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Giuseppe Lotti Edizioni ETS necessità, opportunità PROGETTARE CON L’ALTRO

Progettare con l'altro

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L'accrescimento del divario tra Nord e Sud del mondo, l'intensificarsi dei flussi migratori, l'affermarsi di società sempre più plurali pongono nuove sfide al design, per traduzione, strumento di intervento nel sociale.Se è vero che dal mondo del progetto, in un'ottica necessariamente interdisciplinare, può venire un contributo in termini di sviluppo sostenibile e come supporto all'affermazione di un modello realmente interculturale, è altrettanto vero che ciò può rappresentare un'opportunità a livello di scambio di conoscenze, savoir-faire e di crescita culturale e produttiva.In tale scenario l'Italia, per posizione geografica e per naturale propensione all'incontro, può svolgere un importante ruolo; senza perdere il legame con i territori e le capacità che esprimono ma aprendosi, con intelligenza e misura, al nuovo che proviene dall'altrove.

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Giuseppe Lotti

Edizioni ETS

necessità, opportunità

PROGETTARECON L’ALTRO

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A Nora e Maddalena che lo fanno, naturalmente

Per Mohamed Bouazizi

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necessità, opportunità

Giuseppe Lotti

PROGETTARECON L’ALTRO

Edizioni ETS

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© Copyright 2012

Progetto grafico Susanna Cerri

Edizioni ETSPiazza Carrara 16-19, I-56126 [email protected]

Distribuzione: PDEISBN 978-884673343-6

www.edizioniets.com

Referenze Fotografiche:Flavia Veronesi e Stefano Visconti www.itacafreelance.it: pp. 8, 14, 18, 19, 42, 45, 47, 50, 64-65, 138Maziar Boostandoost: pp. 22-23Marco Marseglia: pp. 68, 69, 72.

Alcuni dei progetti e delle ricerche presentati in questo libro nascono nell’ambito del Dipartimento di Tecnologie dell’Architettura e Design “P. Spadolini” e dei corsi di Disegno Industriale e Magistrale in Design della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze.

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necessità, opportunità

Giuseppe Lotti

PROGETTARECON L’ALTRO

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Al momento dell’imbarco fate che

Seneca, 4 a.c.-65 d.c.

S’è fatta notte, e i barb ari non sono più venuti.

Era una soluzione, quella gente.Kostantinos Kavafis, 1908

Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più.

E adesso, senza barb ari, cosa sarà di noi?

in viaggio se stesso.il viaggiatore abbia cura di non portare

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Al momento dell’imbarco fate che

Seneca, 4 a.c.-65 d.c.

S’è fatta notte, e i barb ari non sono più venuti.

Era una soluzione, quella gente.Kostantinos Kavafis, 1908

Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più.

E adesso, senza barb ari, cosa sarà di noi?

in viaggio se stesso.il viaggiatore abbia cura di non portare

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Il mondo del progetto e, in particolare, il design hanno sempre avuto la capacità di anticipare

i fenomeni della società. Addirittura, in alcuni momenti, hanno avuto l’ambizione positiva di

determinarli, di prefigurare un modello di sviluppo e sociale alternativo.

Così è avvenuto con il Razionalismo. Già Eduardo Persico, nel suo ultimo articolo del 1935 ri-

masto incompiuto scriveva: tramite la produzione di serie, l’oggetto non è più privilegio di

pochi ma acquista la possibilità di entrare in ogni casa, diviene protagonista della vita di ogni

giorno; il movimento per un’architettura e una decorazione moderna non ha quindi solo un

carattere estetico ma si carica di valenze politiche, economiche, morali1. Mentre nel Secondo

Dopoguerra Giulio Carlo Argan vedeva nel disegno industriale il mezzo per una qualificazione

della massa quantitativa2 e Rosario Assunto rilevava come la quantità degli oggetti fosse

strettamente collegata alla qualità di quanti con tali oggetti avranno a che fare3.

