definita appoggiata contro la parete toracica, mentre le cisti pleuriche prediligono l’angolo pleuropericardico. Sono tumori quasi sempre asintomatici e vengono resecati in toracoscopia videoassistita ottenendo in questo modo diagnosi e cura. 15.7 TUMORI METASTATICI I tumori metastatici della pleura sono assai più frequenti di quelli primitivi; metastasi per via ematogena o linfatica (tumori maligni della mammella, dell’ovaio, del tubo gastroenterico), metastasi per contiguità (tumori del polmone) o infine che insorgono a livello pleurico in seguito ad arresto del drenaggio linfatico toracico per metastasi linfonodali mediastiniche. La manifestazione clinica più frequente è il versamento pleurico, evidenziabile all’esame radiografico del torace, di solito siero-emorragico, recidivante dopo toracentesi. Diagnostica è la ricerca delle cellule neoplastiche nel liquido raccolto con la toracentesi. La terapia è essenzialmente sintomatica. Drenaggio o pleurodesi chirurgica sono indicati per diminuire la dispnea indotta dal versamento.

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16. GRANULOMATOSI POLMONARI Le granulomatosi polmonari costituiscono un gruppo assai eterogeneo di malattie accomunate dalla formazione di granulomi, che vengono classificate e suddivise in maniera diversa dai diversi autori. Tabella 1 riporta una delle possibili classificazioni. Spesso, le granulomatosi polmonari vengono incluse nel capitolo delle eosinofilie polmonari o delle vasculiti, poiché molte di esse in effetti hanno tali caratteristiche. A rigor di logica dovrebbero far parte delle granulomatosi anche la TBC e la sarcoidosi, che però vengono sempre trattate a parte. Senza addentrarci nei problemi classificativi, tratteremo qui di seguito le più importanti malattie granulomatose del polmone, facendo anche cenno al coinvolgimento polmonare nelle malattie autoimmunitarie sistemiche.

16.1 VASCULITI AD INTERESSAMENTO POLMONARE Le vasculiti in generale sono malattie immunopatologiche in cui il danno è limitato o prevalente a carico dei vasi. Ogni tipo di vasculite colpisce preferenzialmente determinati vasi (grandi arterie o vene o capillari) e interessa la parete vasale a tutto spessore oppure solo in parte. In quasi tutte le vasculiti si formano granulomi, spesso necrotizzanti (da qui il nome di granulomatosi). Il meccanismo patogenetico piu’ frequente e predominante è la formazione di immunocomplessi che si impiantano sulla parete vasale: gli immunocomplessi attivano il complemento, l’immunita’ cellulo-mediata e le reazioni citolitiche. Alcune vasculiti danno prevalente interessamento dei vasi polmonari o dell’apparato respiratorio in genere, tanto che vengono spesso considerate come vere e proprie malattie polmonari. 16.1.1 Granulomatosi allergica di Churg-Strauss. E’ una vasculite necrotizzante dei piccoli-medi vasi, che coinvolge indifferentemente le arterie e le vene e interessa prevalentemente l’apparato respiratorio. La sua caratteristica distintiva è la intensa eosinofilia periferica (da qui il nome) e tissutale (ben osservabile anche nei bronchi). I

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vasi sono interessati a tutto spessore da granulomi destruenti. Esordisce solitamente come rinite o con poliposi nasale a cui fa seguito a variabile distanza di tempo un’asma severa e difficilmente controllabile con la terapia (figura 1). A seguito dell’apparato respiratorio che è quasi sempre il primo ad essere coinvolto, la malattia colpisce i reni (insufficienza renale) ed i vasi cronarici (infarti). Durante l’evoluzione interessa anche i nervi periferici con mono e polinevriti fino alla paralisi o paresi di gruppi muscolari. A livello polmonare si possono avere anche tosse, emottisi, infiltrati polmonari multipli con febbre. In circa il 75% dei casi sono positivi gli anticorpi p-ANCA. La s. di Churg Strass andrebbe sospettata nelle forme di asma grave e refrattaria con intensa eosinofilia periferica e bronchiale. La diagnosi di certezza si ha solo con la dimostrazione del tipico granuloma eosinofilo. L’unica terapia efficace è quella steroidea sistemica e con immunosoppressori.

16.1.2 Granulomatosi di Wegener. E’ anch’essa una vasculite dei medi piccoli vasi, necrotizzante. Non è presente il corteo sintomatologico asma/rinite e non vi è eosinofilia periferica, mentre è comune la lesione renale. La malattia esordisce di solito nelle vie aeree superiori con sinusite cronica purulenta, perforazione del setto, otite media. A carico del polmone si hanno tosse, emottisi, infiltrati polmonari multipli ed è sempre presente la sintomatologia sistemica, compresa l’insufficienza renale o la sindrome nefritica. Esiste anche una forma circoscritta in cui non vi è lesione renali. La diagnosi di certezza è bioptica. Nelle altre vasculiti l’interessamento polmonare è comunque poco rilevante rispetto alla sintomatologia sistemica 16.1.3 Sindrome di Goodpasture E’ una forma particolare di malattia autoimmune in cui sono prodotti autoanticorpi IgM diretti esclusivamente contro il collagene di tipo IV della membrana basale capillare. Poichè il rene ed il polmone sono di gran lunga i piu’ colpiti, la S. di Goodpasture viene alternativamente inclusa nelle glomerulonefriti o nelle malattie polmonari. Il danno vascolare polmonare compare quasi invariabilmente prima di quello renale e si manifesta con emottisi ricorrenti e spesso massive, che possono essere accompagnate da febbre e tosse: coesiste comunque sempre lo screzio renale

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da glomerulonefrite. La diagnosi di certezza si ha solo con l’immunoistochimica della biopsia renale o polmonare. 16.2 INTERESSAMENTO POLMONARE NELLE MALATTIE DEL CONNETTIVO Le malattie del connettivo sono patologie autoimmuni in cui la formazione di svariati autoanticorpi provoca danni d’organo con necrosi fibrinoide del collageno. E’ presente una attivazione patologica del sistema immunitario e una alterata regolazione della risposta immunitaria cellulare. Essendo il polmone ricco di tutti i tipi di collageno e dotato di un amplissima rete vascolare capillare, esso è frequentemente interessato in corso di connettivopatie. Ognuna delle connettivopatie da’ origine ad alcuni tipi preferenziali di manifestazione pleuropolmonare (tabella 2) e puo’ anche accadere che il quadro polmonare sia la manifestazione di esordio della malattia sistemica, altrimenti misconosciuta. Peraltro, pressochè tutte le connettiviti (tranne forse la S.di Sjogren), tendono ad evolvere lentamente verso la fibrosi interstiziale diffusa e a instaurare una ipertensione polmonare. La pleurite è forse la manifestazione acuta piu’ frequente: solitamente è secca e fibrinosa o con scarso versamento; si manifesta pertanto con il tipico dolore pleurico e con gli sfregamenti. Si possono formare aderenze, ispessimenti e pinzettature pleuriche soprattutto alle basi. La fibrosi polmonare si presenta con il classico interessamento diffuso dell’interstizio (quadro radiologico a vetro smerigliato, fibronodulare o a nido d’ape) e una sindrome di insufficienza ventilatoria restrittiva. Alcuni quadri patologici sono invece abbastanza tipici, come ad esempio la polmonite lupica (LES), i noduli reumatoidi (identici a quelli sottocutanei dell’artrite reumatoide), l’insufficienza respiratoria da deficit muscolare (polimiosite) e la bronchite atrofica da iposecrezione mucosa (Sjogren). Per la clinica e la diagnostica dettagliata delle connettivopatie si rimanda ai testi specialistici di immunologia o di medicina interna. Tabella 2 MALATTIA QUADRI POLMONARI ELEMENTI DI DIAGNOSI LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO

Pleurite (e pericardite) Polmonite lupica Fibrosi interstiziale Atelettasie Vasculite tromboembolica, emorragie, ipertens. polmonare.

Ab anti dsDNA Ab anti RNP ENA a vario titolo e positivita’ ↑ IC circolanti ↓ C3 e C4

ARTRITE REUMATOIDE

Pleurite Noduli reumatoidi Fibrosi interstiziale Ipertensione polmonare

Fatt.reumatoide (RA test, reaz. Di Waaler-Rose). ↑ IC circolanti

SCLEROSI SISTEMICA PROGRESSIVA

Fibrosi interstiziale diffusa Fibrosi con evoluzione cistica Polmonite ab ingestis (da esofagopatia)

Ab SCL70, Ab anticentromero, Ab anti muscolo liscio

POLIMIOSITE/ DERMATO-MIOSITE

Insuff. Respiratoria da deficit dei muscoli striati Fibrosi interstiziale

↑ GOT, GPT, CPK, aldolasi

S. DI SJOGREN Bronchite atrofica Bronchiectasie

Fatt. reumatoide, anti SSa/SSb, FAN

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16.3 ASPERGILLOSI BRONCOPOLMONARE Anche in questo caso, l’inserimento dell’aspergillosi tra le granulomatosi può essere discutibile trattandosi di una patologia di tipo infettivo, ma le sue caratteristiche immunologiche e cliniche la pongono per tradizione tra le granulomatosi. L’aspergillo (Aspergillus fumigatus, niger, flavus) è un saprofita resistente alla fagocitosi ed angioinvasivo che cresce bene a 37 gradi. Può causare malattia in due modi (fig 2): o tramite i suoi antigeni e quindi provocare una classica asma allergica IgE mediata o un’alveolite allergica estrinseca, oppure colonizzando i polmoni e proliferando all’interno di essi. Quest’ultimo caso è quello che si manifesta come malattia granulomatosa con varie caratteristiche. L’aspergillosi broncopolmonare (impripriamente detta allergica) è dovuta appunto alla colonizzazione bronchiale da aspergilo, che evoca una intensa risposta cellulare e umorale (IgE, IgG). Si formano granulomi bronchiali, bronchiectasie e focolai di vera e propria polmonite eosinofila. La malattia evolve tra fasi acute (tosse, febbre, espettorazione di tappi brunastri, emottisi, infiltrati polmonari all’RX del torace) e fasi di quiescenza in cui può residuare solo una “tipica” asma allergica. Nell’aspergillosi polmonare solitamente gli eosinofili periferici sono molto elevati e così pure le IgE totali. La diagnosi di certezza si fa dimostrando le ife fungine nell’escreato o nel broncolavaggio. A conferma della particolarità della malattia, gli antimicotici sono solitamente inefficaci e l’unica terapia che funziona sono gli steroidi sistemici. L’aspergillo può anche formare dei veri e propri conglomerati voluminosi (micetomi) su bronchi sani, ma più di frequente all’interno di caverne, cisti o bronchiectasie. In tal caso, alla sintomatologia sopra descritta potranno essere associati segni dovuti all’espansione della massa fungina. La terapia dell’aspergilloma è chirurgica. Nei soggetti immunodepressi si può avere la gravissima forma di aspergillosi disseminata invasiva che conduce ad una polmonite necrotizzante.

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16.4 ALTRE GRANULOMATOSI 16.4.1 Sindrome di Loffler E’ caratterizzata da infiltrati polmonari nodulari (di solito eosinofili) fugaci e migranti, con febbre e broncospasmo acuto. L’eziologia non è nota ed il termine serve spesso da contenitore per patologie non meglio definite. La S. di Loffler si manifesta tipicamente in corso di altre malattie eosinofile come il granuloma eosinofilo del polmone (eziologia sconosciuta) o aspergillosi broncopolmonare. In questo ultimo caso la diagnosi si fa con il lavaggio broncoalveolare, la coltura dell’escreato ed il rilievo di precipitine. Alla radiografia si osservano addensamenti nodulari sfumati che cambiano aspetto e sede nel giro di pochi giorni. 16.4.2 Istiocitosi X Sono malattie granulomatose croniche sistemiche ad eziologia sconosciuta; nel granuloma predominano gli istiociti (tipo Langerhans) commisti a linfociti e neutrofili. Colpiscono praticamente tutti i tessuti. Esordiscono nella 2-4 decade di vita, spesso con segni neurologici tipo il diabete insipido o con lesioni ossee o con tosse, dispnea ed emottisi. Nel caso di interessamento polmonare si osservano dapprima multiple nodulazioni e poi col progredire della malattia un quadro di fibrosi interstiziale. Le PFR mostrano un aspetto restrittivo o misto e riduzione della DLCO. Per tradizione, le istiocitosi X comprendono il granuloma eosinofilo, la sindrome di Abt-Letterer-Siwe e la sindrome di Hand-Schuller-Christian

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17. FIBROSI INTERSTIZIALI DIFFUSE (INTERSTIZIOPATIE POLMONARI DIFFUSE) 17.1 DEFINIZIONE E NOSOGRAFIA Rappresentano di solito l’evoluzione anatomopatologica terminale di svariate patologie o cause di danno (Tabella 1); infatti la FID si ritrova citata come possibile complicazione o esito di molte patologie differenti tra loro. Solo la forma idiopatica, per definizione rappresenta una malattia a se stante e verra’ descritta a parte. Tabella 16.1 CAUSE DI FIBROSI POLMONARI DIFFUSE O MALATTIE CHE POSSONO EVOLVERE IN TAL SENSO _______________________________________________________________________________________ • Agenti fisici e tossici - Radiazioni ionizzanti - Veleni (paraquat, lacche, solventi) - Tossicita’ da ossigeno puro - Uremia • Farmaci - amiodarone - nitrofurantoina - penicillamina, sali d’oro - metisergide - citotossici (bleomicina, mostarde azotate) • Malattie immunologiche - Collagenopatie (LES, Artrite reumatoide, Sclerodermia) - Vasculiti (Churg-Strauss, Wegener) - S. di Goodpasture • Infettive (TBC, Cytomegalovirus, Pneumocystis) • Pneumoconiosi (silice, berillio, asbesto) • Alveoliti allergiche estrinseche • Sarcoidosi • Istiocitosi X • Congenite - Facomatosi (Sturge-Weber, neurofibromatosi, sclerosi tuberosa, linfangioleiomiomatosi) - Tesaurismosi (sfingolipidosi, glicogenosi) _________________________________________________________________________ 17.2 ANATOMIA PATOLOGICA

Il processo iniziale e’ verosimilmente sempre una alveolite (qualunque sia la causa), con ispessimento delle pareti alveolari, attivazione dei macrofagi e rilascio di enzimi litici che danneggiano poi lentamente l’interstizio. Caratteristica comune e’ quindi l’ispessimento delle pareti alveolari. Sono spesso presenti cellule giganti negli alveoli (di derivazione macrofagica). Tale reperto ha ingenerato il nome di alveolite desquamativa. Sono aumentati in numero assoluto i neutrofili e i macrofagi che sono sempre attivati. Sono presenti eosinofili, linfociti organizzati in centri germinativi e immunocomplessi di IgG. SI suppone che un antigene ignoto, mediante formazione di IC attivi i macrofagi che richiamano in sito anche i neutrofili. Queste cellule ed i linfociti T attivati producono citochine che attivano i fibroblasti e conducono alla deposizione di collagene. Una classificazione anatomopatologica di gravita’ e’ quella in stadi di Livingstone: I: solo ispessimento degli alveoli, che sono liberi II: presenza di essudato e/o cellule negli alveoli, con architettura conservata III: distruzione degli alveoli ma bronchioli respiratori ancora riconoscibili IV: fibrosi diffusa; sono ancora riconoscibili le cellule muscolari lisce V: completo sovvertimento del parenchima con spazi cistici e fibrosi.

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Secondo la causa che la genera e dell’evoluzione, si possono riconoscere alcuni caratteri distintivi; per esempio, nelle forme autoimmuni o infettive da virus predominano i linfociti (Lymphocytary Interstitial Pneumonia, LIP), mentre nelle forme da polveri inorganiche predominano cellule giganti tipo Langhans (Giant-cell Interstitial Pneumonia, GIP). In alcuni casi, che sono i piu’ gravi, predomina la fibrosi diffusa con deposizione abbondante di collagene e distruzione dell’architettura; in altri casi, che spesso rispondono alla terapia costicosteroidea, predomina l’infiammazione attiva, con numerose cellule, spesso distribuite in focolai isolati. Quale che sia la causa, il polmone fibrotico è rigido, contiene meno aria ed ha l’interstizio ispessito, quindi sia la ventilazione propriamente detta che lo scambio dei gas alveolare sono sempre compromesse in maniera profonda. 17.3 CLINICA E DIAGNOSTICA Ogni fibrosi polmonare ha un suo aspetto clinico, caratteristico della malattia che la produce, tranne che per la forma idiopatica. L’evoluzione in fibrosi rappresenta una complicanza, e di solito la malattia e’ gia’ stata diagnosticata. Solo in casi meno numerosi (da farmaci, da radiazioni), la fibrosi polmonare esordisce come tale e allora solo l’anamnesi puo’ indirizzare all’eziologia. I sintomi generali comuni sono: la dispnea/tachipnea (prima sotto sforzo, poi sempre piu’ grave), ma solitamente senza uso dei muscoli accessori e la tosse secca. La febbre e’ incostante e puo’ associarsi calo ponderale Le dita a bacchetta di tamburo sono un reperto frequente ma solo nelle forme a lenta evoluzione e di lunga durata. Si ascoltano rantoli crepitanti dapprima alle basi e poi diffusi, oppure indebolimento del murmure e tachipnea. Un reperto abbastanza tipico della fibrosi polmonare è l’ascoltazione di un particolare rumore detto “crackle” ed impropriamente tradotto come crepitio (o rumore di velcro). Nelle fasi avanzate la dispnea e' la regola e si instaura un cuore polmonare cronico. L’RX torace mostra vari quadri che vanno dalle minime alterazioni interstiziali nelle fasi iniziali al polmone a vetro smerigliato o a nido d’ape (honeycomb lung) nelle forme avanzate (Figura). Tra i due estremi si possono trovare opacita’ confluenti a tipo broncopolmonite o ingrandimento ilare o nodulazioni fini. Le PFR mostrano precocemente alterata diffusione della CO, ma poi invariabilmente un quadro di tipo restrittivo quasi puro, con globale riduzione di tutti i volumi polmonari. L‘EGA mostra un quadro di ipossiemia, che progredisce più o meno rapidamente fino all’ipercapnia e all’insufficienza respiratoria grave. Il BAL, con un aumento del numero assoluto di neutrofili e macrofagi puo’ supportare la diagnosi ma non e’ mai dirimente di per se, così come la scintigrafia col Gallio. Principale diagnosi differenziale del quadro radiografico è la linfangite carcinomatosa. Esame dirimente e’ la biopsia, che dovrebbe essere eseguita in videotoracoscopia o a cielo aperto. Infatti le biopsie transbronchiali in corso di broncoscopia forniscono di rado materiale sufficiente per la diagnosi. Data la predominanza delle forme secondarie, l’anamnesi e’ sempre fondamentale. Dal punto di vista pratico, quando ci si trova in presenza di un quadro clinico ed RX di fibrosi interstiziale diffusa, occorre cominciare con l’escludere le cause note (elencate in tabella 1) e solo in assenza di una ragione conosciuta etichettare la fibrosi come idiopatica . 17.4 FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA (Alveolite fibrosante criptogenetica) Venne descritta per la prima volta da Hamman e Rich come malattia rapidamente progressiva ed infatti l’eponimo è rimasto per anni ad indicare genericamente tale malattia. Attualmente si preferisce usare il termine di FPI o alveolite fibrosante criptogenetica riservando l’eponimo Hammann-Rich alla sola forma rapidamente progressiva. La prevalenza si aggira su 3-5/100.000. La classificazione è sempre stata complessa. Per esempio si parla ancora di polmonite interstiziale desquamativa (DIP, desquamative interstitial pneumonia) o di

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bronchiolite obliterante ostruttiva (BOOP, bronchiolitis obliterans-obstructive pneumonia). Attualmente si usa la classificazione di Katzenstein-Myers (1998). Classificazione della fibrosi polmonare idiopatica NOME ANATOMIA. PATOLOGICA USUAL INTERSTITIAL PNEUMONIA (UIP)

Alterazioni sparse e a vario stadio di evoluzione; modesta infiammazione e scarsa cellularita’

RESPIRATORY BRONCHIOLITIS INTERST. LUNG DISEASE (RBILD)

Quadro uniforme e diffuso. Predominano i macrofagi e neutrofili attorno ai bronchioli

ACUTE INTERST. PNEUMONIA (AIP, Hamman-Rich)

Quadro uniforme. Predominano i fibroblasti in attiva proliferazione con collageno poco organizzato. Microtrombi e sostanza ialina

NONSPECIFIC INTERSTITIAL PNEUMONIA (NSIP)

Prevalentemente infiammatoria, ad alta cellularita’ e senza nessuna delle caratteristiche precedenti.

