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Valutazione di protocolli infermieristici in area cardiologica. di : Emanuele Brunini
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Università degli Studi dell’Insubria – Facoltà di
Medicina e Chirurgia
CORSO DI DIPLOMA UNIVERSITARIO per
INFERMIERE
VALUTAZIONE DI PROTOCOLLI INFERMIERISTICI
DI AREA CARDIOLOGICA
RELATORE:
D.D.S.I. Maria José Rocco
STUDENTE:
Emanuele Brunini
anno accademico 2002/03
Ringraziamenti Ringrazio mio padre, mia madre, mio fratello, la relatrice Maria José Rocco per
l’enorme aiuto, sostegno e pazienza donatomi per questa tesi.
2
INDICE
INTRODUZIONE •5
PARTE PRIMA
I PROTOCOLLI INFERMIERISTICI
1. Economia e qualità: standardizzazione o personalizzazione? •11
2. Risvolti operativi e gestionali •16
2.1 L’accreditamento delle strutture sanitarie •17
2.2 L’accreditamento in regione Lombardia •24
3. Definizione terminologica del protocollo •27
4. Caratteristiche dei protocolli
4.1 L’applicazione dei protocolli infermieristici •33
4.2 Ambiti di applicazione dei protocolli infermieristici •37
4.3 Finalità dei protocolli infermieristici •39
4.4 Elementi costitutivi del protocollo •41
5. Metodologia di elaborazione di un protocollo infermieristico •43
LINEE GUIDA E PROCEDURE
6. Le linee guida per la pratica clinica •46
7. Le procedure nella pratica clinica •55
LA VALUTAZIONE •58
8. Valutazione della qualità dell’assistenza infermieristica •62
9. Valutazione dei protocolli infermieristici •65
PARTE SECONDA
VALUTAZIONE DEI PROTOCOLLI INFERMIERISTICI CARDIOLOGICI
1. Percorso valutativo dei protocolli infermieristici cardiologici •68
2. Raccolta dei protocolli infermieristici •77
3. Valutazione dei protocolli infermieristici scelti
3
Valutazione documento n° 1 •79
Valutazione documento n° 2 •82
Valutazione documento n° 3 e n° 4 •84
Valutazione documento n° 5 •85
Valutazione documento n° 6 •88
Valutazione documento n° 7 •88
Valutazione documento n° 8, n° 9, n° 10 •91
Valutazione documento n° 11 e n° 12 •92
Valutazione documento n° 13, n° 14, n° 15 •92
ESITI DELLA VALUTAZIONE
4. Risultati •93
5. Classificazione dei documenti valutati •96
6. PROPOSTE •97
CONCLUSIONI •100
BIBLIOGRAFIA •102
ALLEGATI
n° 1 •106
n° 2 •108
n° 3 •111
n° 4 •114
n° 5 •116
n° 6 •119
n° 7 •121
n° 8 •125
n°9 •130
n° 10 •132
n° 11 •137
4
INTRODUZIONEL’attività infermieristica in Italia fino al febbraio del 1999 fu guidata da una
normativa precisa, il DPR del 14 marzo 1974, n. 225, definito anche con il
termine di mansionario.
Il primo mansionario fu approvato il 1940 con il Regio Decreto del 2 maggio,
n. 1310, “ Determinazione delle mansioni delle infermiere professionali e degli
infermieri generici ”, dove dalla sua analisi secondo le aree di attività è
predominante l’area relativa all’assistenza alle prestazioni mediche, con una
percentuale pari al 68,3 %.1
È perciò facile pensare, tenendo in considerazione questa percentuale, come
l’infermiere sia stato considerato come una figura strettamente esecutrice e
strettamente dipendente dall’attività medica.
Il primo mansionario rimane in vigore fino al 1974, vale a dire fino a quando fu
emanato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 225; nonostante questo
D.P.R. di modifica il ruolo “ esecutivo ” dell’infermiere rimane invariato. Infatti
anche nel secondo mansionario permane nella maggior percentuale ( 52,3 % )
l’area relativa all’“ assistenza alle prescrizioni mediche ”, anche se emergono tre
nuove aree:
istruzione del personale;
educazione sanitaria;
lavoro d’equipe.
1 Cantarelli, M., 1997. La professionalizzazione dell’infermiere. In: Cantarelli, M. Il modello delle
prestazioni infermieristiche. Milano: Masson, 2 – 69.
5
Emergono dunque nuove aree nelle quali l’infermiere professionale cerca una
propria autonomia operativa. L’attività mansionaristica rimane indiscutibilmente
invariata fino al 1986, dove nel gennaio e nell’aprile dello stesso anno, furono
inviate due circolari, una della Federazione Nazionale dei Collegi IP.AS.VI. ed
una del Ministero della Sanità, dopo che si crearono numerose situazioni per le
quali furono avanzati ricorsi alle vie legali, da parte dei malati o dei parenti, in
quanto gli infermieri erano chiamati sempre più a svolgere attività non
regolamentate e di competenza medica. Questo induceva l’incapacità, da parte
della Federazione dei Collegi, nel difendere i propri iscritti in causa per azioni
dunque non tutelate dalla legge.
Le circolari avevano lo scopo di ottenere dei “ chiarimenti ” sulle mansioni degli
infermieri professionali e degli infermieri generici.
Da questa richiesta da parte della Federazione dei Collegi sono conseguite diverse
reazioni a livello della comunità scientifica, sia a livello della stessa Federazione
Nazionale dei Collegi IP.AS.VI., sia nell’istituzione di una serie di gruppi di
lavoro con l’obiettivo di operare una revisione del mansionario, per predisporre un
modello che tenesse conto della realtà attuale infermieristica.
In modo particolare la Scuola Universitaria di Discipline Infermieristiche di
Milano coinvolse docenti, diplomati e studenti programmando due giornate di
studio, nelle quali furono costituiti gruppi di lavoro con lo scopo di migliorare il
quadro entro il quale la professione infermieristica si sarebbe dovuta sviluppare in
futuro.
6
Si nota perciò uno sforzo, una volontà intenta a cambiare, a disciplinare i vari
aspetti dell’esercizio della professione infermieristica in modo da promuovere la
nascita di una professione con maggior prestigio e riconoscimento sociale.
Questo sforzo, questa ricerca di un’autonomia professionale ha portato alla
definizione, nel 1994, del Profilo Professionale dell’Infermiere, cioè il Decreto
Ministeriale del 14 settembre 1994, n. 739.
Questo Decreto definisce l’infermiere ( art.1.1 ) come quell’ “ operatore sanitario
che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo
professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica ”.
Nell’articolo 1.2 vengono citate le funzioni principali del suo operato, che sono la
prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e
l’educazione sanitaria; nell’articolo 1.3 il decreto specifica in modo più delineato
le funzioni ripercorrendo il processo assistenziale infermieristico:
identificazione del bisogno;
pianificazione;
gestione, applicazione e valutazione dell’intervento assistenziale.
Da questo decreto si individua un infermiere RESPONSABILE del proprio
operato2, la cui attività è rivolta all’integrazione con altri professionisti ( in quanto
membro dell’equipe sanitaria ) o con il personale di supporto, al miglioramento
del singolo e del gruppo professionale, con lo scopo di fornire delle prestazioni
appropriate.
2 Art 1.1 “ (…) è responsabile dell’assistenza generale infermieristica. ”
7
Oggi la professione infermieristica risulta, da un punto di vista legislativo, essere
fondata da quattro pilastri portanti fondamentali:
la “ Riforma degli ordinamenti didattici universitari ”, divenuta legge il 19
novembre 1990, n. 341 che propone una formazione universitaria con un
proprio ordinamento didattico, che tuttora, a circa 10 anni di distanza, la
nuova riforma universitaria ( Decreto Ministeriale 509 / 2000 ) riconosce la
formazione infermieristica come laurea, con la possibilità successiva del
conseguimento della laurea specialistica;
il Decreto Ministeriale del 14 settembre 1994, n. 739, il Profilo Professionale,
con il quale vengono attribuite delle precise responsabilità;
il Codice Deontologico, elaborato dalla Federazione Nazionale dei Collegi
IP.AS.VI. nel 1999, con il quale si dichiara coraggiosamente l’impegno verso
la persona assistita e la comunità;
la Legge n. 42 del 26 febbraio 1999.
Quest’ultima rappresenta il vero punto di svolta per la categoria infermieristica; in
questa legge, infatti, si riconosce un infermiere professionista che opera in campo
sanitario ( quindi dotato di una teoria sistematica, di un’autorità professionale, di
sanzioni della comunità, di un codice etico e di una cultura professionale )3, si
sostituisce la denominazione “ professione sanitaria ausiliaria ” in “ professione
sanitaria ”, oltre che annulla ufficialmente il regolamento approvato con il
Decreto del Presidente della Repubblica del 14 marzo 1974, n. 225, il
mansionario, considerato l’ostacolo al processo di crescita della professione
infermieristica.3 GREENWOOD, E., 1980. Attributes of profession. IN: G.P., Prandstraller, Sociologia delle
Professioni, Roma: Città Nuova.
8
Si presenta, dunque, uno scenario in cui le varie barriere che impedivano agli
infermieri di essere realmente una professione sono state abbattute, dando la
possibilità allo sviluppo di un professionista sempre più aggiornato, competente, il
quale “ fonda il proprio operato su conoscenze valide e aggiornate, così da
garantire alla persona le cure e l’assistenza più efficaci ”4, oltre che essere un
professionista sempre più consapevole delle proprie responsabilità vissute come
un’opportunità nell’agire autonomamente, dimostrando le specifiche competenze
nel raggiungere obiettivi di salute per l’individuo e per la società.
È importante che, anche se il professionista possiede autonomia d’azione, il grado
di discrezionalità non deve essere così elevato da compromettere il risultato,
poiché non tutti dirigono i propri sforzi verso lo stesso obiettivo.
Per questo motivo è necessario utilizzare degli strumenti per:
sviluppare la professione ed esercitare un autocontrollo sulle proprie attività;
elaborare linee di indirizzo per lo svolgimento dell’attività assistenziale
efficace, efficiente e sicura, orientata al risultato e al miglioramento continuo;
convogliare lo sforzo dei singoli in univoci risultati per aumentare le
possibilità di successo;
fare valutazione degli interventi attuati consentendo quindi una valutazione
delle migliori evidenze scientifiche e non basata sulla casualità;
utilizzare in modo razionale le risorse umane e strumentali.5
4 Art. 3.1 del Codice Deontologico della Federazione Nazionale dei Collegi IP. AS. VI. del 1999.5 Rocco, M.J., La responsabilità condivisa: protocolli e linee-guida, Atti del Simposio
“ Autonomia e responsabilità degli infermieri: strumenti e strategie ” – III Congresso Nazionale,
Nursing Cuore 2000, promosso dal GITIC, Montecatini Terme, 24-25 Marzo 2000.
9
Gli strumenti che si possono utilizzare sono differenti e numerosi, ma i più diffusi
sono:
le LINEE GUIDA;
i PROTOCOLLI;
le PROCEDURE.
10
Parte Prima
I PROTOCOLLI INFERMIERISTICI
1. ECONOMIA E QUALITA’:
STANDARDIZZAZIONE O PERSONALIZZAZIONE?
In questo secolo, ed in particolare in questi ultimi decenni, la medicina e le
scienze ad essa connesse hanno avuto uno straordinario sviluppo che ha
consentito di offrire sempre più ampie possibilità di cura; ciò ha indotto un
aumento della domanda di assistenza sanitaria.
Il problema che da qualche tempo si pone è quello di conciliare la domanda con il
costo che la collettività può sostenere; significa, in altre parole, che tutti i servizi
mirati alla promozione, alla cura e alla tutela della salute devono poter essere
confrontati rispetto ai costi necessari al loro sostentamento.
In sanità, trattandosi di un servizio sociale primario, non è possibile immaginare
di contenere o selezionare drasticamente la domanda mediante estesi interventi sui
prezzi o sulla tariffa delle prestazioni. Diventa, pertanto, indispensabile, nelle
condizioni di risorse economiche limitate e con costi terapeutici ancora
relativamente elevati, intervenire sul contenuto dei costi secondo criteri di priorità,
qualità e quantità.
Tuttora la funzione infermieristica nella cultura sanitaria è sempre più connessa a
due concetti quali economia e qualità:
1. ECONOMIA, dal concetto stesso di salute che è relazionato, intensamente, ad
un concetto di economicità. E’ facile quindi dedurre come l’attività sanitaria,
in quanto attività economica, sia strettamente legata ad una valutazione
11
economica, cioè sottoposta al giudizio delle scienze economiche e da queste
può essere orientata.
Anche il Codice Deontologico della Federazione Nazionale dei Collegi
IP.AS.VI. del 1999 propone, nell’art. 2 comma 7, un professionista attento
all’uso delle risorse: “ L’infermiere contribuisce a rendere eque le scelte
allocative, anche attraverso l’uso ottimale delle risorse… ”;
2. QUALITA’. Un criterio di giudizio dell’assistenza infermieristica è
rappresentato dalla Valutazione della Qualità dell’Assistenza Infermieristica
( V.Q.A.I. ), la quale rientra nel più ampio processo di Verifica e Revisione
della Qualità dell’assistenza sanitaria e delle cure mediche ( V.R.Q. ), la cui
area d’interesse abbraccia, quindi, tutti i livelli professionali ed organizzativi
sanitari. In particolare, la qualità della prestazione sanitaria è costituita da una
dimensione oggettiva ( o tecnico-professionale ) e, soprattutto, da una
dimensione soggettiva, riferita alla soddisfazione del cliente, dove dunque una
posizione di centralità viene assunta dalla percezione dell’utente, percezione
che nell’arco dell’evoluzione comporta un aumento della domanda di qualità
dell’assistenza da parte di cittadini che diventano sempre più coscienti ed
informati sui propri diritti esigendo, dunque, un’assistenza sanitaria, se non
perfetta, almeno soddisfacente ai propri bisogni.
Infatti, le aree della qualità nell’Azienda Sanitaria sono orientabili a:
gli Utenti / clienti, ovvero la Qualità percepita, riguarda tutti gli aspetti che
l’utente-cliente è in grado di cogliere “ con competenza ”, attraverso la
sua esperienza diretta negli ambienti e nel rapporto con le persone;
12
le Risorse, ovvero la Qualità gestita, riguarda tutti gli aspetti organizzativi
che determinano il funzionamento dei processi lavorativi;
la Professionalità degli operatori, ovvero la Qualità erogata, è quella che
sta più a cuore al personale medico e infermieristico poiché riguarda
essenzialmente l’attività nei processi clinici6.
In quest’ottica appare pertanto evidente l’importanza di valutare la qualità
dell’assistenza sanitaria che si è in grado di fornire agli utenti; il
miglioramento della qualità dell’assistenza infermieristica deve essere
considerato come il tentativo di superamento dell’inadeguatezza delle
prestazioni d’assistenza infermieristica con lo scopo di migliorare l’assistenza
stessa, abbandonando la tradizione che non si fonda su basi scientifiche,
applicando invece il processo di assistenza infermieristica che consiste
nell’individuazione dei problemi in base ai bisogni della persona, nella
pianificazione degli interventi capaci di risolvere i problemi di pertinenza
infermieristica identificati, nell’attuazione e, infine, nella valutazione degli
interventi eseguiti e dei risultati raggiunti, basando il tutto sulle migliori
evidenze scientifiche correnti.
I principi d’economicità e di qualità si traducono operativamente nella ricerca di
efficienza7 ed efficacia8 dei servizi sanitari; in modo particolare da un lato è
necessario apportare interventi spinti nella standardizzazione dei processi di
lavoro, volta ad acquisire l’efficienza tecnica, ossia l’attuazione e il 6 Argentino, M., L’importanza della qualità nell’assetto dell’azienda, Atti del Seminario “ I nuovi
modelli organizzativi ed i rapporti con l’utenza: il ruolo del personale infermieristico ” – Busto
Arsizio, 12 settembre 1997.7 Capacità di raggiungere risultati attesi con il minor costo possibile.8 Capacità potenziale di un intervento di modificare lo stato di salute delle persone.
13
potenziamento delle operazioni produttive che permettono di raggiungere un
determinato scopo a minor costo.
La standardizzazione dei processi rappresenta il passaggio successivo alla
standardizzazione delle risorse. Quest’ultima, concretizzabile nella definizione, in
termini di tipo e quantità, delle risorse da impiegare per lo svolgimento di una
determinata attività, costituisce la prima tappa della standardizzazione in ambito
sanitario poiché le risorse, nella maggioranza dei casi, sono l’aspetto più semplice
da uniformare oltre al fatto che la standardizzazione delle risorse è il requisito
precedente alla standardizzazione dei processi. La standardizzazione dei processi
consiste nell’uniformare le modalità operative utilizzate per la realizzazione di
una determinata attività.
L’assistenza infermieristica si confronta dunque con temi quali standardizzazione
e riorganizzazione per processi.
Le finalità dei protocolli infermieristici appaiono compatibili con l’approccio
indotto da tali temi, “ a condizione che siano rispettati i vincoli impliciti nella
natura professionale ed etica dell’attività infermieristica ”, in quanto
“ l’assistenza infermieristica risponde a tutto l’uomo e non solo ad una parte di
esso e promuove approcci olistici e non parcellizzati alla salute ”9, oltre che
questi strumenti rappresentano una modalità operativa importante indicata per la
gestione, valutazione e miglioramento della qualità, non solo in ambito sanitario,
ma anche tecnico ed amministrativo.
La standardizzazione può apparire in contrasto con il requisito fondamentale delle
prestazioni erogate dai professionisti in ambito sanitario, cioè la personalizzazione 9 Motta, P., 1998. Protocolli infermieristici: un inquadramento concettuale e metodologico.
Nursing Oggi, 4, pag. 31.
14
dell’intervento assistenziale. Il concetto della personalizzazione delle prestazioni
si basa nel porre sullo stesso piano la valenza clinica con la dimensione soggettiva
dei bisogni di assistenza sanitaria che la persona manifesta; erogare dunque
un’assistenza sanitaria volta alla persona nella sua unicità e globalità. Il contrasto
evidente tra standardizzazione e personalizzazione dipende dal fatto che mentre il
primo concetto rimanda alla routine ed all’uniformità dei comportamenti, il
secondo concetto afferma la necessità di rendere coerenti i comportamenti rispetto
alle esigenze della persona assistita.
Standardizzare, però, non assume un significato voluto dalla riduzione della prassi
in una routine indifferenziata impersonalistica, che non tenga in giusta
considerazione l’individualità, la soggettività e la dignità della persona che si
assiste, con il rischio di provocare una disumanizzazione, una depersonalizzazione
della persona assistita; la standardizzazione può assumere rilevanza professionale
ed accettabilità morale nella misura in cui gli infermieri s’impegnano a dimostrare
l’efficacia delle proprie azioni, assicurando a tutti coloro che richiedano e
necessitano un servizio infermieristico, un elevato livello di qualità prestazionale.
Gli strumenti di standardizzazione dell’assistenza infermieristica ( linee guida,
protocolli e procedure ) si propongono, perciò, come strumenti in grado di
migliorare l’efficacia della gestione delle situazioni cliniche e di diminuire la
variabilità di comportamenti, cioè il grado di discrezionalità, dove è importante
che non sia così elevato da compromettere il risultato, poiché non tutti dirigono i
propri sforzi verso lo stesso obiettivo.
Standardizzazione e personalizzazione non devono essere considerate, quindi,
come approcci contrapposti e tra loro inconciliabili; il professionista sanitario può,
15
infatti, compiere interventi tecnicamente standardizzati senza penalizzare il livello
di personalizzazione della prestazione erogata. È possibile, dunque, concepire e
praticare l’assistenza infermieristica come attività personalizzata, rivolta alla
persona intesa nella sua totalità ed unicità e, ove possibile, standardizzata, cioè
orientata alla scelta di quegli interventi che hanno già dimostrato una reale
efficacia.
2. RISVOLTI OPERATIVI E GESTIONALI
In Italia il concetto di protocollo in campo sanitario è stato introdotto dalla legge
istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale per l’orientamento professionale del
medico, grazie alle definizioni di “ protocollo diagnostico ” e di “ protocollo
terapeutico ”. Negli ultimi anni il protocollo ha ampliato il suo ambito operativo
in Sanità anche a livello infermieristico; l’input a questo sviluppo si deve ricercare
innanzitutto a livello legislativo, dove l’emanazione di una serie di decreti e leggi
ha reso necessario l’adozione di una serie di strumenti per l’erogazione di
un’assistenza di qualità.
Il pilastro legislativo della professione infermieristica, rappresentato dal Decreto
Ministeriale del 14 settembre 1994, n. 739, propone un infermiere che oltre a
pianificare e gestire l’intervento assistenziale infermieristico lo valuta. Individua
dunque un infermiere responsabile del proprio operato, rivolto all’integrazione
con gli altri professionisti, al miglioramento del singolo e del gruppo
professionale, allo scopo di fornire prestazioni appropriate.
Tutto ciò si configura al ruolo dei protocolli, in quanto vengono considerati come
strumenti che tendono, oltre a ulteriori svariate funzioni, ad omogeneizzare i
16
comportamenti, consentendo perciò di eseguire una valutazione dell’assistenza
svolta e quindi di prendere decisioni e fare programmazione di interventi
appropriati.
Un ulteriore punto legislativo fondamentale, più recente al Decreto Ministeriale
n. 739, è rappresentato dal Decreto del Presidente della Repubblica del 14 gennaio
1997, relativo al processo di Accreditamento delle Aziende Sanitarie, che oltre a
richiamare nuovamente la valutazione e il miglioramento della qualità, individua
fra i requisiti minimi l’elaborazione e l’attuazione di alcuni protocolli e procedure.
2.1 L’ACCREDITAMENTO DELLE STRUTTURE SANITARIE
L’origine del sistema di accreditamento negli Stati Uniti risale ai 1917, anno in
cui l’American College of Surgeon emana l’” Hospital Standardisation
Programme ” con il fine di fornire un formale riconoscimento alle istituzioni con
maggiori livelli di qualità, stimolando nel contempo quelle con livelli inferiori a
migliorare la qualità delle prestazioni rese.
Lo scopo era quello di fornire alle comunità uno strumento di valutazione delle
strutture ospedaliere esistenti ma anche quello di garantire l’idoneità delle
strutture al lavoro dei medici.
Ciò è dimostrato anche dalla constatazione che tre dei cinque standard previsti
erano diretti a definire un ambiente in cui i medici potessero esplicitare al meglio
la loro professionalità.
