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Provincia di Rimini con la collaborazione: Regione Emilia-Romagna - Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, Bologna Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico per le Province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna, Rimini.

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Provincia di Riminicon la collaborazione:

Regione Emilia-Romagna - Istituto per i Beni Artistici, Culturali e NaturaliMinistero per i Beni e le Attività Culturali

Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, BolognaMinistero per i Beni e le Attività Culturali

Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico per le Province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna, Rimini.

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Rimini Museo della Città e Domus del Chirurgo Via L. Tonini, 1 e piazza Ferrari47921 Rimini (RN)Per informazioni:tel. 0541.793851 - fax.0541.704410sitoweb: www.museicomunalirimini.ite-mail: [email protected]

Progetto editorialeProvincia di Rimini – Ufficio Cultura – Via Dario Campana, 64 - 47922 Rimini e-mail: [email protected]

Copy testi a cura diRenata Curina, Angela Fontemaggi, Monica Miari,Claudio Negrelli, Jacopo Ortalli, Orietta Piolanti, Annalisa Pozzi

TraduzioniStudio Moretto Group Srl, Brescia

Progetto GraficoImpronta_Digitale - comunicazione&eventi

FotoArchivio fotografico Musei Comunali Rimini (Piero Delucca e Fernando Casadei, Emilio Salvatori, Gilberto Urbinati) - Archivio fotografico Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna (Roberto Macrì) - Phoenix Archeologia Srl

StampaLa Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio

Copyright 2013

In copertina rielaborazione digitale di un particolare del “mosaico delle barche”

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- guida catalogo della Sezione archeologica e della Domus del Chirurgo -

a cura di Angela Fontemaggi

Orietta Piolanti

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PIANTA DEL MUSEOSEZIONE ARCHEOLOGICA

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Come energia segreta, affiorante e composita, l’antico riemerge sempre con la forza pressoria di un grande flusso, un fiotto che defluisce sui basoli sepolti delle strade consolari, le antiche arterie, alimenta sotterraneamente e fa pulsare un cuore plurisecolare, quello di Rimini, sparge la sua linfa vitale sul territorio circostante, nella costellazione dei pagi, gli insediamenti sparsi e si annida nel tessuto delle insulae della città. È in una porzione di esse che, oggi, insiste il monumentale Museo della Città di Rimini, di cui questa guida ripercorre esemplarmente l’esposizione dei materiali archeologici, con i siti e i ritrovamenti, le testimonianze di scavo e le evidenze storico-architettoniche appartenenti a quello stesso corpo antico. Qui, in questo luogo della conservazione, riformulato secondo i più avvertiti modelli museologici, si snoda un percorso scientifico lineare che riflette in filigrana acquisizioni archeologiche aggiornate, formulate sull’evidenza narrativa e didattica, aprendosi all’istanza conoscitiva e pedagogica. Perché rovine e oggetti non rimangano vagheggianti, solitari e introspettivi, fragili, ma continuino a raccontare, come una mappa genetica, le informazioni codificate delle nostre origini ed assumano valori simbolici, trasformandosi in interlocutori non muti, ma interagenti con le emozioni. Una capsula di tempo sigillata è quella riemersa con la domus del Chirurgo che fa da sponda al percorso museale: si consuma la vertigine dell’antico tra gli anfratti della storia e gli interstizi della vita quotidiana. Va da sé che la produzione artistica e archeologica del passato concorre alla nostra comune identità poiché nessuna comunità o civiltà può pensare se stessa senza perpetuare il rapporto con le proprie origini. Si dice che il progetto guidi le scelte. Ecco allora che di fronte alla famelica obsolescenza dei tempi contemporanei, l’antico e la storia rappresentano una calamita con un potenziale ancora non esaurito. E il museo, assieme ai beni archeologici trasmessi in situ, si trasforma in accanita difesa dell’equazione fra spazio e tempo, dell’intersezione fra storia e luogo: in esso l’opera d’arte e il reperto archeologico,

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come nessun altro prodotto umano, rendono concreta tale fusione. Può divenire luogo anche dell’estroversione contemporanea, con l’assunzione di modelli estetici sperimentali e metaforici, densi di relazioni, di umori con il nostro tempo attuale.Il suo attraversamento può divenire esperienza estetica e culturale, un varcare la soglia a più sensi. Un confronto che può farsi serrato, capace di ripercorrere i sentieri della storia e della storia dell’arte giocati in funzione del presente guardando al futuro. Un dialogo vivo che dà senso alla continuità di pensieri e alle opere dell’ingegno, alle documentazioni insediative del nostro territorio dalla preistoria in poi e alle pratiche di vita, ai virtuosi collezionismi che qui si sono raccolti e alla intransigenza degli studi che da oltre due secoli si occupano di questi segni del passato.

Se per Federico Fellini - come amava dire - il cinema era un magnifico “pretesto per mettere le cose in movimento” potrebbe un medesimo desiderio di azione attivare e agire da detonatore per il Museo della Città di Rimini, tra memoria e innovazione?

Massimo Pulini Assessore alla Cultura del Comune di Rimini

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PREMESSA

Questa guida, agile e completa, vuole rappresentare un’accessibile sintesi dei tanti risultati accumulatisi in vent’anni di scavi, condotti soprattutto dalla Soprintendenza Archeologica grazie alla professionalità, all’impegno ed alla competenza dei suoi funzionari, in particolare Maria Grazia Maioli, Jacopo Ortalli, Patrizia von Eles, Renata Curina, Monica Miari, Annalisa Pozzi, e dei tanti collaboratori, molti dei quali proprio sugli scavi in quest’angolo di Romagna si sono formati e professionalizzati.Il quadro che emerge è chiaro ed impressionante: se la lunghezza e la complessità della fase preistorica disegnano diversi processi, non tutti univoci e lineari, che però portano alla fine dell’età del Bronzo a costituire stabilmente i tratti della geografia del popolamento e le principali direttrici dei collegamenti marittimi e terrestri, su cui si costruiscono i contatti commerciali e si aggregano le influenze culturali, è soprattutto con l’età del Ferro che la valle del Marecchia acquista definitivamente la sua centralità, dai percorsi appenninici alla foce con il suo lungo ruolo portuale, secondo un modello di rapporti Rocca-Porto che non a caso si ritroverà ancora nell’organizzazione territoriale definita dai Malatesta tra XIII e XV secolo. Infatti appaiono inscindibili il potere e la ricchezza dei signori etruschi di Verucchio tra VIII e VII secolo dal rapporto con gli scali collocati nelle lanche del fiume a monte della città attuale. Il ruolo del Marecchia appare efficacemente sintetizzato dalla sua doppia denominazione. Il nome etrusco, derivato come abbastanza frequentemente avviene in Etruria dal gentilizio della famiglia dominante, richiama come noto il mitico Arimnesto (grecizzazione di un nome etrusco probabilmente ricostruibile come *Arimna/*Arimne), “re dei Tirreni” citato da Pausania, che “primo dei non-greci” (quanto meno nel VII sec. a.C., dunque) avrebbe fatto offerta al santuario di Olimpia, con il dono di un trono. Il nome attuale richiama la marecula, la lanca–palude a monte della città che rappresentava ancora in età medievale il residuo insabbiato dell’antico porto fluviale.La nascita e lo sviluppo della colonia romana, vero punto di partenza non solo stradale

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della romanizzazione della Cisalpina, e l’insospettata vitalità del centro tardo antico sono efficacemente sunteggiati nei rispettivi capitoli, con un quadro tanto coerente e convincente quanto nuovo ed originale.Completa le informazioni, in stretta coerenza con le sintesi storico-archeologiche, l’utilissima guida di Renata Curina, che mette concretamente in contatto con il visitatore i monumenti e le aree archeologiche, restituendo all’archeologia il suo ruolo fondamentale di storia tangibile e di scoperta dell’antico che continua a vivere anche come presenza fisica nel nostro quotidiano.Un ringraziamento sincero va a tutti coloro – e sono tanti – che con impegno, passione, professionalità o supporto economico hanno permesso la realizzazione di quest’opera e del lavoro enorme che essa riassume, con un risultato che certamente aiuterà a rilanciare la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio archeologico della provincia di Rimini, con le sue indiscusse eccellenze ed inesauribili potenzialità.

Filippo M. Gambari Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna

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RIMINI PRIMA DI ARIMINUMMonica Miari, Annalisa Pozzi

Cacciatori e raccoglitoriTra le testimonianze più antiche della presenza dell’uomo in Europa figurano quelle di S.Fortunato, sui colli del Covignano a Rimini, databili tra un milione e 800.000 mila anni fa. Un milione di anni fa il clima era temperato freddo e l’ambiente steppico, con vaste distese erbacee popolate da grandi mammiferi come elefanti, rinoceronti, ippopotami e bisonti. La Pianura Padana era occupata dal mare e piccoli gruppi nomadi percorrevano le spiagge ghiaiose e le rive dei fiumi alla ricerca di ciottoli da scheggiare per produrre schegge taglienti (Fig.1) o denticolate, con cui macellare gli animali selvatici, rompere le ossa per estrarne il midollo e produrre oggetti in legno. Questi antichi gruppi umani hanno lasciato numerose testimonianze del loro passaggio in Romagna, a Bel Poggio di Bologna, Serra di Castelbolognese, Ca’ Belvedere di Monte Poggiolo (Forlì), Podere Canestri di Forlimpopoli, oltre che al Covignano di Rimini.Una seconda fase di intensa frequentazione dei terrazzi del pedeappennino romagnolo si colloca intorno ai 200.000 anni fa, come documentano le aree di Serra, a Castelbolognese, di Pergola e Oriolo nel ravennate, di Petrignone e Castiglione, a Forlì e del torrente Conca a Riccione. L’assenza o scarsità di documentazione per quanto riguarda il Paleolitico medio e superiore è invece connessa a fenomeni naturali di erosione e di pedogenesi che non hanno consentito la conservazione delle testimonianze archeologiche.

I più antichi villaggiLe testimonianze del popolamento preistorico nel territorio riminese tornano a farsi frequenti a partire dal Neolitico.Circa 10.000 anni fa, con la fine dell’ultima glaciazione, nel Vicino oriente si verificò il graduale

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Fig.1 Fig.2

Fig.3 Fig.4

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passaggio dall’economia di caccia e raccolta a quella incentrata sulla produzione agricola e sull’allevamento. Questo determinò profondi mutamenti: l’uomo divenne sedentario, sorsero i primi villaggi e l’estendersi dei campi coltivati provocò profonde mutazioni nell’ambiente naturale. Tra le grandi innovazioni del Neolitico sono, inoltre, da ricordare la tecnologia di produzione della ceramica, la tessitura e la realizzazione di manufatti in pietra levigata e in ossidiana. Tali fenomeni investono la costa adriatica romagnola dopo la metà del VI millennio a.C., portati dai gruppi di tradizione mediterranea della ceramica impressa, che si diffondono lungo le regioni costiere adriatiche e insediano i loro villaggi in Abruzzo, Marche e Romagna, per poi penetrare nella Pianura Padana.La particolare posizione del territorio riminese lo rende, infatti, un luogo di elezione per l’incontro tra influssi culturali e popolazioni provenienti dalla penisola italiana, dall’est europeo e dai territori occidentali e transalpini. Numerose sono le testimonianze di tale periodo nel tratto costiero compreso tra Misano Adriatico, Riccione e Rimini Miramare. Gli insediamenti sono situati sui fertili terrazzi fluviali prospicienti l’antica linea di costa, in prossimità di corsi d’acqua minori che garantivano le risorse idriche necessarie per lo stabilizzarsi delle comunità neolitiche. L’impianto dei villaggi e il conseguente sviluppo delle pratiche di coltura e allevamento erano generalmente preceduti da circoscritti disboscamenti. A Riccione, nei pressi dell’ex-podere Conti Spina è stata recentemente indagata parte di un insediamento, datato al radiocarbonio alla seconda metà del VI millennio a.C. (6422+-50 BP = cal. 2σ 5480 – 5310 B. C.), con edifici lignei (frassino e quercia) o ampi ripari di forma quadrangolare di cui rimanevano evidenti solo gli elementi delle fondazioni e in alcuni casi i punti di fuoco.L’area abitativa era protetta da una lunga palizzata orientata Est/Ovest, oltre la quale si trovavano cavità differenti per forma e funzione, quali buche per l’approvvigionamento dell’argilla, pozzi per la captazione dell’acqua e tracce di antiche ceppaie.A Rimini, alcuni dei reperti più interessanti provengono dalla zona di San Salvatore, che ha restituito ceramiche di stretta ascendenza sud-adriatica, decorate ad impressioni eseguite a unghiate e ditate occupanti l’intera superficie del vaso, oltre a vasellame con motivi incisi a linee sottili o con motivi a spina di pesce.Il popolamento dei terrazzi fluviali del territorio riminese prosegue anche nelle fasi successive, dette del Neolitico pieno e recente, durante le quali la fascia costiera rimane aperta ai nuovi influssi che continuano a risalire la penisola dalle regioni adriatiche centro-meridionali.

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Lo testimoniano diversi rinvenimenti, quali il vaso a fiasco (Fig.2) in ceramica figulina, con collo cilindrico e piccole ansette forate sotto l’orlo e sulla spalla, proveniente da Casalecchio, loc. Case Bruciate e riconducibile alla cultura di Ripoli, propria del Neolitico abruzzese, mentre nelle località S. Salvatore, S. Lorenzo in Correggiano e Casalecchio-Pradoni si evidenzia la presenza di materiali riconducibili agli aspetti Diana-Serra d’Alto diffusi in Italia meridionale.

Le età dei metalli L’Eneolitico, o età del Rame, ha inizio nella pianura padana intorno alla metà del IV millennio. Questa nuova fase è connotata da importanti conquiste tecnologiche, quali la lavorazione del metallo, l’introduzione della ruota e dell’aratro a trazione animale, mentre nuove forme di spiritualità evidenti nelle statue stele e nelle raffigurazioni rupestri fanno costante riferimento al sole e alle armi.Le testimonianze note lungo la fascia costiera apparivano finora particolarmente esigue, essendo costituite quasi solo da reperti litici sporadici, quali punte di freccia (Fig.3), asce a martello, teste di mazza e oggetti di ornamento provenienti dal Covignano, che potrebbero indiziare anche la presenza di sepolture e da ceramiche con superfici decorate a squame di ambito adriatico-peninsulare rinvenute in zona Miramare, a Casalecchio, S. Salvatore e S. Lorenzo in Correggiano.Oggi, tuttavia, nuove scoperte stanno portando dati di estremo interesse. In particolare, nella zona di Gatteo, è venuto in luce un insediamento del pieno Eneolitico che mostra stringenti contatti con l’insediamento marchigiano di Conelle di Arcevia. Grazie alla presenza di ceramica recante le caratteristiche decorazioni plastiche a rosetta, a spezzoni di cordoni impressi e a pasticche cave, sembra delinearsi una penetrazione di tali motivi verso occidente, la cui diffusione interessa i territori di Cesena e del faentino, per giungere fino al modenese e a Parma. Negli ultimi secoli del III millennio, il sopraggiungere della successiva età del Bronzo, segnata dal pieno sviluppo della metallurgia, dal formarsi di un artigianato specializzato, dal forte incremento demografico e dal sorgere di grandi villaggi organizzati, non porta inizialmente cambiamenti significativi nell’assetto del popolamento della zona. Durante il Bronzo Antico e agli inizi del Bronzo Medio i villaggi sono ancora costruiti di preferenza in zone umide: in prossimità della linea di costa adriatica sono noti quelli di Valle Felici di Cervia, di Riccione via Flaminia e via Castrocaro, di Cattolica Area VGS e di Belvedere di Misano Adriatico. Nelle fasi più avanzate del Bronzo Medio e ancor più nel Bronzo Recente la nostra regione

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risulta interessata da due diverse culture: nei territori occidentali si sviluppano i grandi abitati terramaricoli, mentre la Romagna risulta caratterizzata dalle cosiddette facies appenninica e subappenninica, estese a gran parte dell’Italia peninsulare. In entrambi i territori il numero degli insediamenti si moltiplica: in pianura si sviluppa una fitta rete di abitati distanti pochi chilometri gli uni dagli altri, mentre nuovi centri sorgono sui primi rilievi collinari, come al Covignano.Lungo le pendici orientali del colle, nei terreni del Seminario Diocesano e in via delle Fragole, sono stati intercettati a più riprese resti di un villaggio del Bronzo Medio-Recente. Le abitazioni, con fondazioni su pali portanti e canalette perimetrali, avevano pianta rettangolare o rettangolare absidata e focolare centrale. Il materiale rinvenuto è caratterizzato da tazze con le tipiche anse cornute sopraelevate e cilindro-rette (Fig.4), olle e dolii decorati a cordoni lisci o a tacche, vasi biconici e situliformi. Alla fine del Bronzo Recente, anche la Romagna fu coinvolta nella grande crisi economica e ambientale che investì la pianura padana e che determinerà, alla fine del II millennio, un generale spopolamento del territorio.M.M.

RIMINI BEFORE ARIMINUMHunters and gatherersAmong the oldest testimonies of human presence in Europe is that of San Fortunato, on the hills of Covignano in Rimini, which can be traced back to between one million and 800,000 years ago.One million years ago, the climate was cool temperate and the environment was semi-arid with vast herbaceous expanses populated by large mammals such as elephants, rhinos, hippos and bison.The Po Valley was occupied by the sea and small nomadic groups roamed the sandy beaches and the river banks in search of pebbles to be chipped to produce sharp or finely toothed (Fig.1) splinters for slaughtering wild animals, breaking bones to extract the marrow and carving wooden objects. These ancient human groups have left numerous traces of their passage in Romagna, Bel Poggio in Bologna, Serra in Castelbolognese, Ca’ Belvedere in Monte Poggiolo (Forlì) and Podere Canestri in Forlimpopoli, as well as in Covignano in Rimini.A second era of frequent passage on the lands at the foot of the Apennines in Emilia Romagna took place around 200,000 years ago, as documented by the areas of Serra in Castelbolognese, Pergola and Oriolo in the Ravenna area, of Petrignone and Castiglione in Forlì and of the Conca stream in Riccione.The absence or scarcity of documentation regarding the Middle and Upper Palaeolithic era is attributable to the natural phenomena of erosion and soil formation which inhibited the preservation of archaeological sites.

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The most ancient villagesEvidence of the prehistoric population in Rimini is again frequent from the beginning of the Neolithic era.Around 10,000 years ago, at the end of the last Ice Age, a gradual transition from hunting and gathering to agricultural production and livestock occurred in the Near East, leading to significant changes: man became sedentary, the first villages emerged and the expansion of cultivated fields resulted in great changes to the natural environment. Among the great Neolithic innovations, those regarding the production technology of pottery, weaving and making products out of polished stone and obsidian are of particular importance.These phenomena sprang up along the Adriatic coast of Emilia Romagna after the middle of the 6th Millennium BC. Impressed pottery was brought by groups of Mediterranean origin who spread out along the coastal regions of the Adriatic Sea and settled their villages in Abruzzo, Marche and Romagna, before penetrating the Po Valley.The particular position of Rimini makes it an ideal meeting place for cultural influences and people originating from the Italian peninsula, Eastern Europe and western and transalpine territories.Numerous examples of this period can be seen along the coastline stretching between Misano Adriatico, Riccione and Rimini Miramare. The settlements were positioned on the fertile river terraces overlooking the ancient coastline, close to small waterways that guaranteed water resources essential for stabilising Neolithic communities. The creation of villages and the subsequent development of agricultural practices and farming were generally preceded by localised deforestation.In Riccione, near to the former ‘Conti Spina’ farm, part of a settlement has been recently surveyed and has been dated to the second half of the 6th Millennium BC (6422+-50 BP = cal. 2σ 5480 – 5310 B. C.) using radiocarbon dating. The settlement consists of wooden buildings (ash and oak) or large quadrangular shelters of which only the foundation elements and, in some cases, only the hearths remained visible. The living areas were protected by a long palisade running from the East to the West, beyond which cavities of various shapes and function, holes for the supply of clay, wells for extracting water and traces of ancient tree stumps were discovered.In Rimini, some of the most interesting finds came from the San Salvatore area, where pottery closely related to that of the South Adriatic basin was found, decorated with impressions made with fingerprints and scratching, covering the whole surface of the vase, as well as tableware adorned with engraved thin lines or herringbone patterns. The people of the river terraces in the Rimini area also continued into the later phase, known as the late Neolithic era, during which the coastal area remained open to new influxes which continued to move up the peninsula from the central and southern Adriatic regions. Evidence of this is reflected in various discoveries such as the ‘figulina’ ceramic flask (Fig.2), with its cylindrical neck, small handles and holes drilled under the rim and shoulder from Case Bruciate in Casalecchio, attributable to the Ripoli culture from Neolithic Abruzzo. However, materials that share the cultural aspects of those of ‘Diana’ and ‘Serra d’Alto’, widespread throughout Southern Italy, appear in San Salvatore, San Lorenzo in Coreggiano and Caslecchio-Pradoni.

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The age of metalsThe Aeneolithic period or Copper Age began in the Po Valley around the middle of the Fourth Millennium. This new era is distinguished by great technological achievements such as metal working, the introduction of the wheel and the animal-drawn plough, while new forms of spirituality became apparent in statue-menhirs and rock paintings which consistently refer to the sun and weapons.Known evidence along the coastal area up until this time were of a particularly low level, being almost exclusively made up of sporadic lithic finds such as arrowheads (Fig.3), hammer axes, club heads and ornaments from Covignano, which could also indicate the presence of burial sites, as well as ceramics decorated with scales relating to the Adriatic sea and the mainland, found in the Miramare area in Casalecchio, San Salvatore and San Lorenzo in Coreggiano.However, today new discoveries are leading to extremely interesting data. In particular, a settlement of the final Aeneolithic period came to light in the Gatteo area, which displayed close contact with the ‘Conelle di Arcevia’ settlement in Marche. The emergence of pottery bearing the characteristic plastic decorations of rosettes, rope impressions and hollows evidence the diffusion of these motifs towards the West where they reached Cesena, Faenza and finally Modena and Parma.During the last few centuries of the Third Millennium, the subsequent Bronze age arrived, marked by the full development of metallurgy, the formation of specialised craft, strong population growth and the rise of large, organised villages, initially not leading to any significant changes to the position of the population in the area.During the Early Bronze Age and the beginning of the Middle Bronze Age, the villages were still preferably built in wet areas: close to the Adriatic coastline, the villages of Valle Felici in Cervia, Riccione, Riccione Flamian way and via Castrocaro, the VGS area in Cattolica and Belvedere in Misano Adriatico are well known.In the later stages of the Middle Bronze Age and even more so in the Late Bronze Age, our region was affected by two different cultures: large Terramare dwellings were established in the western areas, while Romagna was characterised by the so-called Apennine and sub-Apennine facies, which extended over much of the Italian peninsular.In both the regions, the number of settlements multiplied: a dense network of dwellings developed on the plain, each just a few kilometres apart, while new centres rose among the foothills such as Covignano. Along the eastern slopes of the hill, in the grounds of the Diocesan Seminary and on via delle Fragole, the remains of a Mid-Late Bronze Age village have emerged several times. The houses, with pile foundations and perimeter channels, had a rectangular or apsidal rectangular base and central hearth. The material recovered is characterised by cups with typical raised horned and cylindrical handles (Fig.4), pots and ‘dolii’ jars decorated with straight seams or notches as well as bi-conical and situliform vases.At the end of the Late Bronze Age, Romagna was also affected by the large economic and environmental crisis that swept through the Po Valley, which would eventually lead to a general depopulation of the area at the end of the Second Millennium.

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Fig.5

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Fig.5

La tarda età del Bronzo e il fenomeno dei ripostigliNell’età del Bronzo Finale si verificano in tutta la penisola italiana significative trasformazioni nell’assetto territoriale ed economico. Il territorio riminese sembra partecipare a questa nuova vitalità e tra i rinvenimenti più significativi si pongono il ripostiglio in loc. Camerano di Poggio Berni (Valle dell’Uso) e il ripostiglio in loc. Casalecchio di Verucchio (Figg.5,30) (Valle del Marecchia). Con il termine “ripostiglio” si intende un accumulo di oggetti metallici, deposto intenzionalmente e composto da una quantità eterogenea di oggetti, generalmente spezzati, frammentari oppure usati. Il fenomeno dei ripostigli, noto in tutta Europa, può essere determinato da diversi fattori; in generale si parla di forme di tesaurizzazione, come raccolte intenzionali o riserve di metallo legate all’attività di un fonditore oppure ad un commercio di manufatti e materie prime. I due ripostigli del riminese, databili tra XII e XI secolo a.C. quello di Poggio Berni e tra XI e X secolo a.C. quello di Casalecchio, sono caratterizzati da oggetti bronzei appartenenti a diverse categorie: ornamenti, armi, asce, coltelli, utensili vari. La presenza, inoltre, di pani e lingotti, associata a strumenti per la lavorazione dei metalli e, nel ripostiglio di Casalecchio, ad una forma di fusione bivalve, sembra inquadrare i due nuclei come scorta di metallo di un artigiano fonditore. Tale documentazione indizia un probabile inserimento di questa parte del territorio riminese in un circuito di contatti che verso la fine dell’età del Bronzo collegava le regioni transalpine e l’Italia nordorientale, il mondo egeo e il versante tirrenico. Il territorio in questa fase doveva essere caratterizzato da limitate e puntuali realtà insediative, che nella successiva età del Ferro portano alla formazione di nuovi agglomerati abitativi, tra i quali emerge Verucchio, centro strategico a controllo della Valle del Marecchia e della costa adriatica.

L’età del Ferro tra Verucchio e CovignanoCon la prima età del Ferro si verificano importanti cambiamenti e la documentazione disponibile indizia tracce di popolamento o comunque di frequentazione in un’area compresa tra il fiume Rubicone ed il fiume Marano. In particolare, si segnalano nel territorio riminese le località di Covignano, Cerasolo, Spadarolo e Friano, e nel territorio di Torriana la località di Ulcedo. Questa fase di sviluppo, caratterizzata dalla formazione di aggregazioni di villaggi, che assumono la connotazione di centri protourbani, ha come epicentro territoriale Verucchio, che a partire dal IX sec. a.C. diviene centro strategico per il controllo delle vie commerciali, con un ruolo fondamentale nella diffusione in tutta la penisola dell’ambra proveniente dal Mar Baltico. La vantaggiosa posizione a controllo di un ampio territorio e delle principali vie di

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comunicazione, pone Verucchio in un rapporto diretto con il Mare Adriatico e si ipotizza che nei dintorni di Rimini, presso la foce del Marecchia, fosse localizzato un punto di approdo per la navigazione.Il centro villanoviano di Verucchio, il cui principale settore di abitato era ubicato presso Pian del Monte, era caratterizzato da quattro sepolcreti disposti lungo le pendici (Lavatoio, Lippi, Moroni, Le Pegge). Tali necropoli hanno restituito nel corso di diverse campagne di scavo circa 600 tombe, che coprono un arco cronologico compreso tra il IX e il VII secolo a.C. Il rituale di deposizione utilizzato è quasi esclusivamente quello della cremazione, mentre a livello strutturale si nota una certa varietà, in quanto da semplici tombe a pozzetto con cinerario deposto sul fondo si giunge ad articolate tombe con cassa lignea contenente il cinerario ed il ricco corredo.Tra VIII e VII secolo a.C. la società è caratterizzata da un’élite aristocratica, riflessa in tombe particolarmente ricche, come la Tomba del Trono e la Tomba delle Ambre esposte al Museo Civico Archeologico di Verucchio. I corredi di questa fase presentano rispetto a quelli cronologicamente precedenti, un aumento della quantità e della qualità degli oggetti: nelle tombe maschili sono deposte armi da offesa e/o da difesa, tra le quali spiccano elmi e scudi bronzei; le tombe femminili si compongono di oggetti di ornamento in materiali preziosi, presenti in quantità ridotte anche nelle tombe maschili, con una profusione di fibule associate a orecchini, collane, cinturoni (Fig.6), e da alcuni strumenti legati all’attività di filatura e di tessitura. A questi elementi si associano, indipendentemente dal sesso del defunto, set da banchetto con vasellame ceramico e bronzeo, elementi del carro, oggetti da bardatura, in particolare morsi equini, asce (Fig.31) e nelle tombe più ricche alcuni oggetti d’arredo, come troni e tavolini lignei.Tra la seconda metà del VII secolo a.C. e la fine dello stesso secolo, Verucchio termina la sua funzione di distribuzione dell’ambra e si delinea una crisi del centro in concomitanza con una nuova riorganizzazione dei circuiti di scambio. Le testimonianze archeologiche subiscono una contrazione e si concentrano presso Pian del Monte, dove sono presenti tracce di abitato ed un’area sacra, in funzione già nella fase precedente. Nella seconda età del Ferro si assiste ad un nuovo assetto territoriale, conseguenza di nuovi equilibri nell’Adriatico, che portano ad un controllo del territorio spostato verso la costa. Intorno al V secolo a.C. la foce del fiume Marecchia si anima con i commerci provenienti dall’Attica ed il pianoro riminese sembra segnarsi di isolati insediamenti stabili. Tra questi assume particolare importanza il colle di Covignano, dove già a partire dalla prima età del Ferro sono presenti testimonianze, che assumono rilevanza tra VI e V secolo a.C., quando il colle sembra divenire

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un centro strategico tra il fiume Marecchia e il fiume Ausa. Tracce di abitato, alcuni dati di tipo funerario e di aree sacre documentano l’importanza del centro in questa fase.Le tracce di un insediamento di VI-IV sec. a.C. sono attestate sul versante settentrionale del colle nella zona del Seminario Diocesano nel corso di indagini condotte negli anni Sessanta e riprese nel 2006. Durante le prime ricerche furono individuati edifici con fondazioni in ciottoli a secco, mentre la più recente indagine ha documentato edifici disposti in modo regolare e modulare, caratterizzati da un’intelaiatura a pali lignei e tamponamenti in incannucciato e materiale deperibile. In connessione a questo settore abitativo è stata trovata, inoltre, una cisterna-pozzo rettangolare profonda oltre 9 m e provvista di gradini per la discesa. Tali dati d’abitato, pur limitati, consentono di avere un quadro delle abitazioni di questa fase; mentre scarse sono le informazioni recuperate per l’ambito funerario. Sempre dallo stesso settore del Seminario è stata rinvenuta nel 1966 una tomba maschile definita “del guerriero” (Fig.7) per la presenza di armi in ferro, quali una spada, punte di lancia e di giavellotto, deposte accanto a vario vasellame (ollette, scodelle, coppe). Sicuramente importante la spada a lunga lama che rimanda ad esemplari dell’Italia centrale, specie in Etruria, ma anche all’ambito piceno. In tale occasione fu recuperata anche la nota coppa in impasto buccheroide con l’iscrizione di possesso etrusca mi titas (“io sono di Tita”) graffita sul piede.Per le aree sacre è particolarmente nota la cosiddetta “Stipe di Villa Ruffi”, individuata sul colle nel corso dell’Ottocento e composta da un nucleo di oggetti vari, tra i quali due sculture in marmo greco raffiguranti personaggi femminili ed alcune statuette bronzee. La stipe sembra coprire un arco cronologico che va dal VI agli inizi del IV secolo a.C. ed è presumibile fosse in connessione con un importante santuario, non rintracciato. Ulteriori aree sacre sono attestate nella località San Fortunato (Podere Fondazzi), sul Colle di Scolca (Podere Socci) e si segnala presso San Lorenzo in Monte il rinvenimento di un’antefissa fittile a testa femminile (Fig.34)degli inizi del V secolo a.C., che potrebbe indiziare la presenza di un edificio sacro. Diverse indagini sono state condotte in alcune zone del centro di Rimini con attestazioni che, seppur limitate, concordano con il quadro finora delineato di una frequentazione dell’area tra VI e IV secolo a.C. (si tratta di vario vasellame, con frammenti di ceramica attica a figure rosse, ceramica a vernice nera, ceramica grigia e bucchero). Infine, tra i rinvenimenti maggiormente discussi si colloca la stele (Fig.8) recuperata in via Bonsi, caratterizzata dalla raffigurazione di profilo di un guerriero armato, recante un’iscrizione di dubbia interpretazione e di difficile inquadramento. La stele sembra presumibilmente riconducibile alla fine del V secolo a.C.A.P.

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Fig.8

Fig.7

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The late Bronze Age and the phenomenon of ‘metal stores’Significant transformations of a territorial and economic nature occurred throughout the whole Italian peninsula during the Final Bronze Age, and the Rimini area was part of this new vitality. Among the most significant findings are the deposit found in Camerano (Poggio Berni, Uso Valley) and the deposit found in Casalecchio (Figg.5,30) (Verucchio, Marecchia Valley).The term ‘deposit’, refers here to an intentionally stored, large, heterogeneous accumulation of metallic objects that are generally broken, fragmented or used. The deposits phenomenon, known all over Europe, may be determined by several factors; in general, they were forms of hoarding, intentional collections or reserves of metal connected to the activities of a smelter or to the trade of artifacts and raw materials. The two deposits in the Rimini area, which may be dated to between the 12th and 11th century BC (Poggio Berni) and the 11th and 10th century BC (Casalecchio), feature bronze objects belonging to different categories: ornaments, weapons, hatchets, knives, and tools of various kinds. Also, the presence of ingots, associated with metal working tools and - in the Casalecchio deposit - to a bivalve mould for metal casting, seems to point to the distinct possibility that these were stocks of metal for a smelter’s workshop.This documentation suggests a probable integration of this area of the Rimini territory in a network of contacts that towards the end of the Bronze Age linked the transalpine regions with the northeast of Italy, the Tyrrhenian coast and the Aegean world. During this time, the territory must have been characterised by limited settlements and sites, which would lead to the formation of new housing agglomerations in the subsequent Iron Age, among which the strategic centre of Verucchio controlling the Marecchia Valley and the Adriatic coast.

The Iron Age between Verucchio and CovignanoSignificant changes occurred in the early Iron Age; the available documentation bears evidence of human settlement traces, or at least movement in an area spanning between the Rubicon and Marano rivers. This regards in particular the towns of Covignano, Cerasolo, Spadarolo and Friano for the Rimini area, and Ulcedo for the Torriana area. Characterised by the formation of village aggregations taking on the form of proto-urban centres, this development phase had at its epicentre Verucchio. Starting from 9th century BC, Verucchio became a strategic centre for the control of commercial roads, playing a fundamental role in the spread of amber from the Baltic Sea throughout the Italian peninsula. Controlling a broad territory and the main routes of communication, Verucchio’s vantage location placed it in direct relation to the Adriatic Sea and it is thought that a harbour may have been situated near Rimini, by the mouth of the Marecchia river.The Villanovan centre of Verucchio, with the main inhabited section located at Pian del Monte, was characterised by four burial grounds located along the nearby slopes (Lavatoio, Lippi, Moroni, Le Pegge). Over the course of several excavation campaigns, these necropolises have unearthed around 600 tombs, covering a chronological era between the 9th and 7th century BC. The funeral rite employed is almost exclusively that of cremation, while a certain variety may be noted on a structural level, from simple pit graves with cinerary urns deposited on the bottom

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through to articulated tombs with wooden coffins containing the cinerary urns along with rich grave goods.Between the 8th and 7th century BC, society was characterized by an aristocratic elite, testified by particularly rich tombs, such as the Tomb of the Throne and the Tomb of the Ambers, exhibited at the Archaeological Museum of Verucchio.With respect to those chronologically preceding them, the grave goods of this phase show an increase in the quantity and quality of objects: attack and/or defence weapons such as bronze helmets and shields are laid down in male tombs; while female tombs exhibit ornaments of precious metals (also present in male tombs, albeit in reduced quantities), with a profusion of fibulae associated with earrings, necklaces, belts (Fig.6), in addition to implements linked to the activity of spinning and weaving. Regardless of the gender of the deceased, we also find banquet sets with ceramic and bronze pottery, items related to chariots and horse harnesses, such as bits, hatchets (Fig.31) and, in the richest tombs, some items of furniture as well, such as wooden thrones and small tables.Between the second half of the 7th century BC and the end of the same century, Verucchio ceased distribution of amber, and crisis came about for this centre in conjunction with a reorganisation of the trade routes. Archaeological evidence is scarcer, concentrating around Pian del Monte, where there are traces of dwellings and a sacred area, already functional in the previous phase.In the Second Iron Age, the territorial layout changed, as a consequence of new power balances in the Adriatic, leading to control of a territory closer to the coast. Around the 5th century BC, the mouth of the Marecchia river started to flourish with commerce from Attica, and the Rimini plateau was dotted by stable, isolated settlements. The hill of Covignano played an important role among these settlements right from the First Iron Age, revealing evidence which would come to be relevant between the 6th and 5th century BC, when the hill became a strategic centre between the Marecchia and Ausa rivers. The importance of the centre in this phase is documented by the recovery of dwelling traces, some funerary objects and findings from sacred areas.6th-4th century BC settlement traces were also identified on the north side of the hill, in the Diocesan Seminary area, during investigations carried out in the Sixties and resumed in 2006. During the first investigations, buildings with cobblestone foundations were identified, while the most recent survey documented buildings with a regular and modular layout, characterised by frames built with wooden poles, straw wattles and perishable material. In connection with this residential sector, the findings also included a rectangular water tank/well over 30 feet in depth with steps leading down.Traces of dwellings, however limited, provide us with a picture of the houses in this phase, whereas there is little information retrieved in the funerary context. Still from the Seminary sector, a male tomb was discovered in 1966 defined as ‘the warrior’s tomb’ (Fig.7) due to the presence of iron weapons, such as a sword, spear and javelin tips, laid down next to various items of pottery (jars, bowls and cups). The long bladed sword is surely remarkable, and similar to specimens found in central Italy, especially in Etruria, but also in the Piceno area. On this occasion, the well-known cup in bucchero ceramics whose foot bears the Etruscan inscription mi titas (‘I belong to Tita’, indicating the cup owner’s name) was also recovered. As regards the sacred areas, the so-called ‘Stipe of Villa Ruffi’ is particularly well-known. It was identified on the

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hill during the nineteenth century and contains various objects, including two sculptures in Greek marble representing female figures, and some bronze statuettes. This votive cache seems to cover a chronological era spanning from the 6th to the beginning of the 4th century BC and was presumably connected to an important sanctuary, not traced. Further sacred areas have been found in the town of San Fortunato (Podere Fondazzi), on the Hill of Scolca (Podere Socci); and near San Lorenzo in Monte, where a fictile antefix (Fig.34) was unearthed, in the shape of a female head from the beginning of the 5th century BC, suggesting the presence of a sacred building.Several surveys have been carried out in a number of areas of the city centre of Rimini with evidence which, although limited, agrees with the framework outlined so far of the area being frequented between the 6th and 4th century BC (this comprises various items of pottery, fragments of Attic red-figure pottery, black glazed pottery, grey and bucchero ceramics). Finally, among the most discussed findings is the stele (Fig.8) recovered in Via Bonsi, characterised by the representation of an armed warrior’s profile, bearing an inscription of doubtful interpretation and origin. The stele seems to presumably date back to the end of the 5th century BC.

