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Paolo, apostolo, pastore e padre Paolo, apostolo, pastore e padre Paolo, apostolo, pastore e padre Paolo, apostolo, pastore e padre nella Chiesa di Corinto nella Chiesa di Corinto nella Chiesa di Corinto nella Chiesa di Corinto DIOCESI DI SAN MINIATO

Prima Lettera Ai Corinzi

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Paolo, apostolo, pastoree padre nella Chiesa di CorintoSUSSIDIO PER LA PREGHIERAE LA RIFLESSIONE COMUNE

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Paolo, apostolo, pastore e padre Paolo, apostolo, pastore e padre Paolo, apostolo, pastore e padre Paolo, apostolo, pastore e padre

nella Chiesa di Corintonella Chiesa di Corintonella Chiesa di Corintonella Chiesa di Corinto

DIOCESI DI SAN MINIATO

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- Diocesi di San Miniato -

PRIMA LETTERA AI CORPRIMA LETTERA AI CORPRIMA LETTERA AI CORPRIMA LETTERA AI CORa cura di Mons. Morello Morelli

Paolo, apostolo, pastore

e padre nella Chiesa di Corinto

SUSSIDIO PER LA PREGSUSSIDIO PER LA PREGSUSSIDIO PER LA PREGSUSSIDIO PER LA PREGHIERA HIERA HIERA HIERA E LA RIFLESSIONE COME LA RIFLESSIONE COME LA RIFLESSIONE COME LA RIFLESSIONE COMUNEUNEUNEUNE

Anno Pastorale 2014-2015

PRIMA LETTERA AI CORPRIMA LETTERA AI CORPRIMA LETTERA AI CORPRIMA LETTERA AI CORINZIINZIINZIINZI

e padre nella Chiesa di Corinto

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arissimi,

anche quest’anno ho desiderato proporre a tutta la diocesi una lettura biblica comune. Si tratta di un impegno che

dobbiamo mantenere, perché l’ignoranza delle scritture è ignoranza di Cristo.

Mediteremo sulla 1° Lettera ai Corinzi di San Paolo. Una lettera ricca di spunti per la vita cristiana personale e comunitaria. I problemi di una Chiesa nascente sono affrontati alla luce della fede e San Paolo si mostra davvero un grande testimone, capace di guidare efficacemente non solo i Corinzi, ma anche noi, sulle vie del Signore e di una ricca vita di comunione. È l’ultimo suggerimento di lettura biblica che do alla Diocesi, come vescovo di San Miniato. In questi anni ho cercato di far apprezzare la bellezza della lettura e meditazione orante della Sacra Scrittura. Sono certo che la mia insistenza sia servita e che si continuerà a nutrirsi della Parola di Dio, allargando sempre di più il cerchio di coloro che intraprendono questo cammino.

Spero che l’uso di questo sussidio per l’anno pastorale in corso aiuti a conoscere sempre di più il Signore. Impegniamoci allora a fondo perché sia utilizzato in parrocchia, nelle famiglie e individualmente.

Voglio infine nuovamente esprimere un sentito e doveroso ringraziamento a Mons. Morello Morelli, per aver preparato con grandissima competenza e passione questo sussidio, come del resto quelli dei nove scorsi anni. Il suo lavoro è davvero prezioso ed esprime un servizio impareggiabile alla nostra Chiesa.

15 Ottobre 2014, Memoria di Santa Teresa d’Avila

� Fausto Tardelli

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La lettura biblica in famiglia

Occorre fare ogni sforzo per proporre la lettura biblica, oltre che

in parrocchia, anche nelle famiglie.

A tal proposito si suggerisce di costituire dei gruppetti di

famiglie (quelle per esempio dei ragazzi che frequentano il

catechismo o le famiglie che si sono costituite da poco o altre ancora

che si rendono disponibili). Potrebbero ritrovarsi per riflettere sul

libro biblico suggerito con cadenza settimanale, quindicinale o

mensile, in casa di famiglia ospitante, sotto la guida di un sacerdote,

di un diacono o di un animatore (anche scelto all’interno del gruppo

stesso delle famiglie).

Si prega insieme, si legge il brano proposto nel presente

sussidio, oppure una sua parte (secondo le indicazioni riportate nella

pagina seguente), lo si medita in silenzio, ci si confronta e ci si

scambiano impressioni e suggerimenti inerenti alla propria vita; si

conclude quindi di nuovo con la preghiera.

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Suggerimenti pratici per l’utilizzo del sussidio 1. Il sussidio contiene dieci incontri di meditazione e preghiera

sulla Prima Lettera ai Corinzi di san Paolo apostolo. 2. Destinatari del sussidio sono tutti i fedeli della parrocchia, in

particolare i catechisti, i vari responsabili parrocchiali, i gruppi di famiglia, i genitori dei ragazzi che vanno al catechismo.

3. Chi non può partecipare agli incontri può comunque usare il presente sussidio per la preghiera personale.

4. Anche chi partecipa è invitato a rileggere e meditare personalmente il brano biblico durante la settimana.

5. Lo schema di ogni incontro è sempre uguale: a. introduzione con invocazione allo Spirito Santo; b. una lettura biblica seguita da alcune “Note per la

comprensione del testo”; c. un momento di riflessione personale o comunitaria per

l’attualizzazione della Parola ascoltata; d. conclusione con la preghiera del Padre nostro e la

benedizione. 6. Ogni incontro va preparato in anticipo. Colui che lo anima (può

essere il sacerdote o una religiosa o anche un laico preparato) studierà la parte di approfondimento associata di volta in volta al brano biblico: “Note per la comprensione del testo”. Tali note, infatti, oltre che per l’approfondimento e la meditazione individuale, servono princi-palmente a chi prepara l’incontro per offrire agli altri qualche spunto di riflessione.

7. L’animatore inizia con la preghiera introduttiva allo Spirito Santo, poi un lettore legge il salmo o i salmi proposti. Non è necessario leggere sempre tutto il testo riportato nel sussidio, ma almeno una parte significativa, secondo quanto stabilito in precedenza dall’animatore.

8. Subito dopo, l’animatore offre qualche spunto di riflessione sul testo proclamato. Segue un certo tempo di silenzio per permettere ad ognuno di rileggere con calma e meditare il brano proposto.

9. Si conclude con la preghiera del Padre Nostro e l’orazione.

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INTRODUZIONE

aolo andava particolarmente orgoglioso della “Chiesa di Dio che è in Corinto”. La reputava la sua “opera nel Signore”, “il sigillo” della sua missione apostolica, la

sua apologia contro i denigratori, la sua “lettera di raccomandazione”, in grado di essere conosciuta e letta da tutti gli uomini. Motivo per lui di tanta gioia e consolazione, questa comunità procurò tuttavia all’apostolo una consistente serie di preoccupazioni e di affanni. Per questo Paolo tenne un’intensa corrispondenza epistolare con i cristiani di Corinto, nei confronti dei quali si mostrò sempre tenero ed esigente padre spirituale, tanto che poteva confidare loro: “Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo” (1Cor. 4,15).

LA CITTÀ DI CORINTO

Menzionata sei volte nel Nuovo Testamento – quattro volte nell’epistolario paolino e due negli Atti degli Apostoli – la città di Corinto è uno dei capisaldi della strategia missionaria di Paolo. La sua storia è assai utile per comprendere meglio in quale ambiente venne a trovarsi Paolo dopo l’umiliante partenza da Atene. Già ai tempi di Platone (secc. V-IV a.C.) Corinto era città raffinata, opulenta e corrotta. “Totius Graeciae lumen” l’aveva definita Cicerone. Avendo capeggiato, nel secondo secolo a.C., la lega Achea contro i romani, nel 146 a.C. fu rasa al suolo dal console Lucio Mummio e rimase, per oltre un secolo, un ammasso di macerie. Ma la sua invidiabile posizione geografica esigeva che risorgesse dalle rovine. Per questo nel 44 a.C. Giulio Cesare ne ordinò la ricostruzione e volle che avesse il nome di “Colonia laus Julia Corinthus”. Chiamò a popolarla coloni italici, sia veterani sia liberti, che i Greci sdegnavano come persone senza cultura e di gusti grossolani. Nel 27 a.C. Augusto la fece capitale della provincia senatoriale di Acaia. Da questa data riprende la rigogliosa fioritura

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della città, che arrivò a superare, per splendore e importanza, lo stesso precedente periodo di prosperità. Fra tutte le città della Grecia,perciò, Corinto, città “bimaris”, può essere considerata quella che ha avuto le più avventurose vicende, dovute proprio alla sua felice posizione geografica. Situata nella parte meridionale dell’istmo omonimo, non solo controllava i due mari Egeo e Ionio,ma, essendo punto obbligato di passaggio dal continente settentrionale alla penisola del Peloponneso, costituiva anche un centro commerciale di prim’ ordine. Città fra le più cosmopolite del mondo antico, punto di incontro delle culture occidentale e orientale, per le sue strade e piazze si incontravano greci, romani, asiatici e giudei. Dal punto di vista religioso, viste le svariate presenze etniche, tutti i culti vi erano rappresentati: accanto ai santuari dedicati alle divinità orientali, come Iside, Serapide e Cibele, si potevano scorgere i grandi templi di Giove Capitolino, di Artemide e di Afrodite Pandemos (= Venere popolare), la dea dell’amore, nel cui tempio – a detta di Strabone - si esercitava, come un rito religioso, la prostituzione sacra da oltre mille ierodule. Notizia, questa, che si riferiva probabilmente all’antica Corinto, mentre al tempo di Paolo forse vi era soltanto un tempietto sull’Acrocorinto. Città del piacere, Corinto era necessariamente anche città dispendiosissima: di qui il detto popolare, ripreso da Orazio, “non cuivis homini contingit adire Corinthum” (= non a tutti è possibile recarsi a Corinto). La dissolutezza della città era talmente proverbiale che “vivere alla corinzia” era sinonimo di vita sfrenata e corrotta. Sotto l’aspetto economico e sociale, Corinto, importante centro commerciale, portava con sé i fenomeni inevitabilmente legati all’abbondante flusso di denaro: l’alto costo della vita e un’estesa corruzione. I grandi traffici commerciali, infatti, portavano nella città ricchezze, ma anche lusso, decadenza morale e sfruttamento. L’incremento economico si fondava pure sulla fiorente attività artigianale, che comprendeva la produzione di ceramica, l’industria tessile e l’arte di fondere il bronzo. Le ricche famiglie romane solevano ornare le loro case e ville con i famosi bronzi di Corinto. Altra fonte di ricchezza per la città era il turismo che raggiungeva le punti più alte in occasione dei giochi panellenici biennali di primavera, noti come “i giochi istmici”. Vi si svolgevano, insieme alle classiche gare atletiche, concorsi di poesia, di musica e retorica. Il benessere economico,comunque, era concentrato nelle mani di

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pochi ricchi; mentre il resto della popolazione, composto in prevalenza di schiavi e lavoratori portuali, viveva in condizioni disagiate. Profondo, dunque, lo squilibrio esistente tra i grandi possessori di ricchezze e la massa dei diseredati e dei poveri.

LA NASCITA DELLA CHIESA A CORINTO In questa città commerciale, prospera, opulenta, segnata da gravi sperequazioni sociali, e – almeno a prima vista – lontanissima da una qualsiasi apertura al messaggio evangelico, Paolo giunse, all’inizio degli anni 50 d.C., durante il suo secondo viaggio missionario. Vi resterà circa un anno e mezzo. Come egli stesso confessa, vi giunse “in debolezza e con molto timore e trepidazione” (1Cor 2, 3) dopo la dolorosa esperienza di Atene. Nella metropoli della cultura greca, infatti, la missione evangelizzatrice di Paolo aveva segnato un fallimento: il famoso discordo all’areopago (Atti 17, 22-31), impostato con abilità retorica e con riferimenti alla sapienza umana, suscitò reazioni contrastanti e gelido scetticismo, appena Paolo annunciò la Risurrezione di Cristo. Solo pochissime persone credettero. Sotto l’impressione di questo insuccesso, l’apostolo, solo, senza la compagnia di Timoteo e di Sila, sprovvisto di mezzi di sussistenza, si presentò a Corinto. Quali fossero il suo stato d’animo e i progetti per la sua futura azione evangelizzatrice lo rivela lui stesso in questo brano autobiografico: “Anch’io, fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso … e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza” (Atti 2, 1-4). Le preoccupazioni economiche furono ben presto superate, perché Paolo incontrò a Corinto due coniugi giudei, ma a quel tempo già cristiani, Aquila e Priscilla, che avevano lasciato Roma a causa dell’editto con cui l’imperatore Claudio aveva espulso tutti gli ebrei dalla capitale. Siccome l’Apostolo “ faceva lo stesso loro mestiere, rimase presso di loro e lavorava (Atti, 18) guadagnandosi da vivere col proprio lavoro; nel frattempo si dedicava alla predicazione, cominciando, come al solito, di sabato, dalla sinagoga.

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Dalla Macedonia, intanto, lo raggiunsero Sila e Timoteo, che portarono all’apostolo concreti aiuti economici da parte della comunità di Filippi (Fil 4,14). Paolo si sentì rianimato, ma poiché gli ebrei si opponevano al messaggio evangelico, “scuotendosi le vesti, disse loro: “il vostro sangue ricada sul vostro capo” (Atti 18, 6), ruppe i rapporti con i giudei e cominciò a rivolgersi ai pagani. Teneva le istruzioni nella casa di un proselito, Tizio Giusto, che abitava nei pressi della sinagoga. I frutti si fecero ben presto vedere: molti Corinzi, tra i quali lo stesso capo della sinagoga, Crispo, si convertirono alla fede cristiana. Questo intenso lavoro apostolico si protrasse per diciotto mesi. Dovette svolgersi in maniera assai feconda e serena, ma non senza qualche ostacolo e difficoltà; tanto è vero il Signore gli apparve una notte in visione per rincuorarlo: “Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città” (Atti 18,9-10). L’apostolo continuò la sua indefessa azione evangelizzatrice, fino a quando i giudei (favoriti probabilmente anche da altre persone, alle quali il messaggio evangelico doveva dare non poco fastidio) non sporsero denunzia contro di lui davanti al proconsole romano Gallione (fratello del filosofo Seneca), con l’accusa di propagandare un culto contrario alla legge. Accusa troppo vaga perché Gallione, uomo astuto e accorto, potesse prenderla sul serio e non vi sospettasse invece un espediente legale per disfarsi di qualche avversario politico o religioso. Pertanto rispose seccamente agli accusatori: “Se si trattasse di un delitto o di una azione malvagio, o Giudei, io vi ascolterei, come di ragione. Ma se sono questioni di parole o di nomi o della vostra legge, vedetevela voi; io non voglio essere giudice di queste faccende” (Atti, 18, 14-16). E così li cacciò via dal tribunale. Ne nacque un tafferuglio, durante il quale, Sostene, capo della sinagoga, venne malmenato dalla folla e “Gallione non si curava per niente di queste cose”. Dopo questo episodio Paolo si trattene ancora per diverso tempo a Corinto; poi, probabilmente nell’autunno del 52 d.C., lasciò la città, veleggiando dal porto di Cencre verso la Siria in compagnia di Aquila e Priscilla. Partendo da Corinto, l’Apostolo lasciava una vivace comunità cristiana chiamata a vivere in un contesto sociale greco-romano. È facile immaginare quanti ostacoli dovesse incontrare la fede cristiana ad inserirsi ed esprimersi in una cultura totalmente diversa

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da quella ebraica dove era nata. La situazione era inoltre resa ancora più critica da una qualificata presenza ebraica nella comunità, un gruppo di persone che, per avere abbracciato il Vangelo, non pensavano di dover abbandonare le venerate tradizioni veterotestamentarie.

OCCASIONE E TEMPO

DI COMPOSIZIONE DELLA LETTERA Con i cristiani di Corinto Paolo tenne sicuramente un’intensa corrispondenza, dovuta alla loro turbolenza e instabilità. Almeno quattro furono le lettere paoline ai Corinzi. La prima è andata perduta. Sappiamo solo che in quella missiva l’Apostolo esortava i corinzi a non mescolarsi con gli impudichi (1Cor 5, 9), riferendosi a quelli che, malgrado vivessero in modo immorale, volevano, comunque, rimanere nella comunità, come l’incestuoso cui si allude al v.1: “Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani”. I corinzi capirono male e s’impegnarono nell’impresa, praticamente impossibile, di separarsi da tutti gli impudichi della città. Nota e immediata la replica di Paolo: “Non mi riferivo agli impudichi di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolatri: altrimenti dovreste uscire dal mondo! Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolatra...” (1Cor 5, 10- 11). La seconda è “l’attuale Prima ai Corinzi”. La terza, che va sotto il nome di “Lettera delle lacrime”, dovette essere molto dura: “Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col cuore angosciato – annota Paolo in 2Cor 2,4 – tra molte lacrime, però non per rattristarvi, ma per farvi conoscere l’affetto immenso che ho per voi”. Per alcuni esegeti, anche questa lettera è andata perduta, mentre per altri sarebbe confluita, almeno in parte, nella Seconda ai Corinzi. La quarta e ultima Lettera è l’attuale Seconda ai Corinzi. - Che cosa accadde nella giovane comunità di Corinto, dopo la partenza dell’Apostolo? Quale fu l’occasione concreta, che convinse Paolo a scrivere l’attuale Prima Lettera? In 1Cor 16, 8 l’Apostolo dice chiaramente di trovarsi ad Efeso, dove gli si è aperta “una porta grande e propizia” per l’evangelizzazione, “anche se gli avversari sono molti”. Pur essendo tutto dedito, nel suo terzo viaggio missionario, ad annunciare il Vangelo in quella grande metropoli e

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nel suo vastissimo retroterra, non cessa di interessarsi delle altre chiese e in particolar modo di quella di Corinto, alla quale si sentiva legato da sentimenti di profonda e tenera paternità. Proprio da una delegazione di “persone della casa di Cloe” (1Cor 1,11) sopraggiunte ad Efeso e da uno scritto inoltrato dagli stessi Corinzi (1Cor 7,1), viene informato delle tensioni, degli antagonismi, delle scissioni che si stavano formando tra i cristiani. La Chiesa di Corinto rischiava di frazionarsi in tante compagini rivali. E non era tutto, perché problemi e abusi peggiori si stavano delineando in campo morale, specialmente per quanto riguardava i comportamenti sessuali. C’era inoltre poca carità tra i cristiani e si dava scandalo ai pagani, portando davanti ai loro tribunali litigi e controversie. Questo era il quadro della situazione. Occorreva un intervento immediato. Paolo pensò bene di inviare subito a Corinto Timoteo, per provvedere almeno alle necessità più urgenti: “Per questo appunto vi ho mandato Timoteo, figlio mio e fedele nel Signore: egli vi chiamerà alla memoria le vie che vi ho indicato in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa“ (1Cor 4,17). Ma non si accontentò; temendo che i Corinzi non ascoltassero seriamente il suo fedele discepolo, si decise a scrivere una lettera piuttosto energica e stimolante. Nel frattempo, però, a lettera già iniziata, dovette arrivare da Corinto una “missione“ ufficiale, composta da Stefana, Fortunato e Acaico (1Cor 16,17), che poneva all’attenzione dell’Apostolo alcuni “casi di coscienza” e alcuni quesiti, come il rapporto tra matrimonio e verginità, l’uso delle carni immolate agli idoli, i disordini nelle assemblee liturgiche, il tema della risurrezione. A questi interrogativi e all’assillo dei problemi esistenziali della comunità, Paolo risponde dettando questa nostra Prima Lettera ai Corinzi, che si presenta come uno scritto pastorale finalizzato a tracciare il cammino dell’esistenza cristiana in una città culturalmente inquieta, dove il paganesimo era una costante insidia su tutti i fronti della vita. - Quando fu scritta la Lettera? La data precisa è controversa tra gli studiosi. Per alcuni Paolo avrebbe scritto nel 55 d. C. durante il primo anno della sua dimora ad Efeso. La maggior parte propende invece per il 56 o 57 d. C.; in ambedue i casi nell’imminenza della Pasqua (1Cor 5, 7…).

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STRUTTURA E CONTENUTO DELLA LETTERA

Per la svariata molteplicità dei temi affrontati, la 1a Corinzi appare come una delle Lettere paoline più ricche e stimolanti. Documenta l’incontro del Vangelo con la mentalità e la cultura ellenistica. Rivela il passaggio da un tipo di cristianità rurale o comunale ad una cristianità urbana inserita in una grande città. Nella Lettera si possono scorgere due ampie parti, ben distinte tra loro: la prima relativa alla correzione dei disordini verificatisi nella Chiesa di Corinto (1,10 - 6,20); la seconda, concernente la risposta ai vari quesiti rivolti all’Apostolo (7,1 - 15,58). In dettaglio, questi i temi salienti della Lettera:

A. Prima parte: Condanna dei disordini verificatisi a Corinto durante l’assenza di Paolo

– Prologo epistolare: indirizzo e esordio (1,1-9). – La questione delle divisioni interne: i Corinzi stavano commettendo l’errore di confondere i predicatori cristiani con i filosofi itineranti e di porre il vangelo al livello di una qualunque dottrina umana, vanificando così l’aspetto di “scandalo e follia”, cioè di soprannaturalità del messaggio cristiano (capp. 1-4). – Il comportamento sessuale: un caso di incesto e la fornicazione più in generale offrono a Paolo lo spunto per richiamare i cristiani al loro nuovo impegno morale, fondato sul fatto di essere ormai “tempio dello Spirito Santo”. In questo contesto comincia ad emergere il tema dell’amore vicendevole: si dà scandalo ai pagani, portando davanti ai loro tribunali litigi e controversie (capp. 5-6).

B. Seconda parte: Risposta ai quesiti proposti dai Corinzi – Il rapporto tra matrimonio e verginità (7, 1-40). – La partecipazione ai banchetti sacri, il mangiare o meno le carni immolate agli idoli. La questione, non più attuale per noi,ha comunque dei risvolti universalmente validi, come il rapporto tra coscienza personale e rispetto del fratello, la capacità di rinunciare al proprio diritto, fino ad allargarsi a considerare la vita cristiana come impegno e lotta quotidiana.

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– Il buon ordine nelle assemblee cristiane, sia per quanto riguarda il comportamento delle donne che dovevano coprirsi il capo con il velo, sia per quanto concerne la necessità di una partecipazione fraterna e consapevole al convito eucaristico (capp. 8 – 11). – I carismi e il loro uso. Prima di tutto ne vengono indicate l’origine divina (doni dello Spirito Santo), poi la finalità, che è l’utilità della Chiesa, ed infine la varietà con l’accenno alle diverse funzioni che ognuno può avere nel “ Corpo di Cristo” che è la Chiesa. Il primato della carità, quale ingrediente superiore e coesivo di ogni diversificante realtà carismatica (capp. 12 – 14). – L’ultimo argomento: la risurrezione: partendo da quella di Cristo il messaggio paolino si allarga alle sue conseguenze ecclesiali fino ad estendersi alla risurrezione dei morti alla fine dei tempi (15,1-58). – Epilogo: istruzioni per la colletta in favore dei poveri di Gerusalemme. I progetti di Paolo e i saluti (16,1-24). Come si evince da questo schema riassuntivo, la Prima Lettera ai Corinzi presenta il quadro vivo e realistico della situazione interna di una delle prime e più vivaci comunità cristiane. Descrive bene sia l’incontro della fede in Cristo con una delle capitali del paganesimo, sia la complessità dei problemi delicati che sorgono e angustiano l’animo dei primi credenti. Possiamo domandarci se sotto questa vasta gamma di argomenti scorra un filo conduttore unico, che riesca veramente ad unificare i vari temi trattati. C’è chi l’ha intravisto nella contrapposizione tra fede cristiana e cultura greca o nell’escatologia o nel tema della Croce. Nonostante questa ricca varietà di temi, si può cogliere nella lettera questa particolare e meravigliosa unità: - unità pastorale: in 1Cor si intravede la vita complessa di una giovane comunità cristiana in territorio pagano, con le difficoltà, gli sbandamenti, le incertezze, gli errori dei primi credenti, ma anche con l’abbondanza delle grazie divine. L’Apostolo vi svolge il suo compito dottrinale e pastorale con autorità vigilante e con alta sapienza”. - unità teologica: i Corinzi, avidi di sapienza umana, stavano cadendo nell’errore di equivocare sulla vera natura del vangelo e, inorgogliti dalla presenza dei carismi, rischiavano pure di distorcere

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la nozione di Chiesa. Pur essendo la Lettera uno scritto eminentemente pastorale, Paolo vi fa della teologia applicata, presentando la Chiesa sia nel suo aspetto storico sia in quello trascendente di realtà misterica. In tal modo educa i Corinzi “ alla nozione di bene comune, alla sobrietà dello Spirito, alla carità, alla tradizione apostolica, al primato delle virtù teologali. - unità nel valore della carità: da questo punto di vista c’è un vero crescendo, dal prologo, passando per il problema delle divisioni,poi per quello delle liti davanti ai tribunali pagani, per il capitolo settimo, per la questione delle carni immolate agli idoli, fino a giungere all’elogio della carità al capitolo tredicesimo e a quello conclusivo della risurrezione di Cristo e dei credenti.