Successivamente, di fronte all’emergere in tutta la sua evidenza della società dei consumi, si

avvertono i limiti della professione del designer, che appare uno, tra i tanti persuasori occul-

ti: per Filiberto Menna siamo di fronte ad un vero e proprio ridimensionamento della figura

del designer “soprattutto se si considerano i compiti ad essi assegnati dalla cultura artistica

dell’altro dopoguerra… Restare al di fuori di questo sistema non è possibile né avrebbe senso:

l’artista lo sa e accetta di operare dentro il sistema ma per trasformarlo, anche se non più at-

traverso un’opera di redenzione totale, in cui non crede più, quanto mediante interventi circo-

scritti nell’ambito di situazioni particolari e ben determinate”4. Siano essi la prefabbricazione

1 cfr. Edoardo Persico, “La casa nuova”, scritto incompiuto, 1935, in Edoardo Persico (a cura di G. Veronesi), Tutte le opere (1923-1935), Edizioni di Comunità, Milano, 1964.2 cfr. Intervento di Giulio Carlo Argan in Testo stenografico del I° Congresso Internazionale dell’Industrial Design, 1954. in Giulio Carlo Argan (a cura di Claudio Gamba), Progetto e oggetto. Scritti sul design, Medusa, Milano, 2003.3 cfr. Rosario Assunto, L’integrazione estetica. Studi e ricerche, Edizioni di Comunità, Milano, 1959.4 Filiberto Menna, Design, comunicazione estetica e mass-media, in «Edilizia Moderna», n. 85, 1965.

Design che prende posizione

a lato: Ganesha al computer,Mahabalipuram,India

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ltro (Argan)5, la personalizzazione dell’oggetto di uso comune (Menna)6, l’”apertura” dell’opera

(Eco)7.

Poi l’Architettura Radicale ed il Controdesign, in stretto rapporto con il Movimento Studente-

sco, si fanno fautori di azioni dissacranti di denuncia contro il sistema – “è tempo di guerriglia,

è tempo che il design si esponga al vento freddo ed alle vertigini dell’ignoto, che sconfini dai

limiti – stagnanti ma sicuri – dei problemi civetta, dei problemi di distrazione, inventati dai

potenti… Bisogna rilanciare messaggi, pensieri ed eventi, ma anche oggetti espressivamente

violenti, al di là della decenza, della coerenza… il designer nudo del Duemila… sparerà nelle

foreste all’impazzata dal proprio bazooka segnali negativi che siano l’incubo delle nostre not-

ti…”8. Mentre, con la creatività di massa, si assiste al ribaltamento del ruolo del progettista

demiurgo proprio del Razionalismo: la Global Tools auspica così un mondo in cui scomparirà la

distinzione tra coloro che fanno arte da un lato e gli utenti dall’altro, in cui, come scrive Ettore

Sottsass, tutti saranno artisti, tutti costruiranno la propria casa e i propri oggetti e l’arte coin-

ciderà con la vita stessa9.

È solo negli anni ’80 che, nell’ambito di una generalizzata deregulation, anche nel mondo del

design si perde ogni pulsione di intervento sociale. Così nel Manifesto del Bolidismo: “Il bolide

verace teorizza alla rovescia, ovvero prima agisce, poi pensa… Il Bolide verace ritiene l’ideolo-

gia un freno inutile e dannoso… Il Bolide verace non muore per nessuna causa… Il Bolide ve-

race coltiva la ‘contraddizione’ come l’unica possibilità di adeguamento a velocissimamente

mutatesi condizioni… il Bolide verace è un Bolide verace ma se ne frega di esserlo”10.