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LA CITTÀ ROMANAJacopo Ortalli

Le origini di AriminumAlcuni frammenti ceramici dell’VIII sec. a.C. rappresentano le più antiche tracce archeologiche raccolte nell’area della futura colonia di Ariminum, a documentare la prima presenza umana in quel tratto della costa adriatica in cui si apriva la foce del Marecchia/Ariminus, comodo approdo naturale per i traffici marittimi dell’epoca. Fino alla metà del I millennio il sito non dovette peraltro accogliere un vero e proprio insediamento abitativo; si dovrà piuttosto pensare ad una frequentazione collegata alle attività dello scalo, attorno al quale potevano sorgere localizzati impianti logistici, di natura precaria e prevalentemente operativa.In base alle indicazioni di scavo sembra che solo verso la metà del IV sec. a.C. nell’area si impiantasse uno stanziamento stabile e relativamente ampio, connotato in senso residenziale; significative, in proposito, appaiono le indagini effettuate lungo via IV Novembre, in corrispondenza dell’ex S. Francesco e di palazzo Massani, dove sul terreno vergine si estendevano i resti di edifici abitativi di tradizione protostorica con pareti rettilinee sostenute da pali lignei e piani pavimentali sterrati. La semplice fattura di tali strutture, associate a modeste ceramiche in impasto di produzione locale, testimonia l’impostazione arcaica dell’insediamento; si deve tuttavia segnalare anche la presenza di più pregiati reperti ceramici da mensa, a vernice nera e suddipinti, che comprovano la vivacità dei rapporti commerciali fin da quei tempi intrattenuti con aree centro e sud italiche.Tra la metà del IV e gli inizi del III secolo, in una fase storica che vedeva l’ager Gallicus ancora sottoposto al dominio politico e militare dei Senoni, il settore centrale dell’odierna Rimini era dunque occupato da una comunità ben strutturata, che in base alle caratteristiche dei materiali rinvenuti parrebbe prevalentemente formata da genti umbre. Da lì a poco, tuttavia, tale assetto insediativo mutò radicalmente; la sequenza stratigrafica posta in luce nei già ricordati siti di via IV Novembre indica infatti che tra il primo e il secondo venticinquennio del III sec. a.C. i

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Fig.10

Fig.9

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vecchi impianti furono demoliti e sostituiti da edifici più solidi ed articolati, realizzati con muretti di pietrame a secco o membrature lignee. Lo scavo di palazzo Massani, in particolare, ha evidenziato parte di un’abitazione, retta da robuste travi e coperta da tegole, nella quale diversi ambienti rettangolari si disponevano attorno ad un cortile acciottolato; si trattava di una grande casa la cui fronte prospettava su una strada inghiaiata, diretta al vicino litorale, il cui tracciato appariva identico a quello in seguito assunto dal cardo maximus della colonia.Questi resti edilizi e infrastrutturali suggeriscono l’avvenuta costituzione di un tessuto abitativo più organico e articolato rispetto al precedente stanziamento indigeno. In proposito si deve notare che tale riorganizzazione coincise con un particolare momento storico, vale a dire gli anni che seguirono la vittoria del Sentino del 295 a.C. e la definitiva sottomissione dei Galli Senoni del 283, allorché Roma, acquisito il pieno controllo dell’ager Gallicus, ne avviò la colonizzazione con la fondazione di Hatria e Sena Gallica. In questo contesto si è indotti a ritenere che le strutture riconosciute nell’ex San Francesco e a palazzo Massani, immediatamente anteriori alla deduzione coloniale riminese del 268 a.C., si legassero già al progetto insediativo che Roma aveva elaborato circa i territori da poco conquistati, ed appartenessero ad un primo avamposto di confine creato per controllare il sito d’approdo, posto al margine settentrionale dei vecchi possedimenti senoni e ritenuto strategico nello scacchiere geopolitico medioadriatico.A corroborare l’idea di questa precoce infiltrazione romana non ci sono solo i materiali numismatici e fittili rinvenuti tra i ruderi della casa lignea di palazzo Massani, prevalentemente riferibili all’area centroitalica e comprensivi di un peso da telaio con iscrizione arcaica in lingua latina (L. Volturnio), ma anche la ben nota e discussa serie anonima riminese di aes grave con l’immagine di un Gallo; tali monete fuse, di tipo italico e generalmente attribuite all’ambiente romano, avrebbero infatti ben potuto rappresentare uno strumento di penetrazione economica e sociale del tutto funzionale agli interessi che Roma aveva sul comprensorio locale anche prima di averlo ufficialmente colonizzato.

La colonia: forma e struttura della città (Fig.9)L’anno in cui ufficialmente nacque la città di Ariminum è il 268 a.C., allorché, per volontà del Senato di Roma, seimila famiglie immigrate dal Lazio e dalla Campania vennero a popolare l’area situata alla foce dell’Ariminus e l’agro circostante. Come colonia di diritto latino, formalmente autonoma ed autosufficiente, il centro fu allora organizzato seguendo un preciso piano urbanistico. In base alla procedura normalmente adottata nei centri di nuova fondazione, ricordata anche da Vitruvio, innanzitutto si costruì la cinta muraria che doveva proteggere gli abitanti e si tracciò il reticolo delle strade interne che delimitavano gli isolati e i lotti abitativi da

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assegnare ai coloni.Le più antiche mura riminesi (Fig.11), in parte ancora visibili ai lati dell’arco di Augusto, furono realizzate con grandi blocchi di arenaria locale accuratamente lavorati secondo la tecnica poligonale, tipica dell’ambito centroitalico da cui provenivano i coloni; la cortina, rinforzata da un terrapieno interno, correva su un tracciato di poco più ristretto rispetto alle posteriori mura malatestiane sviluppandosi per tratti rettilinei intervallati da torri quadrangolari. Da segnalare è lo scavo archeologico effettuato in corrispondenza di uno di questi torrioni, alla cui base, nel terreno di rincalzo, si è rinvenuto un deposito votivo di fondazione in cui giacevano i resti di un piccolo cane sacrificato ritualmente e tre monete bronzee: una della più antica serie in bronzo con testa di Gallo (Fig.38) che circolava in zona già prima della deduzione coloniale; le altre due, coniate in argento con l’effigie di Vulcano e la scritta “Arimn”, pure attribuibili ai Romani ma come emissione ufficiale della zecca attivata al momento della fondazione della città.Probabilmente in origine le mura cingevano solo il versante meridionale dell’abitato, completamente sguarnito, mentre il resto del perimetro era protetto dall’Adriatico e dal Marecchia in un quadro topografico che proprio alle acque assegnava un’importante funzione. Oltre all’Ariminus, che scorreva sul lato occidentale della città, si ricorda infatti la presenza del torrente Ausa, che ne lambiva il lato orientale, e della fossa Patara, il cui invaso artificiale attraversava il centro abitato.Il sistema idrico contribuiva dunque a definire il paesaggio urbano assumendo importanti funzioni difensive, civili ed economiche ed integrandosi a quel bacino portuale che per i Romani, al momento della fondazione della città, rappresentava il più importante scalo dell’Adriatico settentrionale. Delle più antiche strutture portuali purtroppo oggi nulla si conosce, dato che il lungo molo con torre farea in blocchi di trachite, un tempo esistente all’altezza di largo Martiri d’Ungheria, difficilmente potrà essere ritenuto anteriore alla tarda età repubblicana o all’augustea; la morfologia dell’area fa comunque ritenere che il porto sfruttasse la linea falcata del litorale estendendosi dalla primitiva foce del Marecchia, all’altezza dell’odierna stazione ferroviaria, fino allo sbocco a mare della fossa Patara.All’interno del perimetro urbano la superficie abitativa venne suddivisa da una maglia ortogonale di strade incentrate sull’incrocio tra il decumanus maximus (corso d’Augusto) e il cardo maximus (vie Garibaldi e IV Novembre). Se in origine il cardine doveva essere privilegiato, come asse di raccordo tra la via proveniente da Arezzo e il porto, dal II sec. a.C. ad imporsi fu il decumano, allorché si trovò a congiungere i terminali delle vie consolari Flaminia ed Aemilia.La maggiore piazza di Rimini, il forum, si apriva al crocevia delle due principali arterie cittadine; lo slargo era orientato sull’asse del decumano ed occupava una superficie approssimativa di

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140 x 70 m, assai più ampia della piazza Tre Martiri che oggi lo sovrasta. Recenti scavi hanno evidenziato l’esistenza di più livelli pavimentali: per l’età repubblicana in elementi di arenaria sovrapposti a un piano in frammenti laterizi, per la prima età imperiale in grandi lastre calcaree. Attorno al foro il reticolo delle strade cittadine delimitava una serie di isolati rettangolari, mediamente di 85 x 120 m, la cui disposizione per strigas, allineata ai cardini, è in buona parte tuttora ricalcata dall’impianto catastale moderno.

L’assetto cittadino e territoriale tra III e II secolo a.C.: vita, economia e religionePer i primi tempi di Rimini si possiedono poche testimonianze edilizie a causa del prevalente uso di strutture deperibili, impiegate anche per la realizzazione degli edifici pubblici; della prima architettura templare, a membrature lignee, restano così solo pochi elementi coroplastici rinvenuti in città e nelle vicinanze, soprattutto a S. Lorenzo in Strada: frammenti di sculture e di lastre di rivestimento fittili a rilievo, con decorazioni vegetali e figure mitologiche improntate alla migliore tradizione artistica dell’ellenismo italico, tra cui spiccano un demone alato (Fig.45), una protome taurina e la bella composizione con Satiro ebbro e Menade (Fig.12).La più antica religiosità locale è dunque testimoniata prevalentemente dai pocola deorum (Figg.13, 40, 41), coppe e piatti a vernice nera sovradipinti con iscrizioni votive alle divinità, tipici della tradizione cultuale latina. Si trattava di oggetti legati a liturgie individuali e private, come documenta il frammento dedicato a Giove seppellito assieme a due mandibole di cane nel rito di fondazione della casa che un colono si costruì entro palazzo Massani. L’abitazione, del pieno III sec., aveva pochi grandi ambienti delimitati da muri in ciottoli e frammenti laterizi; accanto ad essa, nella stessa insula, erano un’area scoperta e un secondo edificio, in parte pavimentato da semplici pianciti in cubetti fittili caratteristici del periodo.La destinazione lavorativa di questo impianto, assieme ad altri rinvenimenti di vasche a cocciopesto e di scarichi di fornace, quali quelli di ceramiche a vernice nera dell’ex palazzo Battaglini e del Mercato Coperto, dimostra che il rarefatto tessuto abitativo di fase coloniale si accompagnava alla diffusa presenza di impianti lavorativi di uso familiare e di officine urbane ad alta specializzazione artigianale. Una più densa occupazione degli spazi residenziali dovette verificarsi solo nel II sec., quando in palazzo Massani si osserva l’ampliamento degli edifici precedenti e la creazione di una nuova domus incentrata su un piccolo atrio e chiusa da un hortus porticato.Il processo di colonizzazione non riguardò solo il centro urbano ma anche il territorio. Fin dai primi tempi il fertile retroterra agricolo, essenziale per il sostentamento della comunità, fu bonificato e suddiviso tramite centuriazione in blocchi orientati in modo diverso: nei sobborghi

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di Rimini riprendendo gli assi urbani, secundum caelum tra il Savio e il Marecchia, adeguandosi alla linea di costa lungo il litorale adriatico. I lotti coltivabili vennero allora distribuiti ai coloni che abitavano in città, oppure in vici e pagi quali S. Lorenzo in Strada e S.Pietro in Cotto, o meglio ancora ai tanti immigrati che popolarono capillarmente l’agro, stanziandosi in modeste fattorie nel tempo destinate anche a svilupparsi in ricche villae. Un nuovo impulso all’assetto insediativo locale fu dato tra il 230 e il 220 a.C. da Gaio Flaminio; questi, infatti, dapprima procedette a nuove assegnazioni di terreni agricoli a singoli coloni, quindi costruì la Flaminia, via consolare che raccordando Rimini a Roma si aggiunse allo scalo portuale come volano di traffici ad ampio raggio. Il definitivo assestamento del territorio riminese avvenne comunque solo nel II secolo, dopo la vittoria romana su Annibale, allorché le primitive funzioni di avamposto militare attribuite alla città cedettero il passo ad un intenso sviluppo sociale ed economico. Le attività commerciali, in particolare, beneficiarono dell’ulteriore potenziamento della rete stradale; alla vecchia via per Arezzo e alla Flaminia si sommò infatti nel 187 l’Aemilia, diretta a Piacenza, e nel 132 la Popillia, che per Ravenna e Altino raggiungeva Aquileia.

Da Silla e Mario a Giulio Cesare: il rinnovamento municipale Le travagliate vicende politiche del I sec. a.C. segnarono profondamente Ariminum; tra il 90 e l’82, a seguito della guerra Sociale, la colonia divenne infatti municipium di piena cittadinanza romana, quindi partecipò alle guerre Civili sostenendo Mario e perciò subendo le ritorsioni del vittorioso Silla. A tale periodo di instabilità militare rimonta sia il restauro delle mura urbiche, documentato dalle iscrizioni dei magistrati che curarono l’opera, i duoviri M. Liburnius, M.

Vettius, C. Obulcius e M. Octavius, sia il rifacimento in opera quadrata delle vecchie porte, porta Romana, poi arco di Augusto, e porta Montanara (Fig.10), che si adeguarono alle più moderne tecniche defensionali dotandosi di un varco a doppia arcata, di un’ampia corte di guardia e di controporte interne.A Rimini, come in tutto il territorio italico, il generale clima di rigenerazione sociale e civica portò allora ad una radicale trasformazione degli assetti urbani, spinti ad adeguarsi ai più elevati standard formali e spesso arricchiti in senso monumentale da impianti che ormai al legno preferivano la pietra. A livello pubblico, e segnatamente religioso, ricordiamo ad esempio il grande complesso templare cui dovevano appartenere gli otto capitelli italo-corinzi (Fig.15) in arenaria, dall’esuberante ornato vegetale, già ritenuti da S. Lorenzo a Monte; e pure la pregevole testa classicistica in marmo greco dal Covignano, forse di Giunone, riferibile ad una statua di culto.

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Anche a livello privato sono evidenti i segni del rinnovamento culturale ed economico verificatosi tra l’età di Silla e quella di Cesare. Alla sfera funeraria vanno ricondotti i maestosi monumenti a dado (Fig.14) con fregio dorico di Q. Ovius Fregellanus e di C. Maecius, dalla necropoli della via Flaminia, testimoni della volontà di autorappresentazione sociale che animava i più eminenti cittadini dell’epoca; per l’edilizia abitativa si segnala invece la diffusione delle pavimentazioni in opus signinum di cocciopesto con fini decorazioni marmoree, e la più complessa articolazione conferita alle domus, ben rappresentate, a palazzo Massani, da una casa ispirata ai modelli romano-italici in cui l’ingresso, aperto tra due tabernae, immetteva in un ampio atrio ad alae con impluvium.

La ricolonizzazione augustea tra opere pubbliche, infrastrutture e propaganda politicaIl processo di ristrutturazione civica avviato nella tarda repubblica godette di un’ulteriore accelerazione alle soglie dell’età imperiale, grazie all’attenzione che a Rimini accordarono dapprima Giulio Cesare quindi Marco Antonio e Augusto, i quali, nel 43 e dopo il 27 a.C., la ricolonizzarono con nuove deduzioni di veterani. Fu comunque sotto Ottaviano Augusto che si registrò un’impressionante serie di intraprese pubbliche, spesso dovute al personale intervento dell’imperatore, nel quadro di un mirato progetto di rinnovamento sociale e culturale, venato da chiari intenti propagandistici, che trovò le sue più concrete espressioni a livello monumentale e infrastrutturale. Al riguardo la testimonianza più splendida è rappresentata dall’arco (Fig.11) innalzato nel 27 a.C. all’imbocco della Flaminia per onorare Augusto come restauratore della via. Concepito in armoniose forme classicistiche, e inquadrato da semicolonne corinzie, il grande fornice a luce libera che sostituì la vecchia porta urbana simboleggiava la pacificazione dell’impero. Evidenti ne erano gli scopi celebrativi, espressi dalla dedica epigrafica in lettere bronzee, dalla statua che originariamente ne coronava l’attico, dai rilievi della trabeazione, con palme e corone d’alloro che alludevano ai trionfi del princeps, e dai clipei di facciata con i busti di Giove, Roma, Nettuno protettore di Rimini e Apollo protettore di Augusto, sintesi simbolica del legame divino che univa lo stato, la colonia e l’imperatore.Con studiata simmetria, sempre sull’asse del decumanus maximus ma dal lato opposto della città, lo stesso Augusto avviò la costruzione, poi ultimata da Tiberio, del ponte sul Marecchia (Fig.17). Sebbene le cinque eleganti arcate in bianca pietra d’Istria avessero una natura eminentemente funzionale, anche in questo caso l’opera fu connotata in senso politico corredandola di epigrafi e rilievi che esaltavano la casa imperiale.Ulteriori interventi contribuirono allora a nobilitare l’immagine della città accrescendone il decoro e la rappresentatività monumentale; tra questi rientrò la risistemazione dell’intero

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Fig.11

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comparto forense. La piazza fu dotata di un nuovo lastricato, di statue onorarie e di un arco che ne enfatizzava l’accesso dal decumano, ormai riservato ai soli pedoni; su uno dei lati, all’imbocco del cardine massimo, venne eretta la grande basilica civile in opera laterizia da poco riconosciuta sul terreno; poco a nord, tra le attuali vie Giordano Bruno e Mentana, si costruì un teatro la cui cavea in mattoni, larga 80 m, fronteggiava una scaenae frons la cui ricchezza è attestata dalle colonne in cipollino e dalle trabeazioni in marmo bianco rinvenute nel palazzo Lettimi. Altre iniziative dell’epoca assunsero invece una valenza più funzionale che ideologica, riguardando infrastrutture destinate allo sviluppo civile ed economico della città. In proposito, oltre al già menzionato restauro della via Flaminia, ricordiamo la risistemazione dell’Aemilia e la lastricatura di tutte le strade urbane (Fig.86), promosse da Augusto e dal figlio adottivo Gaio Cesare nel 2 a.C. e nell’1 d.C., la creazione di un’efficiente rete fognaria urbana, la costruzione di nuovi ponti sull’Ausa e la Patara, il potenziamento dei rami di acquedotto derivati dal primo entroterra collinare.

L’arte ai tempi di Augusto Oltre che da monumentali complessi pubblici, il panorama urbano riminese della prima età imperiale era sicuramente caratterizzato da numerosi apparati di alta qualità artistica; tra i più bei marmi provenienti dalla città alcuni saranno dunque da ritenere arredi civici. Ricordiamo ad esempio un ritratto postumo di Augusto (Fig.54), pertinente ad una grande statua onoraria, una colossale testa di Apollo (Fig.55) in marmo pario di notevole pregio formale, con ogni probabilità prodotta a Roma ed ascrivibile a un simulacro del dio caro all’imperatore, una splendida testa di cavallo oggi in collezione privata, attribuita al coronamento dell’arco augusteo, e i frammenti di alcuni trapezofori (Fig.61) con grifi e immagini celebrative, in origine presumibilmente sistemati nel foro accanto a sedili destinati alla sosta dei cittadini.Altre raffinate sculture possono invece essere ricondotte alla decorazione di ricche abitazioni private; ai tempi di Augusto, infatti, i domini spesso ostentavano il loro livello culturale e la loro fedeltà al princeps esponendo tra le mura di casa opere d’arte di quel gusto classicistico allora tanto di moda in quanto imposto proprio dall’imperatore. Al riguardo le testimonianze più elevate sono costituite da una copia della testa del Doriforo di Policleto, tra le più celebri sculture dell’antichità, e dal problematico ritratto virile idealizzato (Fig.16), forse raffigurante un Genius, dalla domus dell’ex S. Francesco.L’alto standard dei contesti residenziali dell’epoca si esprimeva anche in altre forme, attraverso le qualità ambientali delle domus e le ricercate suppellettili vitree, bronzee e ceramiche che le guarnivano; a dimostrarlo è l’archeologia, con i rinvenimenti che testimoniano il rinnovamento

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Fig.12

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e l’ampliamento di molte abitazioni anche di ambito extraurbano. I modelli architettonici dominanti, ben documentati per la fase protoimperiale di palazzo Massani, erano caratterizzati da impianti estensivi, variamente articolati, in cui eccellevano prestigiose sale di rappresentanza e ricevimento affiancate da giardini e peristili talora abbelliti da vasche ornamentali. A risaltare, nelle domus, era soprattutto la ricchezza e varietà delle pavimentazioni a mosaico e in opus

sectile a marmi policromi, cui normalmente si accompagnavano pregevoli affreschi parietali, in un quadro di produzioni artistiche che lascia intravedere la formazione di una scuola locale.

Economia e societàTra la prima e la media età imperiale la comunità riminese consolidò il proprio assetto sociale e insediativo valorizzando le tradizionali basi economiche del luogo, sostenute da una consistente redditività agricola, dai traffici marittimi e da attività manifatturiere ulteriormente corroborate dalle attitudini imprenditoriali dei liberti. Se la vitalità dello scalo traspare già dalla menzione epigrafica di un horreum Pupianum, magazzino per derrate alimentari presumibilmente ubicato nella zona portuale, a comprovarla è soprattutto l’abbondanza e l’ampio arco cronologico dei rinvenimenti anforici: dagli esemplari di importazione, che testimoniano i rapporti intrattenuti con tutta la penisola e con gran parte del Mediterraneo, alle tante anfore di produzione romagnola che documentano la qualità e la quantità della famosa produzione vinicola riminese destinata alla commercializzazione esterna.Dentro la città sono inoltre noti vari laboratori per la lavorazione del bronzo, dell’osso e della ceramica; i più importanti opifici figulinari, eredi delle pregiate produzioni di vasellame a vernice nera di età repubblicana e indicativi di una radicata specializzazione artigianale, erano comunque dislocati in ambiti periferici: nel primo suburbio, ad esempio nell’area recentemente esplorata presso l’ex Consorzio Agrario, o in località rurali, come a Riccione e Santarcangelo, dove per diversi secoli vennero modellati laterizi, ceramiche e lucerne.Le favorevoli condizioni di vita e la coesione sociale del periodo traspaiono anche dalle fonti epigrafiche: iscrizioni prevalentemente funerarie che riflettono l’ordinata gestione civica della città tramite il ricordo di personaggi che a Rimini operarono magari rivestendo cariche amministrative, religiose e militari. In particolare si potranno segnalare alcune epigrafi onorarie originariamente innalzate nel foro, da dove pure provengono due dediche all’imperatore Antonino Pio, o in altri luoghi pubblici, epigrafi ben rappresentate dalla base in cui si rievocava la brillante carriera che un C. Nonius Caepianus svolse nell’esercito.

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Architetture dell’età imperialePer quanto è noto a livello archeologico, dopo la prolifica stagione augustea il panorama monumentale di Ariminum restò per secoli quasi inalterato. In linea di massima i vecchi complessi pubblici persistettero godendo solo di restauri e parziali rifacimenti, mentre le nuove intraprese costruttive si limitarono a poche mirate iniziative.Alcune dediche epigrafiche, così, menzionano il rifacimento di un macellum, luogo di mercato alimentare e di transazioni commerciali, e l’edificazione di una schola in muratura e legno, destinata alle riunioni di una qualche corporazione cittadina. Uniche eccezioni direttamente documentate sul terreno sono la grande fontana ornamentale a ninfeo portata in luce tra il foro e la basilica, all’imbocco del cardo maximus, e l’anfiteatro (Fig.18) eretto in età adrianea a ridosso del litorale, laddove esistevano ancora aree edificabili, per soddisfare le esigenze ricreative che animavano la comunità. L’impianto per spettacoli gladiatori, lungo 117 m e destinato a più di 10.000 spettatori, si componeva di una struttura ellittica in conglomerato cementizio rivestito da paramenti laterizi; un reticolo di sostruzioni radiali e concentriche, attraversate da ambulacri e scalinate, reggeva le gradinate che si affacciavano sull’arena, mentre il prospetto esterno a due ordini, dei quali l’inferiore porticato, presentava una serie di eleganti quanto sobrie arcate inquadrate da lesene tuscaniche con trabeazioni a dentelli.Almeno fino agli inizi del III secolo le attestazioni archeologiche riminesi paiono indicare una maggiore vitalità dell’edilizia privata rispetto a quella pubblica; al riguardo occorre tuttavia notare che la scarsità degli spazi disponibili, in un tessuto insediativo sempre più saturo, portò nel tempo ad intervenire soprattutto sulle vecchie abitazioni, oggetto di riqualificazioni, ristrutturazioni o semplici frazionamenti interni.

Le domusData la scarsità di estensive indagini urbane, la qualità dell’architettura domestica riminese tra la prima e la media età imperiale può essere ricostruita soprattutto attraverso l’abbondante documentazione musiva che possediamo, la quale, a partire dall’età flavio-adrianea, mostra una crescente propensione per complesse figurazioni dapprima in bianco-nero e quindi policrome. Tra i più rappresentativi contesti di scavo si potrà comunque richiamare quello dell’ex Vescovado, con la sequenza di tre piccole domus una delle quali con peristilio, e l’abitazione protoimperiale individuata a ridosso delle mura, presso l’arco di Augusto, dotata di numerose stanze mosaicate, di vasche e di impianti di riscaldamento riconducibili ad un complesso termale. Decisamente eccezionali, pur nella loro lacunosità, appaiono i resti scoperti a palazzo Diotallevi,

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in via Tempio Malatestiano; si tratta di un settore residenziale incentrato su un cortile contornato da vasche e da prestigiosi ambienti di soggiorno e rappresentanza datati alla prima metà del II secolo. Tra i diversi vani spicca soprattutto un vasto triclinium del quale si conservano le elaborate figurazioni musive in bianco-nero: all’interno di una cornice vegetale si distende una campitura geometrica con emblema rappresentante Ercole ebbro (Fig.73), mentre la fascia che demarcava la soglia d’ingresso (Fig.72) accoglie la vivace scena di un pescoso fondale marino solcato da navi dirette al porto.Dalla stessa domus proviene anche un pregevole torso marmoreo in cui si riconosce un discobolo di scuola policletea; originariamente collocata presso una vasca ornamentale la scultura dimostra il buon livello artistico che ancora caratterizzava le decorazioni domestiche di età medioimperiale. A questo proposito, oltre a vari oscilla (Fig.65) e piccole statue ornamentali di genere o ispirate a soggetti dionisiaci, si dovranno pure segnalare tre raffinate erme di Priapo, Eros e Dioniso (Fig.75) rese con ricercato stile arcaistico e classicistico.

Le tombeCome d’abitudine per il mondo romano, anche ad Ariminum le necropoli cittadine si svilupparono lungo le principali vie suburbane, e in particolar modo ai lati della Flaminia, dove diversi tra i raggruppamenti tombali che si estendevano per chilometri, fino alla chiesa della Colonnella, sono stati oggetto di scavi: da quelli ottocenteschi del Tonini alle porte della città, ai più recenti del Palazzetto dello Sport e quindi dell’ex Tabacchificio e del Centro Flaminio. Ulteriori nuclei cimiteriali convergevano sulla via Aretina, fuori porta Montanara, come quello da poco esplorato al Consorzio Agrario, ed altri ancora erano sparsi nel comprensorio rurale, assumendo una connotazione prediale, o si aggregavano in prossimità di vici, del genere di S. Lorenzo in Strada e della Grotta Rossa del Covignano.Il panorama sepolcrale riminese è sostanzialmente allineato alle più tradizionali pratiche funerarie romane, con una netta prevalenza del rito crematorio fino al II-III sec. d.C., allorché si diffuse l’inumazione, e con la deposizione di corredi che comprendevano ornamenti personali (Figg.49,50) e soprattutto dotazioni standardizzate, innanzitutto monete, lucerne, balsamari e ceramiche da mensa (Fig.51). Pure, quando non si seppelliva nella nuda terra, ricorrevano le usuali protezioni tombali: alla cappuccina, a cassa laterizia e in anfora per gli inumati, entro cassette fittili o urne cinerarie per i cremati. Più peculiari valenze cerimoniali assumevano invece le bare in piombo, forse riferibili a defunti di origine orientale, i lecti decorati in osso usati per trasportare le salme dando uno speciale risalto al corteo funebre, in genere testimoniati da pochi residui combusti, e le condutture fittili o in piombo che, come dispositivi libatori,

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permettevano di far scorrere le offerte rituali fin dentro le sepolture.Tra il I sec. a.C. e il I d.C. si concentra il maggior numero di monumenti eretti fuori terra, alla vista dei passanti, per illustrare l’anagrafe dei morti e per celebrarne la condizione sociale attraverso il linguaggio architettonico, epigrafico e figurativo.Nella maggior parte dei casi si trattava di modesti segnacoli lapidei: cippi, stele e are in cui le immagini simboliche potevano associarsi a ritratti tagliati a busto o resi a figura intera, come fecero i Murrici ed Egnatia Chila (Fig.56); più rari, ma di rappresentatività decisamente maggiore, erano i grandi sepolcri monumentali: a dado, già ricordati per Maecius (Fig.14) e Ovius Fregellanus, a edicola, solitamente indiziati dalle statue iconiche o dalle membrature architettoniche che vi comparivano, a tamburo cilindrico, del tipo tuttora conservato come rudere cementizio lungo la via Emilia a S. Martino in Riparotta.

Uno scenario di vita tra II e III sec.: la domus del Chirurgo Trattando della Rimini medioimperiale uno specifico cenno va indubbiamente riservato all’eccezionale complesso archeologico scoperto e musealizzato in piazza Ferrari (Fig.21), dove si trovava la domus detta del Chirurgo (Fig.19), realizzata nella seconda metà del II sec. occupando e ristrutturando il peristilio di una più antica abitazione prossima al litorale marino.Le macerie che occultavano i ruderi dell’edificio, distrutto da un incendio nel III sec., hanno permesso la conservazione di buona parte dell’originario impianto architettonico: dalle murature in argilla e legno che si integravano alle strutture laterizie, alle diverse stanze di soggiorno e di servizio che si disponevano attorno ad un piccolo cortile, alle decorazioni parietali ad affresco nelle cui ampie campiture policrome si inserivano quadretti paesaggistici ed inserti figurati e geometrici, alle pavimentazioni musive in bianco-nero (Fig.88) e policrome, tra cui risalta la raffinata raffigurazione di Orfeo citaredo circondato dagli animali (Fig.89), alle suppellettili e agli arredi di uso domestico ed ornamentale. Tra questi, rinvenuti nel giardino, si segnalano i frammenti di un grande bacile e il piede di una statua marmorea che raffigurava il filosofo epicureo Ermarco, mentre dal triclinium proviene uno splendido pannello decorativo murale in pasta vitrea (Fig.69) con tre pesci di mare resi a vivaci colori.L’interesse principale del contesto è comunque rappresentato da un servizio di strumenti chirurgici in ferro e bronzo (Fig.70), composto da circa centocinquanta pezzi, associato ad attrezzature terapeutiche, bilance, mortai, fiale vitree e vasi (Figg.68,71) per la preparazione e la conservazione di sostanze medicinali, materiali che nell’insieme ne fanno il più ricco e completo corredo curativo conservatosi dall’età romana. Queste ed altre indicazioni di scavo

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fanno ritenere che verso la metà del III sec. nell’abitazione, trasformata in taberna medica

domestica, vivesse e lavorasse un medico di origine ellenica cui un graffito murale pare attribuire il nome di Eutyches.

Verso la crisi tardoantica: dalla città aperta alla città murata L’incendio che causò l’abbandono della domus del Chirurgo fu indubbiamente di ampie proporzioni, tanto da interessare l’intero quartiere settentrionale della città, come testimoniano le tracce rilevate nei vicini scavi dell’ex Vescovado, di palazzo Diotallevi e della vecchia Banca d’Italia. Un gruzzolo monetale rinvenuto tra le macerie di piazza Ferrari consente poi di datare tale distruzione verso il 260 d.C., allorché si verificò una delle rovinose scorrerie che gli Alamanni, insieme agli Jutungi e ad altre genti germaniche, attuarono tra il 254 e il 271 nell’Italia settentrionale e centrale. Rimasta inedificata per un certo periodo, ai tempi di Onorio e quindi sotto il regno goto l’area fu parzialmente rioccupata da un nuovo complesso residenziale di tono elevato, dotato di impianto termale e di pregevoli mosaici policromi a decorazione geometrica (Figg.20, 26, 90). Quando anche questo edificio fu distrutto, nel pieno VI sec., si ebbe un’ulteriore contrazione degli spazi abitativi, ormai limitati a modeste strutture di età bizantina. Tornando al traumatico evento bellico che devastò il quartiere della domus del Chirurgo occorre notare che esso si inserì in un più generale quadro di scompensi politici e militari e di recessione economica; tale circostanza spiega il mancato ripristino dell’originario tessuto insediativo locale e la formazione di un vuoto all’interno del precedente ordinamento catastale: sintomi della profonda crisi di una città ormai incapace di rigenerarsi. Una vistosa conferma delle difficoltà che Rimini allora incontrava nel conservare il proprio tradizionale florido assetto si ricava da un ulteriore dato archeologico: subito dopo l’incendio che aveva devastato la domus del Chirurgo, sul suo retro si è potuta documentare l’erezione di un tratto di quella cinta difensiva tradizionalmente riferita ad Aureliano e che ora possiamo assegnare al principato di Gallieno. Individuate in diversi punti della città, le nuove possenti mura tardoimperiali in conglomerato cementizio entro cortine di mattoni, rinforzate da torrioni, ridisegnarono dunque la forma urbana di Ariminum sviluppandosi su un perimetro di oltre 2.5 km; il tracciato ricalcava quello della primitiva cinta repubblicana, integrandolo con linea falcata lungo il Marecchia e la costa fino a conglobare l’anfiteatro, in tal modo riutilizzato come poderoso saliente. Se per certi versi l’opera difensiva sancì per Rimini l’avvio di un’epoca dominata dall’incertezza e dall’instabilità, dal punto di vista della cultura e della funzionalità urbana essa rappresentò un forte segno di discontinuità rispetto al passato, serrando entro un rigido limite un impianto cittadino fino allora libero e aperto ai più lontani orizzonti marittimi e terrestri.