La FPI esordisce sempre nell’eta’ adulta, con dispnea ingravescente, tosse secca (talvolta emottisi, ipertensione polmonare, in assenza di elementi anamnestici di rilievo o suggestivi. La diagnosi di certezza puo’ essere fatta solo con biopsia a cielo aperto. La sopravvivenza media e’ intorno ai 6-7 anni. Se la terapia medica non e’ di beneficio, l’indicazione al trapianto polmonare diventa prioritaria. 17.5 CENNI DI TERAPIA Nelle forme secondarie ad esposizione di polveri organiche ed inorganiche, agenti tossici, citostatici o farmaci, l’eliminazione dell’agente causale e’ sufficiente se il danno non e’ ormai in fase avanzata e comunque obbligatoria. La terapia di scelta e’ lo steroide sistemico (0.5-1 mg/kg/die di prednisone per 2-3 mesi) monitorando la clinica, la radiologia ed i parametri di funzionalita’. In caso di risposta buona si scala la dose a quella minima efficace a mantenere una buona funzionalita’ respiratoria. Se la risposta e’ insoddisfacente si possono utilizzare farmaci l’azatioprina e il metotrexato, ma la letteratura in tal senso non è conclusiva. I pazienti con FP che non rispondano alla terapia medica sono candidati al trapianto polmonare. Alcuni quadri radiografici di fibrosi diffusa

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18. BRONCHIECTASIE E SINDROME BRONCHIECTASICA 18.1 ASPETTI GENERALI La bronchiectasia è una dilatazione di un tratto circoscritto delle vie aeree con alterazione a tutto spessore ed irreversibile della parete del bronco. Il termine bronchiectasia è una descrizione strettamente anatomopatologica, o quantomeno morfologica derivata dalla diagnostica per immagini ed è imporante ricordare che le bronchiectasie non sono una malattia a sé stante, ma il risultato di malattie congenite o acquisite che alterano la parete del bronco . Quello che si osserva nel paziente è il quadro clinico della sindrome bronchiectasica, estremamente aspecifica, che può far sospettare la sottostante esistenza dell’alterazione “bronchiectasia”. In linea di massima, le bronchiectasie insorgono tanto più facilmente quanto meno la struttura del bronco è rigida. Peranto, i grossi bronchi (lobari, segmentari, subsegmentari) difficilmente vanno in contro a sfiancamento bronchiectasico della parete. 18. 2 EZIOLOGIA E PATOGENESI Le bronchiectasie hanno come base una malattia di natura congenita o primitiva solo in una minoranza dei casi. Più comunemente rappresentano il danno anatomico conseguente a malattie infiammatorie o infettive. Per convenzione la classificazione le definisce congenite o acquisite (tabella 1). Tab 1 Classificazione delle bronchiectasie (in rosso le più comuni) “CONGENITE” Conseguenti a malattie congenite

“ACQUISITE”

Da malformazioni broncopolmonari Mounier-Kuhn (tracheobroncomalacia) Williams-Campbell (acondrogenesi) Sequestro polmonare Malattia cistica del polmone (cisti broncogene)

Da cause infettive TBC Infezioni batteriche (pseudomonas, klebsiella, pneumococco, stafilococco, mycoplasma) e fungine (aspergillo, istoplasma, pneumocystis). Infezioni ricorrenti nel BPCO Fibrosi cistica

Deficit di alfa1 antitripsina Da cause infiammatorie non infettive Sarcoidosi Berilliosi M.di Crohn S.di Sjogren Polmoniti ab ingestis e tossiche

Discinesie ciliari primitive Variante kartagener Variante Young Immunodeficienze Deficit selettivo di IgA ID comune variabile ID X-linked Malattia granulomatosa cronica (CGD) Nelle forme da malattie congenite solitamente si ha ristagno del muco e/o colonizzazione da parte di patogeni. Nelle forme acquisite la parete del bronco viene infiltrata e retratta da processi infiammatori extrabronchiali o si sfianca per ripetute e croniche infezioni interne. Per tale motivo ad esempio la TBC, che è cronica e di lunga durata, spesso esita in bronchiectasie. Anche i pazienti con BPCO, che vanno incontro a infezioni ricorrenti (anche subcliniche), spesso sviluppano bronchiectasie. Lo stesso accade nei pazienti che vanno incontro a ripetute polmoniti chimiche ab ingestis. Quello che importa è che il danno infiammatorio/infettivo deve essere o molto intenso o molto prolungato. La dilatazione permanente di un bronco puo’ quindi prodursi o perché primitivamente il muco ristagna a lungo e si infetta (come nella mucoviscidosi o nelle discinesie ciliari), o perché primitivamente si sfianca la parete (come nelle forme infettive o infiammatorie). Quale che sia il primum movens, sfiancamento e ristagno di muco vanno poi di pari passo e si peggiorano reciprocamente in un circolo vizioso (figura 1). In pratica, segmenti bronchiali si sfiancano e si

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dilatano in varia misura: le dilatazioni favoriscono il ristagno delle secrezioni e l’impianto di patogeni, rendendo cosi’ il processo cronico. Le bronchiectasie conseguenti a processi infiammatori si localizzano ovviamente nelle sole parti di polmone colpito, mentre nelle forme congenite (come la mucoviscidosi o le immunodeficienze) esse sono omogeneamente distribuite nei due polmoni. La parete bronchiale puo’ essere assottigliata o ispessita e le cellule caliciformi sono iperplastiche. L’epitelio puo’ anche essere conservato, ma spesso la mucosa è ipervascolarizzata, infiammata e fragile; sono presenti dilatazioni pseudoaneurismatiche dei vasi. Le cellule muscolari lisce e le fibre elastiche sono pressochè assenti o scompaginate. A seconda della forma si distinguono bronchiectasie cilindriche (uniformi dilatazioni di tratti bronchiali a tutta circonferenza) che sono piu’ frequenti nel bambino e bronchiectasie sacciformi (irregolari, a corona di rosario o ad aspetto varicoso). 18.3 FIBROSI CISTICA (mucoviscidosi) E’ la malattia ereditaria letale più frequente nei bianchi (incidenza stimata 1/2500 nati vivi). Si trasmette come malattia autosomica recessiva e quindi è clinicamente conclamata nell’omozigote. Il difetto è del gene CFTR (cystic fibrosis transmembrane-conductance regulator), sito sul braccio lungo del cromosoma 7. Il gene codifica per una proteina transmembrana deputata al trasporto degli ioni. Il deficit funzionale è nel riassorbimento degli ioni Cl+ dalla parte apicale delle cellule esocrine e conduce in ultima analisi a secrezioni anormalmente viscose e dense. Tale difetto si manifesta in tutte le ghiandole esocrine: sudoripare, mucipare caliciformi, pancreatiche, intestinali ecc. Oltre al polmone, interessato nel 100% dei casi, sono colpiti il pancreas nel 90% dei casi (insuff. pancreatica e malassorbimento), l’apparato riproduttivo nel 95% dei casi (infertilità), ed il fegato (20% dei casi).

Reclutamento di granulociti neutrofili

Ristagno di

secrezioni

Infezione Batterica

Rilascio di enzimi litici

Lesione della parete

bronchiale

Lesione della parete

bronchiale Danno

de l l ’ ep i t e l io c i l iare

Bronchiectasie

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La fibrosi cistica si manifesta chiaramente a livello respiratorio, dove le secrezioni dense non possono essere rimosse dalla clearance mucociliare e ristagnano, favorendo le sovrinfezioni e le bronchiectasie. La malattia è solitamente diagnosticata alla nascita mediante il test del sudore (concentrazione di Cl+ nel sudore > 60mEq/L) in base ai gravi problemi di malnutrizione, di ritardo della crescita e di infezioni respiratorie ricorrenti. Attualmente la sopravvivenza a 15 anni è di circa il 70% e la sopravvivenza mediana è intorno ai 30 anni. Nell’adulto si osservano quindi infezioni ricorrenti dovute ai piu’ svariati patogeni (stafilococchi, streptococchi, gram-, aspergilli, candida) e la formazione di bronchiectasie diffuse nonchè di asma bronchiale. Un reperto di rantoli a grosse-medie bolle è la norma nei soggetti adulti, cosi’ come la tosse produttiva, mentre l’evoluzione in fibrosi diffusa è rara. Il trattamento è essenzialmente fisioterapico ed i mucolitici possono essere di giovamento. 18.4 DISCINESIE CILIARI PRIMITIVE Patologie in cui è alterata la struttura, la mobilità o l’orientamento ciliare. Sono solitamente autosomiche recessive. L’associazione di bronchiectasie+sinusite+situs viscerum inversus configura la variante Kartagener. L’incidenza nei paesi industrializzati è di circa 1/50.000, con punte di 1/10.000 nei giapponesi. La diagnosi si fa con il semplice test alla saccarina (consiste nel porre un po’ di saccarina nella parte anteriore delle narici e vedere quando viene percepito il sapore dolce alla base della lingua) e con lo studio al microscopio elettronico della struttura ciliare. La manifestazione più frequente di queste sindromi (oltre alle eventuali malformazioni associate) sono le infezioni ricorrenti dell’apparato respiratorio con conseguente formazione di bronchiectasie diffuse. 18.5 ASPETTI CLINICI Indipendentemente dall’eziologia, le bronchiectasie hanno un quadro clinico uniforme. Cio’ è dovuto al fatto che le dilatazioni bronchiali fanno ristagnare il muco, si infettano facilmente e possono sanguinare a causa della fragilita’ mucosa e della varicosita’ vascolare. Le manifestazioni principali sono pertanto: - tosse, solitamente produttiva e che si manifesta magari accessualmente col cambiamento di

posizione allorchè le raccolte si versano nei bronchi. - espettorazione, abbondante e spesso purulenta (se la bronchiectasia è infetta); il drenaggio di

grandi quantita’ di secrezioni ristagnanti configura il quadro della vomica. - emoftoe o emottisi dovuta alla rottura dei vasi bronchiali. Nelle bronchiectasie non

sovrinfettate, l’emottisi o l’emoftoe possono anche essere l’unica manifestazione La febbre di tipo settico compare solo quando sono presenti sovrinfezioni batteriche, mentre più comunemente si tratta di febbricola. La dispnea vera e propria è rara perchè la ventilazione viene difficilmente compromessa dalle bronchiectasie di per se. Se le bronchiectasie sono numerose e diffuse ed’ è presente infezione o flogosi attiva cronica si puo’ manifestare una anemia normocromica normocitica. In soggetti con infezione cronica da gram-negativi è possibile percepire alito fetido. Il decorso della sindrome bronchiectasica dell’adulto è solitamente benigno, ma il paziente è ovviamente esposto ad un maggior rischio di infezioni (polmonite e broncopolmonite); le emottisi massive pericolose per la vita sono rare. 18.6 DIAGNOSTICA Il paziente con sindrome bronchiectasica si rivolge di solito al medico per la tosse e per l’emoftoe/emottisi. L’anamnesi è fondamentale per individuare eventuali pregresse infezioni acute e di notevole gravità o la presenza di malattie croniche. All’esame obiettivo si reperiscono di solito rantoli a grosse e medie bolle, modificabili con la tosse, che si ascoltano sempre in corrispondenza dell’area interessata. Nelle bronchiectasie massive si possono avere aree di ipofonesi e di aumentato fremito vocale. Essendo le bronchiectasie un danno anatomico

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permanente, i reperti obiettivi possono variare di intensita’ nello stesso paziente, ma non scompaiono mai del tutto. Le PFR sono solitamente normali (se non coesistono altre patologie) e cosi’ pure l’EGA. L’esame dell’escreato puo’ essere utile per individuare eventuali sovrapposizioni batteriche e per escludere comunque la presenza di micobatteri. La radiografia del torace è solitamente negativa; si possono osservare, ma solo in caso di lesioni massive, una peribronchite, immagini a binario o un aumento della trama interstiziale localizzata o addensamenti o ispessimenti pleurici. Esame di elezione è la TC del torace. La TC, meglio se ad alta risoluzione, fornisce infatti la diagnosi dirimente e consente di visualizzare direttamente le ectasie (Figura 2). La broncoscopia permette di visualizzare direttamente solo le bronchiectasie di maggior calibro e quindi non è mai esame di prima scelta. È utile solo per prelevare campioni di secrezioni per la ricerca dei microrganismi in corso di infezioni resistenti e per individuare la sede di eventuali sanguinamenti. Solo in casi selezionatissimi, in vista di un intervento (per valutare l’entita’ e la distribuzione di bronchiectasie limitate a singole zone), si può praticare la broncografia con mezzo di contrasto. Figura 2: bronchiecatsie bilaterali

18.7 CENNI DI TERAPIA La terapia si basa sul drenaggio assiduo delle secrezioni ristagnanti (fisioterapia), sull’uso dei fluidificanti e mucolitici. Gli antibiotici devono essere utilizzati solo in presenza di accertata infezione ed in maniera estremamente mirata (esame colturale ed antibiogramma). La terapia chirurgica (exeresi della zona colpita) è riservata ovviamente alle sole forme localizzate e dopo attenta valutazione del rischio e del beneficio atteso.

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19. POLMONE E PATOLOGIA CARDIOCIRCOLATORIA Il polmone, dotato di un estesissimo letto vascolare, costituisce una parte rilevante dell’apparato cardiocircolatorio. Normalmente il letto vascolare polmonare è a bassa resistenza e a bassa pressione (non supera in arteria polmonare i 15 cmH20); pertanto il cuore destro smaltisce con facilità il sangue refluo dalla periferia (Figura 1). Peraltro, il cuore destro ha una parete sottile e quindi, a differenza del sinistro, non può ipertrofizzare oltre un modesto grado se aumenta la pressione in arteria polmonare. In tal caso, l’unico modo per fare fronte all’aumentata pressione in uscita è la dilatazione (legge di Starling). Per tale motivo, l’ipertensione polmonare conduce invariabilmente allo scompenso destro. Altro aspetto importante è che l’interstizio polmonare è estremamente sottile e non è in grado di imbibirsi e trattenere liquidi, che tendono a stravasare rapidamente in alveolo. Se insorgono patologie primitivamente polmonari che ne alterano il circolo, si hanno alterazioni cardiache. Sono di solito alterazioni del cuore destro e sezione venosa sistemica dovuti ad alterazioni che coinvolgono l’arteria polmonare e i suoi rami. Tipico esempio di questo fatto è lo scompenso destro (cuore polmonare) in corso di BPCO. La tromboembolia polmonare costituisce un’entità nosografica a se stante (vedi cap 20), ma vi sono altre patologie cardiovascolari in cui i sintomi repiratori sono predominanti e devono quindi essere conosciute. FIGURA 1. Pressione nei vari distretti del circolo

19.1 EDEMA POLMONARE ACUTO (EPA) CARDIOGENO 19.1.1 Eziopatogenesi Per edema polmonare si intende la comparsa (acuta) di liquido negli alveoli. Nella maggioranza dei casi è dovuto a insufficienza cardiaca, ma può essere provocato anche da cause non cardiogene, come il danno acuto della parete alveolare (tabella 1).

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Tabella 1. Cause di EPA EPA CARDIOGENO EPA NON CARDIOGENO Miocardiopatie secondarie - Arteriosclerotica - Ipertensiva - Infarto Miocardiopatia primitiva - Dilatativa - Ipertrofica - Iperplastica

Da danno della parete alveolare - ARDS (in generale) - Tossicita’ acuta da ossigeno - Inalazione di irritanti e tossici - Inalazione di contenuto gastrico - Shock settico - Ustioni estese Annegamento

Valvulopatie (mitralica o aortica) Tireotossicosi Sovraccarico di liquidi Anemia grave Alte quote L’EPA è una delle emergenze mediche piu’ comuni. In corso di scompenso cardiaco, il deficit è muscolare e di pompa nella maggior parte dei casi: il cuore sinistro non ha piu’ sufficiente energia per smaltire il sangue refluo dai polmoni alla circolazione sistemica. In altri casi, meno comuni il difetto è carico delle valvole sinistre. Nel caso della cardiopatia congestizia subentrano alcuni meccanismi di compenso sistemici (aumento del volume circolante, vasocostrizione periferica, tachicardia) che peggiorano il ritorno al cuore e ostacolano maggiormente la gittata. L’emodiluizione fa parte dei meccanismi di compenso per aumentare il riempimento del circolo, ma riduce la pressione oncotica. Si verifica comunque un aumento di pressione nell’atrio sinistro, e a monte una ipertensione nel circolo venoso polmonare. Cio’ implica un aumento della pressione idrostatica al versante capillare, che favorisce la fuoriuscita di plasma. Peraltro, se il deficit si instaura lentamente, il circolo polmonare si adatta e l’ostacolo al deflusso viene a trasmettersi e ripercuotersi sulle sezioni destre del cuore (scompenso a monte), producendo essenzialmente edemi declivi, fegato da stasi e versamento pleurico di natura idrostatica. Se l’ipertensione venosa si instaura abbastanza rapidamente oppure (come accade spesso) intervengono fattori di scompenso acuto (aritmie, broncopolmoniti, febbre, sforzo fisico) l’equilibrio idrostatico precario si rompe ed interviene il quadro dell’EPA cardiogeno. L’interstizio polmonare è esiguo, costituito solo da poca matrice organica e collagene, e pertanto non puo’ accogliere grandi quantita’ di fluido che tendono a trasudare direttamente in alveolo (inondazione alveolare) 19.1.2 Clinica e cenni di terapia Nelle fasi precoci dello scompenso cardiaco o se non intervengono cause precipitanti, si ha solo l’imbibizione dello scarso interstizio. Cio’ si verifica quando il soggetto è sdraiato e si ha quindi un riassorbimento in circolo di fluidi per riduzione della pressione idrostatica: l’imbibizione dell’interstizio causa compressione sui bronchi di piccolo calibro e dei bronchioli, producendo ostruzione: cio’ causa una dispnea sibilante acuta, identica a quella di un accesso asmatico (da qui il termine di asma cardiaco o dispnea parossistica notturna). Di solito, l’assunzione della ortostasi, risolve l’accesso. Se la trasudazione di liquido prosegue, inizia l’inondazione degli alveoli e si ha l’EPA conclamato che progredisce rapidamente se non trattato. Si hanno: grave dispnea, ortopnea, agitazione e senso di morte imminente, fino alla cianosi. L’ascoltazione evidenzia precocemente la stasi basale (rantoli fini) e poi a piccole-medie bolle, sempre piu’ intensi (a marea montante), fino al rantolo tracheale od orale che solitamente si ascoltano anche senza fonendoscopio. Puo’ comparire escreato schiumoso e roseo. Se i meccanismi di compenso periferico funzionano si ha ipertensione; al contrario si ha shock con ipotensione. Anche se trattato correttamente, l’EPA cardiogeno ha una mortalita’ elevata.