PIANO DI LAVORO

1 Prologo. Divisioni nella comunità. La Parola della

Croce. Sapienza umana e sapienza cristiana (1,1-2,16). 2 Statuto e compito degli Apostoli, ministri di Cristo e

dispensatori dei misteri di Dio (3,1 - 4,21). 3 Immoralità sessuale e disordini giudiziari. Glorificate

Dio nei vostri corpi (5,1-13 - 6,1-20). 4 Matrimonio e verginità: ciascuno riceve il suo dono

particolare (7,1-40). 5 La carità, criterio della libertà cristiana - I diritti di

un apostolo: l’esempio di Paolo (Capp. 8 -9). 6 Avvertimento contro l’idolatria - Fare tutto per la

gloria di Dio (10, 1-33 - 11,1). 7 La celebrazione eucaristica (11,17 - 34). 8 I doni dello Spirito: unità nella diversità (12,1-31 e

14,1-40). 9 Primato ed elogio della carità (13, 1-13). 10 La risurrezione di Cristo, fondamento della nostra

fede. Epilogo (Capp.15-16).

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BIBLIOGRAFIA

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Padova, 2012. • ROSSANO P., Prima Lettera ai Corinzi in Lettere di San Paolo,

Ed. Paoline. • CIPRIANI S., Prima Lettera ai Corinzi in Lettere di San Paolo,

Cittadella Editrice. • BARGELLINI F., Prima Lettera ai Corinzi in Lettere di San

Paolo - A cura di Maggioni e Manzi –Cittadella Editrice. • BARBAGLIO G. Le Lettere di Paolo - Ed. Borla – Roma.

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Lectio Biblica

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Lectio BiblicaLectio BiblicaLectio BiblicaLectio Biblica

Prologo - Divisioni nella comunitàLa Parola della croce

Sapienza umana e sapienza cristiana

SALUTO

C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen. C. Il Signore, che guida i nostri cuori nell’amore e nella pazienza di Cristo, sia con tutti voi. R. E con il tuo Spirito. Breve monizione introduttiva. INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (1Cor 1,1 – 2,16)

vedi suggerimenti a pg.5

Indirizzo e saluto. Ringraziamento Cap. 1 1Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, 2alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nodel Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

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Divisioni nella comunità La Parola della croce

nza umana e sapienza cristiana (1,1-2,16)

del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

2,16)

vedi suggerimenti a pg.5

Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per alla Chiesa di Dio che è a

Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: 3grazia a voi

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4Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, 5perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza. 6La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente 7che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. 8Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. 9Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro! Le divisioni tra fedeli 10Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. 11Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. 12Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: "Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "Io invece di Cefa", "E io di Cristo". 13È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? 14Ringrazio Dio di non avere battezzato nessuno di voi, eccetto Crispo e Gaio, 15perché nessuno possa dire che siete stati battezzati nel mio nome. 16Ho battezzato, è vero, anche la famiglia di Stefanàs, ma degli altri non so se io abbia battezzato qualcuno. 17Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo. Sapienza del mondo e sapienza cristiana 18La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. 19Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'intelligenza degli intelligenti. 20Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dov'è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? 21Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. 22Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, 23noi invece annunciamo

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Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. 25Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. 26Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. 27Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; 28quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, 29perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. 30Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, 31perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore. L’annuncio di Cristo Crocifisso Cap. 2 1 Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. 2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. 3Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 4La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. La vera sapienza 6Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. 7Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. 8Nessuno dei dominatori di questo mondo l'ha conosciuta; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. 9Ma, come sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano.

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10Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. 11Chi infatti conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. 12Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. 13Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. 14Ma l'uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito. 15L'uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. 16Infatti chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo consigliare? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo.

Note per la comprensione del testo

A - Prologo epistolare: indirizzo, saluti e preghiera di ringraziamento (1,1-9) Paolo inizia abitualmente le sue lettere con un indirizzo di saluto e con un ringraziamento, seguendo lo schema epistolare ispirato ai modelli dell’antichità classica, ma trasformandolo profondamente in senso cristiano. “Paolo, chiamato apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sostene, alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace …”. Questo esordio, solenne e quasi ieratico, evidenzia il tono autorevole della Lettera. Paolo esibisce le sue credenziali di “apostolo” per sottolineare subito con quale autorità egli interviene sui vari problemi emergenti nella vita ecclesiale della comunità di Corinto, insidiata da tendenze frazionistiche e da disordini morali. Precisa che il suo apostolato si fonda su una “chiamata di Gesù Cristo” e, scaturisce, in ultima analisi, dalla stessa “volontà di Dio”. Associa a sé come “co-mittente”, il

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fratello Sostene, un cristiano certamente conosciuto dai destinatari. Si rivolge poi ai cristiani designandoli come “ Chiesa di Dio che è in Corinto”, “santificati in Cristo Gesù” e “chiamati ad essere santi, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore”. L’espressione “chiesa di Dio”, da una parte, rimanda alla tradizione biblica, dove “l’assemblea del Signore” è il popolo che Dio ha convocato attorno a Sé nel deserto, strappandolo dalla schiavitù egiziana (cfr. Dt 23,1.9), e, dall’altra, indica la comunità cristiana di Corinto, collocata nel contesto della chiesa universale, “insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore”. La prospettiva locale viene in tal modo allargata su un orizzonte universale, cosa molto importante per una comunità, come quella di Corinto, che tendeva a dividersi e separarsi. Inoltre, per il fatto che i cristiani hanno abbracciato il Vangelo e si sono fatti battezzare, sono stati santificati in Cristo Gesù e hanno ricevuto da Dio la chiamata ad essere santi, che è ad un tempo vocazione effettiva ad uno stato di santità e imperativo continuo ad esprimere tale santità nella loro vita. Nel rendimento di grazie a Dio, poi, l’Apostolo rievoca il cammino cristiano compiuto dalla comunità di Corinto, dal giorno ormai passato in cui hanno abbracciato il Vangelo e sono stati oggetto della benevolenza di Dio che li ha colmati di doni spirituali, al presente in cui godono dell’abbondanza dei carismi nella comunione con Cristo, al futuro della parusia alla quale sono orientati e devono giungere irreprensibili e saldi nella fede. Fra i molti doni, Paolo sottolinea in particolar modo quello della “conoscenza” e quello della “parola”, perché “comprendere” e “annunciare” fanno parte della struttura essenziale della fede. Ma sono anche doni da capire bene. Per ora, l’Apostolo non fa cenno alla maniera poco evangelica con cui questi doni vengono vissuti a Corinto. Preferisce solo ringraziare Dio perché questa comunità ha raggiunto una certa stabilità, che le consente di attendere il ritorno glorioso di Cristo Risorto alla fine dei tempi, vivendo in comunione con Lui. B - Le divisioni e i contrasti ecclesiali (1, 10-17) “Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di intenti. Mi è stato segnalato infatti a

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vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi …” (vv.10 -12). Informato della deleteria situazione dovuta ai contrasti interni alla comunità, Paolo esprime subito il suo disappunto per questo scandaloso attentato contro l’unità ecclesiale. Dati alla mano, elenca quattro fazioni e i rispettivi “leader”. Una prima fazione, verosimilmente progressista, si gloriava di far parte del gruppo dello stesso apostolo. Un secondo gruppo, formato probabilmente da intellettuali, si richiamava ad Apollo, grande conoscitore della Sacra Scrittura, abile e affascinante predicatore giudeo-cristiano. Una terza fazione, forse più conservatrice e di matrice giudaica, si appellava agli insegnamenti di Kefa (di Pietro), il principe degli apostoli. Infine, Paolo riporta un’ultima parola d’ordine: “Io (sono) di Cristo!”. È probabile che Paolo esprima, a questo punto, una sua posizione personale. Una vibrata protesta contro la ricerca di maestri ed una decisa affermazione che solo Cristo è il vero Maestro. In ogni caso, il monito paolino è chiaro, anche se formulato con interrogativi retorici: “Ma Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? (v.13). È inconcepibile pensare alla Persona di Cristo divisa e, altrettanto insopportabile, l’idea di una comunità cristiana discorde frazionata in gruppuscoli. È ammirevole il fatto che il severo rimprovero di Paolo prenda l’avvio dai fedeli che si dichiaravano appartenenti al suo gruppo. L’Apostolo è consapevole che tutti i fedeli sono “di Cristo”: non sono né suoi né, tanto meno, degli altri ministri della Chiesa, come Apollo e Kefa. Ridimensiona così l’eccessivo attaccamento che alcuni cristiani provavano nei suoi confronti e, allo stesso tempo, rimprovera i membri degli altri gruppi. Questo severo ammonimento dell’ Apostolo è dovuto poi al fatto che egli ha notato come il culto della personalità di alcuni leader della comunità (magari contro la loro stessa volontà) si radicava in un pericoloso fraintendimento del Battesimo e finiva per incrinare il primato di Cristo nella vita dei fedeli e dell’intera comunità cristiana. Solo perché sono stati battezzati nel nome di Cristo, i cristiani sono uniti a Lui e resi sua proprietà. Si capisce, allora, perché Paolo ringrazia Dio di non aver battezzato quasi nessuno a Corinto (Impulsivo com’è nello scrivere o dettare le lettere, dimentica inizialmente di aver battezzato la famiglia di Stefana, come poi è costretto a rettificare). In ogni caso, il Battesimo viene celebrato in nome di Cristo e non di Paolo, Apollo,

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Kefa o chiunque altro. Quindi, se Paolo ha battezzato solo pochi convertiti di Corinto e, a ogni buon conto, non ha battezzato nessuno “in suo nome”, significa che è completamente improprio e illegittimo dichiarare di “essere di Paolo”. Il Battesimo, infatti, è far memoria dell’evento pasquale di Cristo. Solo Lui è morto in croce ed è risorto per la nostra salvezza. Di conseguenza, la Chiesa ha Cristo come unico fondamento, non i suoi ministri. Per questo Paolo offre se stesso quale strumento umile e povero per il trionfo della croce: “Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo, e senza sapienza, perché non venga resa vana la croce di Cristo” (v.17). C - La parola della croce e la sapienza del mondo (1,18 – 2,5) Per dimostrare come l’agire di Dio trascenda l’orizzonte sapienziale umano, l’Apostolo evoca progressivamente, come in un trittico, l’immagine della Crocifisso, le condizioni sociali della comunità di Corinto, e il periodo della sua missione nella città: ne deriva la riduzione all’assurdo di tutte le presunzioni sapienziali umane; Dio non si è rivelato secondo la sapienza di questo mondo. L’immagine del Crocifisso (1,17-25). Il fondamento cristologico della predicazione di Paolo e, di conseguenza, della stessa vita della Chiesa,è l’evento pasquale di Cristo, che nel suo duplice versante di morte e di risurrezione appare contradditorio dal punto di vista puramente razionale: dalla morte non potrebbe sgorgare la vita. Ciò nonostante, la croce, la morte e la risurrezione di Cristo costituiscono l’avvenimento mediante il quale Dio Padre si è rivelato , in maniera definitiva e insuperabile, come “amore” (agàpe) onnipotente, facendo scaturire dalla morte in croce del suo Figlio Gesù la vita eterna per Lui e per tutti i credenti in Lui. Pertanto coloro che si chiudono nella sapienza orgogliosa di questo mondo non solo non riconoscono il Dio creatore nelle opere delle sue mani (Rm 1, 19-20), ma si rifiutano anche di credere alla predicazione apostolica della Croce, mediante la quale Dio intende salvare l’umanità. Ritenendo una “stoltezza” il credervi, si avviano verso la perdizione eterna. Quelli, invece, che accolgono con fede l’annuncio di Cristo crocifisso e risorto, sperimentano la potenza salvifica di Dio. “ La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che

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vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio”. La parola della Croce è quindi lo spartiacque fra coloro che si salvano e coloro che si perdono. Paolo conferma questo suo asserto con la rivelazione antico testamentaria. In particolare ricorda, in maniera piuttosto libera, un oracolo di Isaia: “ Distruggerò la sapienza dei sapienti, e l’intelligenza degli intelligenti riproverò. Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba?... Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? (1,19). Attraverso queste parole del profeta Isaia, il Signore preannunciava che avrebbe salvato Gerusalemme dall’assedio degli Assiri per vie inaspettate, ridendosi così di tutti i calcoli politici di quelli che scioccamente si affidavano all’aiuto dell’Egitto. Una seconda conferma poi la desume dal modo con cui il Vangelo si è propagato nel mondo: Dio non ha scelto, per questo, eccellenti “dialettici” o uomini di elevata “dottrina”, ma umili pescatori e gente modesta, dichiarando così che è “stolta” la sapienza umana quando presume di essere la salvatrice del mondo. Infatti, “Dio si è compiaciuto di salvare il mondo con la stoltezza della predicazione”(1,21). “Il Crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani”: la predicazione dell’Apostolo incentrata su un Messia crocifisso provocava un completo rifiuto per gran parte di ebrei e di pagani, sia pure con motivazioni diverse: “scandalo” per i giudei, “stoltezza” per i pagani. “Scandalo” era una parola forte: non indicava un ostacolo qualsiasi, ma un ostacolo insormontabile. Un Dio crocifisso era qualcosa di incomprensibile, di ripugnante per gli ebrei. Non soltanto perché chi “pendeva dalla croce era un maledetto” (Deut 21,23), ma perché il mondo ebraico aspettava un Messia glorioso e dominatore. La Croce invece contraddiceva la natura stessa di Dio, che coerentemente non può che manifestarsi nei “segni della potenza”, con gesti visibili, risolutori e definitivi. Tutto l’opposto della debolezza della Croce. Ma la Croce cozzava anche contro la visione religiosa e culturale del mondo greco,pagano. Amanti del bello e del razionale, i greci si ribellavano al pensiero raccapricciante che una qualsiasi divinità si lasciasse crocifiggere dagli uomini e che volesse addirittura legare a tale gesto insipiente la salvezza. Insipienza da scartare senza neppure argomentare era per i greci l’ incarnazione: che un Dio diventi uomo assumendone il divenire, i bisogni e i limiti era totale stoltezza. Ma stoltezza ancora più vistosa era credere in un Dio che finiva sconfitto sul patibolo di una croce.

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Questo bastava per sbarazzarsi della predicazione cristiana. Eppure Paolo è profondamente convinto dell’agire paradossalmente salvifico di Dio e dichiara con fierezza: “Mentre i Giudei chiedono i miracoli e i greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso … predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1, 22- 25). Il luogo in cui si rivelano la potenza e la sapienza di Dio è proprio l’evento del Calvario, dove il Cristo, sacrificatosi sulla Croce per la salvezza dell’ umanità, è la manifestazione più alta e convincente della totale gratuità dell’amore divino. Le condizioni sociali della comunità di Corinto (1, 26 – 31). Fedele alla logica della Croce, l’Apostolo aveva preso la ferma decisione di annunciare a Corinto il Cristo crocifisso senza ricorrere né a raggiri di parole né al prestigio degli uomini. Si era rivolto, in prevalenza, a gente semplice e senza importanza, in quanto la via della croce passa attraverso l’evangelizzazione degli umili. Questa,dunque, la strada intrapresa da Paolo. È lui stesso a ricordarlo ai Corinzi: “Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti …”. La maggior parte dei cristiani, che componevano la comunità di Corinto, erano stati “chiamati” dalle classi meno colte e ricche della città. Davanti a Dio, del resto, non contano i privilegi di casta, di cultura o di prestigio sociale. Nella sua elezione il Signore scardina i comuni criteri di giudizio e sceglie ciò che l’uomo disprezza. E il motivo di tale ribaltamento di valori viene chiaramente esplicitato: “ Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio” (1, 28-29). Pertanto, se i cristiani di Corinto erano stati inseriti “in Cristo Gesù”, costituito da Dio vera “sapienza”, unica”giustizia” che “santifica e redime”, lo dovevano esclusivamente al Padre celeste e non ai loro meriti o capacità umane. Era loro sottratta ogni possibilità di auto-affermazione nel senso di auto-glorificazione. Paolo lo evidenza ribadendo che l’unico “vanto” concesso all’uomo è quello dell’amore e della grandezza di Dio, che mai dimentica le sue creature: “Chi si vanta, si vanti nel Signore” (1,31).

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Debolezza dell’apostolo e potenza di Dio (2,1-5). La consapevolezza che il Signore rivela la sua potenza salvifica mediante la debolezza degli apostoli, inviati da Lui, era maturata in Paolo proprio grazie alle difficoltà da lui stesso affrontate prima di giungere a Corinto. Dopo l’amara esperienza di Atene, l’Apostolo aveva smesso di cercare di essere umanamente avvincente e, nel rievocare gli inizi della sua predicazione ai corinzi, confessa senza falsi pudori: “Anch’io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi il mistero di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro tra voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. E venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione …” (2,1-3). L’annuncio di Paolo, dunque, si concentrò unicamente su Cristo crocifisso. E questa sua predicazione, proprio prendendo parte alla debolezza estrema del Crocifisso, mostrò di possedere una “potenza” salvifica divina, capace di far germogliare dal nulla una vivace comunità cristiana. La conversione alla fede cristiana dei corinzi, infatti,non fu frutto di raziocinio o di discorsi umani persuasivi, ma una chiara “conferma dello Spirito e della sua potenza”. D - Il Vangelo e la sapienza divina (2,6-16) Dopo aver detto a più riprese che non ha inteso fondare la fede su discorsi persuasivi di sapienza umana, l’Apostolo affronta il tema dei rapporti positivi tra “sapienza” e “Vangelo”. Se fin’ora Paolo aveva condannato le sterili pretese della sapiente logica umana, messa in scacco dalla croce di Cristo, a questo punto, invece, ricupera alcuni aspetti di quella tematica,ma sotto una diversa luce. Anche per i cristiani è importante un certo discorso sapienziale; non si tratta, però, della “sapienza di questo mondo”, ma della “sapienza divina”, la quale per di più ha come suoi destinatari “i perfetti” (2,6), le persone mature nella fede, che non corrono il rischio (presente in realtà nei corinzi) di ridurre il cristianesimo ad una qualsiasi conoscenza umana (= “gnosi”). Il cristianesimo,infatti, non è un’ideologia o una filosofia, o semplicemente un’etica. La sapienza di Dio è “misteriosa, nascosta” (2,7), racchiusa da sempre in un amoroso progetto di salvezza, la cui conoscenza dipende solo da una rivelazione (2,9). Commenta R. Penna: Il mistero di questa superiore sapienza in definitiva si

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riassume attorno al “Signore della gloria” (2,8), già definito più sopra come “sapienza di Dio” personalizzata (1,24.30); proprio da Lui prendono forma e senso tutti gli altri capitoli della sapienza cristiana: il significato ultimo della creazione e del peccato, la preparazione evangelica nella storia di Israele e degli altri popoli e culture, la novità radicale del cristiano nel confronto con gli altri uomini, il mistero di Dio stesso e quello della Chiesa, la prospettiva escatologica. Dal punto di vista della acquisizione di questa sapienza, gli uomini si dividono in due schiere. Da una parte si collocano quelli che “non conoscono” (2,8); si tratta dei “dominatori di questo mondo”, da identificarsi non solo con i personaggi responsabili della morte di Gesù, ma soprattutto con le potenze del male che estendono il loro influsso sul cuore di ogni uomo, in diretto contrasto con la croce di Cristo, dalla quale peraltro proviene la loro eliminazione. Dall’altra c’è il “noi” di coloro che pervengono alla sapienza di Dio mediante una rivelazione dello Spirito:“ Infatti, lo Spirito scruta ogni realtà, anche le profondità di Dio… chi tra gli uomini conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche le realtà di Dio nessuno le ha conosciute se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito (proveniente) da Dio, per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana,ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali …” (2,10-13). “A questo punto – scrive F. Manzi – Paolo può ribadire di aver comunicato ai fedeli maturi o “spirituali” di Corinto verità “spirituali”, cioè insegnate anche a lui dallo stesso Spirito di Dio e non afferrabili con la “sapienza umana”. Aggiunge poi che l’“uomo naturale”, guidato unicamente dalle sue capacità umane, non riesce a cogliere verità di fede come quella del valore salvifico della Croce di Cristo”. La croce gli appare anzi come una “follia”. “Al contrario, l’ “uomo spirituale” diventa capace di capire anche queste verità spirituali, così misteriose, perché ha accolto in sé lo Spirito di Dio. Grazie ai suggerimenti dello Spirito Santo, l’“uomo spirituale” impara a giudicare ogni realtà, senza essere giudicato da nessuno (v.2,15); il che non significa che l’“uomo spirituale” sia dotato magicamente dell’infallibilità e neppure che possa permettersi di vivere “al di là del bene e del male”, senza rendere conto a nessuno.

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Vuol dire piuttosto che lo Spirito Santo, come un maestro interiore, lo aiuta in ogni situazione della vita a discernere, alla luce del Vangelo, ciò che è bene e ciò che è male … In sostanza, la vera sapienza divina consiste in questa capacità di discernimento spirituale”. Con la citazione finale, tratta da Isaia 40,13, “Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” (2,16), Paolo ribadisce ancora che i cristiani, conformandosi a Cristo e unendosi vitalmente a Lui, non potranno pensare e agire diversamente dal loro Signore. Sapranno perciò ricercare “l’unità di pensieri e di intenti” evitando divisioni e discordie.

C ONCLUSIONE C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro …

C. O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per il nostro Signore..

R. Amen.

C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Lectio Biblica

Statuto e compito degli Apostoli, ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio

(3,1

SALUTO C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen.

C. Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. R. E con il tuo Spirito.

Breve monizione introduttiva INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (1Cor 3,1-4,21

vedi suggerimenti a pg.5 Era Dio che faceva crescere Cap. 3 1 Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo. 2Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete, 3perché siete ancora carnali. Dal momvi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana?

2

Statuto e compito degli Apostoli, ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio

(3,1 – 4,21)

del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene

4,21)

vedi suggerimenti a pg.5

Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri Vi ho dato da bere

latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E perché siete ancora carnali. Dal momento che

vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi

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4Quando uno dice: "Io sono di Paolo", e un altro: "Io sono di Apollo", non vi dimostrate semplicemente uomini? 5Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. 6Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. 7Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. 8Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. 9Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio. 10Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. 11Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. 12E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, 13l'opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. 14Se l'opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. 15Ma se l'opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. 16Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? 17Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi. Dio fa cadere i sapienti 18Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, 19perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. 20E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani. 21Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: 22Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! 23Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. Gli apostoli sono servi di Cristo Cap. 4 1 Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. 2Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. 3A me però importa assai poco di venire

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giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, 4perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! 5Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode. 6Queste cose, fratelli, le ho applicate a modo di esempio a me e ad Apollo per vostro profitto, perché impariate dalle nostre persone a stare a ciò che è scritto, e non vi gonfiate d'orgoglio favorendo uno a scapito di un altro. 7Chi dunque ti dà questo privilegio? Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? 8Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi. 9Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all'ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. 10Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. 11Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, 12ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; 13calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi. Esortazioni e avvertimenti 14Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. 15Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo. 16Vi prego, dunque: diventate miei imitatori! 17Per questo vi ho mandato Timòteo, che è mio figlio carissimo e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa. 18Come se io non dovessi venire da voi, alcuni hanno preso a gonfiarsi d'orgoglio. 19Ma da voi verrò presto, se piacerà al Signore, e mi renderò conto non già delle parole di quelli che sono gonfi di orgoglio, ma di ciò che veramente sanno fare. 20Il regno di Dio

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infatti non consiste in parole, ma in potenza. 21Che cosa volete? Debbo venire da voi con il bastone, o con amore e con dolcezza d'animo?