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RIMINI OF ROMAN TIMESThe origins of Ariminum A number of ceramic fragments from the 8th century BC represent the most ancient archaeological traces collected in the area of the future colony of Ariminum, documenting the first human presence on this part of the Adriatic coastline where the mouth of the river Marecchia/Ariminus opens up to the sea, a convenient natural harbour for maritime traffic of this age. Until the middle of the first millennium, the site did not host an actual residential settlement; the setting was based more around activities related to the shipping trade, where logistical areas arose, of a precarious nature and predominantly with operational functions. Based on the excavations, it seems that only towards the mid-4th century BC was there the emergence of a stable and relatively widespread settlement with a residential framework. Significant proof of this was to be found from the investigations on Via IV Novembre, in the area of the former church of San Francesco and Palazzo Massani, where the virgin land was found to host the remains of traditionally protohistorical residential buildings with straight walls supported by wooden stakes, and unpaved flooring. The simple craftsmanship of these structures, associated with modest pottery made with locally produced clay, is testimony to the archaic layout of the settlement. However, it is worth noting that more precious ceramic dining relics were also found, with a black glaze and painted decorations, testimony to the flourishing trade with central and southern Italy dating as far back as this period. Between the mid-4th century and the early 3rd century, in a historical period that saw the Ager Gallicus still subject to the political and military dominance of the Senones, the central sector of today’s Rimini was occupied by a well-structured community, which based on the characteristics of the materials discovered, seemed to be made up mainly of Umbrian people. However, shortly after this period, the structure of this settlement was to undergo radical changes. In fact, stratigraphic sequencing in the aforementioned sites of Via IV Novembre indicates that between the first and second quarter of the 3rd century BC, the old systems were demolished and replaced by more solid and articulate buildings, constructed with dry stone walls or wooden frames. The excavations at Palazzo Massani, in particular, show part of a home supported by sturdy beams and with a tiled roof, where various rectangular rooms were located around a pebbled courtyard. This was a large house looking onto a gravel road leading directly to the nearby coast, the trace of which appears to be identical to the later cardo maximus of the same colony.These building and infrastructural remains suggest the growth of a more organic and articulated residential fabric with respect to the previous local settlement. It is worth noting here that this reorganisation coincided with a particular historical period; the years that followed the victorious Battle of Sentinum in 295 BC and the final submission of the Senones in 283, when Rome, after taking full control of the Ager Gallicus, started colonisation with the foundation of Hatria and Sena Gallica. This background leads us to believe that the structures identified in the former church of San Francesco and in Palazzo Massani, immediately before the Rimini colonial deduction of 268 BC, were already related to the settlement plan drawn up by Rome for the recently conquered areas and were a part of the first border outpost created to control the harbour, which situated

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on the northern border of former territory of the Senones and was deemed a strategic site on the Mid-Adriatic geopolitical chessboard. To corroborate the idea of this premature Roman infiltration, there are not only the numismatic and clay materials found among the ruins of the wooden house of Palazzo Massani, originating mainly from the Central Italic area, and including a loom weight with an archaic Latin inscription (L. Volturnio), but there is also the well-known and debated anonymous Rimini series of Aes grave with the image of a Gaul; these forged coins, of Italic origin and generally attributed to the Roman environment, would have represented a highly functional means of economic and social penetration, indicative of Rome’s interests in the local area even before it was officially colonised.

The colony: the form and structure of the city (Fig.9) The official birth year of the city of Ariminum is 268 BC, when, upon the decision of the Senate of Rome, six thousand families emigrating from Lazio and Campania came to populate the area around the mouth of the Ariminus and surrounding land. As it was a colony, formally autonomous and self-sufficient, governed by Latin law, the centre was organised following a precise urban plan. According to the procedure normally adopted in newly founded centres, as we are also reminded by Vitruvius, the first step was to build the city walls designed to protect the inhabitants, after which the internal road network was laid, outlining the residential blocks and areas to be assigned to the settlers. The most ancient walls (Fig.11) of Rimini, still in part visible at the two sides of the Augustus arch, were made of large blocks of local sandstone, meticulously crafted using the polygonal technique which was typical of the Central Italic area where the colonies came from. In fact the curtain wall, fortified by an internal embankment, followed a line only a little narrower than the later Malatesta walls, running straight and spaced by quadrangular turrets. Worth noting are the archaeological excavations around one of these turrets, the base of which, in the supporting earthwork, revealed an votive deposit linked to building rites where the remains of a ritually sacrificed small dog lay, along with three bronze coins: one from the most ancient series in bronze with the Gaul’s head (Fig.38), circulated in the area already before the colonial deduction; the other two, minted in silver with the effigy of Vulcanus and the text ‘Arimn’, again attributable to the Romans, but as the official edition of the mint issued at the time of the city’s foundation.Originally, the walls probably only surrounded the southern face of the settlement, which was left completely exposed, while the rest of the perimeter was protected by the Adriatic sea and the river Marecchia, in a geographical layout where water played a fundamental role. As well as the river Ariminus, flowing on the western side of the city, there was also the stream Ausa, on the eastern side, and the Fossa Patara, artificially dug to run through the centre of the settlement. The water system thus contributed to defining the urban landscape, with important defence, civil and economic functions; it also integrated the port, which for the Romans, when they founded the city, was the most important port of call of the northern Adriatic. Unfortunately, nothing is known of the most ancient port structures, given that the long pier with an ancient lighthouse in blocks of trachyte, once reaching Largo Martiri d’Ungheria, can only be dated back to the late Republican or Augustan era. However the morphological layout of the area leads us to believe that the port

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exploited the route along the coastline from the early mouth of the river Marecchia through to the current railway station and the point where the Fossa Patara reached the sea. Within the urban perimeter, the residential area was divided by a square grid of roads, with a central crossroads between the decumanus maximus (Corso d’Augusto) and the cardo maximus (Via Garibaldi and Via IV Novembre). While originally the cardo maximus was expected to be the main road as it connected the road from Arezzo to the port, the decumanus maximus was to gain more importance from the 2nd century BC, when it joined the terminals of the consular roads Via Flaminia and Via Aemilia. The main square of Rimini, the forum, opened onto the crossroads of the two main city routes, with the wider stretch opening towards the decumanus and occupying an area of approximately 140 x 70 m, a great deal larger than the Piazza Tre Martiri of today. Recent excavations have revealed the existence of several floor levels: sandstone elements with fragments of a brick overlay date back to the Republican era, while large stone slabs originate from the early Imperial era. Around the forum, the grid of city roads bordered a series of rectangular blocks, on average measuring 85 x 120 m, with a ‘per strigas’ layout, aligned with the main routes, forming the basis for the layout of the current town plan.

The layout of the city and area between the 3rd and 2nd century BC: life, economy and religion There is little evidence of buildings from the early period of Rimini’s existence due to the predominant use of perishable materials, also used to construct public buildings. For this reason, only a few items have been found as testimony to the initial temple architecture with wooden stakes, consisting in a few coroplastic elements found in and near the city, above all in San Lorenzo in Strada. These included fragments of sculptures and clay relief covering slabs, with floral decorations and mythological figures inspired by the best artistic tradition of Italic Hellenism, in particular featuring a winged demon (Fig.45), a taurine protome and a beautiful composition with a Drunken Satyr and Maenads (Fig.12). The most ancient religious spirit of the Rimini area can also bee seen from the Pocola deorum (Figg.13, 40, 41), cups and plates with black glaze and overlaying votive inscriptions to the divinities, typical of the Latin cultural tradition. These were objects related to personal and private rites, as documented by the fragment dedicated to Jupiter, buried with two jawbones of dogs in the ritual laying of foundations for a home built by a member of the colony within the Palazzo Massani. The home, dating back to the 3rd century, had few large rooms, and walls built with small stones and brick fragments; next to this, in the same insula, there was an open area and a second building, in part floored with simple clay cubes typical of this period. The working destination of this system, together with other findings of baths in opus signinum, and kiln drains, such as those of the black-glazed pottery of the former Palazzo Battaglini and the Covered Market, demonstrate that the refined residential fabric of the colonial phase was accompanied by the widespread presence of working systems used by families and urban workshops highly specialised in crafts. In the residential areas, population density of only increased in the 2nd century, when existing buildings were extended, with the creation of a new

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domus centred around a small atrium and closed by a porticoed hortus, as attested to by the remains found inside Palazzo Massani. The process of colonisation not only involved the urban centre, but also the surrounding territory. From the very beginning, the fertile agricultural hinterland, essential to support the community, was cleared and divided by centuriation, in plots with varying orientation: in the suburbs of Rimini the were oriented according to the urban road axes, whereas between the rivers Savio and Marecchia, they were oriented secundum caelum, running along the Adriatic coastline. The farming allotments were then distributed to the colonials living in the city, or in vicus and pagus such as San Lorenzo in Strada and San Pietro in Cotto, or better still to many immigrants populating the countryside, living in modest farms which over time were to become rich villae. A new boost to the residential settlement came between 230 and 220 BC by Caius Flaminius; in fact, he first assigned agricultural land to the colonials, to then build Flaminia, the consular road, which by linking Rimini to Rome was to make the port on the Ariminum a central hub for the long-range shipping trade. However, the Rimini territory only finally settled in the 2nd century, after the Roman victory against Hannibal, when the earlier role as military outpost played by the city made way to a phase of intense social and economic development. Trading particularly benefited from further improvements to the road network; in addition to the original road to Arezzo and Via Flaminia, the Via Aemilia leading to Piacenza was built in 187, and the Via Popilia, leading to Aquileia through Ravenna and Altino, was built in 132.

From Silla and Marius to Julius Caesar: municipal renewal The political upheavals of the 1st century BC deeply scarred Ariminum; between 90 and 82 BC, following the Social War, the colony then became a municipium with full Roman citizenship, and thus participated in the Civil Wars in support of Marius to then be subjected to the retaliation of the victorious Silla. The restoration of the city walls can also be dated back to this period of military instability, documented by the inscriptions of magistrates who supervised the works, the duoviri M. Liburnius, M. Vettius, C. Obulcius and M. Octavius, as well as the restoration of the former Porta Romana gate in opus quadratum, followed by restoration of the arch of Augustus and Porta Montanara (Fig.10), which were adapted to more modern defence techniques, with a double arch passage leading to a large defence courtyard with secondary gates.In Rimini, as over the entire Italic territory, the general climate of social and civil regeneration thus led to a radical transformation of the urban layouts, striving towards higher formal standards, often enriched with monumental structures tending more towards the use of stone in place of wood. A significant example of public art and architecture is the large temple complex to which the eight Italo-Corinthian capitals (Fig.15) in sandstone with exuberant floral decorations probably belonged (they were previously deemed to belong to the church of San Lorenzo a Monte), and the remarkable head in Greek marble from Covignano (Fig.48), perhaps from a religious statue representing Juno. Private art and architecture also shows evident signs of cultural and economic renewal occurring between the age of Silla and that of Caesar, as the majestic dado monuments (Fig.14) with a Doric frieze of Q. Ovius Fregellanus and C. Maecius, from the necropolis of Via Flaminia,

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testimony to the will for social self-representation of the most eminent citizens of this age; residential buildings show clear signs of more widespread use of flooring in opus signinum with fine marble decorations, and the structure of the domus becomes more complex, as shown by the remains of a home found in Palazzo Massani which is inspired by the Italic-Roman models, with the entrance located between two tabernae and opening up onto a large atrium with alae and impluvium.

The Augustan recolonisation: public works, infrastructures and political propaganda The process of civil restoration started in the Late Republic era enjoyed further stimulus at the threshold of the Imperial Age, due to the attention paid to Rimini first by Julius Caesar and then by Marcus Antonius and Augustus, who, in 43 and after 27 BC, recolonised the city with new deductions of veterans. Under Octavian Augustus an impressive series of public works was carried out, often due to the personal intervention of the emperor, within the framework of a specific plan for social and cultural renewal that was tinged with obvious propagandistic aims and found its most concrete expression on monumental and infrastructural levels. The most splendid evidence of this period is the arch (Fig.11) erected in 27 BC at the start of Via Flaminia in honour of Augustus as restorer of this road. Designed with harmonious classical forms, and framed by Corinthian semi-columns, the great open-span triumphal arch, which replaced the earlier city gate, symbolised pacification of the empire. The celebratory aims of this work were evident, expressed by the epigraphic dedication in bronze letters, the statue that originally crowned the attic, the relief work of the trabeation, with palm trees and laurel wreaths alluding to the triumphs of the Princeps, and the facade clipei with busts of Jupiter, Rome, Neptune protector of Rimini and Apollo protector of Augustus, summing up the symbolic divine tie that united the state, the colony and the emperor. With researched symmetry, again along the axis of the decumanus maximus but on the opposite side of the city, the same Augustus started construction, to be completed by Tiberius, of the bridge over the Marecchia river (Fig.17). Although the five elegant arches in white Istrian stone played an eminently functional role, this work also bore political connotations, by virtue of the epigraphs and relief work exalting the imperial house. Further interventions then contributed to ennobling the image of the city, enhancing its dignity and monumental representativeness, including the reorganisation of the entire forum area. The square was completely resurfaced, with honorary statues and an arch that emphasised the access from the decumanus, now reserved exclusively for pedestrians. On one of the sides, on entry of the cardo maximus, a grand civil basilica was erected in brick work, until then little known in this area; a little further north, between the current Via Giordano Bruno and Via Mentana, a theatre was built, with a cavea in brick work, 80 m wide, facing a scaenae frons, the wealth of which is demonstrated with the columns in Cipollino marble and the trabeations in white marble, discovered in Palazzo Lettimi. Meanwhile, other initiatives of the era served a more functional than ideological purpose, involving infrastructures destined for the civil and economic development of the city. With regard to this, as well as the afore-mentioned restoration of Via Flaminia, there was the reorganisation of

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the Via Aemilia and paving of all urban roads (Fig.86), promoted by Augustus and the adoptive son Caius Caesar in 2 BC and in 1 AD, the creation of an efficient urban sewage network, the construction of new bridges on the rivers Ausa and Patara, and improvements to the sections of the aqueduct leading from the surrounding hills.

Art in the age of Augustus In addition to the monumental public complexes, the urban panorama of Rimini in the first Imperial era was undoubtedly characterised by numerous artistic products of superior quality; some of the most beautiful marble works in the city can even be considered urban decorations. An example of this can be seen in the posthumous portrait of Augustus (Fig.54), belonging to a great honorary statue, a colossal and highly formal head of Apollo (Fig.55) in parian marble, most likely to have been produced in Rome and ascribable to a simulacrum of the god so dear to the emperor; a splendid horse’s head, now in a private collection, attributed to the crowning of the Augustan arch, and fragments of a number of trapezophoros (Fig.61) with griffins and celebratory figures, presumably originating from the forum and placed alongside public resting seats. Other refined sculptures can be traced back to the decoration of wealthy private homes. In fact, in the time of Augustus, the domini (masters of the home) often showed off their cultural level and loyalty to the princeps, by exhibiting classical works of art within the walls of their home, then seen to be fashionable in line with the tastes of the emperor. Some of the greatest testimonies to this include the copy of a head of Doryphoros by Polykleitos, one of the most famous sculptors of ancient times, and the idealised virile problematic portrait, perhaps portraying a Genius (Fig.16), from the domus of the former church of San Francesco. The high standard of residential complexes was also expressed in other forms, such as the environmental qualities of the domus and refined glass, bronze and ceramic furnishings; this is demonstrated by archaeological findings that prove the renewal and expansion of many homes, also outside the city. The dominant architectural models, well documented for the protoimperial phase of Palazzo Massani, featured extensive systems, articulated in various ways, boasting impressive entertainment and guest halls flanked by gardens and peristyles at times embellished by ornamental ponds. A prominent feature of the domus was above all the wealth and variety of flooring in mosaic and coloured opus sectile marble, normally accompanied by exceptional wall frescoes, within a framework of artistic works that suggest the possible formation of a local art school.

Economy and society Between the early and middle Imperial age, the Rimini community consolidated its social rank and settlement, giving value to the traditional economic foundations of the location, supported by substantial and profitable farming, the shipping trade and manufacturing trade, and further corroborated by entrepreneurial activities of the freedmen. While the vitality of the port can be gleaned by the epigraphic mention of a horreum Pupianum, a warehouse for food stocks, presumably located in the port area, proof of flourishing activity can be found above all in the abundance and widespread chronological span of amphorae findings: from specimens

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of importation, testimony to trade relations with the entire peninsula and a large part of the Mediterranean, and the many amphorae produced in Romagna, documenting the quality and quantity of the famous Rimini wine production destined for trade with other areas. Within the city there is also evidence of various workshops for working bronze, bone and pottery. The most important figurine factories, heirs to the high quality production of black glazed ceramics of the Republican era and indicative of a deep rooted specialisation in handicraft, were situated on the outskirts of the city, and in the nearby suburbs, for example in the recently explored area at the former Agrarian Consortium, or in rural locations such as Riccione and Santarcangelo, where bricks, pottery and oil lamps were made for many centuries. The favourable living conditions and social cohesion of this period can be seen also from epigraphic sources: predominantly funeral inscriptions reflecting the highly ordered civic management of the city, in memory of important figures who worked in Rimini, probably holding administrative, religious and military positions. Of particular note are a number of honorary epigraphs originally standing in the forum, also the original location of two dedications to the emperor Antoninus Pius, while in other public locations, epigraphs well represented from the base, recalling the brilliant military career of a certain C. Nonius Caepianus.

Architecture in the Imperial Age As far as is known in archaeological terms, after the prolific Augustan season, the monumental scenario of Ariminum remained virtually unchanged for centuries. The older public complexes mainly underwent simple restoration work or partial renovation, while new building operations were limited to just a few specific initiatives. Some epigraphic dedications thus mention the rebuilding of a macellum, the location for the food market and general trade, and the construction of a schola in stone and wood, destined as the meeting place of a certain city corporation. The only directly documented exceptions to this in the area are the great ornamental nymphaeum fountain discovered between the forum and basilica, on entrance to the cardo maximus, and the amphitheatre (Fig.18) erected in the Adrian age on the coastline, where building land still existed, to meet the recreational needs of the community. The gladiator arena, 117 m long and designed to hold more than 10,000 spectators, was built with an elliptical structure in concrete and clad in bricks; a grid of radial and concentric substructions, crossed by ambulacrums and stairways, supported the terraced steps looking down onto the arena, while the external prospect in two tiers, the lower with porticoes, featured a series of both elegant and sober arches, framed by Tuscan style pilasters with denticulate trabeations.At least until the start of the 3rd century, the Rimini archaeological evidence seems to indicate more private rather than public building activities. However, with regard to this, it should be noted that the little space available, alongside an increasingly saturated settlement, meant that interventions were above all focussed on older homes, consisting in work for improvements, restoration, or simple internal partitioning.

The domus Given the scarcity of extensive urban investigations, the quality of Rimini’s domestic architecture

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between the early and middle Imperial age can be reconstructed above all through the abundant documentation of mosaic art in our possession, which, from the Flavius-Hadrian age, shows an increasing tendency towards complex representations, first in black and white, and then in colour. One of the most representative excavations is that of the former Vescovado (Bishop’s Palace), with the sequence of three small domus, one of which with a peristyle, and the protoimperial home identified in proximity of the city walls, at the arch of Augustus, equipped with numerous mosaic tiled rooms, ponds, and heating systems that suggest a spa complex. An undoubtedly exceptional find, despite the missing features, were the remains discovered at Palazzo Diotallevi, in Via Tempio Malatestiano; this was a residential sector built around a courtyard surrounded by baths and impressive living and entertainment areas, dating back to the first half of the 2nd century. An outstanding feature among these various rooms is above all the vast triclinium, conserving the elaborate mosaic representations in black and white: a geometric background extends within in a floral border, with an emblem representing a drunken Hercules (Fig.73), while the strip marking out the entrance threshold (Fig.72) is host to the lively scene of a seabed abounding in fish and ships ploughing through the sea towards the port. An excellent marble male torso was also found in the same domus, where we can recognise a discus thrower of the school of Polykleitos. Originally located in an ornamental pond, this sculpture shows signs of good artistic skill, typical of the domestic decorations in the middle Imperial era. Within the same setting, in addition to the various oscilla (Fig.65) and small ornamental statues of this type or inspired by Dyonisiac subjects, worth noting are three refined herma of Priapus, Eros and Dionysus (Fig.75), produced in a refined archaistic and classical style.

Tombs According to the customs in the Roman world, Ariminum too saw the development of city necropolis along the main suburban roads, and in particular along the sides of Via Flaminia, where many tomb groups that extended kilometres, through to the church of Colonnella, were uncovered in excavations: from the excavations directed by Tonini in the nineteenth century at the gates of the city, to the most recent one at Palazzetto dello Sport and those of the former tobacco factory and Centro Flaminio. Other cemetery areas were found on the Via Aretina, outside the Porta Montanara gate, as the one recently explored by the Agrarian Consortium, while others still were spread around the surrounding rural areas, suggesting a praedial nature, or grouped in the vicinity of vicus, such as those of San Lorenzo in Strada and of the Grotta Rossa of Covignano. The findings show that Rimini was substantially in line with the most traditional Roman funereal practices, with a marked prevalence of the crematory rites through to the 2nd-3rd century AD, at which point burial gained popularity, and the laying of grave goods, which included personal ornaments (Figg.49, 50) and above all standardised items, i.e. mainly coins, oil lamps, balsamaries and dining pottery (Fig.51). Also, when burials did not take place in bare earth, the conventional tomb enclosures were envisaged, such as ‘cappuccina style’ roofing, brick caskets and amphorae for burials, and in clay caskets or cinerary urns for those cremated. Lead coffins were associated with more peculiar ceremonial worth, perhaps attributable to the deaths of those with oriental origin, lecti decorated in bone used to transport the bodies, giving special

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emphasis to the funeral processions, with small amounts of burnt residues, and the clay or lead pipes, connected with libation rites, allowing offerings to reach the inside of the burial.Most monuments erected above ground date to between the 1st century BC and 1st century AD, standing in view of passers by, to illustrate the background of those who died and to celebrate their social status through architectural, epigraphic and figurative language. In most cases these were modest tombstones: cippi, stelae, and arae, where symbolic images were often associated with portraits cut into busts or entire figures, as in the case of the Murrici and Egnatia Chila (Fig.56). Rarer, but decidedly more representative, were the large monumental tombs in dado form, already remembered with Maecius (Fig.14) and Ovius Fregellanus, with an aedicule design, usually holding iconic statues or featuring characteristic architectural frames, with a cylindrical drum form, such as those still conserved as cement mix remains along the Via Aemilia in San Martino in Riparotta.

A scenario of life between the 2nd and 3rd century: the Domus del Chirurgo (Surgeon’s House) When looking into the middle Imperial age of Rimini, special mention should undoubtedly be made of the exceptional archaeological complex discovered and transformed into a museum in Piazza Ferrari (Fig.21), site of the so-called Surgeon’s House (Fig.19), built in the second half of the 2nd century, occupying and renovating the peristyle of an older home close to the coastline. The rubble concealing the remains of the building, destroyed by a fire in the 3rd century, enabled the conservation of a large part of the architectural complex, including the walls in clay and wood, integrated with the brickwork structures, the various living and service rooms laid out around a small courtyard, the frescoed walls decorated with large colourful backgrounds framing small landscapes and geometrical and figurative inserts, black and white or coloured mosaic flooring (Fig.88), with an exceptionally refined portrayal of the bard Orpheus surrounded by animals (Fig.89), and impressive ornaments and furnishings for domestic and decorative use. Among these, the garden also yielded the fragments of a large basin and the foot of a marble statue of the Epicurean philosopher Hermarchus, while the triclinium revealed a splendid decorative mural panel in glass paste (Fig.69) with three brightly coloured seawater fish. The main attraction in this context however lies in the set of surgical instruments in iron and bronze (Fig.70), made up of approximately one hundred and fifty pieces, associated with treatment implements, scales, mortars, glass phials and pots (Figg.68, 71) for the preparation and conservation of medicinal substances, to make up the most varied and comprehensive set of medical equipment conserved from the Roman era. These and other findings from the excavations suggest that towards the middle of the 3rd century, the home, transformed into a ‘taberna medica domestica’ (doctor’s surgery), was host to a resident and working doctor of Hellenic origin, who seems to be referred to with the name Eutyches, graffited into the wall of the building.

Towards the crisis of late antiquity: from the open city to the walled city The fire that caused the abandonment of the Domus del Chirurgo was undoubtedly widespread,

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involving the entire Northern sector of the city, as shown by the traces discovered in the nearby excavations of the former Vescovado (Bishop’s Palace) of Palazzo Diotallevi and the former Banca d’Italia. A hoard of money found among the ruins of Piazza Ferrari then enabled the time of destruction to be dated to around 260 AD, with one of the many raids by the Germans, together with the Juthungi and other German people, between 254 and 271 in Northern and Central Italy. After remaining untouched for some time, the land was then partially reoccupied in the times of Honorius and under his reign, with the building of a new and superior residential complex, equipped with a spa system and impressive colourful mosaics with geometric patterns (Figg.20, 26, 90). When this building was also destroyed, in the middle of the 6th century, the dwelling area was further restricted, then limited to modest structures of the Byzantine age. Returning to the traumatic battles that devastated the district of the Surgeon’s House, it should be noted that this event was part of a more general scenario of political and military instability and economic recession. These circumstances explain the failure to restore the original local residential fabric and the formation of a vacuum within the previous lay of the land: symptoms of a deep seated crisis of a city now unable to be revived. A substantial confirmation of the difficulties that Rimini now faced to conserve its once flourishing traditions can be found in another archaeological finding. Immediately after the fire that wrecked the Surgeon’s House, the area to the rear of the building unearthed part of a city wall, traditionally dating back to Aurelius, and which can now be attributed to the princedom of Gallienus.Identified at various points of the city, the new powerful late imperial walls in concrete, inside a brick curtain wall and reinforced by turrets, thus redesigned the urban layout of Ariminum, to cover a perimeter of over 2.5 km. The outline thus followed that of the earlier Republican wall, integrating it with the line flanking the river Marecchia and coastline, to embrace the amphitheatre, for re-use as a powerful military salient. While on the one hand this defensive work in Rimini paved the way for an era dominated by uncertainty and instability, it also represented, in terms of culture and urban functionality, a marked clash with the past, locking the city complex within rigid confines, in contrast to its earlier freedom and openness to the remotest of horizons on land and sea.

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CRISI E VITALITÀ DELLA RIMINI TARDOANTICA Claudio Negrelli

Il III secolo è considerato come un vero e proprio punto di svolta nella storia della città. Anche Rimini partecipò della crisi generale dell’Impero, politica, economica ed anche militare. Infatti le fonti scritte ricordano incursioni barbariche (ad esempio ad opera degli Alamannni e degli Iutungi) avvenute attorno al 257-258 e poi ancora nel 270-271, notizie storiche che la ricerca archeologica più recente ha potuto ricondurre ad alcuni precisi eventi distruttivi. Pare che fosse il settore costiero a subirli con una particolare violenza. La ricostruzione delle mura di Rimini (in parte insistenti su quelle repubblicane), lungi dall’essere un evento ‘tumultuario’ realizzato disordinatamente, fu decisa ed attuata dall’autorità imperiale (probabilmente nell’età di Gallieno, 260-268, o in quella di Aureliano, 270-275) a seguito di un preciso progetto di fortificazione delle città italiane dopo che si dovette constatare l’inadeguatezza del sistema difensivo predisposto alle frontiere dell’Impero. Da quel momento Rimini mostra la duplice veste di una città che rimase politicamente rilevante come centro amministrativo e, per molti aspetti, anche economico, pur a fronte di un netto decadimento dei livelli di vita urbani, partecipando in questo al fenomeno più generale del passaggio dalla città classica a quella medievale. La città tra IV e V secolo ci appare comunque come un organismo vivace, capace di esprimere una classe di potenti aristocratici, alcuni dei quali, come funzionari, erano ben collegati al vertice del potere del tempo. A questo proposito si deve tener conto della vicinanza con Ravenna, che dal 402 divenne sede della corte imperiale d’Occidente. Riflesso dell’importanza economica, itineraria e politica della città deve essere considerata la rapida diffusione del nuovo culto cristiano e, dopo l’editto del 313 (sulla libertà di culto concessa anche ai Cristiani), l’efficace organizzazione ecclesiastica della diocesi, con la precoce fondazione di un gruppo episcopale che fu in grado di ospitare un Concilio come quello del 359, cui convennero centinaia di vescovi d’Occidente per risolvere le controversie tra ariani e ortodossi.

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Dopo l’età di Teodorico (re dei Goti e d’Italia dal 493 al 526), che aveva inaugurato una stagione di rinnovamento politico e amministrativo, la guerra greco-gotica (535-553) e la riconquista giustinianea si accompagnarono ad un drammatico periodo di ulteriori e profondi cambiamenti economici e sociali. La cosiddetta ‘età della transizione’, compresa tra il VI e il VII secolo, segnò infatti nettamente il passaggio al mondo medievale. Ariminum confermò la sua posizione di città di primaria importanza strategica sia durante la guerra tra Bizantini e Goti, sia in seguito, quando l’impero di Costantinopoli cercò di consolidare le proprie strutture militari e amministrative in contrapposizione ad una nuova entità politica: il Regnum Langobardorum. Tra il VI ed il VII secolo nacquero così le province bizantine d’Italia: governate dall’Esarco, con sede a Ravenna, erano per lo più presiedute da un Duca. Rimini fu posta a capitale della cosiddetta ‘Pentapoli marittima’, un ducato che comprendeva anche le città di Pesaro, Fano, Senigallia ed Ancona.

La città tardoantica: spazi pubblici e residenze privateNel generale panorama delle città italiane Rimini tardoantica rappresenta un caso molto significativo. Le ricerche archeologiche attuate negli ultimi decenni hanno portato ad un deciso incremento delle nostre conoscenze, ma ancora molto deve essere scoperto su questo periodo chiave, quanto oscuro, per comprendere la storia della città. Dopo i primi segnali di una crisi che è ben rappresentata dall’abbandono di alcune aree urbane fin dal III secolo, Ariminum tra il V e il VI secolo mostra i segni di una ripresa che le garantisce il mantenimento del rango di centro regionale di primo livello. Esemplificativo il caso dello scavo di piazza Ferrari (Fig.21), la cui sequenza insediativa ci racconta come la domus del Chirurgo, a seguito della distruzione violenta dell’edificio (probabilmente negli anni Cinquanta del III secolo), non fosse riedificata immediatamente. Trascorsero infatti più di centocinquant’anni prima che un nuovo edificio fosse costruito nell’area: una grande residenza ricca di giardini, dotata di almeno un ninfeo (una fontana monumentale) e di ambienti mosaicati e riscaldati a pianta complessa. Un vero e proprio palatium progettato sul modello delle residenze tardoimperiali e via via arricchito da nuovi quartieri fino all’età di Teodorico, quando lo schema palaziale sembra convergere su un grande ambiente arricchito da un’abside usato dal padrone di casa, il dominus, come ‘aula’ di rappresentanza. Fatto assai significativo è che l’esempio di piazza Ferrari non è affatto unico nel panorama riminese: già prima di quello scavo gli studiosi avevano concentrato l’attenzione su altre residenze tardoantiche di questo tipo, di cui Rimini appare essere particolarmente ricca. Tra tutte va menzionata in particolare quella ritrovata sotto Palazzo Gioia, tra Via Gambalunga e

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Corso d’Augusto. Qui, in età tardoantica, furono apportate importanti modifiche ad un precedente edificio residenziale di età imperiale, già riccamente adornato con mosaici policromi figurati. In particolare alcune rappresentazioni, purtroppo assai frammentarie, sono state interpretate come scena di offerta ad un dominus (Fig.22). Due personaggi in tunica corta (probabilmente due servi), uno dei quali con un pavone, incedono tra due cesti, uno riempito da pani, l’altro da frutta, e seguono un altro personaggio, caratterizzato da una lunga veste bianca. Secondo una valida interpretazione la scena altro non sarebbe che una ‘teoria di offerenti’, posta entro un grande peristilio considerato a sua volta come tappa di un percorso diretto verso altri ambienti di rappresentanza. Ciò sarebbe quindi evocativo della presenza in questa casa di un personaggio investito di mansioni ufficiali, forse una famiglia collegata alla corte imperiale o teodoriciana.Numerosi studi dedicati alle domus ed ai palatia tardoantichi, dotati spesso di ambienti di rappresentanza per il ricevimento dei clientes, hanno messo in luce in tutto l’impero la netta caratterizzazione socio-economica di queste tipologie architettoniche, collegabili ad una classe di potentiores la cui valenza politica ed amministrativa si rifletterebbe anche nella stessa organizzazione degli spazi residenziali. La particolare frequenza di tali domus e palatia a Rimini e presso altre città romagnole è stata messa in relazione al trasferimento della corte a Ravenna (402), con la conseguente rivitalizzazione economica e politica non solo della nuova capitale imperiale, ma anche del territorio e delle città ad essa più strettamente legati. Le domus più lussuose sarebbero così interpretabili come residenze di ricchi personaggi qualificabili tanto come possessores terrieri quanto come funzionari legati alla corte ravennate, in quella tipica commistione tra privato e pubblico che caratterizzò i rapporti politici del tempo. Accanto a tali segnali di ripresa nel campo delle grandi residenze private, che sembrano concentrarsi a nord della Fossa Patara, non va dimenticato che la città tardoantica mostra, sull’altro lato della medaglia, gli inequivocabili segni di un decadimento che pare investire sia il tessuto abitativo di livello medio, sia assai precocemente gli spazi e gli edifici pubblici, in assenza di intraprese edilizie di un certo impegno. L’edilizia privata reca, soprattutto a partire dal V e VI secolo, una decisa tendenza alla semplificazione delle architetture, nel generale impoverimento della società: evidentemente si faticava a mantenere le strutture residenziali delle precedenti domus, molte delle quali caddero in rovina e furono sostituite da tuguri, mentre per le case di nuova costruzione si faceva ormai sempre più ricorso a materiali deperibili come il legno e l’argilla cruda.Le mura urbiche segnarono l’ultima realizzazione pubblica di grande rilievo costruttivo, e finirono con il rappresentare uno dei tratti più tipici della città in età tardoantica, gota e bizantina, da considerarsi come segno inequivocabile della insicurezza dei tempi. Fondate nel quadro di

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quella seconda metà del III secolo che vide anche Rimini investita da scorrerie barbariche e crisi economico-politica, come buona parte dell’Impero e dell’Italia, sui settori meridionale ed occidentale la nuova cinta (Fig.9) ricalcò le vecchie mura repubblicane, mentre sul lato a mare e sul fronte del Marecchia fu probabilmente edificata ex novo. Una cortina possente, spessa tre metri per una altezza che poteva raggiungerne i dieci, realizzata a paramenti laterizi (per lo più con mattoni di reimpiego ricavati da edifici distrutti) e opera cementizia interna; richiese senza dubbio l’opera di numerosi uomini e mezzi su iniziativa imperiale.Da un punto di vista urbanistico più generale, Rimini tardoantica fu investita da un deciso riassetto che si qualificò attraverso nuovi poli di aggregazione, che diverranno i principali della città medievale. Ciò sembra dovuto soprattutto all’intervento di un nuovo importante e potente attore: la Chiesa. Ne può essere chiaro esempio il primo complesso episcopale di Rimini dedicato allo Spirito Santo, collocato nel settore nord-occidentale della città forse fin dal IV secolo. La stretta relazione con gli spazi che in seguito formeranno il sistema delle piazze Malatesta-Cavour segna la nascita di un nuovo settore pubblico, oltre a quello forense di età classica imperniato su Piazza Tre Martiri. Anzi, secondo molti studiosi la stessa piazza Cavour dovrebbe essere identificata come secondo foro della città, nato durante la piena/tarda età imperiale. In ogni caso lo spostamento del baricentro urbano verso nord, lungo il decumano massimo segnato dal corso d’Augusto fino al Marecchia, sarebbe stato in qualche modo sancito proprio dall’ubicazione del gruppo episcopale. In effetti la cattedrale riminese fu edificata in una posizione prossima alle mura, ma non lontano dai nuovi snodi urbanistici della città tardoimperiale, a nord della Fossa Patara, dove erano del resto collocate anche le più importanti residenze dei notabili della città. Non sembra un caso se in seguito, in età altomedievale, tale tendenza paia accentuarsi: la tradizionale ubicazione della ‘Castellaccia’, sede del Duca, occupa proprio il settore più settentrionale di Rimini, prossimo al Marecchia e al ponte di Tiberio, ma non lontano dal gruppo episcopale.