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Nell’EPA cardiogeno occorre: a) ridurre il sovraccarico del circolo (diuretici e vasodilatatori periferici, salasso); b) ridurre l’agitazione che peggiora lo scompenso (sedativi) c) aumentare la portata cardiaca (inotropi e digitale). Si somministra sempre ossigeno. Nell’edema polmonare con pressione normale o alta: diuretici a rapida azione (furosemide), vasodilatatori (nitroglicerina), morfina (dosi medio-basse). Nell’edema a bassa pressione: dopamina come inotropo a pronta azione e uso oculato di diuretici e vasodilatatori. 19.2 IL POLMONE NELLO SCOMPENSO CARDIACO CRONICO Come gia’ accennato, l’edema polmonare acuto rappresenta il precipitare improvviso di uno squilibrio idrostatico. Nel paziente con scompenso cardiaco congestizio, a riposo, l’adattamento almeno parziale all’insufficienza ventricolare sinistra, fa si’ che vi sia solo una imbibizione parziale dell’interstizio e che la trasudazione negli alveoli sia limitata. Inoltre, se l’insufficienza si instaura abbastanza lentamente, l’ipertensione polmonare viene equilibrata e trasmessa al versante destro. Quindi, nel paziente con insufficienza cardiaca cronica e di lunga durata si osservano di solito edemi declivi, fegato da stasi, versamento pleurico (preferenzialmente sinistro), e dispnea parossistica notturna (asma cardiaca). I rantoli crepitanti alveolari (comunemente descritti come stasi basale) bilaterali dovrebbero sempre mettere in guardia, indicando la trasudazione in alveolo in atto e che puo’ precipitare rapidamente in edema polmonare acuto. In fase stabile e di compenso parziale o completo si possono osservare versamento pleurico bibasale o solo sinistro, fegato da stasi e, all’RX, imbibizione dell’interstizio (strie di Kerley). 19.3 CUORE POLMONARE CRONICO Cosi’ si definisce la dilatazione/ ipertrofia con insufficienza del ventricolo destro dovute solo ad aumentata pressione nel letto vascolare polmonare; deve quindi preesistere una patologia polmonare. Pertanto, il cuore polmonare: a) non è una malattia primitiva del miocardio ma sempre secondario ad alterazioni polmonari; b) non puo’ esistere cuore polmonare senza aumento della pressione arteriosa polmonare, mentre puo’ esistere ipertensione polmonare senza cuore polmonare (almeno nelle fasi iniziali); c) lo scompenso destro puo’ verificarsi anche in assenza di patologia polmonare (valvulopatie, miocarditi, scompenso sinistro). Data l’elevata compliance e la bassa resistenza del circolo polmonare, occorre che ne vengano resi inservibili almeno i 2/3 perchè le resistenze vascolari aumentino significativamente, ripercuotendosi sul cuore destro. Per fare questo, è necessaria una riduzione della sezione totale dei vasi polmonari che si può verificare in caso di: - perdita di superficie vascolare, danno dell’interstizio (BPCO ed enfisema, malattie

interstiziali diffuse) - vasocostrizione riflessa da ipossiemia cronica (BPCO ed ipoventilazione alveolare in

generale) - occlusione (embolizzazione diffusa e ricorrente) - ipertensione polmonare primitiva (rarissima): Il cuore polmonare è solitamente cronico e si instaura nel giro di anni, perchè le patologie polmonari che lo generano sono a lenta progressione. In tali casi, il ventricolo destro compensa dapprima con l’ipertrofia della parete muscolare le aumentate resistenze e poi si dilata. La vasocostrizione generale del piccolo circolo è stimolata solitamente dall’ipossia. L’ipoventilazione globale degli alveoli come in caso di malattie neuromuscolari è gia’ uno stimolo sufficiente alla vasocostrizione. Nel caso che vi sia anche una compressione o irrigidimento delle arterie polmonari nei rami piu’ distali (fibrosi diffusa, BPCO, enfisema, carcinomi infiltranti), l’ipertensione polmonare peggiora ulteriormente. L’ipoventilazione e lo squilibrio tra ventilazione e perfusione cronico inducono anche poliglobulia ed iperviscosita’ ematica, le quali a loro volta aggravano l’ipertensione polmonare cronica. Se le alterazioni

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durano abbastanza a lungo, l’intima si ispessisce e l’ipertensione diventa una condizione cronica, alterando il cuore destro. La sola ipertrofia del ventricolo destro di per se non produce sintomi, se non in occasione di bruschi sovraccarichi, come in corso di sforzo intenso o per un peggioramento repentino della malattia di base. L’ipertrofia e il sovraccarico del piccolo circolo si possono sospettare in presenza di rinforzo del II tono polmonare, di click di eiezione polmonare, quarto tono, impulso parasternale. Quando il ventricolo diventa francamente insufficiente compaiono i segni a monte: polso paradosso, turgore giugulare, stasi epatica, edemi declivi ed ascite. Puo’ comparire un III tono aggiunto ed un soffio olosistolico da insufficienza tricuspidale. Si puo’ rilevare all’ECG rotazione destra e antioraria dei vettori, onda P polmonare, blocco di branca destro o fibrillazione atriale. Nei pazienti con enfisema cronico (causa piu’ frequente in assoluto di cuore polmonare) spesso i segni cardiaci sono mascherati dai segni polmonari. All’RX si rileva ingrandimento degli archi di destra e congestione del circolo. L’ecocardiografia puo’ quantificare l’ipertensione polmonare e la dilatazione del ventricolo. La terapia di fondo è volta al controllo della malattia polmonare. Si possono usare digitale e oculatamente diuretici. 19.4 CUORE POLMONARE ACUTO Nel cuore polmonare acuto si verifica un brusco sovraccarico (di pressione o di volume) a destra e l’unica risposta rapida possibile è la dilatazione per la legge di Starling. Il cuore polmonare acuto è sempre parte di una emergenza medica. Come gia’ detto, data la sua gravita’ e frequenza la tromboembolia polmonare merita una trattazione a parte e cosi’ pure il PNX iperteso (Tabella 2). Cuore polmonare acuto MECCANISMO PATOLOGIA Iperafflusso di sangue in arteria polmonare

Rottura di setto. Rottura di aneurisma aortico in arteria polmonare o cuore destro

Aumento brusco delle resistenze polmonari

Tromboembolia polmonare PNX iperteso

19.5 IPERTENSIONE POLMONARE L’ipertensione polmonare nella stragrande maggioranza dei casi non è una malattia a sè stante, ma una condizione fisiopatologica che si viene a creare in seguito a malattie dell’apparato respiratorio, specialmente quelle che determinano ipossiemia cronica (vasocostrizione ipossica delle arterie polmonari). Si definisce ipertensione polmonare una pressione media in arteria polmonare, misurata mediante cateterismo, >25 mmHg a riposo. L’ipertensione polmonare si classifica in 5 grandi gruppi a seconda del meccanismo patogenetico (Tabella 3) Gruppo 1 1.1 Idiopatica

1.2 Ereditaria 1.3 Indotta da farmaci 1.4 Patologie del connettivo, HIV, ipertensione portale

Gruppo 1’ Malattia veno-occlusiva e/o emangiomatosi capillare Gruppo 2 Da patologia del ventricolo sinistro (sistolica, diastolica, valvolare) Gruppo 3 Da ipossiemia

BPCO, interstiziopatie, alte quote, alterazioni di sviluppo) Gruppo 4 Secondaria a microembolia cronica o ricorrente Gruppo 5 Da meccanismi multifattoriali

(malattie ematologiche, sarcoidosi, linfangioleiomiomatosi, malattie metaboliche e da accumulo, mediastinite fibrosante)

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L’ipertensione polmonare primitiva è l’unico caso in cui siano colpiti primitivamente i vasi polmonari.. E‘ una patologia molto rara (< 1/100.000) ad eziologia sconosciuta e spesso ad aggregazione famigliare. Si ha un ispessimento diffuso delle arteriole, con ipertrofia della muscolare e proliferazione dell’intima, per cui il vaso polmonare progressivamente si restringe e irrigidisce. La malattia esordisce con i segni e sintomi del cuore polmonare (in 1/3 dei casi si ha fenomeno di Raynaud), ma quando viene diagnosticata è gia’ in fase avanzata e la sopravvivenza media dopo la diagnosi si aggira intorno ai 2 anni. La diagnosi è solo di esclusione; in particolare occorre escludere con certezza la presenza di tromboembolie diffuse e ricorrenti. Risultati incostanti si ottengono con i vasodilatatori e le prostaglandine, mentre più efficace è il bosentan; il trapianto cuore-polmone è comunque l’unico intervento risolutivo. La malattia veno-occlusiva è un’altra patologia rara, in cui l’occlusione del letto vascolare si verifica dopo i capillari, a livello delle vene polmonari di piccolo calibro. Nel 50% dei casi è idiopatica, mentre nel restante 50% è conseguenza (ma non è noto il meccanismo) dell’uso di farmaci alchilanti quale il busulfan. Alcune cardiopatie congenite ad esordio nell’età adulta possono dare iperafflusso polmonare ed evolvere quindi in ipertensione polmonare, quali i difetti del setto interatriale (ostium primum e secundum), la persistenza del dotto di Botallo e le fistole arterovenose.

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20. EMBOLIA POLMONARE (EP) Tromboembolia polmonare (TEP), Pulmonary Embolism (PE) 20.1 DEFINIZIONE E GENERALITA’ L’embolia polmonare è l’occlusione dell' arteria polmonare o di uno o più dei suoi rami, causata dall’incuneamento di emboli provenienti dalla periferia attraverso il circolo venoso sistemico. Poichè gli emboli di origine trombotica sono di gran lunga i più frequenti, si parla comunemente di tromboembolia polmonare (TEP). Possono però arrivare all’arteria polmonare anche altri tipi di emboli (gassosi, grassosi, settici, neoplastici), quindi se la natura dell’embolo non è ragionevolmente accertata, conviene parlare genericamente di embolia polmonare. Più raramente si può formare un trombo direttamente nelle arterie polmonari (specie in corso di patologia neoplastica), ed allora si parla di trombosi polmonare autoctona. La TEP è nella maggior parte dei casi una patologia acuta ed un’emergenza medica. L’incidenza si stima attorno ai 50/100.000, ma la diagnosi si ritiene sottostimata. Se la diagnosi è corretta e precoce, la mortalità si aggira intorno al 15%, ma sale al 40% ed oltre se la diagnosi non viene posta subito. La tabella 1 riporta la natura dei possibili emboli che possono interessare le arterie polmonari. _Tabella 1_______________________________________________________ - tromboemboli a partenza dalle vene profonde della gamba, coscia e pelvi (>80% dei casi) o dal cuore dx (fibrillazione atriale, endocardite) - neoplastici (tumori della mammella, dello stomaco, del colon, del fegato) - grassosi (midollo giallo che entra in circolo in seguito a grosse fratture o ad interventi di chirurgia ortopedica maggiore) - gassosi (da introduzione di aria per cateterismi, o rapida decompressione dei subacquei) - settici (in corso di endocardite batterica o altri focolai settici) - da liquido amniotico (da manovre invasive durante la gravidanza o durante il parto) - da parassiti - da materiale estraneo iniettato nel circolo venoso sistemico

20.2 EZIOPATOGENESI

Il piccolo circolo raccoglie il sangue refluo dalla periferia, e quindi qualsiasi frammento di materiale che si stacca o si forma nel circolo venoso sistemico raggiunge necessariamente il circolo polmonare dove viene trattenuto. Nessun embolo che si formi nel cuore sinistro o nel circolo arterioso sistemico può raggiungere la circolazione polmonare. Fanno rara eccezione gli emboli che originano nel cuore sinistro, solo se esiste una comunicazione tra atrio sinistro e atrio destro (difetti tipo ostium), infatti la differenza di pressione tra i due atri è minima e può consentire il passaggio dell’embolo da sinistra a destra, cosa che non può avvenire a livello dei ventricoli.

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Ricordiamo che l’arteria polmonare non è

nutritizia, ma solo funzionale allo scambio dei gas. Il sangue arterioso ossigenato che serve a nutrire il parenchima polmonare arriva dalle arterie bronchiali, le quali originano con numerose varianti anatomiche dall’aorta toracica, come riportato in figura 1. Questo spiega perché l’occlusione dei rami della polmonare solo raramente si accompagna ad infarto del parenchima, a differenza di quanto avviene per l’occlusione di altre arterie.

Figura 1: varianti anatomiche delle art. bronchiali Nella stragrande maggioranza dei casi la TEP è la complicazione di una trombosi venosa

profonda (TVP) che interessa le grosse vene della coscia e della pelvi (talvolta anche della gamba). I fattori predisponenti alla formazione di trombi venosi sono essenzialmente i tre individuati da Wirchow 100 anni fa: 1) stasi sanguigna: da immobilizzazione prolungata (decorso post-operatorio, cardiopatie, pneumopatie, malattie neuromuscolari, obesità). 2) ipercoagulabilità: aumento degli estrogeni in gravidanza o assunzione di anticoncezionali, liberazione di sostanze ad azione tromboplastica da parte di neoplasie tra cui quelle polmonari, pancreatiche e prostatiche (s.paraneoplastiche) o alterazioni funzionali di uno o più fattori coagulativi (Tabella 2). Quest’ultima anomalia è da sospettare e indagare nei casi di TEP senza altri fattori di rischio. 3) danno della parete vasale: arteriosclerosi, neoplasie infiltranti, varici. Tabella 2. Alcune alterazioni della coagulazione nella TEP (Chest, 2002) ALTERAZIONE % NELLA POPOLAZIONE

GENERALE % NEI PAZIENTI

CON TEP Deficit proteina C 0.1-0.3 2-5 Deficit proteina S 0.3 2 Deficit antitrombina III 0.5 1 Deficit fattore V 4-6 20-25 Aumento fattore VIII 10 20 Aumento fattore XI 11 25 Molti altri fattori possono causare la formazione di emboli all’interno del circolo venoso sistemico (Tabella 1), ma nella pratica clinica, tali evenienze sono complessivamente rare. Sulla base di quanto detto, possono essere individuati alcuni fattori di rischio per TEP, che devono

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essere indagati in corso di diagnosi differenziale (Tabella 3). I più importanti fattori di rischio rimangono comunque l’allettamento prolungato, la presenza di TVP, gli interventi chirurgici addominali maggiori e ginecologici, i politraumatismi e le neoplasie. Le tromboflebiti superficiali, solo raramente possono causare TEP. Può anche accadere che la formazione di emboli (trombotici o meno) sia continuativa e di piccola entità (microembolizzazione ricorrente). In tale situazione non si ha sintomatologia clinica acuta ma una progressiva e uniforme occlusione del letto arterioso polmonare che sfocia lentamente nel cuore polmonare cronico.

20.3 FISIOPATOLOGIA (Figura 2)

L' ostruzione improvvisa di parte del circolo polmonare ha numerose conseguenze fisiopatologiche, che diventano clinicamente manifeste se almeno il 30% del circolo polmonare è escluso. La prima conseguenza è l’ aumento della pressione arteriosa polmonare e aumento della pressione ventricolare destra telediastolica. La pressione arteriosa polmonare media può raggiungere valori di 40 mmHg. Si ha quindi dilatazione del ventricolo destro, insufficienza ventricolare destra e ulteriore caduta del flusso ematico polmonare (cuore polmonare acuto). Ciò provoca alcune delle possibili modificazioni ECG (blocchi di branca, fibrillazione striale, onda P appuntita). Riducendosi la portata del circolo polmonare, si riduce anche il riempimento del ventricolo sinistro e la gittata sistolica. Questo provoca ipotensione, ma nei casi di embolia massiva può condurre allo shock. Ovviamente lo scompenso acuto sinistro si verifica più facilmente nei pazienti già scompensati o con valvulopatie o cardiomiopatie.

Lo squilibrio nel rapporto ventilazione-perfusione dovuto a zone di parenchima ventilato ma non perfuso determina comunque ipossiemia che di riflesso causa iperventilazione; all' iperventilazione contribuisce anche lo stiramento dei recettori J. L' aumento della ventilazione, che non è alterata dalla TEP, e la maggior diffusibilità della CO2 portano ad un aumento del gradiente della PCO2 arteriolo-alveolare che si traduce in una diminuzione della CO2 arteriosa (ipocapnia). Nelle zone di parenchima polmonare non perfuse

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può aversi broncocostrizione come meccanismo in grado di ridurre la ventilazione di un' area non perfusa. Se l’occlusione del circolo polmonare è massiva si può avere anche infarto polmonare, con aumento degli enzimi di necrosi e risentimento pleurico. In realtà l’infarto polmonare è abbastanza raro perché la circolazione nutritizia del polmone è fornita dalle arterie bronchiali, e si verifica solo se la pressione nelle vene polmonari è aumentata. In un polmone altrimenti sano, la TEP provoca solo uno stravaso emorragico negli alveoli che si risolve in 1-2 settimane.

20.4 CLINICA

L’entità dell’ostruzione del circolo condiziona il quadro sintomatologico. In linea di massima, meno rami sono coinvolti e più le manifestazioni si limitano al polmone. Nelle forme massive compare sempre anche l’interessamento cardiovascolare. Per convenzione si parla di Embolia polmonare massiva con un ostruzione oltre il 50% del letto vascolare polmonare. La TEP è quasi sempre un evento acuto.

Sintomo caratteristico è la dispnea (con tachipnea) in genere improvvisa. Altri sintomi importanti sono la tosse secca, l’emoftoe, e talvolta il dolore toracico da interessamento pleurico accentuato con il respiro di solito laterale generalmente basale. L'emottisi e il dolore toracico sono più frequenti nei casi in cui si verifica infarto polmonare. Se l'embolizzazione è estesa si verificheranno cianosi e segni di sofferenza cardiovascolare: tachicardia, ipotensione, pallore fino allo shock cardiogeno franco. Il quadro clinico florido (dolore toracico, dispnea, ipotensione) impone immediatamente la diagnosi differenziale con l’infarto miocardico (ECG).