Nel corso degli anni aderiscono a questa iniziativa svariate associazioni mediche e
in questo contesto, nel 1951, nasce la Joint Commission on Accreditation of
Hospitals ( J.C.A.H. ), che dopo due anni di studi pubblica i primi Standards for
17
Hospitals Accreditation, riguardanti i requisiti minimi di strutture e competenze
degli enti erogatori di servizi sanitari.
La J.C.A.H. è un organismo privato, non a fini di lucro i cui assunti fondamentali
sono:
1. la qualità dell’ospedale è legata al possesso di precisi requisiti, definiti
standard minimi;
2. gli standard necessitano di continue revisioni;
3. il credito di cui gode ogni ospedale deve essere periodicamente aggiornato;
4. è interesse preciso dell’ospedale essere valutato e accreditato.
Il principio è quello di avere un organismo esterno alle istituzioni che effettui una
valutazione non solo quantitativa ma anche sui dati di qualità e che controlli
l’adesione delle strutture agli standard fissati.
Negli anni 50 circa il 50% degli ospedali si sottopone al processo
d’accreditamento.
Il riconoscimento a livello di Stato Federale arriva tuttavia nel 1965, alcuni
standard J.C.A.H. vengono istituzionalizzati e viene data facoltà agli stati di
sostituire la regolamentazione pubblica con l’accreditamento da parte della
J.C.A.H.
Risale al 1970 la pubblicazione del primo Accreditation Manual of Hospitals.
La politica dell’accreditamento, quindi, si evolve passando dalla logica dei
requisiti minimi a quelli mirati a promuovere e mantenere una grande qualità delle
cure, attraverso l’analisi, il controllo e la valutazione delle pratiche cliniche
esistenti.
18
Negli anni che seguirono gli standard furono estesi anche alle strutture
extraospedaliere da cui l’attuale denominazione di Joint Commission on
Accreditation of Healthcare Organization ( J.C.A.H.O. )
La J.C.A.H.O. è un organismo statale, importante per due motivi:
gli interventi della commissione sono caratterizzati da serietà, correttezza e
professionalità;
dagli stessi ospedali proviene direttamente la richiesta di intervento ispettivo
della commissione, in quando l’etichetta di accreditamento è molto utile a fini
pubblicitari.
A questa commissione “ spetta il compito di elaborare i criteri di qualità e di
verificarne il rispetto da parte delle organizzazioni sanitarie, che negli Stati Uniti
sono soprattutto private e finanziate generalmente dalle assicurazioni dei
cittadini. I criteri di accreditamento della J.C.A.H.O. riguardano tutte le attività
di un ospedale, da quelle più propriamente assistenziali a quelle amministrative e
alberghiere. I criteri vengono aggiornati annualmente e diffusi capillarmente in
appositi manuali. Qualora i criteri stabiliti non vengano rispettati, le azioni messe
in atto dal governo possono spaziare dall’invito all’ospedale all’adeguamento
entro un certo periodo di tempo, fino alla revoca dell’accreditamento ”.10
Il sistema dell'accreditamento è ormai, tuttora, una realtà consolidata in molti
paesi europei ed extra-europei ed è divenuto un mezzo di controllo e di
regolazione dell'accesso al mercato sanitario.
Nella realtà italiana permane una rilevante confusione terminologica rispetto
all’accreditamento. È utile, dunque, una chiarificazione linguistica volta a
10 Casati, M., 1999. La documentazione infermieristica. Milano: McGraw-Hill, 159-160.
19
differenziare le due principali forme di accreditamento, cioè l’accreditamento
istituzionale e l’accreditamento professionale o volontario o di eccellenza.
Per accreditamento istituzionale significa dare credito ad una struttura sanitaria
che, attraverso la combinazione di elementi strutturali, tecnologici ed individuali,
“ produce servizi compatibili con criteri e standard prestabiliti, attraverso un
procedimento di verifica da parte di un’autorità o di un’istituzione ( per la sanità
è la Regione ) con il quale si riconosce il possesso di specifici requisiti,
appositamente prescritti ( leggi regionali ), per il raggiungimento di obiettivi
considerati strategici. Il procedimento si conclude nell’iscrizione in un
elenco/albo da cui possono attingere, per l’autorizzazione, altri soggetti. Tale
procedimento è obbligatorio in Italia ”.11
L’accreditamento professionale o di eccellenza è, invece, un “ processo di
autovalutazione e revisione esterna tra pari utilizzato dalle organizzazioni
sanitarie per valutare accuratamente il proprio livello di performance
relativamente agli standard prestabiliti e per attivare modalità di miglioramento
continuo della qualità ”.12
È utile questa tabella comparativa13 che specifica ulteriormente le caratteristiche
tra i tipi di accreditamento istituzionale e professionale:
CARATTERISTICHEACCREDITAMENTO
ISTITUZIONALE
ACCREDITAMENTO
PROFESSIONALE
Obiettivo Accesso al mercato Promozione della qualità
11 Orelli, A., 2003. Dall’idea di qualità alla qualità strutturata. Dibattito, 1, 13.12 Orelli, A., 2003. Dall’idea di qualità alla qualità strutturata. Dibattito, 1, 13.13 Tratta da: Di Stanislao, F., Liva, C., 1998. Accreditamento dei servizi sanitari in Italia. Torino:
Centro Scientifico Editore, pag. 35 ( modificata ).
20
regolamentato da soggetto
pagatore ( SSN ).
delle attività sanitarie e
dei relativi risultati.
Opzione Obbligatoria. Volontaria
Ricaduta Economica.Prestigio, promozione
professionale.
Livello di qualità
richiesto
Minimo, focalizzato
essenzialmente sulla
sicurezza.
Eccellente, mira
all’ottimizzazione dei
risultati.
Gestione
Istituzionale, tramite appositi
uffici e procedure
formalizzate.
Professionale, in
collaborazione con società
scientifiche e associazioni
di settore.
Modalità operativa
Ispezione per la verifica
della corrispondenza formale
dei requisiti.
Azione di consulenza,
revisioni fra pari
finalizzate alla
promozione della qualità
operativa e professionale.
Contenuti Prevalentemente istituzionali
e normativi.
Prevalentemente
professionali e scientifici.
RiferimentiNormative, regolamenti,
piani sanitari.Evidenza scientifica.
SanzioniSanzioni, sospensione del
finanziamento.Non prevede sanzioni.
Nel “ La documentazione infermieristica ” di Monica Casati14, l’accreditamento
professionale dei servizi sanitari viene definito come “ un’attività volontaria
gestita tra pari, mirante a garantire che la qualità delle prestazioni sanitarie non
scenda sotto livelli minimi ritenuti accettabili, e sia invece soggetta a un continuo
processo di miglioramento. Vengono individuati criteri specifici, considerati
14 Casati, M., 1999. La documentazione infermieristica. Milano: McGraw-Hill, 154-155
21
espressione di buona qualità e riguardanti componenti misurabili delle cure.
Questi vengono definiti da gruppi di esperti in base alla letteratura validata, alle
indicazioni delle società scientifiche, allo “ stato dell’arte ”, dall’esperienza
professionale, al fine di raggiungere definizioni che abbiano caratteristiche di
oggettività, misurabilità, riproducibilità, eticità adeguate agli obiettivi. Tali
criteri devono tener conto anche delle norme e delle disposizioni di legge
specifiche all’elaborazione delle quali prendono parte esperti delle professioni,
rappresentanti degli apparati governativi e degli utenti ”
Le radici dell’accreditamento sanitario in Italia si possono trovare nella riforma
introdotta dalla Legge 833 del 1978, art.25 capo III, in cui si fa riferimento per la
prima volta a “… requisiti minimi di strutturazione, dotazione strumentale e
qualificazione funzionale del personale, aventi caratteristiche uniformi per tutto il
territorio nazionale …”.
Dieci anni dopo, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 119, del 23 marzo
1988, afferma la necessità di “… definire gli standard medi assistenziali …e
fissare le procedure di verifica della qualità dell’assistenza tenendo conto degli
standard assistenziali definiti …”, anche se le profonde innovazioni vengono
pienamente riconosciute al Decreto Legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992, che
introduce il concetto di aziendalizzazione e finanziamento a prestazione, oltre che
inserire con l’art. 8, comma 4 e 7 anche il sistema di accreditamento e l’adozione
sistematica della verifica e revisione della qualità e quantità delle prestazioni.
Tenendo in considerazione che il sistema di qualità delle prestazioni prevede
l’utilizzo di protocolli e procedure proprio come strumenti di formalizzazione dei
comportamenti sulla base di una certa progettazione, si può ben capire come
22
questa legge sia estremamente importante per l’adozione di questa serie di
strumenti.
Anche il primo Piano Sanitario Nazionale, relativo al triennio 1994 – 1997,
considera il sistema di accreditamento un punto nodale della nuova sanità italiana,
tanto da individuare tra le priorità d’intervento il sistema di valutazione e
controllo e l’individuazione dei criteri di accreditamento delle istituzioni sanitarie.
È però il Decreto del Presidente della Repubblica del 14 gennaio 1997 che
permette di passare dalla fase propositiva ad una fase operativa.
Con tale decreto viene precisato che l’accreditamento è successivo
all’autorizzazione, la quale può essere intesa come un “ permesso ” di esercizio di
un’attività nel rispetto delle norme vigenti, e riguarda non solo le strutture private
ma anche quelle pubbliche. Inoltre, il decreto non solo individua due diverse
tipologie di requisiti ( strutturali / tecnologici e organizzativi ) ma distingue anche
tra:
requisiti minimi, specificati nel D.P.R. e finalizzati alla concessione
dell’autorizzazione sanitaria ( le Regioni conservano comunque la propria
autonomia nella definizione delle procedure dell’autorizzazione, “…le Regioni
disciplinano le modalità per l'accertamento e la verifica del rispetto dei
requisiti minimi…”, art. 2 comma 2. );
requisiti ulteriori, da definire da parte delle Regioni e finalizzati alla
concessione dell’accreditamento ( “ Le regioni determinano…gli standards di
qualità che costituiscono requisiti ulteriori per l’accreditamento di strutture
pubbliche e private in possesso dei requisiti minimi per l’autorizzazione… ”,
art.2 comma 4. ).
23
2.2 L’ACCREDITAMENTO IN REGIONE LOMBARDIA
L’accreditamento delle Strutture Sanitarie nella Regione Lombardia costituisce un
passo fondamentale verso il miglioramento della qualità dell’assistenza, e di
qualificazione degli interventi sanitari erogabili a carico del Servizio Sanitario
Nazionale.
Il processo garantisce un livello di sicurezza e di tutela del cittadino attraverso la
verifica dei requisiti già previsti dal sistema autorizzativo ( che fa riferimento ai
requisiti minimi del D.P.R. del 14 gennaio del 1997 ) e di ulteriori standard di
qualità coerenti con le scelte regionali, il cui possesso certificato è condizione
irrinunciabile per le strutture che vogliono erogare prestazioni nei diversi livelli di
assistenza.
Con la Delibera di Giunta Regionale del 6 agosto 1998, il DGR n. 6/38133
( Attuazione dell’art. 12, comma 3 e 4, della Legge Regionale 11 Luglio 1997 n°
31 ), sono stati definiti i requisiti e gli indicatori per l’accreditamento delle
strutture sanitarie della Regione Lombardia. Tale provvedimento è stato adottato
in conseguenza alla riforma sanitaria avviata con il decreto legislativo 502, che ha
previsto la definizione dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi
richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e
private. Questa delibera del 6 agosto definisce i tempi massimi per l’adeguamento
delle strutture pubbliche e private, già autorizzate ed in esercizio.15
Di notevole importanza dell’atto deliberativo sono le tabelle 1 e 2, i quali
specificano requisiti ed indicatori relativi alle procedure organizzative e alla 15 Da un minimo di 180 giorni per gli aspetti organizzativi generali a 500 giorni per quelli
strutturali e tecnologici generali e specifici.
24
formazione e valutazione del personale, che interessano direttamente la funzione
infermieristica:
PROCEDURE ORGANIZZATIVE
REQUISITO INDICATORE
Esistenza di modalità codificate per
l’accoglienza, la presa in carico e la
dimissione dei pazienti.
Presso ogni unità operativa sono a
disposizione di tutti gli operatori i
protocolli inerenti le procedure di
accoglienza, presa in carico e dimissione
del paziente.
Esistenza di modalità codificate per
lo svolgimento di attività
particolarmente critiche.
Presso ogni unità operativa sono a
disposizione di tutti gli operatori protocolli
organizzativi inerenti almeno due tra le
seguenti procedure:
Gestione delle emergenze e/o delle
evenienze cliniche più frequenti e
di maggior gravità;
Prelievo, conservazione, trasporto
dei materiali organici da sottoporre
ad accertamento;
Smaltimento dei rifiuti;
Istruzioni operative di disinfezione
e sterilizzazione;
Gestione dei farmaci.
Modalità per l’erogazione
dell’assistenza farmaceutica.
Presso ogni unità operativa sono a
disposizione: protocolli organizzativi
inerenti alla conservazione, gestione dei
farmaci, dei dispositivi medici; le
procedure per il richiamo dei farmaci e
dispositivi medici e prodotti diagnostici.
25
FORMAZIONE E VALUTAZIONE DEL PERSONALE
REQUISITO INDICATORE
Esistenza di un piano di inserimento per
gli operatori di nuovo arruolamento.
Protocollo di inserimento adottato per
tutti gli operatori inseriti nella struttura
nel periodo considerato.
Dalla lettura delle tabelle proposte nella delibera emerge chiaramente il
riferimento a protocolli e procedure, quali strumenti in grado di controllare,
all’interno del sistema organizzativo, il rispetto dei requisiti, previsti nel processo
di accreditamento, di una determinata struttura sanitaria.
In ragione di tale fatto, il processo di accreditamento risulta essere da stimolo per
promuovere, attuare o consolidare la produzione e l’implementazione sistematica
di una documentazione dell’assistenza infermieristica di tipo professionale,
riguardante ogni attività che rappresenti un requisito funzionale
dell’organizzazione.
3. DEFINIZIONE TERMINOLOGICA DEL
PROTOCOLLO
Il termine PROTOCOLLO ha origini antiche. Nel suo etimo è composto da due
parole greche “ protos ” ( primo ) e “ kolla ” ( colla ); indica il primo foglio di una
serie, dove anticamente rappresentava le regole e la memoria storica di una tribù,
di una stirpe. Era dunque costituito da un insieme di più fogli incollati in
successione tra loro e poi arrotolati, custoditi in preziosi scrigni e confermati con
simboli di sigillo, la cui valenza ufficiale e storica veniva confermata e
26
sottolineata dal materiale prezioso con il quale erano composti i fogli: papiro,
pergamena, legno o seta. Il protocollo veniva utilizzato per celebrare eventi
speciali ( quali: accordi tra regnanti, tra tribù, tra stirpi, congregazioni religiose
oppure per descrivere le modalità in cui dovevano avvenire cerimonie solenni,
come matrimoni, investiture, riti ecclesiastici, … ) tanto che anche ai nostri giorni
si utilizzano i protocolli per celebrare accordi tra Enti e Organizzazioni, accordi
per i quali sono condivisi i fini e i valori.
Il protocollo rappresenta uno strumento che trova spazio in tutti gli ambiti in cui
uno o più elementi, persone, gruppi, istituzioni, devono raggiungere determinate
finalità ed obiettivi; il termine mantiene il concetto di insieme di regole, come
anticamente, ma assume oggi in maniera preponderante delle valenze operative –
organizzative. In chiave manageriale è di fatto riconosciuto come uno strumento
operativo di integrazione del lavoro, utilizzato in tutti quei settori professionali la
cui attività di più elementi è finalizzata allo stesso obiettivo, oppure quando si
vuole rende osservabili, riproducibili e valutabili le attività, i processi, i percorsi.
Parlando di protocolli è necessario fornire una corretta definizione terminologica;
spesso il termine di protocollo viene confuso con il termine riguardante
soprattutto le procedure ma anche concernente le linee guida.
27
Questo uso improprio dei vocaboli può determinare interpretazioni errate,
progettazioni non adeguate, confusione di termini e quindi decisioni differenti da
quelle previste.
Fino a qualche anno fa in Sanità, i protocolli più diffusi sono stati quelli
terapeutici e quelli diagnostici. I protocolli terapeutici indicano “ una serie di
farmaci da somministrare seguendo un preciso schema che definisce la
successione, gli intervalli e le quantità, secondo criteri determinati, per ogni
singolo caso ”. I protocolli diagnostici indicano, invece, “ la serie di indagini a
cui si sottopongono le persone per i controlli periodici di alcune patologie ”16.
Negli ultimi anni il significato e l’ambito applicativo dei protocolli si è ampliato
in Sanità, coinvolgendo direttamente l’assistenza infermieristica, dove i protocolli
infermieristici interessano non solo l’ambito clinico - pratico, ma anche l’ambito
relativo alla formazione ed alla ricerca.
È necessario, dunque, tener presente che esistono diverse definizioni di
protocollo, espresse da Medici, Ricercatori, Docenti e Infermieri. Sono perciò
molteplici le figure che hanno proposto nel corso degli anni una definizione di
protocollo. È ancora rilevante la definizione proposta nel 1987 da tre Infermieri
Dirigenti quali Lolli A.17, Lusignani M.18, Silvestro A.19, durante il convegno
promosso dalla Scuola Universitaria di Discipline Infermieristiche nelle giornate
16 Rocco, M.J., La responsabilità condivisa: protocolli e linee-guida, Atti del Simposio
“ Autonomia e responsabilità degli infermieri: strumenti e strategie ” – III Congresso Nazionale,
Nursing Cuore 2000, promosso dal GITIC, Montecatini Terme, 24-25 Marzo 2000.17 I. I. D. dell’U.S.L. n. 28 – Bologna Nord.18 I. I. D. dell’Ospedale “ San Giuseppe ” – Milano.19 I. I. D. dell’Ospedale Civile – Udine, Presidente attuale della Federazione Nazionale dei Collegi
IP. AS. VI.
28
del 2-3 Ottobre 1987 a Milano; essi definiscono il protocollo come “ la
formalizzazione della successione di un insieme di azioni fisiche e/o mentali e/o
verbali con le quali l’infermiere raggiunge un determinato obiettivo ”.
Inoltre essi specificano come il protocollo sia “ un meccanismo di integrazione tra
medico - infermiere - organizzazione; risponde ad un criterio prevalentemente
efficientista e permette di controllare che il risultato sia raggiunto, attraverso la
stabilita conseguenzialità di azioni prefissate di cui non si stabilisce il livello
qualitativo. E’ uno strumento poco elastico ed ha efficacia solo se adoperato nel
contesto che lo ha elaborato; non ha quindi, valenza generale ma locale.
Attualmente lo troviamo prevalentemente utilizzato nei reparti o servizi di
emergenza, dove si impone velocità e coordinamento di azione in situazioni
assistenziali molto variabili, non note; in situazioni che vedono l’operatività
contemporanea di più figure professionali; in situazioni in cui si richiede la rigida
osservanza, e con priorità prefissate, di pratiche che garantiscano il controllo
delle infezioni nosocomiali, la sepsi di determinati supporti tecnologici, una
corretta utilizzazione di strumentari di vario genere ecc…”20.
Questa citazione è una delle definizioni più autorevoli e complete che possono
essere considerate per ottenere una visione iniziale dei protocolli, nonostante che
risalga al 1987. Leggendo tale definizione è possibile estrapolare alcuni concetti
che successivamente saranno ripresi da diversi autori nelle proprie citazioni e che,
inoltre, tuttora possiedono importanza rilevante nella descrizione di questi
20 Lolli A., Lusignani M., Silvestro A., 1987. Protocolli – Standards. In: Cantarelli M., Un modello
professionale per l’assistenza infermieristica. Il passaggio da un’assistenza per mansioni ad
un’assistenza per prestazioni, Atti convegno SUDI 2-3 Ottobre 1987, Milano.
29
strumenti assistenziali. In particolare il protocollo viene inteso come uno
strumento in grado di integrare l’attività medica, infermieristica e organizzativa
( quindi uno strumento di integrazione anche a carattere organizzativo ) che,
secondo un criterio prevalentemente efficientista ( tenendo dunque in
considerazione il risparmio delle risorse ), permette all’assistenza infermieristica
di raggiungere i propri obiettivi attraverso una formalizzazione della successione
di un insieme di azioni fisiche e/o mentali e/o verbali. Inoltre si individua la
valenza locale del protocollo, la capacità di permettere una valutazione
dell’attività assistenziale di interesse ( se il risultato viene raggiunto ), oltre che
stabilire le condizioni di applicazione ( “ dove si impone velocità e coordinamento
di azioni, in situazioni assistenziali molto variabili, in situazioni in cui si richiede
la rigida osservanza di pratiche ” ).
A questa definizione ne conseguono di numerose altre che, alcune, riprendono i
precedenti concetti ed altre ne propongono di nuovi; per esempio Massei A.
( 1991 ), Docente Universitario propone la necessità di aggiornamento nella
propria definizione ( “ I protocolli devono essere modificati con l’evoluzione della
conoscenza scientifica, delle tecnologie, delle modifiche di assistenza, nonché dei
modelli organizzativi adottati ”. “ E, comunque, devono essere sottoposti a
revisioni ogni tre anni. ” ).
Annalisa Silvestro ripropone, alla partecipazione del “ III Convegno Regionale
Lombardia. Protocolli e Standards. Gli infermieri di area critica si interrogano. ”
del 12 giugno 1993 a Milano, una nuova definizione di protocollo; lo definisce
come “ un modello formalizzato del comportamento professionale, che viene
elaborato collegialmente, sulla base di conoscenze scientifiche e di riscontri
30
esperienziali ”. Questa citazione, come quella di Massei A., sono molto importanti
perché individuano il protocollo come uno strumento che consente di offrire
un’assistenza infermieristica che deve essere necessariamente basata su
conoscenze scientifiche, le quali devono essere modificate nel tempo quindi
aggiornate, in quanto l’evoluzione scientifica permette di risolvere i bisogni
assistenziali in modo sempre più qualitativo. Riprende, inoltre, il concetto di
valenza locale del protocollo anche se lo propone come uno strumento
tendenzialmente flessibile che consente di responsabilizzare il gruppo che lo
utilizza. Egli cita anche l’ambito d’utilizzo, “ sia in ambito organizzativo che
assistenziale ”, e che consente di “ affrontare e trattare bisogni/problemi comuni
a più ammalati che si trovano o nella stessa unita operativa ( ad es: reparto di
unità coronaria = mobilizzazione efficace dei pazienti allettati o totalmente
dipendenti dall’infermiere ) o coinvolti nella stessa situazione assistenziale ( ad
es: mantenimento della ventilazione in paziente in criticità vitale sulla strada a
seguito di incidente automobilistico ) ” 21.