Note per la comprensione del testo A - Immaturità dei Corinzi (3,1-4) “ Io, fratelli, non ho potuto parlarvi come ad uomini spirituali, ma come a uomini carnali, come a bambini in Cristo. Vi ho dato latte da bere, non cibo (solido), perché non l’avreste sopportato … Infatti, siete ancora carnali … Quando uno dice: “Io sono di Paolo!”, e un altro: “ Io di Apollo!”, non siete (semplicemente) terreni?” Paolo torna ad affrontare il problema pastorale che lo assillava enormemente: le lacerazioni e le discordie che stavano disgregando la Chiesa di Corinto. Dopo essersi difeso dalla critica, mossagli da alcuni corinzi, di non essere stato capace di annunziare il Vangelo con “discorsi persuasivi di sapienza”, l’Apostolo passa al contrattacco: spiega con una certa ironia che, al momento della sua venuta a Corinto, non ha potuto parlare loro della vera sapienza divina, non per una sua incapacità o inadempienza, ma per la loro fragilità. Ha dovuto adeguarsi alla loro immaturità, limitandosi a fornire i primi elementi del messaggio cristiano, senza poter approfondire il discorso sul mistero sapiente di Dio rivelatosi in Cristo. A neonati, capaci soltanto di nutrirsi di latte, non poteva dare da mangiare cibo solido. L’ invidia e la discordia, pesantemente presenti tra i corinzi, erano, infatti, il segno evidente del loro “infantilismo spirituale”. Paolo, poi, prosegue rincarando la dose: “neanche ora siete spirituali, perché siete ancora carnali … quando uno dice: Io sono di Paolo, e l’altro “Io di Apollo”, non vi dimostrate semplici uomini?” E riporta, per la seconda volta, gli slogan che circolavano nella comunità cristiana, come se essa fosse diventata un circolo di intellettuali e di filosofi. Gli slogan, comunque, da quattro sono diventati due. Non compaiono più i nomi di Pietro e di Cristo; forse perché il gruppo alternativo a Paolo era costituito da intellettuali che si richiamavano

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al colto e raffinato insegnamento del predicatore giudeo – cristiano Apollo. B - Statuto e compito degli Apostoli (3, 5 - 23) “Che cos’è Apollo? E che cos’è Paolo? Servitori, mediante i quali siete giunti a credere, e ciascuno come il Signore gli ha concesso” (3,5). Per far capire ai corinzi quanto è inutile parteggiare per i diversi predicatori, quasi che uno possa avere più valore di salvezza di un altro, Paolo illustra la natura del ministero apostolico. Gli apostoli non sono che modesti strumenti, “ministri”, di cui il Signore si serve per suscitare la fede nel cuore degli uomini. Coltivatori del campo di Dio e costruttori del tempio di Dio (3,6-17) “Io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma è Dio che ha fatto crescere. Sicché non conta né chi pianta, né chi annaffia, ma chi fa crescere, cioè Dio … Infatti siamo collaboratori di Dio e voi siete campo di Dio, edificio di Dio” (3, 6-9). Paolo utilizza due immagini per definire la predicazione cristiana: la piantagione e la costruzione. In ciascuno dei due casi c’è chi inizia il lavoro e chi lo prosegue; la distinzione tra chi pianta e chi irriga fonda l’obbiettiva differenza esistente tra l’evangelizzazione propriamente “apostolica” e quella degli altri predicatori nelle successive stagioni storiche della Chiesa. Spetta, comunque, sempre a Dio la parte determinante, poiché tanto il campo quanto l’edificio sono suoi, e sarebbe un’imperdonabile miopia e grave errore non vedere, oltre l’apostolo e il missionario, Dio stesso “che fa crescere”. Per quanto semplice, l’immagine agricola serve a purificare, nei “ministri della Chiesa”, qualsiasi tentazione di protagonismo. Coloro che annunciano il Vangelo e che fondano le comunità cristiane, come pure quelli che in seguito le dirigono, non devono legare a sé i fedeli. Devono solo guidarli e condurli a Cristo. In quanto “collaboratori di Dio”, non possono cedere alla tentazione di considerare gli altri ministri come rivali, né accettare che logiche concorrenziali si scatenino all’interno delle comunità cristiane. La Chiesa appartiene a Dio: il Signore sta alla sua origine, ne ha piena e indiscussa proprietà. È pertanto assurda ogni pretesa dei corinzi di autoidentificarsi in rapporto a Paolo o ad Apollo. “Secondo la grazia di Dio a me donata, come un sapiente architetto ho posto le

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fondamenta; un altro poi vi edifica sopra. Ciascuno però badi a come edifica!” (3,10 - 16). L’Apostolo sviluppa l’immagine dell’edificio in maniera più ampia rispetto a quella agricola. L’immagine edile, infatti, ha una dimensione più profonda, perché l’ “edificio di Dio” è “il suo tempio”. Così Paolo, da una parte, ribadisce la centralità di Cristo nella vita ecclesiale: qualsiasi edificio sta in piedi se ha delle stabili fondamenta, e la Chiesa ha Cristo, come suo unico e incrollabile fondamento. Dall’altra, richiama l’attenzione sul compito architettonico del missionari, evidenziando che esistono due tipi di costruttori di comunità cristiane. Il primo, che si comporta come un architetto avveduto ed esperto, fonda la vita della Chiesa su Cristo. Paolo dichiara di aver agito proprio così a Corinto, ammettendo umilmente di aver ricevuto da Dio una grazia particolare per questa sua missione. Altri poi, come lo stesso Apollo, hanno completato l’opera missionaria. Il secondo tipo di ministro tenta di edificare la Chiesa su un fondamento diverso da Cristo o con materiali scadenti come il fieno e la paglia, cioè, fuori dall’immagine, pervertendo il Vangelo e finendo per demolire la stessa comunità cristiana. La rovina della comunità è qui espressa nei termini dell’attuazione del giudizio di Dio, immaginato come un fuoco divorante una casa diroccata. Riallacciandosi ad una simbologia cara agli antichi profeti, Paolo spinge i corinzi ad immaginare il fuoco della fine dei tempi: alla parusia del Cristo risorto, questo fuoco purificherà quello che di prezioso nelle attività personali ed ecclesiali dovrà per sempre rimanere al cospetto di Dio,da tutte le scorie che invece saranno distrutte. È evidente l’ intento pastorale di Paolo. Non si preoccupa di salvaguardare le sue prerogative di padre fondatore della Chiesa di Corinto. Ciò che gli sta particolarmente a cuore è evitare che la comunità, lacerata da discordie e gelosie, non si fondi più su Cristo, “pietra angolare”. E non stringendosi a Lui, i cristiani,pietre viventi” dell’ intero “edificio di Dio”, andrebbero presto in rovina. Ai missionari,quindi, chiamati a continuare la costruzione di una comunità cristiana, Paolo raccomanda la massima attenzione nella scelta del materiale (3,12). Nel giorno del giudizio finale, alla prova del fuoco dell’amore divino apparirà, infatti, la consistenza e il valore dell’azione evangelizzatrice dei ministri della Chiesa: alcuni riceveranno una ricompensa divina per aver fondato la comunità su

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Cristo e averla fatta crescere mediante una sapiente cura pastorale. Per altri, invece, sarà come scampare all’incendio di un edificio, perché, pur avendo lavorato per Cristo e per la sua Chiesa, non l’hanno edificata in modo giusto, per cui tutto è crollato (3,13-15). “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Infatti, santo è il tempio di Dio che siete voi” (3,16-17) Ricamando ancora sull’immagine della costruzione, Paolo passa dai costruttori all’“edificio” stesso, rappresentato dai singoli fedeli e dalla comunità in genere. Ricorda che sono proprio loro il “tempio di Dio”, consacrato dalla presenza dello Spirito. L’antico tempio era caratterizzato dalla presenza della “gloria di Dio” che si manifestava nella nube, il nuovo è invece caratterizzato dalla presenza dello Spirito Santo che abita nell’intimo dei cuori. È perciò un atto scriteriato, che Dio non potrà lasciare impunito, il “profanare” questo tempio (= la comunità cristiana) col peccato, con l’errore e con lo spirito di fazione e di divisione, “perché santo è il tempio che siete voi”. Tutto è vostro (3, 18 - 23) “Nessuno si illuda! Se qualcuno tra voi ritiene di essere sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente … Sicché nessuno ponga il proprio vanto negli uomini! Infatti, tutte le realtà sono vostre: Paolo,Apollo, Cefa, il mondo,la vita, la morte, le realtà presenti e quelle future: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” Riprendendo il concetto di “sapienza di questo mondo”, l’Apostolo esorta i corinzi a non lasciarsi irretire da essa, impostando rapporti sbagliati con i ministri della Chiesa. In effetti, la sedicente sapienza mondana, considerata dal punto di vista di Dio, appare in tutta la sua stoltezza: “Il Signore sa che i ragionamenti dei sapienti sono vani. Sicché nessuno ponga il proprio vanto negli uomini!”. Guardando le cose alla luce della vera sapienza, i corinzi, da un lato, possono accorgersi quanto è inutile, in ordine alla salvezza, mantenere rapporti di dipendenza con certi maestri per trarne motivo di vanto; dall’altro, possono rendersi conto di aver ricevuto tutto in dono da Dio: non solo i ministri della Chiesa (Paolo, Apollo e Kefa), ma ogni altra realtà della vita. Quello che conta, allora, non è essere “di Paolo”, “di Apollo” o “di Kefa”, ma essere esclusivamente “di Cristo” e, quindi, “di Dio”.

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“Dopo aver umiliato l’uomo, dichiarandone l’assoluta nullità e impotenza di fronte a Dio e nell’ordine della salvezza, con una forte impennata dialettica Paolo fa balenare l’incommensurabile grandezza dell’uomo secondo il disegno di Dio nell’economia della redenzione. “Tutto è vostro … ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”. Si toccano qui le fondamenta e il vertice dell’umanesimo cristiano … Insieme alla Prima Lettera ai Tessalonicesi: “Mettete alla prova tutte le cose e ritenete il buono”(5,21.22) e a quella ai Filippesi: “ Per il resto, fratelli, quanto è vero, venerabile, giusto, puro, amabile,onorato,quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri “ (4,8), questo passo forma il grande trittico dell’umanesimo paolino; e non mi pare senza significato che esso si connetta storicamente a tre capitali dell’umanesimo ellenistico – romano: Filippi, Tessalonica, Corinto” ( Piero Rossano). C - Ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio (4, 1- 21) Paolo torna ora a considerare il tema dei “ministri di Cristo” con sviluppi nuovi e severi al tempo stesso. La comunità non abbia pregiudizi sui ministri (4,1-5) “Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele … Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore … “Agli occhi dei corinzi è presentata la figura dei ministri del Vangelo come “servitori di Cristo” e “ amministratori dei misteri di Dio”. La valutazione sul loro operato deve tenere conto della fedeltà alla missione ricevuta. La competenza del giudizio, negata ai detrattori, al tribunale umano e allo stesso apostolo, viene riconosciuta solo al Signore. Da questa consapevolezza nasce l’esortazione di Paolo a non giudicare, prima che il Signore riveli le opere di ciascuno e a ciascuno sia dato il giusto riconoscimento da parte di Dio. In tal modo al “tempo” del giudizio umano viene contrapposto il “ giorno del Signore”, e alla lode umana quella proveniente da Dio. L’Apostolo non intende certo evitare subdolamente qualsiasi legittima critica da parte della comunità. Vuole solo insegnare ai corinzi a non scivolare in un atteggiamento critico nei suoi

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confronti, dettato dall’orgoglio e dalla sapienza umana. Le conseguenze sarebbero deleterie non solo per lui, ma soprattutto per loro. La comunità eviti di gloriarsi orgogliosamente dei ministri (4, 6 -13) “Queste cose, fratelli, le ho applicate in modo paradigmatico a me e ad Apollo per riguardo a voi, perché impariate da noi a stare a ciò che è scritto e non vi gonfiate di orgoglio a favore di uno contro un altro. Infatti, chi ti ha dato il diritto di fare preferenze? Che cos’hai che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché vantarsene quasi che non l’avessi ricevuto? (4, 6-7). Sicuramente, Paolo e Apollo godevano stima e grande apprezzamento tra i corinzi. L’Apostolo si rivolge a loro chiamandoli “fratelli”, precisando che scrive loro certe cose per il loro stesso bene. Anzi, per evitare il rischio di un’ammonizione astratta e moralistica, si propone come modello di vita cristiana: “ perché impariate da noi a non andare oltre ciò che è scritto”. Esorta cioè i corinzi a seguire il proprio buon senso, illuminato dalla fede in Cristo, senza cedere alla superbia. E alla luce del semplice buon senso, i corinzi possono capire quanto sia conveniente smettere di appellarsi orgogliosamente a qualche “leader” cristiano. Il culto della personalità,infatti, rischia soltanto di accentuare la disgregazione della Chiesa di Corinto, già divisa in fazioni tra loro rivali. L’Apostolo spiega come tutto è grazia sia nella vita personale sia in quella ecclesiale. Non c’è pertanto alcun motivo perché un credente debba vantarsi, quasi che una determinata cosa o persona fosse sua. Da qui sgorga il sarcasmo di Paolo sull’orgoglio che inquina e rovina i rapporti nell’ambito della comunità cristiana. I corinzi si illudono di essere già arrivati e di aver già raggiunto l’ideale della perfezione. Questa loro ingenua convinzione è descritta mediante le immagini della sazietà, della ricchezza e della regalità: “Già siete sazi! Già siete diventati ricchi! Senza di noi, siete giunti al Regno! Con tono sarcastico Paolo così prosegue:“Almeno foste giunti al Regno, così che anche noi potessimo essere nel Regno con voi! E all’immagine della comunità ricca, sazia e presuntuosa contrappone la drammatica condizione di umiltà e di annientamento in cui si trovano gli Apostoli al servizio del Vangelo. “Ritengo che Dio abbia designato noi, gli apostoli, come infimi, quasi fossimo condannati a morte, perché siamo diventati uno spettacolo per il mondo, sia

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per gli angeli che per gli uomini. Noi stolti a causa di Cristo,voi invece sapienti in Cristo; noi deboli, voi invece forti; voi glorificati, noi invece disonorati. Ancora adesso patiamo la fame, soffriamo la sete, siamo denudati, andiamo vagando, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Ingiuriati, benediciamo; perseguitati, resistiamo; diffamati, confortiamo. Siamo diventati come l’immondizia del mondo, la spazzatura di tutti, fino ad oggi” (4, 9-13). In questo celebre brano Paolo dipinge, con tinte forti, gli apostoli come “gli infimi”, spregiati come dei condannati a morte, deboli e indifesi, uomini senza onore, immondi e “spazzatura di tutti”, “spettacolo davanti agli occhi del mondo e degli stessi angeli”. Gli araldi del Vangelo vengono coinvolti nella stessa sorte del Cristo crocifisso. Paolo, infatti, non parla in maniera astratta: quando accenna alla fame, alla sete, alla nudità, ai maltrattamenti e alle espulsioni forzate, oltre che al lavoro manuale per sostenersi economicamente senza dipendere dalle offerte dei corinzi, rievoca la sua stessa esperienza personale quale più valida conferma delle sue dichiarazioni. Tuttavia gli preme primariamente sottolineare che ha affrontato tutte queste prove e sofferenze “a causa di Cristo” (4,10). Molti pedagoghi, ma un solo padre (4, 14-16) “Non per farvi arrossire vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei amati. Infatti, se anche aveste diecimila pedagoghi in Cristo, non avreste però molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù attraverso il Vangelo. Vi esorto, dunque: diventate miei imitatori!” (4,14-16). Con la tenerezza, ma anche con la preoccupazione di un padre, Paolo invita i corinzi ad imitare il suo stile di vita evangelico. Si rende conto di essere stato assai severo nel suo richiamo, avendo usato, talvolta, una sferzante ironia. Ma non l’ha fatto per umiliare, bensì per far crescere e maturare nella fede. Rivendica il suo ruolo di padre, avendo generato i corinzi a Cristo mediante il Vangelo. Ed è per questa motivazione affettiva che si propone alla chiesa di Corinto, non come uno dei tanti pedagoghi, ma come un vero e tenero padre. Ai pedagoghi bisogna obbedire. Il padre, invece, va amorevolmente imitato. Conclusione: visita di Timoteo a Corinto (4,17-21) “Per questo vi ho mandato Timoteo, che è mio figlio amato e fedele nel Signore: lui vi rammenterà i principi di vita in Cristo, come li insegno

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ovunque, in ogni chiesa. Alcuni poi si sono gonfiati di orgoglio, come se io non dovessi più venire da voi. Invece verrò presto da voi, se il Signore vorrà … Che cosa volete? Che venga da voi con il bastone o con carità e spirito mite?” Nell’intento di aiutare i corinzi a perseverare nella vita cristiana, imitando il suo stile, Paolo manda a Corinto Timoteo, suo fedele collaboratore e figlio carissimo. Da questo invio di Timoteo qualche avversario aveva probabilmente dedotto che l’Apostolo si vergognava di ritornare personalmente a Corinto. Paolo smentisce questa falsa diceria, promettendo che ci sarebbe andato presto, se questo corrispondeva alla volontà del Signore, per “conoscere de visu” la situazione della Chiesa e verificare la consistenza spirituale di quei cristiani che “si sono montati la testa ” e si autoesaltano a parole. E proprio a questi suoi denigratori, “che si sono gonfiati di orgoglio”, l’Apostolo rivolge un’alternativa provocatoria: deve recarsi a Corinto nella veste del pedagogo, che adopera il bastone per correggere gli indisciplinati oppure nella veste del padre amorevole e mite. A loro la scelta di come egli eserciterà la sua paternità: se nel segno della correzione o dell’amorevole incontro. Dall’insieme del suo epistolario si evince comunque che Paolo ha sempre preferito mantenere, nei confronti dei suoi interlocutori, rapporti improntati all’ amore e alla benevolenza.

C ONCLUSIONE

C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro … C. Signore nostro Dio, che guidi il popolo cristiano con il

ministero dei sacerdoti, fa’ che i tuoi eletti siano perseveranti nel servire la tua volontà, e nella vita e nella missione pastorale cerchino unicamente la tua gloria.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

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R. Amen.

C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Lectio Biblica

Immoralità sessuale e disordini giudiziari Glorificate Dio nei vostri corpi

(5,1-13

SALUTO

C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen.

C. Il Signore, che guida i nostri cuori nell’amore e nella pazienza di Cristo, sia con tutti voi. R. E con il tuo Spirito.

Breve monizione introduttiva.

INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (1Cor 5,1-13 - 6,1-20

vedi suggerimenti a pg.5 Un caso grave di immoralità Cap. 5 1 Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. 2E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti in modo che venga esclmezzo a voi colui che ha compiuto un'azione simile! assente con il corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha compiuto tale azione. del Signore nostro Gesù, essendo radunati voi e il mio spirito

3

Immoralità sessuale e disordini giudiziari Glorificate Dio nei vostri corpi

13 - 6,1-20)

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Il Signore, che guida i nostri cuori nell’amore

20)

vedi suggerimenti a pg.5

Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto

E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti in modo che venga escluso di mezzo a voi colui che ha compiuto un'azione simile! 3Ebbene, io, assente con il corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha compiuto tale azione. 4Nel nome

il mio spirito

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insieme alla potenza del Signore nostro Gesù, 5questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore. Evitare i cattivi esempi 6Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta? 7Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! 8Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità. 9Vi ho scritto nella lettera di non mescolarvi con chi vive nell'immoralità. 10Non mi riferivo però agli immorali di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolatri: altrimenti dovreste uscire dal mondo! 11Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello ed è immorale o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro: con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. 12Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? 13Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi! La giustizia dei tribunali pagani Cap. 6 1 Quando uno di voi è in lite con un altro, osa forse appellarsi al giudizio degli ingiusti anziché dei santi? 2Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se siete voi a giudicare il mondo, siete forse indegni di giudizi di minore importanza? 3Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita! 4Se dunque siete in lite per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente che non ha autorità nella Chiesa? 5Lo dico per vostra vergogna! Sicché non vi sarebbe nessuna persona saggia tra voi, che possa fare da arbitro tra fratello e fratello? 6Anzi, un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello, e per di più davanti a non credenti! 7È già per voi una sconfitta avere liti tra voi! Perché non subire piuttosto ingiustizie? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene? 8Siete voi invece che commettete ingiustizie e rubate, e questo con i fratelli! 9Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, 10né

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ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. 11E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. Glorificate Dio nel vostro corpo 12"Tutto mi è lecito!". Sì, ma non tutto giova. "Tutto mi è lecito!". Sì, ma non mi lascerò dominare da nulla. 13"I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!". Dio però distruggerà questo e quelli. Il corpo non è per l'impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. 14Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. 15Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! 16Non sapete che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due - è detto - diventeranno una sola carne. 17Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. 18State lontani dall'impurità! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all'impurità, pecca contro il proprio corpo. 19Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. 20Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

Note per la comprensione del testo In questi due capitoli Paolo affronta di seguito tre questioni che minacciano e inquinano l’integrità morale della chiesa di Corinto: denuncia il caso dell’incestuoso (5,1-13); disapprova il problema del ricorso ai tribunali pagani per risolvere le vertenze tra i vari membri della comunità (6,1-11); condanna l’immoralità e il permissivismo sessuale (6,12-20). A – Condanna di un incestuoso (5, 1-13) La comunità cristiana, oltre alle divisioni interne e all’orgoglio sapienziale, presentava gravi disordini di ordine sessuale,dovuti, in

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gran parte, al contesto di diffusa poligamia nella città di Corinto, dove il tempio maggiore era quello di Afrodite. Tra i casi di comportamenti viziosi spiccava quello di un cristiano che viveva pubblicamente, “more uxorio”, con la propria “matrigna” (“moglie del proprio padre”), senza che la comunità avvertisse alcun disagio morale per uno scandalo, condannato, tra l’altro, dal diritto ebraico e da quello greco-romano. L’allontanamento del cristiano immorale dalla comunità (5,1.5) Paolo si sente in dovere di intervenire, vista la passività colpevole dei corinzi, che non hanno provato né dolore né dispiacere per il comportamento immorale di quell’incestuoso, e rimprovera severamente i cristiani: “Voi ve ne siete perfino gloriati, piuttosto che esserne afflitti, così da allontanare da voi chi fece questa azione! (5,2). Passa quindi alla sanzione, decretando l’espulsione di quel cristiano dalla Chiesa: “Ebbene, io, fisicamente assente ma spiritualmente presente, ho già emesso un giudizio, come se fossi presente,su chi ha agito così: nel nome del Signore Gesù, essendo riuniti voi e il mio spirito con la potenza del Signore nostro Gesù, questo tale sia consegnato a Satana per la rovina della (sua) carne, affinché il suo spirito sia salvato nel giorno del Signore” (5,3-5). Lo scopo pedagogico di questa dura sanzione disciplinare è formulato in termini più forti che chiari. Alcuni elementi sono sicuri: la collegialità della sentenza (cfr. Mt 18,17); la comunione tra l’Apostolo e la comunità legiferante; il valore determinante della presenza della potenza del Signore Gesù, che fa di quell’atto qualcosa di più di un semplice intervento giuridico. Appare, invece, alquanto oscura, e di difficile interpretazione, la frase: “Questo tale sia consegnato a Satana per la rovina della carne, affinché il suo spirito sia salvato nel giorno del Signore”. Occorre allora ricorrere alla visione antropologica di Paolo. Per lui, la “carne” (sarx) è il terreno nel quale Satana sparge il seme del peccato, che poi cresce e si espande nel cuore e nella vita degli uomini, ramificandosi in idolatrie, impurità, dissolutezze, magie, inimicizie, liti, gelosie, discordie, invidie, ubriachezze, orge e altre opere simili a queste (cfr. Gal 5, 19-21; Rm 13,13-14). “Con questo modo di intendere la “carne”, si comprende che a spingere Paolo a decretare l’espulsione dell’incestuoso dalla comunità cristiana è un ultimo filo di speranza: che cioè costui, una volta lasciato dalla Chiesa in balia del Maligno, soffra a causa del

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suo stesso peccato e giunga così a pentirsene sinceramente” Paolo “auspica che quel peccatore, accortosi di essersi posto con il proprio comportamento immorale al di fuori del circuito vitale della comunione ecclesiale col Signore, abbia il coraggio di sciogliere la sua convivenza incestuosa. Se lo facesse sotto la spinta di quella pena medicinale, la sua “carne” andrebbe in rovina; cioè la sua passione egoistica, incarnatasi in quella determinata situazione peccaminosa, verrebbe annientata. Ma, grazie alla conversione e al conseguente rientro nella comunità cristiana, “il suo spirito”, ossia la persona (complessivamente intesa) in quanto inabitata, perdonata e trasfigurata dallo spirito del Risorto, otterrebbe la salvezza eterna”nel giorno del Signore”, alla fine dei tempi” (F.Manzi). Togliere il lievito vecchio dall’impasto nuovo (5,6-8) “Non è bello il vostro vanto! Paolo, ancora una volta, biasima quell’inutile vanto dei corinzi, che li ha spinti “a chiudere un occhio”, se non addirittura ad approvare con un senso di superiorità e di sottile compiacenza, il caso dell’incestuoso. Poi ammonisce: “Non sapete che poco lievito fa fermentare tutta quanta la pasta? Buttate via il lievito vecchio, per essere impasto nuovo …” (5,7). Questo detto proverbiale offre a Paolo lo spunto per una riflessione teologica ed una esortazione morale. Il rapporto “lievito-pasta” richiama, infatti, il rito della pasqua ebraica, che prescriveva di mangiare l’agnello con pani azzimi, impastati cioè senza lievito. In vista delle celebrazioni pasquali, infatti, il pane fermentato veniva del tutto eliminato dalle abitazioni. Paolo pertanto interpreta la liturgia della cena pasquale ebraica alla luce della morte e risurrezione di Cristo: l’antico esodo dalla schiavitù egiziana e la novità di un’esistenza liberata dal Signore trovavano compimento nella vita dei battezzati in Cristo, non più schiavi del peccato, ma rivestiti di grazia e santità. Di qui l’esortazione rivolta ai corinzi: “Togliete il lievito vecchio, per essere impasto nuovo, perché siete azzimi. Infatti, la nostra Pasqua è stata immolata: Cristo. Celebriamo dunque la festa non con il lievito di cattiveria e di malvagità, ma con pani azzimi di sincerità e verità” (5,7-8). È interessante notare come per San Paolo l’indicativo della salvezza: “siete azzimi” è il fondamento dell’imperativo della morale: “togliete il lievito vecchio”.