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Obiettivamente si può notare una zona di ipofonesi con associata ascoltazione di rumori secchi quali sibili, espressione di broncocostrizione; in sede di dolore possono essere presenti rumori di fregamento pleurico che possono indurre ad una diagnosi errata. 20.5 DIAGNOSTICA La diagnosi di TEP è difficile, ed in prima battuta è soltanto clinica. Occorre sospettarla in pazienti con fattori di rischio (allettamento prolungato, trombosi venose, recente chirurgia ortopedica) in cui compaiano improvvisamente dispnea, tosse, emoftoe o dolore toracico. Poiché alcuni aspetti clinici sono piuttosto comuni, entrano in diagnosi differenziale diverse patologie (Tabella 3). Tabella 3: principali diagnosi differenziali della TEP SEGNI E SINTOMI DIAGNOSI DIFFERENZIALE INDAGINE Dolore toracico acuto Dispnea acuta Ipotensione, aritmie

Infarto del miocardio ECG

Tosse, dolore toracico acuto, dispnea acuta Riduzione MV

Pneumotorace RX

Tosse Dispnea Ipossia-ipocapnia

Asma Esame obiettivo (broncostruzione diffusa)

All'ECG si possono rilevare i segni di cuore polmonare, cioè della dilatazione del cuore destro: onda P polmonare (a tenda canadese) da dilatazione atriale, inversione dell' onda T nelle precordiali destre, rotazione destra e antioraria dell’asse, blocco di branca destro, extrasistoli e fibrillazione atriale. Abbastanza caratteristica, ma infrequente, è l’associazione di onda S in d1, q in D3, T invertita in D3 (S1q3T3, S,di McGynn-White). All’EGA si ha in genere ipossiemia, mentre molto suggestiva per TEP è l’ipocapnia. Radiologicamente la tromboembolia polmonare non mostra segni caratteristici. Si può avere alterazione delle arterie polmonari con slargamento, visibile radiologicamente come segno "della salsiccia". Il diradamento della vascolarizzazione (segno di Westermark) può essere messo a confronto di aree indenni. Solo in caso di infarto polmonare (raro) si possono rilevare delle opacità sfumate triangolari con base verso la pleura. A livello laboratoristico può essere utile il dosaggio dei prodotti di degradazione del fibrinogeno (XDP o d-dimero). Tale parametro ha un buon valore predittivo negativo, nel senso che valori normali di d-dimero anche in presenza di sospetto clinico, escludono la diagnosi di TEP con una probabilità superiore al 90%. Al contrario, la positività del d-dimero è aspecifica e utile solo se presente un sospetto clinico. L’aumento degli enzimi GOT, GPT ed LDH non ha rilevante valore diagnostico, in quanto tardivo, poco sensibile e poco specifico. In presenza di sospetto clinico, la conferma si ha solo con la dimostrazione dell' ostruzione a livello del flusso in arteria polmonare. La scintigrafia perfusoria, di semplice esecuzione e non invasiva, è considerata l’esame di riferimento (figura 3). Tuttavia essa non è particolarmente specifica in quanto l' individuazione di aree non perfuse si ha anche in altre patologie polmonari come la BPCO. La significatività dell' esame aumenta associando la scintigrafia ventilatoria, che consente di documentare la presenza di normale ventilazione in aree non perfuse. La scintigrafia polmonare però, non sempre è eseguibile in urgenza (necessita di un servizio di medicina nucleare). Attualmente, la TC polmonare con mezzo di contrasto (angio TC) viene considerata una alternativa soddisfacente e di rapida esecuzione, ed in grado di individuare

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occlusioni dei rami polmonari segmentari e subsegmentari con efficienza quasi pari alla scintigrafia. In pratica, viene sempre eseguita per prima l’angio-TC. L’angiografia polmonare, mediante cateterismo del cuore dx è molto precisa e sensibile, ma invasiva e non priva di rischi: non è mai un esame di prima istanza 20.6 CENNI DI TERAPIA Oltre alla terapia sintomatica (ossigeno, blanda sedazione), il principale intervento è la scoagulazione: l' utilizzo dell' eparina nelle prime ore dalla diagnosi (ad un dosaggio di 10.000 U in bolo seguita da 1.000 U/h) diminuisce significativamente la mortalità ed il rischio di recidive. Ottenuto un INR tra 2 e 3 lo si mantiene con anticoagulanti orali per almeno 6 mesi. Negli ultimi anni è venuto meno l' utilizzo routinario di farmaci trombolitici, quali streptochinasi e urochinasi, in quanto non si sono dimostrati in grado di ridurre la mortalità e per gli importanti effetti emorragici. Solo in soggetti giovani, con diagnosi certa e forme massive si può tentare la trombolisi con attivatore tissutale del plasminogeno. Identicamente, l’embolectomia chirurgica è un intervento di ultima scelta. Figura 3. Scintigrafia ventilatoria e perfusoria in diverse proiezioni (frontale anteriore, laterale destra, obliqua post destra, frontale posteriore, obliqua post sinistra e laterale sinistra). Mentre la ventilazione è uniforme, si osservano zone ove il tracciante radioattivo non arriva.

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21. VERSAMENTI PLEURICI E PLEURITI (Pleural effusion) Il liquido pleurico facilita lo scorrimento dei due foglietti pleurici tra loro agevolando i movimenti del polmone. Il liquido pleurico viene continuamente prodotto e riassorbito grazie ad un equilibrio di pressioni, all’integrità della parete capillare e al drenaggio linfatico. Quando questo equilibrio si rompe, si ha l’accumulo di liquido in cavo pleurico e allora si parla di versamento. Versamento pleurico e pleurite non sono sempre sinonimi. Spesso la pleurite produce versamento, ma si puo’ avere versamento anche in assenza di patologia della pleura e, più raramente, viceversa. 21.1 FISIOLOGIA E FISOPATOLOGIA DELLA PLEURA Produzione e riassorbimento del liquido pleurico sono regolate dalle pressioni idrostatiche e oncotiche e dal drenaggio linfatico. Nello strato subpleurico è presente una ricca rete capillare: la pleura parietale è irrorata dai vasi sistemici (arterie intercostali) con pressione idrostatica capillare media 30 cm H2O. La pleura viscerale è essenzialmente vascolarizzata dai rami delle arterie polmonari (pressione idrostatica capillare media 11 cm H2O). A queste si aggiungono la pressione oncotica del liquido pleurico e del sangue. A causa delle differenze di pressione idrostatica, in condizioni normali, si verifica una filtrazione di liquido in corrispondenza della terminazione arteriosa dei capillari (a livello della pleura parietale, passaggio di liquido dal settore vascolare nel cavo pleurico). La maggior parte del liquido pleurico viene riassorbito a partire dal terzo inferiore della parete toracica (pleura parietale, diaframmatica e mediastinica) tramite le lacune linfatiche denominate “stomata”. Tale riassorbimento è dovuto al meccanismo aspirante (vacuum) della parete toracica in inspirazione e favorito dalla peristalsi della muscolatura liscia dei linfatici. La rete linfatica della pleura viscerale (drenaggio profondo) sbocca nei linfonodi ilopolmonari e mediastinici, ampiamente collegata con quella dei polmoni. La linfa della sierosa parietale è in rapporto con i sistemi regionali sottostanti nella catena mammaria interna e nei linfonodi intercostali (drenaggio superficiale). La meccanica dello spazio pleurico e la dinamica del liquido pleurico sono regolate dalle forze di filtrazione e di assorbimento: il risultato di questo “transfer” è: - la fuoriuscita di liquido a livello della pleura parietale - il suo accumulo nello spazio pleurico - il riassorbimento da parte dei linfatici della pleura parietale/mediastinica Qualsiasi fattore che influenza negativamente quest’equilibrio determina un aumento di liquido nel cavo pleurico. I meccanismi fisiopatogenetici sono rapportabili a: 1) aumento della pressione idrostatica (es. scompenso cardiaco congestizio, sindrome mediastinica) 2) aumento della permeabilità capillare (es. processi infiammatori, infettivi, immunopatologie) 3) riduzione del drenaggio linfatico (es. processi ostruttivi della circolazione linfatica)

21.2 CARATTERISTICHE DEL VERSAMENTO PLEURICO ED EZIOLOGIA

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La presenza di liquido all'interno del cavo pleurico in quantità maggiore di quella fisiologicamente presente, è spesso dovuto ad uno stato infiammatorio della pleura quindi il termine di versamento pleurico è talvolta associato a quello di pleurite. Però la presenza di liquido si può avere per cause anche non infiammatorie. Il primo passo per determinare l'eziologia di un versamento è la distinzione tra essudato e trasudato che si fa analizzando il liquido prelevato mediante puntura esplorativa. Infatti, il trasudato e’ solitamente dovuto ad un processo di ultrafiltrazione da squilibrio delle pressioni (idrostatica o oncotica), mentre l’essudato implica un danno capillare (processo infiammatorio o neoplastico) e la fuoriuscita dai capillari di proteine e cellule. Indicativamente, la natura di essudato o di trasudato orienta verso le patologie che ne possono essere responsabili. Per differenziare trasudati ed essudati , tutt’oggi rimangono validi i criteri di Light (indicati in grassetto in tabella). La presenza di uno o piu’ di questi 3 criteri consente di diagnosticare l’essudato. Esistono poi altri criteri aggiuntivi e macroscopici (colore, aspetto, peso specifico) ma nessuno di questi puo’ essere preso come criterio distintivo. Essudati e trasudati ESSUDATO (compresi

Chilo- ed emotorace

TRASUDATO

[PROTEINE] versamento/[PROTEINE]siero

> 0.5 < 0.5

[LDH] versamento > 200 UI/L < 200 UI/L [LDH ] versamento/ [LDH ] siero > 0.6 < 0.6 [[ALBUM] siero – [ALBUM] versamento

< 1.2 g/ 100 mL > 1.2 g/100 mL

COLORE Da paglierino a giallo carico, brunastro, rosso

Giallo chiaro

ASPETTO Frequentemente torbido

Limpido

CELLULE Abbondanti Scarse PROTEINE > 3 g/dl < 3 g/dl PESO SPECIFICO < 1016 > 1018 PATOLOGIA (esempi) Infezioni polmonari/pleuriche

Neoplasie polmonari/ pleuriche Malattie autoimmuni. Pancreatiti, ascesso subfrenico Traumi Sarcoidosi e granulomatosi

Insufficienza cardiaca congest. Pericardite costrittiva, Ipoproteinemia (s. nefrosica, malnutrizione, insuff. Epatica)

Casi particolari sono l’emotorace ed il chilotorace. Il colore rossastro o l’aspetto francamente ematico del versamento pleurico fanno propendere per emotorace (trauma, neoplasia). In caso di versamento torbido o lattescente occorre centrifugarlo: se dopo centrifugazione il sopranatante appare limpido, si tratta di cellule o detriti, mentre se rimane torbido sono presenti lipidi. L‘aspetto purulento indica empiema pleurico. Le cause di versamento pleurico sono variabilissime. Qualsiasi patologia che squilibri le pressioni idrostatiche od oncotiche o aumenti la permeabilita’ dei capillari od ostruisca il drenaggio linfatico puo’ dare origine ad un versamento pleurico. Le cause piu’ comuni sono schematicamente raggruppate in tabella.

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Eziologia schematica più comune dei versamenti pleurici) Essudatizia INFETTIVA Pleuriti para-metapneumoniche:

batteriche , virali, tubercolari, fungine NEOPLASIE Neoplasie primitive (mesotelioma) e

secondarie (carcinoma broncogeno e mammario) della pleura

IMMUNOLOGICA LES, artrite reumatoide, febbre reumatica

PATOLOGIA ADDOMINALE

Pancreatiti, interventi chirurgici, ascesso subfrenico, s. di Meigs

DANNO ANATOMICO Traumi del torace (spesso con emotorace), rottura dell' esofago (Mallory-Weiss, Boerhaeve)

Trasudatizia CARDIOVASCOLARE Scompenso cardiaco, pericarditi,

sindrome post-infartuale SQUILIBRI ONCOTICI S. nefrosica, dialisi, ipoproteinemie

(malnutrizione, cirrosi epatica) 21.3 LE PLEURITI Si definisce pleurite un qualsiasi processo infiammatorio della pleura. L’infiammazione della pleura puo’ essere determinata da concomitanti processi flogistici del polmone (polmoniti e broncopolmoniti), da malattie neoplastiche polmonari o pleuriche, da malattie immunologiche. Sono ancora in uso i termini di pleurite parapneumonica (= concomitante a polmonite) o metapneumonica (= postumo di polmonite) . Il termine pleurite implica comunque l’esistenza di fenomeni infiammatori, che si manifestano con febbre, dolore, tosse e versamento piu’ o meno cospicuo. Nella pleurite, per definizione, il versamento e’ sempre di tipo essudativo. Tradizionalmente e per esigenze descrittive le pleuriti si possono definire in base a diverse caratteristiche: - Origine: Primitive o secondarie - Anatomia patologica: Essudative, fibrinose, con ispessimento fibroso (pachipleurite),

purulente - Decorso: Acute o croniche - Localizzazione: mono o bilaterali, saccate, interlobari, scissurite. Le cause più frequenti di pleurite sono quelle infettive e quelle neoplastiche. Tra le malattie infettive ricordiamo le polmoniti pneumococciche, stafilococciche, ecc. La pleurite tubercolare costituisce una patologia a parte (vedi cap 8). Anche il LES e l’artrite reumatoide possono provocare pleurite, che di solito è acuta e con scarso versamento (cap. 15). Altre cause di pleurite sono la tromboembolia polmonare con infarto polmonare, l’infarto miocardico, le pancreatiti e l’ascesso subfrenico. La pleurite neoplastica (da carcinoma polmonare o da mesotelioma) ha insorgenza graduale, con pochi fenomeni infiammatori e dà origine a versamenti anche cospicui, tanto che la dispnea da compressione del parenchima è spesso il primo segno. 21.4 CLINICA I segni e i sintomi del versamento pleurico dipendono dalla natura del processo che lo genera, ma anche dal tempo di insorgenza e dalla quantità del liquido presente. Versamenti cospicui

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formatisi gradualmente possono dare pochi sintomi, mentre pleuriti acute con versamento scarso possono essere ricche di manifestazioni cliniche. Sono segni indicativi di pleurite acuta: - dolore dovuto ad irritazione della pleura parietale: in genere e’ trafittivo, ben localizzato e si

accentua con gli atti respiratori e con la tosse; nei versamenti neoplastici il dolore può essere sordo e continuo

- febbre: quasi sempre presente nelle pleuriti acute - tosse: di tipo non produttivo, secca, su base irritativa - difficoltà a decombere sul lato leso La dispnea (anche a riposo) se presente, è indicativa di versamento cospicuo con compressione del parenchima. L’esame obiettivo è solitamente diagnostico, ma è positivo solo se il versamento è superiore a 200-300 cc. All’ispezione si può osservare ipomobilità dell'emitorace leso (respiro asimmetrico). Alla palpazione si ha diminuzione o abolizione del FVT nella sede del versamento. Alla percussione si ha un'area d’ottusità corrispondente al versamento. Nei casi di essudato l’ottusità è spesso delimitata da una linea a convessità superiore (linea di Damoiseau-Ellis). Al di sopra di tale linea, in sede paravertebrale, puo’ essere presente una zona di iperfonesi (triangolo di Garland). La dislocazione del mediastino può creare una zona di ipofonesi controlaterale (triangolo di Grocco). All’ascoltazione il MV è solitamente abolito o fortemente ridotto. Superiormente al versamento si puo’ talvolta ascoltare un soffio bronchiale. Gli sfregamenti pleurici, esiti fibrotici (depositi di fibrina, ecc) di pregressi episodi di pleuriti acute, hanno vari timbri e tonalità ma sono fissi, si possono auscoltare in inspirazione e/o espirazione e non si modificano con la tosse. Indicano attrito tra i due foglietti pleurici. 21.5 DIAGNOSTICA Le modalita’ d’insorgenza dei sintomi che il paziente riferisce indirizzano già verso una diagnosi. Dolore, febbre, tosse indicano la presenza di pleurite. La dispnea progressiva, associata ai segni di versamento orienta verso versamenti cospicui e lentamente progressivi. La clinica (segni e sintomi) suggerisce la presenza di versamento pleurico: occorre innanzitutto confermarlo, poi determinarne la natura e quindi l’eziologia. Dopo l’esame obiettivo, l’RX torace e’ l’esame di prima istanza. Per gravità i versamenti pleurici si dispongono alle basi, opacando i seni costofrenici e sfumando verso l' alto (FIGURA). La disposizione di un versamento libero non saccato, nella radiografia laterale, ha una posizione più elevata in sede anteriore e posteriore discendendo sull'ascellare, mentre nella radiografia antero-posteriore la posizione più elevata è a livello dell'ascellare. Se e’ presente aria oltre che liquido, il versamento ha livello orizzontale (idropneumotorace). La toracentesi e’ fondamentale per l'aspetto macroscopico, per l'esame citologico, biochimico e per eventuali colture batteriologiche (batteri, miceti e mycobatteri). La TC è utile per individuare piccoli versamenti non visibili all' RX. Nel caso di versamenti cospicui è opportuno eseguirla dopo aver liberato il cavo pleurico da gran parte del liquido (toracentesi evacuativa) per meglio evidenziare eventuali irregolarità della pleura, ispessimenti, masse solide. L’ ecografia e’ utile nei versamenti saccati per individuare il punto preciso ove praticare puntura esplorativa. 21.6 CENNI DI TERAPIA La terapia dei versamenti pleurici è strettamente dipendente dalla loro causa. In linea di massima, un versamento deve essere evacuato (toracentesi) indipendentemente dalla causa, solo se e’ talmente cospicuo da compromettere la ventilazione polmonare (dispnea,

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ipopnea, ipossia arteriosa), ed in presenza di febbre e dolore pleurico e comunque prima di instaurare terapie che possano mascherare l’eziologia. I versamenti trasudatizi scompenso cardiaco, ipoonchia) si risolvono gradualmente con la correzione del disturbo a monte (correzione della proteinemia, trattamento dello scompenso). Per i versamenti essudativi dovuti a pleurite, il trattamento è sintomatico (antinfiammatori, analgesici); se la pleurite è di origine infettiva, il trattamento antibiotico va necessariamente intrapreso. Per le pleuriti croniche (solitamente neoplastiche) che danno origine a versamenti abbondanti e recidivanti si applica, ove necessario, la pleurodesi chimica per via pleuroscopica (cosiddetto: talcaggio pleurico). Tale trattamento non e’ risolutivo, ma consente di impedire o rallentare la formazione del versamento e la conseguente dispnea.

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22. PNEUMOTORACE (PNX) 22.1 CLASSIFICAZIONE E FISIOPATOLOGIA Il PNX è la presenza d’aria in cavo pleurico. Normalmente nel cavo pleurico non vi è aria e la pressione è inferiore a quella atmosferica (cio' consente di mantenere il polmone aderente alla parete toracica). Perchè si verifichi un PNX deve quindi crearsi una comunicazione tra lo spazio pleurico e l'aria ambiente (o esterna o quella presente nelle vie aeree e nel polmone), necessariamente attraverso una soluzione di continuita’ dei foglietti pleurici. Se il cavo pleurico è messo in contatto con la pressione atmosferica, il polmone, non piu' trattenuto dalla pressione negativa, tende a retrarsi verso l'ilo diventando in tutto o in parte inutilizzabile per la ventilazione. Si verifica quindi uno shunt circolatorio (aree perfuse ma non ventilate) e conseguente ipossiemia. Il PNX viene classificato in base alla presenza o assenza di lesione traumatica delle pleure. Nel primo caso si definisce spontaneo, altrimenti è traumatico o iatrogeno. Classificazione del PNX Spontaneo primitivo Soggetto in buona salute e assenza di patologia

polmonare nota. Spontaneo secondario In corso di: Polmoniti, BPCO ed enfisema, Asma,

Processi tisiogeni, Tumori Traumatico Qualsiasi tipo di lesione della parete toracica che

coinvolga le pleure. Spesso si tratta di emopneumotorace.