21 Silvestro A., 1994. Procedure, protocolli e standards: teoria e modalità di strutturazione.
Scenario Inserto, numero 1, pag. V-VI.
31
La definizione di protocollo ha subito perciò diverse modificazioni nel tempo; si
può affermare che si è partiti nel concepire il protocollo come la “ formalizzazione
della successione di un insieme di azioni fisiche e/o mentali e/o verbali ” ( 1986 )
fino alla sua concezione di “ modello formalizzato del comportamento
professionale ” ( 1993 ), dunque “ uno strumento di orientamento, indirizzo e
controllo del comportamento professionale ”22.
Nella definizione di protocollo considero utile tenere in principale considerazione
la definizione proposta da Paolo Motta23 ( 1998 ), che lo definisce come il “ corso
d’azione infermieristica da preferire nell’erogazione di una data prestazione, in
una data situazione ”24, “ un determinato iter diagnostico, terapeutico ed
assistenziale da attivare a fronte di una situazione clinica ” 25. Infatti, attraverso
questa definizione è facile capire cosa indica il termine di protocollo; questa
considerazione del protocollo può essere maggiormente arricchita da alcuni
concetti proposti da Claudio Spairani26( 2000 ), il quale specifica il protocollo
come “ un documento scritto che trasforma i risultati della ricerca infermieristica
in una base di conoscenza comune ”, nel quale “ sono individuati gli obiettivi, le
risorse, le procedure assistenziali, le motivazioni scientifiche che le sostengono,
gli standard di risultato e gli indicatori di verifica ”27. 22 Ferri C., Infermiere Dirigente, 1993.23 IID, Docente di Metodologia Clinica e della Ricerca Infermieristica Corso di Laurea per
Infermiere, Università Vita-Salute San Raffaele. Direttore scientifico di Nursing Oggi.24 Motta P., 1998. Protocolli infermieristici: un inquadramento concettuale e metodologico.
Nursing Oggi, numero 4, pag. 32. 25 Motta P., 2001. Linee guida, clinical pathway e procedure per la pratica infermieristica: un
inquadramento concettuale e metodologico. Nursing Oggi, numero 4, pag. 29. 26 Presidente ANIN, Coordinatore Divisione di Neurochirurgia S. Matteo, Pavia. 27 Spairani C., Lavalle T., 2000. Procedure, Protocolli e Linee Guida di Assistenza Infermieristica.
Milano: Masson.
32
Si delinea dunque la figura del protocollo come un documento composto da vari
elementi, in grado di fornire un aiuto al professionista, suggerendo una serie di
azioni elaborate con criterio ed efficacia scientifica volte nel trattamento di
bisogni riscontrabili in una determinata situazione assistenziale.
4. CARATTERISTICHE DEI PROTOCOLLI
4.1 L’APPICAZIONE DEI PROTOCOLLI INFERMIERISTICI
Nell’attivazione di un protocollo d’assistenza infermieristica è di fondamentale
importanza la condizione che rende una determinata situazione protocollabile; è
perciò indispensabile stabilire quali sono le condizioni, poiché una verifica della
loro presenza consente di attivare un protocollo infermieristico:
l’emergere di una situazione clinica delineata univocamente come ad esempio,
la preparazione ad una coronarografia o ad un certo tipo di intervento
cardiochirurgico;
la prevedibilità del / dei bisogno /i di assistenza infermieristica, della loro
modalità di manifestazione delle loro eventuali cause, in una certa situazione
specifica. Nell’esempio relativo alla preparazione della coronarografia, si
possono individuare il bisogno di igiene e di ambiente sicuro, in relazione
all’esigenza di ridurre la carica batterica dell’area cutanea che sarà la sede di
inserimento dell’introduttore arterioso, indispensabile nell’esame
coronarografico;
la possibilità di esplicitare uno o più risultati finali attesi dall’applicazione
dello specifico protocollo. Nell’esempio, il risultato finale può essere la
prevenzione delle complicanze infettive;
33
la possibilità di scegliere ed indicare gli atti ed azioni da eseguire e da
rispettare nel raggiungere l’obiettivo finale, specificando modalità, tempi,
risorse, … Nell’esempio, l’esecuzione della tricotomia con della crema
depilatoria;
la possibilità di flessibilità del protocollo, cioè la capacità del protocollo di
essere modificato in alcune sue parti, che preveda alternative, in modo tale che
si adatti nel modo migliore alle particolari esigenze manifestate dalla persona
assistita. In sintesi la possibilità di personalizzare il protocollo;
la possibilità di indicare i criteri che consentono di valutare l’efficacia
dell’intervento del professionista.
Da questi punti è possibile dedurre alcune delle caratteristiche che il protocollo
deve rispondere per essere considerato di buona qualità, per essere quindi
considerato uno strumento che possiede la qualità necessaria affinché possa essere
introdotto nella fase di pianificazione nel processo di assistenza infermieristica al
fine di aumentare l’efficacia della prestazione sanitaria.
Le caratteristiche del protocollo possono essere così riassunte:
34
APPLICABILITA’
I protocolli sono creati all’interno dell’organizzazione
specifica in cui devono essere utilizzati: sono prodotti
dallo stesso gruppo professionale che li utilizza, hanno
quindi valenza locale e tengono in considerazione il
contesto organizzativo, cioè,
le risorse strutturali,
le risorse materiali,
le risorse umane,
presenti nella realtà specifica.
L’importanza del contesto organizzativo nella piena
applicazione del protocollo è notevole; può, infatti,
succedere di avere a disposizione protocolli che
propongono sequenze di comportamenti non attuabili,
o l’uso di materiali non disponibili, o sequenze di atti
da libri di testo.
COMPLETEZZA
Deve innanzitutto avere la possibilità di essere
applicato a tutti i casi per il quale è stato previsto, oltre
che un protocollo completo è quando possiede tutti gli
elementi costitutivi relativi alla struttura grafica.
PERTINENZADeve possedere una corretta formulazione in base agli
obiettivi generali e specifici.
CONDIVISIBILITA’
Deve essere accettato dal maggior numero possibile di
professionisti per aumentare la probabilità di essere
sistematicamente applicato.
Essere condiviso, discusso ed accettato da tutti e non
imposto è il presunto fondamentale perché non sia
rifiutato.
35
CONCISIONEDeve avere una descrizione essenziale ed essere di
facile consultazione, nonostante la presenza di tutti gli
elementi.
CHIAREZZA
Non deve consentire nella sua applicazione dubbie
interpretazioni, le differenze d’interpretazione devono
essere il più possibile limitate; deve essere scritto con
linguaggio chiaro e comprensibile dove le sigle devono
essere esplicitate per esteso.
ACCURATEZZADeve possedere la capacità di individuare carenze di
qualità e di escludere gli elementi con qualità
inadeguata.
FLESSIBILITA’
Essere modificabile, essere adattabile ad una
personalizzazione del documento, oltre che possedere
la capacità di modificarsi al modificare dei fattori
strutturali, strumentali e professionali. In pratica deve
essere modificabile nel tempo, rispetto al mutamento
del contesto organizzativo e del miglioramento delle
conoscenze.
CREDIBILITA’ Legittimata dalla metodologia utilizzata.
FONDATEZZAEssere basato sulle migliori evidenze scientifiche
disponibili relative al determinato argomento
assistenziale.
RIPRODUCIBILITA’Deve consentire di ripercorre lo stesso percorso
proposto dalle evidenze scientifiche e metodologiche al
fine di arrivare alle identiche conclusioni.
36
VALIDITA’Deve possedere la capacità di raggiungere lo scopo
prefissato.
VERIFICABILITA’
Deve consentire la necessità di essere valutato
periodicamente mediante indicatori specifici, per essere
aggiornato, e per raggiungere risultati qualitativamente
sempre migliori.
37
4.2 AMBITI DI APPLICAZIONE DEI PROTOCOLLI INFERMIERISTICI
Il protocollo, nonostante abbia valenza locale ovvero sia valido solo per il
contesto per il quale è stato creato in quanto considera le risorse, gli operatori
oltre che l’aspetto temporale e culturale di un preciso contesto, può trovare
applicazione in vari ambiti relativi all’erogazione di prestazioni assistenziali,
essendo uno strumento di lavoro in grado di tradurre conoscenze scientifiche
confermate in comportamenti osservabili e misurabili.
Può trovare applicazione in ambiti assistenziali quali:
preventivi;
curativi;
educativi;
nelle cure di mantenimento;
di sostegno;
di riabilitazione;
per interventi palliativi.
In linea generale si afferma che il protocollo è indicato durante tre momenti
dell’attività lavorativa:
nelle tecniche di routine per migliorare le azioni degli operatori dove spesso,
queste tecniche routinarie, determinano disomogeneità nei comportamenti
degli operatori rispetto ai risultati attesi e all’adeguato utilizzo delle risorse;
nelle evenienze rare e complesse;
dove risulta essere difficile orientarsi sia a livello di conoscenze che di azioni,
nelle realtà assistenziali poco o nulla conosciute.
Per definire in modo particolare quali sono le indicazioni per l’elaborazione e la
continua verifica di protocolli di buona qualità è necessario tener presente quali
situazioni patologiche hanno un maggior peso in termini di mortalità, costi ed
impegno assistenziale. È possibile ottenere un quadro indicativo di queste
situazioni grazie ai seguenti punti:
patologie che presentano una percentuale di mortalità o di complicanze
superiori ai livelli standard riconosciuti;
patologie il cui trattamento rappresenta il principale utilizzo di risorse;
patologie che richiedono l’integrazione con il territorio o con altre strutture
assistenziali, oltre che la presenza inoltre di più figure professionali in una
data organizzazione;
patologie che riguardano il maggior numero di ricoverati;
patologie che presentano una degenza superiore a quella prevista dai DRG,
oppure presentano costi interni superiori ai ricavi.28
Oltre che:
la presenza di situazioni di urgenza dove è necessario agire nel modo più
rapido, efficiente ed efficace;
nelle situazioni di incertezza in cui la decisione è lasciata alla discrezionalità
del professionista ( esempio: quanta eparina è necessaria nella eparinazione
del cateterismo venoso periferico? );
nell’introduzione di innovazioni;
in caso di attività rare in un determinato contesto ( esempio: la gestione del
catetere venoso centrale in ambiti dove viene raramente utilizzato ); 28 Venturini, M., 1999. Ruolo dei protocolli e delle linee guida in un processo di accreditamento.
Professioni Infermieristiche, numero 2, 119 – 123.
nelle pratiche con rigorosità d’esecuzione;
nel caso sia presente personale con scarsa discrezionalità ( esempio: nel caso
della pulizia di sale operatorie da parte del personale ausiliario ).29
4.3 FINALITA’ DEI PROTOCOLLI INFERMIERISTICI
I protocolli rappresentano uno strumento dalle enormi potenzialità, poiché il loro
utilizzo possiede molteplici finalità dove, però, lo scopo finale è unico ed è
rappresentato dal continuo miglioramento della qualità assistenziale offerta
assicurando alle persone assistite interventi basati sulla più recente evidenza
scientifica.
La letteratura propone una serie di funzioni che il protocollo infermieristico
possiede, dove le più comunemente citate e dal più facile riscontro pratico sono:
Omogeneizzare, uniformare i comportamenti riducendo le variabili, ossia
obbliga i professionisti ad esercitare il proprio operato nella stessa maniera,
riducendo perciò la discrezionalità personale, elemento tale da compromettere
il risultato assistenziale.
Diventa uno strumento di formazione permanente, stimola l’aggiornamento
continuo, in quanto la sua costruzione e il suo continuo aggiornamento offrono
all’infermiere una possibilità di formazione continua; la sua costruzione e
modifica comporta una fase di ricerca scientifica con la quale si possono
assumere nuove conoscenze utili nella pratica clinica.
29 Rocco, M.J., La responsabilità condivisa: protocolli e linee-guida, Atti del Simposio
“ Autonomia e responsabilità degli infermieri: strumenti e strategie ” – III Congresso Nazionale,
Nursing Cuore 2000, promosso dal GITIC, Montecatini Terme, 24-25 Marzo 2000.
Riduce la complessità.
Facilità l’inserimento di studenti e nuovi assunti, in quanto l’utilizzo di
protocolli, con i quali si basa l’attività assistenziale di un reparto ospedaliero,
faciliteranno il neoassunto e lo studente nel compito di ambientamento e
quindi di adeguamento all’attività lavorativa.
Garantisce un’assistenza sicura anche nel rispetto del ricambio di personale.
Rende osservabili, compatibili e valutabili i comportamenti del personale
infermieristico, favorisce perciò la valutazione delle pratiche assistenziali
oggetto del protocollo; il protocollo, essendo il risultato dell’accordo di più
figure professionali all’interno del reparto, costituisce un riferimento per tutti
gli operatori, i quali saranno valutati proprio in merito alla sua corretta
applicazione.
Favorisce lo sviluppo e la valorizzazione delle competenze attraverso il
coinvolgimento, il confronto e la motivazione degli operatori.
Consente di adottare comportamenti efficienti, attraverso l’utilizzo
razionalizzato delle risorse disponibili, in quanto viene identificato
precisamente il loro preciso utilizzo a precisi obiettivi.
Favorisce la diminuzione degli errori.
Tutela il personale, attraverso la dichiarazione di come s’intende svolgere la
data attività.
Favorisce l’integrazione tra diversi operatori.
Nonostante il protocollo possieda vari vantaggi, è possibile effettuare delle
considerazioni relative a rischi e svantaggi che si può incorrere nella loro
applicazione.
1. In primo luogo, si è affermato che il protocollo sono strumenti a valenza
locale, creati all’interno di un’organizzazione specifica, che tengono in
considerazione un determinato contesto applicativo; sono dunque strumenti
validi solo per il contesto per il quale sono stati elaborati e non è possibile
utilizzarli in altri settori oltre il contesto d’elaborazione.
2. Questi strumenti talvolta si presentano come rigidi elenchi difficilmente
applicabili che non lasciano spazio, in alcune situazioni, alla possibilità di
personalizzarlo per soddisfare i bisogni dell’assistito.
3. Inoltre, un punto di discussione può essere rappresentato dalla validità del
protocollo, in quanto è facile utilizzare in modo scarso e incompleto le
evidenze scientifiche relative al determinato argomento assistenziale trattato
dal protocollo.
4. Bisogna infine considerare che l’uso di protocolli potrebbe incentivare la
meccanicità nei comportamenti; ciò si riaggancia al concetto di
standardizzazione precedentemente proposto, dove si accennava al rischio
nell’instaurazione di un’assistenza impersonalistica comportando perciò ad
una divergenza nei confronti delle necessità individuali delle persone assistite.
4.4 ELEMENTI COSTITUTIVI DEL PROTOCOLLO
La struttura grafica risulta essere di fondamentale importanza, in quanto alcune
caratteristiche intrinseche del protocollo, come COMPLETEZZA e CONCISIONE,
sono notevolmente influenzate dalla strutturazione grafica, struttura che può
essere notevolmente varia e decisa all’interno del gruppo di lavoro, ma deve
contenere tutti gli elementi definiti dalla letteratura come fondamentali in un
protocollo. Inoltre, alcuni di questi elementi garantiscono quei requisiti
d’ufficialità che ciascun protocollo deve possedere per essere applicato
formalmente all’interno di un reparto.
Gli elementi costitutivi del protocollo che la letteratura propone possono essere:
titolo, che deve esplicitare immediatamente il contenuto del documento. In
genere corrisponde all’azione che si vuole protocollare;
obiettivo che si vuole raggiungere con il protocollo;
definizione dell’oggetto di attenzione del protocollo ( ad esempio: protocollo
di assistenza alla persona sottoposta a coronarografia, è necessario la
definizione di cosa si intende per coronarografia, ecc… );
materiale occorrente elencato in dettaglio, meglio se in successione d’uso;
numero e tipo di operatori coinvolti;
azioni da compiere elencate in sequenza logica indicando le motivazioni
scientifiche, gli errori da evitare, gli aspetti critici della letteratura scientifica;
categorie di soggetti, cioè precisazione della/e classe/i di soggetti ai quali si
applica il protocollo;
tempi richiesti che valuta la modalità di attuazione;
standard che si vuole raggiungere e quindi il risultato atteso dall’azione
(indispensabile per valutare il protocollo);
indicazioni delle possibili eccezioni all’applicazione;
complicanze possibili con relative misure di sicurezza;
smaltimento eventuale del materiale;
citazione per intero delle abbreviazioni presenti;
bibliografia consultata;
data di stesura e data dell’ultima revisione;
nominativi e qualifica dei componenti del gruppo di elaborazione;
timbro, firma o un qualsiasi simbolo, noto a tutti, per la validazione formale
del protocollo.
5. METODOLOGIA DI ELABORAZIONE DI UN
PROTOCOLLO INFERMIERISTICO
La stesura rappresenta un esercizio dal quale dipende fortemente la buona qualità
del protocollo, quindi rappresenta la base affinché nasca un documento in grado di
rispondere al carattere efficientista delle azioni che il documento veicola.
Rappresenta, inoltre, un esercizio del quale sono responsabili i vari professionisti
che lo utilizzano; infatti, consente di dare responsabilità al professionista nella
partecipazione alla sua stesura oltre che permettere che lo stesso professionista
accetti il documento, in quanto l’accettazione del singolo e collettiva è il
presupposto fondamentale per una qualitativa elaborazione e applicazione.
L’elaborazione di un protocollo è stato definito come “ esercizio logico,
attraverso il quale ci si appropria in modo razionale della propria pratica, la si
scompone in elementi più importanti e meno importanti, in cose note e meno
conosciute, in momenti tecnici e in atteggiamenti più soggettivi e personalizzati,
la si valuta e la si modifica per renderla sempre più consona alle proprie esigenze
professionali e ai bisogni degli assistiti ” 30.
L’elaborazione di un protocollo si basa attraverso un percorso metodologico la cui
validità consente di raggiungere un buon prodotto finale.
30 Dossier: protocolli per il Nursing. Rivista dell’infermiere. Febbraio 1986. pag. 77
La prima fase del percorso metodologico di elaborazione è rappresentata dalla
costituzione del gruppo di lavoro, il quale può essere composto da diverse figure
professionali che vanno a costituire un gruppo multiprofessionale; si consiglia un
gruppo formato da un ristretto numero di persone, nel quale andranno chiariti fin
dal principio i ruoli di ciascun elemento.
Le fasi successive che appartengono al percorso metodologico relativo
all’elaborazione di un protocollo sono molto simili alla metodologia utilizzata
anche per l’elaborazione di linee guida e procedure; si può affermare che il
percorso metodologico di tali strumenti è caratterizzato da una prima fase di
studio, a cui segue la vera e propria stesura del documento.
Infine, l’ultima fase è quella della validazione, cioè la valutazione del documento.
In particolare queste fasi possono essere:
studiare la letteratura sull’argomento, raccogliere la bibliografia più
aggiornata, valutare i risultati della ricerca;
analizzare le pratiche assistenziali esistenti;
costruire e verificare gli strumenti operativi;
redigere il protocollo;
rendere disponibile il protocollo agli operatori;
valutare il protocollo.31
Il punto analizzare le pratiche assistenziali esistenti ha lo scopo di effettuare
l’analisi di protocolli in uso in altri reparti o in altre strutture ospedaliere; infatti,
l’utilizzo di documenti di altre realtà, senza una previa valutazione critica per
31 Spairani C., Lavalle T., 2000. Procedure, Protocolli e Linee Guida di Assistenza Infermieristica.
Milano: Masson
verificare l’attendibilità, la scientificità e l’applicabilità, può comportare una serie
di grossi errori che pregiudicano l’efficienza della prestazione sanitaria.
In particolare è possibile identificare 14 fasi ben precise relative al processo di
elaborazione di un protocollo, fasi che rispondono ai criteri di analisi e studio, di
vera e propria stesura, e di validazione e valutazione precedentemente accennati:
1. “ individuazione dell’argomento o della situazione problematica che deve
essere migliorata. In questa fase può essere utile considerare variabili come
l’importanza ( frequenza, gravità, costo, ampiezza ), la risolvibilità ( risorse
disponibili, norme, impatto organizzativo, influenze esterne ), la misurabilità
( basata su dati oggettivi che possono essere misurati, verificati ). Possono
essere utili strumenti quali l’inchiesta epidemiologica, l’inchiesta sulla
soddisfazione, l’analisi delle lamentele o delle attività. In questa fase è
possibile analizzare le attività assistenziali esistenti per evidenziare le
diversità di comportamento;
2. definizione precisa del problema con tutte le sue componenti, che consenta
l’analisi delle possibili cause;
3. effettuazione di un’ampia ricerca bibliografica al fine di adottare un
linguaggio comune e verificare l’effettiva conoscenza del problema;
4. definizione degli obiettivi del protocollo in coerenza con la filosofia del
gruppo e rispettando i criteri di pertinenza, logicità, precisione, realizzabilità
e misurabilità;
5. definizione dello standard a cui si riferisce il protocollo e che si vuole
raggiungere;
6. individuazione delle risorse materiali ed umane veramente disponibili in quel
contesto;
7. descrizione della processo di lavoro specificando in una sequenza logica e
dettagliata, chi fa cosa, come, quando, con quali mezzi e perché ( può essere
una procedura all’interno del protocollo );
8. valutazione delle raccomandazioni con elenco di indicazioni da osservare nel-
l’applicazione del protocollo, pur non essendo previste dalla procedura;
9. descrizione delle complicanze eventuali che possono verificarsi in seguito
all’applicazione del protocollo;
10. valutazione delle eccezioni citando le situazioni in cui non deve essere
utilizzato il protocollo;
11. individuazione delle modalità e tempi di verifica del protocollo (delle risorse,
del processo, del risultato) e del livello di adesione da parte dell’èquipe
(individuazione di indicatori);
12. individuazione della data di revisione;
13. validazione del protocollo che consiste nella valutazione e formalizzazione
dello stesso ( frequentemente trascurata ) confermandone la validità.