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Un malinteso da chiarire (5,9-13) L’Apostolo, a questo punto, intende rettificare un malinteso provocato da una sua precedente lettera (andata perduta), nella quale aveva trattato dello stile di vita della comunità cristiana e dei suoi rapporti con il mondo. Ne riassume il contenuto con una frase: “non immischiarsi con chi vive nell’immoralità sessuale”. Ora egli puntualizza che in quella missiva non proponeva ai cristiani la separazione dai pagani che obbediscono alla logica mondana e si abbandonano a disordini morali di ogni genere. In tale ipotesi - sottolinea Paolo - i credenti in Cristo sarebbero dovuti uscire dal mondo per poter vivere la propria fede al riparo da ogni contaminazione peccaminosa, come facevano alcune frange del giudaismo dell’epoca o alcuni gruppi della diaspora. Invece, egli, nel suo precedente scritto, si riferiva ai rapporti fra i corinzi battezzati, che si dicono “fratelli”, ma in realtà perseverano in una condotta gravemente peccaminosa. Mantenere rapporti con costoro (per esempio, la condivisione della mensa) sarebbe stato un atteggiamento imprudente. Probabilmente l’Apostolo intendeva escludere la condivisione di quei pasti all’interno dei quali,nella Chiesa di Corinto, veniva celebrata l’Eucarestia. Paolo, comunque, ammonisce la comunità ad essere risoluta nell’allontanare quei membri, che sono responsabili di peccati gravi: “Vi ho scritto di non immischiarvi con chi porti il nome di “fratello” e sia un immorale o un avaro o un idolatra o un calunniatore o un ubriacone o un ladro” (5,11). In un contesto pagano d’immoralità dilagante, consentire ai cristiani di tornare a vivere in maniera peccaminosa, come prima della conversione, avrebbe significato portare la Chiesa al disfacimento. Resta così giustificata la pena medicinale dell’espulsione dell’incestuoso dalla comunità cristiana; mentre per quanto concerne i pagani, con i quali i cristiani inevitabilmente entravano in contatto, l’Apostolo non esprime giudizi. Lascia a Dio ogni giudizio. B – Il ricorso dei cristiani ai tribunali pagani L’incoerenza dei cristiani in lite (6, 1-11) Un terzo disordine, nell’ambito della Chiesa di Corinto, era causato dal comportamento di alcuni cristiani che si rivolgevano ai tribunali pagani per dirimere le contese sorte tra loro, invece di risolverle in

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spirito di fraternità. Fortemente sorpreso dell’alto grado di litigiosità presente nella comunità, che doveva invece essere sorretta ed animata da sincera carità evangelica, Paolo rimprovera i Corinzi, evidenziando il paradosso che persone “santificate“ e “giustificate “ da Cristo decidano di “ricorrere al giudizio degli ingiusti”. A sostegno di questo rimprovero porta due argomenti paralleli,ben noti alla comunità: “O non sapete che i santi giudicheranno il mondo?” e “non sapete che giudicheremo gli angeli?”. E, facendo leva su questi due presupposti, rivendica per i cristiani il diritto di trattare le questioni della vita presente o di minima importanza al proprio interno, senza il ricorso ai tribunali pagani, ma con la mediazione o l’arbitrato di una persona saggia. Possibile -si chiede Paolo in maniera provocatoria – che non si trovi un saggio capace di comporre i dissensi interni alla comunità? Eppure i corinzi – aggiunge ironicamente – pretendono di essere sapienti. Ma c’è una possibilità di risolvere il problema in modo ancor più radicale, evitando pure l’intervento di persone sagge: non provocare liti, perché “ è già per voi una sconfitta avere cause gli uni contro gli altri! (6,7). Un vero e proprio “smacco” della vita comunitaria. Tra i credenti non dovrebbero esserci contrasti tali da richiedere il ricorso ai tribunali ecclesiastici o civili. Paolo, quindi, propone come modello il paradosso evangelico di subire l’ingiustizia: “Perché non sopportare piuttosto ingiustizie? Perché non lasciarvi piuttosto derubare? Non intende, certo, negare né minimizzare l’aspetto etico della giustizia e del furto. E neppure escludere il diritto di ricorrere alle vie legali. Indica soltanto un’altra prospettiva: quella della croce e dell’amore,che vince il male con il bene. Così facendo, i corinzi metterebbero davvero in pratica l’insegnamento di Gesù: “Ma io vi dico di non resistere al malvagio, a chi ti vuol prendere la tunica, lascia anche il mantello” (Mt 5,38-48). Purtroppo, i corinzi non solo non rinunciavano a rivendicare i propri diritti davanti ai tribunali pagani, ma loro stessi commettevano ingiustizie nei confronti di altri membri della comunità: “Proprio voi commettete ingiustizie e derubate. E questo a dei fratelli!” Per convincerli ad abbandonare un comportamento così scandaloso, l’Apostolo sente preponderante il dovere di ammonirli: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non lasciatevi illudere! Né immorali,né idolatri,né adulteri,né effeminati,né sodomiti,né ladri,né avari,né ubriaconi,né diffamatori, né predoni

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erediteranno il regno di Dio” (6,9-10). E rammenta ai corinzi: “Tali erano alcuni di voi!”. Con questo non intendeva umiliare i corinzi,rinfacciando loro di essere rimasti peccatori come un tempo, desiderava soltanto far capire e apprezzare l’immenso dono che avevano ricevuto col Battesimo: “Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio” (6,11). C – Immoralità e permissivismo sessuale Glorificate Dio nel vostro corpo (6,12-20) Dovevano essere una piaga endemica a Corinto i disordini sessuali, se Paolo è costretto ancora ad intervenire sui temi scottanti della sessualità e immoralità. Da quel che è dato capire dalla Lettera, un gruppo di cristiani sosteneva che qualsiasi comportamento sessuale riguardava semplicemente il corpo, senza avere incidenza alcuna sulla vita di fede. Lo si evince dalle “parole d’ordine” orgogliosamente sbandierate dai corinzi: “Tutto mi è lecito” e “I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi”. Con tali slogan, che facevano pretestuosamente riferimento all’insegnamento paolino sulla purità di qualsiasi alimento, questi cristiani rivendicavano un esercizio dell’apparato sessuale meramente fisiologico e, perciò, del tutto autonomo rispetto ad ogni norma morale. In altri termini, appellandosi a questo principio: “come i cibi sono per il ventre ed il ventre è per i cibi così il corpo è per la sessualità, propugnavano spavaldamente questa teoria: il ventre è fatto per sfamarsi con gli alimenti, gli organi sessuali per soddisfare le pulsioni erotiche. Di fronte a questi ragionamenti pretestuosi, Paolo ribatte che la sessualità umana non è riducibile a semplice istintività o fisicità. Al contrario, essa è una dimensione fondamentale della relazionalità corporea, che rientra a pieno titolo nel rapporto con il Signore. Se, infatti, la corporeità permette alla persona di entrare in relazione con gli altri, nel caso dei cristiani diventa il modo per mantenersi, primariamente, in rapporto con il Signore: “il corpo non è per l’immoralità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo” (6,13). Paolo, poi,sviluppa questa sua tesi, offrendo in modo chiaro e articolato tre chiavi di lettura.

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Una lettura escatologica. È la prima data dall’Apostolo: “Dio che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi per mezzo della sua potenza” (6,14). Proprio perché i credenti in Cristo saranno risuscitati come Lui, vale a dire con la loro stessa corporeità, e non solo con la loro anima, essi non devono svilirla in comportamenti viziosi e peccaminosi. Al contrario, devono impegnarsi a costruire, per mezzo di essa, relazioni belle, buone, pure, che perdureranno, positivamente trasfigurate, anche nel regno celeste. Una lettura sacramentale che ha come punto di riferimento il Battesimo: “Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Avendo dunque preso le membra di Cristo, le renderò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete che chi si unisce ad una prostituta è un solo corpo con lei?... Chi invece si unisce al Signore è un solo spirito con lui ” (6,15-17). I cristiani, in virtù del Battesimo, sono diventati, con i loro stessi corpi, “membra di Cristo”. L’Apostolo fonda la trattazione morale della persona sull’idea (particolarmente a lui cara) della Chiesa come “corpo di Cristo”. Alla luce di questa consapevolezza ecclesiale, chiede decisamente ai battezzati di evitare rapporti sessuali con prostitute. Ogni unione sessuale illecita sarebbe come smembrare il corpo di Cristo, di cui i cristiani sono membra. Una lettura esistenziale: “Fuggite l’immoralità. Ogni peccato che l’uomo compie è fuori del corpo; ma l’immorale pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio, e che non siete di voi stessi? Infatti, siete stati comprati a caro prezzo! Glorificate quindi Dio nel vostro corpo!” (6,18-20). Contestate le argomentazioni sul lassismo sessuale,sbandierate con tanto orgoglio dai corinzi, Paolo rivolge loro un’ultima, appassionata raccomandazione: “fuggite l’immoralità” e “glorificate Dio nel vostro corpo”. L’immorale, infatti, più che offendere gli altri, come generalmente avviene in tutti i peccati, offende soprattutto se stesso, “pecca contro il proprio corpo”, “tempio dello Spirito Santo”.

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C ONCLUSIONE

C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro … C. Padre di infinita bontà e tenerezza, che mai ti stanchi di

sostenere i tuoi figli e di nutrirli con la tua mano, donaci di attingere dal Cuore di Cristo, trafitto sulla croce, la sublime conoscenza del tuo amore, perché rinnovati con la forza dello Spirito portiamo a tutti gli uomini le ricchezze della redenzione. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...

R. Amen. C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Lectio Biblica

Matrimonio e verginità: ciascuno riceve il suo dono particolare

SALUTO

C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen. C. Il Signore sia con voi. R. E con il tuo Spirito. Breve monizione introduttiva INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (1Cor 7, 1-40

vedi suggerimenti a pg.5 La vita matrimoniale Cap. 7 1 Riguardo a ciò che mi avete scritto, è cosa buona per l'uomo non toccare donna, 2ma, a motivo dei casi di immoralità, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. 3Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto; ugualmente anche la moglie al marito. 4La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie. 5Non rifiutatevi l'un l'altro, se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla Poi tornate insieme, perché Satana non vi tenti mediante la vostra

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Matrimonio e verginità: ciascuno riceve il suo dono particolare

(7,1-40)

del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

40)

vedi suggerimenti a pg.5

Riguardo a ciò che mi avete scritto, è cosa buona per l'uomo ma, a motivo dei casi di immoralità, ciascuno

Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto; ugualmente anche la

La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del

Non rifiutatevi l'un l'altro, se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera. Poi tornate insieme, perché Satana non vi tenti mediante la vostra

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incontinenza. 6Questo lo dico per condiscendenza, non per comando. 7Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro. 8Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; 9ma se non sanno dominarsi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare. Divorzio e matrimoni misti 10Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - 11e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie. 12Agli altri dico io, non il Signore: se un fratello ha la moglie non credente e questa acconsente a rimanere con lui, non la ripudi; 13e una donna che abbia il marito non credente, se questi acconsente a rimanere con lei, non lo ripudi. 14Il marito non credente, infatti, viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, ora invece sono santi. 15Ma se il non credente vuole separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a schiavitù: Dio vi ha chiamati a stare in pace! 16E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie? Rimanere nella propria condizione 17Fuori di questi casi, ciascuno - come il Signore gli ha assegnato - continui a vivere come era quando Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le Chiese. 18Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda! È stato chiamato quando non era circonciso? Non si faccia circoncidere! 19La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l'osservanza dei comandamenti di Dio. 20Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. 21Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione! 22Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un uomo libero, a servizio del Signore! Allo stesso modo chi è stato chiamato da libero è schiavo di Cristo. 23Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! 24Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato.

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Il tempo si è fatto breve 25Riguardo alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. 26Penso dunque che sia bene per l'uomo, a causa delle presenti difficoltà, rimanere così com'è. 27Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei libero da donna? Non andare a cercarla. 28Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella loro vita, e io vorrei risparmiarvele. 29Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; 30quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; 31quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo! 32Io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; 33chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, 34e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. 35Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni. Richiami ai genitori 36Se però qualcuno ritiene di non comportarsi in modo conveniente verso la sua vergine, qualora essa abbia passato il fiore dell'età - e conviene che accada così - faccia ciò che vuole: non pecca; si sposino pure! 37Chi invece è fermamente deciso in cuor suo - pur non avendo nessuna necessità, ma essendo arbitro della propria volontà - chi, dunque, ha deliberato in cuor suo di conservare la sua vergine, fa bene. 38In conclusione, colui che dà in sposa la sua vergine fa bene, e chi non la dà in sposa fa meglio. Consigli alle vedove 39La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel

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Signore. 40Ma se rimane così com'è, a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch'io lo Spirito di Dio.

Note per la comprensione del testo Nel rispondere ad una serie di quesiti inviati per scritto dai Corinzi, Paolo detta norme e indicazioni in merito al matrimonio e alla verginità. Tutto il capitolo rivela lo sforzo di tenere insieme due ideali di vita sanciti dalla Rivelazione divina, il matrimonio monogamico e la consacrazione verginale. Alcuni esegeti ritengono che nelle sue risposte l’Apostolo “paghi un duplice tributo”. Prima di tutto all’ambiente ecclesiale del suo tempo che considerava imminente, o quasi, la “parusia” del Signore (“il tempo si è fatto breve”): il modo con cui Paolo accentua la superiorità del celibato rispetto al matrimonio sarebbe dovuto, almeno in parte, a tale mentalità. Poi all’ambiente religioso più generale, a sfondo dualista, che tendeva a sottovalutare il matrimonio in quanto realtà appartenente alla sfera terrestre. Paolo, comunque, non è rimasto “prigioniero degli ambienti sopra ricordati”. Ha esposto sul matrimonio e sulla verginità idee di inestimabile valore, che esamineremo, seguendo questa triplice ripartizione del capitolo: Prima parte: vita matrimoniale e celibato (7,1-16) Seconda parte: ciascuno rimanga nella situazione in cui era quando fu chiamato alla fede (7,17-24) Terza parte: giovani, fidanzati e vedove. Uniti al Signore senza distrazioni (7,25-40) A - Vita matrimoniale e celibato (7, 1-16) Rapporti sessuali all’interno del matrimonio (7,1-7). “È bene per l’uomo non toccare donna”, ma a motivo dei casi di immoralità ciascuno abbia la propria moglie e ciascuna il proprio marito … Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana

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non vi tenti nei momenti di passione … ciascuno ha da Dio il proprio dono, chi in una maniera, chi in un’altra”. Nell’esortare i cristiani a sposarsi per evitare l’immoralità sessuale, Paolo dà, a prima vista, l’impressione di avere una concezione assai riduttiva del matrimonio, quasi che esso fosse un semplice rimedio all’incontinenza sessuale. In realtà egli prendeva una posizione netta contro il gruppo di asceti di Corinto che rifiutavano la sessualità e invitavano, di conseguenza, le coppie cristiane a non fare uso del matrimonio. Afferma, perciò, senza mezzi termini, che il matrimonio comporta una totale e reciproca donazione in senso monogamico e che può essere cosa buona l’astensione concordata dai rapporti coniugali per dedicarsi maggiormente al Signore, ma solo temporaneamente. Sostiene,poi, soprattutto che nello stato matrimoniale, come in quello verginale, Dio concede ai credenti un particolare dono spirituale. Mentre gli asceti di Corinto esaltavano il celibato annullando il matrimonio, Paolo esalta la sua scelta del celibato senza vanificare, né sminuire, il grande valore religioso del matrimonio, definito, implicitamente, come la stessa scelta verginale, “dono di Dio” Tre categorie di persone davanti al matrimonio (7,8-16). vv.8-9: Ai cristiani di entrambi i sessi che non si sono uniti in matrimonio e specialmente alle vedove, che costituivano un gruppo ecclesiale particolare (cfr. At 6,1), Paolo dà un’indicazione minimale: sposarsi piuttosto che ardere. Sarebbe scelta migliore, secondo l’Apostolo, che costoro si lasciassero così coinvolgere dalla venuta dl Regno di Dio da non sposarsi. Paolo, del reso, viveva proprio in questo modo. Ciò nonostante, l’apostolo ricorda loro che, qualora si rendessero conto di non essere capaci di astenersi dai rapporti sessuali, sarebbe più conveniente sposarsi, naturalmente “nel Signore”, amandosi “come Cristo amò la sua Chiesa e consegnò se stesso per lei”. Altrimenti il matrimonio si ridurrebbe ad una ambigua scelta prudenziale. vv.10.11: “Agli sposati prescrivo, non io ma il Signore:la moglie non si separi dal marito; - qualora però si sia separata, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi a moglie”. A questo riguardo, Paolo si riallaccia direttamente all’autorevole parola del Signore, che prese le distanze dalla legge mosaica sul divorzio, appellandosi alla stessa volontà originaria del Creatore e ribadendo

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che l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto (Mc 10, 5-9). L’innovazione riformatrice introdotta dal Vangelo, circa l’indissolubilità del matrimonio, era davvero grande. Non sorprende che Paolo vi abbia particolarmente insistito, se si tiene presente come era di fatto composta la comunità cristiana di Corinto. I giudei avevano la facoltà legale di ripudiare la moglie; i pagani erano liberi di divorziare per iniziativa sia dell’uno che dell’altro coniuge; l’unione degli schiavi non era garantita da alcuna legge. Tra i neo-convertiti sorgevano certamente delle difficoltà nel prendere atto delle caratteristiche innovatrici del messaggio evangelico sul matrimonio monogamico e indissolubile. vv. 12-16: “Agli altri poi dico,io non il Signore: se un fratello ha una moglie non credente ed essa acconsente ad abitare con lui, non la ripudi; e se una donna ha un marito non credente ed egli acconsente ad abitare con lei, non lo ripudi. Infatti il marito non credente viene santificato dalla moglie … Altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre ora sono santi …”. A Corinto, ma anche in altre comunità cristiane, capitava che uno dei due coniugi pagani, validamente sposati, si convertisse alla fede cristiana. L’altro,invece, rimanesse pagano. Fin dalle origini il cristianesimo non ha vietato il cosiddetto “matrimonio misto”, come invece faceva il giudaismo. Per Paolo il coniuge cristiano, formando un solo corpo con il coniuge non cristiano, poteva favorire che anche questi venisse attratto dal Signore risorto. Poteva così accompagnarlo nella via della santità. A conferma di questo, l’Apostolo faceva una considerazione sui figli nati in una famiglia in cui solo uno dei coniugi era credente: questi figli si trovavano in una situazione privilegiata per conoscere il Vangelo e santificarsi. Pertanto, in presenza di un clima familiare di reciproco amore e rispetto degli sposi per le rispettive convinzioni religiose, il coniuge cristiano non doveva separarsi da quello pagano. Missionario concreto com’era, Paolo affronta pure il caso contrario di conflitti innescati nelle coppie miste a causa della fede cristiana. Che fare, se il coniuge pagano abbandonava quello cristiano, magari con i figli a carico, o se addirittura il marito pagano impediva alla moglie cristiana, e forse agli stessi figli,di vivere la propria fede? L’unione matrimoniale da mezzo di santificazione e di edificazione si trasformava in strumento di angustia, di sofferenza,in fonte di seri pericoli per la fede e per l’esito stesso della salvezza. In questi casi,

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l’Apostolo concede al coniuge cristiano la possibilità di liberarsi dal vincolo matrimoniale e, come probabilmente sottende il testo, anche la possibilità di sposarsi di nuovo; ma, questa volta, “nel Signore”, cioè con un credente. Questa soluzione va sotto il nome di “privilegio paolino”, perché basata sull’autorità propria dell’Apostolo (cfr. Codice di Diritto Canonico, canoni 1055 – 1165). B - Ciascuno rimanga nella situazione in cui era quando fu chiamato alla fede - Nessuno stato di vita è incompatibile con il cristianesimo (7,17-24) “Ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, così come Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le chiese …”. I versetti 17-24 rappresentano il cuore di questo capitolo, dove Paolo esplicita e illustra i principi generali ai quali si ispira la normativa che sta presentando nelle comunità cristiane. Egli parte dal principio centrale della sua visione teologica: in Cristo sono abolite le tre opposizioni fondamentali nelle quali cui è divisa l’umanità: maschi e femmine; schiavi e liberi; ebrei e pagani. Sulla base di questo convincimento, indica questa norma: ciascuno rimanga nella condizione sessuale, etnica e sociale in cui era quando fu chiamato da Dio alla fede cristiana. Relatività della diversità etnica: circoncisi o non circoncisi (7,18-19). Alla luce della suddetta regola è relativo che, al momento della conversione alla fede in Cristo, uno appartenga al popolo ebreo oppure ad un popolo pagano. Diventare cristiano non tocca questo livello etnico. Per appartenere alla Chiesa è sufficiente credere al Vangelo, ricevere il Battesimo e cominciare a vivere all’insegna dell’ amore, a imitazione del Signore Gesù. È la carità il vertice e il compimento di tutti i comandamenti di Dio. Da questa prospettiva, pertanto, essere circoncisi o meno non conta nulla. Relatività della diversità sociale: schiavi o liberi (7,20 – 24). Pastore attento alle conseguenze concrete delle sue norme pastorali, Paolo relativizza, dal punto di vista della conversione cristiana,la

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stessa differenza tra la situazione di uno schiavo e quella di una persona libera. La finalità dell’Apostolo non è quella di “ingessare” la società civile, disponendo che ciascuno rimanga fermo nel suo “status”; ma di mostrare che esso è relativo rispetto all’ unico assoluto per un cristiano, l’“essere di Cristo”. “Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione! Perché lo schiavo che è stato chiamato dal Signore, è un liberto affrancato dal Signore! Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! (vv.21-24). La schiavitù nel mondo antico, pacificamente ammessa, non suscitava riprovazioni, nemmeno nelle coscienze più sensibili. Soltanto le persone più attente prendevano magari posizione sulle ingiustizie e sui maltrattamenti inflitti dai padroni. Al di là della prima impressione,l’Apostolo non predica agli schiavi cristiani la rassegnazione né, tanto meno, si schiera a favore della schiavitù. Spalanca anzi le porte della Chiesa anche alla massa enorme di schiavi presenti non solo a Corinto, ma in tutto il vasto impero romano. Suggerisce loro – e agli stessi padroni cristiani – il modo di comportarsi “evangelicamente” nelle situazioni in cui la società li ha posti. In altri termini, Paolo non invita gli schiavi a mutare esteriormente e giuridicamente la loro condizione, li invita però a mutarla “interiormente”. Le “novità” che propone – e che schiavi e padroni devono fare proprie – non sono immediatamente tali (è doveroso chiarirlo) da intaccare la struttura nel suo aspetto giuridico; sono tali tuttavia da rinnovarla e trasformarla all’interno delle coscienze, immettendovi germi destinati, in circostanze adatte, a farle esplodere. Questi, i germi sparsi dall’Apostolo nel tessuto sociale: “ Lo schiavo è un fratello”, “il padrone è tale secondo la carne”, “Ciò che conta è essere libero in Cristo”, “Ognuno deve essere al servizio di Cristo”, “L’unico Signore è Cristo”. Se, dunque, ad un certo livello tutto sembra rimanere come prima (lo schiavo non è invitato ad uscire dalla sua situazione), a un altro livello tutto è cambiato: la schiavo non è più schiavo, il padrone non è più padrone. Il vincolo che il battezzato, sia schiavo che libero, ha contratto col Signore, trascende le categorie umane di schiavitù e di libertà, perché ha creato una condizione nuova, interiore ma reale, di servizio e di libertà in Cristo.

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C - Giovani, fidanzati e vedove. Uniti al Signore senza distrazioni (7, 25 – 40) Elogio della verginità (vv. 25-28). Premesso che non dà “comandi” da parte del Signore, ma solo dei “pareri”, Paolo, da uomo degno di fiducia, “perché ha ricevuto la misericordia di Dio”, consiglia a ragazze e giovani, a causa della necessità presente, di rimanere nel proprio stato attuale, vale a dire, non sposarsi. Assai difficile è precisare il significato del motivo addotto: “a causa della presente necessità”. Alcuni vi hanno intravisto un riferimento allo stato di angustia e di persecuzione della Chiesa. Altri, traducendo la frase “a causa della necessità imminente”, un’allusione alla “parusia”, all’attesa cioè della prossima fine del mondo e delle “tribolazioni” che dovranno precederla secondo la tradizione apocalittica (cfr. Mt 24,19). Altri, senza eliminare la prospettiva escatologica, vedono nella “necessità presente” il limite che la vita coniugale impone all’ideale della dedizione al Signore. “Presente necessità” equivarrebbe ad “insita necessità”, indicando “le tribolazioni nella carne”, le preoccupazioni, gli affanni, le difficoltà sul piano morale e spirituale,”insite” nello stato matrimoniale. Tuttavia, poiché lo stato di verginità è un consiglio, non fa peccato chi non lo segue: “Se ti sposi non fai male; né fa male la vergine che si sposa. Ma costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele” (28). Tensione escatologica (vv.29-31). Con un’appassionata formula dialogica: “Questo vi dico, fratelli … “Paolo introduce una digressione per motivare i consigli dati ai giovani fidanzati di Corinto e le disposizioni precedenti agli sposi. Le cinque situazioni, richiamate in forma di esempio: “ d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno” sono incorniciate in un contesto escatologico: “Il tempo si è fatto breve” e “passa la scena di questo mondo”. Senza dubbio Paolo vede il mondo e tutte le situazioni sotto il segno della tensione escatologica: “Come se non”. Tuttavia non predica la fuga da queste situazioni,ma solo una diversa valutazione, una

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diversa coscienza nel viverle. Intende sottolineare che tutte le realtà terrene, nella prospettiva escatologica, diventano minuscole e secondarie. Occorre piuttosto concentrarsi sull’essenziale: mettere la propria vita al servizio del Regno di Dio, annunciare il Vangelo di Cristo, prima del suo imminente avvento glorioso. Uniti al Signore senza distrazioni (vv. 32-35). L’Apostolo, a questo punto, propone il suo ideale ai giovani fidanzati, evidenziandone le motivazioni di carattere pratico: “ Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo poi lo dico per il vostro bene … per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni”. A dispetto delle apparenze, non contrappone una vita beata e tranquilla (quella dei celibi) a una vita travagliata e tribolata (quella degli sposati). Parlando, del resto, della sua vita di apostolo senza famiglia, ha più volte elencato i travagli e le tribolazioni,affrontate per l’evangelizzazione (cfr. 2 Cor 11,22). Chi ha famiglia, invece, incontra tribolazioni che non riguardano in primo luogo il Regno di Dio. Affronta preoccupazioni per cose necessarie, senza alcun dubbio, ma pur sempre secondarie: tribolazioni che in un certo senso distraggono dall’unica cosa che conta. E “si trova diviso”. Nella visione di Paolo le giuste esigenze della vita matrimoniale e familiare non solo introducono una divisione nella tensione missionaria, nel progetto a cui tendere con impegno totale, ma anche nell’appartenenza al Signore, nella sua ricerca. Questo suggeriscono le frasi “come possa piacere al Signore” e “ uniti al Signore senza distrazioni”. “Piacere” comprende affettività, dedizione del cuore, appartenenza e comunione. La verginità non è solo una dedizione totale, senza distrazioni alla missione, ma prima ancora una tensione totale, senza divagazioni, alla comunione col Signore. Lo Spirito Santo, comunque, nel donare carismi diversi ai celibi e agli sposati, misteriosamente chiama e abilita tutti alla sequela di Cristo nei rispettivi stati di vita.