Negli anni ’90, di fronte all’urgenza delle problematiche sociali (la recessione economica, il

senso di colpa nei confronti dei problemi dei Sud del mondo) e, soprattutto, ambientali (la

crisi energetica, le conseguenze di un’economia basata sull’usa e getta), il design recupera

parte della tensione sociale che, da sempre, gli è propria. Le implicazioni di carattere ambien-

tale richiedono un ripensamento tra quanti, a vario titolo, si interessano al design. I motivi

appaiono evidenti: come progettista degli oggetti che ci circondano e, sempre più spesso, ci

5 cfr. Giulio Carlo Argan, Progetto e destino, il Saggiatore, Milano, 1965.6 cfr. Filiberto Menna, La linea analitica dell’arte moderna. Le figure e le icone, Einaudi, Torino, 1975.7 cfr. Umberto Eco, Opera aperta. Forme e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, Milano, 1962.8 Alessandro Mendini, Oggetti a uso spirituale, «Domus» n.535, 1974.9 cfr. Ettore Sottsass, Creatività pubblica, «Domus» n.368, 1973.10 Maurizio Castelvetro, Bolide verace, 1986 (inedito).

a lato:Yves Béhar, OLPCOne Laptop Per Child,Fuse Project

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ltro assediano il designer appare corresponsabile del disastro ambientale e, parallelamente, con

il proprio lavoro può contribuire a risolverlo. Una condizione, quella del designer che, dopo la

fine dei grandi racconti, propria della Postmodernità, è necessariamente quella di “demiurgo

debole”11.

Rimane da capire in che cosa si concretizzi oggi l’impegno sociale del design.

Sicuramente una sfida decisiva è ancora e sempre più rappresentata dalle problematiche

ambientali. Negli ultimi anni, anche per effetto della crisi economica, l’attenzione verso l’e-

cologia è in crescita tra i progettisti e, in modo minore, tra le aziende. In Italia un contributo

importante è venuto dalla scuola milanese e, in particolare, dal lavoro teorico e di ricerca di

Ezio Manzini12.

Parallelamente l’altra tematica importante sul piano sociale è rappresentata dal confronto

interculturale. Le disparità tra Nord e Sud del mondo, i crescenti flussi migratori, l’affermarsi

di una società inevitabilmente plurale sono sotto gli occhi di tutti. Ma ciò ha, solo in parte,

avuto effetti nel mondo del design. Si assiste semmai ad una contaminazione strettamente

linguistica – materiali, forme e colori – che, solo raramente, è legata ad una consapevole presa

di posizione sul piano sociale.

Eppure, come espressione materiale dei rapporti interpersonali, il design può farsi attore di

mediazione verso la scelta interculturale – intesa nella sua accezione più contemporanea

come confronto paritetico tra alterità a partire da fondamenti condivisi.

E, in un tale contesto, l’Italia può giocare un ruolo importante.

Per una vocazione naturale allo scambio: gli italiani sono per storia e tradizione popolo di mi-

granti. Ma anche per lo spazio che il nostro paese occupa dal punto di vista geografico, come

diaframma tra Nord e Sud del mondo.

Così Stefano Boeri: “Eppure… il grande e profondo motore del design italiano può oggi riparti-

re. Può tornare a pompare forme e soluzioni, alimentandosi di esperienze pratiche e di nuove

tecnologie, sfornando prodotti ad alto valore estetico e simbolico. Purché si abbandoni una

volta per tutte una compiacente nostalgia (che favorisce solo coloro che sopravvivono grazie

alla celebrazione di un mito) e si accetti di guardare in faccia la nuova realtà delle nostre città.

11 cfr. Ezio Manzini, Artefatti. Verso una nuova ecologia dell’ambiente artificiale, Domus Academy, Milano, 1990.12 cfr. Carlo Vezzoli, Ezio Manzini, Design per la sostenibilità ambientale, Zanichelli, Bologna, 2007.

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Progettare con l’altro Design che prende posizione

Che sono oggi la culla di grandi società cosmopolite, dove non solo le pratiche del consumo

e gli stili di vita sono plurali, ma anche le tradizioni artigianali e i bisogni sono molto più arti-

colati e complessi di tre decenni fa… è la sperimentazione, in una città mondo, dell’idea che

il design possa tornare ad essere un fattore di coesione e integrazione sociale e culturale”13.