L’edilizia religiosa e la nuova concezione della morte (Fig.23)La prospettiva cristiana di Rimini sembra essere precoce. Il radicamento della nuova religione già in età medioimperiale si deduce dal repentino sviluppo istituzionale della diocesi riminese dopo l’editto costantiniano del 313, che, come già detto, stabilì libertà di culto in tutto l’Impero e costituì anche una prima forma di riconoscimento ufficiale della proprietà dei beni ecclesiastici. La fondazione del gruppo episcopale, dedicato originariamente allo Spirito Santo e collocato, come abbiamo detto, nel quadrante nord-occidentale della città, dovette essere altrettanto precoce, sebbene purtroppo ci sfuggano ancora le tappe fondamentali della sua edificazione e

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della sua configurazione paleocristiana e altomedievale. La cattedrale e buona parte degli edifici annessi furono quasi completamente distrutti nel XIX secolo, dopo le pesanti trasformazioni cui andarono incontro in età romanica ed in età moderna. Attualmente possiamo basarci solo su pochi documenti, mentre il quadro archeologico, che avrebbe potuto raccontare molte cose, rimane frammentario e in buona parte non disponibile. L’ipotesi più accreditata vedrebbe una chiesa con impianto basilicale a tre navate di tipo ‘ravennate’, che dovrebbe essere stata realizzata tra IV e V secolo e che si situava in un rapporto ancora del tutto da chiarire con il Battistero.Quasi altrettanto precoci sembrerebbero poi altre chiese urbane di una certa importanza e antichità, per le quali disponiamo almeno di un minimo di documentazione archeologica. Si vedano ad esempio i casi di San Michelino al Foro e di S. Innocenza, entrambe collocate in una posizione di rilievo: la prima affacciata in origine direttamente sul foro (Piazza Tre Martiri), la seconda non lontano da quest’ultimo e in affiancamento diretto al cardine massimo che conduceva al porto. La città dovette essere precocemente dotata anche di una rete di chiese nate per volontà di privati, oratori spesso con caratteristiche funerarie che costituivano una delle componenti fondamentali della casa patrizia alle soglie dell’altomedioevo.Lo stretto rapporto economico e sociale intercorrente tra la città ed il suo suburbio non fu interrotto dal potenziamento delle fortificazioni. Anzi, alle consuete connotazioni economico-produttive e funerarie dei settori periurbani, se ne aggiunse una nuova: quella marcatamente religiosa devota al nuovo culto cristiano. Ne sono prova la creazione di un grande complesso ecclesiastico e funerario a sud di Rimini, lungo la via Flaminia (S. Gaudenzio) e di una rete di chiese minori legate anch’esse a funzioni sepolcrali (SS. Andrea, Donato e Giustina, S. Stefano, S. Gregorio), pure a sud e ad ovest del centro urbano. Di tutti questi rimangono tracce archeologiche atte almeno a farci comprendere la preziosità degli impianti, spesso dotati di decori musivi e di un ricco arredo liturgico (Fig.24). Gli spazi funerari cristiani si posero in diretta continuità con quelli suburbani di età classica. Ma ben presto ne mutarono profondamente i presupposti ideologici e topografici: ora le sepolture tendono a disporsi non tanto in rapporto ai tracciati viari principali (come continuava ad essere la via Flaminia), quanto in stretto collegamento con luoghi considerati santi, vuoi per la nascita di tradizioni sulle sepolture di martiri, vuoi per la presenza di edifici che ne conservavano memoria e reliquie. Particolarmente esemplificativo al riguardo il cimitero collegato a S. Gaudenzio, il maggiore tra i santuari riminesi extraurbani. Lo scavo del Palazzo dello Sport, avvenuto negli anni Settanta, e indagini più recenti, hanno dimostrato la presenza di una fitta successione di sepolture (alcune delle quali riferibili esplicitamente all’ideologia cristiana) (Fig.25)

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Fig.21

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Fig.23 (tratta da Storia della Chiesa riminese, I, Rimini 2010, p.147)

Fig.22

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Fig.24

Fig.25

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Fig.26

Fig.27

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accanto a quelli che furono interpretati come resti di un primo piccolo edificio ecclesiastico a carattere funerario. Cronologicamente inquadrabili tra l’età imperiale ed il VII secolo, le tombe erano costruite sotto forma di cassoni laterizi ed ‘alla cappuccina’ (con copertura a doppio spiovente in tegole) e sembravano trovare fulcro, a partire dal IV secolo, proprio attorno al piccolo edificio religioso. Accanto ai cimiteri suburbani, sempre marcati dalla presenza di sacelli o vere e proprie chiese di carattere funerario, l’età tardoantica e più ancora quella altomedievale videro il fenomeno delle ‘sepolture in urbe’, secondo un costume nuovo, già severamente vietato dalle leggi romane. Se il settore urbano vicino al complesso episcopale sembra proporne esempi precoci (Teatro Galli e Santa Colomba), probabilmente legati alle sepolture dei primi vescovi, l’uso pare affermarsi solo tra VI e VII secolo, sia con tombe isolate o a piccoli gruppi, sia mediante aree funerarie con decine di inumati (Piazza Ferrari) (Fig.26). In casi abbastanza rari la ritualità funeraria comprendeva la vestizione del defunto anche con oggetti di abbigliamento e di ornamento: soprattutto gioielli, fibbie e pettini (Fig.27), secondo il costume tipico dell’epoca. Nel territorio della diocesi di Rimini, coincidente pressoché completamente con la circoscrizione dell’antico municipium, si diffusero abbastanza presto anche le chiese rurali, che costituiranno l’ossatura a base del sistema pievano di età carolingia. A Santarcangelo, nella pieve di S. Michele Arcangelo, e a San Lorenzo a Monte, nella pieve omonima, se ne conservano due famosi esempi. Entrambi risalenti almeno al VI secolo, rispecchiano chiese che ben presto divennero punti di riferimento fondamentali per il territorio, giungendo fino a noi quasi completamente intatte negli impianti originari: sia negli alzati (S. Michele Arcangelo), sia nella planimetria che è stato possibile ricostruire su base archeologica (S. Lorenzo).

Itinerari e commerciL’economia e la società tardoantiche sono ben rappresentate anche dal mondo degli oggetti. Attraverso l’archeologia dei commerci e delle produzioni Rimini tra V e VI secolo ci appare come un vivace centro di scambio a contatto con tutto il Mediterraneo: con l’Africa settentrionale, da cui si importavano grano ed olio, con il Mediterraneo orientale, da cui si importavano essenze, olii e ancora vini pregiati, e infine con l’Italia meridionale, centro di produzione frumentario e vinario. Ma erano attivi anche i mercati e le produzioni regionali: vasellame, lucerne, laterizi sono i segni di una notevole vitalità economica diffusa capillarmente sia in città sia nel territorio. Punto di transito per le comunicazioni tra centro e nord della penisola, Rimini non perse mai la sua vocazione marittima. Il porto occupa da sempre una posizione di grande rilievo allo sbocco del cardine massimo e solo in età medievale si sposterà più a nord, in diretta comunicazione

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con la foce del Marecchia. Anche se gli snodi principali dei traffici adriatici e mediterranei convergevano in primo luogo su Ravenna sui porti altoadriatici (Aquileia, Altino), in seguito su Comacchio e Venezia, Rimini tese a mantenere nel corso del tempo una funzione di tappa intermedia entro rotte costiere che probabilmente trovavano in Ancona un altro importante caposaldo di riferimento.

Verso la città medievale: Rimini bizantinaIl Duca aveva poteri militari, ma anche amministrativi, e probabilmente risiedeva nella cosiddetta ‘corte ducale’, una zona collocata nella parte più a nord del centro storico. Secondo una tradizione storica riminese, entro quest’area vi era la cosiddetta ‘Castellaccia’, un toponimo che ben potrebbe portare ricordo di originari acquartieramenti bizantini. In effetti tutta la parte nord della città ha restituito numerosi livelli abitativi altomedievali, con manufatti tipici delle epoche comprese tra il VII ed il IX secolo.La figura del Duca lasciò a Rimini e nel Riminese una tradizione molto radicata, anche dopo il primo periodo altomedievale, quando, con l’entrata di tutta l’Italia centro-settentrionale nella sfera d’influenza politica carolingia, la carica ducale rimase un titolo aristocratico ed altamente onorifico. Le numerose epigrafi rinvenute in vari luoghi della città lo testimoniano chiaramente, come nel caso del sarcofago del duca Martino, che, nel recupero di antiche figure, riafferma orgogliosamente la nobiltà del proprio lignaggio. Tra VI e VII secolo Rimini è interessata da cambiamenti radicali. Scompaiono le antiche domus, si diradano i palazzi di tradizione tardoantica, i nuovi poli di aggregazione sono ormai decisamente la cattedrale e la corte ducale. Tra i più vistosi segni del cambiamento spiccano quelli rintracciabili nell’edilizia abitativa e percepibili sia attraverso le fonti scritte, sia attraverso le fonti archeologiche. Il Codex Traditionum Ecclesiae Ravennatis, una raccolta di richieste di affitto redatte tra il VII e il X secolo, riporta alcune brevi descrizioni di case, che ora appaiono a pianta semplificata e a due piani, con gli ambienti lavorativi a piano terra, mentre quelli residenziali al piano elevato. Sono menzionati anche i materiali costruttivi: legno, terra, laterizi, secondo modalità costruttive affatto differenti rispetto a quelle di tradizione antica. Anche la fonte archeologica fornisce preziose indicazioni sui modi dell’abitare, per quanto limitate a pochissimi scavi. Ad esempio in Piazza Ferrari sono state rinvenute alcune strutture risalenti al VII – VIII secolo; pertinenti a case in legno affacciate sulle vie erano organizzate per ambienti giustapposti, al centro dei quali si trovavano grandi focolari quadrati. Gli spazi retrostanti erano invece occupati da capanni e, soprattutto, da spazi aperti: grandi aree sterrate adibite ad usi ortivi. Le tecniche costruttive prevedevano un uso abbondante del

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legno e dell’argilla su basamenti ottenuti con materiale di reimpiego.Non si trattava di abitazioni particolarmente povere per l’epoca, anzi, potrebbero verosimilmente essere le residenze di una classe media di nuova formazione che, proprio in quegli anni, si stava costituendo in seno alle città bizantine. La città tra VII ed VIII secolo mostra ancora collegamenti mediterranei e padani: dalle ultime sigillate africane, all’importazione di anfore dal Mediterraneo orientale, dalla circolazione di ceramiche da cucina all’importazione di pietra ollare proveniente dalle regioni prealpine.

CRISIS AND VITALITY IN LATE ANTIQUE RIMINIThe 3rd century is considered a major turning point in the city’s history. Rimini, too, experienced the political, economic and even military crisis that overtook the Empire. Indeed, written sources tell us of barbarian raids (e.g., by the Alemannni and the Juthungi) that occurred around AD 257-258, and then again in AD 270-271; historical news that the most recent archaeological research has been able to trace back precisely to a few destructive events. Apparently, it was the coastal area that took the brunt of the violent attacks. The process of rebuilding Rimini’s walls (partly standing on those erected in the times of the Republic), far from being a tumultuous, disorderly event, was deliberated upon and implemented by the imperial authority (probably in the age of Gallienus, AD 260-268, or Aurelian, AD 270-275) in the wake of a programmed fortification project of Italian cities following the verification of the inadequacy of the defence system set in place at the borders of the Empire. From this moment on, Rimini shows the dual role of a city that remained politically significant as an administrative centre and, in many ways, economic as well, even in the face of a sharp decay in the standards of urban life, following in this way the more general phenomenon of the transition from classical to medieval city. Between the 4th and 5th century, the city however still appears as a lively organism, capable of developing a powerful aristocratic class, some of whom, as officials, were well connected to the top power structure of the time. In this respect, one must take into account the proximity to Ravenna, which, beginning in 402, became the seat of the Western Roman imperial court. A considerable effect of the city’s economic, strategic and political importance is the rapid spread of the new Christian cult, along with the efficient ecclesiastical organisation of Rimini’s diocese that, after the Edict of Milan in 313 (which granted Christians religious freedom), founded an early episcopal complex able to host a Council like the one of 359, where hundreds of bishops of the west convened to resolve the Arian controversy. After the age of Theoderic (king of the Goths and of Italy from 493 to 526), that had opened a time of political and administrative renewal, the Greco-Gothic War (535-553) and the Justinian’s Reconquest came alongside a dramatic period of further profound economic and social changes. The so-called ‘age of transition’, between the 6th and 7th century, marked indeed in clear fashion the transition to the medieval world. Ariminum confirmed its status as a city of primary strategic importance both during the war

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between Byzantines and Goths and afterwards, when the empire of Constantinople sought to consolidate its administrative and military power in contrast to a new political entity: the Regnum Langobardorum. Thus, between the 6th and 7th century, the new Byzantine provinces of Italy were born: governed by the Exarch, with headquarters in Ravenna, they were mostly presided over by a Duke. Rimini was established as capital of the so-called ‘Maritime Pentapolis’, a Duchy which included also the cities of Pesaro, Fano, Sinigaglia and Ancona.

The late-antique city: public spaces and private residencesCompared to the other Italian cities of the period, the Rimini of Late Antiquity represents a very significant case. Archaeological researches conducted in the most recent decades have led to a decided increase in our knowledge, but a lot more must still be discovered about this mostly unknown key period in order to understand the city’s history. After the first signs of a crisis, which is clearly shown by the abandonment of some urban areas since the 3rd century, Ariminum, in the 5th and 6th century, shows the signs of a recovery that grants it the rank of major regional centre. By way of example, consider the case of the Piazza Ferrari excavation (Fig.21), whose settlement sequence tells of how the House of the Surgeon was not immediately re-erected in the wake of the building’s violent destruction (probably occurred in the fifties of the Third Century). Indeed, more than a hundred and fifty years had to pass before a new building was added in the area: a great residence, rich with gardens, featuring at least one nymphaeum (a monumental fountain) and mosaic environments, heated and with a complex plan. A true palatium, modelled after late empire residences, by and by enriched by new quarters up until the age of Theoderic, when the palatial architecture seems to converge upon a great salon enhanced by an apse utilised by the master of the house, the dominus, as a veritable ‘meeting hall’. It is a very significant fact that the Piazza Ferrari example is far from unique in the Rimini landscape: previous to the aforementioned excavation, scholars had already concentrated their attention on similar late-antique residences, particularly well represented in Rimini. The one discovered under Palazzo Gioia, between Via Gambalunga and Corso d’Augusto, merits special attention. Here, in late antiquity, significant modifications were applied to an older residential building of the Imperial era, which had already been lavishly ornamented with polychrome figurative mosaics. In particular, some representations, unfortunately very fragmentary, have been interpreted as scenes of offering to a dominus (Fig.22). Two characters wearing short tunics (probably two servants), one of them with a peacock, are walking between two baskets, the one filled with breads, the other with fruits, following a third character wearing a long white robe. According to a valid interpretation, the scene would not be anything other than an ‘offering procession’, set within a large peristyle, itself considered a stopover on a path aiming toward other meeting rooms. This would thus be evocative of the presence in the house of a personage invested with official duties, perhaps from a family connected to the imperial Theoderic or his court. Numerous studies dedicated to the late antique domus and palatia, often featuring reception rooms for clientes, have brought to light throughout the whole of the empire the clear socioeconomic characterisation of these architectural typologies, which may be connected to a

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class of potentiores whose political and administrative power would also be reflected in the very organisation of their residential areas. The extensive presence of such domus and palatia in Rimini, and other cities of Romagna, has been related to the transferring of the court to Ravenna (402), with the consequent economic and political revitalisation not only of the new imperial capital but also of the cities and territories most closely tied to it. The most luxurious domus could then be interpreted as residences of rich personages, qualifiable as landowners (possessores) as much as officials closely connected to the Ravenna court, in that typical admixture of private and public that characterized the political relations of the time. Along with these signs of recovery in the field of large private residences, which seem to be concentrated north of Fossa Patara, it should not be forgotten that the late antique city shows, on the other side of the coin, the unequivocal signs of a decay that seems to invest both the living fabric of average dwellings and, very early, the public spaces and buildings, due to the absence of committed construction undertakings. Private construction, especially starting form the 5th and 6th century, leads to a decided tendency toward architectural simplification within the general framework of societal impoverishment: evidently, it was hard enough to maintain the residential structures of the previous domus, many of which fell into ruin and were replaced by hovels, while the construction of new houses relied by now increasingly more often on perishable materials such as wood and raw clay. The realisation of the city walls marked the last public construction of note, and ended up representing one of the most typical traits of the Gothic and Byzantine city in late antiquity, to be considered as an unmistakable sign of the insecurity of the times. Established within the framework of that second half of the 3rd century which saw Rimini as well struck by barbarian raids and economic-political crisis, like the majority of the Empire and of Italy, the new city walls (Fig.9) retraced the old republican walls on the south and west sections, while on the sea side and the Marecchia front they were probably built ex novo. A powerful curtain, ten feet thick with a height that probably reached thirty feet, made with clay bricks (mostly redeployed from destroyed buildings) and internal cement works; it doubtlessly required the labour of numerous men based on imperial initiative. From a more general point of view of city planning, the late antique Rimini was struck by a decided reassessment qualified in terms of new gathering places, which would become the main ones in medieval times. This seems to be due above all to the advent of a new important and powerful actor: the Church. A clear example of this is Rimini’s first episcopal complex dedicated to the Holy Ghost, located in the north-west section of the city perhaps since the 4th century. The tight relation with the spaces which would then form the Piazza Malatesta - Piazza Cavour system marks the birth of a new public section, in addition to the forensic section of the classical era centred around Piazza Tre Martiri. As a matter of fact, according to many scholars, Piazza Cavour itself should be identified as a second forum of the city, born during the mid-late Imperial era. In any case, the displacement of the city’s centre of gravity toward north, along the decumanus maximus marked from the Corso d’Augusto as far as the Marecchia river, would effectively have been in some way sanctioned by the location of the episcopal complex. In fact, the Rimini’s cathedral was built in a position next to the walls, but not far from new junctions of the late imperial city, north of Fossa

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Patara, where in fact the most important residences of the city’s notables were also located. It does not seem to be a mere coincidence if, as a result, in the middle ages, this trend appears to be on the increase: the traditional location of the ‘Castellaccia’, seat of the Duke, occupies in fact Rimini’s most northerly section, next to the Marecchia and the bridge of Tiberius, but not far from the episcopal complex.

Religious buildings and the new conception of death (Fig.23)Rimini’s Christian perspective seems to appear early on. The new religion already taking root in the middle Imperial age is deduced from the sudden institutional development of the diocese of Rimini after Constantine’s Edict of 313, which, as mentioned above, established religious freedom throughout the Empire and also constituted an initial form of official recognition of the ecclesiastical ownership of goods. The foundation of the episcopal complex, originally dedicated to the Holy Ghost and located, as we said, in the north-west quadrant of the city, had to be just as early on, although unfortunately we are not yet aware of the fundamental stages of its erection and of its early Christian and medieval configuration. The cathedral and most of the buildings were almost completely destroyed in the nineteenth century, after the heavy transformations they underwent in the Romanesque and modern ages. Presently, we can rely only on a few documents, while the archaeological framework, which could have told us many things, remains fragmentary and unavailable for the most part. The most accredited assumption would be a church with a basilica plant made with three naves of ‘Ravenna’ type, which has been built between the 4th and 5th century and which was situated in relation still unknown to the Baptistery. Almost equally early seem then other urban churches of a certain importance and antiquity, for which we have at least a minimum of archaeological documentation. See, for example, the cases of San Michelino al Foro and of Santa Innocenza, both located in positions of prominence: the former originally facing directly on the forum (Piazza Tre Martiri), the latter not far from it and in direct juxtaposition to the cardo maximus that led to the port. Also early on, the city had to have a network of churches, erected by the will of private citizens, oratorios with often funerary characteristics that constitute one of the fundamental components of the noble house on the eve of the early Middle Ages. The close economic and social relationship occurring between the city and its suburbs was not interrupted by the strengthening of the fortifications. On the contrary, the usual economical, productive and funerary connotations of peri-urban areas saw a whole new addition: the markedly religious connotation devoted to the new Christian cult. Evidence of this are the creation of a large ecclesiastical and funerary complex south of Rimini, along the Via Flaminia (San Gaudenzio) and of a network of minor churches also connected to sepulchral functions (Santi Andrea, Donato e Giustina, Santo Stefano, San Gregorio), to the south and west of the urban centre as well. Archaeological traces of all of these remain, apt to at least help us understand the preciousness of these works, often endowed with mosaic decorations and rich liturgical furnishings (Fig.24). Christian funerary spaces lay in direct continuity with suburban ones of classical age with the rapid result of profoundly altering their ideological and topographic presuppositions: now burials

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tend to be arranged not so much in relation to the main routes (as the Via Flaminia continued to be) as in close connection to places considered sacred, due to the inception of traditions over the burial of saints or to the presence of buildings that preserved their memory and relics. Particularly exemplary to this regard is the cemetery connected to San Gaudenzio, greatest among the suburban shrines of Rimini. The excavation at the Palazzo dello Sport, occurred in the Seventies, and more recent investigations, have demonstrated the presence of a close succession of burials (some of which may explicitly be referred to the Christian ideology) (Fig.25) next to those that were interpreted as remains of a first small ecclesiastical building with funerary characteristics. Chronologically qualifiable between the age of the Empire and the 7th century, the tombs were built in the form of large brick boxes and ‘cappuccina style’ (with tiled gable roof) and they seemed find their fulcrum, starting from the 4th century, right around the small religious building.Next to the suburban cemeteries, always marked by the presence of sacella or real churches of funerary character, late antiquity and even more so the early Middle Ages saw the phenomenon of ‘burial in urbe’, according to a new custom, previously severely forbidden by Roman laws. If the urban sector near the episcopal complex seems to propose early examples of it (Teatro Galli and Santa Colomba), probably tied to the burials of the first bishops, its use seems to become popular only between the 6th and 7th century, both with isolated tombs or in small groups and by means of funerary areas with tens of interments (Piazza Ferrari) (Fig.26). In rather rare cases, the funerary rituals involved the dressing of the defunct, which included articles of clothing and ornamentation: especially jewellery, buckles and combs (Fig.27), according to the typical custom of the time. In the territory of the diocese of Rimini, coinciding almost completely with the district of the ancient municipium, rural churches spread fairly quickly as well that will be the backbone of the parish system of the Carolingian age. In Santarcangelo, in the parish church of San Michele Arcangel and in San Lorenzo a Monte, in the homonymous parish church, two famous examples of this kind are preserved. Both dating back to at least the 6th century, they represent churches that soon became fundamental points of reference for the territory, reaching the present times almost completely intact in their original layouts: both in the rises (San Michele Arcangelo), and in the blueprint whose reconstruction has been possible on archaeological basis (San Lorenzo).

Itineraries and commerce Late-antique economy and society are also well represented by the world of objects. By means of the archaeology of commerce and products, Rimini between the 5th and 6th century appears to us as a lively centre of contact and exchange with the entire Mediterranean area: with northern Africa, from where wheat and oil were imported; with the eastern Mediterranean, from where perfumes, oils and fine wines were imported; and finally with southern Italy, centre for the production of wheat and wines. But regional markets and productions were also active: tableware, oil lamps and clay bricks are the signs of a remarkable economic vitality widespread throughout town and country. Transit point between the Centre and north of the peninsula, Rimini never lost its maritime vocation.

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The port has always been in a position of great importance at the mouth of the cardo maximus and only in the medieval era would it be displaced farther to the north, in direct communication with the mouth of the Marecchia river. Even if the main junctions of Adriatic and Mediterranean trade converged in the first place on Ravenna and the upper Adriatic ports (Aquileia, Altino), and afterwards on Comacchio and Venice, in the course of time, Rimini’s tendency was to maintain the function of intermediary point inside coastal routes that probably had in Ancona another stronghold of reference.

Toward the medieval city: Byzantine Rimini The Duke had military powers, but also administrative ones, and he probably resided in the so-called ‘ducal court’, an area located in the northernmost part of the historical centre. According to a historical tradition of Rimini, inside this area was the so-called ‘Castellaccia’, a toponym that could well bring remembrance of original Byzantines quarters. In fact, the whole northern part of the city has returned numerous early medieval residential levels, with artifacts typical of the eras included between the 7th and 9th century. The role of the Duke left a deeply rooted tradition in Rimini and the Rimini area, even after the first high medieval period, when, with the entry of all central-northern Italy in the sphere of influence of Carolingian politics, the ducal position remained an aristocratic and highly honorific title. The numerous epigraphs found in various places of the city testify to it, as in the case of duke Martino’s sarcophagus which, in the recovery of ancient figures, proudly reaffirms the nobility of its lineage. Between the 6th and 7th century, Rimini is affected by radical changes. The ancient domus disappear, the palaces of late antique tradition recede, the new gathering places are now decidedly the cathedral and the ducal court. Among the most conspicuous signs of change are those detectable in housing buildings and perceivable by means of both written and archaeological sources. The Codex Traditionum Ecclesiae Ravennatis, a collection of requests for rent drawn up between the 7th and 10th century, contains some brief descriptions of houses, that now appear with a simplified floor plan and as two-storied, the working environments being on the ground floor, with the residential ones on the upper floor. The construction materials are also mentioned: wood, dirt, clay bricks, according to building methods that are quite different with respect to those of ancient tradition. Archaeological sources as well, although limited to very few excavations, provide valuable indications on living modalities. For instance, in Piazza Ferrari, some structures were discovered, dating back to the 7th or 8th century, relevant to houses facing on the avenues that were organised by juxtaposed environments, at whose centre were large square hearths. The areas behind were occupied by sheds and, most of all, by open spaces: large dirt patches used for horticulture. Construction techniques involved an abundant use of wood and clay on bases obtained through the use of redeployed material. It was not a question of particularly poor homes for the time, in fact, they could likely be the residences of a newly formed middle class that, in those years, was rising within the Byzantine cities.

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The city, between the 7th and 8th century, still shows connections to the Mediterranean and the Po valley: from the latest African red pottery (“terra sigillata”), to the import of amphorae from the eastern Mediterranean, from the circulation of kitchen ceramics to the import of soapstone from the sub alpine regions.

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IL FILO DI ARIANNAAngela Fontemaggi, Orietta Piolanti

[1] I segni dell’uomoØbrista… kaˆ ¥grioi oÙde\ d…kaioi. // Prepotenti e selvaggi e ignari di leggi (Omero)

Il percorso nella storia del territorio riminese inizia da molto lontano. Circa 1 milione di anni fa l’uomo primitivo frequenta la costa lasciando traccia di sé nella pietra scheggiata. Protagonista di questa prima fase del popolamento è l’homo erectus: possiamo identificarlo nello schema dell’evoluzione umana, dagli ominidi di 7 milioni di anni fino all’homo sapiens-sapiens di oggi. E riconoscerne le caratteristiche fisiognomiche nel calco del cranio esposto fra gli altri.Nomade, dedito alla caccia e alla raccolta, il nostro antenato, seguendo i corsi d’acqua, giunge alla costa, arretrata fino alle attuali pendici del Covignano, la collina alle spalle di Rimini: il piano dove crescerà la città era infatti sommerso dal mare. Il paesaggio - come illustrano i diorama - presenta un lido sabbioso interrotto dalle foci ghiaiose di fiumi e torrenti. Macchie di conifere, querce, pioppi, betulle e una fitta vegetazione erbacea con ampie radure indicano un clima temperato e umido: un habitat ideale per grandi mammiferi (elefanti, rinoceronti, bisonti), prede di abili cacciatori.A parlare dell’uomo e della sua vita in piccoli gruppi, sono semplici ciottoli di selce rozzamente scheggiata su uno o due lati (chopper e chopper tool) (Fig.28) e schegge dai margini taglienti, frutto di una tecnica di distacco dal nucleo, esemplificata, nella prima vetrina, da prototipi moderni. Efficaci nel colpire, nel macellare, nel lavorare legno e osso, grazie anche alle immanicature in legno e corde naturali oggi perdute, gli strumenti primitivi riconducono il sito di San Fortunato, sul Covignano, al Paleolitico inferiore, età cui risale anche il noto giacimento di Ca’ Belvedere di Monte Poggiolo nel forlivese.

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Fig.30

Fig.28 Fig.29

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[2] I primi manufatti Illi robur et aes triplex circa pectus erat…// A lui rovere e tre lamine di bronzo serravano il petto… (Orazio)

Il Neolitico, la nuova età della Pietra che segna il passaggio a un’economia incentrata sull’agricoltura e l’allevamento, viene a interessare la costa romagnola dalla metà del VI millennio a.C. per evolversi, intorno alla metà del IV millennio, nell’età del Rame, connotata da una maggiore abilità nella lavorazione della pietra e dall’introduzione della metallurgia. A raccontare squarci di vita nel territorio (sul colle di Covignano, fra Santarcangelo e Sant’Ermete e a sud di Rimini) è in primo luogo la ceramica - invenzione del Neolitico - a impasto grossolano o semidepurato, con superficie liscia o decorata da impressioni, modellata in forma di scodelle, ollette e vasi a fiasco (Fig.2) per contenere semi e prodotti liquidi.Al suo fianco è ancora protagonista la pietra (la selce o il serpentino) ora non più solo scheggiata ma anche ritoccata e levigata: cuspidi di freccia, lame foliate, asce e martelli forati per l’immanicatura. La collana di conchiglie (Fig.29) con pendaglio in pietra, ritrovata a Covignano, documenta la pratica dell’ornamento personale. L’età del Bronzo, fra la fine del III e il I millennio, vede grandi mutamenti socio-economici cui si accompagnano innovazioni tecnologiche in campo metallurgico e crescita demografica con un più alto numero di insediamenti fra la pianura e la collina, in relazione alle attività agricole e pastorali. Anche la conoscenza di questo ampio orizzonte culturale è affidata a vasellame in ceramica (tra cui le tipiche tazze ansate), a oggetti in pietra (Fig.3), osso e metallo, a resti degli insediamenti come quello di Covignano: da una delle capanne del villaggio (XVII-XIII sec. a.C.) provengono tazze con le tipiche anse a bastoncello (Fig.4) o a corna di bovino o a nastro, grandi olle, strumenti per la filatura (fusaiole e pesi da telaio) e un frammento del pavimento in terra concotta. Il modello proposto nel percorso richiama la capanna con struttura in pali di legno di Covignano.

[3] L’approdo dell’AriminusSiculi et Liburni plurima eius tractus tenuere…Umbri eos expulere, hos Etruria, hanc Galli // I Siculi e i Liburni abitarono gran tratto di quella costa…gli Umbri li cacciarono, questi a loro volta furono espulsi dagli Etruschi, questi infine dai Galli (Plinio)

L’importanza e il livello raggiunto dalla metallurgia nella tarda età del Bronzo hanno riscontro nell’intensificarsi del fenomeno dei ripostigli, depositi di metalli intenzionalmente occultati per

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Fig.33

Fig.32Fig.31

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essere poi rifusi. Un fenomeno europeo che, nel nostro territorio, ha due eccellenze: il ripostiglio di Camerano di Poggio Berni e il ripostiglio di Casalecchio di Verucchio. Località collinari alle spalle di Rimini che, già intorno al X sec. a.C., si collocavano all’interno di rotte commerciali aperte verso il nord, l’ambiente egeo e il versante tirrenico. Compongono i due ripostigli diverse tipologie di materiali: armi, attrezzi da lavoro, oggetti d’ornamento, lingotti, scorie e pani di bronzo. Al nucleo di Casalecchio (Fig.5) appartiene la matrice bivalve per asce decorata sulla superficie esterna; insieme a essa uno strigile, uno scalpello, pani e lingotti in bronzo da fondere, asce con le alette per l’innesto del manico, punte di lancia e di giavellotto con immanicatura a cannone, un martello, falcetti (Fig.30), una grande fibula ad arco e un’armilla (bracciale) con ornamento a rilievo. Fra gli oggetti rinvenuti a Poggio Berni si segnalano, oltre a punte di lancia e giavellotto, spade e coltelli, asce ad alette, numerose fibule con arco a nodi, uno spillone e un’armilla anch’essi decorati a incisione, sgorbie, scalpelli, falcetti, lamine, pani e lingotti. Si tratta quindi di composizioni eterogenee legate al valore del metallo e alla possibilità di rifusione da parte di artigiani che, nei loro itinerari, veicolavano conquiste tecnologiche, contatti economici e culturali. Itinerari in cui si inseriva il territorio riminese che, favorito dalla posizione lungo la via di collegamento fra le valli del Marecchia e del Tevere, era destinato a veder nascere, di lì a poco, la villanoviana Verucchio.

[4] La via della valle dell’AriminusqrÒnoj ™stˆn ‘Arimn»stou basileÚsantoj ™n Turshno‹j, Ôj prîtoj barb£rwn ¢naq»mati

tÕn ™n ‘Olump…v D…a ™dwr»sato. // C’è il trono di Arimnesto che regnò sui Tirreni, il quale primo fra i barbari offri un ex voto allo Zeus di Olimpia (Pausania)

La civiltà villanoviana di Verucchio, l’altura “a sentinella” della Valmarecchia lungo l’itinerario tra Romagna ed Etruria, si sviluppa fra IX e VI secolo irradiando la sua influenza dal Rubicone al Marano. A parlare di questa cultura dell’età del Ferro, legata all’ambito etrusco, sono i corredi delle sepolture distribuite sui pendii collinari, ai margini dell’abitato, che illustrano una società guidata dall’aristocrazia guerriera. La documentazione, confluita nelle raccolte riminesi fino alla metà del secolo scorso, comprende materiali da Verucchio (pertinenti alle fasi più antiche) e da siti della valle, da Torriana a Covignano. I ricchi corredi, rinvenuti insieme ai vasi cinerari dalla tipica forma biconica (come si può vedere nel modellino), delineano la “carta di identità” dell’individuo: i servizi di vasellame per il banchetto, momento sociale per eccellenza,

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Fig.35

Fig.34

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dichiarano l’appartenenza a case di rango: le armi connotano il guerriero; gli strumenti per la filatura e la tessitura, monili e cinturoni identificano la donna. Al vertice della società si riconoscono veri e propri principi che, nella sepoltura, recano i beni personali più preziosi: gioielli eseguiti nelle tecniche più sofisticate, armi da parata, vasellame in bronzo, bardature da cavallo ed elementi del carro. Oggetti che disegnano una vivace rete di commerci e un’attività artigianale dedita alla lavorazione, innanzitutto, della ricercata ambra, giunta dal Baltico e da aree del Mediterraneo. Emblematica di una sepoltura maschile è la tomba A che ha restituito un corredo da guerriero in bronzo con un elmo conico e uno crestato, scudi, terminali di carro, un coltello con fodero, asce, e morsi di cavallo. Esemplifica una sepoltura femminile la tomba 1 con oggetti di abbigliamento e ornamento (orecchini, fibule e collane in ambra, fermatrecce e cinturoni in bronzo) a fianco di una raffinata situla (vaso a forma di secchio), di un ago in bronzo e di morsi di cavallo.Il percorso si conclude con testimonianze dal territorio, fra cui una lancia foliata e asce con cerchietti impressi (Fig.31), un raffinato cinturone (Fig.6) in bronzo da Torriana, l’ansa di tazza (Fig.32), anch’essa in bronzo, con figura umana e disco con il “signore degli animali”, da Spadarolo. Numerosi, in tombe sia maschili che femminili, gli oggetti legati al cavallo (Fig.33) a evidenziare l’importanza di questo animale per i villanoviani che lo utilizzavano in guerra, ma anche per i trasporti e le cerimonie funebri.

[5] I Greci e l’approdo dell’Ariminus¢po…kouj d’œsteilan A„ginÁtai... e„j ‘OmbrikoÚj. // Gli Egineti inviarono coloni nel paese degli Umbri (Strabone)

Nel VI sec. a.C. Verucchio cede l’egemonia al porto sull’Ariminus, il fiume Marecchia, rivitalizzato dalla nuova politica etrusca in area adriatica. Etruschi, Umbri e Piceni, aperti agli scambi con Atene e le altre città greche, convivono, fra VI e IV sec. a.C., nel territorio, animando un panorama multiculturale che si rispecchia nella stipe di Villa Ruffi, il deposito votivo ritrovato nell’Ottocento sul colle di Covignano e poi disperso dal commercio antiquario fra musei europei e americani. Formatosi fra V e III secolo a.C. intorno al culto di divinità della guerra e delle acque, il deposito si compone di due statue (Atena e una giovane dea della fertilità e delle acque, forse Cupra) e di una ciotola in marmo (riprodotte in calchi), tre statuette - di cui una del dio Marte - un secchiello e una base in bronzo, vasi in ceramica greca. Il dio della guerra torna, in atteggiamento di assalto, nel bronzetto dalla località San Vito.

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Fig.37

Fig.36

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A un’architettura sacra di matrice etrusca sembra appartenere l’enigmatica antefissa (Fig.34) (decorazione del tetto) con busto femminile che reca tracce dell’antica policromia. È ancora il colle di Covignano a gettare luce sul popolamento fra VI e IV secolo a.C.: l’area dell’ex Seminario ha restituito una sepoltura di guerriero (Fig.7) e resti di un abitato in cui emergono aspetti della cultura etrusca. Così nella spada ricurva (machaira), elemento principale del corredo funerario; e così nella coppa con graffita la scritta MI TITAS, dichiarazione di possesso (io sono di Tita), come nelle brocche da vino “a occhioni”, dall’area dell’abitato. Di tradizione centro-italica anche il piattello in bucchero, la ceramica etrusca grigio-nera, decorato con piccoli cuori, e le terrecotte architettoniche. La ceramica attica (Fig.35) è ben rappresentata sia sul colle (il frammento di vaso a cratere con motivo a palmette e la brocchetta con scena di battaglia a figure nere), sia intorno al porto di foce da cui provengono anche numerosi esemplari di ceramica suddipinta di tradizione apula, nello stile di Gnathia: fiori, volatili, motivi vegetali disegnati sul fondo nero di raffinate coppe e bicchieri con pareti scanalate. Di tradizione etrusca i grandi bicchieri a vernice nera su cui è dipinto il motivo del cd. cigno rosso e la stele funeraria di guerriero (Fig.8) con iscrizione sinistrorsa, datata al IV secolo.Il commercio marittimo con il mondo greco doveva interessare tutta la costa come dimostra il cratere con scena di combattimento, da una necropoli sul promontorio di Gabicce.