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Vergini e vedove (vv. 36-40). L’Apostolo torna nuovamente sul tema dello stato di vita dei fidanzati. Si sofferma su due casi concreti: il primo, relativo ad alcune “vergini” che si trovano in particolari condizioni (vv. 36-38); il secondo, relativo alle “vedove” (vv.39-40). Le circostanze storiche, presupposte dal primo caso, sono piuttosto oscure per noi. Danno adito almeno a tre interpretazioni. Stando ad alcuni esegeti, saremmo di fronte al proposito preso da un giovane e da una ragazza di vivere insieme da celibi, senza sposarsi. L’indicazione, data loro dall’Apostolo, sarebbe,invece, quella di sposarsi, sempre che lo vogliano, ma di continuare a mantenere il loro proposito all’interno della vita coniugale. Per altri, Paolo darebbe al padre, o al tutore, di una giovane “oltre il fiore dell’età”, la facoltà di decidere se continuare a mantenerla così oppure se avviarla alle nozze. Ipotesi,questa, sostenuta soprattutto nel passato, accantonata oggi dalla maggioranza degli studiosi. Appare pertanto più probabile l’interpretazione di numerosi biblisti odierni, secondo i quali l’Apostolo fa riferimento al caso di fidanzati che, influenzati dalle idee rigoriste di alcuni asceti di Corinto, avrebbero deciso di porre fine al loro fidanzamento e al proposito di sposare. Paolo lascerebbe libero il giovane di sposare la propria fidanzata, perché il matrimonio non è peccaminoso. Tuttavia, se quel giovane intendesse vivere da celibe, e per l’Apostolo sarebbe la scelta migliore, non sarebbe obbligato a sposare. “Chi sposa la propria ragazza fa bene e chi non la sposa fa meglio”. Anche per quanto concerne le “vedove”, l’Apostolo non intende vincolare la loro libertà di passare a nuove nozze dopo la morte del marito. Lo facciano però “nel Signore”. Questa clausola,interpretata normalmente nel senso che la donna si sposi con un cristiano, può considerarsi pure come un invito alla donna a verificare se la sua nuova scelta di sposarsi risponde alla sua vocazione “in Cristo”. Asserendo, infine, di aver ricevuto in dono lo Spirito di Dio, da cui dipende la sua autorevolezza, Paolo ribadisce che se una vedova “rimane così com’è”, a suo parere, è meglio, perché più libera di accogliere e seguire il carisma della verginità consacrata al Signore.

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C ONCLUSIONE

C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro … C. Ascolta, o Signore, la nostra preghiera e sostieni con il tuo amore il vincolo del Matrimonio che tu stesso hai istituito per la crescita del genere umano, perché l'unione che da te ha origine, da te sia custodita. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. Amen. C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Lectio Biblica

La carità, criterio della libertà cristiana I diritti di un apostolo: l’esempio di Paolo

(Cap

SALUTO

C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen. C. La grazia e la di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo, sia con tutti voi.R. E con il tuo Spirito. Breve monizione introduttiva INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (1Cor Capp. 8 e 9

vedi suggerimenti a pg.5 Le carni sacrificate agli idoli Cap. 8 1 Riguardo alle carni sacrificate agli idoli, so che tutti ne abbiamo conoscenza. Ma la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l'amore edifica. 2Se qualcuno crede di conoscere qualcosa, non ha ancora imparato come bisogna conoscere. 3Chi invece ama Dio, è dlui conosciuto. 4Riguardo dunque al mangiare le carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che non esiste al mondo alcun idolo e che non c'è alcun dio, se non uno solo. 5In realtà, anche se vi sono

5

La carità, criterio della libertà cristiana I diritti di un apostolo: l’esempio di Paolo

pitoli 8 e 9)

del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

e del Signore nostro Gesù Cristo, sia con tutti voi.

Capp. 8 e 9)

vedi suggerimenti a pg.5

Riguardo alle carni sacrificate agli idoli, so che tutti ne abbiamo conoscenza. Ma la conoscenza riempie di orgoglio, mentre

Se qualcuno crede di conoscere qualcosa, non ha Chi invece ama Dio, è da

Riguardo dunque al mangiare le carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che non esiste al mondo alcun idolo e che

In realtà, anche se vi sono

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cosiddetti dèi sia nel cielo che sulla terra - e difatti ci sono molti dèi e molti signori -, 6per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui. 7Ma non tutti hanno la conoscenza; alcuni, fino ad ora abituati agli idoli, mangiano le carni come se fossero sacrificate agli idoli, e così la loro coscienza, debole com'è, resta contaminata. 8Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio: se non ne mangiamo, non veniamo a mancare di qualcosa; se ne mangiamo, non ne abbiamo un vantaggio. 9Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. 10Se uno infatti vede te, che hai la conoscenza, stare a tavola in un tempio di idoli, la coscienza di quest'uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni sacrificate agli idoli? 11Ed ecco, per la tua conoscenza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! 12Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. 13Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello. Paolo apostolo: suoi diritti e doveri Cap. 9 1 Non sono forse libero, io? Non sono forse un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel Signore? 2Anche se non sono apostolo per altri, almeno per voi lo sono; voi siete nel Signore il sigillo del mio apostolato. 3La mia difesa contro quelli che mi accusano è questa: 4non abbiamo forse il diritto di mangiare e di bere? 5Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? 6Oppure soltanto io e Bàrnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? 7E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? Chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? 8Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così. 9Nella legge di Mosè infatti sta scritto: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si prende cura dei buoi? 10Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara, deve arare sperando, e colui che trebbia, trebbiare nella speranza di avere la sua parte. 11Se noi abbiamo

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seminato in voi beni spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali? 12Se altri hanno tale diritto su di voi, noi non l'abbiamo di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non mettere ostacoli al vangelo di Cristo. 13Non sapete che quelli che celebrano il culto, dal culto traggono il vitto, e quelli che servono all'altare, dall'altare ricevono la loro parte? 14Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo. 15Io invece non mi sono avvalso di alcuno di questi diritti, né ve ne scrivo perché si faccia in tal modo con me; preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà questo vanto! 16Infatti annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! 17Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. 18Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. 19Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: 20mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge - pur non essendo io sotto la Legge - mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. 21Per coloro che non hanno Legge - pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo - mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. 22Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. 23Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch'io. Come nelle gare sportive 24Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! 25Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. 26Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l'aria; 27anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato.

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Note per la comprensione del testo A - La conoscenza gonfia, la carità costruisce. Libertà nel mangiare e carità nel non scandalizzare (8,1-13) Con questo capitolo inizia la trattazione di un nuovo argomento,un problema pratico, a prima vista di scarsa importanza,certamente datato, che tuttavia sotto la penna dell’Apostolo diventa una questione universale di comportamento cristiano. A Corinto, come dappertutto allora,succedeva che le carni sacrificate agli idoli venivano messe in vendita nel pubblico macello o diventavano materia di banchetti sacri nei locali del tempio stesso. Per i cristiani sorgeva continuamente l’alternativa se accettare o meno gli inviti di concittadini o di parenti pagani a partecipare ai questi conviti. Di qui il caso di coscienza: per alcuni, forse la maggioranza, non c’era problema, sia perché gli idoli non esistono (v. 4) sia perché il rapporto con Dio non corre sul filo degli alimenti (v.8). Per altri, invece, immaturi e deboli nella fede, prigionieri ancora delle loro superstizioni, il mangiare le carni immolate agli idoli, era motivo di grave scandalo. Come comportarsi? L’intervento di Paolo è bilanciato da due preoccupazioni: dare ragione ai primi e difendere i secondi. La sua argomentazione pertanto è duplice: in linea di principio l’Apostolo si schiera a favore di coloro che si sono liberati da questo pseudo-problema. L’argomento centrale è costituito dalla combinazione della professione di fede giudaica nel più puro monoteismo con la professione di fede cristiana nell’unicità del “Signore Gesù Cristo,in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo in Lui”(v.6). Gli idoli sono infranti. C’è un solo “Signore” e nessun cibo può ostacolare il rapporto con Lui. In secondo luogo, l’Apostolo vuole difendere i deboli e fa pesare in tal senso il precetto cristiano fondamentale dell’amore. Cosa vale infatti saper risolvere teoricamente per sé il problema, se poi nella vita pratica si dà scandalo al fratello. Per Paolo la conoscenza non è l’unico riferimento della coscienza cristiana. Questa deve misurarsi con la carità, perché “la conoscenza gonfia, la carità costruisce” (v.1). “La verità in sé e per sé non è ancora il valore supremo: ciò che conta è che l’uomo si apra alla verità. L’amore non si accontenta di

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portare avanti le idee: vuole raggiungere gli uomini. Se si guarda con più attenzione, si comprende, che il conflitto (così come Paolo lo configura) non è tra verità e carità, ma tra la propria libertà e l’edificazione comune: “Badate che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli” (v.9). La conoscenza assicura che non c’è nulla di male nel mangiare la carne sacrificata agli idoli. Rientra nei diritti della libertà cristiana. Ma bisogna rinunciarvi per evitare la perdita dei fratelli più deboli. Per questo la norma è accompagnata da una giustificazione di ordine cristologico: i “deboli” sono fratelli, “per i quali Cristo è morto. Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccato contro Cristo” (vv.11.12). Paolo perciò conclude offrendo se stesso come modello ed esempio di condotta, ispirata da un’amorevole attenzione ai fratelli “deboli” nella fede: “Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello” (v.13). B - Esemplare rinuncia di Paolo ai suoi diritti di apostolo (9,1-18) Il capitolo è tra più vivaci dell’intero epistolario paolino, sia per il suo contenuto di carattere autobiografico e polemico che per la forma letteraria impiegata: l’apostrofe è martellante. Ben quindici incalzanti interrogativi nello spazio di appena tredici versetti. Prima di proporre se stesso come esempio di carità apostolica, pronto a rinunciare ai propri diritti per “farsi tutto a tutti”,Paolo difende l’autenticità della propria dignità di apostolo. Con queste domande iniziali: “Non sono forse libero, io? Non sono un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel Signore? esige dai corinzi una risposta positiva a riguardo della sua libertà, della sua identità di apostolo, del suo incontro col Signore risorto e sul frutto della sua attività missionaria nella chiesa di Corinto. Non tollera, infatti, che i “giudaizzanti” gettino ombre sulla sua persona, che contestino la sua azione missionaria. Passa perciò all’attacco con argomenti decisivi: il primo,fondamentale, sta nel fatto che ha visto il Signore risorto, dal quale ha attinto e continua ad attingere direttamente la grazia e la forza per la missione; il secondo consiste in una prova vivente, l’esistenza stessa della comunità cristiana di

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Corinto, “la sua opera nel Signore”. Prosegue inoltre con un rapido confronto con gli altri apostoli per far emergere le prerogative che di per sé spetterebbero anche a lui: “Non abbiamo forse il diritto di mangiare e bere?” Nel cristianesimo delle origini era consuetudine che le comunità cristiane provvedessero a ospitare e a mantenere i missionari itineranti, com’era lo stesso Paolo. “Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente …”. Si è discusso a lungo sull’identità di “questa donna” senza raggiungere un accordo consensuale: una aiutante domestica, o forse meglio una sposa, o una delle collaboratrici degli evangelizzatori, senza legami coniugali con loro. “O solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare”. A questo punto le domande si fanno ancora più incalzanti: “ Chi fa il soldato a proprie spese?” Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? I tre esempi fanno leva sul principio ovvio e indiscutibile che chi fa un lavoro ha diritto ad avere la giusta retribuzione. Lo conferma la stessa Legge mosaica, di cui l’Apostolo interpreta allegoricamente una noma in riferimento al sostentamento dei missionari: “Non metterai la museruola al bue che trebbia”, così che possa nutrirsi mentre lavora. Come avviene per ogni genere di attività lavorativa, dal servizio militare alla coltivazione dei campi è giusto che anche chi si impegna nell’evangelizzazione abbia la sua remunerazione. Di fronte all’ipotetica obiezione che la missione apostolica, riguardando beni spirituali e non materiali, non deve fare affidamento sulla logica salariale, Paolo si appella alla giustizia retributiva: non perché l’annuncio del Vangelo abbia un prezzo, ma perché coloro che ricevono questo bene spirituale si sentano in dovere di esprimere la loro gratitudine agli evangelizzatori, offrendo loro delle risorse materiali. E riporta l’insegnamento inequivocabile di Gesù: quelli che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo (Lc 10,7). Ce n’è abbastanza per legittimare il diritto dell’Apostolo ad usufruire di aiuti economici, tanto più che nella stessa Corinto altri apostoli ne hanno usato. Tuttavia Paolo ribadisce che personalmente non ha mai inteso avvalersi di tale diritto e, anche per il futuro, sarà coerente con questa decisione: “Io non mi sono avvalso di alcuno di questi diritti. Né d’altro canto, ve ne scrivo,perché avvenga così nei miei riguardi. Infatti, per me sarebbe meglio morire anziché..!” Preso dall’emozione, neppure conclude la frase, lasciando trasparire che

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egli preferisce la morte all’eventualità di farsi mantenere dalla comunità per svolgere la sua missione di apostolo. “Nessuno mi toglierà questo vanto!” Ma subito chiarisce che “non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! (vv.15-16). Sentendosi incaricato da Dio della missione apostolica, desidera svolgerla in spirito di servizio, come un amministratore fedele agli ordini del Signore. Non vede pertanto alcun “merito” nel suo lavoro apostolico né un diritto alla “ricompensa”. Il “merito” lo conquista nell’ “offrire gratuitamente il Vangelo”. È, questo, senza alcun dubbio, un severo monito per tutti coloro che, investiti dal Signore di un compito nella Chiesa, pensano di accumulare meriti dal solo esercizio tranquillo e onorato del ministero. C - Libertà apostolica, alla quale Paolo rinuncia in nome della carità (9,19-23) L’Apostolo riprende il contenuto della domanda iniziale “ Non sono forse libero, io?”, mostrando come, in nome della carità evangelica, ha rinunciato alla sua libertà: “ Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero”. In altri termini, ha cercato di condurre più persone possibile a Cristo. La sua radicale libertà “da tutti” si è espressa e attuata nella forma di una schiavitù al servizio di tutti. Paolo, infatti, “si è fatto giudeo con i giudei”, sottomettendosi alla Legge “pur non essendo sotto la Legge”, per aiutare il popolo ebraico a riconoscere Gesù come il Messia tanto atteso. Con i pagani, che non osservano la Legge mosaica, nemmeno lui l’ha osservata, fermamente convinto che ormai conta soltanto la Legge di Cristo. “Con i deboli di coscienza” si è adattato al loro modo di agire e, pur di non dare loro scandalo, ha rinunciato per sempre a “mangiare carne sacrificata agli idoli”. In una parola, si è “fatto tutto a tutti per salvare in ogni modo qualcuno”, consapevole che soltanto per questa via poteva partecipare insieme a tutti gli altri ai beni eterni promessi dal Vangelo (v.23). Questa capacità dell’Apostolo di adattarsi alle varie situazioni religiose e socio-culturali dei destinatari non derivava da abile tatticismo o da opportunismo camaleontico, ma, dal servizio incondizionato al Vangelo, da proporre a tutti come unica garanzia

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di salvezza. Paolo non cambiava il vangelo per adattarlo alle esigenze degli ascoltatori, ma adattava se stesso e il proprio modo di vivere per non ostacolare l’annuncio e l’accoglienza del messaggio cristiano. D - Come devono comportarsi i cristiani (9, 24-27) La partecipazione ai beni promessi dal Vangelo non è cosa facile. Esige da parte dei cristiani un impegno serio e costante, che non rallenti nemmeno di fronte a inevitabili rinunce e sacrifici. L’Apostolo fa capire tutto questo mediante il ricorso ad immagini sportive, ben note agli abitanti di Corinto, che ogni due anni vedevano svolgersi sotto i loro occhi, in onore di Poseidone, i famosi giochi panellenici, denominati “istmici”. Con una domanda sullo stile della diatriba - “ Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono,ma uno solo conquista il premio? ”- si sofferma sull’immagine della corsa allo stadio. I corridori, prima di gareggiare, si sottopongono ad una rigorosa disciplina, senza badare a sacrifici, e “lo fanno per conquistare una corona corruttibile”. A maggior ragione,commenta l’Apostolo, proponendo se stesso come esempio da seguire nell’impegno missionario, i cristiani devono essere disciplinati in tutto per raggiungere una “corona incorruttibile”, la salvezza eterna. Non gli basta, però, applicare a sé l’immagine del corridore, ricorre anche a quella del pugile, sostenendo di avere un traguardo preciso da raggiungere ed un premio speciale da ricevere: la vita eterna. In vista di questa mèta, combatte come un pugile esperto, non battendo l’aria, ma colpendo l’avversario con pugni ben assestati. A scanso di equivoci, quasi ce l’avesse con avversari personali, precisa che ad essere colpito e ridotto in schiavitù è il suo corpo. Chiara allusione alle volontarie mortificazioni e macerazioni corporali, nonché ai patimenti e alle fatiche dell’apostolato che non gli consentivano troppi riguardi o delicatezze per il corpo. L’Apostolo l’aveva, infatti, ridotto al ruolo di povero “schiavo”, perché non succedesse che, dopo aver predicato agli altri, proprio lui venisse squalificato. Si sottoponeva,cioè, ad un rigoroso e duro regime di vita per non essere escluso dalla salvezza, oppure – detto in termini positivi – “per esserne partecipe”.

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C ONCLUSIONE

C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro … C. O Dio, che nell'amore verso di te e verso il prossimo hai posto il

fondamento di tutta la legge, fa' che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna.

Per il nostro Signore … R. Amen. C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Lectio Biblica

Avvertimento contro l’idolatria Fare tutto per la gloria di Dio

(10, 1-

SALUTO

C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen. C. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi. R. E con il tuo Spirito. Breve monizione introduttiva INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (1Cor 10, 1-33 - 11,1

vedi suggerimenti a pg.5 Considerando l’esempio di Israele Cap. 10 1Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, 2tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, 3tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una

6

Avvertimento contro l’idolatria Fare tutto per la gloria di Dio

-33 - 11,1)

del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi.

11,1)

vedi suggerimenti a pg.5

Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel

tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, 4tutti a bevanda spirituale: bevevano infatti da una

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roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. 5Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. 6Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. 7Non diventate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi. 8Non abbandoniamoci all'impurità, come si abbandonarono alcuni di loro e in un solo giorno ne caddero ventitremila. 9Non mettiamo alla prova il Signore, come lo misero alla prova alcuni di loro, e caddero vittime dei serpenti. 10Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. 11Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. 12Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. 13Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere. 14Perciò, miei cari, state lontani dall'idolatria. 15Parlo come a persone intelligenti. Giudicate voi stessi quello che dico: 16il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane. 18Guardate l'Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l'altare? 19Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? 20No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; 21non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni.

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22O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui? Tutto e solo a gloria di Dio 23"Tutto è lecito!". Sì, ma non tutto giova. "Tutto è lecito!". Sì, ma non tutto edifica. 24Nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri. 25Tutto ciò che è in vendita sul mercato mangiatelo pure, senza indagare per motivo di coscienza, 26perché del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene. 27Se un non credente vi invita e volete andare, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza. 28Ma se qualcuno vi dicesse: "È carne immolata in sacrificio", non mangiatela, per riguardo a colui che vi ha avvertito e per motivo di coscienza; 29della coscienza, dico, non tua, ma dell'altro. Per quale motivo, infatti, questa mia libertà dovrebbe essere sottoposta al giudizio della coscienza altrui? 30Se io partecipo alla mensa rendendo grazie, perché dovrei essere rimproverato per ciò di cui rendo grazie? 31Dunque, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. 32Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; 33così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Cap. 11 1Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.

Note per la comprensione del testo Il secondo modello, che viene presentato ai corinzi, è l’esperienza degli israeliti nel deserto, dopo la liberazione dalla schiavitù egiziana. Gli avvenimenti dell’esodo sono letti e interpretati alla luce della rivelazione definitiva di Cristo.

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A - Il pericolo di ricadere nell’idolatria (10, 1-14) Prima di dare alla Chiesa corinzia alcune direttive pastorali per risolvere il problema delle carni immolate agli idoli, l’Apostolo propone un “midrash”, ossia una ricerca, una esplorazione meditativa su alcuni episodi dell’antico popolo di Dio, con l’intento di collegare i due tempi della storia della salvezza, prima e dopo la venuta di Cristo, manifestandone l’evidente continuità, pur con tutte le novità portate dal Signore Gesù. vv. 1-5: “Non voglio, infatti, che voi ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto”. Rievocando i fatti dell’Esodo, Paolo evidenzia come il popolo ebraico ha ricevuto dal Signore numerosi benefici (la “nube” come guida e protezione nel passaggio del mare e nel cammino nel deserto, l’acqua scaturita dalla roccia, la manna …), che ha tuttavia sciupato, cadendo ripetutamente nel peccato di idolatria. Queste vicende di benevolenza divina e di infedeltà umana vengono ricordate dall’Apostolo per invitare i cristiani di Corinto a non cedere, come gli Israeliti, alle diverse tentazioni peccaminose. “Ora ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono”. A conferma dell’ esito disastroso della storia del popolo ebraico nel deserto, vengono riportati i principali peccati e le rispettive punizioni: gli Ebrei furono bramosi di cose cattive; si dettero all’idolatria, offrendo spensieratamente sacrifici al “vitello d’oro”; caddero nell’immoralità con le figlie dei Moabiti; “misero alla prova il Signore ”, lamentandosi con Lui, per cui subirono il castigo dei morsi dei serpenti; “mormorarono contro Dio” in varie occasioni, non riconoscendo l’opera benefica del Signore, “cadendo vittime dello sterminatore”. In forza dell’ammonimento derivante da questi episodi biblici, l’Apostolo raccomanda ai credenti di stare in guardia, di non sentirsi troppo sicuri e di avere fiducia nel Signore, che mai fa mancare la sua protezione a chi umilmente la richiede. “Tutti questi fatti accaddero a loro come esempio e sono stati scritti per ammonimento nostro,di noi per i quali è arrivata la fine dei

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tempi” (v.11). È vero che Cristo ha inaugurato il tempo della salvezza definitiva, ma è altrettanto vero che anche per i cristiani continuano le tentazioni; perciò “chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”.C’è tuttavia una certezza: Dio offre, a chi si affida a Lui, la grazia di affrontare e superare ogni difficile prova e tentazione. Infine, ai suoi “amati” corinzi Paolo raccomanda di fuggire sempre l’idolatria. B - Inconciliabilità del culto pagano con l’Eucarestia (10,15-22) Parlando ai corinzi, “come a persone intelligenti”, l’Apostolo spiega quanto sia inconciliabile la partecipazione all’Eucarestia con la frequentazione ai conviti idolatrici. “Giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione col sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?” (v.16). Mediante il calice della benedizione si stabilisce una relazione vitale con Cristo, crocifisso e risorto. Lo stesso discorso vale per la “comunione” con il corpo di Cristo, mediante il pane consacrato. “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (v.17). È perciò il “corpo eucaristico” che fonda e alimenta l’unità del “corpo ecclesiale” formato da tutti quelli che partecipano all’unico pane. È la comunione verticale con il corpo e sangue di Cristo la fonte e la ragione profonda della comunione orizzontale fra i partecipanti all’Eucarestia. È evidente l’incompatibilità della duplice comunione col Signore e con le potenze alle quali sono dedicati i sacrifici idolatrici. Partecipare al banchetto sacrificale degli idoli vorrebbe dire spezzare la comunione salvifica con Cristo. Per spiegarsi meglio l’Apostolo ricorre all’esempio dei banchetti sacrificali ebraici: “Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l’altare?” (v.18) Sia per Paolo che per i cristiani provenienti dal mondo ebraico era scontato che nei pasti sacri si rinvigorisse la comunione con Dio, rappresentato simbolicamente dall’altare. Era pure ammesso che i fedeli, che avevano offerto in sacrificio al Signore un animale, consumassero insieme il resto della carne. Perciò, come nei banchetti sacri del popolo di Israele s’instaura una comunione

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profonda degli offerenti tra loro e con Dio, altrettanto avviene tra i credenti e Cristo nella celebrazione memoriale dell’ Ultima Cena. v.19: “Che dico, dunque? Che la carne sacrificata agli idoli valga qualcosa? O che un idolo valga qualcosa? L’Apostolo immagina, a questo punto, che venga posta l’ obiezione: nell’affermare questa partecipazione idolatrica, non c’è il rischio di ammettere una vera esistenza dell’idolo, precedentemente negata? “Sappiamo che non c’è al mondo alcun idolo e che non c’è alcun dio, se non uno solo” (8,4). vv.20-22:“Dico piuttosto che le cose che essi sacrificano le sacrificano ai demoni e non a Dio. Ora non voglio che voi siate in comunione con i demoni! Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni. Non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni. O vogliamo ingelosire il Signore? Siamo forse più forti di lui? Paolo ribatte asserendo che gli idoli non esistono, “sono una nullità”; tuttavia l’intero sistema idolatrico è ispirato e favorito dal Maligno, che vuole tenere gli uomini nell’errore e nell’inganno. I sacrifici pagani sono veri atti di culto resi al “demonio”. Di conseguenza, i credenti in Cristo, uniti in virtù dell’Eucarestia in una reale comunione personale con Lui, non possono fare comunione anche con i demoni, partecipando ai riti sacrificali pagani. Per questo motivo, l’Apostolo vieta ai cristiani, probabilmente rivolgendosi soprattutto a quelli che si ritengono più maturi nella fede, di partecipare ai sacrifici idolatrici. E che Paolo si rivolga specialmente a questi cristiani, che si reputavano “forti”, si intuisce dalla domanda retorica conclusiva: “Siamo forse più forti di lui (= del Signore)? Ma tale domanda è preceduta da un altro interrogativo, altrettanto retorico, sulla “collera” di Dio, “geloso” dei suoi diritti e delle sua sovranità assoluta. Un tema, questo, ampiamente sviluppato nella letteratura profetica. C - Coscienza, libertà e gloria di Dio (10, 23-33) “Tutto è lecito! Ma non tutto è utile! “Tutto è lecito!” Ma non tutto edifica.Nessuno cerchi l’utile proprio, ma quello altrui” (23). Paolo riporta e contraddice lo slogan ripetuto da alcuni corinzi: “Tutto è lecito”, contrapponendo il criterio della ricerca di quello che è vantaggioso e costruttivo per il prossimo. “Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma quello dell’altro”(v.24).