Iatrogeno Complicanza di manovre diagnostico/terapeutiche: toracentesi, agobiopsia transparietale

Terapeutico PNX indotto artificialmente per favorire la guarigione delle caverne TBC. Non piu’ in uso.

Il PNX spontaneo primitivo si verifica preferenzialmente nei maschi giovani e longilinei ed ha partenza dalle zone superiori del polmone, che sono normalmente più distese. Il PNX spontaneo secondario si può verificare in molte condizioni patologiche in cui si abbia un danno del parenchima che lesiona la pleura viscerale e mette in comunicazione bronchi ed alveoli col cavo pleurico (più di frequente si tratta di tumori o bolle di enfisema nel BPCO o caverne tubercolari). Il PNX traumatico è frequente negli incidenti stradali e si associa spesso versamento ematico o più di rado a versamento purulento per sovrinfezione. In base alla fisiopatologia il PNX viene definito - chiuso: se una quota di aria entra in cavo pleurico e vi resta per venire lentamente riassorbita - aperto: se l'aria puo' entrare e uscire con i movimenti respiratori - a valvola: se l'aria entra in inspirazione e non può uscire in espirazione. Quest'ultima

condizione causa il PNX iperteso, in cui la pressione in cavo pleurico aumenta progressivamente e fa sbandare il mediastino verso il lato sano. Si verifica allora una riduzione del ritorno venoso al cuore destro, ipoperfusione polmonare e bassa gittata sistemica. La trazione sul fascio vascolonervoso può causare inoltre aritmie.

22.2 CLINICA E DIAGNOSI Le manifestazioni cliniche dipendono essenzialmente dall’entità del PNX. Ad esempio, nei casi di piccoli PNX, la clinica può essere del tutto muta o aspecifica. Solitamente però il PNX esordisce con dolore toracico puntorio improvviso, tosse, dispnea di grado variabile. Se il PNX è iperteso (solitamente in caso di trauma) si manifestano i sintomi e segni dello shock (ipotensione, tachipnea, pallore cutaneo, aritmie) e dell’insufficienza respiratoria (spesso con comparsa di cianosi manifesta). All'esame obiettivo si rilevano: riduzione o assenza del FVT,

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indebolimento o assenza completa del MV, suono iperchiaro o timpanico in corrispondenza della falda di aria. L’ipomobilità visibile dell'emitorace colpito si ha solo in caso di PNX massivo. La diagnosi viene facilmente confermata dall’RX, che mostra il contorno del polmone retratto verso l’ilo e l’ipertrasparenza attorno ad esso. La differenza tra le due zone è ben evidenziata dalla assenza della trama interstiziale in corrispondenza della falda d’aria. Una volta diagnosticato il PNX, non sono necessarie le PFR, che dimostrerebbero comunque una sindrome restrittiva quasi pura (riduzione del polmone ventilato). Lo shunt circolatorio causa solitamente ipossiemia di grado variabile. L’EGA può fornire una buona misura del grado di compromissione respiratoria. L’insorgenza di ipercapnia e cianosi è indice di grave insufficienza respiratoria e segno prognostico sfavorevole. Nel soggetto giovane, maschio, longilineo, la coesistenza dei sintomi sopracitati deve sempre far sospettare un PNX spontaneo primitivo. Nei soggetti affetti da altre malattie polmonari la diagnosi non è sempre scontata, ma la radiografia del torace è quasi sempre dirimente e la TAC consente di diagnosticare e precisare l’esistenza di bolle sottopleuriche. 22.3 CENNI DI TERAPIA Se il PNX è di lieve entità, chiuso, in soggetto giovane e sano, e non causa insufficienza respiratoria può essere sufficiente il solo riposo. Se il PNX è di notevole entità lo si drena con un apposito trocar connesso ad un sistema di aspirazione continua. Nel caso di PNX iperteso è sempre necessario detendere immediatamente il cavo pleurico, anche con un normale ago da siringa. Risolta la fase acuta, si può valutare, sulla base della TAC, se intervenire in toracoscopia per trattare le bolle sottopleuriche o creare una pleurodesi chimica. Il posizionamento di un drenaggio pleurico può favorire di per sè la pleurodesi. RX in PNX. A Dx si nota la completa assenza della trama interstiziale ed il contorno del polmone retratto verso l’ilo

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TC IN PNX ANTERIORE DX CON SBANDAMENTO CONTROLATERALE DEL MEDIASTINO

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23. ADULT RESPIRATORY DISTRESS SYNDROME (ARDS) L’ARDS (in contrapposizione all’analoga sindrome del bambino o malattia delle membrane ialine) è stata descritta per le prime volte negli anni 60’, ricevendo via via i nomi di: polmone da shock, polmone umido, edema polmonare da lesione capillare, polmone di Da-Nang (quest’ultima dalla descrizione della patologia nei soldati in Vietnam). Attualmente si usa la definizione di ARDS, intesa come condizione clinica acuta e progressiva con grave dispnea, ipossiemia arteriosa refrattaria alla somministrazione di O2, ridotta compliance polmonare (polmone rigido) ed evidenza radiografica di infiltrati polmonari bilaterali (espressione di edema da aumentata permeabilita’ capillare). L’ARDS è quasi sempre conseguenza di altre patologie e si manifesta clinicamente entro 72 ore dall’insorgenza della causa scatenante. La prognosi è spesso infausta (mortalita’ dell 60-70%). 23.1 EZIOPATOGENESI L’ARDS è l’espressione di una lesione diffusa dell’endotelio capillare polmonare e non ha pertanto un’eziologia unica. Essa puo’ svilupparsi in seguito a diverse cause (o meglio fattori di rischio) che possono anche non coinvolgere primitivamente il polmone. Fattori di rischio per ARDS SISTEMICI CON DANNO DIRETTO POLMONARE Sepsi Inalazione di liquido gastrico Grave shock (spec. Ustioni estese) Trauma polmonare Pancreatine Annegamento Traumi gravi ed estesi Tossicita’ da ossigeno Coagulaz. Intravascolare disseminata Embolia amniotica o grassosa Trapianto cuore-polmone Da inalazione di gas tossici (paraquat, ammoniaca) Politrasfusioni Polmone uremico farmaci: narcotici, salicilati, nitrofurantoina, lidocaina, mezzi di contrasto

Infezioni: pneumocystis, miliare diffusa, pneumococco, mycoplasma

L’ARDS è intesa come processo infiammatorio acuto diffuso, causato dall’attivazione sistemica dei neutrofili circolanti i quali aderiscono all’endotelio dei capillari polmonari, rilasciano il contenuto proteolitico dei loro granuli e danneggiano l’endotelio provocando un’essudazione dai capillari stessi. Quest’ipotesi trova conferma nell’elevato numero di neutrofili recuperati dal BAL di pazienti con ARDS anche in fase precoce. Altri effettori cellulari ed umorali entrano sicuramente in gioco; i macrofagi alveolari hanno meccanismi di attivazione simili a quelli dei neutrofili, mentre le endotossine batteriche possono avere effetto lesivo diretto sull’endotelio. Analoga azione lesiva sarebbe esplicata da prodotti di degradazione della fibrina, che costituisce il materiale trombotico spesso presente nel letto vascolare polmonare in questa condizione. Il meccanismo patogenetico è dunque multifattoriale, ma l’evento finale comune è il danno diffuso dell’endotelio dei capillari polmonari. 23.2 ANATOMIA PATOLOGICA Sono descritte tre fasi successive di evoluzione delle lesioni. La fase acuta essudativa (primi 3 giorni) è caratterizzata da aumento di densità, volume e consistenza del polmone, che è di colore rosso scuro a causa di estesi fenomeni emorragici. Gli alveoli sono occupati da materiale amorfo costituito da proteine, fibrina, residui di surfactante, macrofagi e neutrofili. Si evidenzia un’estesa distruzione dei pneumociti di I tipo che mette a nudo la membrana basale e consente il libero ingresso di fluido negli alveoli. La fase proliferativa (settimana successiva) vede la regressione o la organizzazione dell’essudato endoalveolare: gli pneumociti di II tipo e le cellule epiteliali squamose si dispongono a rivestire la membrana basale. La fase fibrotica (3-4 settmane) vede la dilatazione degli spazi aerei (cisti o a nido d’ape) nelle zone declivi del polmone, la fibrosi degli alveoli e la dilatazione dei bronchi piu’ periferici. Di particolare rilievo

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in questa fase sono i fenomeni di rimodellamento vascolare: dilatazione dei capillari, ispessimento della media delle arterie muscolari, proliferazione di tessuto muscolare in arterie non muscolari. Ipoossia e ipertensione polmonare favoriscono questi ultimi fenomeni. 23.3 FISIOPATOLOGIA La compromissione degli scambi gassosi si può ricondurre a tre meccanismi fondamentali: - shunt artero-venoso - alterazione del rapporto ventilazione/perfusione - compromissione della diffusione alveolo-capillare Il frequente rilievo di ipossiemia refrattaria alla somministrazione di O2 sembra indicare nello shunt artero venoso funzionale il principale meccanismo di alterazione degli scambi. Infatti, la precoce raccolta di liquido in alveolo provoca shunt nelle unità respiratorie perfuse ma non più ventilate. In gran parte dei pazienti in fase acuta si osserva una distribuzione bimodale del rapporto ventilaz./perfusione: unita’ respiratorie a rapporto normale, che ricevono circa il 50% della gittata cardiaca, mentre la rimanente frazione della gittata si distribuisce in territori polmonari non ventilati. Nella fase tardiva della fibrosi, la compromissione della diffusione alveolo-capillare gioca un ruolo importante nel mantenere l’ipossiemia. Per quel che riguarda la meccanica respiratoria, la principale alterazione è rappresentata dalla riduzione della distensibilita’ del polmone, il quale sarebbe piu’ rigido a causa dell’edema interstiziale e ed alveolare e della deplezione di surfactante. La deplezione del surfactante, favorendo il collasso alveolare, contribuisce allo sviluppo di forze idrostatiche le quali richiamano ulteriori liquidi nello spazio alveolare. Questi fenomeni aggravano la riduzione della distensibilita’ polmonare con conseguente aumento del lavoro respiratorio. Negli stadi più tardivi di ARDS, la deposizione di tessuto fibroso a livello interstizio/alveolare determina ulteriore riduzione della distensibilità polmonare (polmone rigido). Infine, l’aumento delle resistenze vascolari e della pressione arteriosa polmonare sono costantemente presenti nei pazienti con ARDS e persistono anche dopo correzione dell’ipossiemia. L’ipertensione polmonare (ostruzione del piccolo circolo) è dovuta a: trombosi intravascolare, distruzione del letto capillare e vasocostrizione ipossica riflessa (tentativo di compenso per normalizzare il rapporto V/Q). Il circolo vizioso (ipossiemia-vasocostrizione-ipossiemia), se non viene interrotto si ripercuote sul ventricolo destro provocando sovraccarico, dilatazione e scompenso. 23.4 CLINICA La sintomatologia varia in rapporto alle cause che hanno determinato la sindrome. Schematicamente si può identificare una fase prodromica, caratterizzata da polipnea ed ipossiemia ingravescente. Dalla fase prodromica si passa alla fase dell’edema, nella quale l’ipossiemia si manifesta con: tachipnea, agitazione, confusione mentale, cianosi. In questa fase si rilevano rantoli diffusi a piccole-medie bolle o crepitanti, e anche zone di silenzio respiratorio. Tali manifestazioni hanno andamento rapidamente ingravescente e richiedono spesso l’intubazione e la ventilazione meccanica. Successivamente si può osservare una fase intermedia delle membrane ialine, in cui i sintomi si attenuano e si riduce l’ipossiemia. Le ultime due fasi possono anche evolvere favorevolmente con restitutio ad integrum. In molti casi, pero, l’ARDS evolve verso la fibrosi interstiziale diffusa e quindi verso l’insufficienza respiratoria cronica. 23.5 DIAGNOSTICA I criteri necessari per porre o sospettare la diagnosi di ARDS includono: - identificazione di fattori di rischio - dispnea e tachipnea ingravescenti - evidenza RX di infiltrati polmonari diffusi bilaterali - ipossiemia arteriosa refrattaria alla somministrazione di O2 - (evidenza di ridotta compliance polmonare)

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Non esiste un test diagnostico di ARDS, in quanto la sindrome è il risultato clinico finale di una varietà di cause scatenanti. Trovandosi di fronte ad un quadro di edema polmonare diffuso ed ingravescente occorre dapprima stabilire se esso sia dovuto ad aumento della pressione idrostatica (scompenso cardiaco: il piu’ frequente) o ad aumento della permeabilità capillare (ARDS). La diagnosi viene suggerita dalla presenza di esposizione ai fattori di rischio noti per l’ARDS. Alcuni autori sottolineano l’utilità della misurazione della pressione in arteria polmonare a catetere incuneato (wedge pressure), che è solitamente normale nell’ARDS e aumentata invece nello scompenso cardiaco. In realtà tale misurazione ha importanza piu’ per il monitoraggio nel tempo che per la diagnosi in sè. Un utile elemento diagnostico rimane ancora la radiografia del torace. Essa dimostra nella fase dell’edema un accentuazione della trama interstiziale e la comparsa di infiltrati parenchimali irregolari prevalentemente ai campi medio-inferiori, che poi confluiscono in opacita’ massive, fino al polmone bianco. La TAC è il miglior mezzo per valutare l’estensione delle zone di parenchima polmonare consolidate e di quelle ancora ventilate.

23.6 CENNI DI TERAPIA Le principali finalità terapeutiche sono: ripristino dell’ossigenazione arteriosa, controllo del bilancio dei liquidi, riduzione dell’infiammazione polmonare. L’ipossiemia arteriosa da shunt non è correggibile con la sola somministrazione di O2. La ventilazione meccanica con pressione positiva di fine espirazione (PEEP, positive end expiratory pressure) consente di mantenere espansi gli alveoli collassati ma ancora perfusi e quindi di ridurre l’entità dello shunt. Il controllo del bilancio dei liquidi è inteso ad evitare il sovraccarico idrico che potrebbe peggiorare lo stravaso verso l’alveolo. I fenomeni infiammatori che danneggiano l’endotelio possono essere ridotti o controllati con la somministrazione di steroidi ad alte dosi. Piu’ di recente è stata dimostrata una certa efficacia del’’ossido nitrico e delle prostacicline come vasodilatatori polmonari, che consentirebbero di ridurre l’ipertensione polmonare.

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24. INSUFFICIENZA RESPIRATORIA (IR) 24.1 GENERALITA’ La respirazione normale deve garantire adeguato scambio dei gas: sufficiente apporto di ossigeno e valida eliminazione di anidride carbonica tali da mantenere normali valori di pressione arteriosa di questi gas. Il concetto di insufficienza respiratoria è analogo a quello di insufficienza cardiaca o renale: inadeguata funzione dell'organo rispetto alle richieste, causata da disparate patologie. La definizione esatta di IR è di riduzione della PaO2 al di sotto dei 60mmHg. Tale valore è stato scelto perchè al di sotto di esso la saturazione dell’Hb comincia a scendere in maniera critica. Quindi per definire un soggetto come in insufficienza respiratoria è necessario conoscere la sua paO2 (solitamente con l’EGA o in maniera imprecisa con la saturimetria). Nella definizione di IR non si fa cenno alla CO2. L’aumento della PaCO2 oltre i 50 mmHg individua l’ipercapnia associata all’IR, che può esserci o meno. Ovviamente, l’insufficienza respiratoria ipercapnica è sempre la più grave. Infine, il termine di insufficienza respiratoria (IR) non si riferisce ad una malattia a se stante ma ad una condizione fisiopatologia in cui lo scambio dei gas è alterato (per cause polmonari e non). A seconda del tempo che impiega a instaurarsi, si parla di IR acuta (IRA, solitamente emergenza medica) o cronica (IRC) e, come già detto si distinguono una IR ipossica ed una ipossico-ipercapnica. Dal punto di vista didattico può essere utile classificarla a seconda della causa che la produce (polmonare, cardiogena, centrale ecc.), anche se nella pratica clinica succede esattamente l’opposto: si accerta l’IR e bisogna individuarne la causa. 24.2 ASPETTI DI FISIOPATOLOGIA La respirazione si suddivide schematicamente in alcuni principali compartimenti: ventilazione, diffusione, per fusione, trasporto e controllo del respiro. Dal punto di vista strettamente fisiopatologico un'anomalia di ciascuna (o più) di queste componenti può portare all'insufficienza respiratoria. Può esserci ipossiemia senza ipercapnia, mentre non si verifica praticamente mai la situazione opposta. Infatti, quale che sia il meccanismo di scompenso, l’ossiemia è sempre la prima ad alterarsi, tenendo conto che l’ossigeno è poco solubile, poco diffusibile e strettamente dipendente dall’ HB per il trasporto. Al contrario essendo la CO2 estremamente solubile e diffusibile essa aumenta nel sangue solo se gli scambi gassosi sono compromessi in maniera molto grave. In genere quindi l’ipercapnia è indice di gravità della situazione. Inoltre, l’aumento della CO2 conduce a diminuzione del del pH (acidosi) che richiede alcuni giorni per essere compensata dai meccanismi renali. Una IRA, cioè insorta rapidamente mette in moto come primo compenso l’aumento della ventilazione (frequenza e profondità). Se lo scambio dei gas non è compromesso in maniera grave, la CO2 può essere ancora eliminata e questo spiega perché in alcune situazioni come l’asma o la TEP si può avere IR con ipocapnia. Ovviamente, se lo scambio dei gas non funziona, la IRA evolve rapidamente in forma ipercapnica con acidosi, coma e arresto respiratorio. Se l’IR e quindi l’ipossiemia si instaura gradualmente e lentamente (come avviene ad esempio nella BPCO), non si ha iperventilazione e la dispnea appare inizialmente solo sotto sforzo. In tal caso, l’aumento della CO2 è tardivo e quando inizia mette in moto il compenso renale, che ha tempo sufficiente per svilupparsi. Le più importanti situazioni fisiopatologiche in cui può verificarsi un’ipossiemia sono: - ipoventilazione alveolare: tutte le situazioni in cui il livello ventilatorio non soddisfa, oltre

alle richieste di O2, l’eliminazione di CO2 (anatomiche, neurologiche, muscolari) - squilibrio ventilazione/perfusione: quando l'apporto ematico al polmone è maggiore degli

scambi ventilatori ne consegue un'ipossiemia arteriosa. L'alterato rapporto ventilazione/perfusione è la più comune causa di ipossiemia arteriosa che normalmente si corregge almeno in parte somministrando al paziente O2 al 100%.

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- shunt destro/sinistro: può derivare da anomale comunicazioni polmonari (fistola polmonare arterovenosa), o più comunemente per l’esistenza di aree perfuse ma non ventilate per collabimento (atelettasia) o replete di fluidi (edema polmonare, ARDS, polmonite massiva). In caso di shunt, l'inspirazione di O2 puro non aumenta la pO2 rispetto alle condizioni basali.

- alterata diffusione: raramente è pura e solitamente complica altre patologie. Di per sè non comporta una ipossiemia arteriosa a riposo.

- ridotta concentrazione di O2: ad alte quote per rarefazione dell'aria o per consumo di O2 dovuto a combustioni o per diluizione ad opera di altri gas.