Tutto ciò può avere ripercussioni importanti anche in ottica di mercato. Con Lidewij Edelkoort,

una delle più importanti trends forecaster al mondo: “La gente è stufa di trovare gli stessi

negozi, gli stessi marchi, lo stesso gusto ovunque… Il ‘global style’ non esiste, è stato creato

dalle aziende ma non funziona più quando i consumatori viaggiano molto. La gente cerca

sempre di più l’esperienza unica, personale e quindi il gusto e il cibo veramente locali, per

riqualificare l’esperienza di viaggio… Come nel XVIII secolo ci fu una reazione alla serializzazio-

ne industriale in Inghilterra, e la nascita del movimento degli Arts & Crafts, così anche oggi la

gente vuole soluzioni appositamente create per sé, coniate su misura del proprio desiderio”. E

relativamente al ruolo dell’Italia, alla domanda se questa potrà occupare una posizione in pri-

mo piano: “…in teoria sì perché gli skills artigianali, per ora, in Italia ancora ci sono. Purtroppo

però il livello dell’educazione nel settore del progetto e della moda, fatte poche eccezioni, non

è alto, e i nuovi talenti non sono sostenuti come in altri Paesi. C’è una grande americanizza-

zione del Paese, anche sostenuta da una tv spazzatura che impera e ha effetti negativi sull’i-

talianità intesa come senso innato del bello. Dall’altro lato, sostenere l’italianità non significa,

come invece purtroppo accade, chiudersi allo straniero. È assolutamente necessario che, per

crescere, l’Italia comprenda e accetti le migrazioni di massa e ne tragga tutti i possibili van-

taggi a livello di interscambio culturale, estetico e di gusto. La capacità di aprirsi e accettare il

nuovo sarà la chiave del futuro successo del made in Italy”14.

Vittoria Franco, a proposito delle problematiche implicate dalla società multietnica, parla così

di “Sfida creativa verso l’altro”15, un’espressione sicuramente efficace anche per il tema og-

getto di questo testo.

13 Stefano Boeri, “Il design, la città e i desideri”, in Stefano Boeri, Lucia Tozzi, Stefano Mirti (a cura di), Geodesign. La mobilitazione dell’intelligenza collettiva. 48 progetti per Torino, Abitare Segesta, Milano, 2008, p. 8.14 In Laura Traldi, Il design? Mai più ovvio e banale, «Interni» n.589, 2008.15 cfr. Vittoria Franco, Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio, Donzelli, Roma, 1996.

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Indice

Design che prende posizione

La sfida dell’interculturalità

Campi meticci

Design con i Sud del mondo

Progetti vicini

Il ruolo dell’Italia

Sistema Italia e sfida verso l’Altro

Attorno al Mediterraneo

I Sud hanno molto da insegnare

Bibliografia

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2012

in Pisa dalle Edizioni Edizioni ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa

info@edizioniEdizioni ETS.com

www.edizioniEdizioni ETS.com

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L’accrescimento del divario tra Nord e Sud del mon-do, l’intensificarsi dei flussi migratori, l’affermarsi di società sempre più plurali pongono nuove sfide al design, per tradizione, strumento di intervento nel sociale.Se è vero che dal mondo del progetto, in un’ottica necessariamente interdisciplinare, può venire un contributo in termini di sviluppo sostenibile e come supporto all’affermazione di un modello realmente interculturale, è altrettanto vero che ciò può rap-presentare un’opportunità a livello di scambio di conoscenze, savoir-faire e di crescita culturale e produttiva.In tale scenario l’Italia, per posizione geografica e per naturale propensione all’incontro, può svolgere un importante ruolo; senza perdere il legame con i territori e le capacità che esprimono ma aprendosi, con intelligenza e misura, al nuovo che proviene dall’altrove.

Giuseppe Lotti, ricercatore, è docente di Disegno Industriale all’Università di Firenze e vicepresidente del Corso di Laurea in Disegno industriale. È autore di pubblicazioni sul design e curatore di mostre in Italia e all’estero. Dal 2010 è direttore del Centro Studi Giovanni Klaus Koenig.

ISBN 978-884673343-6