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E, alla luce di questo criterio, passa in rassegna alcuni casi di coscienza che potevano capitare ai cristiani di Corinto. Il primo caso preso in esame è l’acquisto della carne al mercato. Paolo dà al riguardo una prima regola generale di carattere pratico: un cristiano può acquistare e mangiare qualsiasi tipo di carne senza fare indagini sulla sua provenienza. Vi aggiunge anche una motivazione riportando una frase del Salmo 23: “Del Signore è la terra e tutto quello che essa contiene” (vv.25-26). Il secondo caso riguarda il comportamento da tenere in alcune circostanze particolari. Un cristiano di Corinto riceve l’invito a pranzo o a cena nella casa di un pagano per ragioni di parentela o di amicizia o per vincoli sociali. Egli può andarvi e non è tenuto, “per motivi di coscienza”, a fare indagini circa la provenienza della carne. Può mangiare tutto quello che gli viene messo davanti (v.27). La situazione cambia nel caso in cui uno dei commensali fa presente che la carne posta sulla mensa è “offerta sacra” ed è convinto che mangiarne coincida con un atto idolatrico; o, per lo meno, dubita che sia così. Ebbene, per non scandalizzare quel “debole”, il cristiano “forte nella fede” rinunci a nutrirsi di quella carne. Il criterio della carità porta a rispettare la coscienza dell’altra persona, proprio perché in coscienza si reputa indifferente la scelta di consumare o meno quel cibo (vv.28-29 a). I due quesiti conclusivi non sono immediatamente perspicui: “Per qual motivo, infatti, questa mia libertà dovrebbe essere sottoposta al giudizio della coscienza altrui?” (v.29 a) e “Se io con rendimento di grazie partecipo alla mensa, perché dovrei essere biasimato per quello di cui rendo grazie? (v.30) Stando ad una prima ipotesi interpretativa, sarebbero obiezioni sollevate contro Paolo dai Corinzi: non sarebbe giusto - a loro parere - che i fedeli “deboli nella fede” debbano obbligare, con i loro scrupoli teologicamente infondati, altri cristiani a rinunciare ai dettami della propria coscienza (v.29 a). Una volta ringraziato il Signore per quel cibo, perché non consumarlo in santa pace? (v.30). Paolo non dà una risposta, per cui si può dedurre che lui stesso sia d’accordo con questi cristiani che hanno sollevato l’obiezione. Nella Lettera ai Romani (14,3-4) l’Apostolo sosterrà infatti che non solo “i forti” non devono giudicare male “i deboli”, ma anche costoro non hanno alcun diritto di disprezzare gli altri, che si sentono liberi di fronte alla questione. Tuttavia si possono pure

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leggere queste due domande in senso retorico: l’Apostolo esorterebbe i cristiani maturi nella fede a non prestare il fianco a giudizi negativi (v.29) o, peggio, a rimproveri da parte dei fratelli più fragili (v.30). D - Applicazione del principio fondamentale: non cercare il proprio interesse, ma quello altrui (10, 31-33) Risolti i casi controversi, Paolo conclude ribadendo il principio enunciato all’inizio (vv.23-24): agire in ogni circostanza per la gloria di Dio, evitando di dare scandalo sia nei rapporti con i giudei e i pagani sia all’interno della comunità cristiana, chiamata in forma solenne “Chiesa di Dio”. Lui stesso ha scelto di non valersi del suo diritto di apostolo per non porre inciampo all’annuncio evangelico. Ha proposto ai Corinzi il suo stile di servitore del Vangelo, “facendosi tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno” (9,20-22). Ora ripresenta la sua scelta come modello e paradigma di libertà cristiana attuata nell’ agape. In forza di questo amore cerca il vantaggio di molti che consiste nella loro salvezza. (v.11,1) Alla fine raccomanda ai corinzi: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo”.

C ONCLUSIONE

C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro … C. Concedi, Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace, e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo … R. Amen. C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Lectio Biblica

La celebrazione eucaristica (11,17

SALUTO

C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen. C. Il Dio della speranza che riempie di ogni gioia e pace nella fede, per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi.R. E con il tuo Spirito. Breve monizione introduttiva INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (1Cor 11,17 - 34

vedi suggerimenti a pg.5 Come celebrare la cena del Signore Cap. 1117Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. 18Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. 19È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. 20Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21Ciascuno infatti,

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La celebrazione eucaristica (11,17 - 34)

del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi.

34)

vedi suggerimenti a pg.5

Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché Innanzi tutto

sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni rgano fazioni

tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno Quando dunque vi radunate insieme, il vostro

Ciascuno infatti,

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quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. 22Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! 23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. 27Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. 28Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; 29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 30È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo. 33Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.

Note per la comprensione del testo A - Indegna maniera di celebrare la Cena del Signore (11, 17-22) La memoria della Cena del Signore avveniva a Corinto in un contesto scandaloso di scissioni e divisioni. Per quanto possa apparire paradossale, anziché esprimere e rinsaldare la comunione

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fraterna, la celebrazione eucaristica portava allo scoperto le profonde fratture presenti nella comunità. Con ogni probabilità, continuavano a pesare le condizioni economiche e sociali precedenti la conversione di alcuni cristiani. L’ingresso nella nuova esperienza di fede non aveva prodotto cambiamenti significativi su questo piano. In ogni caso, siamo di fronte qualcosa di molto grave come fanno capire le parole di apertura: “Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono per il meglio, ma per il peggio” (v.17). In concreto, cosa stava accadendo? Nella Lettera si trovano questi riferimenti significativi al riguardo: “Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame e l’altro è ubriaco” (vv.20-21) e “Quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna” (vv. 33-34). Il disordine era dato dal sovrapporre alla “cena del Signore” il “proprio pasto”. Ci si riuniva per la “cena del Signore” ma, poi, alcuni consumavano un pasto privato. Come si svolgevano, presumibilmente, queste riunioni? Si fanno al riguardo due ipotesi. Secondo alcuni esegeti, dopo la benedizione sul pane e prima di quella sul vino, a parte, i cristiani più facoltosi della comunità consumavano il loro pasto davanti agli occhi dei poveri. Sembra, questa, una ipotesi eccessiva. È più ragionevole pensare – secondo il parere di altri studiosi – che, prima della riunione liturgica vera e propria, il gruppo dei cristiani benestanti e ricchi, che, proprio per questa loro fortunata condizione, non avevano obblighi di orario e di lavoro, consumavano privatamente il loro pasto, poi, con quello che restava si imbandiva la “cena del Signore”. Quel pasto comune che doveva promuovere e significare la comunione, contesto indispensabile per la memoria eucaristica, si trasformava in scandalosa incoerenza. Alcuni cristiani ben sazi e ubriachi e tanti altri poveri e affamati. Ecco perché l’Apostolo mette i Corinzi con le spalle al muro, rinfacciando loro che celebrazioni così peccaminose,invece di produrre effetti positivi, non potranno che avere conseguenze deleterie sull’intera comunità.

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Ciò nonostante, Paolo riesce a cogliere, perfino in una situazione così squallida, un aspetto positivo: essa può diventare occasione opportuna per vedere chi tra i corinzi è veramente un credente in Cristo. Messi alla prova da questo scandalo, i fedeli che non cadranno in atteggiamenti discriminatori, anzi che vi si opporranno con fermezza, saranno cristiani autentici. Quelli, invece, che contribuiranno ad accentuare le divisioni nell’ambito della comunità, dimostreranno di essere ancora immaturi nella vita spirituale. Come sanare, allora, questa grave frattura nella Chiesa corinzia? In che modo aiutare i corinzi a vivere in concreto la carità che celebravano nel rito eucaristico? Non c’era soluzione migliore che invitare i corinzi a fare un confronto tra la loro situazione e il significato originario del rito eucaristico. B - La tradizione ecclesiale della Cena del Signore Paolo infatti riporta subito un frammento di catechesi apostolica sull’Ultima Cena del Signore, o meglio, richiama alla memoria quello che aveva già trasmesso al tempo della sua prima permanenza a Corinto: “Io ho ricevuto dal Signore ciò che vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito,prese del pane e, dopo aver reso grazie,lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi. Fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me” (vv. 23-25). Questo brano,meritatamente celebre e storicamente importante, risale agli anni 50-52, quando già esisteva un racconto ufficiale, con stilizzazioni liturgiche e certificazione apostolica di ciò che era avvenuto nel Cenacolo. Siamo di fronte alla più antica versione letteraria dell’Eucarestia, anteriore al testo dei Vangeli di Marco e Matteo. Confrontandola con la redazione di questi due vangeli, la narrazione di Paolo presenta evidenti analogie con il testo di Luca, il che sembra rimandare alla comune tradizione della Chiesa di Antiochia, dalla quale Paolo e Luca sembrano dipendere. Gli evangelisti Marco e Matteo riflettono invece la tradizione della Chiesa di Gerusalemme. L’Apostolo dichiara di avere “ricevuto dal Signore” quello che “ha trasmesso”. I due verbi tecnici “ricevere” e “trasmettere” indicano

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chiaramente tutti gli anelli della catena: la fonte primaria, “il Signore Gesù ”, il mediatore “io” (Paolo) e i destinatari, “voi”. Il contenuto della tradizione è dato, poi, da una serie di azioni e parole del “Signore Gesù”, ambientate nella “notte in cui veniva consegnato”. Senza dubbio, la tradizione conosciuta dall’Apostolo ricordava il fatto storico del discepolo traditore, come risulta concordemente dai Vangeli. Tuttavia Paolo non menziona Giuda, lasciando forse intendere che l’atto ignobile del traditore di “consegnare” il Maestro ai suoi avversari sia stato assunto liberamente da Gesù stesso. Egli, infatti,non cercò di salvarsi; rimase obbediente al Padre “fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). Volle “consegnare se stesso” per noi, per perdonare “i nostri peccati, allo scopo di sottrarci al mondo presente malvagio, secondo il disegno voluto dal nostro Dio e Padre”(Gal 2,20. Dunque, in modo misterioso, preannunciato già nelle profezie di Isaia sulla consegna a morte del “servo sofferente”, Dio stesso ha fatto servire, per la salvezza dell’umanità, il tradimento del Figlio perpetrato da Giuda. “Non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato in sacrificio per noi tutti”, scriverà Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 8,32). Nella notte in cui veniva “tradito da Giuda” e “consegnato dal Padre”, Gesù stesso desiderò anticipare la propria consegna sulla croce nei gesti eucaristici. La tradizione paolina riporta prima i gesti e le parole del Signore sul pane e poi solo le parole sul calice,alludendo ai gesti mediante l’espressione “allo stesso modo”. L’Apostolo sottolinea innanzi tutto che il Signore, preso il pane, “rese grazie”: il gesto è espresso col verbo greco “eucharistèo”, da cui proviene il termine “eucarestia”. L’attenzione si concentra poi sulle parole relative al pane spezzato: “Questo è il mio corpo, che è per voi”. Le parole hanno uno strettissimo significato letterale: affermano l’identità tra il soggetto (“questo” = il pane) e il predicato (“mio corpo”), e quindi indicano “la presenza reale” di Cristo. In altri termini, “Gesù identificò del pane col suo corpo”, che di lì a poche ore, sul Calvario, sarebbe stato crocifisso per la redenzione dell’umanità. Rivelava il senso salvifico che intendeva dare alla sua morte cruenta sulla croce, prevista ormai come imminente. “Allo stesso modo, dopo aver cenato,prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”. Il Signore Gesù dichiarava

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pure che il vino, offerto da bere ai discepoli, era il suo sangue, che Egli doveva versare per istituire la “nuova alleanza” tra Dio e gli uomini. “Nuova alleanza” che si contrapponeva a quella stipulata da Mosè mediante il sangue di vittime animali (cfr. Es 24,8) e attualizzava la profezia di Geremia “Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Ger 31,31). Paolo rammenta ai corinzi questo gesto supremo di amore del Signore, perché convinto che essi avrebbero potuto riscoprire il significato profondo dell’imperativo di Gesù, ripetuto ben due volte: “Fate questo in memoria di me”. Questo comando va inteso nel senso di continuare a ripetere, lungo il cammino storico, la celebrazione eucaristica e a vivere “in sua memoria”, vale a dire a vivere come Gesù all’insegna dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Certo, per riuscirvi, i cristiani sono chiamati a vivere strettamente uniti al Signore, mangiando tutti “lo stesso cibo spirituale”. Sarà, dunque, con la vita, e non solo a parole, che i corinzi dovranno annunciare il mistero della morte e della risurrezione di Cristo, nell’attesa e speranza della sua venuta gloriosa alla fine dei tempi. C - Ammonizioni e direttive di Paolo in vista della comunione ecclesiale (11, 27-34) Rievocata l’amorevole dedizione che ha animato i gesti eucaristici del Signore nell’Ultima Cena, l’Apostolo ammonisce con una certa severità i Corinzi, avvertendoli che chiunque partecipi all’Eucarestia senza riconoscere il corpo ecclesiale di Cristo, perché vive perfino questa celebrazione in maniera incoerente rispetto alla carità, si autocondanna al cospetto del Signore. Per modalità indegna di celebrare l’Eucarestia Paolo intende quella mancanza di solidarietà e quella totale assenza di atteggiamenti caritatevoli e fraterni con cui alcuni corinzi si accostavano al convito eucaristico. Chi compie discriminazioni nei riguardi dei più poveri e fomenta divisioni nell’ambito della comunità, non è,infatti, colpevole soltanto verso il prossimo, ma lo è primariamente nei confronti di Cristo, che ha sempre manifestato una predilezione per i deboli e i meno

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abbienti. Per di più, provocare lacerazioni interne alla chiesa significa distruggere il tempio di Dio che essa è, come pure smembrare il corpo di Cristo che essa rende visibile nella storia. “Sicché chiunque mangi il pane o beva il calice del Signore in maniera indegna sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore” (11, 27). In positivo, Paolo esorta i singoli credenti a fare una seria verifica personale prima di accostarsi alla cena eucaristica. Il punto fondamentale sul quale esaminarsi dev’essere la propria effettiva capacità di riconoscere il corpo del Signore”. E con questa espressione l’Apostolo designa sia il corpo eucaristico di Cristo sia il suo corpo ecclesiale. Come aveva già sottolineato precedentemente (“Il pane che spezziamo, non è forse comunione col corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi pur essendo molti, siamo un solo corpo. Infatti tutti partecipiamo a quel solo pane” (10,16-17), Paolo crede fermamente in un legame inscindibile tra l’Eucarestia e la Chiesa: la comunità ecclesiale è formata da molte persone, tuttavia, proprio perché tutte si nutrono dell’unico pane eucaristico, costituiscono un tutt’uno con Cristo, che le assimila al suo corpo. “È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non essere condannati insieme con questo mondo” (11,30-32). L’Apostolo, accennando ad un rapporto oscuro e sconcertante tra la scandalosa celebrazione eucaristica e certe malattie e decessi della comunità,lascia trasparire una certa reticenza ad attribuire la sofferenza e la morte direttamente a Dio. Scrive a questo proposito F. Manzi: “Probabilmente, per lui, infermità e decessi possono essere effetti deleteri anche di tensioni interpersonali, di contrasti comunitari e di altri atteggiamenti peccaminosi, a cui i Corinzi cedevano persino quando celebravano l’eucarestia. Oggi si potrebbe individuare in tali atteggiamenti la causa di sensi di colpa, rimorsi e altre patologie psicosomatiche. Al contrario, una celebrazione dell’eucarestia animata dalla carità non solo non provocherebbe queste ripercussioni nocive per i partecipanti, ma donerebbe loro una serenità interiore, frutto anch’essa dello Spirito Santo. È vero, quindi, che un buon esame di coscienza aiuterebbe a evitare certi peccati e le loro conseguenze negative. Ma è altrettanti vero che il cosiddetto giudizio del Signore si attua come misteriosa pedagogia lungo la vita terrena. Questa educazione divina è volta ad evitarci la dannazione

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eterna, che invece colpirà il “mondo” malvagio, ossia tutti coloro che peccano in modo consapevole e libero”. Altri esegeti sostengono che il riferimento ai malati presenti nella comunità, decisamente superato, costituisce tuttavia un espediente di natura pedagogica per scoraggiare dal continuare la prassi sconveniente. Rivolgendosi,infine, ai corinzi con l’appellativo di “fratelli”, Paolo sintetizza il da farsi con due regole precise. La prima è quella di aspettarsi gli uni gli altri, evitando così quelle divisioni che tanto guastavano le riunioni della chiesa corinzia. La seconda: se qualcuno ha bisogno di mangiare, faccia la cena a casa propria.

C ONCLUSIONE

C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro … C. O Dio, nell’ultima sua Cena il tuo unico Figlio, prima di

consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione frequente a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio ... R. Amen. C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Lectio Biblica

I doni dello Spirito: unità nella diversità (12,1-31 e 14,1

SALUTO

C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen. C. Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. R. E con il tuo Spirito. Breve monizione introduttiva INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (1Cor 12,1-31 e 14,1-40

vedi suggerimenti a pg.5 I doni dello Spirito Santo Cap. 12 1 Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi nell'ignoranza. 2Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. 3Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l'azione de

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I doni dello Spirito: unità nella diversità 31 e 14,1-40)

del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene

40)

vedi suggerimenti a pg.5

Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio Voi sapete infatti che, quando eravate

pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l'azione dello

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Spirito di Dio può dire: "Gesù è anàtema!"; e nessuno può dire: "Gesù è Signore!", se non sotto l'azione dello Spirito Santo. 4Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: 8a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; 9a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell'unico Spirito, il dono delle guarigioni; 10a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l'interpretazione delle lingue. 11Ma tutte queste cose le opera l'unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole. Paragone con il corpo 12Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. 14E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. 15Se il piede dicesse: "Poiché non sono mano, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe parte del corpo. 16E se l'orecchio dicesse: "Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe parte del corpo. 17Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. 19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può l'occhio dire alla mano: "Non ho bisogno di te"; oppure la testa ai piedi: "Non ho bisogno di voi". 22Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; 23e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, 25perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. 26Quindi se un

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membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. A ciascuno il suo dono 27Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. 28Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. 29Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? 30Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? 31Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Parlare con il dono delle lingue Cap. 14 1 Aspirate alla carità. Desiderate intensamente i doni dello Spirito, soprattutto la profezia. 2Chi infatti parla con il dono delle lingue non parla agli uomini ma a Dio poiché, mentre dice per ispirazione cose misteriose, nessuno comprende. 3Chi profetizza, invece, parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e conforto. 4Chi parla con il dono delle lingue edifica se stesso, chi profetizza edifica l'assemblea. 5Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue, ma preferisco che abbiate il dono della profezia. In realtà colui che profetizza è più grande di colui che parla con il dono delle lingue, a meno che le interpreti, perché l'assemblea ne riceva edificazione. Per l’edificazione della comunità 6E ora, fratelli, supponiamo che io venga da voi parlando con il dono delle lingue. In che cosa potrei esservi utile, se non vi comunicassi una rivelazione o una conoscenza o una profezia o un insegnamento? 7Ad esempio: se gli oggetti inanimati che emettono un suono, come il flauto o la cetra, non producono i suoni distintamente, in che modo si potrà distinguere ciò che si suona col flauto da ciò che si suona con la cetra? 8E se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà alla battaglia? 9Così anche voi, se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate dicendo? Parlereste al vento! 10Chissà quante varietà di lingue vi sono nel mondo e nulla è senza un

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proprio linguaggio. 11Ma se non ne conosco il senso, per colui che mi parla sono uno straniero, e chi mi parla è uno straniero per me. 12Così anche voi, poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, per l'edificazione della comunità. 13Perciò chi parla con il dono delle lingue, preghi di saperle interpretare. 14Quando infatti prego con il dono delle lingue, il mio spirito prega, ma la mia intelligenza rimane senza frutto. 15Che fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l'intelligenza. 16Altrimenti, se tu dai lode a Dio soltanto con lo spirito, in che modo colui che sta fra i non iniziati potrebbe dire l'Amen al tuo ringraziamento, dal momento che non capisce quello che dici? 17Tu, certo, fai un bel ringraziamento, ma l'altro non viene edificato. 18Grazie a Dio, io parlo con il dono delle lingue più di tutti voi; 19ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue. 20Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi. Quanto a malizia, siate bambini, ma quanto a giudizi, comportatevi da uomini maturi. 21Sta scritto nella Legge: In altre lingue e con labbra di stranieri parlerò a questo popolo, ma neanche così mi ascolteranno , dice il Signore. 22Quindi le lingue non sono un segno per quelli che credono, ma per quelli che non credono, mentre la profezia non è per quelli che non credono, ma per quelli che credono. 23Quando si raduna tutta la comunità nello stesso luogo, se tutti parlano con il dono delle lingue e sopraggiunge qualche non iniziato o non credente, non dirà forse che siete pazzi? 24Se invece tutti profetizzano e sopraggiunge qualche non credente o non iniziato, verrà da tutti convinto del suo errore e da tutti giudicato, 25i segreti del suo cuore saranno manifestati e così, prostrandosi a terra, adorerà Dio, proclamando: Dio è veramente fra voi! Norme per le assemblee 26Che fare dunque, fratelli? Quando vi radunate, uno ha un salmo, un altro ha un insegnamento; uno ha una rivelazione, uno ha il dono delle lingue, un altro ha quello di interpretarle: tutto avvenga per l'edificazione. 27Quando si parla con il dono delle lingue, siano in

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due, o al massimo in tre, a parlare, uno alla volta, e vi sia uno che faccia da interprete. 28Se non vi è chi interpreta, ciascuno di loro taccia nell'assemblea e parli solo a se stesso e a Dio. 29I profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino. 30Ma se poi uno dei presenti riceve una rivelazione, il primo taccia: 31uno alla volta, infatti, potete tutti profetare, perché tutti possano imparare ed essere esortati. 32Le ispirazioni dei profeti sono sottomesse ai profeti, 33perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace. Come in tutte le comunità dei santi, 34le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. 35Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea. 36Da voi, forse, è partita la parola di Dio? O è giunta soltanto a voi? 37Chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto vi scrivo è comando del Signore. 38Se qualcuno non lo riconosce, neppure lui viene riconosciuto. 39Dunque, fratelli miei, desiderate intensamente la profezia e, quanto al parlare con il dono delle lingue, non impeditelo. 40Tutto però avvenga decorosamente e con ordine.

Note per la comprensione del testo A – Diversi doni dell’unico Spirito di Cristo (12, 1-31 e del cap. 14,1-40 solo una breve sintesi) La chiesa di Corinto, pur di modeste dimensioni, era tuttavia ricca di carismi, vale a dire di doni particolari, accordati “per grazia” dallo Spirito Santo ai singoli cristiani in vista dell’edificazione comune. Ma vari problemi scaturivano paradossalmente dall’abbondanza di questi multiformi doni dello Spirito. Si presentavano infatti, nella comunità due pericoli: quello di illudersi che la presenza dello Spirito fosse sufficiente a garantire la fedeltà alla tradizione, la correttezza morale, l’unione fraterna; e quello di sopravvalutare indebitamente alcuni carismi (ad esempio, quello delle lingue) a scapito di altri (i carismi del servizio).