L'ipercapnia può sempre essere interpretata unicamente come il risultato di una ipoventilazione alveolare. Ciò è vero in quanto la PCO2 arteriosa è regolata dal rapporto tra produzione di CO2 e ventilazione alveolare. Fisiologicamente anche qualora la produzione di CO2 aumenti intensamente, la ventilazione alveolare incrementa proporzionalmente e la PCO2 arteriosa viene mantenuta entro valori ristretti. Pertanto un incremento della PCO2 arteriosa implica sempre insufficienza respiratoria, nel senso che la ventilazione alveolare risulta essere inadeguata ad eliminare tutta la CO2 prodotta in quel momento. All’aumento protratto ma lento della PCO2, il rene tenta di compensare la situazione aumentando il riassorbimento dei bicarbonati, al fine di riportare alla norma i valori del pH. Per tale motivo, nei pazienti con acidosi respiratoria compensata il pH è quasi normale, nonostante l’aumento della PaCO2 e a prezzo di un incremento dei bicarbonati. L'insufficienza respiratoria acuta può generare uno scompenso acuto del cuore destro in seguito a vasocostrizione delle arterie polmonari da ipoossia (cuore polmonare acuto). Parimenti, l’insufficienza respiratoria cronica (tipicamente la BPCO) può dare origine lentamente a cuore polmonare sempre per vasocostrizione ipoossica, aggravata dalla riduzione anatomica del letto vascolare e dall’iperinsufflazione che comprime i capillari polmonari. 24.3 CLASSIFICAZIONE DELL’ INSUFFICIENZA RESPIRATORIA Dal momento che la definizione operativa di IR è la presenza di ipossiemia arteriosa (associata o meno ad ipercapnia), è comprensibile che numerose situazioni morbose possano esserne la causa. Una possibile classificazione tiene conto di quale componente dell'apparato respiratorio sia coinvolta e se avvenga acutamente o cronicamente (vedi tabelle). Ovviamente, tale classificazione è scolastica • Malattie ostruttive Acute: ostruzione improvvisa del flusso aereo. Una ostruzione delle vie aeree extratoraciche (rinofaringe, laringe e porzione extratoracica della trachea) causa di regola stridore, mentre un'ostruzione delle vie aeree intratoraciche causa respiro sibilante (wheezing). Un'ostruzione acuta delle vie aeree superiori deriva o da processi flogistici-infettivi o meccanici (corpo estraneo); in particolare nella prima e seconda infanzia l'epiglottite è una situazione particolarmente grave e pericolosa. Ostruzione acuta delle vie aeree inferiori è causata da broncospasmo, quindi: asma bronchiale, bronchiolite (nel lattante) e inalazione di sostanze tossiche. Croniche: un'ostruzione diffusa può derivare da patologie dei grossi bronchi (bronchiectasie), dei piccoli bronchi (bronchite) o del parenchima polmonare (enfisema). Queste condizioni morbose conducono gradualmente all'IR cronica, in particolare le riacutizzazioni (bronchite e polmonite) aggravano sensibilmente la patologia di base. • Malattie che causano un'infiltrazione del parenchima. Acute: la forma più comune è la polmonite. Lo sviluppo di IRA è correlata all'estensione del processo. Croniche: sono numerosissime (oltre 100) le condizioni di infiltrazione cronica parenchimale. • Malattie che causano edema polmonare

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Sono sempre acute: l'edema polmonare può essere conseguenza di un infarto miocardico, di uno scompenso acuto sinistro (crisi ipertensiva o aritmia) o può essere dovuto a aumentata permeabilità capillare (ARDS, capitolo 21). • Malattie polmonari vascolari Acute: la tromboembolia polmonare porta di solito ad una ipossiemia (e ipocapnia da iperventilazione riflessa) Croniche: le condizioni più comuni sono le vasculiti polmonari e il tromboembolismo ricorrente (frequente nei tossicodipendenti, nei pazienti con malattie venose periferiche o anemia a cellule falciformi). • Malattie della parete toracica e della pleura Acute: la forma più frequente è il trauma toracico con multiple fratture costali e dello sterno. Altra causa, spesso associata ai traumi è il pneumotorace. Croniche: una grave cifoscoliosi (idiopatica o acquisita) può indurre un'IR, spesso associata a cuore polmonare. Anche massivi versamenti pleurici o pleuriti costrittive possono essere causa di IR. • Patologie neuromuscolari Diverse condizioni morbose neurologiche possono indurre un' IR; da un punto di vista classificativo si considerano: patologie cerebrali, malattie dei nervi periferici e del midollo spinale, malattie muscolari. Una classificazione piu’ semplice e pratica anche se meno dettagliata, suddivide le IR in due grandi gruppi - da deficit della pompa ventilatoria (nervi, centri nervosi, muscoli, parete toracica, pleure) - da deficit dello scambiatore di gas (malattie ostruttive e restrittive, alterato rapporto

ventilazione/perfusione, alterata diffusione ecc. 24.4 MANIFESTAZIONI CLINICHE Considerando l'estrema eterogeità eziologica, è scontato il polimorfismo dei sintomi della malattia di base. Si analizzeranno brevemente la sintomatologia dell'ipossia e dell'ipercapnia, rimandando agli altri capitoli la descrizione dei singoli quadri clinici. Ipossia I segni e sintomi dell'ipossia acuta sono essenzialmente le alterazioni del SNC e della funzione cardiovascolare. Segni caratteristici sono il sopore e l’instabilita’ motoria: quadro che assomiglia all'etilismo acuto. Se l'ipossia peggiora si va incontro a morte per depressione dei centri respiratori midollari. Gli effetti precoci sul sistema CV sono rappresentati da tachicardia ed ipertensione arteriosa, in seguito compare bradicardia, insufficienza contrattile e shock cardiogeno. Segno importante è la cianosi che indica la desaturazione dell’Hb (in pazienti poliglobulici la cianosi si può manifestare solo quando PO2 < 50 mm Hg). L'ipossia cronica è caratterizzata, oltre che da apatia e affaticamento, dalla ridotta tolleranza allo sforzo. A carico del circolo si osserva uno scompenso destro. Esiste infine, come meccanismo di compenso una poliglobulia. Ipercapnia Le conseguenze fisiopatologiche dell'ipercapnia dipendono non solo dalla quantità in eccesso di CO2, ma anche dal tempo in cui si manifesta. Le forme acute si caratterizzano per una serie di disturbi neurologici centrali (agitazione, confusione, sedazione, coma). La risposta vascolare rappresenta un insieme di riflessi vasocostrittori, dovuti all'ipertono simpatico e vasodilatatori, legati all'accumulo locale di CO2. Pertanto la risposta cardiovascolare dipende dalla prevalenza in quel momento di una delle due componenti. In realtà le manifestazioni cliniche dell’ipercapnia sono dovute all’acidosi Le forme in cui l'ipercapnia si manifesta lentamente sono caratterizzate dall'innesco dei meccanismi di compenso, per cui il quadro clinico può essere quasi inespressivo anche a valori di PCO2, che se si realizzassero acutamente condurrebbero a morte. Ci sono infatti pazienti che conducono, a riposo, una vita abbastanza regolare con valori di PCO2 intorno ai 50-60 mm Hg. I

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sintomi più comuni sono comunque la cefalea e la sedazione. Altri segni sono il papilledema, contrazioni muscolari, scosse miocloniche e asterissi. Cause di insufficienza respiratoria cronica Ostruzione delle vie aeree BPCO

Enfisema Asma cronica

Infiltrazione parenchimale Fibrosi polmonari diffuse Sarcoidosi e altre granulomatosi Neoplasie infiltranti diffuse Proteinosi e amiloidosi Tesaurismosi

Edema alveolare Scompenso cardiaco cronico Alterazioni vascolari Tromboembolie ricorrenti

Ipertensione polmonare Vasculiti

Malattie pleuriche Pleuriti costrittive Versamenti massivi

Alterazioni di parete Deformita’ del torace (cifoscoliosi) Grave obesita’

Malattie del SNC Farmaci, tossici, traumi Poliomielite bulbare

Malattie dei nervi Poliomielite spinale, Guillain-Barrè, Sclerosi lat. Amiotrofica Neuropatie tossiche e metaboliche

Patologie muscolari Distrofia muscolare, polimiosite, amiotonia, miastenia grave Cause di insufficienza respiratoria acuta Ostruzione delle vie aeree Attacco asmatico

Epiglottite, edema della glottide Corpo estraneo

Infiltrazione parenchimale Polmoniti e broncopolmoniti

Edema alveolare Edema polmonare acuto cardiogeno Edema da alte quote o da ipossia Sindrome da distress respiratorio dell’adulto Inalazione di tossici e irritanti

Alterazioni vascolari Tromboembolie polmonare massiva Ipertensione polmonare acuta da rotture valvolari o del setto

Malattie pleuriche Versamenti massivi (emotorace) Pneumotorace iperteso Traumi

Alterazione dei gas atmosferici Altitudine, aumento del CO o CO2 Alterazioni di parete Traumi Malattie del SNC Intossicazioni (etanolo, oppioidi), traumi

Poliomielite bulbare Malattie dei nervi S di Guillain-Barrè, neuropatie tossiche

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25. SINDROME MEDIASTINICA E MEDIASTINITE 25.1 GENERALITA’ Come l’insufficienza respiratoria, anche la s. mediastinica non è una patologia a se stante, ma un insieme di sintomi variamente associati dovuti all’impegno meccanico del mediastino. Il mediastino è lo spazio racchiuso tra i due polmoni lateralmente, sterno e articolazioni condrosternali anteriormente, colonna e muscoli paravertebrali posteriormente, diaframma inferiormente e prima costa/clavicola superiormente, ove si continua direttamente con il collo. Il mediastino contiene, immersi nel tessuto lasso: • grossi vasi (aorta, vene cave e azygos) • vie nervose e gangli (n.frenico, n.vago, nn ricorrenti) • esofago • trachea ed i bronchi principali (vie extrapolmonari) • cuore e pericardio • timo e tiroide • linfonodi e collettori linfatici Il mediastino è solo una cavità, o meglio una regione anatomotopografica che contiene organi, ma modificazioni delle strutture in esso contenute possono alterare la meccanica respiratoria. Per contro, alterazioni dell’apparato respiratorio possono coinvolgere le strutture del mediastino (frequentemente infiltrazione da neoplasia).

25.2 PATOGENESI E CLINICA Considerate le strutture del mediastino, si possono avere diverse principali sindromi che coinvolgono l’apparato respiratorio e le sue funzioni: sindromi respiratorie, digestive, neurologiche e vascolari. La presenza di una di queste associazioni cliniche di sintomi deve sempre indirizzare la diagnostica alla ricerca della patologia che la causa. Infine, le alterazioni degli apparati possono manifestarsi insieme e parzialmente sovrapposte.

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SINDROME MECCANISMO CLINICA Respiratoria Compressione/occlusione delle

vie resp. extrapolmonari. Dispnea inspiratoria, stridore, tirage, tosse secca

Neurologica Irritazione Simpatico cervicale Deficit simpatico cervicale Irritazione plesso brachiale Compressione/infiltrazione vago Compressione/irritazione frenico Compressione/infiltrazione ricorrenti

Esoftalmo, retraz. palpebra sup. (Parfour-Petit) Miosi, ptosi, enoftalmo (Bernard-Horner) Algie spalla e arto superiore. (Ciuffini-Pancoast) Tachicardia/bradicardia Singhiozzo, paralisi del diaframma Disfonia, voce bitonale

Digestiva Compressione dell’esofago Trazione sull’esofago

Disfagia ortodossa e paradossa Diverticoli, rigurgito

Circolatoria Ostruzione della vena cava superiore e/o sbocco della vena azygos

Edema a mantellina, turgore delle giugulari Circoli venosi collaterali superficiali e profondi

La sindrome mediastinica è sostanzialmente causata nella maggior parte dei casi da fattori meccanici, quindi da lesioni occupanti spazio, cioè solitamente masse neoplastiche. I tumori del polmone, delle pleure e dell’esofago sono quelli che più frequentemente causano tali sindromi, mentre i tumori della tiroide, del timo i disembriomi e i mielomeningoceli sono cause di s. mediastinica molto più rare. Possibili cause di s.mediastinica Carcinomi broncogeni e adenopatia secondaria Tumori neuroectodermici: neurofibroma,

ganglioblastoma, neuroblastoma, paraganglioma. Gozzo retrosternale Timoma, cisti timica, iperplasia timica Tumori dell’esofago Adenoma e cisti delle paratiroidi Adenopatie da sarcoidosi o linfoma Seminoma, disgerminoma, coriocarcinoma Cisti pericardiche Cisti del dotto toracico Cisti broncogene Linfangioleiomioma Mediastinite I tumori dell’apice polmonare, data la localizzazione anatomica causano frequentemente le sindromi neurologiche da interessamento del simpatico cervicale e del plesso brachiale con le note sindromi di Petit, Claude Bernard-Horner e Pancoast-Ciuffini, le quali anche se rare sono estremamente suggestive e diagnostiche. I tumori più mediali possono invece coinvolgere il nervo frenico, vago e ricorrente. A tal proposito occorre ricordare l’importanza diagnostica del singhiozzo cronico ed incoercibile e delle alterazioni della voce (disfonia e voce bitonale). La paralisi di un emidiaframma è un’evenienza più rara e di solito si osserva nelle fasi avanzate. I tumori a sviluppo prevalentemente mediale possono anche dare una compressione estrinseca sull’esofago di entità tale da causare disfagia franca, ortodossa e paradossa. Dal punto di vista cardiocircolatorio, la vena cava superiore (costituita dall’unione delle due anonime) è la struttura più frequentemente coinvolta da tumori a sviluppo mediastinico antero-superiore. L‘ostruzione della cava causa edema a mantellina e turgore delle giugulari, ma bisogna tenere conto che si sviluppano di frequente efficienti circoli collaterali che consentono il deflusso del sangue. Se l’ostruzione è sopra lo sbocco della vena azygos, i circoli anastomotici sono profondi (mammarie interne, intercostali). Se l’ostruzione è sullo sbocco dell’azygos nella cava il sangue deve invertire la corrente e passare attraverso le intercostali, le mammarie, l’azygos/emiazygos e le lombari fino alle iliache; in questo caso i circoli collaterali sono anche superficiali e si osservano sulla parte anteriore e laterale del torace (reticolo venoso cava-cava). Se l’ostruzione è al di sotto dello sbocco della azygos, i circoli collaterali sono ancora una volta prevalentemente profondi.

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La sindrome respiratoria è la più rara, poichè la trachea ed i grossi bronchi hanno una struttura cartilaginea robusta e difficilmente si possono realizzare ostruzioni tali da alterare la ventilazione. In caso di compressione sulla trachea o bronchi principali si avrà dispnea con stridore inspiratorio e tirage visibile agli spazi intercostali e fosse sovraclaveari. 25.3 DIAGNOSTICA E CENNI DI TERAPIA Nella maggior parte dei casi la sindrome mediastinica si instaura dopo che è già stata posta la diagnosi di base, e rappresenta un indice aggiuntivo di gravità. In una minoranza di casi è una malattia neoplastica che esordisce solo con aspetti di sindrome mediastinica (disfonia, singhiozzo, dolore all’arto superiore, disfagia). La diagnostica è fondamentalmente morfologica e topografica e si avvale quindi della TAC; in alcuni casi selezionati si impiega anche l’angiografia. La mediastinoscopia può essere utile nella diagnosi delle lesioni espansive del mediatino antero-superiore; i suoi limiti sono dovuti all’impossibilità di raggiungere lesioni coperte da strutture vascolari (come i linfonodi della finestra aortopolmonare). La toracoscopia, attraverso finestre eseguite sulla pleura mediastinica può consentire l’accesso e l’esplorazione di lesioni posteriori. La terapia di elezione è chirurgica, quando possibile. Una terapia radicale è possibile solo nei casi di neoplasie non invasive e a bassa malignità. Nel caso delle neoplasie polmonari centrali o dell’apice, la radioterapia, associata o meno a terapie mediche può ridurre la massa neoplastica e alleviare i sintomi. 25.4 MEDIASTINITI Sono processi infiammatori acuti o cronici del tessuto connettivo del mediastino. Classicamente si suddividono, in base alla presentazione clinica in acute e croniche FORME ACUTE FORME CRONICHE DIFFUSE infezioni dentarie infezioni del collo (tonsilliti, ascessi retrofaringei) ferite esterne suppurazione di tiroide, sterno, polmone perforazione esofago e trachea

DIFFUSE emomediastino radioterapia sclerodermia morbo di Hodgking (forma scleroatrofica) ergotamina idiopatica

CIRCOSCRITTE linfadenite suppurativa perforazioni dell’esofago (spontanea, traumatica, tumorale, iatrogena)

CIRCOSCRITTE esiti cicatriziali e sclero-atrofici di linfadeniti (TBC, istoplasma, miceti)

Le mediastiniti acute sono generalmente dovute ad una diffusione di un infezione batterica (solitamente cocchi G+). La forma diffusa spesso si accompagna a pleurite con versamento pleurico purulento ed a pericardite, con tendenza a diffondersi per via linfatica nelle varie logge mediastiniche. Dal punto di vista clinico si ha dolore vivo retrosternale con irradiazione posteriore a livello paravertebrale, febbre di tipo settico intermittente o remittente, dispnea, cianosi, enfisema mediastinico, enfisema sottocutaneo al collo (tipico delle perforazioni dell’esofago), segni precoci dello shock (ipotensione, tachipnea, tachicardia, agitazione psicomotoria, etc.), talvolta sintomi di sindrome mediastinica (tosse, disfagia, congestione della rete venosa cervico-brachiale). Per la diagnosi è importante è un accurato esame clinico del paziente, gli esami di laboratorio (leucocitosi, PCR), ed infine gli esami strumentali come RX torace, TC torace, esofagoscopia ed esofagografia con contrasto idrosolubile. La terapia prevede essenzialmente il drenaggio della raccolta mediante

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toracotomia (destra o sinistra) con o senza cervicotomia. Importante è anche impostare un‘adeguata copertura antibiotica e quando possibile la rimozione della causa. Le forme croniche sono caratterizzate dalla sclerosi fibrosa dello spazio mediastinico, con importanti conseguenze funzionali a carico dell’ apparato circolatorio e respiratorio. Clinicamente sono possibili diversi quadri sintomatologici che comprendono: sindrome mediastinica (vedi sopra) sindrome di Menetrier per compressione del dotto toracico (edemi arti inferiori, arto superiore sinistro, chilotorace, chiloperitoneo), sindrome di Pick con un quadro di mediastino-pericardite La diagnosi viene fatta con TC, RM, PET, cavografia e mediastinoscopia, soprattutto per escludere il linfoma Hodgkin. La terapia prevede il drenaggio delle raccolte purulente nelle forme circoscritte, e la decorticazione del cuore nella S. di Pick (in circolazione extracorporea)