Generalmente per protocolli specifici ( es. protocolli di assistenza
infermieristica ) sono gli stessi professionisti che provvedono alla validazione
attraverso organi formalizzati ( es. Commissione qualità all’interno del
Dipartimento Infermieristico );
14. diffusione del protocollo cercando la condivisione e prevedendo una strategia
d’inserimento ” 32.32 Rocco, M.J., La responsabilità condivisa: protocolli e linee-guida, Atti del Simposio “
Autonomia e responsabilità degli infermieri: strumenti e strategie ” – III Congresso Nazionale,
LINEE GUIDA E PROCEDUREDa un punto di vista strettamente terminologico il protocollo viene spesso confuso
con strumenti quali linee guida e procedure, anche se, tali strumenti, risultano
avere contenuti, caratteristiche e significati profondamente differenti.
1. LE LINEE GUIDA PER LA PRATICA CLINICA
Le linee guida rappresentano l’ulteriore strumento utile nella pratica clinica.
L’elaborazione di linee guida in molti settori della Medicina ha ricevuto una forte
spinta grazie al fenomeno dell’“ Evidence Based Practice ”, in modo particolare
grazie all’“ Evidence Based Medicine ” ( E. B. M. ), ma soprattutto da quando in
Sanità è cresciuta l’attenzione per i costi, da quando perciò l’attività sanitaria è
notevolmente condizionata da una politica risparmiatrice.
L’Evidence Based Practice e quello che da esso deriva ( Evidence Based Nursing,
Evidence Based Medicine, ecc… ) sono strettamente relazionati alle linee guida in
quanto esse rappresentano strumenti che permettono al professionista nella pratica
clinica di erogare interventi assistenziali basati sulle migliori prove di efficacia e
sicurezza; infatti, l’elaborazione di questi strumenti si basa sulla valutazione della
letteratura scientifica relativa ad una tematica di interesse, a cui segue una
selezione di ciò che può essere utile per la pratica clinica. Lo scopo principale è
quello di promuovere una pratica clinica di comprovata efficacia in modo da
rispondere al desiderio di erogazione di un’assistenza con la più alta qualità
Nursing Cuore 2000, promosso dal GITIC, Montecatini Terme, 24-25 Marzo 2000.
possibile. Il fenomeno dell’E. B. M. nasce ufficialmente nel 1992, quando un
gruppo di epidemiologi clinici dell’Università Mac Master, in Canada, effettua
una pubblicazione su Jama, con la quale viene espressa l’importanza nell’adottare
prove d’efficacia e sicurezza. Tale considerazione è ripresa in questa definizione,
dove l’E. B. M. è stato definito come “ l’utilizzo cosciente, esplicito e assennato
della migliore evidenza scientifica disponibile quando si tratta di prendere
decisioni sul singolo paziente. La pratica della medicina basata sull’evidenza
significa integrare nella maestria clinica individuale la migliore evidenza
scientifica disponibile della ricerca valida e affidabile ” 33 dove “ la migliore
evidenza deve essere quella capace di ridurre le incertezze di chi deve decidere
”34. In definitiva, l’Evidence Based Medicine propone una Medicina dove il
determinato intervento risulta essere basato su prove che garantiscono un’efficacia
prestazionale. L’Evidence Based Nursing, nata invece negli ultimi anni,
rappresenta l’applicazione dell’Evidence Based Practice nel campo
infermieristico; indica, dunque, l’assistenza infermieristica basata sulle evidenze
scientifiche, sulle prove d’efficacia e sicurezza.
La definizione di linee-guida più universalmente conosciuta, riportata e accettata è
quella fornita dall’Institute of Medicine americano nel 1992, secondo il quale le
linee guida sono “ raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte
attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere operatori sanitari e
pazienti nel decidere quali siano le modalità di assistenza più appropriate in
33 Gòmez de la Càmara, La medicina basada en la evidencia. Aspectos controvertidos. Formaciòn
Medica Continuada en Atenciòn Primaria, Marzo 1998, pag. 188.34 Granados, Es util la medicina basada en la evidencia para la toma de decisiones en sanidad?.
Formaciòn Medica Continuada en Atenciòn Primaria, Marzo 1998, pag. 145 – 147.
specifiche circostanze cliniche ”. Nel mondo sanitario italiano le linee guida
vengono considerati ufficialmente grazie al Decreto del Presidente della
Repubblica del 14 gennaio 1997, lo stesso decreto che, come accennato in
precedenza, introduce operativamente l’accreditamento delle strutture sanitarie; in
modo particolare esso precisa: “ in tutte le articolazioni organizzativo - funzionali
è favorito l’utilizzo delle linee - guida predisposte dalle Società Scientifiche o da
gruppi di esperti, per buona pratica clinica nelle varie branche specialistiche.
Inoltre devono essere predisposte con gli operatori linee - guida, regolamenti
interni che indichino il processo assistenziale con cui devono essere gestite le
evenienze cliniche più frequenti o di maggior gravità ”.
Le varie definizioni proposte nel corso degli anni suggeriscono di intendere le
linee guida come uno strumento di supporto al processo decisionale che un
professionista sanitario applica con lo scopo di risolvere i bisogni del singolo
utente, giacché tali strumenti suggeriscono le modalità d’assistenza più
appropriate in determinate situazioni cliniche. Inoltre questi strumenti devono
essere intesi come una guida da affiancare alle conoscenze e alle abilità acquisite
con l’esperienza dal professionista, e non come strumenti che rappresentino solo
come una rigida istruzione che toglie l’autonomia decisionale e operativa del
professionista.
Connesse alle linee guida sono presenti le implicazioni che questi strumenti hanno
sulla comunità poiché, oltre a costituire un’utilità per l’operatore sanitario,
rappresentano anche l’aiuto per l’utente dei servizi sanitari. Infatti, l’utente viene
messo nelle condizioni di sapere cosa attendersi in determinate circostanze.
Rappresentano anche una garanzia per l’utilizzo razionale delle risorse, il che
comporta sia un risparmio per la struttura assistenziale sia una diminuzione della
spesa sanitaria che ciascun cittadino contribuisce. In modo specifico la
dimensione sociale relativa alle linee guida viene esplicitata dall’Associazione per
la Ricerca sulla Efficacia della Assistenza Sanitaria - Centro Cochrane Italiano,
che propone le linee guida come uno strumento in grado di “ migliorare il livello
di consapevolezza dell’utenza rispetto al tipo ed alla efficacia degli interventi che
vengono offerti ”, oltre che permettere che i “ singoli pazienti non si confrontino
più solo con le opinioni di chi li assiste, ma abbiano un punto di riferimento per
esprimere nel rapporto con il medico ( e tutti i professionisti sanitari ) i propri
punti di vista, aspettative e preferenze ”. Inoltre tale associazione conferisce alle
linee guida la capacità di permettere l’acquisizione, da parte degli organismi che
rappresentano l’utenza, di un ruolo costruttivo, in quanto è necessario che tali
organismi partecipino direttamente all’elaborazione di questi strumenti, con
quindi la possibilità di “ incidere in modo positivo sui contenuti e le finalità della
ricerca medica, sulle modalità di assistenza, sugli interventi da erogare ”.
Il mondo scientifico risulta essere in completo accordo sul fatto che le linee guida
devono costituire il risultato di un processo metodologico nel quale sono integrati
elementi provenienti dalle prove scientifiche disponibili le quali, a loro volta,
devono subire un’opera di filtraggio attraverso una valutazione di professionisti
particolarmente esperti nel campo scientifico e da rappresentanti di componenti
sociali quali i pazienti, in modo da adottare completamente l’assistenza alle
esigenze e necessità della popolazione.
Le linee guida si possono distinguere in tre tipi che sono:
1. consensus based guidelines, sviluppate soprattutto attraverso processi di
consenso tra esperti con conseguente rischio che le raccomandazioni elaborate
non riflettano, in modo ottimale, lo stato delle conoscenze scientifiche
disponibili;
2. evidence based guidelines, qualora le linee-guida si basino sulle evidenze
scientifiche disponibili e siano il risultato di una revisione sistematica della
letteratura relativa all’argomento oggetto di indagine;
3. practice based guidelines, qualora, in assenza di evidenze scientifiche, le linee-
guida siano il frutto dell’opinione di singoli esperti.
L’elaborazione di queste linee guida può avvenire a due livelli: a livello locale e a
livello centrale. Quando la produzione avviene all’interno delle singole strutture
sanitarie dove, generalmente, l’elaborazione viene affidata agli operatori che
successivamente dovranno utilizzarle si parla di elaborazione ad approccio locale;
nel caso in cui l’elaborazione viene invece ad opera di esperti esterni alla realtà
clinica, come nel caso di agenzie governative, istituti di ricerca, ecc.. ( come nel
caso di Francia, Olanda, USA e Regno Unito ) si parla di elaborazione ad
approccio centrale.
L’approccio centrale, rispetto a quello locale, consente una maggiore validità
scientifica; infatti è difficile pensare che a livello locale possano essere prodotte
linee guida di buona qualità scientifica poiché spesso sono presenti situazioni di
limitatezza di risorse e competenze che non consentono lo sviluppo di documenti
qualitativamente adatti all’attività assistenziale. Questo tipo di approccio viene
inoltre “ sponsorizzato ” dal Programma Nazionale per l’elaborazione, diffusione
e valutazione delle linee guida e dei percorsi diagnostici terapeutici35, dove si
individua un processo di elaborazione articolato a livello centrale, anche se ciò
deve essere supportato da un approccio periferico, avente lo scopo di trasferire
raccomandazioni di carattere generale in raccomandazioni ad interesse delle
situazioni locali.
Il percorso metodologico nell’elaborazione delle linee guida proposto da Rocco
Maria Josè nella pubblicazione “ Evidence Based Nursing e linee guida: quale
relazione ” ( Atti del IV Congresso Nazionale Nursing Cuore 2001 promosso dal
GITIC, Montecatini Terme, 30 – 31 Marzo 2001 ), è composto da 12 fasi che,
come nel caso dei protocolli, possono essere schematizzate in 3 gruppi, ciascuno
aventi il rispettivo scopo di analisi e studio, descrizione e stesura, validazione.
Si passa perciò da una prima fase di “ Definizione del problema clinico ”, in cui
“ occorre individuare l’area prioritaria di interesse per la quale si rende
necessario la costruzione di linee guida ”, ad una seconda fase volta a costituire il
gruppo di lavoro, nel quale può essere formato da operatori sanitari, figure
professionali non sanitarie, rappresentanti dei pazienti e degli utenti.
Una volta definita la composizione del gruppo è bene passare alla “ Definizione
degli obiettivi ” e, successivamente, alla “ Revisione sistematica e sintesi delle
evidenze scientifiche ” ( terza e quarta fase ).
Ciò che differenzia in modo radicale il processo metodologico delle linee guida
rispetto a quello relativo ai protocolli è la quinta fase; in questa fase gioca un
ruolo centrale l’opinione degli esperti, che è importante sia nell’interpretazione
35 Un obiettivo del P. S. N. 1998 / 2000 è rappresentato da “ avviare un programma nazionale per
l’elaborazione, la diffusione e la valutazione di linee guida e percorsi diagnostici e terapeutici ”.
delle evidenze scientifiche sia nella formulazione di “ raccomandazioni in quelle
aree dove le conoscenze scientifiche sono carenti o molto contrastanti ”.
L’ulteriore differenza tra processo metodologico di linee guida e protocolli
emerge con la fase numero 7, dove si ritiene necessario, “ al fine di formulare
delle raccomandazioni che tengano conto dei valori sociali e culturali dei
potenziali destinatari della linea-guida, valutare, in fase di elaborazione, le
preferenze / richieste dei pazienti e/o dei familiari ”. Alla settima fase di
“ Valutazione delle preferenze / richieste dei pazienti e/o dei familiari ” segue la
“ Formulazione della strategia di disseminazione, d’implementazione, di
aggiornamento / revisione e del piano di valutazione ”, e la fase denominata
“ Peer – review ”, cioè una riesaminazione del documento da parte di “ un gruppo
di esperti esterni al panel che le ha elaborate, al fine di valutarne la validità dei
contenuti, il rigore metodologico, la chiarezza, l’applicabilità ”.
Le fasi finali sono l’“ Esperienza pilota ”, una sorta di prova formale della linea
guida nei contesti clinici per la quale è stata elaborata, e la “ Formulazione
finale ”, cioè la stesura finale del testo del documento.
Anche le linee guida, come i protocolli, possiedono dei requisiti che deve
possedere per essere considerata di buona qualità; naturalmente questi criteri
possono rappresentare dei criteri di valutazione critica per linee guida già esistenti
e possono essere riassunti attraverso la seguente tabella:
VALIDITA’
La linea guida, applicata, deve permettere di
raggiungere il proprio obiettivo in termini di
risultati attesi nel miglioramento della salute
del singolo e della collettività, il che associato
a condizioni di risparmio di risorse.
RAPPRESENTATIVITA’ / MULTIDISCIPLINARIETA’
Il coinvolgimento di diverse figure
professionali nell’elaborazione della linea
guida garantisce ad essa un elevato grado di
rappresentatività nella comunità scientifica.
FONDATEZZALa linea guida deve essere il risultato delle
integrazioni delle migliori evidenze
scientifiche con l’opinione di esperti.
APPLICABILITA’È necessario che possa essere applicabile, in
tutte le sue condizioni, all’interno della reale
pratica clinica.
FLESSIBILITA’
La linea guida deve consentire di adattare alle
specifiche situazioni cliniche locali le
raccomandazioni scientifiche in sua
costituzione, oltre che poter esplicitare in
quali e con quali modalità operative tenere in
considerazione le preferenze dei pazienti.
DOCUMENTAZIONE METICOLOSA
FORZA DI RACCOMANDAZIONE
Nella linea guida devono essere indicate, per
ogni raccomandazione, il grado di buona
qualità delle evidenze scientifiche su cui si
basano.
RIPRODUCIBILITA’
“ Una linee guida si dice riproducibile
quando partendo dalle stesse evidenze
scientifiche ed utilizzando lo stesso metodo,
due diversi gruppi di esperti giungono alle
medesime
conclusioni ”.36
REVISIONE / L’aggiornamento costituisce un elemento
fondamentale delle linee guida, con il quale si 36 Rocco M. J. Evidence Based Nursing e linee guida: quale relazione, Atti del IV Congresso
Nazionale Nursing Cuore 2001 promosso dal GITIC, Montecatini Terme, 30 – 31 Marzo 2001.
AGGIORNAMENTO
rispettano i principi relativi all’aggiornamento
e alla qualità delle raccomandazioni da
seguire in una determinata situazione
assistenziale. La linea guida deve perciò
considerare i tempi e le modalità per un suo
aggiornamento o revisione.
In definitiva, le linee guida sono strumenti che trasmettono raccomandazioni di
carattere generale volte a supportare i professionisti a prendere decisioni correlate
ad una determinata situazione clinico - assistenziale. Quindi, tali strumenti
possono essere utilizzabili, anche, come riferimento scientifico per la
predisposizione dei protocolli che, dunque, in questo caso rappresentano
l’applicazione locale della linea guida in questione.
2. LE PROCEDURE NELLA PRATICA CLINICA
Rispetto alle linee guida ed ai protocolli, le procedure infermieristiche
rappresentano la più elementare forma di standardizzazione. Questi documenti a
valenza locale, infatti, sono strumenti che conferiscono un’alta rigidità dei
comportamenti poiché costituiscono una descrizione dettagliata degli atti, disposti
in successione logica, che si realizzano in una data attività infermieristica;
possono essere contenute all’interno di un protocollo e permettono di suggerire
all’operatore sanitario le modalità ottimali nell’eseguire una tecnica
infermieristica.
Tenendo in considerazione le finalità dei protocolli infermieristici citate
precedentemente, è facile pensare a quale siano gli obiettivi dell’applicazione
delle procedure. Si osservano diverse similitudini; il concetto fondamentale è
rappresentato dal fatto che anche le procedure sono in grado di omogeneizzare i
comportamenti, in modo da ridurre la variabilità prestazionale e quindi
raggiungere un’uniformità e riproducibilità dei comportamenti. Da ciò possiamo
derivare altre finalità sempre compatibili con le funzioni del protocollo
infermieristico; anche le procedure sono in grado di ridurre la complessità,
possono garantire un’assistenza sicura giacché consentono di prevenire errori e
deviazioni, oltre che rendere valutabili i comportamenti del personale.
Si possono intendere anche come strumenti che consentono l’utilizzo
razionalizzato delle risorse disponibili ed inoltre rappresentano un valido
strumento di formazione in quanto consentono allo studente l’apprendimento di
attività.
Le procedure infermieristiche possono riguardare diverse attività; infatti, le
attività che meritano di essere oggetto di una procedura dipendono strettamente da
quando il professionista ritiene che l’elaborazione e l’applicazione di una
determinata procedura possa comportare un effettivo miglioramento dell’attività
clinica. La letteratura però propone 2 tipi di procedure infermieristiche:
Rigide.
In sintesi si può affermare che le
procedure rigide si applicano di fronte
alle seguenti condizioni:
1. situazioni semplici;
2. presenza di operatori con scarsa
autonomia o dalle caratteristiche
Orientative.
Le procedure orientative invece si
applicano in situazioni complesse in cui
è presente una chiarezza di obiettivi e di
risultati, dove gli operatori possiedono
un elevato livello di conoscenze che gli
permettono di agire con elevata
strettamente esecutrici;
3. poca chiarezza di obiettivi e di
risultati.
autonomia e responsabilità.
Analizzando le differenze tra procedure orientative e procedure rigide ci si rende
conto che le procedure possono essere applicate da due differenti tipi di operatori;
infatti, essendo strumenti rigidi, esse possono essere rivolte all’operatore che
possiede una bassa discrezionalità che quindi deve applicarla rigidamente senza
variazioni, oppure a professionisti che, attraverso valutazioni coscienti e
competenti, sono in grado di modificarla nei casi di necessità.
La costruzione di questi strumenti deve derivare anch’esso da un processo
metodologico costituito da varie fasi aventi lo scopo di individuare la situazione
assistenziale problematica, la consultazione della bibliografia specifica, la ricerca
delle migliori evidenze possibili, la stesura stessa, la definizione del periodo di
sperimentazione, la valutazione del raggiungimento degli obiettivi prefissati e
l’eventuale revisione.
In modo più specifico, Cimatti M. ( 2002 ) propone:
1. “ fase preliminare ”, d’individuazione della situazione assistenziale
problematica;
2. “ fase di pianificazione ”, nella quale s’individuano:
obiettivi;
risorse umane e materiali;
regole del gruppo di lavoro.
3. “ fase di attuazione ”, nella quale si procede alla consultazione della
bibliografia con lo scopo di ricercare le migliori evidenze sull’argomento.
4. “ fase di redazione della traccia ”, la stesura del documento in cui devono
comparire i seguenti elementi:titolo;
scopo;
obiettivi/risultato;
destinatari;
standard di risultato;
operatori coinvolti;
materiali necessari;
modalità operative;
tempi di esecuzione;
data di stesura;
data di revisione;
autori.
5. “ Fase di applicazione ”;
6. “ Fase di verifica, valutazione ”, in cui si valuta l’efficacia della procedura e il
raggiungimento degli obiettivi prefissati, con la definizione di periodi di
verifica e attraverso l’utilizzo di indicatori di misura.37
LA VALUTAZIONEResponsabilità, competenza, integrazione sono le parole chiave che identificano
l’infermiere; egli con il suo agire determina la qualità dei risultati e contribuisce a
delineare e definire con chiarezza l’immagine attuale e futura della professione.
L’infermiere è un professionista che dovrebbe svolgere un’attività assistenziale
efficace e sicura, attività proveniente da una valutazione delle migliori evidenze
scientifiche disponibili.
Ma cosa s’intende per valutazione?37 Cimatti, M., 2002. Linee guida, protocolli, procedure: metodologia di costruzione e filosofia
infermieristica. NEU, numero 3, pag. 42.
Il Vocabolario della Lingua Italiana propone la valutazione come la
“ determinazione del valore di cose e fatti di cui si debba tenere conto ai fini di un
giudizio o di una decisione, di una classifica o graduatoria ”. L’attività di
valutazione è un’attività molto complessa e di grande impegno, nonostante che
essa sia riconosciuta come una caratteristica intrinseca della conoscenza e delle
decisioni pratiche; è una caratteristica intrinseca della conoscenza perché
conoscere qualcosa significa valutarla, cioè attribuirle una valenza, un significato.
Ciò riguarda la vita ordinaria e non solo nel caso delle attività scientifiche più
complesse. In ogni giorno, in ogni attimo della vita, l’essere umano impiega
continuamente la propria capacità di elaborare dei giudizi. Per questo la
valutazione è un’attività umana sempre presente ( sia rivolta agli altri e al mondo
che ci circonda, sia rivolta a noi stessi ); un operazione intellettuale, di natura
psicologica perché si basa sul giudizio delle proprie competenze e capacità, ma
anche di natura socio - politica in quanto comporta delle decisioni che
direttamente o indirettamente confluiscono sugli altri.
È sufficientemente chiaro come la valutazione coinvolga vari aspetti di un
individuo quali conoscenze, valori e credenze; rimane perciò un fatto soggettivo
ma che può divenire attendibile se collegato alla misurazione.
Per misurazione si intende una stima, basata su regole che assicurano accuratezza
ed obiettività, con la quale si attribuiscono caratteristiche o proprietà quantitative
e qualitative a comportamenti, processi, oggetti. Si può affermare che la
misurazione fornisce dati da sottoporre alla valutazione e la valutazione, dunque,
serve a dare un giudizio di significatività ai dati proposti, cioè interpretare le
misure ed assegnare ad esse dei significati.
La valutazione si presenta come un processo formato da 5 fasi fondamentali:
1. Concettualizzazione del problema e scelta del metodo.
Si tratta di definire che cosa valutare, i risultati che si vogliono raggiungere e
quale metodo di lavoro utilizzare. Per quanto riguarda che cosa valutare, è
possibile indicare come oggetto di valutazione gli obiettivi e i contenuti che
caratterizzano quello che si sta analizzando. L’obiettivo rappresenta lo scopo
che si vuole raggiungere mediante un’esperienza. Esso va definito con
chiarezza e precisione, in modo tale da capire inequivocabilmente le
caratteristiche del risultato che si vuole raggiungere al termine di una
sequenza. È necessario però chiarire che prima di valutare il risultato è
necessario valutare tutti gli elementi che concorrono a raggiungerlo.