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Azione dello Spirito nella professione cristologica (12, 1- 3). Paolo spiega innanzi tutto ai corinzi di non considerare i carismi alla luce di esperienze fatte quando vivevano da pagani, lasciandosi trascinare, senza alcun autocontrollo, verso gli idoli muti, inesistenti. Puntualizza, quindi,sotto il profilo dottrinale, che i carismi, per essere veri segni dello Spirito Santo,devono rispondere a precise condizioni. La prima: la fede, che ha il suo centro nell’affermazione: “Gesù è il Signore” (v.3). Chi rinneghi, a parole o con la vita,questa professione di fede dimostra chiaramente di non agire secondo lo Spirito. Proclamare che “Gesù è il Signore” significa che Gesù di Nazareth, il Crocifisso, è veramente risorto; che è presente ora nella comunità; che la strada della croce è quella nella quale Dio si è riconosciuto. La seconda condizione è che la varietà dei doni abbia il suo punto di convergenza nell’utilità comune. Un terzo criterio consiste nel concepire il carisma come un sevizio, non come una dignità. Un compito da svolgere per il bene della comunità, non una grandezza da far valere sugli altri. Un dono,che viene considerato come dignità da utilizzare per proprio vantaggio, cessa di essere carisma derivante dallo Spirito. Diversi carismi e unicità del Dio trinitario (12,4 -6). È significativa, quindi, la terminologia usata dall’Apostolo per la presentazione dell’esperienza dello Spirito, formulata con tre vocaboli diversi: “carismi”(charìsmata), “ministeri (diakonìai)”, capacità operative” (energèmata). Tre termini che si riferiscono alla stessa realtà, pur avendo sfumature diverse. I “carismi””, legati particolarmente allo Spirito Santo, attirano l’attenzione sulla “gratuità”. I “ministeri”,collegati al Signore Gesù, pongono l’accento sulla finalità del carisma. Indicano le attività di servizio dell’intera comunità cristiana, che vanno dal governo della stessa fino al “servizio delle mense”. Le “capacità operative”, attribuite a Dio Padre, in quanto principio di ogni vita e attività. Tutta la Santissima Trinità è,pertanto,fonte della vita ecclesiale: “Uno solo è Dio, che opera tutto in tutti” (12,6). Il fatto che il Dio trinitario sia all’ origine della varietà dei carismi, ne garantisce la pari dignità e mette fuori gioco ogni pretesa di monopolio e qualsiasi atteggiamento rivendicativo da parte dei corinzi nei confronti di questi diversi doni.

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Azione dello Spirito attraverso doni personali (12, 7-11). Individuata l’unità teologica dei diversi carismi, Paolo ne fa un elenco. È uno dei tre elenchi fatti dall’Apostolo (cfr. Rom 12,6-8 e Efes 4,11), nessuno dei quali, però, è completo, dato il carattere occasionale della loro descrizione e, soprattutto, vista la inesauribile creatività dello Spirito. È, comunque, il più completo. La lista abbraccia nove “carismi”, distinti in due categorie. I primi due assieme ai quattro finali riguardano la parola: la parola di sapienza e la parola di conoscenza; il dono della profezia, quello di distinguere gli spiriti,il dono della varietà delle lingue (glossolalia), il dono dell’interpretazione delle lingue; mentre i tre centrali sono relativi alle attività: fede, il dono di compiere guarigioni e miracoli. Paolo non pone i carismi in ordine gerarchico sulla base della loro straordinarietà, ma piuttosto sulla base della loro capacità di edificazione comune. Si capisce che, per l’Apostolo, l’intento perseguito dallo Spirito Santo è stimolare ogni cristiano a porsi al generoso servizio della Chiesa. Ognuno, infatti, è chiamato a mettere il proprio carisma a disposizione della comunità non in maniera scomposta, ma ordinata e armonica; non per trarne un guadagno o prestigio personale né per emergere sugli altri, ma per fare loro del bene. È in questa docilità all’unico Spirito del Cristo morto e risorto, che Paolo scorge il principale rimedio a qualsiasi forma di ambizione, di protagonismo ecclesiale, di gelosia e di invidia, che rischiava di smembrare la giovane chiesa di Corinto. B - Molte le membra, ma uno solo il corpo (12,12-27) L’Apostolo, dopo aver mostrato come dall’unico Spirito scaturiscono carismi diversi, passa ad evidenziare come nell’unico corpo ecclesiale di Cristo ci sono membra diverse, ma tutte indispensabili alla sua esistenza. Sottolinea questo aspetto, perché a Corinto stavano sviluppandosi pericolosi complessi di superiorità (se così si può dire) nei “carismatici” dotati delle capacità più prestigiose e complessi di inferiorità nei cristiani che non le possedevano.

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Similitudine: come le membra di un corpo, così i battezzati in Cristo (12,12-14). Per porre un freno a queste tendenze, motivo di profonde divisioni interne alla comunità, Paolo ricorre alla metafora del corpo e delle membra: “ Come il corpo è unico e ha molte membra, ma tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un unico corpo,così anche Cristo” (v.12). Il corpo è uno, ma possiede una ricca pluralità e diversità di membra. Ci si aspetterebbe: “così è la Chiesa”. Invece, no: “Così è Cristo”. In questo modo Paolo ci porta di colpo alla radice: la comunità ecclesiale non è semplicemente come un corpo, ma è il corpo di Cristo. E spiega che il fondamento di questa identificazione tra comunità cristiana e il corpo di Cristo è il Battesimo. Grazie a questo sacramento e al dono dello Spirito, i fedeli di Corinto, pur nelle loro differenze etnico – culturali (“Giudei o Greci”) e sociali (“schiavi o liberi”), hanno fatto un tutt’uno con il Signore Gesù. Mediante questa immagine somatica, comprensibile anche per i più semplici, l’Apostolo fa capire ai corinzi quanto sia indispensabile, all’interno dell’unica chiesa, la sinergia di carismi differenti. Per lui, infatti, la comunità cristiana ideale non è caratterizzata dall’uniformità. Sarebbe come un corpo formato da membra tutte eguali: non sarebbe un corpo armonico, ma un mostro. La vera minaccia contro l’unità della Chiesa non derivava dalla varietà dei doni dello Spirito, ma semmai dal tentativo di alcuni “carismatici” di innalzarsi sopra gli altri, o dal rifiuto di servire, o dalla pretesa di fare a meno degli altri. Inconsistenza del complesso di inferiorità dei deboli (12,15-20). Paolo cerca allora di rafforzare l’identità cristiana dei fedeli che rischiavano di cedere a dannosi complessi di inferiorità. Non possedendo carismi prestigiosi,essi si sentivano in imbarazzo di fronte a coloro che ostentavano carismi straordinari. Mettendosi nei loro panni, l’Apostolo li rassicura dicendo che nessun membro del corpo umano può essere escluso, perché svolge una funzione meno prestigiosa di un altro. E porta due esempi, formulati in modo simmetrico, che fanno intravedere questa tensione all’interno della comunità: quello del piede, che non ha certamente l’agilità della mano, ma è sempre, a pieno titolo, parte integrante dello stesso organismo; e quello dell’orecchio, che non

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può staccarsi dal corpo solo perché ha l’impressione di essere meno importante dell’occhio. Fuori dalla similitudine: la varietà dei doni di grazia diffusi tra tutti i cristiani non va semplicemente tollerata. È anzi indispensabile, perché una comunità cristiana sussista e, nella sua vivacità spirituale, renda presente Cristo nel mondo. Tutti i doni dello Spirito sono essenziali alla missione della comunità cristiana e, siccome ciascun fedele ha in dotazione alcuni di questi doni, non c’è nessuno che non sia necessario alla Chiesa. Inconsistenza del complesso di superiorità dei forti (12,21). Ai due esempi precedenti, rivolti ai cristiani meno dotati di carismi prestigiosi, Paolo ne aggiunge altri due, diretti a coloro che possedevano, o si gloriavano di possedere, capacità straordinarie: “L’occhio non può dire alla mano:non ho bisogno di te. E la testa non può dire ai piedi:non ho bisogno di voi”. Fuori dalla similitudine: né coloro che avevano il dono della profezia né quelli che esercitavano il ruolo di guida della comunità potevano fare a meno di amare e servire i fedeli più umili. Nella Chiesa, come nel corpo umano, non può esserci indipendenza autarchica di alcune membra rispetto ad altre. C’è complementarietà. Del resto, anche le parti del corpo, ritenute più deboli, sono necessarie come tutte le altre (v.22). In altre parole, ci sono carismi particolari, prestigiosi e carismi feriali, umili. Tutti, comunque, servono a costruire e far crescere la comunità cristiana. L’attenzione e la cura degli “ultimi”: la logica della croce (12, 22-27). Paolo, infatti, spende parole importanti per impedire che si introducano differenze di dignità tra funzione e funzione: “ questa è necessaria, quest’altra, no; questa è degna di onore, l’altra, no”. Semmai – aggiunge – va capovolto il giudizio: le membra (= le funzioni) più deboli, “disonorevoli” e “indecorose” vanno maggiormente onorate. Richiama così la logica della croce, dove gli ultimi, quelli che sembrano meno importanti, devono ricevere la massima attenzione e cura. Proprio quelli che sono dotati dei carismi più prestigiosi, che hanno maggiori capacità, devono aiutare i cristiani deboli e fragili. “Dio ha composto il corpo, conferendo maggiore onore a ciò che mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un

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membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per sua parte” (vv.25-27). Il ricorso di Paolo alla metafora del corpo e delle membra per raccomandare la solidarietà trova riscontro nell’ambiente greco-romano. È noto l’apologo (riportato da Tito Livio e altri scrittori antichi) col quale il senatore Menenio Agrippa riuscì a convincere i plebei, impegnati in uno sciopero rivoluzionario sull’Aventino, a riprendere il loro posto in città. L’apologo narrava come le mani, scese in sciopero, perché stanche di lavorare per uno stomaco che appariva loro ozioso e parassitario, dovettero presto rendersi conto che erano loro le prime ad essere indebolite da una protesta, che lasciava non solo lo stomaco, ma l’intero organismo senza nutrimento. Menenio Agrippa utilizzò il racconto, in funzione reazionaria, per far tornare i plebei al lavoro per i patrizi. Nel caso dei corinzi,invece, Paolo, oltre al principio dell’unità e della condivisione tra le varie e diverse membra del corpo, fa appello alla logica innovativa della croce di Cristo e dell’agire paradossale di Dio, per cui le membra più fragili e deboli sono le più onorate. La solidarietà nella chiesa si esprime, quindi, secondo il principio della croce, dove gli ultimi sono oggetto di amore più intenso. E deve essere sempre la logica della croce a fare amare gli altri, non in base al loro prestigio, ma alla loro necessità e al loro bisogno. Carismi diversi per un’unica comunità (12, 28-31). Appare qui un secondo catalogo di carismi, che solo in parte coincide con quello precedente (vv.8-10). Paolo prende lo spunto per presentare la struttura organica della Chiesa. Essa risale alla libera e autorevole iniziativa di Dio che ha stabilito nella Chiesa in ordine decrescente, rimarcato mediante gli avverbi - “in primo, in secondo, in terzo – la triade degli apostoli, dei profeti e dei maestri. Il carisma di apostolo non designa qui i “Dodici” scelti da Gesù, ma quei cristiani zelanti che si dedicavano alla diffusione del Vangelo; a loro vengono associati per affinità “i profeti” e “i maestri” che attendevano probabilmente all’insegnamento e alla spiegazione delle Sacre Scritture. Seguono poi “i doni di fare miracoli, di (compiere) guarigioni, i doni di assistenza, di governare,delle lingue” (v.28). “Le sette domande retoriche conclusive sono finalizzate a ribadire la tesi della variegata molteplicità dei doni della grazia all’interno dell’unica Chiesa”. Al di

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sopra di tutti i “carismi”, tuttavia, viene posta la “carità” (agàpe). Ognuno è chiamato a perseguire questo “dono dei doni”, questa “via” davvero “eccellente” fra tutte. (La riflessione sulla “carità” viene proposta nel capitolo successivo) C - Tutto si faccia per l’edificazione e l’utilità della Chiesa (breve riflessione sul Cap. 14) Paolo rivolge ai fedeli di Corinto un invito lapidario, tutt’altro che retorico, a fare dell’amore evangelico la mèta dei loro desideri. I corinzi possono - anzi, devono – aspirare ai doni dello Spirito, ma unicamente a motivo della carità che edifica la chiesa. In quest’ottica l’Apostolo dichiara il primato della profezia: “Aspirate pure ai doni dello Spirito, soprattutto alla profezia”. Ma i corinzi bramavano molto di più il dono delle lingue. La “glossolalia” appariva loro più “spettacolare”. Paolo, allora, sviluppa il suo discorso in una continua contrapposizione tra “il dono delle lingue” e “il dono della profezia”. Perché l’Apostolo privilegia “la profezia” rispetto “alla glossolalia”? Almeno per tre importanti motivi: 1)“Chi parla con il dono delle lingue, non parla agli uomini, ma a Dio, giacché nessuno comprende, mentre egli dice per ispirazione cose misteriose. Chi profetizza, invece, parla agli uomini per la loro edificazione”(14,2-3). 2) Chi parla in lingue costruisce se stesso, chi profetizza edifica l’assemblea (14,4). 3) Chi prega in lingue prega con lo spirito, ma la sua intelligenza resta senza frutto. Mentre gli oracoli profetici possono essere compresi da tutti, le preghiere in lingue restano oscure alla maggioranza, a meno che qualcuno ne riveli il significato. Sotto il profilo comunitario, il valore della profezia è superiore perché essa edifica non solo il carismatico che la esercita, ma anche la comunità ecclesiale, alla quale è rivolto il messaggio da lui mediato. Siccome l’utilità comune è lo scopo primario per cui ciascun cristiano riceve alcuni doni dello Spirito, è chiaro che la profezia è più importante della preghiera in lingue. Paolo, inoltre, per essere ancor più convincente, ricorre anche a tre tipi di esempi, prendendoli dalla propria esperienza personale, dalla musica e dal linguaggio umano.

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Esempio personale: l’Apostolo non potrebbe svolgere alcuna attività pastorale efficace se si limitasse ad esercitare il dono delle lingue. La comunità cristiana ha bisogno di insegnamenti dottrinali e morali, che l’Apostolo può fornire soltanto ricorrendo ad altri suoi doni spirituali (14,6). Esempio musicale: a livello ecclesiale, le preghiere in lingue prive di traduzione risulterebbero inutili come i suoni confusi di vari strumenti musicali. Perché possa esserci una melodia, ogni strumento deve emettere un suono distinguibile da quello di un altro.”Qualora una tromba desse un suono confuso, chi si preparerebbe al combattimento? Così anche voi: qualora con la lingua non pronunciaste un discorso chiaro, come si potrà comprendere ciò che viene detto? In realtà stareste parlando al vento!” (14,8-10). Esempio linguistico: la comunicazione verbale tra gli uomini è possibile solo se la lingua è conosciuta dagli interlocutori. Altrimenti è arduo capirsi. Sulla base di questi esempi (e di quelli riportati nei vv.14-19 e 20-25) Paolo convalida la sua tesi: una comunità cristiana cresce nella fede, se riesce a comprendere i messaggi salvifici comunicati dallo Spirito. Non basta pertanto il criterio della edificazione spirituale della comunità, occorre anche quello del buon andamento delle assemblee religiose. La Chiesa deve risplendere in mezzo alla società in cui vive anche per il decoro, l’ordine e la bellezza delle manifestazioni della propria vita. Infatti “ Dio non è un Dio di disordine, ma di pace” (14,33). La stessa vita interna della Chiesa diventa così una testimonianza, un segno “per quelli che sono fuori”, invitandoli a riconoscere che “ veramente Dio è fra voi”. Paolo è persuaso che le regole impartite circa i carismi e il loro uso, in particolare circa la loro subordinazione alla carità e all’edificazione, sono un “comando del Signore”,perché corrispondono fedelmente al suo volere. Diffida perciò qualsiasi oppositore a negarlo; chi lo facesse si metterebbe fuori dalla famiglia dei santi ed eletti: “Chi ritiene di essere profeta, o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto scrivo è comando del Signore; se qualcuno non lo riconosce, neppure lui è riconosciuto. Dunque, fratelli miei, aspirate alla profezia e, quanto al parlare con il dono delle lingue, non impeditelo. Ma tutto avvenga decorosamente e con ordine” (14,37 -40).

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C ONCLUSIONE

C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro … C. O Padre, che col dono dello Spirito Santo santifichi la tua Chiesa

in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i suo santi doni, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo. Per il nostro Signore...

R. Amen. C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Lectio Biblica

Primato ed elogio della carità

SALUTO

C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen. C. Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. R. E con il tuo Spirito. Breve monizione introduttiva INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (1Cor 13, 1-13

vedi suggerimenti a pg.5 Inno alla carità Cap. 13 1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.

9

Primato ed elogio della carità (13, 1-13)

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene

13)

vedi suggerimenti a pg.5

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo

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2E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. 3E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. 4La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, 5non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. 7Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. 9Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. 10Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. 12Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. 13Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

Note per la comprensione del testo In questo brano, uno dei più noti e più belli della letteratura cristiana, Paolo relativizza l’importanza dei doni speciali: i carismi non valgono niente senza la carità (= agàpe, amore oblativo). Indicandone l’utilità non in chiave individuale ma ecclesiale, l’Apostolo aveva già operato una certa relativizzazione. Il richiamo alla carità, come “la via più sublime”, da questo punto di vista, è decisivo. Si passa dall’esterno all’interno, vale a dire dall’organizzazione esterna della Chiesa nella molteplicità delle funzioni, al principio di vita dal quale dipende il valore di tutto il resto. Il brano presenta la carità intesa soprattutto come amore del prossimo. Essa però non solo non prescinde dall’amore verso

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Dio,ma lo presuppone necessariamente. È virtù essenzialmente “teologica”, e va perciò posta al fianco della fede e della speranza (13,13). Solo per questo può avere quell’ampiezza, quella grandezza eroica, quella resistenza ad ogni prova e quella profondità con cui ce la descrive l’Apostolo: non è la ricerca delle simpatie o degli interessi che possa produrla, ma solo l’amore sincero verso Dio, di cui ammiriamo i luminosi riflessi in ogni persona umana. Anzi, è questo l’unico modo per il cristiano di accertarsi che il suo amore verso il Signore è vero: “Infatti chi non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv. 4,20). L’inno si divide in tre strofe che si sviluppano e sovrappongono in un movimento ascendente: la prima confronta la carità con i carismi (vv. 1-3); la seconda è una vera e propria descrizione della carità, presentata come una realtà personificata e dinamica che vivifica ed abbraccia tutta l’esistenza cristiana (vv.4-7); la terza ritorna al confronto con i carismi e mostra come la carità non verrà mai meno. A - Senza la carità, i carismi non giovano (13,1-3) Questa prima strofa è fortemente caratterizzata da tre ipotesi negative: “ Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei un bronzo che rimbomba o un cembalo che tinnisce...“. “ Se avessi la capacità di profetizzare.., ma non avessi la carità, non sarei niente”. “ Se distribuissi tutte le mie sostanze … a niente mi gioverebbe”. Il soggetto che prende la parola è un “io”, rappresentativo dei cristiani carismatici di Corinto: può essere uno che possiede il dono delle lingue degli uomini e degli angeli, ma non comunica nulla; o uno dotato dei carismi della conoscenza, della profezia e di una fede straordinaria, ma non è nulla; oppure uno che si spinge a donare tutti i suoi beni e a sacrificare la propria vita,ma senza la carità non farebbe nulla di utile per la sua salvezza. Infatti, nonostante il loro vantarsi e il loro agitarsi,privi come sono della carità, questi cristiani non arrivano a nulla. Balza evidente che la carità non si identifica con il parlare che incanta, né con una fede capace di “trasportare le montagne”, né con la semplice generosità. L’assenza della carità annulla ogni azione, sia pure straordinaria o eroica. Svuota l’esistenza, non soltanto le azioni.

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B - Ritratto ed elogio della carità (13,4-7) Nella seconda strofa inizia il vero e proprio elogio della carità (agàpe). Ne vengono presentati i pregi con quindici segni di riconoscimento, di cui due in forma positiva, otto in forma negativa e cinque ancora in forma positiva. Sullo sfondo, come in filigrana, si intravedono i comportamenti dei corinzi disapprovati da Paolo. E si capisce pure l’ideale cristiano, modellato sull’agire di Dio rivelato in Gesù, proposto dalla catechesi dell’ Apostolo. Le prime due qualità dinamiche – indicate con i verbi “ makrozymein = essere magnanimo” e “chrèsteuesthai= essere benevolo”, esprimono l’amore nella sua essenza. Magnanimità e benevolenza sono molto spesso associate all’agire di Dio, “lento all’ira e ricco di benevolenza”. La carità è magnanima, paziente, ha la forza di sopportare le ingiurie e di non renderle. Èbenigna, affabile, disposta a fare del bene a tutti con tatto discreto. Seguono otto espressioni negative, che segnalano gli atteggiamenti incompatibili con la visione cristiana dell’amore. “La carità non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia,non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira,non tiene conto del male ricevuto,non gode dell’ingiustizia …”. Invidia, orgoglio, litigi, ricerca egoistica del proprio interesse corrodevano i rapporti fra i corinzi, mettendo in serio pericolo la comunione e la fraternità nella comunità cristiana. Per questo l’Apostolo, dopo aver precisato che adirarsi e vendicarsi sono comportamenti contrari all’amore evangelico, sottolinea come dalla carità scaturisca un amore tanto grande da non tener conto del male ricevuto. Le ultime quattro qualità dinamiche dell’amore sono nuovamente espresse in forma positiva:“ Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.La carità è quell’amore speciale, che spinge a donarsi agli altri in maniera disinteressata e generosa, senza porre condizioni, neppure quelle più naturali di essere contraccambiati dalle persone amate. In questo senso, essa è veramente il primo “frutto dello Spirito Santo”, il quale suscita nei cristiani la stessa capacità di Cristo di perdonare gli altri e di continuare a credere in loro nonostante tutto, sperando nella loro bontà, anche a costo di sopportare ingiustizie da parte loro. La carità alimenta nei credenti la capacità di affrontare qualunque sfida. Anche quando non si può negare il male, essa non dispera: sa che il male è sempre vinto dal bene.

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C - La carità non viene mai meno (13. 8-13) L’ultima parte di questo capitolo è aperta e chiusa dalla “carità”, di cui è proclamata l’indefettibilità rispetto alla caducità dei carismi (v.8) e la superiorità nei confronti della fede e della speranza (v.13). Paolo riprende la contrapposizione esplicita che c’è tra la carità e i carismi più ammirati e ricercati. Per prima vi è segnalata la profezia, poi il dono delle lingue e la scienza: “La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà”. L’amore non scade mai, a differenza della profezia, delle lingue, della conoscenza. Queste sono esperienze tipiche della stagione cristiana ancora in cammino, per così dire “infantile”, non della piena realizzazione, adulta. Sono tipiche della stagione provvisoria e non di quella dell’eternità (escatologica). In altri termini, il ragionamento di Paolo è nettamente capovolto rispetto a quello dei carismatici di Corinto. Per l’Apostolo le manifestazioni dello Spirito, di fronte alle quali i corinzi tanto si esaltavano, non sono vere irruzioni dell’eterno nell’oggi. Sono manifestazioni transitorie. Tutte passeranno con questo mondo. La ragione è evidente: tutte queste “conoscenze”, essendo “imperfette” e “parziali”, saranno sostituite dalla “visione” chiara di Dio, suprema verità, così come l’uomo che, a un certo punto della sua vita, cessa di pensare e di ragionare “da bambino”, perché ha conseguito una più alta maturità. Anche se questo paragone con le fasi dello sviluppo umano, da quella del bambino a quella dell’uomo maturo, può suggerire l’idea della continuità, in effetti Paolo sottolinea il salto di qualità. Al posto della realtà parziale subentra quella “perfetta”, che ne è il compimento. Alla serie dei verbi all’imperfetto - “parlavo da bambino, pensavo da bambino,ragionavo da bambino”- si sostituisce il perfetto –“divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato” (vv.10-11). D’altra parte, tale “imperfezione” di conoscenza qui sulla terra è più che normale. Dio infatti noi non lo conosciamo e sperimentiamo direttamente, ma solo per mezzo della creazione e attraverso la penombra della fede: una conoscenza dunque indiretta, analogica, “enigmatica”, che ci presenta la realtà come fa uno “specchio” il quale, anche se perfetto (e nell’antichità non aveva certo la perfezione odierna), deforma le cose rigirandole e, per di più, ce le presenta solo nella loro fatua apparenza.