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26. MALFORMAZIONI POLMONARI, MALATTIE DELLA GABBIA TORACICA E DIAFRAMMA 26.1 MALFORMAZIONI POLMONARI Le malformazioni polmonari derivano da difetti di sviluppo intrauterino dell'apparato respiratorio. Incidenza e prevalenza sono difficili da valutare perchè le malformazioni sono asintomatiche e di riscontro occasionale o autoptico. Le malformazioni vascolari, broncopolmonari gravi e le fistole tracheoesofagee si manifestano già alla nascita e vengono diagnosticate subito. Le alterazioni congenite di più frequente riscontro clinico nell'adulto sono il sequestro polmonare, le cisti broncogene e la fistola arterovenosa. L'apparato respiratorio si abbozza a partire dalla IV settimana e si sviluppa lentamente fino alla fine del quinto mese quando inizia a proliferare la superficie epiteliale degli alveoli. Alla nascita si hanno 15-18 suddivisioni bronchiali, che arrivano alle ordinarie 23-24 intorno al 12mo anno. Anche la rete vascolare assume la sua struttura definitiva a partire dal 5 mese. Qualsiasi noxa intervenga prima del 5-6 mese di gestazione può causare una malformazione dell'AR; tra queste ricordiamo: - cause infettive: rosolia, varicella, toxoplasma, parotite - cause meccaniche - cause tossiche e farmacologiche - cause carenziali MALFORMAZIONI POLMONARI MALFORMAZIONI VASCOLARI Minori: anomale scissurali, bronchi soprannumerari, cisti broncogene

Sequestro polmonare

Atresie e/o stenosi tracheobronchiali Fistola arterovenosa Tracheobroncomalacia Sbocco anomalo delle vene polmonari Fistole tracheo- o broncoesofagee Ipoplasia di un’arteria polmonare Malformazioni anatomiche (grado I-IV) Coartazione della polmonare 26.1.1 Sequestro polmonare Uno o più segmenti (o zone subsegmentarie) di un polmone sono esclusi dal normale piccolo circolo e dalla ventilazione e vengono irrorati soltanto dal circolo sistemico. Tali zone sono indipendenti: non hanno una superficie alveolare funzionale, non sono servite dalla circolazione arteriosa polmonare e scaricano il sangue refluo direttamente nel circolo venoso azygos-emiazygos. In pratica si tratta di masse di parenchima polmonare non funzionante incluso in parenchima normale (solitamente nelle zone inferiori). Il sequestro polmonare può rimanere asintomatico ed essere reperto RX occasionale (massa opaca ben delimitata, spesso con formazioni cistiche all’interno). Può infettarsi, con i segni e i sintomi dell’ascesso polmonare (compresa la vomica se si crea una comunicazione con l’albero bronchiale). Oppure può provocare emottisi ricorrenti o, più di rado, comprimere strutture circostanti (bronchi, esofago, nervi ricorrenti). 26.1.2 Fistola arterovenosa (FAVP) È la comunicazione diretta tra un ramo arterioso e uno venoso all’interno del polmone. È frequentissima nella telangectasia emorragica ereditaria, ma rara di per sè (0.5% delle casistiche cardio-pneumologiche). Può essere dovuta ad una fistola a pieno canale, ad angiomi o ad aneurismi cirsoidi. Si realizza comunque uno shunt destro-sinistro, per cui una quota di sangue non ossigenato arriva al grande circolo. Si avranno pertanto ipossia arteriosa cronica (non correggibile con la somministrazione di O2), dispnea da sforzo, cianosi, poliglobulia compensatoria. L’entità di tali manifestazioni è ovviamente dipendente dall’importanza dello

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shunt. Clinicamente si passa dalla semplice dispnea da sforzo, al cuore polmonare, alla cianosi. Sono complicanze gravi l’emottisi massiva e l’emotorace. La diagnosi di certezza si effettua con l’angiografia. 26.1.3 Malformazioni anatomiche di sviluppo (rarissime). Classificazione di Monaldi: I grado: mancanza completa di un polmone; II grado: presenza del solo moncone di un bronco principale; III grado: sviluppo fino ai bronchi lobari o segmentari; IV grado: formazioni cistiche a valle di bronchi subsegmentari, con parenchima areato circostante. Le forme dal I al III grado hanno esordio precoce e sono di competenza della pediatria. Le malformazioni di IV grado, a seconda della loro estensione possono manifestarsi anche nell'adulto, in conseguenza di processi infettivi che cronicizzano o presentano carattere di particolare gravita'. Il quadro spirometrico è in questi casi restrittivo o misto e viene precisato dalla diagnostica per immagini (RX, TC, RMN, angiografia, scintigrafie, broncografia). Le cisti broncogene sono dilatazioni congenite anche massive di un tratto di parete di un bronco che possono comprimere le strutture adiacenti, infettarsi o dare origine ad emottisi. 26.2 ALTERAZIONI DELLA GABBIA TORACICA La gabbia toracica (compreso il diaframma) è il mantice responsabile della meccanica ventilatoria. La sua integrità anatomica e funzionale è necessaria per il movimento dei polmoni. Qualsiasi alterazione della forma, delle dimensioni o del movimento della gabbia toracica implica difetti della ventilazione. Solitamente tali alterazioni causano o ipoventilazione alveolare e/o sindrome restrittiva. Le malformazioni congenite sono molto rare e solitamente non sono isolate, ma parte di sindromi malformative complesse. Alcune deformità acquisite invece si possono osservare più di frequente, come ad esempio le cifoscoliosi (deformità della colonna vertebrale) e gli esiti di vecchi interventi di asportazione di parte dei polmoni (toracoplastica). CONGENITE ACQUISITE Coste soprannumerarie Cifoscoliosi Petto carenato ed scavato Spondilite anchilosante Coste bifide Policondrite recidivante S. della schiena dritta M.di Pott Iperostosi sternoclavicolare Toracoplastica Agenesia del grande pettorale (s. di Poland) S. dello stretto superiore del torace La scoliosi (deviazione del rachide sul piano coronale) e la cifosi (deviazione sul piano sagittale) sono le piu' frequenti deformità, spesso associate tra di loro (cifoscoliosi). Nella maggior parte dei casi sono precocemente acquisite, quindi a lenta insorgenza e decorso. Più raramente possono essere causate da traumi o da malattie neuromuscolari. Se la deformità s’instaura e peggiora lentamente (nel corso di anni), la meccanica polmonare si adatta e compensa, tanto che nelle forme a lento decorso si può mantenere per anni una funzione respiratoria globalmente buona. Nella scoliosi, le coste sono distanziate e formano un gibbo dalla parte convessa, mentre sono affastellate dalla parte concava. Nelle scoliosi gravi, il polmone dal lato della concavità è di volume ridotto, e dal lato opposto (a causa della rotazione delle coste e delle vertebre) l'escursione ventilatoria è limitata. Si evidenziano quindi riduzione della CVF e della CPT. Il VR può anche essere poco modificato. Generalmente il quadro è di sindrome restrittiva pura o quasi pura. In assenza di altre malattie del polmone, le deformità della gabbia toracica sono comunque fattori favorenti l'insorgenza di infezioni e di bronchiectasie. La deformità toracica è importante se coesiste una patologia broncopolmonare (BPCO, enfisema, fibrosi): qualsiasi scompenso della malattia di base produce grave ipoventilazione alveolare perchè la meccanica respiratoria non è più sufficiente a compensare. Il torace carenato e ad imbuto sono forme ormai rarissime, mentre le coste sovrannumerarie,

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bifide o fluttuanti sono quasi sempre asintomatiche e di rilievo occasionale. 26.3 PATOLOGIA DEL DIAFRAMMA Il diaframma è responsabile, a riposo, del 75% della ventilazione. La sua contrazione abbassa le basi polmonari, espande la parte inferiore della gabbia toracica e aumenta la pressione addominale. È costituito per il 50% da fibre muscolari poco sensibili all’affaticamento, ed è innervato dai nervi frenici. Nel soggetto normale l’emidiaframma SX è piu’ basso di 1-2 cm del DX; sotto all’emidiaframma SX si trova la bolla gastrica, mentre sotto al DX si trova la cupola epatica. Nel Rxgramma standard, le due cupole diaframmatiche delimitano i seni costofenici. L’innalzamento abnorme di una cupola diaframmatica puo’ essere dovuto o a paralisi del muscolo o retrazione del polmone sovrastante. Patologie del diaframma Paralisi uni- o bilaterale Ascesso subfrenico Ernie: di Bochdaleck Di Morgagni Post traumatiche

Movimenti anomali: flutter diaframmatico spasmo tonico singhiozzo

Eventratio e relaxatio Tumori (sarcomi) RARISSIMI 26.3.1 Paralisi del diaframma Nella pratica clinica si può osservare all’RX l’innalzamento anomalo di un emidiaframma, ma risulta difficile stabilire se sia realmente una paralisi. Può essere dirimente l’osservazione in fluoroscopia. In ogni caso, l’innalzamento di un emidiaframma deve far sospettare in prima istanza la lesione del frenico corrispondente, che è di solito neoplastica (carcinoma broncogeno), ma può essere anche dovuta a compressione (gozzo, ascesso, tumore mediastinico), a trauma, a patologia primitiva del diaframma o cause di origine neurologica. La paralisi di un emidiaframma può anche non dare segni o sintomi, ed essere un riscontro occasionale e magari precoce di altra patologia (infiltrazione/compressione del frenico). La CV è infatti ridotta solo del 20-30% nel caso di paralisi unilaterale. 26.3.2 Eventratio e relaxatio Sono patologie rare e quasi sempre unilaterali. La eventratio è spesso congenita: il diaframma è ridotto ad un sottile fascio aponeurotico. La relaxatio è spesso acquisita (paralisi del frenico) e comporta normale struttura ma ipotonia delle fibre. In entrambi i casi si ha risalita degli organi addominali, con ostacolo alla ventilazione. La sindrome è restrittiva e la TC permette immediata diagnosi. La terapia, ove indicato, è chirurgica. 26.3.3 Ernie diaframmatiche Le ernie di Bochdaleck sono posterolaterali (interruzione tra le fibre costali e lombari). Si può avere risalita in torace di: intestino tenue, duodeno o milza e raramente del fegato. Per la maggior parte vengono diagnosticate nel neonato; nell'adulto causano problemi meccanici (dispnea, dispepsia ecc.). Le ernie di Morgagni, anterolaterali, sono rare e spesso restano silenti a lungo. Le ernie dello hiatus esofageo vengono distinte come: da scivolamento (sliding), da rotolamento (rolling) e da esofago corto. In tutti i casi si ha risalita della parte terminale dell'esofago e/o del fondo gastrico in torace con disturbi digestivi, più raramente cardiaci (aritmie) o respiratori. RX con pasto baritato e TC sono solitamente sufficienti a confermare la diagnosi

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27. MALATTIE NEUROMUSCOLARI 27.1 GENERALITA’ Come accennato nel capitolo 3, il respiro è controllato da gruppi di cellule pacemaker bulbopontini, che forniscono gli impulsi ritmici della respirazione spontanea. Gli stimoli nervosi emergono dal tronco encefalico a livello di C3-C6, con le radici del frenico. Il frenico decorre nel collo e nel mediastino e innerva poi il diaframma che è il principale muscolo inspiratorio (figura 1). Naturalmente, le lesioni dei centri bulbopontini (eventi vascolari acuti, sostanze tossiche) o le lesioni del frenico (trauma cervicale alto) inducono arresto respiratorio immediato.

Perché il mantice respiratorio funzioni occorre l’integrità dei centri bulbopontini, delle fibre nervose e delle fibre muscolari striate. Le malattie neuromuscolari degenerative colpiscono essenzialmente le ultime due componenti. Sia che l’impulso non venga trasmesso, sia che il muscolo non sia più in grado di contrarsi, il risultato finale è una riduzione della ventilazione alveolare, associata a inefficacia del riflesso della tosse. Alla riduzione della ventilazione concorrono l’ipostenia della muscolatura dorsale e le atelettasie che si generano per il ristagno di secrezioni. Inoltre, l’inefficacia della tosse favorisce il ristagno di secrezioni e rende il paziente vulnerabile alle sovrinfezioni. Il ridotto tono muscolare delle vie aeree superiori può generare apnee ostruttive del sonno, che concorrono all’ipossiemia. L’ipoventilazione alveolare genera dapprima ipossiemia e successivamente ipercapnia. Ovviamente, la rapidità dell’instaurarsi delle alterazioni dei gas è diversa da patologia a patologia e le alterazioni funzionali si instaurano gradualmente. Non di rado, lo stadio iniziale è costituito dalla sola ipossiemia notturna, dovuta alla fisiologica riduzione dell’attività respiratoria nel sonno. Un riassunto dei principali meccanismi fisiopatologici è riportato in figura 2.

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FIGURA 2: MECCANISMI FISIOPATOLOGICI

27.2 LE PRINCIPALI ENTITA’ CLINICHE Le malattie neuromuscolari sono state da sempre appannaggio della neurologia. La pneumologia è intervenuta solo quando si sono rese disponibili tecniche accessibili di ventilazione meccanica. Tali tecniche hanno consentito di migliorare la qualità della vita dei pazienti, almeno fino ad un certo limite. Tra le più note malattie neurologiche ricordiamo: poliomielite, sclerosi laterale amiotrofica (SLA), sclerosi multipla, mielite traversa, S.di Guillain-Barrè, atrofia muscolare spinale di Werdnig-Hoffmann. La SLA si distingue per la rapidità della progressione, portando alla grave insufficienza respiratoria nel giro di pochi anni dall’esordio. La sclerosi multipla fortunatamente interessa la respirazione abbastanza di rado e solo nelle fasi terminali di malattia. Tra le malattie muscolari ricordiamo la miastenia grave e le varie distrofie muscolari progressive (Duchenne, Becker, Landouzy-Dejerine). Mentre la forma classica grave di Duchenne esordisce nell’infanzia e conduce abbastanza rapidamente a insufficienza respiratoria, le altre forme sono più lente ed esordiscono in maniera conclamata solo nella vita adulta. Come accennato sopra, le alterazioni funzionali e cliniche si instaurano gradualmente, più o meno rapidamente a seconda della patologia. La prima alterazione è l’ipossiemia (inizialmente solo notturna), che causa progressiva riduzione della tolleranza allo sforzo, fino alla dispnea a riposo. L’ipercapnia sopravviene sempre in un secondo tempo e quando è conclamata provoca alterazione della coscienza, sopore e coma. Il ristagno delle secrezioni causa tosse, la quale è però via via insufficiente ad allontanarle. Per tale motivo i pazienti sono predisposti alle infezioni respiratorie (bronchiti e polmoniti) che peggiorano ulteriormente lo scambio dei gas. Nelle fasi terminali, la morte avviene o per infezione o per arresto respiratorio.

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27.3 CENNI DI TERAPIA Nelle fasi iniziali è essenziale conservare la funzione respiratoria residua e drenare le secrezioni. A tale scopo sono indispensabili la fisiocinesiterapia e la ginnastica respiratoria. L’ipossiemia può essere corretta con la somministrazione di ossigeno supplementare. Allorché la funzione respiratoria è gravemente compromessa (ipercapnia), è necessaria la ventilazione meccanica di supporto. Tale ventilazione può essere fatta inizialmente con metodiche non invasive (maschere facciali) e poi in maniera invasiva (mediante tracheotomia).

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28. DISTURBI RESPIRATORI DEL SONNO 28.1 SINDROME DELLE APNEE OSTRUTTIVE DEL SONNO 28.1.1 GENERALITA’ La sindrome delle apnee ostruttive durante il sonno (OSAS) è caratterizzata da episodi ricorrenti di ostruzione delle vie aeree superiori, che portano ad una riduzione marcata (ipopnea) oppure all’assenza (apnea) di flusso aereo al naso ed alla bocca, pur essendo presenti gli sforzi respiratori. Questi episodi sono generalmente accompagnati da russamento e da ipossiemia, e terminano con dei brevi risvegli (di cui il paziente non si accorge), con conseguente frammentazione del sonno ed eccessiva sonnolenza diurna. L’OSAS ha una prevalenza dell’1.4% nella popolazione generale (3% nei bambini prescolari) ed è più frequente nel sesso maschile tra i 40 ed i 59 anni (4-8%). I principali fattori di rischio sono oltre al sesso maschile e all’età (40 - 60 anni): l’obesità, la circonferenza del collo, la suscettibilità genetica, i farmaci sedativi, l’abuso di alcool ed il fumo. L’OSAS ha conseguenze cliniche a lungo termine sull’apparato cardio-circolatorio e respiratorio. E’ nota la correlazione tra OSAS e ipertensione arteriosa o cardiopatia ischemica, aritmie e patologia cerebrovascolare. E’ infine nota la correlazione biunivoca fra OSAS e scompenso cardiaco congestizio. Molti studi mettono in evidenza un aumentato rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare in pazienti con OSAS di grado moderato-grave non trattati adeguatamente rispetto ai pazienti trattati. La probabilità di sopravvivenza per i pazienti con OSAS di grado moderato e grave è di circa il 75% a 5 anni, mentre, è di circa il 100% se opportunamente trattata. 28.1.2 CLINICA Nell’ adulto, i sintomi principali che caratterizzano il quadro clinico e che alterano fortemente la qualità della vita, sono la sonnolenza diurna ed il russamento. La sonnolenza diurna è dovuta alla frammentazione del sonno, a causa delle frequenti fasi di sonno molto superficiale, di solito senza ripresa effettiva dello stato di veglia e senza percezione cosciente (microrisvegli) e all’ipossiemia cerebrale. La sonnolenza diurna può essere molto variabile, da una lieve tendenza ad addormentarsi in situazioni poco stimolanti (guardando la televisione, leggendo) all’addormentamento improvviso durante qualsiasi attività. Nei casi gravi, molti aspetti della vita sociale sono compromessi, come ad esempio la vita coniugale. Al russamento si può aggiungere infatti una compromissione della funzionalità sessuale (calo della libido ed impotenza, forse da diminuiti livelli di testosterone, e disinteresse dovuto alla sonnolenza). Anche i rapporti interpersonali possono subire un deterioramento. Importante infine, anche l’aspetto legato all’attività lavorativa: questi soggetti spesso presentano cali dell’attenzione e della concentrazione, difficoltà di memoria (la più colpita è quella a breve termine) ed episodi di addormentamento durante l’uso di macchinari, con possibili danni. I soggetti con apnee nel sonno hanno un rischio 2-3 volte maggiore rispetto ai normali di provocare incidenti stradali. Nei casi più gravi può manifestarsi una vera e propria compromissione cognitiva, la cui differenziazione con gli esordi di una demenza può essere difficile. 28.1.3 APPROCCIO DIAGNOSTICO L’iter diagnostico prevede: - L’anamnesi (russamento, risvegli, sonnolenza diurna). Ha una limitata sensibilità (50%), che viene migliorata fino al 78% se si interpella anche il partner di letto. L’esame obiettivo deve essere volto ad identificare la presenza di fattori favorenti quali macroglossia, ipertrofia tonsillare, ridondanza dei tessuti del palato molle, retrognazia, micrognazia, rinite allergica.L’uso di questionari è utile per identificare l’eccessiva sonnolenza diurna (scala di Epworth) ma non diagnostica. - Esame dirimente è il monitoraggio polisonnografico notturno: vengono registrati durante il sonno naturale diversi parametri contemporaneamente attraverso appositi elettrodi. La cosiddetta “poligrafia cardiorespiratoria notturna” registra di solito: saturazione, flusso aereo oronasale, posizione del corpo, movimenti respiratori, frequenza cardiaca e rumori respiratori. La