Per questo che si valutano:
piani di lavoro;
problemi da affrontare;
gli strumenti, per verificare la propria pertinenza con gli obiettivi da
raggiungere;
l’elaborazione e l’applicazione degli strumenti;
le singole fasi dell’attività.
Le ulteriori fasi del processo sono:
2. Raccolta delle informazioni necessarie alla risoluzione del problema;
3. Interpretazione delle informazioni raccolte;
4. Elaborazione del giudizio;
5. Comunicazione del giudizio e sua ricaduta sulle scelte.
Quest’ultima rappresenta la fase decisionale del processo valutativo che
consente di stabilire come comunicare e utilizzare il giudizio elaborato nella
fase precedente.
La valutazione infermieristica rappresenta prima di tutto una fase fondamentale
del processo di assistenza infermieristica; infatti, la valutazione viene svolta sia
sugli obiettivi centrati sulla persona assistita, al termine ipotizzato per il
raggiungimento degli obiettivi stessi, sia continua, che si svolge man mano che si
attuano interventi per verificare se si sta effettivamente procedendo nel verso
giusto man mano che si attuano interventi assistenziali.
Come citato in precedenza, lo scopo finale dell’utilizzo di protocolli è
rappresentato dal continuo miglioramento della qualità assistenziale offerta.
Questa considerazione propone l’importanza di valutare la qualità dell’assistenza
sanitaria che si è in grado di offrire agli utenti.
1. VALUTAZIONE DELLA QUALITA’
DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA
La valutazione della qualità dell’assistenza infermieristica può essere intesa come
un processo non avente lo scopo di misurare individualmente il personale
infermieristico, ma assume un significato volto al raggiungimento di obiettivi di
qualità e al miglioramento del livello dell’assistenza prestata alle persone assistite.
Rappresenta dunque un mezzo di controllo del valore del lavoro infermieristico
che consente di verificare come la qualità si evolve nel tempo e di adottare delle
misure interventistiche volte a migliorare situazioni che vanno degradandosi.
Dal punto di vista infermieristico le motivazioni che possono indurre gli
infermieri a valutare la qualità dell’assistenza infermieristica ( V.Q.A.I. ) sono
numerose. È possibile però elencare due motivi essenziali:
1. il primo è la continua crescita della spesa sanitaria dalla quale deriva una
politica di risparmio delle risorse che, se non opportunamente guidata da
professionisti della sanità, potrebbe compromettere la qualità dell’assistenza.
È importante che l’infermiere sia riconosciuto come un attore nel governo
della spesa sanitaria. L’economia sanitaria, infatti, propone generalmente il
medico come il professionista da cui dipende il consumo delle risorse in
quanto legittima la domanda e decide la risposta sanitaria; l’infermiere, però,
non svolge un ruolo meno determinate in quanto, in autonomia, decide la
risposta ai bisogni della popolazione da cui dipendono, quindi le risorse
impiegate.
2. Il secondo motivo è la discrepanza tra la qualità dell’assistenza infermieristica
teoricamente erogabile e la qualità che realmente è erogata. La valutazione
della qualità diventa uno strumento per migliorare la propria professionalità
perché solo il professionista che misura e confronta i risultati della propria
pratica con quelli attesi è in grado di riscontare eventuali differenze
identificandone le cause e ponendo la misura di miglioramento.
È possibile considerare altri due motivi che possiedono una rilevanza ed
importanza. La valutazione della qualità dell’assistenza infermieristica coinvolge
anche una motivazione etica e di sicurezza, in quanto ciascun persona ha il diritto
di ricevere il più alto livello di assistenza infermieristica fornita da infermieri con
un patrimonio di competenza e di professionalità. Inoltre, è dovere dell’equipe
infermieristica erogare un’assistenza sicura eliminando le prestazioni
inappropriate, inutili e nocive.
Per migliorare la qualità è necessario definire gli strumenti concettuali che si
devono utilizzare per la valutazione:
i criteri di valutazione;
gli indicatori in grado di oggettivare il fenomeno preso in esame;
gli standard.
Il criterio è la variabile in gioco che deve essere presente necessariamente per
formulare il giudizio. Secondo molti autori il criterio deve possedere alcune
caratteristiche riassumibili con l’acronimo CROMO, ovvero il criterio deve
essere:
C comprensibile;
R ragionevole, cioè condiviso da tutti;
O osservabile;
M misurabile;
O ottenibile.
L’indicatore è un elemento empirico che deve permettere di rilevare e misurare i
processi assistenziali nel loro insieme d’azioni e risultati. Si tratta di un dato che
permette di tradurre quantitativamente una situazione. Gli indicatori sono
numerosissimi e dipendono da “ cosa ” si sta cercando di misurare. Essi possono
fare riferimento agli aspetti strutturali ( indicatori di struttura ), al livello
qualitativo e quantitativo delle prestazioni erogate ( indicatori di processo ), ai
risultati raggiunti ( indicatori di risultato, in termini di soddisfazione dell’utente,
miglioramento dell’autonomia nel soddisfazione dei bisogni di assistenza
infermieristica, … ). Per standard si intende il valore di riferimento, il livello che
deve essere raggiunto da una variabile per ottenere un livello di qualità, livello che
si basa su valori medi ottenuti da misurazioni effettuate su campioni di soggetti.
In sintesi procedere ad una valutazione dell’assistenza infermieristica significa:
descrivere l’attività infermieristica come dovrebbe essere a livello
ottimale;
descrivere l’attività infermieristica così come viene svolta nella realtà;
misurare l’attività infermieristica con l’ausilio di norme e criteri;
stimare la differenza tra la situazione definita come ottimale e quella
riscontrata realmente;
stabilire le azioni correttive per gli elementi che non corrispondono alle
norme o ai criteri tenuti in considerazione.
2. VALUTAZIONE DEI PROTOCOLLI
INFERMIERISTICI
La valutazione e la revisione dei protocolli rappresenta un’attività importante per i
gruppi assistenziali coinvolti e permette di pensare a quello che viene fatto, come
viene fatto e come viene documentato. La letteratura inerente alla elaborazione dei
protocolli infermieristici propone la valutazione come l’ultima fase del percorso
metodologico relativo alla elaborazione di questi strumenti. La valutazione di un
protocollo infermieristico è un’attività necessaria e fondamentale, in quanto è
necessario una valutazione di tali documenti perché un eventuale utilizzo senza
una previa valutazione critica per verificarne la qualità può comportare una serie
di grossolani errori che pregiudicano l’efficienza della prestazione sanitaria. La
valutazione di un protocollo infermieristico tiene in considerazione vari aspetti.
La letteratura riconosce valido un protocollo quando:
“ la revisione della letteratura è stata ampia;
la stessa è stata sottoposta a valutazione critica;
le indicazioni presenti periodicamente vengono rivalutate, alla luce delle più
aggiornate acquisizione sull’argomento ” 38.
Questa citazione pone una particolare attenzione alla revisione e valutazione della
letteratura oltre che all’aggiornamento che il protocollo subisce in base alle
evoluzioni scientifiche sull’argomento d’interesse.
La valutazione di protocollo infermieristico non prevede la sola analisi di questi
aspetti ma è un percorso più ampio che interessa in ciascun protocollo:
la struttura grafica;
le caratteristiche qualitative.
La valutazione di un protocollo infermieristico deve tenere conto delle
caratteristiche che deve possedere un protocollo, vale a dire l’applicabilità, la
completezza, la pertinenza, la condivisibilità, la concisione, la chiarezza,
l’accuratezza, la flessibilità, la credibilità, la fondatezza, la riproducibilità, la
validità e la verificabilità ( cioè tutte le caratteristiche che sono riportate nel
paragrafo 4.1 ).
38 Casati, M., 1999. La documentazione infermieristica. Milano: McGraw-Hill, 142.
Inoltre, la valutazione deve anche interessare la struttura grafica, cioè deve
prevedere la verifica della presenza di tutti gli elementi costitutivi di un
protocollo. Questa valutazione, volta dunque a verificare se presenti tutti gli
elementi costitutivi, può tener in considerazione dei modelli di riferimento per la
stesura dei protocolli come il “ Modello per la stesura dei protocolli di assistenza
infermieristica ”39. Questo modello rappresenta uno schema generale di
riferimento sviluppato secondo le indicazioni e il linguaggio del sistema ISO, dal
quale è possibile ricavare tutti gli elementi costitutivi che un protocollo deve
possedere e nasce dalla esigenza primaria di uniformare la struttura dei documenti
che sarebbero stati prodotti nelle varie unità operative da infermieri e medici.
Parte Seconda
39 Disponibile on line al sito:
www.users.unimi.it/~morabito/Protocolli/_Documenti/ADA_LORI_CRIS_14%20LUGLIO.pdf
VALUTAZIONE DEI PROTOCOLLI INFERMIERISTICI
1. PERCORSO VALUTATIVO DEI PROTOCOLLI
INFERMIERISTICI CARDIOLOGICI.
La valutazione dei protocolli infermieristici d’interesse cardiologico presente in
questo elaborato viene organizzata attraverso un percorso che può essere
schematizzato in due fasi:
1. la prima fase comporta un’individuazione, quindi una valutazione della
struttura grafica del protocollo. Tale fase ha lo scopo di individuare gli
elementi costitutivi che permettono di considerare questi documenti come un
“ vero ” protocollo, cioè il protocollo come viene descritto dalla letteratura;
infatti, questo percorso valutativo prevede che, solo nel caso in cui si è
stabilito che si tratta di un protocollo, il documento può essere sottoposto alla
seconda fase valutativa.
2. La seconda fase è volta ad un’analisi orientata alla valutazione di alcune delle
caratteristiche qualitative del protocollo, per giungere ad una classificazione
per livelli.
Nella prima fase, dunque, si valuta la presenza degli elementi costitutivi di un
protocollo attraverso l’uso di una check list.
Questa check list prevede di:
confermare la presenza del singolo elemento costitutivo del protocollo e di
specificare quando l’elemento è ben dichiarato con uno specifico titolo oppure
è inserito nel testo e quindi deducibile dalla lettura di altri elementi grafici
( per esempio, è possibile che il risultato atteso del protocollo sia inserito
all’interno dell’obiettivo );
riportare letteralmente il singolo elemento, quando possibile
( compatibilmente con la lunghezza ), e effettuare delle brevi considerazioni
volte a descrivere e specificare brevemente ciò che riporta l’elemento
considerato.
Individuati gli elementi costitutivi è necessario stabilire se il documento può
essere considerato un protocollo. Tale distinzione è possibile effettuarla partendo
dalla definizione proposta da Paolo Motta ( 1998 ), che definisce il protocollo
come il “ corso d’azione infermieristica ”, “ da attivare a fronte di una situazione
clinica ”. Questa definizione suggerisce principalmente due elementi che devono
essere necessariamente presenti per considerare un protocollo come tale:
il corso d’azione infermieristica da attivare;
la situazione clinica per la quale il protocollo può essere attivato.
La letteratura propone i due precedenti elementi come i componenti che un
protocollo deve essere in grado di dettagliare. In particolare un protocollo può
essere considerato tale quando è in grado di dettagliare:
la situazione clinica del paziente per la quale il protocollo può essere attivato
( es., la preparazione ad un determinato intervento chirurgico );
il problema di pertinenza infermieristica che il protocollo si propone di
affrontare e/o i risultati che si intendo raggiungere ( es., la prevenzione delle
infezioni chirurgiche );
le azioni e le procedure da attivare.40
Da tale considerazione si può affermare che gli elementi indispensabili affinché si
possa parlare di protocollo siano:
la definizione della situazione clinica del paziente che può essere indicata in
diversi elementi del protocollo;
l’obiettivo del protocollo o risultato atteso;
le azioni da compiere.
Inoltre, è fondamentale che siano presenti ulteriori elementi giacché la loro
presenza garantisce quei requisiti di formalizzazione che ciascun protocollo deve
possedere per essere applicato ufficialmente all’interno di un reparto, come
indicatore di credibilità dello stesso:
nominativi e qualifica del gruppo di elaborazione;
simbolo di validazione formale;
data di stesura;
40 http://www.nursing.it/wri/faq/doc/pm1.htm
data ultima revisione ( può non essere presente nel caso che il protocollo non
sia stato revisionato );
oltre che:
la bibliografia.
In particolare è fondamentale che un protocollo sia in grado di garantire
un’assistenza aggiornata alle ultime conoscenze scientifiche e la bibliografia
rappresenta l’elemento dove si citano le fonti da cui risalgono le conoscenze
scientifiche riportate nel protocollo.
Se il documento viene considerato come un protocollo si può passare alla seconda
fase del percorso valutativo.
Per questa seconda fase è innanzi tutto necessario individuare quali caratteristiche
qualitative possono essere interessate nella valutazione del protocollo, poiché
l’analisi proposta dalla sola lettura non può consentire una valutazione di tutte le
caratteristiche qualitative riconosciute in letteratura.
Infatti, possiamo per esempio considerare la caratteristica applicabilità del
protocollo: per valutare tale caratteristica è necessario prendere in considerazione
dati riferibili al contesto organizzativo della singola unità o del singolo servizio
operativo che utilizza il protocollo, dati perciò relativi alle risorse umane, alle
risorse materiali e alle risorse strutturali che permettono di capire se il protocollo
risulta essere di piena applicazione.
Le caratteristiche qualitative considerate nella seguente fase di valutazione sono la
completezza, la chiarezza e la credibilità in quanto la valutazione può basarsi
attraverso determinati indicatori individuabili attraverso una lettura analitica del
singolo protocollo. Anche la caratteristica fondatezza rientra nel processo
valutativo, anche se questa caratteristica è valutabile solo parzialmente tramite la
sola lettura del protocollo. La fondatezza è garantita dall’utilizzo delle migliori e
più recenti prove d’efficacia relative al determinato argomento d’interesse del
protocollo; un indicatore indiretto della fondatezza del protocollo può essere la
bibliografia, la quale deve essere recente, i riferimenti non devono risultare
obsoleti, ma avere un limite temporale di 5 anni dalla pubblicazione e di una certa
autorevolezza.
1. La completezza di un protocollo risponde ad una semplice considerazione: un
protocollo presenta un alto grado di completezza quando è costituito dal
maggior numero di elementi relativi alla propria struttura; un protocollo più
presenta elementi costitutivi più è completo. Nel caso di questo percorso
valutativo nella prima fase viene verificata la presenza degli elementi
“ indispensabili ”. In questa seconda fase si verifica la presenza di ulteriori
elementi costitutivi che permettono di considerare un protocollo completo,
quali sono:
titolo;
definizione;
numero degli operatori coinvolti;
tipo degli operatori coinvolti;
materiale occorrente;
tempi richiesti;
categorie di soggetti;
vincoli, limiti, possibili eccezioni all’applicazione;
complicanze possibili;
smaltimento del materiale;
glossario di abbreviazioni o sigle.
Questi elementi unitamente a quelli “ indispensabili ” ne producono 19 in
totale.
2. La valutazione della caratteristica chiarezza si basa essenzialmente sulla
valutazione del linguaggio e delle modalità con le quali è stato scritto il
documento. Il linguaggio deve essere chiaro e comprensibile, in modo tale da
non consentire dubbie interpretazioni e differenti modalità di applicazione del
documento.
Inoltre influisce positivamente sulla chiarezza anche la presenza di un
glossario volto ad esplicitare per esteso sia sigle che abbreviazioni utilizzate
nel testo. Quest’ultima considerazione è particolarmente importante
nell’ambito cardiologico giacché è consueto l’utilizzo di sigle ed
abbreviazioni.
Perciò nella valutazione della chiarezza è utile tenere in considerazione i
seguenti quesiti:
Il documento è scritto utilizzando un linguaggio chiaro?
Il documento è scritto in modo tale da essere di facile comprensione?
È presente un glossario per abbreviazione o sigle nel caso siano utilizzate
nel testo?
La caratteristica chiarezza viene, dunque, rispettata quando il documento
presenta un linguaggio chiaro che consente una facile comprensione ed evita
la possibilità di diverse interpretazioni del testo. Inoltre, tale caratteristica è
rispettata se è presente un glossario per le sigle e/o le abbreviazioni utilizzate
nel testo del documento; la presenza del glossario è fondamentale nel caso in
cui si utilizzano sigle di uso specialistico e quando queste sigle vengono
utilizzate all’interno dell’elenco di azioni da attivare, dove la chiarezza e la
comprensione di tali sigle è fondamentale nell’applicazione del protocollo.
3. La caratteristica credibilità invece dipende dalla presenza o meno di alcuni
elementi costitutivi del protocollo. Infatti, nella valutazione di questa
caratteristica gioca un ruolo fondamentale la presenza di un segno di
validazione formale del documento, in quanto:
il segno di validazione formale certifica che il protocollo è ufficializzato e
quindi è uno strumento che può essere introdotto ufficialmente all’interno
della pratica assistenziale;
la presenza di un segno di validazione presuppone che il documento sia
stato valutato prima della sua attuazione. Questo suggerisce che il
documento abbia soddisfatto determinati requisiti e quindi riconosciuti
come uno strumento adatto ad essere applicato nella pratica clinica.
Inoltre è possibile tenere in considerazione un ulteriore elemento la cui
presenza è segno di credibilità del protocollo ed è rappresentato
dall’indicazione di nomi e qualifiche dei professionisti che lo hanno elaborato.
L’indicazione del gruppo di lavoro presuppone cha alla base del documento ci
sia un percorso metodologico di elaborazione; la formazione di un gruppo di
lavoro rappresenta la prima fase del percorso d’elaborazione di un protocollo,
allo scopo di favorire un dibattito costruttivo e una sinergia di competenze.
Dunque, nella valutazione di questa caratteristica è utile tenere in
considerazione questi quesiti:
Nel documento è presente un simbolo che lo approvi e accerti la sua
validazione?
Nel documento sono indicati i nominativi e la qualifica dei professionisti
che direttamente hanno collaborato alla stesura?
Nel caso in cui il documento è stato rivisto, è possibile individuare chi ha
eseguito la revisione?
È da tenere in considerazione a fini valutativi che la sola mancanza del
simbolo di validazione, cioè quell’elemento che permette di riconoscere
ufficiale un documento, non permette di affermare che la caratteristica
credibilità è rispettata.
4. Un discorso particolare va intrapreso per quanto riguarda la fondatezza. La
valutazione di questa caratteristica sarebbe maggiormente corretta effettuarla
attraverso una ricerca volta a riscontrare le migliori evidenze scientifiche
disponibili sull’argomento del protocollo, per paragonarle con i
comportamenti indicati nel documento in questione. All’interno di questa tesi
la caratteristica fondatezza è stata valutata indirettamente valutando la
bibliografia riportata all’interno del documento.
I riferimenti bibliografici devono avere una data di pubblicazione non
superiore a 5 anni dalla data di stesura del protocollo. Ciò nasce dalla
considerazione che l’assistenza infermieristica in ambito cardiologico risente
dell’evoluzione rapida delle conoscenze. Una bibliografia recente aumenta il
grado di fondatezza di un protocollo, in quanto fondato su conoscenze
aggiornate.
Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è il numero delle fonti
riportate nella bibliografia. Un protocollo viene riconosciuto valido quando la
revisione della letteratura è stata ampia; una bibliografia può essere
considerata ampia quando comprende almeno 5 fonti bibliografiche, dove il
75% di queste fonti deve riguardare argomento clinico – assistenziale.
Nell’analisi di questa caratteristica possono essere utilizzati ulteriori quesiti
che sono:
In bibliografia sono presenti articoli di riviste scientifiche?
In bibliografia sono riportati atti di congressi, conferenze, seminari?
In bibliografia sono riportate linee guida?
Un articolo pubblicato in un’autorevole rivista scientifica presuppone sia stato
valutato, tanto che la sua pubblicazione testimonia che l’articolo pubblicato
possiede una certa valenza scientifica e qualità.
Nel caso di atti di congressi, conferenze e seminari, in genere sono riportate
relazioni di esperti che analizzano un determinato tema: ciò conferisce, a
queste fonti, una buona fondatezza scientifica, soprattutto nel caso di eventi
proposti dalle più importanti associazioni infermieristiche.
Le linee guida sono strumenti che possono essere considerati
nell’elaborazione di protocolli e, come ci suggerisce la letteratura, sono in
grado di suggerire comportamenti basati sulle migliori evidenze scientifiche
disponibili da considerare in una determinata circostanza clinico –
assistenziale. Le linee guida rappresentano perciò strumenti dove
l’autorevolezza e la credibilità possono essere considerate elevate, sopratutto
quando sono prodotte da organismi centrali ( es. Ministero, Federazione
Collegi, Associazioni Professionali, ecc… ).
2. RACCOLTA DEI PROTOCOLLI INFERMIERISTICI
CARDIOLOGICI
La scelta di valutare questo tipo di documenti dipende strettamente dal forte
interesse personale che nutro per l’area cardiologica; infatti, l’oggetto della
valutazione di questa tesi sono i documenti che interessano quest’area. Ciò
significa che la valutazione è orientata a tutti quei documenti che per argomento e
per Unità Operativa di applicazione interessano l’assistenza infermieristica di area
cardiologica.
I documenti sottoposti a valutazione sono stati raccolti tenendo in considerazione
questi due elementi:
argomento e/o luogo di applicazione di interesse assistenziale infermieristico
cardiologico;
presenza della parola “ protocollo ”, volta dunque a definire il documento
come tale.
Il numero dei documenti oggetto di valutazione, che rispettano le precedenti
caratteristiche, sono 15 e sono stati recuperati in 4 Aziende Ospedaliere della
provincia di Varese e Milano tranne un documento, il quale è stato preso da una
pubblicazione di atti di convegno del G.IT.I.C., il Gruppo Italiano Infermieri di
Cardiologia.
A ciascuno è assegnato un numero; per ottenere una chiara visione dei documenti
valutati è possibile elencarli in questo modo:
NUMERO
ASSEGNATOTITOLO RIPORTATO NEL DOCUMENTO
1Protocollo per l’assistenza infermieristica alla persona con
dolore anginoso.
2Assistenza infermieristica alla persona sottoposta a
coronarografia.
3Protocollo sulle attività infermieristiche da attuare alla
persona sottoposta ad inserimento di contropulsatore aortico.
4Protocollo rimozione dell’introduttore arterioso.
Posizionamento e rimozione del FemoStop.
5Assistenza infermieristica alla persona sottoposta a PTCA:
angioplastica coronarica transluminale percutanea.
6 Protocollo Coronarografia e Ventricolografia.
7Assistenza infermieristica alla persona sottoposta ad impianto
di pace-maker.