[6] Rimini prima di RiminiTunc Camillus…Gallos iam abeuntes secutus est: quibus intermptis aurum omne recepit et signa // Allora Camillo…inseguì i Galli che già si erano ritirati: massacratili, recuperò tutto l’oro e le insegne (Servio)

L’invasione delle tribù galliche che, nel IV secolo, penetrano nella pianura padana, coinvolge anche il Riminese intaccando il sistema di rapporti commerciali con il mondo greco, confermando l’apertura ai mercati etruschi e favorendo gli scambi con l’area adriatica.La vitalità culturale ed economica dell’abitato alla foce dell’Ariminus prima dell’arrivo dei Romani è ben disegnata dalla varietà delle ceramiche restituite dagli scavi. Dagli strati più profondi che documentano il primo insediamento di quella che sarà l’area urbana, provengono, a fianco di contenitori da cucina in impasto grossolano, raffinate ceramiche da mensa di importazione o di fabbricazione locale che rimandano all’orizzonte produttivo etrusco (in particolare alla zona di Volterra), laziale e apulo: la ceramica a figure rosse; le profonde coppe ansate (skyphoi) suddipinte con il motivo del cd. cigno rosso e della palmetta (Fig.36); i vasetti con le pareti baccellate e le caratteristiche suddipinture in toni chiari, nello stile di Gnathia

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Fig.38

Fig.39

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(Fig.37). [7] Dall’approdo dell’Ariminus ad Ariminum…interiectoque quinquennio Sempronio Sofo et Appio Caeci filio consulibus Ariminum…coloni missi .// un lustro più tardi, sotto il consolato di Sempronio Sofo e di Appio, figlio di Cieco, furono mandati coloni a Rimini. (Velleio Patercolo)

A siglare il passaggio dall’occupazione celtica alla nascita della colonia romana di Ariminum nel 268 a.C. è una serie di monete fuse (aes grave) (Fig.38) di emissione locale. La chioma a ciocche, i lunghi baffi, il torquis al collo identificano un guerriero celta nel profilo maschile sul dritto della moneta. Più complessa e ancora insoluta l’attribuzione a una zecca gallica (nell’orbita di alleanze etrusche contro Roma) o piuttosto romana (da associare a un avamposto creato all’indomani della disfatta dei Galli Senoni). Sposando quest’ultima tesi, si interpreta la monetazione fusa come espressione della volontà, da parte di Roma, di avviare un processo di integrazione con i Galli. Alla fondazione della colonia si accompagna l’emissione della serie coniata in bronzo con al dritto il busto di Vulcano, o di un guerriero con grande scudo, associato alla scritta ARIMN (Fig.39). È la prima testimonianza del nome della città. La circolazione anche di monete della zecca di Roma è attestata dall’impronta di un’uncia sul fondo di una coppa a vernice nera.Entrambe le emissioni riminesi si ritrovano nel deposito rinvenuto nel 1987 alla base di un torrione delle mura repubblicane a fianco dell’Arco di Augusto: lo compongono vasetti in ceramica e ossa dello scheletro di un piccolo cane insieme a due monete della serie coniata e una della serie fusa. Si tratterebbe di un deposito votivo in occasione del rito di fondazione della colonia: l’offerta, con il sacrificio di un animale agli dei, consacrava e rafforzava il potere difensivo delle mura.Sempre al momento coloniale rimandano i pocola deorum, i “vasi dedicati agli dei” con iscrizioni suddipinte e graffite. In ceramica a vernice nera, i pocola propagano una tradizione centro-italica, confermando il legame dei coloni con l’area di provenienza. Per lo più di produzione locale, questi “souvenir” religiosi sono una fonte sui culti (fra gli dei più gettonati Ercole, ricordato dall’iniziale H, e Apollo) (Figg.40,13) e sull’organizzazione di Ariminum in vici (quartieri) (Fig.41) e pagi (villaggi). La fase della romanizzazione è documentata anche dallo scavo di palazzo Arpesella, nel centro della città. Una buca di scarico ha restituito vasellame in ceramica rozza e a vernice nera, anfore, ossa di animali, carboni e legno. Predominante la ceramica da cucina, verosimilmente di produzione locale, con olle da fuoco di forma ovoide e piatti-coperchio, datati fra il 325 e il

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Fig.41

Fig.40

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250/225 a.C.. [8] La Rimini di Flaminio C(aius) Manlio(s) Aci(dinus?) / co(n)sol pro / poplo / Arimenesi // Gaio Manlio Acidino console a nome del popolo di Rimini (ILLRP I,2 77)

La Sezione archeologica illustra, attraverso le testimonianze dalle domus, l’evolversi dei modi dell’abitare ad Ariminum lungo gli otto secoli della romanità. Emblematici degli edifici semplici e funzionali dell’età repubblicana sono i pavimenti in cotto, formati da cubetti e mattoncini irregolari ottenuti anche dal riutilizzo di mattoni e tegole. Per la loro resistenza questi rustici pavimenti rivestivano ambienti di servizio, stanze, cortili e vasche per lavorazioni artigianali, permanendo inalterati nel tempo. Dai ritrovamenti emerge, in età repubblicana, la tipologia della domus che affianca una parte residenziale a vani per attività produttive quali la fabbricazione delle ceramiche, la tintura dei tessuti, la concia delle pelli…

I segni del tempoLa sala, riservata al tema delle mura cittadine, valorizza il tratto della cinta urbana del III secolo d.C. – venuto in luce nell’ultimo restauro dell’edificio – che riaffiora (per restare alle immediate vicinanze) nel cortile del Museo stesso, nel sito della domus del Chirurgo e in piazza Ferrari.Le mura imperiali, erette sotto l’incalzare dei barbari, ricalcavano e insieme integravano il circuito di età repubblicana che i coloni avevano costruito nella fase di fondazione della città per proteggerla nei punti più esposti. Le mura repubblicane, dotate di possenti torrioni quadrangolari, erano in grandi blocchi di pietra arenaria, squadrati secondo la tecnica dell’opus poligonale in uso nell’Italia centrale. Soggette nel tempo a interventi di restauro, come quelli ricordati in due iscrizioni del I sec. a.C. nel Lapidario romano, le più antiche mura sono oggi visibili ai piedi dell’Arco di Augusto (Fig.11). Grandi torrioni (ad esempio quello individuato nell’area di Castel Sismondo) rafforzavano anche la cinta imperiale, in mattoni e materiali di recupero.Nei primi secoli dopo il Mille si realizza una nuova cerchia muraria, attribuita dalla tradizione a Federico II, sul tracciato di quella romana con un ampliamento nel lato mare, a inglobare il quartiere cresciuto intorno al porto. I Malatesta, e in particolare Carlo, intervengono sulle mura allargando il perimetro nel quartiere di marina e nel borgo San Giuliano: proprio dalla porta che siglava il passaggio dalla città al borgo oltre il Marecchia proviene la grande lastra di età moderna che replica il testo dell’iscrizione sui parapetti del Ponte di Tiberio.

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Fig.44

Fig.42 Fig.43

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La Rimini di Flaminio (seconda metà del III secolo)Il percorso prosegue nell’illustrazione dei primi secoli di vita di Ariminum svelando l’atteggiamento dell’individuo di fronte al mistero della morte così come è testimoniato dai corredi funerari. Preziose le informazioni offerte da un nucleo di 11 sepolture dall’area dell’ex-Consorzio Agrario, un contesto a poche decine di metri dalle mura romane nel tratto fra Porta Montanara e l’Arco d’Augusto, datato fra III e I sec. a.C.. Frequente è la presenza di monete, il cosiddetto “obolo di Caronte”, di balsamari per essenze profumate, di vasellame da mensa per le libagioni; momenti di vita quotidiana sono evocati da pedine da gioco e dadi così come da oggetti d’uso personale quali lo strigile per detergere la pelle, lo specchio in bronzo e una placchetta in terracotta che ricorda l’attività della filatura.L’attenzione per la cura del corpo, cui rimandano i tanti balsamari, e l’eleganza dell’ambiente domestico sono evidenti nei materiali, in particolare ceramici, emersi in scavi cittadini. La mensa veniva impreziosita da vasellame nella tipica vernice nera, spesso importata dalle fabbriche più raffinate dell’area etrusca e laziale, la cui fortuna era legata alla produzione di esemplari che imitavano per lucentezza e forme il più nobile metallo. Il gusto dell’epoca si esprime anche nelle finissime decorazioni impresse con stampiglie sulle superfici ceramiche.

[9] La Rimini del dopo Flaminio (secolo II)Aemilius…exercitum in agrum Gallicum duxit viamque a Placentia ut Flaminiae committeret Ariminum perduxit // Emilio…guidò l’esercito in territorio gallico e costruì la via da Piacenza a Rimini, perché qui si congiungesse con la Flaminia (Livio)

Il colpo d’occhio sulle ceramiche esposte rende idea dell’intensa produzione di vasellame nella Rimini repubblicana, certificata dagli scarti di cottura (Fig.42), dagli anelli e dai treppiedi per impilare i vasi nei forni. Le industrie riminesi si distinguono anche per le stampiglie impresse: la rosetta a otto petali, le quattro palmette disposte in un’unica direzione, il cartiglio con la scritta Lucius Minucius (Ka)rus fecit, talvolta abbreviata in MK.A imporsi per raffinatezza è la ceramica a vernice nera (Fig.44), cosiddetta dal colore ottenuto con cottura in ambiente privo di ossigeno. Simili ai più pregiati vasi in bronzo, coppe ansate, piatti, ciotole, tazze, bottiglie e lucerne erano prodotti in serie all’interno di botteghe, talora inserite nelle domus. Dalle stesse officine usciva il vasellame per la dispensa e per la cottura: olle, piatti-coperchi, teglie e tegami, treppiedi, fornelli…realizzati in argilla senza rivestimento.

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Fig.45

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Ma anche i pesi da telaio, in rari casi decorati: come nell’esemplare che vede rappresentata una filatrice con fuso e conocchia (Fig.43).Alla dispensa erano destinate le anfore, i contenitori da trasporto per olio, vino, grano, spezie e l’immancabile salsa di pesce (il garum), che documentano i commerci con il Mediterraneo; alla circolazione del vino erano adibite le anfore “greco-italiche”, esportate dall’Italia centro-meridionale, e le “Lamboglia 2”, diffuse nell’Adriatico e nell’Egeo; l’apprezzato vino di Rodi giungeva nei contenitori ad anse diritte e angolate, spesso marchiate a garanzia dell’autenticità del contenuto; pesce o carne essiccata o ancora olive o salse viaggiavano dalla Spagna e dal nord Africa nelle anfore “puniche”, affusolate e prive di collo.Di produzione locale anche le coppe emisferiche di tipo “megarese”, realizzate a matrice e originarie del Mediterraneo orientale, imitate in Italia dal II sec. a.C.. Sempre a stampo si fabbricavano, fra il II sec.a.C. e il I d.C., le terrecotte architettoniche a copertura delle strutture lignee dei tetti degli edifici di culto e non solo. Attività documentata dalla matrice, con a fianco il calco moderno, che raffigura una Nike (vittoria) o una pothnia theron (signora degli animali). La policromia originale è ancora apprezzabile nella lastra in cui si susseguono motivi a palmetta, teste di Gorgone e di leone. Uno dei più interessanti e antichi esempi dell’industria locale di terrecotte architettoniche è il contesto scoperto a San Lorenzo in Strada di Riccione. Lo compongono un demone alato dai caratteri celtici (Fig.45) (baffi, capelli a ciocche, la tipica collana detta torquis e i bracciali); la lastra con Satiro e Menade (Fig.12), interpretazione di un tema caro all’arte etrusco-italica; una testa taurina, parte del fregio o dell’apparato per il deflusso dell’acqua; lastre con girali, fiori e foglie d’acanto, piccoli volatili e una testa femminile.

[10] La Rimini di MarioArimini canis locutus. Arma caelestiatempore utroque ab ortu et occasu visa pugnare et ab occasu vinci…// A Rimini un cane parlò con voce umana. Nel cielo si videro combattere tra loro armate provenienti da oriente e da occidente e riportò la vittoria quella che marciava da occidente (Giulio Ossequente)

A tratteggiare l’Ariminum degli inizi del I sec.a.C. sono alcuni elementi della sfera pubblica e di quella privata. Fra i primi interventi nella città - da colonia divenuta municipium della Repubblica romana - figura la ricostruzione di Porta Montanara, all’estremità del cardo maximus (via Garibaldi) dove ha inizio la via transappenninica. Il plastico la propone come era in origine, a doppio fornice: una struttura che doveva completarsi con corte di guardia interna e controporta. Inserita nelle mura urbane, già nel II sec. d.C. la porta veniva ridotta a un solo arco per la

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Fig.47 Fig.48

Fig.46

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chiusura di un passaggio. Ancora oggi, in prossimità del sito antico, si erge un arco in conci di pietra locale (Fig.10), ciò che resta del monumento romano.Alla stessa fase risalgono testimonianze di edifici cultuali sul colle di Covignano, l’acropoli di Ariminum. Suggeriscono l’imponenza di un tempio i capitelli italo-corinzi (Fig.15) che la tradizione assegna a San Lorenzo in Monte; ma anche la testa in marmo greco di divinità femminile (Fig.47) (Giunone o Demetra, o Feronia o ancora l’egizia Iside), pertinente a una statua di dimensioni superiori al reale, realizzata in materiali diversi (acrolito).Riportano a una dimensione più intima del culto gli ex-voto in terracotta, espressione di una fede popolare tesa ad assicurarsi la buona salute e a propiziare la fecondità offrendo riproduzioni di parti del corpo umano o di animali domestici.Emblematica della celebrazione del rito religioso è la patera per le libagioni, qui in un elegante modello in bronzo, dal territorio a sud di Rimini.Il livello residenziale raggiunto dalle domus sul finire del II secolo a.C. si coglie nel mosaico “a stuoia” da via Castelfidardo (Fig.46), il più antico di Ariminum conosciuto fino ad oggi. In pregiati marmi policromi, è stato privato del riquadro centrale (emblema) che si suppone fosse una preziosa miniatura in piccole tessere. Le sue caratteristiche esprimono l’adesione allo stile di vita e al modello culturale interpretato dalla tipologia della c.d. casa pompeiana costruita intorno all’atrium e al tablinum (lo studio), gli spazi privilegiati per le relazioni sociali e gli affari del dominus.

[11] La Rimini di CesareLšgetai de\ tÍ protšrv nuktˆ tÁj diab£sewj, Ônar „de‹n œkqesmon: ™dÒkei g¦r aÙtÕj

tÍ ˜autoà mhtrˆ me…gnusqai t¾n ¥rrhton me‹xun. // si racconta che Cesare la notte prima del passaggio del Rubicone abbia sognato un qualcosa di terrificante: gli pareva di unirsi incestuosamente con la propria madre (Plutarco)

L’Ariminum della tarda Repubblica, che si lega storicamente a pagine quali il passaggio del Rubicone, è una città animata da un’economia vivace e da una società multietnica. Specchio delle classi emergenti sono i monumenti funerari: le tombe “a dado” degli OVII e dei MAECI (Fig.14), nel Lapidario, e le strutture a edicola, personalizzate con le statue dei defunti, ben documentate a Sarsina. Appartenevano proprio a un’edicola la solenne statua di togato (Fig.48), che introduce alla sala, il frammento di finta porta in pietra, con battente a testa di leone, e la pigna, anch’essa in pietra, posta a coronamento della sommità. La statua e la pigna provengono dalla necropoli della via Flaminia, oggetto, negli anni ’90 del

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Fig.51

Fig.50Fig.49

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Novecento, di scavi sistematici che hanno restituito numerose sepolture significative per la comprensione del culto funerario e della vita quotidiana. Richiamano il banchetto funebre i tubi in piombo fissati con piastre e il collo di un’anfora, dispositivi (infundibula) che emergevano dal terreno per raggiungere la fossa sepolcrale, consentendo la condivisione di cibo e di bevande fra i vivi e i defunti.Nel rito incineratorio, prevalente dalla fine del II sec. a.C. al II sec. d.C., le ceneri venivano deposte in vasi di vetro, terracotta, pietra, marmo o alabastro, sigillati da coperchi. Solitamente anepigrafi, in alcuni casi presentano un’iscrizione che identifica il defunto. Nell’esemplare di età imperiale proveniente da Bordonchio, a nord di Rimini, il testo recita “Tito Cesio Longino, figlio di Tito, della tribù Aniense, visse 20 anni”. Si tratta dunque di un riminese (come indica la tribù di appartenenza), morto prematuramente.Ai monumenti delle necropoli si ricondurrebbero le due teste-ritratto, una maschile con caratteri realistici. tipici dell’età repubblicana, e una femminile velata, nonché la statua acefala di togato, espressioni dello stato sociale del defunto.I corredi funerari parlano, attraverso gli oggetti, della vita trascorsa, dei gusti personali e del rapporto con la morte. Frequenti i balsamari per profumi e le lucerne per illuminare il viaggio nell’oltretomba, ma non mancano, a simbolo del banchetto, raffinate ceramiche da mensa; i gioielli, come gli orecchini pendenti in oro e lapislazzuli (Fig.49) e gli anelli anche con gemme incise, indicano la ricchezza dell’ornamento personale. Una curiosità è rappresentata dalle borchie in ferro di una suola: ciò che resta delle antiche calzature.Al rito incineratorio rimandano i frammenti combusti del letto funebre in ferro e osso e i balsamari in vetro fusi dal fuoco della pira. Dalla tomba 56 provengono, accanto a un balsamario in vetro e a vasellame fine da mensa, un piattello in madreperla e un chiodo in bronzo con la punta ricurva nell’intento scaramantico di assicurare l’immobilità del defunto e impedirgli di lasciare la tomba. Lusso ed eleganza traspaiono dai gioielli in ambra della tomba 54 associati a un balsamario a forma di conchiglia (Fig.50) e a laminette in oro che gettavano bagliori su di una veste o un’acconciatura. Il rito a inumazione – che andrà affermandosi nel II secolo - caratterizza la deposizione in cassa di piombo, esposta nel corridoio, dalla zona del Palacongressi, in una necropoli connessa alle vie dirette all’interno. Elementi del corredo (Fig.51) (una patera in terra sigillata, e le uova, simbolo di fertilità) attribuiscono la tomba a una giovane di provenienza orientale, morta alla metà del I sec.d.C.. Fra Repubblica e Impero si data la stele funeraria del liberto Publio Tizio Ilaro che lega il proprio ricordo alla professione di cambiavalute, richiamata nel testo dall’indicazione “nummularius” ed evocata dal bassorilievo con monete ordinate sul banco di lavoro. Un documento che apre una finestra sull’economia

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Fig.52 Fig.53

Fig.54 Fig.55

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della città, inserita nella rete di scambi e di commerci del Mediterraneo.[12] La Rimini di AugustoItaliam autem XXVIII colonias quae vivo me celeberrimae et frequentissimae fuerunt mea auctoritate deductas habet. // L’italia vanta 28 colonie stanziate per mia deliberazione che, me vivo, furono prospere e densamente popolate. (Augusto)

La città augustea, rinnovata nelle costruzioni pubbliche e private in forme anche monumentali, si presenta nei suoi simboli. A iniziare dall’Arco di Augusto, la prima grande opera consegnata ad Ariminum, che un modellino (Fig.52) restituisce nelle forme originali, con il gruppo scultoreo sulla sommità. All’apparato statuario dell’Arco fanno riferimento, con probabilità, la testa di cavallo (un calco) e il piede di figura maschile in marmo. L’oggetto in bronzo che lo fiancheggia all’interno della piccola vetrina, un passaguida da carro (Fig.53) con l’immagine della dea Minerva, rinvenuto nel primo tratto della via Emilia, richiama l’intenso traffico lungo la strada consolare.Gli imponenti calchi dei clipei con le divinità e i loro attributi esaltano, nella distanza ravvicinata, la grandiosità dell’Arco. Si riconoscono Nettuno con il delfino e il tridente, Giove con i fulmini e la faretra, Apollo con la cetra e il corvo, Roma con il gladio e un trofeo.Lo stesso Ottaviano Augusto, immortalato nella testa-ritratto (Fig.54) in marmo dal caratteristico “ciuffo a tenaglia” sulla fronte, accoglie il visitatore nella sala che ospita anche il modellino del ponte sul Marecchia, iniziato da lui e terminato da Tiberio, suo successore. Il favore di cui godette il culto di Apollo in età augustea trova evidenza nella testa in marmo (Fig.55) di un grande simulacro della divinità.

La Rimini di Augusto. La città e i monumentiSenatus populusq(ue) Romanus imp(eratori) Caesari Divi f(ilio) Augusto imp(eratori) sept(iens) co(n)s(uli) sept(iens) designat(o) octavum…// Il Senato e il popolo di Roma all’imperatore Cesare Augusto, figlio del divo Cesare, a lui salutato imperatore per la settima volta, a lui console per la settima volta, a lui console designato per l’ottava volta… (CIL XI, 365)

Il percorso propone materiali dal teatro che Augusto fece erigere nell’area del foro; dell’edificio, oggi quasi completamente cancellato dal tessuto urbano, sono esposti un grande contenitore (dolio) in terracotta, forse destinato a migliorare l’acustica, e un’imponente colonna in marmo cipollino dalla scena che, con altri elementi architettonici in pietra, apre uno squarcio sulla città monumentale del I secolo.

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Fig.56

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Il rinnovamento avviato da Ottaviano investe anche l’ambito privato: agli ideali dell’arte augustea si ispira la stele funeraria di Egnazia Chila (Fig.56), uno dei più eleganti esempi di scultura della prima età imperiale, così come il pavimento in lastre di marmo da un’area anticamente prossima al porto, sull’attuale via Dante. Lo compongono pregiati marmi che disegnano un motivo a cubi prospettici nei colori nero, bianco e verde. Un verde nelle tonalità turchine del mare cui l’edificio guardava.

La Rimini di Augusto. Le domusEmblematici dell’attività edilizia residenziale nella Rimini augustea sono gli edifici nella zona dell’Arco, raffinate costruzioni con impianti di riscaldamento, fontane ornamentali, sale absidate e mosaici pavimentali impreziositi da lastre di marmo. Come la domus a monte dell’Arco. Qui i pavimenti musivi, per lo più a fondo nero, segnavano con decorazioni geometriche le soglie di passaggio fra le stanze. Fa forse riferimento all’impegno militare del dominus il motivo degli scudi esagonali incrociati, alternato a quello del fiore quadripetalo, in uno degli ambienti principali della domus.Dall’edificio a mare dell’Arco proviene il mosaico a tessere nere con medaglione centrale (Fig.57, partic.) in cui si riconosce una scena con mostri marini di estrema accuratezza. Vasche rivestite in pietra e mosaici parietali da fontana identificano l’edificio come impianto termale, pubblico o privato. L’agiatezza dell’abitare traspare nei materiali decorativi delle architetture: dalle lastre in terracotta a copertura di tetti e grondaie agli oscilla in argilla configurati a maschera teatrale, che ornavano i portici dei giardini “oscillando” al vento per tenere lontano gli spiriti infausti. L’ambiente domestico rivive nei pregevoli corredi da mensa in ceramica a pareti sottili e nella cosiddetta terra sigillata dal color rosso-arancio; ma anche nel vasellame acromo da cucina, nelle trasparenze dei vetri, nelle lucerne dalle svariate decorazioni.

[13] Rimini giulio-claudia

Rimini giulio-claudia. La domusTruditur dies die novaeque perdunt interire lunae; tu secanda marmora locas sub ipsum funus et sepulcri inmemor struis domos…// giorno succede a giorno, al tramonto si affretta la nuova luna; tu marmi da tagliare appalti quasi nella fossa e, il sepolcro dimenticando, edifichi palazzi…(Orazio)

L’edilizia residenziale del primo impero è rappresentata dalle domus scoperte negli scavi

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Fig.59

Fig.58

Fig.57

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di palazzo Massani e dell’ex-Vescovado che offrono una ricca documentazione sulla vita quotidiana, sul gusto degli arredi e sulla cura personale. Proprio il restauro del pavimento del triclinio recuperato nell’area dell’ex-Vescovado (Fig.59), a due passi dal teatro e dal foro, ha confermato l’elevato tenore di vita nelle domus di Ariminum: alcune delle lastre marmoree che arricchivano il mosaico nella sua parte centrale, erano state ritagliate da sostegni per lucerne in marmo giallo antico, beni di lusso destinati alle abitazioni più prestigiose della capitale, il cui commercio interessava anche Ariminum. Sempre dalle domus dell’ex Vescovado provengono colonne, basi e capitelli del portico del giardino (peristylium) nonché il tappeto musivo con fiori entro uno schema geometrico ripreso dal motivo a cassettoni del soffitto.La vita quotidiana è tratteggiata dai materiali dell’area dell’ex Consorzio agrario, nel suburbio, della domus dell’ex convento di San Francesco, a fianco del Tempio Malatestiano, e delle domus di via Sigismondo, nei pressi di piazza Cavour: svariate le forme e le tipologie di vasellame da mensa quale la terra sigillata (Fig.58) (fra cui una coppa a calice con riproduzioni di statue di Ercole) e da cucina, di oggetti per l’abbigliamento (fibule in bronzo), per la cura del corpo e per le attività domestiche. Il colpo d’occhio sulle lucerne offre una panoramica della varietà degli esemplari in ceramica e in metallo: fra i più originali quelli configurati a piede calzato e a testa di ariete (Fig.60). Richiamano l’effetto decorativo dei pavimenti delle domus di II secolo anche due mosaici dallo scavo di teatro Galli: l’uno con una trama geometrica di quadrati e rettangoli in cui si inseriscono pelte, motivi a onda e fiori stilizzati, l’altro con cornice a treccia intorno a un riquadro di marmi colorati.Diffusa la presenza di statue, espressione del gusto e della cultura del dominus nonché dell’adesione all’ideologia imperiale. Stanze e giardini accoglievano ritratti idealizzati (Fig.16) di membri della società locale o della famiglia imperiale, immagini-simbolo della propaganda del potere (l’aquila ad ali aperte e la cornucopia su di un elegante sostegno di tavolo) (Fig.61), o personaggi del mito (la Ninfa sdraiata, forse ornamento di una vasca).

Rimini giulio-claudia. Le attività idraulicheL’acqua è fondamentale nella vita della città e della casa, ove giunge grazie a una rete idrica alimentata da numerose fonti alle pendici del colle di Covignano e nel suburbio. Due gli esempi esposti che rendono con efficacia la portata degli acquedotti riminesi: uno, in pietra, appartiene al tratto che, dalla fonte pedecollinare nella zona dei Padulli, si immetteva nel centro della città; l’altro, in terracotta e pietra, documenta un segmento dell’acquedotto nei pressi del borgo San Giuliano. La sezione si compone di condutture a corpo sia cilindrico che rettangolare, raccordate da un elemento in pietra arenaria, e di un pozzetto di decantazione.

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Fig.62Fig.61

Fig.60

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La rete di distribuzione delle acque comprendeva anche tubi in piombo (fistulae aquariae), alcuni con il marchio del magistrato che aveva promosso l’opera. L’acqua corrente che entrava nelle case era largamente impiegata nelle vasche ornamentali e nelle fontane da giardino: al sistema idraulico domestico si riferiscono la valvola e gli elementi per giochi d’acqua restituiti dallo scavo di palazzo Massani, affacciato sul cardine massimo. Ariminum era dotata di una canalizzazione per la raccolta delle acque luride che correva sotto il selciato stradale e in cui confluivano anche gli scarichi delle domus. Uno dei collettori principali, intercettato lungo il corso d’Augusto (l’antico decumanus maximus) convogliava le acque nella fossa Patara, il canale che attraversava la città, diretto al mare. Diversi gli oggetti (vetri, verghe, anelli e monete) caduti accidentalmente all’interno del collettore.

Rimini giulio-claudia. Economia, agricoltura e societàSalve, magna parens frugum, Saturnia tellus, magna virum…// Gloria a te, terra Saturnia, madre feconda di messi, madre feconda di eroi… (Virgilio)

La città era servita da un entroterra ricco di prodotti dei campi, dei boschi e dell’allevamento. Economia cui corrispondeva un popolamento diffuso in case-fattoria e villaggi con specifiche vocazioni legate alla morfologia e alla fitta rete di comunicazioni.Appartengono a questo tessuto insediativo gli attrezzi agricoli (una zappa e una vanga), le lucerne, l’antefissa figurata in terracotta e gli elementi di statue in marmo e in bronzo dalla piana di San Pietro in Cotto, nella Valle del Conca, dove fiorì un importante insediamento – forse un fondo imperiale con valore anche cultuale – connesso alla viabilità trans valliva. E inoltre i rustici contenitori troncoconici con prese laterali interne, rinvenuti in un edificio rurale lungo il corso del Marecchia, utilizzati come pitali o per attività con largo impiego di acqua, quale ad esempio la tintura di tessuti. Dal territorio di Santarcangelo, polo dell’industria ceramica e laterizia in epoca imperiale, proviene la tavoletta incisa a crudo interpretata come calendario dei mercati (index nundinarius). Alla vendita dei prodotti del territorio possono ricondursi la serie di pesi da bilancia in pietra e due pesi in bronzo e piombo a forma di anfora per bilance sia a due piatti che a stadera. Agli scambi si legano anche le tesserae nummulariae, targhette in osso iscritte che, fissate con un cordoncino a un sacchetto di monete, ne garantivano il contenuto.Completano la documentazione su produzione e commerci le anfore di fabbricazione locale (Fig.63) e di importazione esposte accanto ai mortai in terracotta utilizzati per la lavorazione

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Fig.66Fig.65

Fig.64Fig.63

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di cibi e materie prime. Sala dei mosaiciLa sala con la grande rastrelliera è stata progettata per diventare un “archivio” del ricchissimo patrimonio di mosaici pavimentali dalle domus riminesi, destinato a custodire le tipologie più rappresentative. Emblematici di questo spazio sono i riquadri centrali di due mosaici geometrici in bianco e nero, l’uno da via Castelfidardo, l’altro da via Isotta.

Piano terraIl mosaico accompagna il visitatore anche nel passaggio alla città del II e III secolo, introdotta da un esemplare fra i più spettacolari, il pavimento con scena di caccia (Fig.62) rinvenuto negli scavi della Scuola Industriale, oggi sede dell’Università: a destare ammirazione è il sapiente uso delle tessere in pasta vitrea che, nel piumaggio del pavone maschio, sortiscono raffinati effetti pittorici.

La città e le attività produttiveCaio Valio Polycarpo. Ornamenta decurionatus inlustratus a splendidissimo ordine Arimin(ensium)...Patronus collegiorum...navic(ulariorum)...// A Gaio Valio Policarpo. Insignito degli emblemi del decurionato dal molto magnifico ordine della municipalità di Rimini… Patrono della corporazione...dei marinai... (CIL XI, 6378)

La città di Ariminum fra II e III secolo si presenta attraverso i rapporti con Roma, le istituzioni e le principali famiglie cittadine.Il centro, con il suo territorio, gode di un’economia fiorente, alimentata da impianti e laboratori produttivi, sostenuta da una vigorosa agricoltura.I bolli impressi sui laterizi, tegole, mattoni e coppi raccolti nella collezione riminese, sono indicatori dei vivaci rapporti commerciali e della presenza di fornaci, attestate in particolare nell’area santarcangiolese. Area che si conferma polo artigianale anche per la fabbricazione delle anfore vinarie di tipo romagnolo (Fig.63), dal caratteristico fondo piano funzionale al trasporto via terra. Di dimensioni ridotte (da 9 a 12 lt) per contenere il vino locale non particolarmente pregiato, ma prodotto in abbondanza per un rapido consumo a basso costo, piuttosto che per l’invecchiamento, queste anfore coprivano un ampio raggio di distribuzione raggiungendo in grande quantità il mercato popolare della capitale.Nell’ambito urbano è documentata la lavorazione degli ossi per la realizzazione di piccole scatole (pissidi), spilloni e pettini per capelli, aghi, stili per scrittura.

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Il tessuto economico si delinea anche attraverso i signacula, anelli di bronzo con timbro, impiegati per marchiare derrate e contenitori in ambito domestico. Le dinamiche commerciali sono supportate da una esemplificazione delle monete circolanti all’epoca per il circuito quotidiano e veicolo della propaganda imperiale.

La domus e la vita quotidianaDomi focique fac ut memineris // vedi di ricordarti della casa e del focolare (Terenzio)

Il visitatore viene accolto in uno spazio che ricrea l’ambiente domestico attingendo ai materiali restituiti dalle numerose domus indagate nella Città dal dopoguerra.Lo scavo di palazzo Arpesella offre l’opportunità di ricostruire l’interno di una stanza: a pavimento si osserva un originale battuto, in frammenti di laterizi legati da malte con inseriti spezzoni di mosaico a tessere bianche e nere; alle pareti e a soffitto intonaci a motivi ripetivi (Fig.64) “a tappezzeria”. Suggestioni d’arredo sono offerte da oggetti quali tintinnabula, amuleti, appliques per mobili e oscilla (Fig.65), dischi marmorei con immagini mitologiche a bassorilievo, solitamente appesi fra le colonne dei porticati, elementi cui era attribuito anche un valore magico, e lucerne in terracotta. Il vasellame da mensa e da cucina apre uno spaccato su quel momento quotidiano fondamentale che è il ritrovarsi intorno ad una mensa. Alle attività domestiche femminili rimandano aghi e strumenti per la filatura e la tessitura, quali pesi da telaio e fusaiole, mentre la sfera privata più intima si rivela nella cosmesi e nella cura del corpo, con spatoline, spilloni, aghi crinali, pettini, piccoli contenitori in osso e balsamari, nella magia degli ornamenti, con monili, gemme e castoni, nella passione del gioco, con pedine per giochi simili alla dama e agli scacchi.

L’AnfiteatroNel II secolo la Città si dota di un anfiteatro, monumento simbolo della Romanità, che, con la sua maestosa architettura in laterizio, inserita ai margini del tessuto urbano, connota l’immagine di Ariminum dal mare. I suoi resti, visibili in sito, rappresentano la più consistente documentazione archeologica di un edificio anfiteatrale in Regione.La restituzione dell’anfiteatro nella sua interezza è affidata a elaborazioni grafiche redatte sulla scia degli scavi archeologici fin dall’Ottocento La ripartizione degli spalti attraverso la numerazione dei posti è documentata da un gradino in pietra. Una moneta dell’imperatore Adriano, rinvenuta nella malta, data la costruzione alla metà del

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II secolo d.C..L’atmosfera dei giochi gladiatori è evocata da oggetti legati al mondo dell’arena: l’immagine del gladiatore è resa da un bronzetto (Fig.66) e da una lucerna, mentre tessere in osso e pasta vitrea, con incisa l’indicazione del posto a sedere, introducono allo spettacolo.

La taberna medica L’ingresso nel cuore della taberna medica segna l’inizio del percorso dedicato allo straordinario contesto archeologico di piazza Ferrari, percorso che si completa con la visita alla vicina domus del Chirurgo, sito aperto al pubblico dal dicembre 2007.La ricostruzione della taberna medica (Fig.67) anticipa l’esposizione dei materiali originali introducendo il visitatore nello studio-ambulatorio in cui esercitava il medico chirurgo vissuto nel III secolo. Due i vani realizzati in scala leggermente ridotta rispetto al reale: lo studio con il mosaico di Orfeo attorniato dagli animali e la stanza per il ricovero giornaliero dei pazienti. Un’ambientazione suggestiva e scientificamente rigorosa, che restituisce le decorazioni degli intonaci alle pareti e ai soffitti nonché lo strumentario utilizzato dal medico per gli interventi chirurgici e per la produzione dei farmaci. E che si ispira ai modelli rinvenuti in area centroitalica per quanto riguarda gli arredi, quasi completamente combusti nell’incendio.