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“polisonnografia completa”, oltre ai parametri valutati nella poligrafia cardiorespiratoria analizza anche EEG, ECG, elettrooculogramma ed elettromiografia. Il monitoragio cardiorespiratorio notturno consente di identificare il numero di apnee/ipopnee e la loro influenza sulla saturazione. Ovviamente nel caso di OSAS, si registreranno dei periodi di assenza del flusso aereo oronasale, con presenza di movimenti respiratori e addominali. In relazione all’indice di apnea-ipopnea (apnea-hypopnea index, AHI = numero di apnee/ipopnee per ora) l’OSAS viene definita lieve (10 <AHI< 20), moderata (20 <AHI< 40) o grave (AHI > 40). La terapia consiste ovviamente nella riduzione di tutti i fattori favorenti (obesità, fumo, alcool) e nella rimozione di eventuali difetti anatomici (ipertrofia dell’uvula, adenoidi). A queste si associa la ventilazione notturna con CPAP (continuous positive airways pressure), che si fa con maschera oronasale. Mantenere una pressione positiva costante nelle vie aeree ne impedisce il collabimento e le mantiene pervie eliminando le ostruzioni ricorrenti. 28.1 APNEE CENTRALI DEL SONNONel caso delle apnee centrali, viene a mancare a tratti il drive respiratorio dei centri bulbopontini. Se l’apnea è di tipo centrale (ipofunzione dei centri respiratori), ovviamente in concomitanza della cessazione del flusso aereo cesseranno anche i movimenti della gabbia toracica e dell’addome. Un apnea centrale si può avere per svariati motivi:

- Ipercapnia cronica (come nella BPCO). Durante il sonno, il drive respiratorio si riduce fisiologicamente. Se è già presente di base una ipercapnia, questa di aggraverà durante il sonno inducendo apnee

- Danno dei centri respiratori: compressione/infiltrazione (solitamente neoplastica) o danno vascolareSindrome di Ondina: grave e rara malattia genetica in cui i centri del respiro cessano di funzionare durante il sonnoUso cronico di oppiaceiScompenso cardiaco congestizio. Questa condizione, a causa di meccanismi complessi che coinvolgono sia il circolo sistemico che polmonare si associa spesso ad apnee centrali con respiro periodico di Cheyne-Stokes (figura 1)

Figura 2 Polisonnogramma: respiro di Cheyne-Stokes con apnee intercalate

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29. OSSIGENOTERAPIA E VENTILAZIONE MECCANICA L’insufficienza respiratoria (IR) è una condizione caratterizzata da alterata pressione parziale di O2 (ed eventualmente CO2) nel sangue arterioso. Criteri necessari per porre diagnosi di IR sono una PaO2 < 60 mmHg durante respirazione in aria ambiente (o da un rapporto fra PaO2 e frazione inspiratoria di ossigeno (FiO2) (PaO2/FiO2) <300), accompagnata o meno da ipercapnia (PaCO2 > 45 mmHg). La diagnosi di IR, quindi non è clinica ma richiede sempre la misurazione della pressione parziale dei gas nel sangue arterioso ed il suo trattamento deve prevedere: - la valutazione della gravità dell’episodio (sulla base di criteri clinici e strumentali) con particolare attenzione ad eventuali condizioni pericolose per la vita. - l’identificazione della causa e sua terapia specifica. - la somministrazione controllata di ossigeno e la ventilazione meccanica quando necessaria. 29.1 OSSIGENOTERAPIA 29.1.1 GENERALITA’ La somministrazione di O2 deve essere tale da correggere l’ipossiemia e deve dunque utilizzare una Frazione inspiratoria di Ossigeno (FiO2) tale da mantenere la Saturazione di Ossigeno (SaO2) fra 90% e 95% (o una PaO2 compresa fra 60 e 70 mmHg). La somministrazione di ossigeno è sempre indicata in caso di ipossiemia (accertata con saturimetria o EGA) acuta o cronica. I casi più comuni in cui si richiede la somministrazione di ossigeno in acuto sono l’asma, l’embolia polmonare, la polmonite grave. Tra le malattie che richiedono somministrazione cronica di O2 la più comune è la BPCO, seguita dalle interstiziopatie e dalle malattie neuromuscolari. Unica condizione che richiede particolare attenzione nella somministrazione di O2 è l’insufficienza respiratoria ipercapnica (tipica del BPCO). In questi pazienti, l’ipossiemia è l’unico stimolo efficiente per la ventilazione. Se viene somministrato troppo ossigeno, lo stimolo ipossico viene meno e i centri respiratori rallentano o si fermano, con conseguente ulteriore aumento della capnia e conseguente coma. Le fonti di Ossigeno sono rappresentate da: • Bombola per ossigeno gassoso: ha limitata capienza e quindi non è pratica per la OTLT. Si utilizza per terapie a breve termine e nell’emergenza. • Contenitore criogenico di ossigeno liquido: comunemente usato nella OTLT per la sua alta capacità (durata di circa 20-30 giorni)e la possibilità di utilizzo della bombola portatile ricaricabile (stroller). • Concentratori di ossigeno: necessitano di fonte di energia elettrica per il loro funzionamento ma rappresentano una valida alternativa al concentratore criogenico.La somministrazione può essere fatta con • Maschera di Venturi: copre naso e bocca e consente di somministrare una percentuale fissa di O2. A seconda dell’ugello che si usa (ogni ugello richiede uno specifico flusso) si può somministrare O2 al 24%, 28%, 35%, 50% (nell’aria ambiente la percentuale di O2 è del 21%) • Cannule nasali (occhialini): molto meglio tollerate dal paziente, che può anche mangiare, ma erogano concentrazioni di O2 variabili e non prefissabili. La prescrizione di ossigeno gassoso in bombole può essere fatta da qualsiasi medico del SSN. La prescrizione dell’ossigeno liquido (e quindi l’attivazione dell’OTLT) deve essere eseguita dal medico specialista ed il SSN la eroga attraverso indicazione di uno pneumologo 29.1.2 OSSIGENOTERAPIA A LUNGO TERMINE (OTLT) Oltre ad essere un presidio salvavita nell’insufficienza respiratoria acuta, nella IR cronica secondaria a BPCO l’ossigenoterapia a lungo termine (protratta per almeno 18 h/die) consente di aumentare la sopravvivenza, rallentare l’evoluzione verso l’ipertensione polmonare, ridurre gli

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episodi di desaturazione arteriosa nel sonno o sotto sforzo, migliorare la qualità di vita e le performance, ridurre i costi gestionali grazie alla riduzione del numero di ricoveri e delle giornate di degenza. L’ossigenoterapia a lungo termine trova indicazione in caso di: ● ipossiemia con valori di PaO2 continuativamente inferiori 55 mmHg (indicazione assoluta) ● PaO2 compresa tra 55 e 60 mmHg (indicazione relativa) purchè sia presente almeno uno dei seguenti criteri aggiuntivi: policitemia (Hct > 55%), ipertensione polmonare, edemi periferici da scompenso cardiaco, cardiopatia ischemica. Al fine di individuare la necessità di OTLT, il flusso ottimale e la buona tolleranza all’O2 è necessario eseguire: 1.Emogasanalisi (EGA) in aria ambiente con pz a riposo da almeno 30’ 2.EGA con flussi progressivamente crescenti di O2 fino a ottenere il flusso considerato ottimale o in alternativa monitoraggio con pulsossimetro e, una volta raggiunta la SpO2 desiderata, conferma mediante EGA (il flusso considerato ottimale deve essere erogato da almeno 30’). Il valore ottimale di PaO2 da raggiungere è di 60-70mmHg (senza eccessivo aumento della PaCO2). Tutte le linee guida raccomandano che la OTLT sia somministrata per almeno 18h/die, ma i suoi benefici aumentano proporzionalmente al tempo di somministrazione che è preferibile sia il più possibile vicino alle 24h/die. 29.2 CENNI SULLA VENTILAZIONE MECCANICA (VM) L’insufficienza respiratoria (IR) può essere indotta sia patologia del parenchima polmonare sia da un deficit del mantice ventilatorio (alterazione di muscoli respiratori o controllo nervoso). Si ha una IR da deficit di mantice quando il Volume/minuto non è più sufficiente a soddisfare le richieste metaboliche dell’organismo. La ventilazione meccanica è provvedimento terapeutico mirato a mettere a riposo i muscoli respiratori affaticati o a vicariarli in caso di necessità. E’ un provvedimento terapeutico che non sostituisce la terapia farmacologica ma si associa ad essa. La ventilazione meccanica viene classicamente distinta in:

- Invasiva: con introduzione di tubo tracheale per via nasale, orale o tracheostomica - Non invasiva (NIMV): praticata mediante maschere a tenuta nasali od oronasali o appositi

caschi (scafandri) La ventilazione meccanica può essere inoltre distinta in:

- Positiva (cioè attraverso l’insufflazione di aria nell’albero tracheobronchiale) - Negativa (cioè applicando una pressione negativa all’esterno del torace che ne determini la

ritmica espansione). Attualmente la VM si effettua praticamente solo con pressione positiva. Unico esempio di ventilazione a pressione negativa (ormai poco usato) è il polmone d’acciaio. La modalità “positiva” può essere pressometrica (quando viene insufflata una pressione costante, per un determinato tempo inspiratorio, con un certo flusso, erogando un dato volume corrente) o volumetrica (quando viene erogato un volume predeterminato, per un determinato tempo inspiratorio, con un certo flusso, erogando la pressione necessaria). A seconda che sia presente o meno attività ventilatoria spontanea la VM si distingue anche in

- assistita: il paziente inizia spontaneamente l’atto inspiratorio, la macchina lo percepisce e somministra un supporto di pressione. In questo caso è la macchina che segue l’attività del paziente e si adatta ad essa.

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- controllata: il paziente non ha attività spontanea (coma, curarizzazione) e la macchina effettua tutto il lavoro, con frequenza, volumi e pressioni predeterminate. La ventilazione completamente controllata si fa solitamente in via invasiva.

I ventilatori più moderni consentono di attuare a scelta le varie modalità di ventilazione. Le possibili indicazioni all’utilizzo della ventilazione meccanica non invasiva (NIMV) nell’IR acuta sono: BPCO riacutizzata, asma, malattie neuromuscolari, patologie della gabbia toracica, ARDS, polmoniti, edema polmonare acuto. Le possibili indicazioni all’utilizzo della NIMV nell’IR cronica sono rappresentate da: cifoscoliosi, sindrome postpolio, amiotrofia spinale, sclerosi multipla, distrofie muscolari, sclerosi laterale amiotrofica, s. di Guillain-Barrè, miastenia gravis, e casi selezionati di BPCO. Nell’ IR acuta da riacutizzazione di BPCO la NIVM trova indicazione in caso di frequenza respiratoria >35 atti/min, SO2 < 88 %, PaCO2>45mmHg, pH <7.35, alterazioni del sensorio (no coma), segni di distress respiratorio (dispnea, cianosi, uso dei muscoli accessori, respiro paradosso). Nella BPCO in fase stabile la NIMV a lungo termine trova indicazione in caso di sintomi non controllati dal trattamento farmacologico (fatica, ipersonnolenza, dispnea). Criteri di esclusione all’utilizzo della NIMV (e quindi spesso indicazione alla ventilazione invasiva) in tutte le patologie sono: arresto respiratorio, condizioni cliniche instabili (shock, aritmie o cardiopatia ischemica incontrollate), secrezioni eccessive, tosse inefficace, agitazione psicomotoria, traumi faciali, anomalie anatomiche che impediscono l’uso di maschere orali e nasali, mancanza di collaborazione da parte del paziente.

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30. APPENDICE Indichiamo qui le maggiori riviste mediche del settore pneumologico o affini, ed una lista di libri di testo più completi. I testi specialistici di pneumologia e medicina interna sono utili per avere una visione di insieme della materia ed una trattazione completa, organica e dettagliata delle patologie. Per chi volesse approfondire le conoscenze su determinati argomenti di pneumologia, o aggiornarsi in materia di fisiopatologia, diagnosi e terapia suggeriamo le riviste specialistiche pneumologiche specializzate, solitamente consultabili via Internet. La tecnologia informatica consente di fare riferimento alle riviste citate per avere i più recenti aggiornamenti e stati dell’arte in materia, semplicemente collegandosi al sito MedLine (www.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/query) RIVISTE SPECIALISTICHE (tra parentesi e’ indicata l’abbreviazione ufficiale) • American Journal of Respiratory & Critical Care Medicine (Am J Respir Crit Care Med) (fino al 31/12/1994 American Journal of Respiratory Diseases) Organo ufficiale dell’American Thoracic Society. (www.ajrccm.org) • Chest Organo ufficiale dell’ American College of Chest Physicians (www.chestjournal.org) • Thorax Organo ufficiale della British Thoracic Society (thorax.bmjjournals.com) • European Respiratory Journal (Eur Resp J) Organo Ufficiale dell’ European Respiratory Society (erj.ersjournals.com) TESTI DI CONSULTAZIONE Carratu’-Catena-Grassi. Manuale di malattie dell’apparato Respiratorio. Masson ed., 1993. Crofton & Douglas. Malattie dell’Apparato Respiratorio. McGraw-Hills Italia, 1991 Harrison. Principi di Medicina Interna. McGraw-Hills Italia, 1994 Gramiccioni-Loizzi. Malattie dell’apparato respiratorio. Minerva Medica 1999

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EPONIMI Molte malattie e sindromi, non solo polmonari sono tradizionalmente conosciute con l’eponimo dell’Autore che le ha individuate o descritte. Gli eponimi sono rimasti in uso per molte malattie o reperti clinici. Forniamo una lista alfabetica degli eponimi ancora in uso, anche per rendere piu’ facilmente individuabili le patologie sui testi di medidcina generale . Abt-Letterer-Siwe (malattia): istiocitosi X Assmann-Redeker: infiltrato tisiogeno precoce della TBC primaria, escavato Biot (respiro interciso): respiro superficiale interrotto da brevi pause Birbeck (granuli) Bochdalek (forame): zona debole postero-laterale del diaframma attraverso cui possono formarsi le omonime ernie. Bourneville (malattia di, Sclerosi tuberosa): facomatosi neuroectodermica con possibile evoluzione in fibrosi polmonare. Caplan (sindrome): artrite reumatoide con nodulazioni polmonari e silicosi Cardarelli (segno): spostamento della trachea sincrono col polso Cheyne-Stokes (respiro): gli atti respiratori diventano ciclicamente sempre piu’ profondi poi si riducono fino all’apnea. Tipico dei comi metabolici e delle patologie del SNC Churg-Strauss (granulomatosi allergica): vasculite necrotizzante dei vasi di piccolo/medio calibro esclusivamentepolmonare, con rinite asma ed eosinofilia periferica Claude Bernard-Horner (sindrome). Deficit del simpatico cervicale: miosi, ptosi, enoftalmo variamente associati Curshmann (spirali) Damoiseau-Ellis (linea di): delimitazione a concavita’ inferiore dei versamenti pleurici essudativi. De La Camp (segno): ottusita’ percussoria a livello della III-V toracica, indicativo di adenopatia ilare Erasmus (sindrome): asbestosi + artrite reumatoide Fleischner (strie): opacita’ lineari brevi sovradiaframmatiche che si possono osservare in corso di congestione del piccolo circolo (tromboembolia polmonare) Garland: triangolo di suono iperchiaro a base superiore che si puo percuotere tra la linea di Damoiseau-Ellis ed il rachide nei versamenti pleurici Goodpasture (sindrome): malattia da autoanticorpi anti membrana basale dei glomeruli e degli alveoli con nefrite ed emottisi ricorrenti Grocco: triangolo di suono ottuso a base superiore opposto al versamento pleurico, in continuazione della linea di Damoiseau-Ellis, percuotibile talvolta nei versamenti pleurici. Hamman-Rich: fibrosi polmonare idiopatica nella forma acuta e rapidamente progressiva

Hand-Schuller-Christian: istiocitosi X Heerfordt (sindrome): sarcoidosi con interessamento parotideo e uveite Hering-Brauer: riflesso da iperinflazione polmonare Hinson (malattia) Aspergillosi broncopolmonare allergica Jha (segno): radiologia del galleggiamento di dtriti celliulari in una cisti idatidea Jungling (sindrome): associazione di sarcoidosi polmonare con cisti osse multiple e artralgie Kartagener (sindrome): forma della discinesia ciliare primitiva con situs viscerum inversus Kerley (strie): opacita’ lineari brevi basali visibili nelle fasi precoci dell’edema polmonare, dovute ad imbibizione dell’interstizio. Kuss-Ghon (focolaio) dellla TBC primitiva Kussmaul (respiro grosso di): respirazione grossolana con iperpnea, bradipnea e lunghe pause. Caratteristico dei comi metabolici Kveim-Siltzbach (test): inoculazione intradermica di omogenato sarcoideo. Non disponibile in Italia Liebow (granulomatosi linfomatoide): rara vasculite a prevalentemente interessamento polmonare e renale con aspetto intermedio tra la Wegener ed il linfoma. Loffler (sindrome): infiltrati eosinofili fugaci parenchimali febbrili, primitivi o da farmaci. Lofgren (sindrome): associazione di adenopatia ilare sarcoidea + eritema nodoso MacLeod (sindrome di Giano bifronte) Mendelson (sindrome): polmonite chimica da spirazione massiva di contenuto gastrico Mantoux (cutireazione): intradermica con PPD per verificare la sensibilizzazione al BK Monge (sindrome) ipoosia/poliglobulia da alte quote Morgagni-Larrey: zona debole antero-mediana del diaframma attraverso la quale si possono formare ernie. Motley (indice): rapporto VR/CPT Mounier-Kuhn I (sindrome): Alterazioni anatomiche dei seni paranasali e bronchiectasie Mounier-Kuhn II (sindrome): Megatrachea, megaesofago, megacolon, fistola tracheosesofaea e bronchiectasie Ondine (sindrome): ipoventilazione primitiva centrale Paul-Aschoff (focolaio): reinfetto medio-apicale della TBC postprimaria Parfour-DuPetit (sindrome). Irritativa del simpatico cervicale: midriasi, retrazione palpebrale, esoftalmo; variamente associati.

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Pierre-Marie: osteopatia pneumica ipertrofizzante o dita a bacchetta di tamburo. Presente nelle malattie che danno ipossia cronica di lunga durata. Pott (malattia): osteomielite tubercolare cronica, solitamente delle vertebre. Rasmussen (aneurismi): microaneurismi che si formano in corso di processi tisiogeni primitivi e che causare emottisi anche gravi. Raynaud (fenomeno o malattia): ischemia acuta seguita da vasodilatazione, a carico delle dita. Presente come malattia o come sintomo dellas sclerodermia. Reid (indice): rapporto tra lo spessore dell’epitelio e delle ghiandole mucipare; aumentato nella bronchite cronica. Sharp (sindrome): connetivite mista o sindrome indifferenziata delle connettivopatie. Simon: focolai nodulari apicali sparsi della TBC primaria Sjogren (sindrome sicca): malattia autoimmune con distruzione delle ghiandole esocrine salivari, lacrimali e sudoripare.

Skoda (suono): timpanismo delle caverne o del pneumotorace Sturge-Weber-Krabbe: Angiomatosi encefalotrigeminale con possibile evoluzione in fibrosi polmonare. Valleix (punti): corrispondenti alle condrocostali anteriori, dolorabili in caso di patologia di parete ma non di patologia cardiaca o polmonare. Wegener (granulomatosi): angioite granulomatosa destruente a localizzazione polmonare e renale. Sinusite, otite media, polmonite. Westmark (segno): iperdiafania polmonare raramente corrispondente ad aree di ipoperfusione nella tromboembolia polmonare. Williams-Campbell (sindrome): displasia delle cartilagini con interessamento bronchiale Ziehl-Nielsen (colorazione): per l’identificazione micobatteri gram+ alcool acido resistenti.