8
Protocollo per l’impianto di endoprotesi aortobisiliaca
Excluder Gore // Cook Zenith per via percutanea femorale
nell’aneurisma dell’aorta addominale.
9 Protocollo per commissurolisi mitralica percutanea.
10Protocollo per la preparazione e l’esecuzione della
angiocardiografia e coronarografia.
11
Protocollo operativo Card. n°1:
Linee guida per l’assistenza infermieristica alla persona
sottoposta ad Angioplastica Percutanea Transluminale
( PTCA ).
12 Protocolli infermieristici per attività di sala P.M.
13 Protocollo per Angioplastica.
14Protocollo di preparazione ed assistenza al paziente candidato
ad impianto di PM.
15 Protocollo per Coronarografia.
3. VALUTAZIONE DEI PROTOCOLLI INFERMIERISTICI
SCELTI
VALUTAZIONE DOCUMENTO n° 1
Il documento n° 1 è da considerarsi un protocollo (check list valutativa, allegato
n° 1 ); la situazione clinica è facilmente individuabile, in quanto sia il titolo, sia
l’obiettivo, sia il risultato, ci consentono di capire che tale strumento può essere
attivato in tutte le situazioni di dolore toracico con lo scopo di identificare la
natura anginosa del dolore e adottare, quindi, le misure volte a portare una sua
risoluzione. Dunque, anche il secondo criterio cioè la necessità che il protocollo
sia in grado di dettagliare il problema di pertinenza infermieristica da affrontare
e/o i risultati che si vogliono raggiungere dalla sua applicazione risulta essere
soddisfatto, in quanto sia l’obiettivo che il risultato sono citati nel documento. Lo
stesso discorso vale per le azioni da attivare, giacché sono presenti le indicazioni
da seguire alla comparsa del dolore toracico, nella condizione della presenza
accertata del dolore anginoso e nel caso di una sua persistenza.
Completezza. Secondo i parametri di valutazione la caratteristica completezza
viene rispettata; oltre agli elementi indispensabili per un protocollo ne sono
presenti ulteriori che aumentano il grado di completezza. Nel protocollo n.1,
infatti, sono presenti 15 elementi su un totale di 19; ciò rappresenta una
percentuale pari al 78,9 %.
Chiarezza. Per quanto riguarda la chiarezza si può affermare che il protocollo è
stato scritto in un modo tale da non consentire delle dubbie interpretazioni in
quanto viene utilizzato un linguaggio chiaro e di facile comprensione.
Il titolo, l’obiettivo e il risultato sono riportati in modo tale che consentono di
individuare immediatamente sia il contenuto sia lo scopo che il protocollo si
prefigge. Anche le azioni vengono riportate con un linguaggio chiaro e di facile
comprensione; la descrizione delle azioni è riportata in modo preciso, il che
consente di avere univoche interpretazioni. È necessario però riportare
un’osservazione; nella sezione delle azioni “ Accertata la natura anginosa del
dolore toracico ” vengono riportate 2 modalità di somministrazione del
nitroderivato. La prima di queste modalità prevede la somministrazione di 1 perla
di TNT sub-linguale; sarebbe necessario specificare la dosologia del farmaco che
costituisce la perla sub-linguale. Non viene inoltre riportato l’indice delle sigle
utilizzate, anche se sono sigle ( PA, FC, FR, ECG, TNT, UTIC ) usate
comunemente nell’attività infermieristica dove quindi un indice per la loro
definizione non è fondamentale per la chiarezza e la comprensione del protocollo.
Credibilità. Il protocollo può essere considerato credibile in quanto sia il nome
che la qualifica del gruppo di elaborazione del documento vengono riportate; è
presente anche il segno di validazione, dove la sigla DIPCAR-1-02 indica che il
protocollo è stato convalidato e numerato dal dipartimento cardiotoracico della
stessa Azienda Ospedaliera. Non viene indicato il gruppo che ha revisionato il
documento ( Agosto 2002 ) anche se è possibile dedurre che il gruppo di revisione
corrisponda al gruppo di elaborazione, in quanto la data di revisione viene
indicata in seguito alla data di elaborazione e non all’interno dell’apposita griglia
di fine documento volta a schematizzare lo stato delle successive verifiche del
documento.
Fondatezza. Per quanto riguarda la fondatezza del protocollo, la bibliografia
prevede due fonti.
Per entrambi il limite temporale di 5 anni viene rispettato.
La prima fonte è una relazione tenuta ad un Convegno Nazionale
dell’associazione infermieristica di maggior rappresentanza per i professionisti
che operano nel campo della cardiologia in Italia. È necessario specificare che
questa fonte bibliografica riguarda la metodologia di costruzione di linee guida,
protocolli e procedure questi strumenti e i contenuti clinico –assistenziali.
Per la seconda fonte bibliografica è opportuno precisare l’importanza dell’autore.
Infatti, il Prof. Eugene Braunwald è particolarmente noto nella comunità medico-
scientifica internazionale in quanto, appunto, è l’autore del volume Heart Disease
che è giunto alla 6° edizione e viene considerato come colui che maggiormente ha
contribuito allo sviluppo della Cardiologia clinica negli ultimi vent'anni, tanto che
gli è stata conferita la Laurea ad Honorem in otto Università sparse in tutto il
mondo oltre che, l’ultima, il 15/05/2003 presso l’Università degli Studi di Padova.
Si tratta perciò di una fonte bibliografia di importanza e autorevolezza scientifica.
Ciò che non ci permette di considerare pienamente presente la caratteristica
fondatezza, nonostante il limite temporale di 5 anni sia rispettato, è il numero
delle fonti bibliografiche utilizzate. Infatti, la presenza di solo 2 fonti
bibliografiche non rispetta il criterio predefinito, anche perché il 50% non ha
contenuti clinico - assistenziali.
VALUTAZIONE DOCUMENTO n° 2
Il documento n° 2 può essere considerato un protocollo ( check list valutativa,
allegato n° 2 ), in quanto possiede gli elementi fondamentali, in particolare:
la situazione clinica del paziente è presente in quanto il titolo consente di
capire fin dal primo istante della lettura i destinatari del protocollo e, inoltre,
all’interno della definizione, il paragrafo “ A cosa serve e a chi consigliarla ”
si tratta in modo specifico le tipologie di pazienti sottoposti a procedura
coronarografia;
l’obiettivo è anch’esso indicato e da esso è possibile ricavare anche il risultato
atteso dall’applicazione del protocollo;
le azioni da attivare sono riportate all’interno del protocollo, sia per quanto
riguarda l’assistenza nel pre procedura, sia per quanto riguarda l’assistenza nel
post procedura e il giorno successivo alla procedura.
Completezza. La caratteristica completezza viene rispettata; oltre alla presenza
del gruppo di elaborazione, del simbolo di validazione, della bibliografia e della
data di elaborazione che insieme all’obiettivo, alle azioni da attivare e alla
descrizione della situazione clinica ci consentono di definire il documento come
un protocollo, sono presenti ulteriori elementi che aumentano il grado di
completezza. Infatti all’interno del protocollo n° 2 sono presenti ben 16 elementi
rispetto ad un totale di 18 ( il totale, in realtà, è costituito da 19 elementi in quanto
è inclusa la data di revisione. In questo caso, la data di revisione, non rientra nel
conteggio in quanto il protocollo non è stato rivisto e rientra nel parametro dei 3
anni proposto dalla letteratura come limite minimo da osservare
nell’aggiornamento di questi strumenti ); da ciò risulta una percentuale pari al
88,9 %.
Chiarezza. Per la valutazione della caratteristica chiarezza del protocollo è
possibile affermare che il documento è stato elaborato utilizzando un linguaggio
intento a descrivere in modo chiaro e preciso sia la definizione della procedura
coronarografica, sia il processo di lavoro necessario nell’assistenza pre e post
coronarografia. In particolare, ogni intervento assistenziale viene descritto in
modo chiaro e completo tanto che non vengono tralasciati valori numerici di
riferimento ( es., avvisare il medico se F.C. < 45 batt/m’ o >100 batt/m’ ),
dosologia dei farmaci e tempi da rispettare. Inoltre viene sempre indicato quando
l’intervento assistenziale viene attuato o prevede una valutazione da parte del
medico ( es., “ Se il paziente presenta angina instabile ed è in trattamento con
Eparina il medico valuterà la necessità di una eventuale sospensione qualche ora
prima dell’esame ” ). Non è presente all’interno del protocollo un glossario delle
sigle utilizzate ( ECG, P.A. UTIC, E.V. PTCA, m.d.c. ); sono sigle che vengono
utilizzate comunemente all’interno dell’attività infermieristica, tranne nel caso
della PTCA dove il significato completo della sigla ( Angioplastica Coronarica
Transluminale Percutanea ) può non essere conosciuto comunemente in quanto
spesso, nel linguaggio parlato, si utilizza una terminologia volta a definirla come “
Angioplastica Coronarica ” oppure si fa riferimento a tale procedura utilizzando
direttamente la sigla.
Credibilità. La caratteristica credibilità del documento n° 2 viene rispettata
pienamente; i nominativi e la qualifica delle persone coinvolte nel gruppo di
elaborazione sono riportati ed, inoltre, il segno di validazione formale è presente.
Questo segno di validazione indica la numerazione data al documento all’interno
dell’unità operativa da cui proviene, per cui questo segno costituisce una prova
della sua approvazione, della sua ufficialità e quindi credibilità.
Fondatezza. Per quanto riguarda la fondatezza del protocollo la bibliografia è
ampia ed è costituita da 10 fonti di cui:
3 atti di convegni di un’associazione italiana infermieristica specifica di area
cardiologica;
1 testo scritto da un infermiera di area cardiologica;
1 articolo di un autorevole rivista specialistica italiana;
5 siti internet consultati.
Tutte le fonti bibliografiche rispettano il limite temporale di 5 anni.
I siti internet consultati rappresentano anch’essi delle fonti d’informazione
attendibili, in quanto:
3 sono di Aziende Ospedaliere ad elevata specialità per l’area cardiologica;
1 è di una rivista scientifica specializzata italiana;
1 è di una rivista scientifica infermieristica di area cardiologica americana.
VALUTAZIONE DOCUMENTO n° 3 e n° 4.
Il documento n° 3 non può essere considerato un protocollo ( check list valutativa,
allegato n° 3 ) in quanto sono assenti due degli elementi che devono
necessariamente essere presenti affinché possa essere considerato come tale: sia il
segno di validazione formale, sia l’obiettivo. Dunque, l’assenza di questi elementi
costitutivi dei protocolli non ci permette di passare alla seconda fase del percorso
valutativo.
Il documento n° 4 non può essere considerato un protocollo ( check list valutativa,
allegato n° 4 ). In particolare tra gli elementi indispensabili si notano 2 mancanze:
la bibliografia;
i nominativi e qualifica dei componenti del gruppo di elaborazione.
Per quanto riguarda la mancanza di quest’ultimo elemento costitutivo della
struttura dei protocolli, in verità la mancanza di tale elemento è relativa solo alla
citazione dei nominativi; infatti, la qualifica viene indicata poiché fanno parte del
gruppo di elaborazione il personale infermieristico delle Unità Operative di
Cardiochirurgia, Unità Coronarica, oltre che del servizio di Emodinamica.
L’impossibilità di considerare il documento come un protocollo in quanto
mancante di 2 elementi costitutivi fondamentali non ci permette di passare alla
seconda fase valutativa.
VALUTAZIONE DOCUMENTO n° 5
Il documento n° 5 può essere considerato un protocollo ( check list valutativa,
allegato n° 5 ).
La situazione clinica per la quale il protocollo può essere attivato è facilmente
individuabile dato che sia il titolo, sia la definizione della metodica qualificano la
tipologia di persone per cui questo protocollo è applicato, cioè alle persone che, in
situazione d’occlusione coronarica, parziale o totale, da placche aterosclerotiche,
devono essere sottoposte alla metodica della PTCA.
Gli obiettivi del protocollo sono indicati, così come sono riportate le azioni volte a
garantire un’assistenza infermieristica dal momento del ricovero ( Assistenza pre-
procedura ) fino al giorno della dimissione.
Completezza. La caratteristica completezza viene dunque rispettata in quanto il
documento è un protocollo; dalla tabella, volta all’identificazione degli elementi
grafici costitutivi del documento, sia i nominativi e la qualifica del gruppo di
elaborazione, sia il simbolo per la validazione formale, sia la data di stesura, sia la
bibliografia sono presenti, oltre naturalmente all’obiettivo, alle azioni e alla
situazione clinica d’interesse del protocollo. Oltre a questi elementi sono presenti
ulteriori elementi che aumentano il grado di completezza del protocollo; sono
presenti, infatti, 16 elementi costitutivi in un totale di 18 elementi ( la data di
revisione non rientra nel conteggio in quanto il protocollo non è stato rivisto e
rientra nel parametro di 3 anni proposto dalla letteratura come limite da osservare
nell’aggiornamento di questi strumenti ), dal quale si ricava una percentuale pari
al 88,9 %.
Chiarezza. Questo protocollo è scritto attraverso un linguaggio che consente fin
dalla prima lettura la sua comprensione nonostante tratti l’assistenza di una
metodica specialistica della Cardiologia interventistica. La descrizione, la
definizione della metodica viene riportata in modo tale da ottenere una chiara e
precisa visione dei principi teorici ( Cos’è?, a cosa serve e a chi consigliarla?,
quali sono le possibili complicanze?, … ) e pratici ( Come si esegue? ) che stanno
alla base della metodica. La descrizione del processo di lavoro rispetta sia la
chiarezza, sia la precisione delle azioni dettagliate, il che non consente al
professionista differenti interpretazioni del protocollo che pregiudicano, a sua
volta, l’efficacia dell’assistenza. Queste azioni sono descritte in modo chiaro e
completo; nel caso della somministrazione di farmaci viene sempre riportata la
dose necessaria e i tempi di somministrazione oppure si cita chiaramente la
necessità di somministrare il farmaco secondo la prescrizione medica. Inoltre, nel
caso del ReoPro ( Abciximab ) ( Antiaggregante piastrinico ) si raccomanda la
somministrazione per una via indipendente senza miscelarlo con altri, oltre che al
fatto che deve essere usato con Aspirina ed Eparina, mentre nel caso del Tiklid
vengono riportati i segni relativi ad una sua manifestazione allergica, oltre che i
comportamenti da adottare successivamente. Anche nel caso in cui il paziente
presenta anamnesi positiva ad allergia al mezzo di contrasto si riporta la modalità
relativa alla profilassi anti-anafilassi. Per quanto riguarda il monitoraggio della
pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, sono indicati valori di riferimento
da tenere in considerazione per avvisare il personale medico:
Rilevare la P.A. Avvisare il Medico se P.A. Sistolica >180mmHg o
<100mmHg, P.A. Diastolica >100mmHg.
Rilevare frequenza cardiaca Avvisare il Medico se F.C. <45batt/m’ o
>100batt/m’.
Da osservare l’assenza di un glossario volto ad esplicitare le sigle utilizzate
all’interno del protocollo. La definizione per intero delle sigle manca nel caso di
sigle ad uso comune; in particolare le sigle non definite sono OTA, OSS, ECG,
PA, EV, UTIC, IMA, FC, m.d.c. Nel caso di sigle relative a componenti ematici
quali HDL, LDH, CPK, CK MB è necessario esplicitare per intero la loro sigla
poiché, nonostante utilizzate comunemente, la loro conoscenza del nome per
esteso non è comune. Invece, il significato della sigle PTCA, DCA e S.E. sono
riportate direttamente nel testo in quanto rappresentano sigle di uso strettamente
specialistico.
Credibilità. La valutazione della caratteristica credibilità di questo documento è
sovrapponibile al documento n° 2 in quanto il documento n° 5 presenta lo stesso
gruppo di elaborazione e similitudine nel segno di validazione formale
Fondatezza. Anche la bibliografia del protocollo è la stessa utilizzata nella
stesura del documento n° 2 per cui la valutazione della caratteristica fondatezza è
sovrapponibile.
VALUTAZIONE DOCUMENTO n° 6
Il documento n° 6 non può essere considerato un protocollo ( check list valutativa,
allegato n° 6 ); infatti, all’interno del documento non sono presenti quegli
elementi che garantiscono i requisiti di formalizzazione che ciascun protocollo
deve possedere per essere applicato nella pratica clinica. In particolare il
documento non riporta sia la data di stesura, sia i nominati e le qualifiche dei
professionisti che hanno direttamente collaborato alla stesura, sia il segno di
validazione formale oltre che alla bibliografia e l’obiettivo
La mancanza di tali elementi non permette innanzi tutto di dare una datazione
temporale precisa al documento.
VALUTAZIONE DOCUMENTO n° 7
Il documento n° 7 può essere considerato un protocollo ( check list valutativa,
allegato n° 7 ); infatti, gli elementi costitutivi quali data di stesura, simbolo per la
validazione formale, nominativi e qualifica del gruppo d’elaborazione sono
presenti. Anche la bibliografia è riportata come la situazione clinica per la quale il
protocollo può essere attivato; il titolo consente fin da subito di individuare
precisamente l’argomento trattato dal protocollo ed, inoltre, all’interno nella
definizione, sono spiegate semplicemente le condizioni patologiche, il cui
trattamento prevede la necessità di ricorrere all’impianto di un pacemaker.
L’obiettivo viene indicato all’interno del protocollo; si riscontrano, oltre a due
obiettivi, riportati nello spazio intitolato “ Obiettivo ”, anche altri due obiettivi che
vengono citati all’interno del processo di lavoro, come titolo per gli interventi
assistenziali relativi all’assistenza pre-procedura. In particolare nel documento si
specifica in tal modo: “ Assistenza pre-procedura: uniformare i comportamenti
che incideranno in maniera significativa sulla qualità della procedura e di
conseguenza sull’efficacia della prestazione ”, e “ Assistenza pre-procedura:
preparazione all’intervento ”.
Completezza. La caratteristica completezza viene rispettata pienamente
all’interno del documento, definito come un protocollo assistenziale; inoltre sono
presenti altri elementi, per un totale di 16 su 18 ( 88,8% ) ( la data di revisione non
rientra nel conteggio in quanto il limite di aggiornamento temporale di 3 anni
viene rispettato ), che aumentano il grado di completezza del protocollo.
Chiarezza. La caratteristica chiarezza del protocollo viene in parte soddisfatta;
infatti, questo protocollo è strutturato in modo tale da essere facilmente
comprensibile al lettore grazie all’utilizzo di un linguaggio semplice e chiaro. La
semplicità del linguaggio viene ben coadiuvata dalla cura nei particolari, dalla
precisione riscontrabile nella descrizione di alcuni interventi assistenziali. In
particolare nella definizione, che occupa le prime tre pagine del protocollo, si
spiega sinteticamente la funzionalità cardiaca oltre che comprendere la
descrizione del pacemaker, dell’intervento di posizionamento, dei controlli da
effettuare ad intervalli prestabiliti e delle precauzioni da insegnare alla persona
portatrice di pacemaker. Ciò elencato nella definizione è facilmente comprensibile
tanto che questo protocollo risulta un valido strumento d’informazione sia per il
personale sanitario, sia per lo stesso paziente che necessita informazione affinché
dubbi, paure, ansia siano ridotte al minimo ma anche per fornire indicazioni sulle
precauzioni da tenere in considerazione per evitare complicanze nella vita futura.
Le azioni sono descritte in modo chiaro e semplice.
La caratteristica chiarezza viene riconosciuta parzialmente rispettata per il fatto
che non è presente un glossario volto ad esplicitare la sigla STP. Tale sigla, infatti,
presente nell’assistenza pre-procedura per la preparazione all’intervento
( somministrare terapia antibiotica Cefamezin 1 gr E.V. come STP ), è di difficile
interpretazione ed assume un’importanza rilevante all’interno del documento,
poiché è presente all’interno dell’elenco delle azioni e riguarda la
somministrazione dell’antibiotico che rappresenta un’azione di fondamentale
importanza per la prevenzione di complicanze settiche. È fondamentale dunque
una sua definizione per esteso affinché la caratteristica chiarezza possa
considerarsi rispettata completamente.
Credibilità. La valutazione della caratteristica credibilità è sovrapponibile alla
valutazione presente nel documento n° 2.
Fondatezza. Anche la valutazione della fondatezza di questo protocollo è identica
a quella fatta per il documento n° 2 e il successivo documento n° 5, in quanto
questi 3 documenti, provenienti dalla stessa Azienda Ospedaliera e riportanti la
stessa data di elaborazione, presentano la stessa identica bibliografia.
VALUTAZIONE DOCUMENTO n° 8, n° 9 e n° 10.
La valutazione dei documenti n. 8, n. 9 e n. 10 viene riportata in un'unica scheda
valutativa, poiché questi documenti sono stati elaborati dagli stessi professionisti e
sono utilizzati nel Laboratorio di Emodinamica della stessa Azienda Ospedaliera.
Inoltre è facile riscontrare delle caratteristiche strutturali simili.
I documenti n° 8, n° 9 e n° 10 non possono essere considerati dei protocolli
( check list valutativa, allegato n° 8 ):
l’obiettivo del documento e il risultato atteso non sono presenti;
le azioni da compiere sono indicate;
la definizione della situazione clinica del paziente per la quale il documento
può essere attivato è presente ed è indicata nel titolo in quanto da esso si
individua che il documento n° 8 è attivato nel caso di persone sottoposte ad
impianto di endoprotesi aortobisiliaca per via percutanea femorale
nell’aneurisma dell’aorta addominale, il documento n° 9 è attivato nel caso di
persone sottoposte ad intervento di commissurolisi mitralica percutanea,
mentre il documento n° 10 è attivato nel caso di persone da sottoporre
all’esame angiografico e coronarografico;
i nominativi e la qualifica del gruppo di elaborazione sono presenti;
il segno di validazione formale è presente nel caso del documento n° 8, mentre
nel caso del documento n° 9 e n° 10 tale elemento non è presente;
la data di stesura è riportata nel documento n° 9 e n° 10 mentre nel documento
n° 8 è presente solo la data di revisione;
la bibliografia è assente.
Si può osservare come in ciascun documento mancano degli elementi
fondamentali che non consentono di definirli come protocolli per cui non è
possibile passare alla seconda fase del percorso valutativo.
VALUTAZIONE DOCUMENTO n° 11 e n° 12.
Il documento n° 11, a causa della mancanza dell’obiettivo, dei nominativi del
gruppo di elaborazione e della bibliografia, non può essere considerato un
protocollo ( check list valutativa, allegato n° 9 ).