La domus del Chirurgohabitare laxe et magnifice voluit... // ha voluto avere una dimora comoda e sontuosa... (Cicerone)

Lo scavo di piazza Ferrari, attiguo al Museo della Città, ha interessato una domus che prende il nome dall’attività di chirurgo dell’ultimo dominus che vi risiedette. Il ritrovamento, di eccezionale importanza, documenta un’evoluzione insediativa dall’età repubblicana al Medioevo. La domus imperiale, distrutta per un incendio nella seconda metà del III secolo sulla scia delle prime incursioni dei barbari, ha rivelato sotto il crollo delle macerie, come una piccola Pompei, strutture, mosaici, intonaci, arredi e suppellettili...offrendo una “fotografia” della vita nella Rimini antica.L’allestimento consente, attraverso stratigrafie e materiali edilizi (fra cui elementi del tetto con il comignolo), di cogliere e interpretare i dati archeologici, dando risalto alle tecniche costruttive, alla successione delle fasi, all’articolazione degli spazi e dei volumi abitativi, alle decorazioni parietali e a frammenti dei pavimenti del secondo piano. Gli affreschi esposti provengono dai diversi vani della domus; un’intera parete è relativa alla stanza per i brevi ricoveri (Vano F, cubiculum) che all’interno di grandi campiture vede soggetti figurati e, in una fascia nella parte

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Fig.68

Fig.67

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Fig.70 Fig.71

Fig.69

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alta, la rappresentazione di un paesaggio marino. La vita nella domus e l’attività del chirurgoP(ublius) Decimus, P(ubli) l(ibertus), Eros Merula, medicus clinicus chirurgus ocularius... // Publio Decimo Eros Merula, medico clinico chirurgo oculista ... (CIL XI, 5400)

Questa è la sala che custodisce il “tesoro” della domus del Chirurgo.A iniziare dal pannello in vetro (Fig.69) che ornava il triclinio: nel disco centrale sono raffigurati, in modo naturalistico, un’orata, uno sgombro e un delfino realizzati in mosaico e inseriti in una lastra che riflette l’azzurro del mare. Siamo di fronte a un raro e prezioso quadro da parete (pinax) di tradizione ellenistica, molto simile a un esemplare prodotto a Corinto nella metà del III secolo. Un pezzo capace di evocare luci e orizzonti marini all’interno della domus che sorgeva a poca distanza dalla costa.È quindi la volta dell’eccezionale corredo chirurgico-farmaceutico (Fig.70) composto da ben 150 elementi in bronzo e ferro. Accanto a bisturi, sonde, pinzette, forcipi e tenaglie odontoiatriche, si riconoscono una tenaglia, scalpelli e leve per chirurgia ossea, un ferro per l’asportazione dei calcoli urinari (litotomo), un trapano a bracci mobili, una lastra di appoggio in porfido con ascia in ferro per interventi chirurgici, oltre al “cucchiaio di Diocle”, lo strumento per estrarre frecce dalle ferite senza lacerare le carni, noto attraverso la letteratura ma mai documentato archeologicamente prima del ritrovamento riminese. Nella medesima vetrina è possibile riconoscere Diana cacciatrice raffigurata su una lamina, il coperchio di una piccola cassetta medica, probabilmente in legno, con chiusura a scorrimento. Molti degli strumenti che il chirurgo aveva riunito in custodie e astucci o avvolto nella tela, si presentano oggi saldati fra loro per effetto del calore dell’incendio.Spiccano a fianco i grandi mortai con pestelli in pietra, utili alla frantumazione e macinazione di erbe e minerali nella preparazione dei farmaci. Forme e materiali diversi sono indici di una specializzazione nel triturare le varie sostanze. Curioso il vaso con intercapedine, a forma di piede (Fig.71), borsa dell’acqua calda o del ghiaccio, a seconda delle necessità. Non meno interessanti i piccoli contenitori (Fig.68) che recano, in lingua greca e latina, l’indicazione del contenuto! Dalla taberna proviene anche la mano votiva in bronzo (Fig.68) che si collega al culto orientale di Giove Dolicheno, praticato a Rimini tra il II ed il III secolo.Proseguendo nel percorso ci si sofferma su di un graffito inciso sull’intonaco dalla parete a fianco del letto nella stanza per i ricoveri: forse in segno di gratitudine un malato scrisse il nome del medico (interpretato come Eutyches) definendolo homo bonus.

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Nella vetrina a fronte sono esposti un gruzzolo di più di ottanta monete (gli spiccioli per il vivere quotidiano) riversate a terra nel crollo e le armi (lancia e giavellotto) rinvenute sul pavimento dello studio del chirurgo, segno degli eventi bellici che portarono alla distruzione dell’abitazione.

La domus di Palazzo Diotallevi. Le agiatezze delle dimore borghesidomus alta... mane saluntantum totis vomit aedibus undam // la casa imponente... di mattina riversa nelle stanze un’ondata di clienti venuti a salutare (Virgilio)

Una prestigiosa domus sorgeva a nord del decumano massimo, là ove oggi è palazzo Diotallevi. Alla fase di fondazione di Ariminum rimandano le più antiche testimonianze, fra cui vasellame da mensa e da cucina. L’impianto dell’edificio, databile fra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C., affianca ambienti rustici e di servizio a vani raffinati, mentre la ristrutturazione del II secolo d.C. vede eleganti stanze affacciarsi sul grande cortile sagomato a T e un’ampia sala aprirsi con una suggestiva scenografia incentrata sul mosaico con scena portuale (Fig.72). L’agiato tenore di vita è reso da mosaici, intonaci, sculture, vetri e ceramiche, oggetti in osso e bronzo. Fra i materiali più originali il pavimento con decorazione geometrica del vano “N”, identificato come triclinio invernale, l’unico mosaico policromo della domus; la statua frammentaria in marmo, probabile copia di un’opera di Policleto, ritrovata presso la vasca ornamentale, fulcro del cortile-giardino; la base in pietra con scena di vita quotidiana che rappresenta un personaggio, forse un maestro, seduto su di un alto seggio con in mano un volumen, di fronte al quale si trova un ragazzo (lo scolaro?) intento a sistemare una lucerna.

La domus di Palazzo Diotallevi. La sala di ErcoleHerculi Aug(usto), consorti D(omini) N(ostri) Aureliani Invicti August(i)... // A Ercole Augusto, consorte di nostro signore l’imperatore Aureliano Augusto, l’invitto... (CIL XI, 6308)

Il visitatore può cogliere la grandiosità del mosaico figurato, in bianco e nero, della sala di rappresentanza della domus. Al suo centro è il mitico Ercole nell’atto di levare la coppa (Fig.73) per la libagione. Intorno al dio, caratterizzato dalla clava e dalla pelle leonina, si irradia una decorazione con motivi geometrici, racemi, animali¸ vasellame; l’ornato era racchiuso su tre lati dall’ampia fascia bianca riservata ai letti tricliniari. Il motivo del kantharos, la grande coppa per il vino che segna la soglia, introduce ai banchetti che la raffinata sala poteva ospitare.

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Fig.73 Fig.74

Fig.72

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Alla professione del padrone di casa, allude l’immagine con l’ingresso delle barche nel porto (Fig.72), che gli ospiti potevano ammirare distesi sui triclini, apprezzando la fortuna del dominus nella sua attività marinara. La stanza presentava pareti dal forte cromatismo che contrastava con il bianco e nero del pavimento. Un armadio in legno custodiva l’elegante servizio in bronzo destinato alla mensa: brocche con anse finemente decorate, pentole, un tegame, una situla (una sorta di secchio), un portalampada, e un lare danzante (Fig.74), la divinità protettrice della casa, che alza un vaso potorio a forma di delfino. Insieme a un altro lare, non restituito dallo scavo, accompagnava i riti intorno alla mensa. Le grandi cesoie in ferro dovevano servire alla cura del giardino.Dell’armadio, carbonizzato nell’incendio che distrusse la domus nella seconda metà del III secolo d.C., rimangono i cardini, i chiodi in ferro e bronzo e la complessa serratura.

I culti di età imperiale™peˆ de\ diexelqën t¾n œrhmon ‘Alšxandroj Âken e„j tÕn tÒpon, Ð men prof»thj aÙtÕn

Ð ”Ammwnoj ¢pÕ toà qeoà ca…rein æj ¢pÕ patrÕj prose‹pen // quando, attraversato il deserto, Alessandro giunse alla meta il profeta di Ammone gli rivolse il saluto in nome del dio come se il dio fosse suo padre... (Plutarco)

La dedica in marmo posta da Quinto Pullieno Malchione conferma che Ercole e il suo mito, legati alla città fin dalle origini, sono ancora oggetto di culto nella Rimini del II secolo dove, accanto agli dei della tradizione, si vanno affermando le divinità orientali, prime fra tutte quelle egizie. La dilagante egittomania è documentata dal mosaico di ambiente nilotico (Fig.76) con figura umana a testa di canide (Anubi?) e dalla statua del faraone Psammetico II.Negli ambienti romani, pubblici e privati, era uso richiamare culti e credenze con immagini di dei ed eroi che, in età imperiale, sempre più numerose invadono abitazioni, sepolture, oggetti di uso.Le domus di Ariminum rivelano una ricca documentazione a soggetto religioso e mitologico. Notevole fortuna ha il repertorio dionisiaco, con Eros, Dioniso (Fig.75), Priapo, Sileno, a rappresentare le forze propiziatrici della Natura e i piaceri conviviali. Attestati Minerva, Fortuna, Asclepio, Venere (Fig.77) e Orfeo che suona la cetra, raffigurato in una scultura forse inserita nella nicchia di un giardino. Doveva essere destinato al culto in un larario domestico il nucleo di statuette bronzee di divinità, probabile scarto di una fonderia, in cui riconosciamo Venere-Fortuna con la cornucopia, Priapo e Mercurio. Un riferimento al culto imperiale può cogliersi nell’effigie di Giove Ammone, il dio egizio combattente assimilato al latino Giove, raffigurata su di una decorazione militare (phalera).

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Fig.77Fig.76

Fig.75

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Rimini e il mareœcei de tÕ ’Ar…minon limšna kaˆ Ðmènumon potamÒn...// Rimini ha un porto e un fiume con lo stesso nome... (Strabone)

Il rapporto con il mondo marino e le attività a esso connesse rappresenta una realtà di vitale importanza, che emerge lungo l’intero percorso espositivo: fondamentale nel processo insediativo, è un elemento di continuità nella storia di Ariminum, città d’acque abbracciata dai corsi dell’Ariminus (Marecchia) e dell’Aprusa (Ausa), attraversata dalla fossa Patara e affacciata al mare Adriatico con i suoi traffici. Al porto, che si apriva alla foce dei fiumi, fanno capo le rotte commerciali sulla cui scia giungono prodotti dall’Oriente e dall’Africa: ceramiche da mensa e da cucina, vetri, anfore, arredi di pregio insieme a spezie, vini prelibati, olio e cereali, tessuti...Emblematica immagine del porto con la sua attività è la fascia del mosaico dal vano A di palazzo Diotallevi, il cosiddetto mosaico delle barche (Fig.72), che restituisce una scena di approdo di un convoglio mercantile. La fascia, posizionata in modo tale da essere ammirata dai triclini, raffigura due navi che, a vele spiegate, entrano nel porto precedute da una barca a remi. Sulla torre che segna l’ingresso all’invaso portuale un uomo sta accendendo un fuoco di segnalazione. Significativa la raffigurazione puntuale dei pesci che popolavano l’Adriatico; i pesci, associati a molluschi e crostacei, ritornano nel mosaico dallo scavo di via Cairoli.

Rimini tardoanticaI materiali: gioielli e oggetti in metalloIl profilo della Rimini tardoantica, connotato dall’affermazione del Cristianesimo e dall’influenza della vicina Ravenna, capitale dell’impero bizantino, si disegna anche attraverso piccoli, ma interessanti oggetti di culto e di vita quotidiana.A iniziare dal reliquario in argento, custodito nella base d’altare della chiesa dei SS. Andrea, Donato e Giustina, che reca inciso il motivo della croce latina fra l’alfa e l’omega (simboli dell’eternità di Dio), e quindi proseguire con il “tesoretto” ritrovato negli anni ’60 in piazza Cavour. Lo compongono due fibule, di cui una in argento dorato, del tipo “a croce a bracci uguali” caratteristico dell’abbigliamento maschile bizantino; sei cucchiai con manico lungo e sottile; un contenitore cilindrico (pisside) e una spatolina per unguenti e cosmetici, un frammento di specchio e un ago, tutti elementi in bronzo riconducibili alla sfera femminileFra gli oggetti più comuni, la lucerna che accompagna la vita e la morte dell’individuo recando sia immagini filtrate dal mondo pagano quali il leone, il gallo, il pavone, il sole o la ruota sia

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Fig.79

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simboli cristiani quali la croce gemmata, il chrismòn (il monogramma che unisce le iniziali del nome greco XPISTOS), il Santo Sepolcro e la palma.La moda del tempo si riflette nelle fibule che trattenevano i pesanti mantelli, nelle fibbie e nei pendagli da cintura di gusto bizantino.La compagine multietnica emerge dai corredi delle sepolture: emblematico il ritrovamento di Cava Sarzana, lungo il corso del Marecchia, con due tombe maschili, probabilmente di mercenari, che contenevano oggetti di fattura bizantina accanto a elementi, quali le frecce e l’acciarino, tipici dei Longobardi.

Il mosaico tardoimperiale rimineseDi grande valore simbolico il frammento di mosaico dallo scavo di palazzo Gioia, dentro vetrina: vi si riconosce un’aquila ad ali aperte, simbolo dell’Impero, verso cui si volge un altro volatile (una colomba?) con un ramoscello nel becco, a rappresentare forse la palma della vittoria. Datato al V secolo, il mosaico, che sembra coniugare i valori tradizionali dell’impero con il messaggio cristiano, ci introduce fra le domus palaziali della Rimini tardo antica, restituite nel percorso dai tappeti di pietra che pavimentavano spazi vasti e solenni. L’intreccio domina le composizioni geometriche dei mosaici riminesi, da quelli degli scavi del Mercato Coperto e di Palazzo Palloni fino a quelli del palatium di piazza Ferrari. Sviluppando motivi già ricorrenti nell’età classica in riquadri centrali (emblemata), l’intero pavimento si riempie di geometrie che si rincorrono dilatando lo spazio con un effetto di horror

vacui e di movimento, riflesso dell’instabilità e dell’incertezza dei tempi. Protagonista è il nodo, l’intreccio declinato in tutte le possibili combinazioni: espressione del legame che può essere stretto o sciolto, il nodo interpreta la forza vitale generata dal segno del serpente. Fra le tipologie più diffuse il “nodo di Salomone” (Fig.78) tradizionalmente associato alla figura del re d’Israele, divenuto fra tardoantico e medioevo icona di saggezza e giustizia.Nelle complesse trame ricorrono anche croci ed elementi circolari, sintesi di perfezione che, nel continuo ripetersi, esprimevano il senso di infinito ed eterno del divino.

Il complesso di Palazzo GioiaGli ambienti di rappresentanza delle domus esibivano anche auliche immagini di vita quotidiana che celebravano il dominus e la sua famiglia: esemplari la “Venere allo specchio” (Fig.79) e la scena di processione con doni (Fig.22), entrambe dallo scavo di palazzo Gioia.La prima è forse un omaggio alla padrona di casa, ritratta seminuda come una dea sullo sfondo di un paesaggio esotico che richiama possedimenti in terra d’Africa; la seconda, inserita nel

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Fig.82Fig.81

Fig.80

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portico che conduceva alla più prestigiosa sala del palazzo, presenta un corteo di servi che reca i cesti con i prodotti dei campi, introdotto da un personaggio in tunica bianca, anch’esso con un dono. Entrambi questi mosaici, così come il pavimento con motivi geometrici entro rosone, si inquadrano nella ristrutturazione edilizia del V secolo, mentre l’ambiente più prestigioso e ufficiale del palazzo, conserva uno splendido pavimento del II secolo d.C., il mosaico “delle Vittorie” (Fig.80). Erano infatti due Vittorie alate con i segni del trionfo, la palma e lo scudo, ad accogliere l’ospite sulla soglia della sala, scandita al suo interno da esagoni che racchiudono eleganti scene del mito con protagonisti Satiri, Menadi, Ninfe e mostri marini.Dallo stesso isolato proviene il mosaico con pavone esposto nell’ambiente successivo: un esempio di come, fra la fine del V e il VI secolo, la decorazione di interni accolga iconografie oramai chiaramente legate alla cristianità. Come il kantharos, il grande vaso ansato per il vino, al centro di un pavimento in mosaico e lastre di marmo (Fig.81) dallo scavo della Scuola Industriale, datato fra VI e VII secolo. Specchio del mutato panorama urbano, che dal IV secolo vede l’affermarsi di un’edilizia palaziale e in parallelo il dilatarsi di spazi coltivati o d’abbandono, sono da un lato le ampie campiture di mosaico e dall’altro il fenomeno delle sepolture dentro le mura cittadine qui rappresentato dalla tomba alla cappuccina che taglia un mosaico tardo antico.

Sepolture di epoca tardo imperialeAlcune delle sepolture in urbe presentavano un corredo: tra gli oggetti dall’area del Mercato Coperto due fibbie e una placca a testa bovina per cintura insieme a puntali di armi. La principale necropoli extraurbana, quella lungo la via Flaminia, che intorno alle spoglie del Santo Martire Gaudenzio vide crescere un cimitero cristiano e una chiesa, ha restituito un frammento di croce in oro (Fig.82) destinata, secondo la consuetudine longobarda, a essere cucita sul velo funebre, nonché anfore riutilizzate per povere sepolture: si tratta per lo più di grandi contenitori di origine africana che disegnano le vie commerciali dall’età imperiale al VI secolo.Scavi recenti ai lati della Flaminia hanno portato in luce sepolture che conservavano chiodi delle scarpe del defunto, collane di perle, pettini in osso, bracciali in bronzo. Interessanti l’iscrizione cristiana di Epazia (Fig.25), morta a soli 4 anni, e il mattone romano che reca inciso, fra l’alfa e l’omega, il monogramma di Cristo, in una versione che ha sostituito l’iniziale X di XPISTOS con la croce latina.Facendo scorrere lo sguardo su pettini in osso (Fig.27), bicchieri di vetro, oggetti di

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Fig.85

Fig.83 Fig.84

Fig.86

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abbigliamento e d’ornamento quali fibbie, fibule, bottoni e perle, sempre da corredi funerari, si passa nella sala successiva: qui si segnala una brocchetta in vetro con beccuccio (Fig.83)da una tomba infantile nell’area di Teatro Galli e una bottiglia, anch’essa in vetro, con lungo collo conico (Fig.84) , avvolto da filature in pasta vitrea.A testimoniare la penetrazione del Cristianesimo nel vissuto quotidiano sono anche le semplici lucerne e il vasellame da mensa, sia di produzione locale che di importazione, con simboli quali la croce e la palma del martirio. Il volto della città fra V e VI secolo è connotato dagli edifici religiosi cresciuti dentro e fuori le mura; fra questi ultimi la chiesa dei SS. Andrea, Donato e Giustina intorno alla quale si era sviluppato un cimitero cui appartengono numerose iscrizioni su pietra: quella di Leone, affittuario e appaltatore di possedimenti di Teodorico, deceduto a trent’anni nel 523, e quella di Orso, duca di Rimini vissuto fra il IX e il X secolo.Evoca la Città medievale nel suo cuore cristiano, il bassorilievo (pluteo) dalla chiesa dei SS.Andrea, Donato e Giustina, con al centro un kantharos attorniato da tralci di vite (Fig.24), simbolo del banchetto eucaristico.

Il Lapidario romano (Fig.85)Nella suggestiva cornice del giardino-cortile interno del Collegio dei Gesuiti, è ospitato, dal 1981, il Lapidario romano, una raccolta di iscrizioni che toccano diversi aspetti della vita pubblica e privata dal I sec. a.C. al IV d.C.. Antichi magistrati, funzionari, soldati, schiavi, liberti, donne e bambini escono dall’anonimato grazie alle iscrizioni che recano informazioni sulla sfera familiare, religiosa e politica dei personaggi.Il progetto, di Giancarlo Susini, si articola in più lobi: a partire dai monumenti sepolcrali, con le più antiche testimonianze provenienti dalle necropoli distribuite lungo le vie d’accesso alla città, il percorso presenta le iscrizioni che testimoniano interventi pubblici, quali il riassetto delle mura e la lastricatura delle strade cittadine (Fig.86), le espressioni del culto e della devozione, i documenti sull’organizzazione sociale e familiare. Formatasi già ad iniziare dal XVI secolo, la raccolta epigrafica riminese si configura come una delle più notevoli nel panorama regionale, per ricchezza, originalità e antichità dei documenti. La visita del lapidario costituisce una naturale integrazione al percorso archeologico, arricchendolo dei dati della testimonianza scritta.

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Fig.87

Fig.88

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Il complesso archeologico di piazza Ferrari (Fig.87)La zona d’ingresso L’area musealizzata si spalanca su oltre 700 mq. che raccontano 2000 anni di storia della Città. Aperta al pubblico nel 2007, la struttura è stata progettata per tutelare e valorizzare i resti archeologici di cui offre una visione e una lettura unitaria. Lo scavo, avviato nel 1989 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna in relazione ai lavori di arredo di piazza Ferrari, ha portato in luce una domus di età romana, una residenza palaziale tardoantica, sepolture e tracce di abitazioni altomedievali, murature di epoca basso medievale e moderna. La metodologia di scavo ha privilegiato, in previsione della musealizzazione, la conservazione delle più significative testimonianze di ogni fase; scelta che ha portato a non raggiungere i livelli più antichi di insediamento se non in qualche caso in cui sono state lasciate a vista porzioni di pavimenti in opus signinum, un amalgama di malta e laterizi con tessere di mosaico che formano semplici motivi decorativi. La presenza di questi pavimenti nell’area del palazzo tardo antico, documenta una domus del I secolo a.C., profondamente ristrutturata nel I e nel II secolo d. C.. Proprio in occasione dell’ultima ristrutturazione, attraverso la parziale chiusura dell’ampio giardino porticato, fu ricavato l’edificio che oggi chiamiamo domus del Chirurgo.

La domus del Chirurgo I resti della domus del Chirurgo si possono ammirare sul lato opposto all’ingresso del complesso archeologico. In epoca romana l’area si trovava al margine settentrionale della città, in prossimità della costa, arretrata di circa 1 Km. rispetto all’attuale. La domus sorgeva all’incrocio fra due vie, un decumano e un cardine: su quest’ultimo si apriva l’ingresso, ancor oggi riconoscibile sul lato verso corso Giovanni XXIII. L’abitazione è costruita con tecniche miste: i muri perimetrali sono in laterizio, mentre i muri divisori hanno fondazioni in laterizio e alzati in argilla. Il vano d’ingresso introduce a un piccolo disimpegno che immette nel cortile interno, nella sala tricliniare e nel lungo corridoio di collegamento con gli ambienti dell’ambulatorio (taberna medica). Nella sala tricliniare destinata ai banchetti, riconoscibile dal kantharos - il grande vaso ansato per la mescita del vino raffigurato nel mosaico - era appeso il quadro in vetro (pinax) esposto al Museo. Riversa a terra si nota una pesante grata in ferro (Fig.88), che in origine proteggeva la finestra sulla strada. L’attenzione si sposta ora sull’ambulatorio del chirurgo che per ultimo abitò la domus. Lo compongono più stanze: l’ambulatorio vero e proprio riconoscibile dal mosaico decorato a nido d’ape con il mito di Orfeo (Fig.89) che ammansisce gli animali al suono della cetra; la stanza da letto (cubiculum) adiacente, destinata a brevi ricoveri e caratterizzata, a pavimento,

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Fig.90

Fig.89

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dall’ampia fascia bianca su cui poggiava il letto; la sala d’attesa, l’unica insieme al vano di Orfeo, a presentare un mosaico policromo con un raffinato motivo geometrico a stelle e trecce; un vano di servizio riscaldato (come denotano i pilastrini che sostenevano il pavimento sotto il quale circolava l’aria calda), forse per terapie termali, e una latrina. Dall’ambulatorio provengono gli strumenti chirurgici che compongono il più ricco corredo della romanità e l’attrezzatura per la preparazione dei farmaci: contenitori, bilancini e grandi mortai con pestelli in pietra, disseminati anche lungo il corridoio, ora al Museo con le altre suppellettili. Nello studio il medico custodiva la piccola mano di bronzo collegata al culto orientale di Giove Dolicheno, dio caro agli eserciti.Le stanze della domus, che si estendeva con la cucina e la dispensa anche al piano superiore, avevano pareti e soffitti affrescati.Il sito archeologico consente di apprezzare le superfici musive a partire dal pavimento della stanza di Orfeo in cui tessere di marmo e di pasta vitrea disegnano lo schema compositivo e i soggetti rappresentati: Orfeo al centro e, intorno, volatili - tra i quali un pappagallo dal vivace piumaggio -, un daino e un leone.La vita nella domus terminò all’improvviso per un incendio probabilmente causato dall’incursione in Italia dei primi popoli germanici intorno alla metà del III secolo. A documentare il rapporto della distruzione con un evento bellico è il ritrovamento, sul pavimento dello studio medico, di una punta di lancia e di una punta di giavellotto, armi tipiche dei legionari. L’edificio crollò seppellendo sotto le macerie oggetti e arredi, un vero tesoro giunto a noi pressocché intatto. Alla linea difensiva attrezzata in relazione al pericolo dei barbari appartiene li tratto di cinta muraria a ridosso della domus sul lato mare.

Il palazzo tardoantico Dopo un lungo periodo di abbandono, l’area si riattivò sull’onda del trasferimento della sede imperiale a Ravenna nel 402. La vicinanza della corte ridestò l’attività edilizia della città in cui accanto ai nuovi splendidi edifici, costruiti sul modello del palazzo imperiale, permasero zone in rovina o interessate da un’edilizia povera. Lasciata alle spalle la domus del Chirurgo, dalla passerella centrale abbracciamo con lo sguardo la distesa di tappeti musivi del palazzo tardoantico (Fig.90) sorto all’inizio del V secolo.L’impatto visivo rende immediatamente l’idea dello sfarzo all’interno del palazzo ristrutturato e ampliato fra V e VI secolo, al tempo di Teodorico, re dei Goti. L’edificio occupa l’area della domus romana nel lato sul decumano, risparmiando la taberna medica. Costruito con tecniche di tradizione romana, ha murature in laterizio e ambienti riscaldati attraverso la circolazione di aria calda nell’intercapedine sotto i pavimenti.

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Le grandi sale, anche a pianta a croce o absidata, sono ancor più dilatate dallo schema decorativo dei mosaici, ricchi tappeti policromi in cui si rincorrono complessi motivi geometrici. Vale la pena seguire con lo sguardo il ritmo degli ornati lungo il corridoio che delimita, su due lati, la grande aula centrale, accompagnando verso le stanze di ricevimento. Nel cuore del palazzo si apriva un giardino allietato da giochi d’acqua grazie alla presenza di uno scenografico ninfeo.

I resti altomedievali Nella città lacerata dalla guerra fra i Goti e i Bizantini, l’edificio tardoantico andò incontro nel VI secolo ad abbandono e distruzione, cui seguì la destinazione dell’area a necropoli: più di una ventina le tombe probabilmente collegate a un edificio religioso venuto ad insistere nello stesso isolato. Profonde le ferite inferte dalle sepolture al palazzo e ai bei pavimenti in mosaico: tombe povere, a fossa o coperte da tegole, che documentano la diffusione dell’uso di seppellire all’interno delle mura cittadine, superando la consuetudine romana che ne faceva divieto.Con il VII secolo il luogo tornò ad ospitare strutture abitative oramai lontane dalle tecniche romane: costruite in legno, argilla e frammenti laterizi, avevano tetti sostenuti da grossi pali e pavimenti in semplice terra battuta. Intorno si aprivano cortili e orti. Girandoci a guardare verso via Giovanni XXIII, osserviamo il grande focolare con piano in mattoni romani di reimpiego, che apparteneva a un’abitazione posta all’angolo fra gli antichi assi viari, ancora percorribili.La vita continuò nell’isolato con impianti sempre più modesti che si esaurirono nel corso dell’VIII secolo, quando l’intera area venne occupata da orti. Bisognerà attendere il Basso Medioevo per veder sorgere nuove costruzioni: fra gli interventi di età moderna attirano la nostra attenzione i grandi silos per la conservazione delle granaglie, realizzati in appoggio sui mosaici.

ARIADNE’S THREAD

[1] The signs of manØbrista… kaˆ ¥grioi oÙde\ d…kaioi. // Rude and lawless folk (Homer)

The history of Rimini stretches a long way back. Around 1 million years ago, the primitive man lived on this coast and left chipped stone tools as traces of himself. The protagonist of this first stage of peopling was the homo erectus: he can be found on the human evolution chart from the hominids of 7 million years ago up until the homo sapiens-sapiens of today. His physiognomic characteristics are represented by the plaster cast of his skull shown among the other finds.Our ancestor was a nomad living on hunting and gathering; he followed waterways until reaching

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the coast, which at that time was as back as the slopes of Covignano (the hill behind Rimini) are today: the plain where the city would be built was in fact submerged by the sea. As the dioramas show, the landscape consisted of a sandy beach broken up by the pebbly mouths of rivers and streams. The presence of patches of conifers, oaks, poplars, birches and dense herbaceous vegetation with wide glades indicates a temperate and humid climate; this was the ideal habitat for the large mammals (elephants, rhinoceros, bison) and skilled hunters.Evidence telling us about Man and his life in small groups can be gleaned from the simple flint stones chipped on one or both sides (choppers and chopper tools) (Fig.28) and flakes with cutting edges detached for the original stone by using a specific technique which is illustrated by way of modern prototypes in the first window. With the help of handles made of wood and natural rope (now lost), these tools were very effective for striking, slaughtering and working wood and bone. These primitive tools trace the site of San Fortunato on the Covignano hill back to the Lower Palaeolithic. The famous deposit of Casa Belvedere at Monte Poggiolo in Forlì also dates back to this period.

[2] The first handmade artefactsIlli robur et aes triplex circa pectus erat… // His heart was bound with oak and triple bronze… (Horace)

The Neolithic era, the new stone age that indicates the passage to an economy centred on agriculture and livestock, begins to affect the coastline of Emilia Romagna by the middle of the 6th millennium BC. By the middle of the 4th millennium, Neolithic evolved into the Copper Age, which is associated with more advanced stone working skills and the introduction of metallurgy. Pottery was a Neolithic invention and today is the main testimony we have about ancient life in this territory (on the hill of Covignano between Santarcangelo and Sant’Ermete and in the south of Rimini). This pottery is from coarse-grained or semi-purified paste, has plain surfaces or is decorated with impressions, and includes bowls, small jars and flask-shaped vessels (Fig.2) for seeds and liquids. Alongside pottery, stone (flint or serpentine) still played an important role. It was no longer just chipped but also reworked and smoothed: arrow heads, leaf-blades, axes and hammers with holes for the handle. The shell necklace (Fig.29) with pendant stone found in Covignano provides evidence of the use of personal ornaments. Large socio-economic changes occurred during the Bronze Age, between the end of the 3rd and the 1st millennium. These changes accompany technological innovations in the metallurgical field as well as demographical growth with a an increase in the number of settlements between the plain and the hill in relation to the agricultural and pastoral activities.Even knowledge of this wide cultural horizon is told mainly by pottery vessels (including the typical cups with handles), stone, bone and metal objects (Fig.3) as well as the remains of some settlements like that of Covignano: cups with the typical stick, cow horn or loop shaped handles (Fig.4), large jars, tools for spinning (spindle whorls and loom weights) and a fragment of the floor in baked clay earth were found in one of the village huts (17th-13th century BC). The model on display shows the typical hut with wooden poles frame of Covignano.

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[3] The harbour on the AriminusSicels et Liburnians plurima eius tractus tenuere…Umbri eos expulere, hos Etruria, hanc Galli // The Sicels and the Liburnians lived in a large part of that coast… the Umbri threw them out and were in turn banished by the Etruscans, and the Etruscans by the Galls (Pliny)

The importance and advancement of metallurgy in the late Bronze Age is reflected by the increasing presence of ‘deposits’, where metals were intentionally hidden to then be re-melted. The phenomenon of deposits is typically European, and our territory hosts two of its most significant examples, located respectively in Camerano (Poggio Berni) and in Casalecchio (Verucchio). As early as the 10th century BC these places, situated in the hilly area behind Rimini, were along the trade routes connecting the area to the north, the Aegean Sea and the Tyrrhenian side of the Italian peninsula.The two aforementioned stores contain various types of material: weapons, work tools, ornamental objects, ingots, bronze slag and lumps. In Casalecchio (Fig.5) a bivalve axe matrix with decorated outer surface is found as well as a strigil, a scalpel, bronze lumps and ingots to melt, axes with flanges for attaching handles, lance and javelin heads with tube handles, a hammer, some sickles (Fig.30), a large bow fibula and a bracelet with relief decoration. In Poggio Berni the following were found: lance and javelin heads, swords and knives, flanged axes, numerous bow fibulae with knots, a pin and a bracelet which are also both decorated with engravings, and chisels, scalpels, sickles, blades, lumps and ingots. The varied content of the two deposits attest to the value of metal and the presence of artisans who were able to re-melt metals and spread their technological knowledge due to the economic and cultural contacts ensured by the position of Rimini, which was located along the route connecting the valleys of the Marecchia and the Tiber rivers, and was destined to soon see the rise of the Villanovan Verucchio.

[4] The road of the valley of AriminusqrÒnoj ™stˆn ‘Arimn»stou basileÚsantoj ™n Turshno‹j, Ôj prîtoj barb£rwn

¢naq»mati tÕn ™n ‘Olump…v D…a ™dwr»sato. // There is the throne of Arimnestos who reigned over the Tyrrhenians and was the first barbarian to make a votive offering to Olympian Zeus (Pausania)

The Villanovan civilisation of Verucchio, the ‘sentry height’ of the Valmarecchia valley along the route connecting Romagna to Etruria, developed between the 9th and 6th century and its influence stretched from the Rubicon to Marano.The grave goods of the tombs spread along the slopes of the hills and at the edges of the settlements tell us about this Iron Age culture and of its connection with the Etruscan civilisation. These goods suggest a community lead by a warrior aristocracy. The evidence, gathered in the Rimini collections up to the second half of the last century, includes material from Verucchio (relating to the most ancient periods) and from settlements in the valley between Torriana and Covignano.

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The rich grave goods, along with cremation urns in the typical bi-conical shape (as shown by the model), can be considered as an ‘identity card’: the vessels sets for the feast (that was the social event par excellance) state the rank which the deceased belonged to: the weapons indicate he was a warrior; the tools for spinning and weaving, jewellery and belts identify a woman. On top of the social hierarchy were the principes, who can be recognised from the precious personal goods found in their burial: jewellery made using the most advanced techniques, parade weapons, bronze vessels, harnesses for horses and chariot parts. These objects suggest a lively network of trade and artisan activity mainly dedicated to the very sought after amber from the Baltic and the Mediterranean areas.Tomb A is emblematic of male burials of the period, as a bronze warrior set was found in it, complete with a conical and a crested helmet, some shields and chariot ends, a knife with a sheath, some axes and horse bits. Tomb 1 shows an example of female burials with clothing and ornamental stuff (earrings, fibule and ambra’s neckless, brooch for braids and bronze’s belt) next to a refined “situla” (urn with buket shape), to a bronze’s needle and to horse bits.The itinerary ends with findings from the territory, including a leaf-bladed lance and some axes with etched circles (Fig.31), a fine bronze belt (Fig.6) from Torriana, the handle of a cup (Fig.32) (also made of bronze) embellished a human figure and a disc with the ‘Lord of animals’, from Spadarolo. Both male and female tombs contain lots of objects linking to horses (Fig.33), which highlights the importance of this animal for the Villanovans, who would use them in war as well as for transport purposes and in funeral ceremonies.

[5] The Greeks and the harbour on the Ariminus¢po…kouj d’œsteilan A„ginÁtai... e„j ‘OmbrikoÚj. // Settlers were sent from Aegina to the territory of the Umbri (Strabo)

In the 6th century BC Verucchio surrendered hegemony to the port on the Ariminus (the Marecchia river), revived by the new Etruscan policy in the Adriatic area. The Etruscans, Umbri and Picentes, open to trade with Athens and the other Greek cities, lived together in this territory between the 6th and the 4th centuries BC. This created a multicultural outlook that is reflected in the stipe of Villa Ruffi, a deposit for votive objects rediscovered in the 19th century on the hill of Covignano and then distributed to European and American museums by the antiquarian business. Formed between the 5th and 3rd centuries BC in relation to the cult of the Gods of War and Water, this stipe includes two statues (Athena and a young goddess of fertility and water, possibly Cupra) and of a marble bowl (their casts are put on display), three statuettes – one of which is of the God Mars - a bucket and a bronze base as well as some Greek ceramics pottery. The God of War returns, poised for an attack, in the small bronze statue from San Vito.The sacred architecture of the Etruscan matrix seemingly belongs to the enigmatic antefix (roof decoration) with a female bust (Fig.34) that shows traces of ancient polychromy.It is still the hill of Covignano that provides evidence of the population between the 6th and 4th centuries BC: a warrior tomb (Fig.7) and remains of a settlement characterised by some features typical of the Etruscan were found in the area of the former Seminary. This was the case

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of the curved sword (machaira), a key element of the grave goods, of the cup with the writing MI TITAS engraved on it, which is a declaration of possession (‘I belong to Tita’), and of the wine jugs ‘a occhioni’ (‘eye-jugs’) found in the settlement area.The plate in bucchero, the Etruscan grey-black ceramics decorated with little hearts, and the architectural terracotta also belong to the tradition of Central Italy.The pottery of Attica (Fig.35) is well represented both on the hill (the fragment of the krater vase with the palmette pattern and the jar with the black-figure battle scene), and within the river mouth port from which numerous examples of pottery painted in the tradition of Apulia, in the Gnathia style: flowers, birds, plant patterns designed on the black background of fine cups with grooved walls. These large black-painted cups of Etruscan tradition decorated with the so-called red swan pattern and the warrior’s funeral stele (Fig.8) with the left-handed inscription, dating back to the 4th century.The maritime trade with the Greek world have interested the whole coast as demonstrated by the krater depicting the battle scene from a necropolis on the promontory of Gabicce.