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La conoscenza “faccia a faccia” si realizzerà nell’eternità. “Allora conoscerò anch’io come sono conosciuto”. “L’affermazione conclusiva: “Ora dunque restano queste tre realtà, fede, speranza e carità, ma di tutte più grande è la carità” (v.13) da adito a interpretazioni diverse, perché incerto è il significato della particella greca “nunì” (ora) e del verbo “menei” (rimane). Si registrano tre orientamenti. Secondo il primo si sottolinea l’eternità (“queste le realtà che restano”) della fede, speranza e carità. Il verbo “menei” avrebbe, dunque, senso di durata nell’eternità e la particella il significato di “pertanto”. Ma ciò in contrasto con altri passi dell’Apostolo, quali 2 Cor 5,7, in cui si afferma la caducità della fede contrapposta alla “visione”, oppure Rm 8, 24-25 in cui si indica la transitorietà della speranza. Né serve osservare che anche nel mondo futuro rimangono fede e speranza come segno della distanza che in ogni caso resta tra l’uomo e Dio. Per il secondo orientamento la particella avrebbe senso logico di “pertanto” ed il verbo il senso di aver valore: “pertanto ciò che ha valore …” Questa soluzione facilita la comprensione del testo ma non gli rende giustizia poiché in esso si parla di permanenza dell’amore nell’eternità. Più ricercato il terzo orientamento che legge la particella in senso cronologico: nel nostro tempo è presente la realtà ultima della salvezza costituita da fede, speranza e carità, ma che ha nella carità il suo vertice. Che dire? La cosa più sensata è quella di conservare al testo il suo orientamento generale: Paolo oppone alla storicità e caducità dei carismi speciali la permanenza dell’amore. Che vi aggiunga la fede e la speranza dipende dall’influsso della triade tradizionale (fede- speranza-carità) che gli ha forzato la mano. Gli serviva per sottolineare la superiorità dell’amore. Non solo i carismi speciali, ma anche la fede e la speranza non reggono il confronto con la carità. È un argomento in più per ribadire l’eccellenza della via proposta. Sembra, invece, assente l’interesse per il carattere eterno o meno della fede e della speranza” (G Barbaglio- R. Fabris, Le lettere di Paolo, Roma 1980). Per Paolo la carità è la risposta a tre grandi domande: “come risolvere la tensioni che lacerano la comunità”; “come crescere e diventare adulti nella fede”; “come trovare in tutto ciò che passa(compresa l’esperienza religiosa) ciò che rimane.

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C ONCLUSIONE

C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro … C. Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo

vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi. Egli è Dio e vive e regna con te...

R. Amen. C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Lectio Biblica 10

La risurrezione di Cristo, fondamento della nostra fede

(Capitoli 15 e 16)

SALUTO

C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Amen. C. Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. R. E con il tuo Spirito. Breve monizione introduttiva INVOCAZIONE ALLO SPIRITO SANTO (vedi pg. 127 e seguenti)

Lettura del testo (Capp. 15 e 18

vedi suggerimenti a pg.5 Cristo morto e risorto: messaggio di salvezza Cap. 15 1 Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi 2e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l'ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!

La risurrezione di Cristo, fede. Epilogo

(Capitoli 15 e 16)

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene

(Capp. 15 e 18)

vedi suggerimenti a pg.5

Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e e dal quale siete

salvati, se lo mantenete come ve l'ho annunciato. A meno che non

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3A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che 4fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture 5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. 11Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto. La risurrezione di Cristo 12Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? 13Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! 14Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. 15Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. 16Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. 19Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. La nostra risurrezione 20Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. 22Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. 23Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. 24Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. 25È necessario infatti che egli

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regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26L'ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, 27perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. 28E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch'egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. 29Altrimenti, che cosa faranno quelli che si fanno battezzare per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro? 30E perché noi ci esponiamo continuamente al pericolo? 31Ogni giorno io vado incontro alla morte, come è vero che voi, fratelli, siete il mio vanto in Cristo Gesù, nostro Signore! 32Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo. 33Non lasciatevi ingannare: "Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi". 34Tornate in voi stessi, come è giusto, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna.

Come risorgono i morti 35Ma qualcuno dirà: "Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?". 36Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. 37Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. 38E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. 39Non tutti i corpi sono uguali: altro è quello degli uomini e altro quello degli animali; altro quello degli uccelli e altro quello dei pesci. 40Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri. 41Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle. Ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore. 42Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell'incorruttibilità; 43è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; 44è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale. Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. Sta scritto infatti che 45il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47Il primo

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uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. 48Come è l'uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l'uomo celeste, così anche i celesti. 49E come eravamo simili all'uomo terreno, così saremo simili all'uomo celeste. 50Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l'incorruttibilità. 51Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, 52in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. 53È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d'incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d'immortalità. 54Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria. 55Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? 56Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. 57Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! 58Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

Note per la comprensione del testo

L’ultimo problema affrontato da Paolo in questo lungo e complesso capitolo è quello della risurrezione dei morti, da lui stesso formulato in questo modo: “Ora se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti?” (15,12). Sfugge il motivo per cui i corinzi sostenevano una tale tesi. Può essere che l’eccessivo entusiasmo, manifestato già al cap. 4 e rimproverato dall’Apostolo, li portasse a credere che il loro stato attuale era ormai da risorti:”Già siete sazi, già siete diventati ricchi; senza di noi già siete diventati re”. Può essere pure la difficoltà

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presente nel mondo greco di ammettere la risurrezione del “corpo” considerato “la prigione e la tomba dell’anima”. La mentalità greca, influenzata dalla filosofia platonica, comportava, a questo proposito, due precisi rischi.

a. Anzitutto, quello di ridurre la risurrezione alla dottrina dell’immortalità dell’anima. Secondo la concezione greca, fondamentalmente dualista, la salvezza veniva concepita in termini di liberazione dalla materia. Che senso allora può avere la risurrezione dei corpi?

b. In secondo luogo c’era il rischio di fondare l’immortalità sui principi costitutivi dell’uomo (la parte più vera della persona umana è lo spirito, e lo spirito è per sua natura immortale), anziché sulla promessa di Dio, come fa, appunto, il messaggio biblico, che trova la garanzia dell’immortalità dell’uomo – dell’uomo intero - nella certezza di un Dio che tutto ha creato per la vita.

Se quanto detto è vero, allora l’affermazione del v.20: “ora, invece,Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti”, è quella che guida tutto il ragionamento: è posta alla fine, ma in realtà è il suo punto di partenza. Secondo l’Apostolo, è inutile ragionare in astratto, speculando sulla natura dell’uomo e sulla possibilità o meno della risurrezione dei corpi. È indispensabile, invece, partire da un avvenimento preciso, storico, realmente accaduto: Cristo è risorto. È questo fatto reale, storico, che deve prevalere sul nostro ragionamento astratto, non viceversa. Se Cristo è risorto, allora è la risurrezione che entra nel piano di Dio, non la semplice immortalità dello spirito. Il cristiano ragiona e riflette a partire dal fatto di Gesù, dalla sua vicenda storica, non a partire dalla propria cultura o dalla propria filosofia. A - Il vangelo della risurrezione di Cristo ricevuto e trasmesso (15, 1-11) “Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l’ho annunziato … Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve Cefa … Ultimo tra tutti poi apparve anche a me come a un aborto …”

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Riallacciandosi alla vivente tradizione della Chiesa, Paolo ha trasmesso fedelmente il simbolo della fede, la morte e risurrezione di Cristo. La serie delle apparizioni del Risorto si estende ben oltre Cefa (Pietro), i Dodici e i più di cinquecento fratelli. Attraverso un “poi apparve” arriva ad inglobare lo stesso Paolo come testimone oculare del Risorto. L’incontro col Risorto fu per lui la nascita, una nascita strana, perché non fu preparata da una gestazione storica, come per gli altri apostoli. Lui è “un aborto”, perché entrato nella chiesa dopo essere stato un persecutore: “Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono neppure degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. La chiusura è perentoria: “Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto”. L’unanimità apostolica non permette perciò di porre in dubbio il vangelo. B - Vanità di una vita cristiana senza la speranza nella risurrezione (15, 12-19) Col v.12 Paolo introduce le affermazioni che si facevano a Corinto e mostra con uno stringente ragionamento per assurdo che la negazione della resurrezione dei morti pone in questione la stessa risurrezione di Cristo. E fa presente tre effetti deleteri che deriverebbero: la falsità della predicazione degli apostoli (lui incluso), che ha al centro la risurrezione di Gesù, la vanità della fede dei corinzi (vv.13-15), l’impossibilità di ricevere il perdono dei propri peccati (vv. 16-18) e, più in genere, una vita sventurata: “Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (v.19). C - Risurrezione di Cristo e risurrezione dei cristiani (15, 20-28) Con un brusco passaggio al v.20 viene ripresa l’affermazione di fondo: “Ora Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Cristo, dunque, non solo è il fondamento e il garante della nostra risurrezione, ma - spiega l’Apostolo - è “primizia di coloro che sono morti”.

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Questa immagine – tipicamente biblica – suggerisce realtà importanti. Le “primizie” sono la prima parte della mietitura generalmente ormai prossima: suppongono che anche il resto dei frutti sia vicino alla maturazione. La risurrezione di Gesù indica che il processo della risurrezione degli uomini è già inaugurato. Ma oltre a questo stretto legame di prossimità, l’immagine della primizia postula anche uno stretto legame di natura: le primizie e il resto dei frutti sono della medesima specie: la risurrezione di Cristo è il modello della nostra. L’Apostolo,poi, per illustrare questo legame infrangibile di solidarietà di Cristo risorto con i cristiani, ricorre ad un parallelismo antitetico tra Adamo e Cristo: il primo è fonte di morte, il secondo fonte di vita: “Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo: prima Cristo che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo”. Sarà poi la fine, caratterizzata dalla riconsegna del regno da parte di Cristo al Padre, perché “Dio sia tutto in tutti”. Questo significa che il tempo attuale, che intercorre tra la risurrezione di Cristo e la sua parusia (il ritorno finale), è il tempo del regno di Cristo: tutte le cose devono essere a lui sottomesse. “Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (vv.25-26). La vittoria di Cristo però potrà essere completa solo se anche in tutti i membri del suo regno sarà stata debellata “la morte”. Il peccato con tutte le sue conseguenze, ultima delle quali è appunto la morte, dovrà per sempre essere vinto dal Signore Gesù. Commenta l’Ambrosiaster: “Destructio mortis, resurrectio mortuorum”(la distruzione della morte è la risurrezione dei morti). D - Aspetti contradditori in una vita senza la speranza della risurrezione (15, 29-34) Paolo cambia registro. Dall’argomentazione serrata ora passa al dialogo con i corinzi, presentando due argomenti di carattere pratico. Il primo è dedotto da una strana consuetudine in vigore presso i cristiani di Corinto, che l’Apostolo né approva né disapprova e dalla quale ricava solo un argomento “ ad hominem”: quella di “farsi battezzare per i morti “. Pare che a Corinto fosse

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invalsa la prassi di farsi battezzare anche a nome di un parente o amico defunto (probabilmente di un catecumeno, deceduto senza battesimo), per permettergli di accedere alla salvezza eterna (“battesimo vicario” viene chiamato da Tertulliano). Paolo fa riferimento a questa prassi per evidenziare che sarebbe del tutto vana se si supponesse l’impossibilità di risorgere dai morti e, quindi, l’annichilimento totale dei defunti. Il secondo argomento è preso dalla esperienza personale dell’Apostolo: a che cosa sarebbero serviti i numerosi sacrifici e i pericoli di morte da lui quotidianamente affrontati, l’aver lottato ad Efeso “contro le belve” (le guardie carcerarie?), se la risurrezione dei morti non ci fosse e tutto si riducesse al breve teatro della vita terrena? Non sarebbero allora più fortunati e intelligenti quelli che si danno ai piaceri e divertimenti del mondo? “Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo,perché domani moriremo”. Il v.34 conclude questa prima parte del discorso invitando i corinzi a non lasciarsi influenzare dall’ambiente “corrotto” in cui vivono: “Non lasciatevi ingannare: le cattive compagnie corrompono i buoni costumi. Ritornate in voi, come conviene, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna”. E - Come risorgeremo? (15, 35-49) Circa il “modo” della risurrezione, va ammirata la sobrietà dell’apostolo, che si limita ad affermare la “ragionevolezza” del mistero mediante espressive “analogie” prese dalla realtà che ci circonda, senza pretendere di indagare ciò che alla nostra mente è inaccessibile. Non sono ammesse speculazioni su un tema così importante. Secondo il modello della diatriba Paolo immagina un fittizio interrogante che gli pone due quesiti: “Come risuscitano i morti?” e “Con quale corpo verranno?” La risposta dell’Apostolo procede a gradi, ricorre a diversi paragoni ed è abilmente argomentata: a) “Stando alla prima risposta (vv. 36-38), il seme, una volta messo sotto terra (“morto”), è come se rinascesse, germinando in una pianta. È indiscutibile che esista una forte continuità tra quel seme e la pianta: da quel seme può germogliare solo quella pianta, nonostante la grande differenza tra i due. D’altronde, se già nel

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processo naturale della germinazione del seme l’uomo di fede intravede la mano di Dio, tanto più può scorgerla nella risurrezione”. b) “Il secondo paragone presuppone un elemento di continuità, fondato sull’ovvia constatazione che qualsiasi tipo di carne sia sempre carne. Ma Paolo insiste sul fatto che un conto è la carne dell’uomo e un altro quella dei diversi animali (v.39).Esiste, quindi, la possibilità che vi siano elementi di differenza all’interno di una continuità sostanziale. Una differenza analoga intercorre tra la situazione terrena di un “corpo animale” (nel senso di “dotato di un’anima”), ossia di una persona unitariamente intesa, e la situazione risorta di un “corpo spirituale”, vale a dire glorificato dallo Spirito Santo” (vv.44-46). c) “Il terzo paragone si basa sull’osservazione che la luce è sempre tale (continuità), benché la sua intensità vari a seconda che si tratti della luce dei corpi terrestri, piuttosto che quella dei corpi celesti (vv. 40-41). È chiara l’allusione, ribadita per la terza volta, alla diversità della vita terrena rispetto a quella celeste”. d) “All’argomentazione per analogia ne succede un’altra più propriamente teologica fondata sull’esistenza del “nuovo Adamo”, Cristo, di natura “spirituale”, “celeste”, “ datore di vita”, al quale i cristiani sono destinati a partecipare divenendogli conformi, così come partecipano e sono conformi alla natura del “primo Adamo”, terreno e mortale: “Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così anche porteremo l’immagine dell’uomo celeste” (v.49). In sintesi: molto probabilmente l’Apostolo pensa alla risurrezione dai morti come ad una nuova creazione. Grazie ad essa, il battezzato in Cristo viene trasfigurato dall’immagine di Adamo a quella del Risorto, nel senso che il suo “corpo naturale” viene plasmato come “corpo spirituale”. F - Vittoria completa di Dio sulla morte (15, 50-58) Questi versetti concludono rivelando il mistero: “non è possibile che carne e sangue possano ereditare il Regno di Dio”; per cui è necessario essere trasformati, sia che si sia morti o che si sia ancora vivi. Col versetto 53 non si parla più di essere trasformati ma rivestiti: “È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e

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questo corpo mortale si vesta di immortalità”. Quando questo accadrà la morte sarà vinta. Al termine di questo lungo discorso sulla risurrezione universale dei cristiani, Paolo esulta di gioia sulla sconfitta definitiva della morte, sapendo che il Cristo glorioso trasforma a sua immagine le creature risorte. Attraverso un finissimo ricamo di citazioni di passi biblici, presi dai profeti Isaia ed Osea, rivolge poi direttamente alla morte due interrogativi retorici, la cui risposta balza evidente: la morte ha finito per sempre di sterminare gli uomini e il suo pungiglione è ormai definitivamente spuntato e reso innocuo: “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (v.55). Lo scorpione inietta in chi lo tocca un veleno letale attraverso il pungiglione della sua coda. Paolo, prende lo spunto da questo esempio, per far capire quello che fa la morte: attraverso il peccato conduce a sé chi si illude di potersi salvare solo con le proprie forze, prescindendo totalmente da Dio e dalla Sua Grazia. Esprime pertanto la sua riconoscenza al Signore, che ha abbattuto il predominio della morte con l’evento pasquale: “Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (v.57). Da qui scaturisce il pressante invito dell’Apostolo a rimanere saldi nella fede: “Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (v.58). Tutto ciò che di buono, di vero, di giusto verrà da ciascuno realizzato nel corso della vita, non sarà infatti vanificato per sempre dalla morte, ma sfocerà nella beata risurrezione.

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C ONCLUSIONE

C. Preghiamo adesso come il Signore ci ha insegnato: T. Padre nostro … C. O Dio, che nella gloriosa risurrezione del tuo Figlio

hai ridato la gioia al mondo intero, per intercessione di Maria Vergine concedi a noi di godere la gioia della vita senza fine. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. Amen. C. Il Signore ci benedica, ci protegga da ogni male e ci conduca alla vita eterna. R. Amen.

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Appendice

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INNI E CANTI ALLO SPIRITO SANTO 1. VENI CREATOR SPIRITUS 1. VENI CREATOR SPIRITUS 1. VENI CREATOR SPIRITUS 1. VENI CREATOR SPIRITUS

Veni, creator Spiritus, mentes tuorum visita, imple superna gratia quæ tu creasti pectora.

Qui diceris Paraclitus, altissimi donum Dei, fons vivus, ignis, caritas et spiritalis unctio.

Tu septiformis munere, digitus paternæ dexteræ, tu rite promissum Patris sermone ditans guttura.

Accende lumen sensibus, infunde amorem cordibus, infirma nostri corporis virtute firmans perpeti.

Hostem repellas longius pacemque dones protinus; ductore sic te prævio vitemus omne noxium.

Per te sciamus da Patrem noscamus atque Filium, te utriusque Spiritum credamus omni tempore. Amen.

Vieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato.

O dolce consolatore, dono del Padre altissimo, acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell'anima.

Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore, irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola.

Sii luce all'intelletto, fiamma ardente nel cuore; sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore.

Difendici dal nemico, reca in dono la pace, la tua guida invincibile ci preservi dal male.

Luce d'eterna sapienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. Amen.

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2. VENI SANCTE SPIRITUS2. VENI SANCTE SPIRITUS2. VENI SANCTE SPIRITUS2. VENI SANCTE SPIRITUS

Veni Sancte Spititus, Vieni Santo Spirito Et emitte cælitus manda a noi dal cielo Lucis tuæ radium. un raggio della tua luce

Veni pater pauperum, Vieni, padre dei poveri Veni dator munerum, vieni, datore dei doni,

Veni lumen cordium. vieni, luce dei cuori.

Consolator optime, Consolatore perfetto, Dulcis hospes animæ, ospite dolce dell’anima, Dulce refrigerium. dolcissimo sollievo. In labore requies, Nella fatica, riposo, In æstu temperies, nella calura, riparo, In fletu solatium. nel pianto conforto.

O lux beatissima, O luce beatissima, Reple cordis intima invadi nell’intimo Tuorum fidelium. il cuore dei tuoi fedeli. Sine tuo numine, Senza la tua forza, Nihil est in homine, nulla è nell’uomo, Nihil est innoxium. nulla senza colpa.

Lava quod est sordidum, Lava ciò che è sordido, Riga quod est aridum, bagna ciò che è arido, Sana quod est saucium. sana ciò che sanguina. Flecte quod est rigidum, Piega ciò che è rigido, Fove quod est frigidum, scalda ciò che è gelido, Rege quod est devium. drizza ciò che è sviato.

Da tuis fidelibus, Dona ai tuoi fedeli, In te confidentibus, che solo in te confidano, Sacrum septenarium. i tuoi santi doni. Da virtutis meritum, Dona virtù e premio, Da salutis exitum, dona morte santa, Da perenne gaudium. Amen dona gioia eterna. Amen.

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3. EFFONDERÒ IL MIO SPIRITO3. EFFONDERÒ IL MIO SPIRITO3. EFFONDERÒ IL MIO SPIRITO3. EFFONDERÒ IL MIO SPIRITO

Rit. Effonderò il mio Spirito su ogni creatura, effonderò la mia gioia, la mia pace sul mondo. Vieni, o Spirito Consolatore, vieni effondi sul mondo la tua dolcezza. Rit.

Vieni e dona ai tuoi figli la pace, vieni e donaci la tua forza. Rit.

Vieni, o Spirito Onnipotente, vieni, e crea negli uomini un cuore nuovo. Rit.

Vieni e dona ai tuoi figli l’amore, vieni, riscalda il cuore del mondo. Rit.

4. O SPIRITO DI4. O SPIRITO DI4. O SPIRITO DI4. O SPIRITO DI DIODIODIODIO

Rit. O Spirito di Dio scendi su di noi e ricolma il cuore di grazia.

Tu sciogli il nostro cuore dal dubbio e dal dolore e dona pace ed unità, rafforza in noi la fede, ravviva la speranza e dona la tua carità. Rit.

Fa’ che rivolti al Padre col cuore e con la mente accogliamo la tua verità, fa’ della nostra vita un dono per chi attende la luce della tua bontà. Rit.

Tu donaci sapienza, che guidi il nostro cuore per compier la tua volontà, ricolmaci di grazia perché possiamo sempre servirti nella carità. Rit.

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5. VIENI SANTO SPIRITO5. VIENI SANTO SPIRITO5. VIENI SANTO SPIRITO5. VIENI SANTO SPIRITO

Rit. Vieni Santo Spirito, vieni Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli, accendi il fuoco del tuo amor. 1. Ovunque sei presente, Spirito di Dio, in tutto ciò che vive infondi la tua forza, tu sei parola vera, fonte di speranza e guida al nostro cuore. Rit. 2. Tu vivi in ogni uomo, Spirito di Dio, in chi di giorno in giorno lotta per il pane, in chi senza paura cerca la giustizia e vive nella pace. Rit. 3. Da te noi siamo uniti, Spirito di Dio, per essere nel mondo segno dell’amore col quale ci hai salvati dall’odio e dalla morte in Cristo nostro amico. Rit. 4. Sostieni in noi la fede, Spirito di Dio, e rendi il nostro amore fermento genuino per dare a tutto il mondo un volto sempre nuovo, più giusto e più sincero. Rit.

6. VIENI SPIRITO DAL CIELO6. VIENI SPIRITO DAL CIELO6. VIENI SPIRITO DAL CIELO6. VIENI SPIRITO DAL CIELO

1.Vieni, Spirito dal cielo, manda un raggio di tua luce, manda il fuoco creatore. 2. Manda il fuoco che distrugga quanto v'è in noi d'impuro, quanto al mondo vi è d'ingiusto.

3. Vieni, padre degli afflitti, o datore di ogni grazia, o divina e sola gioia. 4. O tu Dio Amore, tu la luce del mistero, tu la Vita di ogni vita.

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7. VIENI SPIRITO DI CRISTO 7. VIENI SPIRITO DI CRISTO 7. VIENI SPIRITO DI CRISTO 7. VIENI SPIRITO DI CRISTO

Rit. Vieni, vieni, Spirito d'amore ad insegnar le cose di Dio. Vieni, vieni, Spirito di pace a suggerir le cose che lui ha detto a noi.

Noi t'invochiamo, Spirito di Cristo, vieni tu dentro di noi. Cambia i nostri occhi, fa che noi vediamo la bontà di Dio per noi. Rit.

Vieni, o Spirito, dai quattro venti e soffia su chi non ha vita. Vieni, o Spirito, e soffia su di noi perché anche noi riviviamo. Rit.

Insegnaci a sperare, insegnaci ad amare, insegnaci a lodare Iddio. Insegnaci a pregare, insegnaci la via, Insegnaci tu l'unità. Rit.

8. VIENI SPIRITO SANTO8. VIENI SPIRITO SANTO8. VIENI SPIRITO SANTO8. VIENI SPIRITO SANTO

Vieni Spirito Santo manda a noi dal cielo i tuoi santi doni. Vieni Spirito della vita, vieni Spirito dell'amore, dona gioia ai nostri cuori. Vieni Spirito Santo...

Tu dei poveri sei la grazia Tu dei deboli sei la forza Tu dell'uomo sei la speranza.

Vieni Spirito Santo... Vieni Spirito della luce, vieni Spirito della gioia, vieni in mezzo alla Tua Chiesa. Vieni Spirito Santo... Tu sei la luce alle nostre menti, Tu sei fiamma ai nostri cuori, Tu sei guida ai nostri passi. Vieni Spirito Santo...

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INDICE

Presentazione ................................................................................................pg. 3

La lettura Biblica in Famiglia ..................................................................pg. 4

Suggerimenti per l’utilizzo del sussidio ..................................................pg. 5

Introduzione ..................................................................................................pg. 7

Lectio Biblica

1. Prologo. Divisioni nella comunità. La Parola della Croce. Sapienza umana e sapienza cristiana (1,1-2,16) .............................. pg. 19 2. Statuto e compito degli Apostoli, ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio (3,1 - 4,21) ....................................... pg. 31 3. Immoralità sessuale e disordini giudiziari. Glorificate Dio nei vostri corpi (5,1-13 - 6,1-20) ............................ pg. 43 4. Matrimonio e verginità: ciascuno riceve il suo dono particolare (7,1-40) ....................................................................... pg. 53 5. La carità, criterio della libertà cristiana I diritti di un apostolo: l’esempio di Paolo (Capp. 8 -9) ................. pg. 65 6. Avvertimento contro l’idolatria - Fare tutto per la gloria di Dio (10, 1-33 - 11,1) .............................. pg. 75 7. La celebrazione eucaristica (11,17 - 34) ............................................ pg. 83 8. I doni dello Spirito: unità nella diversità (12,1-31 e 14,1-40) ....... pg. 91 9. Primato ed elogio della carità (13, 1-13) .......................................... pg. 105 10. La risurrezione di Cristo, fondamento della nostra fede. Epilogo (Capp.15-16) ............................................................................ pg. 113

Appendice Inni e canti allo Spirito Santo ...................................................... pg. 127

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Stampa: Ottobre 2014

___________________ Il presente sussidio è disponibile anche sul sito della Diocesi di San Miniato:

www.sanminiato.chiesacattolica.it

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Appunti

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