Tenendo in considerazione i criteri la cui presenza permette di definire un
documento come un protocollo, nel documento n° 12 si osservano diverse
mancanze ( check list valutativa, allegato n° 10 ); innanzi tutto non è presente
l’obiettivo e sono mancanti tutti elementi la cui presenza garantisce quei requisiti
di formalizzazione che ciascun protocollo deve possedere per essere applicato
ufficialmente all’interno di una realtà ( nominativi e qualifica del gruppo di
elaborazione, simbolo per la validazione formale, data di stesura e data di
revisione ); inoltre è mancante la bibliografia.
VALUTAZIONE DOCUMENTO n° 13, n° 14, n° 15.
I documenti n° 13, n° 14, n° 15 presentano aspetti strutturali molto simili; si può
affermare che si tratta di strumenti molto semplici poiché sono costituiti da una
sola pagina e il numero degli elementi costitutivi è molto ridotto.
Questi documenti, dunque, non possono essere considerati dei protocolli ( check
list valutativa, allegato n° 11 ) poiché tra gli elementi indispensabili per poterli
considerare come tali sono presenti solo le azioni da compiere in tutti e tre i
documenti. Nel caso del documento n° 14 è presente anche il segno di validazione
rappresentato dalla firma di un medico e il titolo ci consente di definire la
situazione clinica per cui si applica il documento, cioè nel caso di pazienti
candidati all’impianto di pace maker.
ESITI DELLA VALUTAZIONE
1. RISULTATI
Il percorso valutativo eseguito ha permesso di riscontrare, sui 15 documenti
analizzati, la presenza di 4 reali protocolli. I protocolli riscontrati, che
costituiscono il 26,6 %, sono il documento n° 1, n° 2, n° 4, n° 7. Tenendo in
considerazione le modalità valutative, la caratteristica completezza di questi 4
documenti è sempre rispettata però la percentuale degli elementi costitutivi
presenti in ciascun protocollo è differente; infatti, nei protocolli n° 2, n° 4 e n° 7,
la percentuale degli elementi presenti assume un valore pari al 88,9 %, mentre nel
protocollo n° 1 tale percentuale è pari al 78,9 %.
Nonostante la percentuale alta di elementi presenti è possibile notare delle
similitudini relative agli elementi mancanti; infatti gli elementi costitutivi
mancanti sono esclusivamente 3:
complicanze possibili, assente solamente nel protocollo n° 1;
smaltimento del materiale, assente al 100 % nei 4 protocolli;
glossario di abbreviazioni o sigle, assente al 100 %.
Tenendo in considerazione questi dati si nota la poca importanza che si da nella
presenza di un glossario volto a definire per intero abbreviazioni e/o sigle che
compaiono nel protocollo; il glossario invece rappresenta un utile elemento
costitutivo che se presente aumenta la chiarezza e la comprensione del testo,
soprattutto nel caso in cui siano presenti sigle e/o abbreviazioni non conosciute da
tutti.
La caratteristica credibilità viene rispettata al 100 % nei 4 protocolli individuati;
tale valore non viene confermato per la caratteristica fondatezza. Infatti, il
protocollo n° 1, non presenta rispettata questa caratteristica a causa del numero
ridotto di fonti elencate in bibliografia ( 2 fonti presenti quando il numero minimo
richiesto è 4, con almeno il 75 % di fonti che trattano argomentazioni clinico –
assistenziali ). Dunque la fondatezza viene rispettata per il 75 %.
Un discorso particolare va eseguito nel caso della caratteristica chiarezza; tale
caratteristica infatti, nel caso del documento n° 7, è parzialmente rispettata per la
presenza di una sigla difficilmente comprensibile che assume un’importanza
rilevante all’interno del protocollo. Nel caso degli altri 3 protocolli tale
caratteristica è rispettata nella sua totalità.
È possibile schematizzare i risultati ottenuti per ciascun protocollo con la seguente
tabella dove per ciascuna caratteristica di ciascun documento si riporta un “ SI ”
nel caso in cui la caratteristica viene rispettata, “ NO ” nel caso contrario e
“ IN PARTE ” nel caso in cui la caratteristica viene rispettata parzialmente.
Tabella n° 1.
N°
DOC.CARATTERISTICHE
COMPLETEZZA CHIAREZZA CREDIBILITA’ FONDATEZZA
1 SI SI SI NO
2 SI SI SI SI
5 SI SI SI SI
7 SI IN PARTE SI SI
Il 73,3 % dei documenti valutati non possono essere considerati dei protocolli per
la mancanza di alcuni elementi costitutivi ritenuti indispensabili per poter
considerare un documento come un protocollo. Gli elementi mancanti in questi 11
documenti possono essere elencati in ordine decrescente:
obiettivo, assente al 91%;
bibliografia, assente al 91%;
nominativi e qualifica dei componenti del gruppo di elaborazione, assente al
64%;
segno di validazione formale, assente al 64%;
data di revisione, assente al 64%;
data di stesura, assente al 54%.
La percentuale di assenza più elevato si nota per l’obiettivo e per la bibliografia.
La mancanza di questi due elementi è grave nella situazione dei protocolli
infermieristici; tale assenza comunica che non è presente un’esatta conoscenza del
significato dei protocolli infermieristici e, di pari passo, non è presente una
conoscenza della metodologia d’elaborazione. L’assenza di questi due elementi fa
presupporre una mancanza di conoscenza delle caratteristiche della struttura
grafica del protocollo e trasmette anche la presenza di una errata concezione di
questi strumenti che non assumono il valore di strumenti la cui applicazione
consente di raggiungere degli obiettivi attraverso interventi assistenziale basati
sulle migliori evidenze scientifiche derivabili da un’ampia ricerca bibliografica.
2. CLASSIFICAZIONE DEI DOCUMENTI VALUTATI
A questo punto è necessario stabilire quali documenti possono essere adottati
come protocolli d’assistenza infermieristica. È necessario, dunque, effettuare una
classificazione volta a differenziare un documento accettabile da un documento
non accettabile.
La classificazione può essere eseguita classificando ciascun documento in due
categorie principali:
ACCETTABILE;
NON ACCETTABILE.
Un documento per essere accettabile deve presentare inequivocabilmente una
caratteristica: deve essere stato considerato, nel percorso valutativo, un protocollo.
Dunque, i documenti ACCETTABILI sono i protocolli n° 1, n° 2, n° 5 e n° 7. I
restanti 11 documenti vengono classificati come NON ACCETTABILI.
È necessario però effettuare un ulteriore classificazione per la categoria dei
documenti accettabili è stata utilizzata un’ulteriore suddivisione in 2
sottocategorie che meglio precisano la classificazione. Infatti, 2 dei 4 protocolli
presentano parzialmente rispettate delle caratteristiche qualitative. Le due
sottocategorie possono essere definite come:
ACCETTABILE COMPLETAMENTE;
ACCETTABILE SE MODIFICATO.
Nella sottocategoria “ ACCETTABILE SE MODIFICATO ” vengono classificati
dunque quei protocolli che presentano una o più caratteristiche che non sono
rispettate o che sono solo parzialmente rispettate.
Tenendo in considerazione la tabella riportata anche precedentemente ( Tabella n°
1 ) si nota che nel protocollo n° 1 la fondatezza non viene rispettata, mentre il
protocollo n° 7 presenta la caratteristica chiarezza rispettata solo parzialmente.
Dunque, questi due protocolli sono inseribili nella categoria ACCETTABILI SE
MODIFICATI.
Nel caso invece dei protocolli n° 2 e n° 5, sono classificabili come protocolli
ACCETTABILI COMPLETAMENTE poiché presentano tutte le caratteristiche
valutate rispettate.
PROPOSTEQuesta breve sezione di tesi ha lo scopo di fare proposte da tener presenti nel caso
in cui, nella realtà, si debba valutare dei protocolli d’assistenza infermieristica.
La valutazione da me eseguita può essere definita come una valutazione parziale
dei protocolli raccolti ed individuati; infatti, la valutazione eseguita interessa 4
delle caratteristiche qualitative dei protocolli. Una valutazione di questo tipo
nasce dalla scelta di effettuare una valutazione a “ tavolino ”, cioè orientata a
quelle caratteristiche che possono essere valutate con un’analisi diretta del
protocollo.
Nel caso in cui si debba valutare protocolli di assistenza infermieristica in una
realtà operativa è necessario che il tipo di valutazione da eseguire sia più allargata,
cioè che tenga conto di tutte le caratteristiche qualitative di un protocollo che la
letteratura propone. Per effettuare una valutazione di questo tipo è necessario che
non sia eseguita da una singola persona ma che la valutazione sia il frutto di un
lavoro di gruppo. Questo gruppo di lavoro deve essere, innanzitutto, composto da
un numero non eccessivo di persone; questa considerazione è spiegabile in quanto
gruppi molto grandi possono rendere difficoltosa l’integrazione e la discussione
tra le varie persone che lo costituiscono.
La costituzione del gruppo di lavoro dipende strettamente dai professionisti
interessati dall’applicazione del protocollo. Reputo notevolmente importante la
multidisciplinarietà del gruppo di lavoro; infatti, la presenza di più figure
professionali produce diversi vantaggi. In particolare un gruppo multidisciplinare
consente l’unione di più specialità e discipline; questo consente di valutare il
protocollo in diversi aspetti e livelli di ciascuna sua caratteristica con la possibilità
di ottenere una valutazione specifica per ogni ambito assistenziale.
Le figure che reputo necessarie nella costituzione di un gruppo di lavoro volto alla
valutazione dei protocolli possono essere differenziate in:
esperti clinico – assistenziali. La varietà della qualifica di questa categoria
dipende strettamente da due elementi:
l’ambito clinico di applicazione del protocollo;
gli operatori direttamente coinvolti dall’applicazione del protocollo.
esperti di metodologia di sviluppo dei protocolli. Tenendo in considerazione
che “ la metodologia rappresenta la garanzia di un buon prodotto finale ” 41,
la presenza di un esperto di metodologia è un requisito fondamentale per la
valutazione dei protocolli infermieristici poiché la competenza di questo
professionista consente una valutazione della metodologia utilizzata
nell’elaborazione del protocollo, ma funge anche da supervisore per il rispetto
della metodologia di valutazione del protocollo in questione;
economisti ed amministratori sanitari.
Quest’ultima categoria di figure professionali è di particolare importanza
all’interno della valutazione dei protocolli infermieristici; reputo fondamentale
che una valutazione complessiva dei protocolli infermieristici debba tenere in
considerazione l’aspetto economico. È, infatti, necessario che un gruppo di lavoro
possieda le conoscenze e le abilità necessarie per effettuare una valutazione dei
costi da sostenere per applicare il protocollo in questione, cioè il tipo di risorse sia
strutturali, sia materiali, sia umane che l’eventuale applicazione del protocollo
coinvolge.
È importante dire che i 4 protocolli accettabili riscontrati sono stati elaborati da
gruppi che hanno realizzato una formazione sulla metodologia di elaborazione.
Dunque, applicando un percorso di valutazione di protocolli di assistenza
infermieristica, è importante a monte formare il personale circa la metodologia
scientifica di elaborazione di tali strumenti operativi.
41 Rocco, M.J., La responsabilità condivisa: protocolli e linee-guida, Atti del Simposio
“ Autonomia e responsabilità degli infermieri: strumenti e strategie ” – III Congresso Nazionale,
Nursing Cuore 2000, promosso dal GITIC, Montecatini Terme, 24-25 Marzo 2000.
Infine, la classificazione finale del protocollo potrebbe essere restituita agli autori
dotandola di una breve relazione che specifici, in caso di necessità, quali
variazione o completamento sono necessari.
CONCLUSIONICome affermato all’inizio dell’elaborato, il ruolo dell’infermiere negli ultimi 15 –
20 anni è cambiato molto; il processo d’aziendalizzazione delle strutture sanitarie
ha comportato enormi cambiamenti nel panorama sanitario e nell’essere
infermiere. Nonostante i numerosi cambiamenti, che ci sono stati e che ci saranno
nel contesto sanitario ed infermieristico, l’obiettivo comune da seguire
costantemente è quello di fornire un servizio di buona qualità agli utenti attraverso
l’utilizzo di soluzioni che integrano etica, economia, efficacia e qualità. Una di
queste soluzioni possono essere i protocolli se però essi vengono elaborati
attraverso un’adeguata metodologia scientifica. Il risultato di questo processo
valutativo non è certo confortante considerando la bassa percentuale di protocolli
ritenuti “ accettabile ”, anche se il campione è piuttosto contenuto.
Questo lavoro non pretende di essere esaustivo sul tema della valutazione della
qualità di questi strumenti poiché molte cose devono essere ancora scritte e sono
notevoli gli spunti di approfondimento.
Il messaggio che vorrei che fosse arrivato a chi avesse letto queste pagine è
l’importanza della valutazione di questi strumenti; purtroppo, in molte realtà non è
presente una mentalità volta a considerare i protocolli come strumenti utili per la
pratica clinica. Vengono spesso elaborati dei documenti di dubbia qualità
soprattutto perché non è nota la metodologia scientifica di elaborazione
È fondamentale un cambiamento attraverso il quale si possa riconoscere
l’importanza di questi strumenti per la professione infermieristica, sia da un punto
di vista delle persone assistite, in quanto aiutano a soddisfare i bisogni con la
maggiore qualità possibile, sia da un punto di vista dello stesso professionista, in
quanto sono strumenti di aiuto nell’attività e favoriscono l’accrescimento della
professionalità del singolo, rappresentando mezzi di continua formazione e
aggiornamento professionale.
Dunque, ogni professionista e/o futuro professionista deve essere in grado di
individuare ed eventualmente elaborare la migliore documentazione evitando
atteggiamenti di passività volti ad accettare sempre e comunque strumenti di
dubbia validità, ma sviluppare una capacità critica volta al miglioramento della
propria professione, miglioramento che può e deve interessare anche i protocolli
di assistenza infermieristica.
È mia ferma convinzione considerare che tutto può essere migliorato e deve,
eticamente, essere migliorato.
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ALLEGATO n°1
ELEMENTO GRAFICO
PRESENTE NOTE
TITOLO SI
Protocollo per l’assistenza
infermieristica alla persona con dolore
anginoso
OBIETTIVO DEL PROTOCOLLO
SI
Attivare interventi adeguati ed uniformi
per il trattamento precoce del dolore
anginoso
DEFINIZIONE SI
Nell’allegato 1 vengono definite le
“ Caratteristiche del dolore e segni
clinici principali in alcuni tipi di
patologie ”
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
SI 2
TIPO DI OPERATORI COINVOLTI
SI Infermiere ( 1 ), medico ( 1 ).
MATERIALE OCCORRENTE
SI
Sfigmomanometro e fonendoscopio,
saturimetro, elettrocardiografo,
occorrente per ossigeno terapia, farmaci
nitroderivati.
TEMPI RICHIESTI SI Sono presenti indicazioni temporali
riferibili alla somministrazione
d’ossigeno alla presenza di marcata
dispnea ( 10 l/m per 15’ ) e la
valutazione della riduzione/
scomparsa del dolore angionoso.
CATEGORIE DI SOGGETTI
SI
Sia dal titolo, sia dall’obiettivo, sia dal
risultato è possibile individuare la classe
di soggetti ai quali si vuole applicare il
protocollo.
AZIONI DA COMPIERE
SI
Viene citata le modalità di azione da
eseguire durante la comparsa del dolore
toracico, una volta “ Accertata la natura
anginosa del dolore toracico ” e “ In
caso di dolore anginoso persistente ”.
RISULTATO ATTESO
SI
Identificare la natura anginosa del
dolore toracico ed attuare un trattamento
precoce.
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI
ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
SI
Vengono indicate sia eccezioni ( “ Non
viene somministrata né modificata la
terapia con nitroderivato nei seguenti
casi: …… ) e variabili.
COMPLICANZE POSSIBILI
NO
SMALTIMENTO MATERIALE
NO
GLOSSARIO DI ABBREVIAZIONI,
SIGLENO
Nel testo vengono indicate sigle quali
PA, FC, FR, ECG, TNT, UTIC.
DATA DI STESURA SI Dicembre 2001
DATA ULTIMA REVISIONE
SI Agosto 2002
NOMINATIVI E SI 1 CO DI
QUALIFICA DEI COMPONENTI DEL
GRUPPO DI ELABORAZIONE
6 infermeri
2 CO INF
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALESI
È presente la sigla “ DIPCAR-1-02 ”
che certifica la numerazione e quindi
l’adozione del documento secondo
certificazione ISO.
BIBLIOGRAFIA SI 2 fonti bibliografiche elencate
ALLEGATO n°2
ELEMENTO GRAFICO
PRESENTE NOTE
TITOLO SIAssistenza infermieristica alla persona
sottoposta a coronarografia
OBIETTIVO DEL PROTOCOLLO
SIGarantire l’assistenza pre e post
procedura evitando le complicanze
DEFINIZIONI SI
Viene riportato in merito alla
coronarografia: che cos’è?, come si
esegue?, a cosa serve e a chi
consigliarla?, quali sono le possibili
complicanze?
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
SI 3
TIPO DI OPERATORI COINVOLTI
SI
Infermiere ( 1 ), Medico Cardiologo
( 1 ), Operatore di supporto ( OTA,
OSS ) ( 1 ).
MATERIALE SI Viene indicato l’occorrente per:
OCCORRENTE
eseguire prelievo ematico, incanalare
vena periferica, eseguire ECG, rilievo
P.A., farmaci previsti, oltre che Cerotto
Soffix-Med, sacchetto di sabbia, guanti
monouso.
TEMPI RICHIESTI SI
Viene indicato il tempo relativo alla
durata dell’esame coronarografico.
All’interno della “ Descrizione del
processo di lavoro ” sono riportate
diverse indicazioni temporali da
osservare in alcuni interventi
assistenziali.
CATEGORIE DI SOGGETTI
SI
Il titolo consente di individuare la classe
di soggetti ai quali si applica il
protocollo, cioè alla persone sottoposte
a coronarografia. Inoltre, più
precisamente, all’interno del paragrafo
“ A cosa serve e a chi consigliarla? ”,
vengono indicate le condizioni
patologiche di pazienti che costituiscono
le indicazioni alla procedura.
AZIONI DA COMPIERE
SI
Vengono differenziate le azioni da
eseguire nel pre-procedura, nel post-
procedura e il giorno successivo alla
procedura.
RISULTATO ATTESO
SI
E’ possibile individuarlo nell’obiettivo,
giacché evitare le complicanze
rappresenta il risultato atteso
dall’applicazione del protocollo.
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI
SI Nel documento, all’interno della
“ Descrizione del processo di lavoro ”,
ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
vengono indicate particolari condizioni
(es., paziente in terapia con
anticoagulanti, Ipoglicemizzanti orali o
Insulinoterapia, se presenta valori
alterati di creatininemia, ecc… ) in cui è
necessario applicare determinati
interventi assistenziali.
COMPLICANZE POSSIBILI
SI
Citate nel paragrafo “ Quali sono le
possibili
complicanze? ”.
SMALTIMENTO MATERIALE
NO
GLOSSARIO DI ABBR. O SIGLE
NO
Non presente il glossario delle sigle
utilizzate, cioè ECG, P.A. UTIC, E.V.
PTCA, m.d.c.
DATA DI STESURA SI 12. 2002
DATA ULTIMA REVISIONE
NO
Non necessita di revisione in quanto il
limite temporale di 3 anni viene
rispettato.
NOMINATIVI E QUALIFICA DEI
COMPONENTI DEL GRUPPO DI
ELABORAZIONE
SI1 AFD
5 IP
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALESI Protocollo 01
BIBLIOGRAFIA SI5 fonti informative cartacee e 5 siti
internet consultati.
ALLEGATO n° 3
ELEMENTO GRAFICO
PRESENTE NOTE
TITOLO SI
Protocollo sulle attività infermieristiche
da attuare alla persona sottoposta ad
inserimento di contropulsatore aortico.
OBIETTIVO DEL PROTOCOLLO
NO
DEFINIZIONE SI
Nel documento viene indicato, riferibili
al contropulsatore, “ Generalità ed
effetti emodinamici ”, “ Indicazioni ”,
“ Controindicazioni ” e
“ Complicanze ”.
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
NO
TIPO DI OPERATORI COINVOLTI
NO
MATERIALE OCCORRENTE
NOL’elenco del materiale necessario non è
presente.
TEMPI RICHIESTI SIRiportati diversi tempi da osservare
nell’assistenza.
CATEGORIE DI SOGGETTI
SI
Nelle “ Indicazioni ” è possibile
individuare la classe di soggetti che
possono necessitare dell’inserimento del
contropulsatore aortico, quindi le
persone a cui può essere applicato il
documento.
AZIONI DA COMPIERE
SI
Riportate azioni relative a:
“ Atti da compiere durante il
posizionamento ”, “ Sequenza per
l’impostazione del CA “Datascope
System 98”, “ Norme da osservare dopo
l’impianto ” e “ Assistenza
infermieristica durante la rimozione del
CA ”.
RISULTATO ATTESO
NO
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI
ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
NO
COMPLICANZE POSSIBILI
SI
Ischemica dell’arto inferiore,
tromboembolia ed infarto nei distretti a
valle, ematoma, pseudo aneurismi,
dissecazione aortica, infezione locale,
setticemia, trombocitopenia, anemia
emolitica, rottura del pallone, embolia
renale.
SMALTIMENTO MATERIALE
NO
GLOSSARIO DI ABBR. O SIGLE
NOUtilizzate sigle quali V.S., IMA, ECG,
CPA, PA, CA, PM.
DATA DI STESURA SI Febbraio 2003
DATA ULTIMA REVISIONE
NO
NOMINATIVI E QUALIFICA DEI
COMPONENTI DEL
SI 3 IP
1 Medico
GRUPPO DI ELABORAZIONE
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALENO
BIBLIOGRAFIA SI
Manuale operativo System 98;
Protocollo “ assistenza
infermieristica al paz. Sottoposto
ad impianto IABP ” redatto da
IP ter.int Multimedia – Sesto S.
Giovanni MI.
ALLEGATO n° 4
ELEMENTO GRAFICO
PRESENTE NOTE
TITOLO SI
Protocollo rimozione dell’introduttore
arterioso. Posizionamento e rimozione
del FemoStop.
OBIETTIVO DEL PROTOCOLLO
SIRimuovere gli introduttori arteriosi
evitando emorragie e ematomi.