[6] Rimini before RiminiTunc Camillus…Gallos iam abeuntes secutus est: quibus intermptis aurum omne recepit et signa // Then Camillus… chased after the Galls, who had already retreated: he massacred them and recovered all the gold and insignia (Servius)

The invasion of the Gallic tribe which, in the 4th century, entered the Po Valley and also involved Rimini by affecting its trade relations with the Greek world, by opening onto Etruscan markets and favouring trade with the Adriatic area.The cultural and economic vitality of the settlement at the mouth of the Ariminus before the arrival of the Romans is well depicted by the variety of pottery found during excavations. Found in the deeper layers that document the first settlement the future urban area of Rimini, alongside coarse-grained cooking containers, fine ceramic dining relics, imported or manufactured locally, are found that belong to the manufacturing tradition of Etruria (the area of Volterra in particular), Lazio and Apulia: the red-figure pottery, the deep cups with handles (skyphoi) overpainted with the so-called red swan and palmette patterns (Fig.36), the vases with fluted sides and the features overpainted in clear shades in the Gnathia style (Fig.37).

[7] From the harbour on the Ariminus to Ariminum…interiectoque quinquennio Sempronio Sofo et Appio Caeci filio consulibus Ariminum… coloni missi. // five years later, under consuls Sempronius Sophus and Appius, son of Caecus, they were sent to the colonies of Rimini. (Velleius Paterculus)

A series of cast coins (aes grave) (Fig.38) issued locally indicates the passage from Celtic occupation to the birth of the Roman colony of Ariminum in 268 BC. The hair arranged in locks, long moustache and the torc around the neck indicates that the male profile on the obverse of the coin is a Celtic warrior. More complex and still unsolved is the attribution of this coins

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to a Gallic mint (in the framework of the Etruscan alliance against Rome) or rather a Roman mint (with reference to an outpost created after the defeat of the Senones Gauls). Adopting the second theory, cast coinage can be interpreted as an expression of the desire, on the part of the Romans, to try and integrate with the Gauls. Upon foundation of the colony, a series of bronzes was issued with the bust of Vulcan or of a warrior with a large shield along with the writing ARIMN (Fig.39) on the obverse. This is the first evidence of the name of the city. Moreover, the circulation of coins from the Rome mint is attested by the mark left by an uncia on the bottom of a black-painted cup.Both the Rimini coin issues can be found in the deposit which was rediscovered in 1987 at the bottom of a tower of the Republican era walls next to the Arch of Augustus: it was made up of pottery vases, the skeleton of a small dog as well as two coins from the minted series and one from the cast series. It is probably a votive deposit created for the colony’s foundation rite: the offering, with an animal sacrifice to the Gods, consecrated and reinforced the defensive power of the wall.The pocola deorum, ‘vases dedicated to the Gods’, with overpainted and engraved writing, also date back to the founding of the colony. The pocola, made in black-glazed ceramics, spread a central-Italian tradition and reinforced the connection of the colonies with their area of origin. Moreover, these ‘souvenirs’ are a testimony of local religion (the most worshipped god were Hercules, indicated with the initial H, and Apollo) (Fig.40, 13) and to the organisation of Ariminum into vici (Fig.41) (quarters) and pagi (villages).The Romanisation phase is also documented by the excavation at Palazzo Arpesella, in the centre of the city. Inside a vessels in black-glazed and coarse pottery were found as well as pots, animal bones, coal and wood; most of the relics are cooking pottery, probably of local production, including ovoid fire jars and cover-plates dated between 325 and 250/225 BC.

[8] The Rimini of Flaminius (second half of 3rd century)C(aius) Manlio(s) Aci(dinus?) / co(n)sol pro / poplo / Arimenesi // Caius Manlius Acidinus consul in the name of the people of Rimini (ILLRP I,2 77)

Through the finds from the domus, the Archaeological Section illustrates the evolution of housing in Ariminum throughout the eight centuries of the Roman world. The earthenware floors, made from irregular blocks and little bricks, also obtained by reusing old bricks and roof tiles, are emblematic of the simple and functional buildings of the Roman Republic era. These rustic floors were resistant and able to stand the test of time; they were therefore used to cover service areas, rooms, courtyards and basins for handicraft work. The findings of the Roman Republic show a type of domus which joins a residential part to rooms for production activities such as manufacture of pottery, dyeing of clothes, tanning of leather…

The signs of timeThe room, reserved for the topic of the city walls, enhances that part of the wall which dates back to the 3rd century AD – discovered during the last restoration of the building – and whose traces

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reappear (to remain in close proximity) in the courtyard of the Museum, at the ‘Surgeon’s House’ and in Piazza Ferrari.The imperial walls, erected as a result of the pressure of the Barbarians, follow and join together the circuit constructed by the settlers when founding the city to protect the exposed areas, during the Republican era. The Republican walls, complete with imposing quadrangular towers, were made from big blocks of sandstone, squared using the opus poligonalis technique of Central Italy. Subjected over time to restoration interventions, such as that documented in two inscriptions of 1st century BC in the Roman Inscription Collection, the most ancient part of the walls can today be seen at the foot of the Arch of Augustus (Fig.11). Large towers such as those identified in the area of the Sismondo Castle, also strengthened the imperial walls, made of bricks and recovered material. In the first centuries after the year 1000, new city walls were created. These were attributed by tradition to Frederick II and were built over the Roman ones with an extension on the coastal side, incorporating the area around the port.The Malatesta family, Carlo in particular, supervised the enlargement of the walls perimeter in the marina area and in the San Giuliano village: the large slab of the modern era which is the replica of the text inscribed on the parapets of the Bridge of Tiberius comes from the arch that marked the passage from the city to the village over the Marecchia river.

The Rimini of Flaminius (second half of 3rd century)The itinerary continues by illustrating the first centuries of life in Ariminum, revealing the attitude of the individual with regard to the mystery of death as recorded by the grave goods. Significant information is provided by a group of 11 burials in the area of the former Agricultural Consortium which is a few dozen metres from the Roman walls that stretch from the Porta Montanara gate to the Arch of Augustus, dated between the 3rd and 1st century BC. Often the grave goods include coins such as the so-called ‘Charon’s obol’, ointment holders for perfume essence and dining vessels for libation. Game pieces and dices in addition to objects for personal use such as the strigil for cleaning skin, the bronze mirror and a terracotta plate that denotes spinning activity provide an insight into daily life. The many ointment holders indicate attention to caring for the body and the elegance of the domestic environment is evident in the materials, particularly pottery, returned by excavations in the city. The table was adorned with the typical black-glazed vessels, often imported from the most refined workshops of the Etruscan and Lazio area, whose fortune was linked to the production of items the shine and form of which imitated the most noble of metals. The style of the era was also expressed in the extremely fine decorations stamped on ceramic surfaces.

[9] Rimini after Flaminius (2nd century)Aemilius…exercitum in agrum Gallicum duxit viamque a Placentia ut Flaminiae committeret Ariminum perduxit // Aemilius…led his army into Gallic territory and built a road from Placentia to Ariminum, in order to connect it with the Via Flaminia. (Livius)

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A glance at the pottery exhibited suggests the intense production of vessels in Rimini during the Roman Republic era, attested by the misfired pottery (Fig.42) as well as rings and tripods for stacking the vases in the ovens. The Rimini industries were also distinguished from others by their stamps: the eight petal rosette, the four palmettes arranged in a single direction, the scroll with the writing Lucius Minucius (Ka)rus fecit, sometimes shortened to MK.Particularly distinguished by its elegance is the black-glazed pottery (Fig.44) which takes its name from the colour obtained from firing in an oxygen-free environment. Similar to the most precious bronze vases, cups with handles, plates, bowls, cups, bottles and oil lamps, they were produced in series inside workshops sometimes placed in the domus. Vessels for larders and cooking also came from these workshops: jars, plate-covers, pots and pans, tripods, stoves…made from uncoated clay. Also loom weights, in a few cases decorated, as the one which represents a spinner with a spindle and a distaff (Fig.43).The large use of amphorae in larders, for storing and transporting oil, wine, grain, spices and the all important garum (fish sauce), provide evidence of trade with the Mediterranean; wine was traded and transported in the ‘Greco-italic’ amphorae, exported from central and southern Italy, and the ‘Lamboglia 2’, which were diffused in the Adriatic and Aegean sea; the much appreciated wine of Rhodes was came in containers with straight and angled handles, often with a mark attesting to authenticity of their content; dried fish or meat, olives or sauces were transported from Spain and North Africa in the ‘Punic’ amphorae, which were tapered and had no neck.The hemispherical cups of ‘Megarian’ type, original of the eastern Mediterranean and imitated in Italy since the 2nd century BC, were produced locally by moulding, and between the 2nd century BC and the 1st century AD the same technique was also used to manufacture architectural terracotta to cover the wooden frame of the roofs of places of worship and other buildings. This manufacturing activity is also documented by the mould, accompanies by a modern cast, representing a Nike (victory) or a pothnia theron (mistress of animals). Remarkable is the slab decorated with palmettes, Gorgon’s and lion’s heads, which still preserve the original polychromy.Among of the most interesting and ancient examples of local architectural terracotta industry are the finds discovered in San Lorenzo in Strada, a hamlet of Riccione: a winged demon with Celtic characteristics (Fig.45) (moustache, hair arranged in locks, the typical necklace known as a torc and the bracelets), a tablet with a Satyr and a Maenad (Fig.12) (a typical theme of Etruscan Italic art), a bull’s head (part of a frieze or equipment for water drainage), and some tablets with vegetal patterns, flowers and acanthus leaves, small birds and a female head.

[10] The Rimini of MariusArimini canis locutus. Arma caelestiatempore utroque ab ortu et occasu visa pugnare et ab occasu vinci… // In Rimini a dog spoke with a human voice. In the sky, armies from the east and west fought until the one marching from the west gained victory... (Julius Obsequens)

A few elements of public and private life provide an outline of Ariminum at the start of the 1st

century BC. Among the first interventions in the city – that from colony became a municipium of the Roman Republic – was the reconstruction of the Porta Montanara gate, at the end of the

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cardo maximus (Via Garibaldi) where the trans-Apennine road started. The model represents the gate in its original form, with a double fornix: a structure that was probably completed with an internal defence courtyard and secondary gates. Already inserted in the city walls in the 2nd century AD, the gate was reduced to a single fornix to allow to close the passage. In proximity of the ancient site, an arch made of local stone ashlars (Fig.10) (the remains of the Roman monument) is still standing today.Evidence of the religious buildings on the hill of Covignano, the acropolis of Ariminum, dates back to the same period. The Italo-Corinthian capitals (Fig.15), traditionally linked to the church of San Lorenzo in Monte, recall the grandeur of a temple; moreover, the Greek marble head of a goddess (Fig.47) (Juno or Demetra, Feronia or even the Egyptian Isis) from a statue larger than real size statue made from different materials (acrolith).A more intimate dimension was brought to religion by the terracotta votive offerings, expressions of a common faith aimed at ensuring good health and fertility by offering reproduction of body parts of humans and domestic animals.The patera for libations is a symbol of religious rites; the elegant bronze model shown here is from the area to the south of Rimini.The residential level achieved by the domus at the end of the 2nd century BC is captured in the woven-motif mosaic of Via Castelfidardo (Fig.46), the most ancient ever to have been found in Ariminum. This precious polychrome marble mosaic is missing its central square (emblema) which was supposedly a delicate miniature made of small tesserae. Its features show adherence to the lifestyle and cultural model interpreted by the Pompeian-style house built around the atrium and the tablinum (the study), the spaces reserved for social occasions and the affairs of the dominus.

[11] The Rimini of CaesarLšgetai de\ tÍ protšrv nuktˆ tÁj diab£sewj, Ônar „de‹n œkqesmon: ™dÒkei g¦r

aÙtÕj tÍ ˜autoà mhtrˆ me…gnusqai t¾n ¥rrhton me‹xun. // It is said that on the night before Caesar crossed the Rubicon River, he dreamed of something terrifying: that he was having incestuous intercourse with his mother. (Plutarch)

Ariminum of the late Republic, which binds pages of history such as the crossing of the Rubicon, was a city enlivened by a vibrant economy and a multiethnic society.The funerary monuments act as a mirror of the emerging classes: the OVII and MAECI ‘dado’ tombs (Fig.14), in the Roman Inscription Collection, and the aedicule structures, personalised with statues of the deceased (well documented in Sarsina). The solemn statue of a togatus (Fig.48) which introduces the hall, the stone fragment of a false door with a lion’s head knocker and the pine cone, also in stone which crowns the top, all once belonged to an aedicula.The statue and the pine cone come from the necropolis of the Via Flaminia, which were systematically excavated during the 1990s, unearthing numerous tombs of great importance for understanding funerary rites and daily life. The funeral banquet is remembered by lead pipes set with plates and the neck of an amphora, devices (infundibula) which emerged from the ground

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to reach the burial pit, allowing food and drink to be shared between the living and the dead.During the incineration ritual, prevalent from the end of 2nd Century BC to the 2nd Century AD, the ashes were deposited in glass, terracotta, stone, marble or alabaster jars sealed with lids. Usually without a legend or inscription, in some cases an inscription can be found which identifies the deceased. One of the best examples from the imperial era which was found in Bordonchio in the north of Rimini displays text which reads ‘Tito Cesio Longinus, son of Tito, of the Aniense tribe, lived for 20 years’. Thus the jar regards a man from Rimini (as indicated by the tribe he belonged to) who died prematurely.Two portrait heads showing a male with realistic features typical of the Roman republic era and a veiled woman, as well as a headless statue of a togatus are indications of the social status of the deceased and can be attributed as monuments of the necropolis.The funerary objects tell tales of the life lived, personal tastes and the relationship with death. Ointment holders for perfumes and oil lamps which were buried in order to illuminate the journey into the underworld are displayed, as well as fine ceramic tableware, a symbol of the banquet. Jewellery, such as gold and lapis lazuli pendant earrings (Fig.49) and rings with engraved gems indicate the wealth of personal adornment. Iron studs for shoe soles are also an interesting find, linked to the remains of ancient footwear.The burnt iron and bone fragments from the funerary bed and the glass ointment holders melted by the funeral pyre fire are reminiscent of the incineration ritual. Next to a glass ointment holder and fine tableware, a mother of pearl plate and a bronze nail with a curved end are displayed which were recovered from tomb 56 and had the superstitious purpose of impeding the deceased from moving or trying to leave the tomb.Luxury and elegance shine from the amber jewels of tomb 54, bound to a shell-shaped ointment holder (Fig.50) and thin gold plates which cast a glow on a dress or hairstyle.The burial ritual – which was established in the 2nd Century – features the placement of a lead box exhibited in the corridor (from the Conference building area) in a necropolis which was directly connected from the streets to the inside. The funeral goods (Fig.51) (a patera made of “terra sigillata“ and eggs, a symbol of fertility) indicate that the tomb is of a young girl from the east who died in the middle of 1st Century AD.The funerary stele of the freedman Publius Titius IIarus is dated between the period of the Roman Republic and the Roman Empire. The reference to ‘nummularius’ in the text and the bas relief with coins arranged on the workbench remembers that this man was a moneychanger by profession. A document shines a light on the economy of the city, indicating that it was part of the Mediterranean trade and exchange network.

[12] Rimini of AugustusItaliam autem XXVIII colonias quae vivo me celeberrimae et frequentissimae fuerunt mea auctoritate deductas habet. // Italy boasts 28 colonies appropriated upon my order that, while I lived, were prosperous and densely populated. (Augustus)

The Augustan city renovated by the construction of monumental public and private buildings is

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represented by its symbols. The Arch of Augustus, the first great work erected in Ariminum, is returned to its original form by a small model (Fig.52) with the sculptural group at the top. The horse head (a cast) and the foot of a male marble figure most probably make reference to the statuary work of the Arch. The bronze object beside it in a small display case is a chariot reins ring (Fig.53) which bears the image of the Goddess Minerva, found in the first part of Via Aemilia and is reminiscent of the heavy traffic along the main road.The impressive casts of the medallions bearing the image deities and their attributes enhance the grandeur of the Arch in close range. Neptune with the dolphin and trident, Jupiter with lightning bolts and quiver, Apollo with the lyre and the crow and Roma with the sword and the trophy can all be identified. Octavian Augustus, immortalised in a marble head-portrait (Fig.54) with a characteristic lock of hair on his forehead, welcomes visitors into the room which also houses a model of the bridge that lies over the Marecchia river. Construction of the bridge was started by Augustus and ended by Tiberius, his successor. The esteem which the cult of Apollo enjoyed in the Augustan age is evident in the marble head (Fig.55) of a large statue of the deity.

The Rimini of Augustus. The city and the monumentsSenatus populusq(ue) Romanus imp(eratori) Caesari Divi f(ilio) Augusto imp(eratori) sept(iens) co(n)s(uli) sept(iens) designat(o) octavum… // The Senate and the people of Rome to the Emperor Caesar Augustus, son of the divine Caesar, hailed him as emperor for the seventh time, consul for the seventh time and consul designate for the eighth time … (CIL XI, 365)

The display offers material from the theatre that Augustus erected in the forum area; from that building, today almost completely erased from the urban fabric, a large terracotta container (dolium), perhaps intended to improve the acoustics, and an impressive cipollino marble column from the scene are exhibited which, along with other stone architectural elements, provide a glimpse into the monumental city of the 1st Century. The renovations began by Octavian also affected private circles: the Egnazia Chila funerary stele (Fig.56) was inspired by the ideals of Augustan art. This is one of the most elegant examples of sculpture from the early Imperial age, along with the marble flooring which came from an area close to the ancient port, on the current Via Dante. The three-dimensional cube motif which adorns this flooring is made of precious white, green and black marble illustrate. The shades of turquoise green reflected the sea that the building looked out onto.

The Rimini of Augustus.The domusRefined buildings emblematic of the residential housing in Augustan Rimini surrounded the Arch of Augustus, with heating systems, ornamental fountains, apsidal halls and mosaic flooring embellished with marble slabs.Similar to the domus upstream of the Arch, here, the predominantly black mosaic floors marked the thresholds of passage between rooms with geometric designs. The hexagonal motif of cross shields alternating with a four-petal flower motif found in one of the main rooms of the domus

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perhaps refers to the military commitments of the dominus.The extremely precise black tiled mosaic which bears a central medallion (Fig.57, part.) illustrating a sea monster scene, originates from the old building behind the Arch on the coastal side. Stone-covered baths and the mosaic fountain walls identified the building as a public or private spa. The affluence of the dwelling is reflected in the decorative architectural materials used: from the terracotta tiles for covering roofs and gutters to the clay oscilla shaped like theatrical masks, which adorned the porticoes of the gardens ‘swinging’ in the wind to keep away unlucky spirits. The domestic environment lives on in the exquisite thin ceramic tableware (“thin walled pottery”, orange and red “terra sigillata”) as well as in the colourless cookware, the transparency of the glass and the oil lamps with various decorations.

[13] Rimini in the Julio-Claudian era. The domusTruditur dies die novaeque perdunt interire lunae; tu secanda marmora locas sub ipsum funus et sepulcri inmemor struis domos… // day follows day, at sunset the new moon hastens; you against the time of death have marble cut for use, and, forgetful of the tomb, build houses …(Horace)

The residence of the first emperor is represented by the domus discovered in the excavations of Palazzo Massani and of the former Vescovado (Bishop’s palace) that offer extensive evidence of daily life, the style of the furnishings and personal care. The very restoration of the triclinium floor which was unearthed in the former Vescovado (Fig.59), a stone’s throw away from the theatre and the forum, confirmed the high quality of life in the domus of Ariminum: some of the marble slabs which enriched the central part of the mosaic were re-cuts of oil lamp stands made from ancient yellow marble, luxury goods intended for the most noble houses of the capital, the trading of which was also of interest to Ariminum. The domus of the former Vescovado also returned columns, bases and capitals of the garden portico (peristylium) as well as the mosaic floor with flowers arranged in a geometric pattern taken up from the lacunar ceiling.Material from the former Agricultural Consortium area in the suburbs, the domus of the former convent of San Francesco next to the Malatesta Temple and the domus of Via Sigismondo near piazza Cavour offer indications of what daily life was like. Various shapes and types of dining and cookery vessels (Fig.58) (including a goblet made of terra sigillata with representations of statues of Hercules), dressing accessories (bronze fibulae), for body care and for domestic activities. The oil lamps allows you to understand the variety of pottery and metal samples: those in the shape of feet and of ram’s head (Fig.60) are among the most unique. Two mosaics from the excavation of the Galli Theatre also recall the decorative effect of the flooring of the 2nd century domus: one with a geometric pattern of squares and rectangles depicting peltas, wave motifs and stylised flowers, the other with a plaited border surrounding a coloured marble image. There are many statues which are an expression of the style and culture of the dominus as well as an indication of his adherence to imperial ideology. Rooms and gardens show idealised portraits (Fig.16) of members of the local society or of the imperial family, images which are symbols of the propaganda of the power (the spread eagle and the cornucopia on an elegant

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table support) (Fig.61) or mythical characters (the Lying Nymph, perhaps the ornament for a bath).

Rimini in the Julio-Claudian era. Water worksWater is fundamental to life in the city and home, to which it was supplied through to a plumbing network connected to numerous sources on the slopes of the Covignano hill and in the suburbs. Among the examples displayed, two are particularly effective in illustrating the dimensions of the Rimini aqueduct: one, made of stone, belongs to a stretch that from the foothill source in the Padulli area, reached the centre of the city; the other, made of terracotta and stone, is a segment from the area near the village of San Giuliano. This section includes both cylindrical and rectangular ducts connected by an element in sandstone and a decanting well. The water mains also included lead pipes (fistulae aquariae), some bearing the mark of the magistrate that promoted the work. The running water that entered the houses was largely used in gardens, for ornamental baths and fountains: the valve and the components for water features unearthed by the excavation of Palazzo Massani (which overlooks the cardus maximus) come from domestic plumbing systems. Ariminum was equipped with a canalisation system for collecting waste water; it ran underground, below the paved streets, and also collected waste water from the domus. One of the main manifolds, found along the Corso d’Augusto (the ancient decumanus maximus) conveyed the water into the Fossa Patara, the canal that crossed the city to head towards the sea. Various objects (piece of glass, rods, rings and coins) accidentally fallen into the manifold were found.

Rimini in the Julio-Claudian era. Economy, agriculture and societySalve, magna parens frugum, Saturnia tellus, magna virum… // Hail great mother of crops, Saturn’s land, great mother of men… (Virgil)

The Rimini’s inland provided the city with a wealth of agricultural, woodland and livestock products. This economy corresponded to a population spread throughout farmhouses and villages with specific vocations linked to land morphology and to the broad communications network. This is the environment that produced the agricultural tools (a hoe and spade), oil lamps, terracotta antefixes and the marble and bronze statue parts which were found in the plane of San Pietro in Cotto, in the Conca Valley, where an important settlement rose – possibly on an imperial property and even of religious value – along the trans-valley road network.Of the same origin are the rustic truncated conical containers with internal side inlets, found in a rural building along the course of the Marecchia and used as chamber pots or for activities requiring large amounts of water, such as dyeing clothes. The small tablet with raw engraved inscriptions, probably a calendar of the markets (index nundinarius), comes from the territory of Santarcangelo, the centre of the pottery and brick industry in the Imperial age. The series of stone weights to balance with two bronze and lead weights in the shape of amphorae for either two-pan or steelyard balances were used for the sale of local products; the tesserae nummulariae, bone tags with inscriptions, are also linked to trade: they were fixed to money bag through cords, to guarantee the bags’ content. The documentation of production and trade is completed by some

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amphorae, both of local production (Fig.63) and imported, and terracotta mortars used for preparing food and raw materials.

The mosaic hallThe hall with the large rack was designed to be an ‘archive’ of the rich heritage of mosaic floors from the Rimini domus and to house the most representative types of mosaic art. The central images of two black and white geometric mosaics, one from Via Castelfidardo and the other from Via Isotta, are emblematic of this space.

Ground floorMosaic art also accompany the visitor through the 2nd and 3rd century city, starting with one of the most spectacular samples: a mosaic depicting a hunting scene (Fig.62), unearthed during the excavations at the Scuola Industriale (at present the seat of Rimini University). The skilled use of glass paste tiles for the plumage of the male peacock creates a delicate pictorial effect which is the subject of much admiration.

The city and its productive activitiesCaio Valio Polycarpo. Ornamenta decurionatus inlustratus a splendidissimo ordine Arimin(ensium)...Patronus collegiorum...navic(ulariorum)... // To Caius Valerius Polycarpus. Awarded the emblem of the decurionship from the very magnificent order of the municipality of Rimini… Patron of the guild… of sailors… (CIL XI, 6378)

The Ariminum of the 2nd and 3rd century is presented via its relationships with Rome, the institutions and the most important families from the city.The economy of Ariminum and its territory is thriving due to the activity of production workshops and plants as well as blooming agriculture. The stamps on the bricks and tiles gathered in the Rimini collection attest to flourishing trade relations and the presence of furnaces, particularly found in the area of Santarcangelo. There is evidence that this area was also a handicraft centre for producing wine amphorae in the typical Romagna style (Fig.63), with the characteristic flat bottom for land transport. These amphorae are small in size (with a capacity from 9 to 12 l) because local wine, not particularly fine but mass produced and low-cost, was destined to rapid consumption rather than ageing and was widely distributed, especially on the popular market of the capital. Bone was used for producing small caskets, pins and combs for hair, needles and styli for writing. The economic structure is also outlined by the signacula, bronze rings with stamps used to label food and containers in the home. The trade dynamics are supported by an example of the coins in circulation at the time, which were also a vehicle of imperial propaganda.

The domus and daily lifeDomi focique fac ut memineris // remember your home and hearth (Terence)

The visitor is welcomed to a space which recreates the home environment by drawing on material

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found in the many domus excavated in the city after the war.The excavation at Palazzo Arpesella provided the opportunity to reconstruct the inside of a room: here visitors can admire an original ‘battuto’ flooring, made from fragments of bricks with pieces of black and white mosaic tesserae compacted and bound together using mortar; the walls and ceiling plastered with repetitive ‘tapestry’ patterns (Fig. 64). Furnishings and fittings are documented by tintinnabula, amulets, appliqués for furniture and oscilla (Fig.65), marble disks with mythological reliefs and supposed magic powers, usually hung between the columns of porticoes, and terracotta oil lamps. The dining and cookery vessels provide an insight into that important moment of daily life which was gathering around the table. Evidence of the female domestic activities is provided by the needles and tools for spinning and weaving such as loom weights and spindle whorls. From the most intimate and private sphere of life come the cosmetics and objects for body care such as spatulas, pins and hairpins, combs, small bone containers and ointment holders, the magic beauty of the ornaments, with jewellery, gems and collets and the love of games with checkers similar to draughts and chess.

The AmphitheatreIn the 2nd century, an amphitheatre is built in the city. This a monumental symbol of Romanity, built in brickworks, is located on the edge of the urban area and characterises the view of Ariminum from the sea. Its remains can still be seen on site, and represent the most substantial archaeological evidence in the region pertaining to an amphitheatre building. Since the end of the 19th century, graphic design has been used to reconstruct the image of the amphitheatre, in the wake of the archaeological excavations.A stone step gives evidence of the division of the stands using numbered places.A coin of the emperor Hadrian found in mortar indicates that the construction dates back to the middle of the 2nd century AD.The atmosphere of the gladiator games is evoked by objects linked to the world of the arena: the image of the gladiator is replicated in a bronze statue (Fig.66) and an oil lamp, while bone and glass paste tiles, inscribed with place indications introduce the show.

The taberna medicaEntrance into the heart of the taberna medica indicates the start of the section dedicated to the extraordinary archaeological setting of Piazza Ferrari, which is completed with a visit to the nearby Domus del chirurgo (Surgeon’s house), a site which has been open to the public since December 2007.The reconstruction of the taberna medica (Fig.67) anticipates the exhibition of original material introducing the visitor to the surgery in which the surgeon who lived there in the 3rd

century worked. It is made up of two rooms, in a scale slightly smaller than the original: the surgery with the mosaic of Orpheus surrounded by animals and the room for the daily recovery of patients. It is a fascinating and scientifically accurate environment that imitates the decoration of the plaster on

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the walls and ceilings as well as the tools used by the surgeon for the surgical operations and for the production of pharmaceuticals; reconstruction of furnishing, which were almost completely burnt by a fire, have been inspired by models found in central Italy.

The Surgeon’s Househabitare laxe et magnifice voluit... // he wanted to live freely and magnificently ... (Cicero)

The excavation in Piazza Ferrari, next to the City Museum, involved a domus that takes its name from the profession of the last dominus who lived there, who was a surgeon.The finding is of exceptional importance and shows evidence of the evolution of the settlement from the Republican through to Medieval era. The imperial domus was destroyed by a fire in the second half of the 3rd century in the wake of the first Barbarian invasions. Under the collapsed rubble, like a miniature Pompei, structures, mosaics, plaster, furniture and fittings were found that offer a ‘snapshot’ of life in ancient Rimini.The arrangement of the stratigraphies and building materials (including parts of the roof with a chimney) put on display allows interpretation of archaeological data. Particular emphasis is given to the construction techniques, the building stages, the division of space, the dimensions of the rooms, the wall decorations and the fragments from the second floor flooring. The frescoes on display come from various rooms of the domus; an entire wall is from the room for short-term ‘hospitalisation’ (Room F, cubiculum) where various subjects are depicted on large backgrounds and a marine landscape is depicted in a strip in the upper part of the wall.

Life in the domus and the surgeon’s workP(ublius) Decimus, P(ubli) l(ibertus), Eros Merula, medicus clinicus chirurgus ocularius... // Publius Decimus Eros Merula, clinical doctor opthalmic surgeon...(CIL XI, 5400)

This is the room that holds the ‘treasure’ of the Surgeon’s domus.The triclinium was adorned by a glass panel (Fig.69): in the central round part, a mosaic depicts in a very realistic way a bream, a mackerel and a dolphin on the background of a plate that reflects the blue of the sea. This is a rare and precious wall painting (pinax) of Hellenistic tradition, very similar to an example produced in Corinth in the middle of the 3rd century. It is capable of evoking lights and marine horizons inside the domus, which stood a small way from the coast.The exceptional surgical and pharmaceutical equipment of the surgeon (Fig.70) is made up of over 150 bronze and iron pieces. Scalpels, probes, pincers, forceps and dental pliers are found alongside an iron tool for removing gallstones (lithotome), a drill with moveable arms, a porphyry support plate with iron axe for surgical operations as well as a ‘spoon of Diocles’, a tool for extracting arrows from patients without tearing the flesh; this tool has been noted in literature but had no archaeological evidence before the Rimini finding.Diana the huntress can be seen in the same window, depicted on the metal leaf embellishing the lid of a small medical box, which was probably wooden, with a sliding lock. Many of the instruments that the surgeon placed in boxes or cases and sometimes in pieces of cloth are

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today welded together due to the effect of the fire. The large stone mortar and pestles, used for crushing and grinding herbs and minerals when preparing pharmaceuticals, are by their side. Variety of shapes and materials attests to a certain level of specialisation in grinding the various substances. Other curiosities include a vase with a cavity in the shape of a foot (Fig.71), a bottle for holding hot water or ice. Also of interest are the small containers (Fig.68) that display a description of their respective contents in Greek and Latin. The votive bronze hand (Fig.68), connected to the eastern cult of Jupiter Dolichenus, practiced in Rimini between the 2nd and 3rd century, also comes from the taberna medica.Continuing the itinerary, a scratch can be seen in the plaster of the wall next to the bed in the room for patients’ hospitalisation : perhaps, a patient scratched the name of the doctor (interpreted as Eutyches) calling him a homo bonus (‘good man’) as a sign of gratitude.The opposite window displays a hoard of more than eighty coins (the change for daily life) that tipped on the ground during the collapse, and the weapons (lance and javelin) found on the floor of the surgery, a sign of the war events that lead to the destruction of the dwelling.

The domus of Palazzo Diotallevi. The comfort of middle class dwellingsdomus alta... mane saluntantum totis vomit aedibus undam // the grand house... by morning brings a wave of clientes that come to greet (Virgil)

A prestigious domus stood to the north of the decumanus maximus where today Palazzo Diotallevi stands. The most ancient testimonies including the dining and cookery vessels date of Ariminum. The house plan can be dated to the late 2nd – early 1st century BC. Rustic and service rooms stand next to more refined ones, rebuilding in the 2nd century A.D. created elegant rooms giving onto a large T shaped courtyard and a large room with attractive decoration highlighting a mosaic with a harbour scene (Fig. 72).The relaxed lifestyle is expressed by the mosaic, plaster, sculptures, glass and pottery and bone and bronze objects. Among the most original finds are the flooring with geometrical decoration of room ‘N’ (identified as a winter triclinium), which is the only polychrome mosaic in the domus; the fragmentary marble statue, probably a copy of a work by Polykleitos, found in the ornamental bath at centre of the courtyard-garden; the stone base depicting a scene of daily life with a teacher, sat on top of a high seat with a volumen in his hand, in front of which a boy (a pupil?) intent on fitting an oil lamp can be seen.

The domus of Palazzo Diotallevi. The Hercules’ hallHerculi Aug(usto), consorti D(omini) N(ostri) Aureliani Invicti August(i)... // To Hercules Augustus, consort of our lord the Emperor Aurelius Augustus, the invincible...(CIL XI, 6308)

The visitor can imagine the grandeur of the black and white figurative mosaic of the domus reception room. At its centre, the mythical Hercules is in the process of lifting the cup for libation (Fig.73). A shining decoration with geometric patterns, foliage, animals, and vessels encircles the god who is characterised by the club and lion skin; the decoration was enclosed on three sides by the wide white strip reserved for the lecti tricliniares. The pattern of the kantharos

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(large wine cup) marking the doorway, is an introduction to the banquets that the dine room could host. While reclining on their lecti triclinares, the hosts could admire the image depicting some boats entering the port (Fig.72) and thus appreciating the good fortune of the dominus in his maritime activities. The bright colours of the walls, contrasting with the black and white floor, can still be appreciated. A wooden cabinet held the elegant bronze serving items for dining: finely decorated jugs with handles, pots, a pan, a situla (a type of bucket) and a lamp holder. A dancing Lar (Fig.74) (the god protecting the household) lifting a dolphin-shaped drinking vase was also found; together with the statue of another Lar (not found in the excavation), this was used in the rituals celebrated around the dining table. The large iron shears were for gardening.The cabinet was burnt in the fire that destroyed the domus in the second half of the 3rd century AD but the hinges, iron and bronze nails and complex lock remains.

The cults of the Imperial age™peˆ de\ diexelqën t¾n œrhmon ‘Alšxandroj Âken e„j tÕn tÒpon, Ð men prof»thj

aÙtÕn Ð ”Ammwnoj ¢pÕ toà qeoà ca…rein æj ¢pÕ patrÕj prose‹pen // when, through the desert, Alexander reached the destination of the prophet of Ammon, he gave him salutation from the God as from a father.... (Plutarch)

The marble dedication placed by the Quintus Pullienus Malchion confirms that Hercules and his legend, linked to the city since its origins, were still the subjects of worship in 2nd century Rimini where, alongside the traditional Gods, the Eastern Gods were worshiped, especially those of Egypt. The rampant spreading of Egyptomania is documented by the Nilotic style mosaic (Fig.76) of a human figure with the head of a canid (Anubis) and the statue of Pharaoh Psammeticus II. In public and private Roman circles, it was customary to invoke cults and beliefs with images of the gods and heroes who, in the Imperial age, were more and more numerous and invaded dwellings, burials and objects of use.The domus of Ariminum reveal a wealth of documentation on religious and mythological subjects. The Dionysian repertoire with Eros, Dionysus (Fig.75), Priapus and Silenus has considerable success in representing the propitiatory forces of nature and the convivial pleasures. We also have Minerva, Fortuna, Asclepius, Venus (Fig.77) and Orpheus depicted playing the lyre in a sculpture which was once perhaps inserted into the alcove of a garden. The group of bronze statuettes of gods, probably discarded from a foundry, depicting Venus and Fortuna with the cornucopia as well as Priapus and Mercury, was intended to be used for worship in a household lararium.A reference to the imperial cult is indicated by the effigy of Jupiter Ammon, the Egyptian warrior god, equated to the Latin Jupiter, depicted on a military decoration (phalera).

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Rimini and the seaœcei de tÕ ‘Ar…minon limšna kaˆ Ðmènumon potamÒn... // Rimini has a port and a river with the same name...(Strabo)

The relationship with the marine world and the activities connected with it is a fact of vital importance that emerges throughout the exhibition: fundamental in the settlement process, it is an element of continuity in the history of Ariminum, city of water embraced by the courses of Ariminus (Marecchia) and Aprusa (Ausa), crossed by the Patara canal, overlooking the Adriatic sea and its traffic. The port, which opened at the mouth of the rivers, is the head of the trade routes where products came from the East and Africa: ceramic tableware and kitchenware, glassware, vases, elegant furnishings as well as spices, fine wines, oil, cereal and textiles.An emblematic image of the port and its activity is the subject of the mosaic piece from room A of Palazzo Diotallevi (Fig.72), the so-called boat mosaic, depicting the landing of a merchant convoy. The piece, positioned for being admired from the triclinium, illustrates two ships at full sail entering the port preceded by a rowboat. On the tower that signalled an invasion entering the port, a man is lighting a signal fire. The accurate depiction of the Adriatic fish is significant; the fish, associated with molluscs and crustaceans, come back to life in the mosaic from the excavation of Via Cairoli.