DEFINIZIONE NO
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
SI
La tabella raffigurante le azioni da
eseguire permette facilmente di
individuare il numero e il tipo di
operatori coinvolti, cioè 1 Medico e 1
Infermiere.
TIPO DI OPERATORI COINVOLTI
SI Vedi sopra.
MATERIALE OCCORRENTE
SI
Elettrocardiografo, sfigmomanometro,
Femostop ( archetto, fascia e
manometro ), guanti, bisturi, garze
sterili, farmaci ( Atropina, Effortil ).
TEMPI RICHIESTI SI
“ Regola la pressione finale del
Femostop e la diminuisce di 20 mmHg
ogni 15 minuti …”;
“ Quando la pressione del manometro è
a zero da almeno 15 minuti … ”.
CATEGORIE DI SOGGETTI
NO
AZIONI DA COMPIERE
SI
Indicate le azioni relative alla rimozione
dell’introduttore e posizionamento del
FemoStop, oltre che le azioni relative
alla rimozione del Femostop.
RISULTATO ATTESO
SI
L’evitando le emorragie e ematomi,
suggerito dal protocollo rappresenta il
risultato atteso.
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI
ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
SI
La rimozione del Femostop è consentita
solo nel caso in cui la pressione del
manometro è a zero da almeno 15
minuti e non ci sono sanguinamenti.
COMPLICANZE POSSIBILI
SI
L’obiettivo propone come complicanze
possibile ematomi ed emorragie. Inoltre
come altra complicanza viene citata la
reazione vagale per cui l’infermiere
controlla colorito, sudorazione, nausea e
vomito.
SMALTIMENTO MATERIALE
NO
GLOSSARIO DI ABBR. O SIGLE
NO Presenti sigle quali P.A. e FC.
DATA DI STESURA SI 1998
DATA ULTIMA REVISIONE
NO
NOMINATIVI E QUALIFICA DEI
COMPONENTI DEL GRUPPO DI
ELABORAZIONE
NO
Non citati i nomi del gruppo di
elaborazione ma solo la qualifica in
quanto nel documento è riportato:
“ Elaborato dal personale infermieristico
delle UU.OO di CCHTI,
EMODINAMICA, UCIC ”.
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALESI Presente la dicitura: SPECIFICO S2
BIBLIOGRAFIA NO
ALLEGATO n° 5
ELEMENTO GRAFICO
PRESENTE NOTE
TITOLO SI
Assistenza infermieristica alla persona
sottoposta a PTCA: angioplastica
coronarica transluminale percutanea.
OBIETTIVO DEL PROTOCOLLO
SI
1. Garantire l’assistenza pre e post
procedura evitando le
complicanze.
2. Assicurare un’adeguata
educazione sanitaria.
DEFINIZIONE SI Viene riportato in merito alla PTCA:
che cos’è?, come si esegue?, a cosa
serve e a chi consigliarla?, quali sono le
possibili complicazioni?, oltre che
definizioni di: Aterotomia, Stenting
diretto, Stent medicati.
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
SI 3
TIPO DI OPERATORI COINVOLTI
SI
Infermiere ( 1 ), Medico Cardiologo
( 1 ), Operatore di supporto ( OTA,
OSS ) ( 1 ).
MATERIALE OCCORRENTE
SIAll’interno di “ Individuazione risorse
materiali ”.
TEMPI RICHIESTI SI
All’interno della “ Descrizione del
processo di lavoro ” vengono inseriti
tempi da osservare per varie fasi
dell’assistenza.
CATEGORIE DI SOGGETTI
SI
Dal titolo si individua che la classe di
soggetti a cui si applica il protocollo
precede le persone sottoposte alla
procedura di PTCA.
AZIONI DA COMPIERE
SI
Il processo di lavoro descritto prevede:
“ Assistenza pre-procedura ”,
“ Assistenza post-procedura ”,
“ Assistenza il giorno successivo la
procedura ”, “ Assistenza il giorno della
dimissione ”.
RISULTATO ATTESO
SI
L’obiettivo propone di garantire
l’assistenza evitando le complicanze;
ciò rappresenta il risultato atteso
dall’applicazione del documento.
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI
SI Nella descrizione del processo di lavoro
vengono citate condizioni che se
ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
presenti è necessario adottare ulteriori
interventi assistenziali.
COMPLICANZE POSSIBILI
SI
Citate nel paragrafo “ Quali sono le
possibili complicanze? ”. Indicate,
inoltre, all’interno della descrizione del
processo di lavoro altre complicanze.
SMALTIMENTO MATERIALE
NO
GLOSSARIO DI ABBREVIAZIONI O
SIGLENO
Usate sigle quali ECG, P.A., E.V.,
UTIC, IMA, F.C., m.d.c., CK, CK MB,
LDH, APTT, OTA, OSS.
DATA DI STESURA SI 12. 2002
DATA ULTIMA REVISIONE
NO
NOMINATIVI E QUALIFICA DEI
COMPONENTI DEL GRUPPO DI
ELABORAZIONE
SI1 AFD
5 IP
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALESI Protocollo 02
BIBLIOGRAFIA SI5 fonti informative cartacee e 5 siti
internet consultati
ALLEGATO n° 6
ELEMENTO GRAFICO
PRESENTE NOTE
TITOLO SIProtocollo Coronarografia e
Ventricolografia
OBIETTIVO DEL PROTOCOLLO
NO
DEFINIZIONE SI
Viene riportata la descrizione del
Laboratorio di Emodinamica, la
strumentazione, i cateteri, le guide, gli
introduttori, la composizione del kit
sterile e preconfezionato per la
preparazione del campo sterile, …, oltre
che vengono descritte le indicazioni
relative alla metodica.
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
NO
All’interno del documento viene
riportato la tipologia del personale che
lavora in Sala Emodinamica ma non il
numero e il tipo degli operatoti coinvolti
dall’applicazione del documento.
TIPO DI OPERATORI COINVOLTI
NO
MATERIALE OCCORRENTE
SI
Viene riportato l’elenco di materiali e
strumenti utilizzati in Sala
Emodinamica e il materiale necessario
all’esecuzione della Coronarografia.
TEMPI RICHIESTI SI
Indicati tempi relativi a:
“ sospensione terapia anticoagulante
( da 3 giorni prima ) ”, “ EN 20 gtt
( circa 1h prima ) ” e tempi per
rimozione della fasciatura compressiva.
CATEGORIE DI SOGGETTI
SI
Le indicazioni alla procedura
prevedono: Asintomatici con malattia
coronaria nota o sospetta, sintomatici
con malattia coronaria nota o sospetta,
dolore toracico atipico di incerta
origine, infarto miocardico completo,
valvulopatie, cardiopatia congenita nota
o sospetta.
AZIONI DA COMPIERE
SI
Elencate azioni relative alla
preparazione del paziente, preparazione
degli operatori, preparazione del
paziente in sala, oltre che è presenta la
descrizione relativa all’esecuzione della
procedura.
RISULTATO ATTESO
NO
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI
ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
SI
Si indicano i comportamenti che gli
operatori devono obbligatoriamente
adottare nei confronti della sterilità della
Sala e della protezione da raggi X.
COMPLICANZEPOSSIBILI
NO
SMALTIMENTO MATERIALE
NO
GLOSSARIO DI ABBR. O SIGLE
NOSi riportano sigle quali CD-R, SEF, pm,
AICD, PTCA, ECG, BPAC, PA.
DATA DI STESURA NO
DATA ULTIMA REVISIONE
NO
NOMINATIVI E QUALIFICA DEI
NO
COMPONENTI DEL GRUPPO DI
ELABORAZIONESEGNO DI
VALIDAZIONE FORMALE
NO
BIBLIOGRAFIA NO
ALLEGATO n° 7
ELEMENTO GRAFICO
PRESENTE NOTE
TITOLO SIAssistenza infermieristica alla persona
sottoposta ad impianto di pace-maker.
OBIETTIVO DEL PROTOCOLLO
SI
1. Fornire un’assistenza adeguata
al paziente prima e dopo la
procedura evitando
complicazioni.
2. Fornire indicazioni e conoscenze
adeguate al paziente e ai suoi
familiari riguardo la presenza
dello stimolatore.
Inoltre, all’interno della descrizione del
processo di lavoro, viene indicato lo
scopo relativo all’applicazione degli
interventi assistenziali riferibili
all’assistenza pre-procedura.
DEFINIZIONE SI Il documento presenta una descrizione
relativa a: fisiologia cardiaca e sistema
di conduzione atrio-ventricolare, pace-
maker, intervento di posizionamento,
controllo e precauzioni che il paziente
deve tenere in considerazione.
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
SI 3
TIPO DI OPERATORI COINVOLTI
SI
Infermiere ( 1 ), Medico Cardiologo
( 1 ), Operatore di supporto ( OTA,
OSS ) ( 1 ).
MATERIALE OCCORRENTE
SIAll’interno di “ Individuazione risorse
materiali ”.
TEMPI RICHIESTI SI
“ L’intervento in media richiede una o
due ore ”, “ il giorno successivo o 48
ore dopo il paziente può tornare al
proprio domicilio ”. Presenti, inoltre,
tempi riferibili a vari interventi
assistenziali.
CATEGORIE DI SOGGETTI
SI
Il titolo propone come classe di pazienti
cui si applica il documento le persone
che necessitano l’impianto di
pacemaker.
AZIONI DA COMPIERE
SI
Il processo di lavoro descritto prevede:
“ Assistenza pre-procedura ”,
“ Assistenza post-procedura ”,
“ Assistenza il giorno successivo la
procedura ”, “ Assistenza il giorno della
dimissione ”.
RISULTATO ATTESO
SI
“ Evitare le complicanze ” proposto
nell’obiettivo rappresenta il risultato
atteso dall’applicazione del documento.
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI
La descrizione del processo di lavoro
propone interventi assistenziali da
ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
SI
adottare nella situazione in cui la
persona è in terapia con anticoagulanti
orali e in trattamento con
ipoglicemizzanti orali o insulinoterapia.
COMPLICANZE POSSIBILI
SI
Nell’assistenza post-procedura sono
riportate le azioni relative alla
identificazione della presenza di:
pneumotorace, emopericardio da
tamponamento cardiaco, tromboflebite o
trombosi venosa profonda, enfisema
sottocutaneo, ematoma, infezioni.
Inoltre, all’interno del testo, si fa
riferimento alla identificazione di
alterazioni cutanee e segni di decubito
della tasca anche se, quest’ultima, si
verifica tardivamente.
SMALTIMENTO MATERIALE
NO
GLOSSARIO DI ABBR. O SIGLE
NOPresenti sigle ECG, P.A., OTA, OSS,
E.V., STP, Rx.
DATA DI STESURA SI 12. 2002
DATA ULTIMA REVISIONE
NO
NOMINATIVI E QUALIFICA DEI
COMPONENTI DEL GRUPPO DI
ELABORAZIONE
SI
1 AFD
3 IP
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALESI Protocollo 04
BIBLIOGRAFIA SI5 fonti informative cartacee e 5 siti
internet consultati
ALLEGATO n° 8
ELEMENTO GRAFICO
8 9 10NOTE( n. 8 )
NOTE( n. 9 )
NOTE( N. 10 )
TITOLO SI SI SI
Protocollo per l’impianto di
endoprotesi aortobisiliaca
Excluder Gore // Cook Zenith
per via percutanea femorale
nell’aneurisma dell’aorta
addominale
Protocollo per commissurolisi
mitralica percutanea
Protocollo per la
preparazione e l’esecuzione
della angiocardiografia e
coronarografia.
OBIETTIVO NO NO NO
DEFINIZIONE NO NO NO
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
SI SI SI 7 8 4
TIPO DI OPERATORI COINVOLTI
SI SI SI Medico Cardiologo
Emodinamista ( 1 ), Medico
Chirurgo ( 1 ), Medico
Anestesista ( 1 ), AFD ( 1 ),
Cardiologi ( 2 ), Anestesista
( 1 ) ( disponibile su chiamata ),
AFD ( 1 ), I.P. ( 2 ), Tecnico
Medico cardiologo ( 1 ), I.P.
( 1 ), Tecnico Radiologo
( 1 ), Ausiliario ( 1 ).
I.P. ( 1 ), Tecnico radiologo
( 1 ), Ausiliario ( 1 ).radiologo ( 1 ), Ausiliario ( 1 ).
MATERIALE OCCORRENTE
SI SI SI
Elenco del materiale
cardiologico e chirurgico
necessario per l’intervento.
Presente l’elenco relativo al
“ Materiale cardiologico e
campo sterile ” e
Strumentazione.
Elenco del materiale
necessario per l’esecuzione
della procedura
coronarografica e angiografica.
TEMPI RICHIESTI SI SI NO
Indicato il tempo d’esecuzione
dell’impianto ( 3 ore ), oltre
che il tempo relativo alla
profilassi antibiotica ( da
effettuarsi nel reparto di
provenienza 1 ora prima
l’inizio procedura )
Indicato il tempo di esecuzione
della procedura ( 1 ora ).
CATEGORIE DI SOGGETTI
SI SI SI
Il titolo propone come
destinatari del protocollo i
pazienti da sottoporre
all’impianto di endoprotesi
aortobisiliaca per via
percutanea femorale nel caso di
Il titolo precisa la tipologia di
intervento per cui la categoria
di soggetti è individuabile; tale
documento è applicato nel caso
di pazienti sottoposti ad
intervento di commissurolisi
Dal titolo è possibile stabilire
che la classe di soggetti a cui è
indirizzato il documento sono
tutte le persone che necessitano
di essere sottoposte alla
procedura di Angiografia e
aneurisma dell’aorta
addominale.mitralica percutanea. Coronarografia.
AZIONI DA COMPIERE SI SI SI
Il documento illustra le azioni
per l’esecuzione della
procedura, relative
all’approccio percutaneo
arterioso, all’approccio
chirurgico dell’arteria
femorale, all’impianto
dell’endoprotesi, alle suture
arteriose, oltre che le
competenze delle persone
coinvolte dal documento.
Vengono indicate azioni
relative a: “ Approccio
percutaneo al setto
Interatriale ”, “ Puntura del
setto interatriale ”, “
Dilatazione della valvola
mitrale ”, oltre che le azioni
relative alle competenze del
personale coinvolto.
Vengono indicate le azioni
relative alle competenze del
Cardiologo Emodinamista,
dell’Infermiere Professionale
( in sala ), del Tecnico di
Radiologia ( in sala ) e
dell’Ausiliario ( dentro e fuori
dalla sala ).
RISULTATO ATTESO NO NO NO
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI ECCEZIONI
NO NO NO
COMPLICANZE POSSIBILI
NO SI NO
Insufficienza mitralica
importante, tamponamento
cardiaco.
SMALTIMENTO EVENTUALE DEL
MATERIALESI SI NO
Si fa riferimento per lo
smaltimento dei rifiuti al
protocollo in uso nell’Azienda.
Per lo smaltimento dei rifiuti, il
documento fa riferimento al
protocollo operativo n.14 –
generale in uso nella stessa
Azienda Ospedaliera.
GLOSSARIO DI ABBREVIAZIONI O
SIGLENO NO NO
Le sigle AFD, T.I. non sono
esplicitate nel testo, mentre IP,
TCA, S.O. sono definite
direttamente al suo interno.
Presenti sigle quali AFD, ECG,
P.A. ECO, U.O., ev, U, PHT,
TCA.
Solo la sigla AFD è citata nel
protocollo senza una sua
definizione per intero.
DATA DI STESURA NO SI SI
Non viene riportata la data di
elaborazione, in quanto è
riportato la data della versione
2 del documento, che
rappresenta la data di revisione.
15 Febbraio 2000 30 Novembre 2000
DATA ULTIMA REVISIONE
SI NO NO 22 settembre 2001
NOMINATIVI E QUALIFICA
SI SI SI1 Medico
1 AFD
1 Medico
1 AFD
1 Medico
1 AFD
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALESI NO NO Protocollo 2709
BIBLIOGRAFIA NO NO NO
ALLEGATO n° 9
ELEMENTO GRAFICO
PRESENTE NOTE
TITOLO SI
Linee guida per l’assistenza
infermieristica alla persona sottoposta
ad Angioplastica Percutanea
Transluminale ( PTCA ).
OBIETTIVO DEL PROTOCOLLO
NO
DEFINIZIONE NO
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
NO
TIPO DI OPERATORI COINVOLTI
NO
MATERIALE OCCORRENTE
NO
TEMPI RICHIESTI SI
Presenti indicazioni quali: “ Digiuno
dalla mezzanotte; a circa due ore dal
rientro in reparto eseguire …;
mobilizzare la persona nel letto dopo
due ore dalla rimozione del
Femostop ”.
CATEGORIE DI SOGGETTI
SI
Dal titolo è possibile affermare che le
persone a cui si applica il documento
riguarda quelle sottoposte a PTCA.
AZIONI DA COMPIERE
SI Riportate azioni da eseguire il giorno
precedente alla procedura, il giorno
della PTCA, dopo la PTCA ( in
reparto ), nelle ore successive e la
mattina seguente.
RISULTATO ATTESO
NO
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI
ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
SI
Nel documento è riportato un vincolo
relativo alla rimozione dell’introduttore
arterioso: “ … che non potrà comunque
essere rimosso se c’è ancora in corso
eparina ”.
COMPLICANZE POSSIBILI
SI
“ Informare la persona del fatto che
non deve muoversi nel letto, non deve
sollevare la testa e piegare la gamba
per evitare l’insorgenza di emorragie
e/o ematomi anche gravi ”.
SMALTIMENTO MATERIALE
NO
GLOSSARIO DI ABBR. O SIGLE
NO
Utilizzate sigle, non direttamente
esplicitate, quali VES, Rx, ECG, U.O.,
HIV, AP, PTT.
DATA DI STESURA SI 1997
DATA ULTIMA REVISIONE
NO
NOMINATIVI E QUALIFICA DEI
COMPONENTI DEL GRUPPO DI
ELABORAZIONE
NO
Il documento cita solo “ Elaborato dal
personale infermieristico della
Cardiologia ”.
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALESI Protocollo operativo Card. N°1
BIBLIOGRAFIA NO
ALLEGATO n° 10
ELEMENTO GRAFICO
PRESENTE NOTE
TITOLO SIProtocolli infermieristici per attività di
sala P.M.
OBIETTIVO DEL PROTOCOLLO
NO
DEFINIZIONE SI
È presente una breve introduzione volta
ad elencare le manovre eseguite in sala
Pace Maker, i strumenti presenti e le
conoscenze fondamentali che un I.P. di
cardiologia-UCIC deve avere sulle
attività di questa sala. Inoltre vengono
elencate le indicazioni al
posizionamento del pace maker
temporaneo oltre che una breve
descrizione del suo funzionamento.
NUMERO OPERATORI COINVOLTI
SI
Viene indicato nel documento che al
momento della preparazione del
paziente prevede la collaborazione di 2
infermieri, mentre durante la procedura
di posizionamento del pace maker
temporaneo è sufficiente la presenza di
un solo infermiere che coadiuva il
medico.
TIPO DI OPERATORI
SI Vedi sopra.
COINVOLTI
MATERIALE OCCORRENTE
SI
Elencato il materiale relativo alla
procedura di posizionamento del pace
maker temporaneo e all’impianto di
pace maker definitivo
TEMPI RICHIESTI SI
“ Controllo e rimedicazione della ferita
a 24 ore dall’intervento…”;
“ Rimozione punti di sutura in 7°
giornata ”.
CATEGORIE DI SOGGETTI
SI
Le indicazioni al posizionamento del
pace maker temporaneo indicano quali
persone necessitano sia del pace maker
temporaneo, sia del pace maker
definitivo.
AZIONI DA COMPIERE
SI
Per quanto riguarda l’assistenza nel
posizionamento di pace maker
temporaneo vengono riportate le azioni
relative alla preparazione del paziente
ed alla procedura di posizionamento.
Per quanto riguarda l’assistenza
nell’impianto di pace maker definitivo
elencate le azioni relative alla
preparazione del paziente in reparto,
alla preparazione del paziente in sala
pace maker, all’assistenza durante
l’impianto, all’assistenza al termine
dell’impianto.
RISULTATO ATTESO
NO
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI
NO
ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
COMPLICANZE POSSIBILI
SI
“ Controlli frequenti della medicazione
per evidenziare eventuali
sanguinamenti ”.
SMALTIMENTO MATERIALE
NO
GLOSSARIO DI ABBREVIAZIONI O
SIGLENO
Utilizzate le seguenti sigle: p.m., CVE,
V.V.I., INP, P.A., F.C., ECG, I.A.B.P.,
I.P., UCIC.
DATA DI STESURA NO
DATA ULTIMA REVISIONE
NO
NOMINATIVI E QUALIFICA DEI
COMPONENTI DEL GRUPPO DI
ELABORAZIONE
NO
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALENO
BIBLIOGRAFIA NO
ALLEGATO n° 11
ELEMENTO GRAFICO
13 14 15NOTE
( n. 13 )NOTE
( n. 14 )NOTE
( N. 15 )
TITOLO SI SI SI Protocollo per Angioplastica
Protocollo per preparazione ed
assistenza al paziente candidato
ad impianto di PM
Protocollo per Coronarografia
OBIETTIVO NO NO NO
DEFINIZIONE NO NO NO
N° OPERATORI NO NO NO
TIPO DI OPERATORI NO NO NO
MATERIALE NO NO NO
TEMPI RICHIESTI SI SI SI
Presenti tempi da osservare
nell’attuazione delle azioni
riportate.
CATEGORIE DI SOGGETTI
NO SI NO Il titolo permette di individuare
che i soggetti a cui si applica il
documento sono le persone
candidate all’impianto di PM
AZIONI DA COMPIERE SI SI SI
RISULTATO ATTESO NO NO NO
VINCOLI, LIMITI, POSSIBILI ECCEZIONI ALL’APPLICAZIONE
NO NO NO
COMPLICANZE POSSIBILI
NO NO NO
SMALTIMENTO MATERIALE
NO NO NO
GLOSSARIO ABBR. O SIGLE
NO NO NOPresenti le sigle: I.P., PA, FC,
ECG, ACT, CKMB.
Presenti: PT, PTT, E.V., ECG,
Rx.
Presenti: Rx, PT, PTT, CK,
MB, PA, FC.
DATA DI STESURA NO NO NO
DATA REVISIONE NO NO NO
NOMINATIVI E QUALIFICA
NO NO NO
SEGNO DI VALIDAZIONE
FORMALENO SI NO
Firma di un medico
BIBLIOGRAFIA NO NO NO