Rimini in Late AntiquityMaterials: jewellery and metal objectsThe profile of Late Antiquity Rimini, characterised by the affirmation of Christianity and by the influence of the nearby Ravenna, capital of the Byzantine Empire, is sketched out through small but interesting objects of worship and daily life.The exhibits start with a silver reliquary guarded at the base of the altar of the church of Saints Andrea, Donato and Giustina, which bears the engraving of a Latin cross motif between alpha and omega signs (symbols of the eternity of God). Next is the ‘little treasure’ found in the 1960s in Piazza Cavour. It is composed of two fibulae, one in silver-gilt ‘crossed with equal arms’, a characteristic of Byzantine male clothing; six spoons with long thin handles; a cylindrical container (pyx) and a spatula for ointments and cosmetics, a fragment of a mirror and a needle, all bronze items relating to the female world.Among the most common objects, the oil lamp which accompanies the life and death of the individual, bearing either images relating to the Pagan world (such as the lion, the cock, the peacock, the sun or the wheel) or Christian symbols (such as the jewelled cross, the Chrismon (the monogram combining the initials of the Greek name XPISTOS), the Holy Sepulchre and the palm).The fashion of the time is reflected in the Byzantine-style ‘fibulae’ brooches that held the heavy cloaks, clasps and belt pendants.The multiethnic structure is apparent from the burial outfits: the discovery of Cava Sarzana along the Marecchia River is emblematic, with two male tombs, probably mercenaries, which contained Byzantine objects alongside items such as arrows and flint and steel, typical of the Lombards.

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The Late Imperial Rimini MosaicThe fragment of mosaic behind the glass comes from the excavation of Palazzo Gioia and is of great symbolic value: an open-winged eagle, the symbol of the Empire, can be recognised. Another bird (a dove perhaps) is turned towards the eagle with a twig in its beak, perhaps representing the palm of victory. Dating back to the 5th century, the mosaic, which seems to combine the traditional values of the empire with the Christian message, introduces us to one of the palatial domus, of Late Antiquity Rimini, which is led to by the stone floors which covered vast and solemn spaces. Intertwining dominates the geometric compositions of the Rimini mosaics, from those of the excavations of the Covered Market and of Palazzo Palloni up until those of the palatium of piazza Ferrari.Developing the motifs already recurrent in the Classical Age in the central squares (emblemata), the entire floor is filled with geometric designs that come one after the other, expanding the space with a sort of horror vacui and movement. This reflects the instability and uncertainties of the times.The protagonist is the knot, the braids arranged in all the possible combinations: an expression of the bond that can be tight or loose, the knot interprets the life force generated by the sign of the snake. Among the most common types of ‘Solomon’s knot’ (Fig.78) which is traditionally associated with the figure of the King of Israel between Late and Antiquity and the Middle Ages, it became an icon of wisdom and justice.Crosses and circular shapes also recur in the complex patterns. These summarise perfection and, when in continuous repeated, express the sense of the infinite and eternal God.

The complex of Palazzo GioiaThe reception rooms of the domus also displayed stately images of daily life that celebrate the dominus and his family: exemplary specimens include ‘Venus with a mirror’ (Fig.79) and the scene of the procession with gifts (Fig.22), both from the excavation of Palazzo Gioia. The first is perhaps a tribute to the lady of the house, depicted half-naked like a Goddess on the background of an exotic landscape that is reminiscent of possessions of African land; the second which is in the portico that leads to the most prestigious hall of the palace, features a retinue of servants bearing baskets with products from the fields, following a person in a white tunic also bearing a gift. Both of these mosaics, as well as the floor with geometrical motifs before the rosette, are part of the building renovation of the 5th century, while the most elegant and official room of the palace has a splendid floor from 2nd century AD, the mosaic ‘of Victories’ (Fig.80).There were in fact two winged Victories with the signs of triumph, the palm and the shield, welcoming guests over the room’s threshold, marked inside by hexagons containing elegant mythical scenes starring Satyrs, Maenads, Nymphs and sea monsters. The mosaic with peacock subsequently displayed came from the same area: an example of how, from the late fifth and sixth centuries, interior design contained iconography now clearly linked to Christianity. Such as the kantharos, the vase with handles for wine in the centre of a mosaic floor and marble slabs (Fig.81) came from the excavation of the Industrial School, dated between the 6th and 7th century. The changing urban landscape, that from the 4th century saw the emergence of palatial housing

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in parallel with the expansion of cultivated or abandoned areas, is on one hand reflected by the large mosaic backgrounds and on the other, by the phenomenon of the burials inside the city walls here represented by the “cappuccina” tomb that cuts through a Late Antiquity mosaic. Burials of the Late Imperial periodGrave goods were found in some of the in urbe burials: among the objects from the area of the Covered Market, two buckles and a plaque with a bovine head for a belt along with weapon tips. At the main extra-urban necropolis along the Via Flaminia, where a Christian cemetery and church was built around the remains of the Holy Martyr Gaudentius, a fragment of the gold cross (Fig.82) was found, which according to Lombard custom, was designed to be sewn onto the funeral shroud, as well as amphorae reused for poor burials: mostly large containers of African origin were found that provide an insight into the trade routes from the Imperial Age to the 6th century.Recent excavations along the sides of Via Flaminia unearthed burials which had preserved the shoe studs of the deceased, pearl necklaces, bone combs and bronze bracelets. The Christian inscription of Epazia (Fig.25) who died at just 4 years old, and the Roman brick that between the alpha and omega signs, bears the engraving of the monogram of Christ, in a version that replaced the initial X of XPISTOS with the Latin cross are both of interest.After studying the bone combs (Fig.27), glasses, clothing objects and accessories such as clasps, fibulae, buttons and pearls, also from the grave goods, you enter the next room: here a glass jug with a spout (Fig.83) from a child’s tomb in the Galli Theatre area and a bottle, also made of glass, with a long tapered neck (Fig.84), wrapped in threads of molten glass.The simple oil lamps and the tableware, both produced locally or externally, bearing symbols such as the cross and the palm of martyrdom are further witness of the penetration of Christianity into daily life.The appearance of the city between the 5th and 6th century is characterised by religious buildings which were erected both inside and outside the walls; among them, the church of the Saints Andrea, Donato and Giustina which was later surrounded by a cemetery which held numerous stone engravings: that of Leo, tenant and contractor of Theoderic possessions, who died at the age of thirty in 523, and that of Orso, Duke of Rimini who lived between the 9th and 10th century.The bas relief (Pluteus) of the church of the Saints Andrea, Donato and Giustina, depicting a central kantharos surrounded by vines (Fig.24), a symbol of the Eucharistic banquet, evokes the fundamentally Christian medieval city.

The Roman Inscription Collection (Fig.85)The Roman Inscription Collection, that touch upon different aspects of public and private life from 1st Century BC to 4th Century AD, has been hosted in the picturesque setting of the internal garden-courtyard of the College of Jesuits since 1981. Ancient magistrates, civil servants, soldiers, slaves, freedmen, women and children are no longer anonymous due to the inscriptions that bear information about the family as well as the religious and political circle of the characters.The Giancarlo Susini project is divided into several parts: starting with the burial monuments

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which hold the oldest evidence originating from the necropolis which were distributed along the roads into the city, the display includes inscriptions which testify the public activities such as the reorganisation of the walls and the paving of the city streets (Fig.86), as well as the expressions of worship and devotion and the documents of social and family life.Already formed at the start of the 16th Century, the Rimini epigraphic collection has become one of the most remarkable in the region due to its richness, authenticity and antiquity of the documents.A visit to the lapidarium is a natural complement to the archaeological route, enriching it with written testimonies.

The archaeological site in Piazza Ferrari (Fig.87)The entrance areaThe display area extends over 700m2 which narrate 2000 years of the city’s history. Opened to the public in 2007, the structure was conceived to protect and enhance the archaeological remains which are displayed with accompanying information.The excavation was started in 1989 by the Emilia Romagna Archaeology Department (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna) in relation to the renovation work of Piazza Ferrari and brought to light a Roman domus, a Late Antiquity palatial residence, burials and traces of early medieval dwellings as well as masonry from the Middle Ages and modern times.In anticipation of the museum display, the excavation method favoured the conservation of the most significant aspects of each phase; a choice that meant that the most ancient levels of settlement were not reached, with the exception of a few cases where parts of opus signinum flooring were left exposed, an amalgamation of bricks and mortar with mosaic tiles that form simple decorative motifs.The presence of this flooring in the area of the Late Antiquity palace is evidence of a domus from 1st Century BC, extensively renovated during 1st and 2nd Century AD. During the last renovation, through the partial closure of the large garden porch, the building now known as the Surgeon’s domus was found.

The Surgeon’s domus The remains of the Surgeon’s domus can be admired on the side opposite the entrance to the archaeological site. In Roman times, the area was located on the northern edge of the city, close to the coast, set around 1 km further back than it is today. The domus stood at the junction between two roads, a decumanus and a cardus: the entrance opened onto the latter which can still be seen on the side facing the road Giovanni XXIII.The dwelling was built using various techniques: the exterior walls are made of brick while the partition walls have brick foundations and are raised in clay.The entrance room introduces a small hall which leads into the internal courtyard, the triclinium room and the long corridor that connects to the surgery areas (taberna medica). The glass picture (pinax) exhibited in the Museum was hung in the triclinium room which was intended for

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banquets and can be recognised by the kantharos - a large vase with handles for pouring wine depicted in the mosaic. A heavy iron grate (Fig.88) that originally protected the window onto the street can be noted on the ground.The clinic of the Surgeon who last lived in the domus is now the focus of our attention, which is made up of several rooms: the surgery can be recognised by the honeycomb mosaic showing the mythical Orpheus (Fig.89) who tames animals by playing the lyre; the adjacent bedroom (cubiculum) used for brief recoveries is characterised by the large white block on the floor where the bed stood; the waiting room, the only room to show a coloured mosaic with an elegant geometric motif with stars and braids, aside from that of Orpheus; a room which was heated (as is shown by the pillars that supported the floor below through which the hot air circulated), perhaps for heat therapy, and a latrine. The surgical instruments that make up the richest collection from the Roman era and the equipment used for preparing drugs come from this surgery: containers, small scales and large stone pestle and mortars, also found scattered along the corridor, are now displayed at the Museum along with the other finds. The doctor kept a small bronze hand in his study connected to the oriental cult of Jupiter Dolichenus, a God who was beloved to the armies.The rooms of the domus that also extended to the upper floor where the kitchen and larder were had frescoed walls and ceilings.The archaeological site allows us to appreciate the mosaic surfaces from the floor of the Orpheus room in which the marble and molten glass tiles depict compositional pattern and representative subjects: Orpheus at the centre and surrounding him, birds – including a parrot with bright plumage – a deer and a lion.Life in the domus ended suddenly due to a fire probably caused by the incursion of Italy by the Germanic people around the middle of the 3rd Century. The discovery of a spear and a javelin head on the floor of the medical study, typical weapons of the legionaries, is evidence of the relationship between its destruction and an act of war. The building collapsed, burying objects and furniture under the masonry, a real treasure which has survived almost intact.The part of the city wall behind the domus on the coastal side is part of the defence line set up to provide protection from the Barbarians.

The Late Antiquity PalaceAfter a long period of neglect, the area was reawakened following the transfer of the imperial capital to Ravenna in 402. The proximity of the court aroused construction activity in the city where alongside new, magnificent buildings, built on the model of the imperial palace, remained areas affected by poor housing or disrepair.Leaving behind the Surgeon’s domus, from the main walkway, the expansive mosaic floors of the Late Antiquity palace (Fig.90) built at the start of the 5th Century can be viewed. The visual impact gives an instant impression of the splendour inside the palace renovated and extended between the 5th and 6th Century, in the time of Theoderic, King of the Goths. The building occupies the decumanus side of the Roman domus with the exception of the taberna medica. Constructed using traditional Roman techniques, it has brick walls and areas which are heated by the circulation of hot air in the cavity under the floors.

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The large rooms, also with a cross or apsidal floor plan, are even more dilated by the decorative patterns on the mosaic rich colourful floors in which complex geometrical motifs unfold. The exciting pace of the decorations along the corridor which borders the great hall on two sides leading to the reception rooms must be followed with the eyes. In the heart of the palace, a garden graced by water features is enlivened by a picturesque grotto.

The Early Medieval RemainsIn the city torn apart by the war between the Goths and the Byzantines, the Late Antiquity building was abandoned and destroyed in the 6th Century. The area later became the host of a necropolis with more than twenty tombs probably connected to a religious building which stood in the same area. The burials caused serious damage to the palace and the beautiful mosaic floors: poor tombs, dug into the earth and covered by tiles provide evidence of the diffusion of burials inside the city walls, surpassing the Roman custom that forbade it.By the 7th Century the site once again held dwelling structures which were now far from the Roman techniques: made from wood, clay and brick fragments, they had roofs supported by large poles and simple earthen floors, and surrounded courtyards and gardens. Turning to look towards Via Giovanni XXIII, the large hearth with reused Roman brick walls can be seen, which belonged to a dwelling once on the corner of the still usable ancient roads.Life continued in the complex using more and more modest facilities that petered out during the 8th Century when the whole area was occupied by gardens. New constructions were not erected until the Late Middle Ages: among the modern age interventions, the large storage bins for grain can be seen which were made without damaging the mosaics.

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UNA PASSEGGIATA NEL TEMPORenata Curina

Chi si muove per la città di Rimini, all’interno del centro storico o in alcuni luoghi caratteristici del primo suburbio, può riconoscere i segni che l’uomo ha lasciato nel corso dei secoli della sua presenza, alcuni ancora visibili attraverso la monumentalità degli edifici, altri non tangibili ma percepibili; nella linearità dell’impianto urbano attuale, ad esempio si può riconoscere ancora la disposizione degli isolati dell’antica colonia di Ariminum entro i quali si distribuivano le abitazioni e gli edifici pubblici e nei tracciati di alcune strade si può ancora seguire l’antico percorso delle mura medievali. Attraverso alcune finestre significative aperte sul passato ora è possibile scorgere una parte della Rimini invisibile, sepolta dalla continua crescita della stessa città.

All’esterno della città murataBorgo San Giuliano – area archeologica cinema TiberioIl Borgo, considerato ancora oggi uno dei luoghi più caratteristici della città di Rimini, ha origini antiche; il quartiere, la cui pianificazione urbanistica è già in parte delineata probabilmente a partire dal XIV secolo attraverso una organizzazione spaziale degli edifici abitativi e la costruzione di un sistema difensivo, si comincia a costituire verso il IX secolo intorno al complesso monastico, dedicato in origine agli apostoli Pietro e Paolo e successivamente intitolato a S. Giuliano. Ma già in età romana questa parte di territorio, esterna all’impianto urbano e divisa da esso dal fiume Marecchia, sembra aver ricoperto un ruolo significativo e mantenuto un rapporto privilegiato con la colonia. Gli scavi condotti in occasione dei lavori di ristrutturazione del cinema parrocchiale Tiberio avvenuti nel corso del 1993 hanno confermato questa specificità, già ipotizzata sulla base di rinvenimenti archeologici fin dal Cinquecento, ma hanno inoltre messo in luce una continuità insediativa dell’area che, pur con diverse connotazioni e modifiche di funzioni, raggiunge l’età moderna senza soluzione di continuità.

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Un elemento determinante per tale impulso aggregativo è dovuto sicuramente alla presenza della via Emilia, asse viario fondamentale che metteva in collegamento l’intera regione fino a Piacenza e che proprio a Rimini si allacciava all’altrettanta importante via Consolare Flaminia. Ma nell’area in cui poi sorse il Borgo, alla via Emilia si congiungeva un altro asse viario, la Popilia, che invece metteva in comunicazione la colonia di Rimini con Ravenna; questa strada utilizzava all’uscita della città il segmento iniziale della via Emilia per poi divergere da essa in località Le Celle e proseguire lungo la costa. Vecchi rinvenimenti avevano già dato indicazioni sulle peculiarità dell’area; un’iscrizione dedicata al Genius Ariminensis aveva fatto supporre la presenza di un edificio di culto consacrato al dio, un’epigrafe funeraria sembrava indicare l’attestazione di sepolture, elementi di condutture in laterizio ed in piombo hanno fatto ipotizzare l’arrivo di un ramo dell’acquedotto che portava acqua alla città, tracce del selciato della via Emilia indicavano la traiettoria perseguita da questa strada all’uscita dalla città. A tutte queste informazioni si aggiunge la messe di dati recuperati nel corso degli scavi all’interno del cinema Tiberio. Il ritrovamento di un tratto di strada corrispondente all’Aemilia, la cui massicciata, costituita da ciottoli e ghiaia ben compressi, venne rifatta quasi sicuramente più volte, ne conferma il tracciato ipotizzato in direzione nord-ovest; anche se mancano indicazioni sul tipo di materiale impiegato per il piano stradale, i numerosi basoli di trachite, spesso con tracce delle orme carraie, riutilizzati nelle murature del convento e rinvenuti sporadici nell’area circostante, fanno propendere per la scelta di questa pietra nella realizzazione dell’ultimo manto della carreggiata. Fiancheggiavano la via, provvista di marciapiede, due edifici le cui facciate ne seguivano l’orientamento, divergente da quello cittadino; l’edificio meglio indagato era frazionato in ambienti pavimentati in terra battuta e murature probabilmente intonacate. Il complesso insediativo, costituitosi nella tarda età repubblicana e di cui non si conosce l’estensione, sembra svilupparsi quindi in rapporto alla strada consolare e denotare una diversità di funzioni, abitativa e produttiva/commerciale; l’impianto, che subisce vari rifacimenti strutturali, continua a mantenere pressoché inalterate le sue attività fino al III secolo d.C., quando l’area sembra cambiare assetto insediativo. Iniziano infatti a comparire i segni di un progressivo abbandono ed una riconversione ad uso funerario del luogo; le sepolture si distribuiscono sia negli spazi liberi sia sulle macerie dell’edificio e l’uso prettamente sepolcrale continua per tutto l’alto medioevo; in questo periodo la distribuzione delle sepolture sembra prevedere l’esistenza di un edificio di natura religiosa, forse da collegare alle fasi inziali del complesso monastico benedettino attestato dalle fonti già dall’inizio del IX secolo. La presenza del luogo di culto in primo luogo, che vede accrescere la sua importanza con l’affermarsi della venerazione a S. Giuliano divenuto protettore della città, le modifiche strutturali e gli

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ampliamenti del complesso monastico in seguito sono le motivazioni per cui in questo punto il tratto della via Emilia viene deviato verso nord-est. Un altro intervento radicale è rappresentato dalla costruzione del chiostro annesso alla chiesa di S. Giuliano in un periodo non anteriore al XV secolo; il rinvenimento di una struttura intercalata da pilastri che si raccorda al muro in laterizi che ancora oggi delimita il lato nord-est del cinema, chiarisce l’assetto architettonico del chiostro costituito da un porticato che definisce uno spazio aperto con una pavimentazione scandita da un marciapiede in ciottoli e da un piano in mattoni disposti a spina di pesce con inserti in pietra convergenti verso un pozzo monumentale, ora conservato al Museo della Città. All’interno del cinema sono tutt’ora visibili parti di murature medievali e moderne connesse alla storia religiosa del complesso, insieme ad alcune sepolture di epoca precedente.

Borgo San Giovanni – area archeologica e sede espositiva di Palazzo GhettiRimini in età medievale era costituita dall’impianto urbano cittadino cinto da mura, cui si aggregarono in tempi diversi quattro principali borghi: S. Giuliano, S. Genesio, S. Andrea e il Borgo a Mare. Tra il XIII e il XV secolo alcuni di questi Borghi furono attorniati da un sistema difensivo; il borgo di S. Andrea sembra restare privo di mura, mentre interamente recintato risulta solamente il Borgo S. Giuliano. Lungo la via Flaminia, diviso dalla città dal torrente Ausa, è situato il Borgo di S. Genesio - ora S. Giovanni, ma in età medievale anche indicato come Borgo S. Bartolo – che risulta difeso da una struttura in muratura soltanto sul lato ovest, come indicato dalle fonti e dalla cartografia storica; per gli altri lati le fonti documentano la presenza di un sistema di steccati, palate e fossati che comunque dovevano assolvere il compito di difendere questo nucleo abitativo.Gli scavi compiuti di recente in via Circonvallazione Meridionale, proprietà Renzi, e all’interno di Palazzo Ghetti, Banca Malatestiana, hanno confermato la presenza delle mura e sostanzialmente convalidato il tracciato seguito su questo lato; le mura in laterizi, databili al XV secolo come prima fase costruttiva ma con successivi rifacimenti riconducibili al XVI secolo, erano dotate di bastioni dislocati a distanza regolare; la torre indagata all’interno di Palazzo Ghetti è di forma poligonale, costituita da una solida muratura che prevede l’impiego di ciottoli legati da abbondante e tenace malta disposti in modo caotico per il nucleo interno, mentre il paramento esterno era realizzato con laterizi di reimpiego disposti in file regolari. La linea difensiva risulta ulteriormente protetta da un fossato che venne progressivamente riempito tra XVI e XVIII secolo con terreno misto a macerie e scarti di fornace. All’interno delle mura si distribuivano le abitazioni del borgo, affiancate le une alle altre o divise da strette vie, alcune di esse individuate nel corso degli scavi archeologici; si può parlare di modeste abitazioni

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Fig.93

Fig.91 Fig.92

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con strutture che impiegano per gli alzati ciottoli o materiale deperibile, per i tetti coppi e con pavimenti in terra battuta.Anche in questa parte di territorio, adiacente alla via consolare Flaminia costruita nel 220 a.C., si possono comunque riconoscere le tracce di una frequentazione antropica di epoche precedenti; in età romana, tra l’età repubblicana e la media età imperiale, le evidenze più significative sono rappresentate da attività legate allo sfruttamento del terreno, quali un sistema di canali attuati per bonificare il terreno, un pozzo per prelevare acqua di falda, forse collocato in prossimità di un edificio rurale. Un piccolo nucleo di sepolture caratterizza il paesaggio in età tardo antica, sintomatico esempio di un progressivo abbandono delle campagne, forse dovuto anche alla vicinanza all’asse stradale elemento di aggregazione.Gli scavi condotti all’interno di Palazzo Ghetti sono stati l’occasione per progettare nell’ambito dei lavori di ristrutturazione del palazzo, uno spazio in cui presentare i dati archeologici attraverso un’esposizione dei materiali più significativi, con particolare riferimento agli aspetti insediativi legati alla formazione del Borgo Medievale di S. Genesio; il progetto espositivo prevede inoltre la valorizzazione dei resti strutturali del muro difensivo e della torre con la realizzazione di una piccola area archeologica in modo da rendere fruibile al pubblico una porzione della fortificazione del borgo.

In cammino lungo la via FlaminiaColonnella, area archeologica del primo miglioIl viandante che avvicinandosi a Rimini da sud percorreva la via Flaminia, dopo aver divagato con la vista tra campi coltivati e abitazioni rurali, a circa un miglio dalla città si ritrovava ad attraversare un paesaggio completamente diverso, caratterizzato dalla presenza di sepolcri, monumenti funerari di differente dimensione, fattura e ricchezza che si distribuivano ordinatamente ai lati della strada: era la necropoli monumentale della città che, come nella maggior parte dei centri abitati romani, si distribuiva lungo una delle principali vie di comunicazione. Numerose sono le testimonianze archeologiche che sono state acquisite su questa necropoli nel corso di numerosi scavi; importanti i dati recuperati sulla distribuzione delle sepolture all’interno dell’area cimiteriale (Fig.91), sulla tipologia dei sepolcri, sulle modalità di deposizione, sui corredi e sul rito funebre che accompagnava il defunto nel suo viaggio verso l’oltretomba.Ma chi viaggiava lungo le vie romane aveva la possibilità di verificare il numero di miglia percorso o conoscere la distanza tra una città e l’altra; lungo i tracciati viari principali, infatti, erano collocati dei cippi in pietra, che in molti casi indicavano la distanza in miglia tra i vari

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centri abitati ed anche il nome del personaggio pubblico che lo aveva fatto collocare in quella determinata posizione; in molti altri casi tuttavia i cippi non avevano alcuna iscrizione, come è il caso dei due monoliti che si conservano ancora lungo la via Flaminia quasi nella loro posizione originaria. I due cippi dovevano però essere collocati ad una precisa distanza dalla città: il più vicino alle porte cittadine, quello conservato a vista da tempo immemorabile poco lontano dalla Chiesa della Colonnella e quasi sul ciglio della Flaminia, doveva indicare la distanza di un miglio, mentre il secondo, posizionato sempre lungo la Flaminia in località Miramare, doveva essere installato al terzo miglio. Particolarmente significativa è la posizione del primo cippo visibile da chi usciva dalla città (e forse l’ultimo per chi arrivava); infatti esso sembra quasi collocarsi al margine sud dell’area sepolcrale, quasi a definire anche lo spazio destinato al rito del seppellimento.All’interno del nuovo parcheggio realizzato tra la Chiesa della Colonnella e l’asilo dell’ospedale, posto in adiacenza alla via Flaminia in una piccola isola archeologica si può apprezzare ora nella sua interezza il cippo in arenaria che segna la distanza dalla città (Fig.92).

All’interno della città murataLa città di Ariminum, punto di confluenza di importanti strade che la collegavano ai principali centri del sud e del nord, fin dalla sua fondazione assume la connotazione di un impianto regolare racchiuso tra i fiumi Marecchia ed Ausa, caratterizzato da un reticolo di strade, ortogonali tra loro, che tratteggiano isolati di forma rettangolare; la città venne circondata da una struttura difensiva realizzata in opera quadrata impiegando pietra arenaria locale. Il sistema difensivo subì nel corso dei secoli importanti interventi strutturali senza modificarne nella sostanza il tracciato iniziale, come si può percepire dagli imponenti resti conservati all’interno dell’ex Banca d’Italia in via Gambalunga - via Cattaneo. All’interno della città si distribuivano le abitazioni private, con impianti spesso complessi, e gli impianti pubblici. Numerosi gli edifici privati conservati nel sottosuolo della città e che gli scavi archeologici hanno riportato in luce; tra questi si possono annoverare le due domus ai lati dell’Arco di Augusto, la domus di Palazzo Diotallevi vicina a quella del Chirurgo, la domus dell’ex Vescovado e di Palazzo Gioia. Tra gli edifici pubblici i più significativi ed ancora parzialmente visibili, oltre al ponte di Tiberio e l’Arco di Augusto che definiscono i limiti urbani della colonia, si possono ricordare il teatro in via Giordano Bruno sistemato in uno degli isolati centrali accanto al foro - la piazza principale - l’anfiteatro, le porte e le mura, di cui si conservano alcuni tratti di età repubblicana ed altri riconducibili al sistema difensivo di III secolo d.C.

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Piazza Tre Martiri - area archeologica del foroIl cuore di ogni città è rappresentato dalla piazza, punto in cui convergevano e convergono i principali edifici pubblici, luoghi dove si concentrano tutte le attività civiche, religiose e commerciali. In età romana il foro rappresentava il centro della città e a Rimini, come nella maggior parte dei centri romani, esso si colloca all’incrocio tra i due principali assi stradali, il cardine e il decumano massimi; in età coloniale tuttavia è probabile che si sviluppasse lungo il cardine massimo, strada centrale di rilievo che metteva in comunicazione il tracciato viario che proveniva dall’entroterra al porto; solo dopo la costruzione della via Flaminia e dell’Aemilia il foro si attestò sul decumano massimo, divenuto ora il principale asse cittadino. Di notevole estensione, quasi 130 m di lunghezza, pavimentata con grandi lastre lapidee rettangolari la piazza aveva verso sud, sul suo lato corto, un accesso monumentale, un arco di cui si è rinvenuto il basamento di un piedritto realizzato in opera quadrata in arenaria. Poco si conosce degli edifici pubblici che dovevano circondare l’area forense; testimonianze epigrafiche fanno supporre tuttavia che fossero presenti edifici o monumenti onorari. L’unico complesso pubblico documentato nell’isolato adiacente il lato settentrionale è il teatro, costruito in età augustea; teatro e area forense risultano quindi frutto di una organica pianificazione, collegati inoltre tra loro da un ampio piazzale che dalla parte posteriore del teatro raggiungeva il foro.

Palazzo Massani – area archeologica della domus (Fig.93)Le testimonianze più antiche risalgono ai decenni centrali del IV secolo a.C., anteriori alla fondazione della colonia ma che documentano un primo insediamento stabile convergente verso il litorale adriatico; le prime strutture sono riferibili ad abitazioni di modesta fattura per la cui costruzione venivano impiegati travi di legno per le fondazioni e i pavimenti erano realizzati in terra battuta. Ad esse si succedono, poco prima della fondazione della colonia, edifici di maggiori dimensioni e ben strutturati provvisti di copertura in tegole, con pavimenti sempre in argilla o in legno; in questa fase cominciano ad essere evidenti anche i primi segni di un’organica pianificazione, testimoniata dalla presenza di un tracciato stradale che probabilmente collegava l’entroterra al mare. Solo dopo la fondazione della colonia latina, nel 268 a.C., anche questo quadrante territoriale sembra risentire della sistematica pianificazione urbanistica adottata, cui segue il potenziamento della strada che diventa ora il cardine massimo cittadino, la suddivisione in lotti dell’isolato e il mantenimento dei principali orientamenti costruttivi, riutilizzati anche dalle nuove case; nel corso del II secolo a.C. vengono occupati tutti gli spazi liberi disponibili, la facciata dell’isolato prospettante sulla via sistemata con una serie di tabernae, negozi dedicati probabilmente ad attività commerciali. Le abitazioni vengono

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ristrutturate; quella meglio indagata nel corso dello scavo archeologico sembra ricondurre alla tipologia della casa italica (struttura caratteristica delle case pompeiane), prevedendo la presenza di un vano di ingresso fiancheggiato da due tabernae e di un grande atrio su cui si affacciavano, ai lati e sul fondo, alcune stanze, tra cui il tablinum (la sala di ricevimento). Nei secoli successivi l’abitazione subì alcune modifiche strutturali fino ad assumere la sua forma definitiva caratterizzata dall’asse atrio, tablino e peristilio (il giardino porticato), provvisto di una grande vasca centrale; il rinnovamento investì anche le pavimentazioni, ora realizzate a mosaico e in opus sectile nei vani residenziali. L’edificio resta in uso con modifiche strutturali non sostanziali fino al III secolo quando anche in questo settore comincia a percepirsi la crisi economica e materiale che investe la città. Nei secoli successivi si assiste quindi ad un progressivo degrado e abbandono di determinati settori dell’isolato, anche se è visibile una continuità insediativa che prevede la ristrutturazione parziale di alcuni edifici; solo durante il VI secolo, forse nel corso della guerra greco-gotica, periodo in cui la città di Rimini fu più volte sottoposta ad assedio, cambia completamente l’assetto funzionale di questo isolato, trasformato in area destinata alla coltivazione e successivamente sede di una piccola necropoli.I resti strutturali rinvenuti durante gli scavi condotti all’interno di Palazzo Massani, proprio per la loro importanza, sono stati inseriti in un progetto di percorso archeologico con il quale si è voluto mettere in risalto gli aspetti più significativi del complesso. È stata operata, pertanto, la scelta di mantenere in vista i resti strutturali e pavimentali relativi all’ampliamento di età imperiale, corrispondente alla parte posteriore della domus; sono quindi visibili una piccola porzione dell’atrio, il tablino, un corridoio e una parte del peristilio con la grande vasca.

Via Sigismondo – Camera di Commercio – area archeologica della domusAltre testimonianze dell’edilizia privata di età romana sono visibili all’interno dell’immobile della Camera di Commercio dove, in concomitanza di una ristrutturazione, sono emerse le strutture riconducibili ad alcune domus; l’area si colloca in un isolato rettangolare, racchiuso a sud ovest dalle mura, probabilmente frazionato in due da un vicolo su cui prospettavano le abitazioni. Come è stato possibile documentare per altre zone, questo comparto si organizza abbastanza precocemente, fin quasi dalle prime fasi insediative della città. Tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. vengono infatti costruite una serie di abitazioni formate da diversi ambienti che nella prima e media età imperiale risultano provvisti di pavimentazioni a cocciopesto, a mosaico anche policromo, in opus sectile e pareti finemente affrescate. Come accade per altri isolati, anche in questo quartiere, pur essendo leggermente marginale rispetto al centro cittadino definito dagli isolati mediani prospettanti sul decumano massimo, l’attività edilizia prosegue

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non in maniera intensiva seppur significativa fino alla tarda età imperiale. Ultimo esito di un rinnovamento architettonico si verifica con la ristrutturazione di uno degli edifici che erano posti ad est del vicolo, ormai cancellato da continui rifacimenti e ampliamenti; l’elemento più caratteristico è rappresentato da una sala di vaste proporzioni, probabilmente un ambiente di rappresentanza, affiancato da un’abside pavimentata con ricchi marmi policromi.La qualità residenziale di questo isolato è confermata anche dalla presenza di edifici del medesimo tenore situati nelle immediate vicinanze e che gli scavi archeologici hanno riportato in luce; elementi che denotano una certa qualità nella tecnica costruttiva e nell’arredo riconosciuti anche nelle domus rinvenute all’interno del Teatro Galli o nell’ex cinema Capitol.

A JOURNEY THROUGH TIMEAnyone passing through the city of Rimini via the historic centre or some characteristic spots of the inner suburbs will notice the trail of evidence that Man has left behind him over the course of the centuries. Some of these can be seen in the monumental nature of the buildings, others are not tangible but can be perceived all the same, as for example the blocks gathering the private dwellings and public buildings of the ancient Ariminum colony can still be recognised in the linearity of the current urban layout, and some streets still follow the ancient route of the medieval walls. Some important windows opened onto the past allow to catch glimpses of the invisible Rimini, buried by the continued growth of the city.

Outside the city wallsBorgo San Giuliano – The archaeological area of Cinema TiberioBorgo San Giuliano, which is still considered to be one of the most fascinating places in Rimini, has ancient origins; the plan of this village probably started to be outlined in the 14th century, when space was organised so as to include residential buildings and allow the construction of a defence system. The Borgo started to grow approximately in the 9th century, around the monastic complex originally dedicated to the apostles Peter and Paul and later to San Giuliano. Already in the Roman period this part of the territory, which was outside the urban complex and separated from it by the Marecchia river, appears to have played an important role and maintained a privileged relationship with the Roman colony; this has been presumed since the 16th century, based on archaeological finds, and was confirmed by the excavations carried out in 1993 during the renovation of the Cinema Tiberio. These excavations also highlighted continued settlement in the area, although with changing characteristics and functions, up to the modern age without interruption. A determining element for this was definitely the Via Aemilia, which was an important route connecting the entire region all the way to Piacenza and which in Rimini linked to the equally important consular route Via Flaminia. The area where the Borgo then stood was also crossed by the Via Popilia that connected the colony of Rimini to Ravenna; on leaving the city, the Via Popilia took the initial stretch of the Via Aemilia before diverging towards Le Celle and continuing along the coast. Old finds already hinted at the distinctiveness of the area: an inscription dedicated to the Genius Ariminensis suggested the presence of a religious building

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devoted to the god; a funerary epigraph was evidence of burials; brick and lead duct elements gave reason to believe that the village was connected to the aqueduct transporting water from the city; remains of paving attested the route of the Via Aemilia on leaving the city. All this information should be added to the mass of data recovered during the excavations carried out inside the Cinema Tiberio. The discovery of a stretch of the Via Aemilia (whose roadbed, made up of well compressed pebbles and gravel and was probably re-made several times), confirms that it led towards the North-West; even there is no indication of the type of material used for the road surface, the number of trachyte blocks, often marked by chariot ruts, which were reused to build the walls of the convent and are found sporadically in the area, suggests that they were used for making the road surface. Along the road, provided with pavements, two buildings stood whose facades followed the direction of the road, diverging from the city; the building which was more thoroughly investigated was divided into rooms with dirt floors and with walls that were probably plastered. The development of the village settlement, constructed in the late Republican age and still unknown in its extension, was strongly affected by the presence of the consular road and had a variety of functions (residential, production and trade); it underwent various structural remakes and maintained its activities almost without alteration up until the 3rd century AD, when some major changes occurred in its layout. In fact signs of gradual abandonment and conversion to funeral use of the area start to appear; burials are found both in free spaces and in building ruins, and the area appears to have been used specifically for funerary purpose for the entire early Middle Age. The layout of burials of this period suggests the existence of a religious building probably connected to the early stages of the Benedictine monastic complex, whose existence is attested to in the sources as from the 9th century. The presence of a place of worship, which grew in importance due to worship of Saint Julian, who became the patron of the city, and the following structural changes and the extension of the monastic complex are the reasons why at this point the Via Aemilia deviates towards the North-East. Another radical intervention was the construction of the cloister annexed to the Church of San Giuliano at a time not before the 15th

century; the discovery of a structure with pillars joining to the brick wall that today still marks the North East side of the Cinema building, clarifies the architectural aspect of the cloister: it was made up of a colonnade that runs around an open space with a floor marked out by a pebble pavement and by a layer of bricks arranged in a herringbone pattern with stone inserts leading towards a monumental well which is now kept in the City Museum. Inside the Cinema building, medieval and modern parts of the wall connected to the religious history of the complex as well as some burials from a previous period are still visible today.

Borgo San Giovanni – archaeological area and exhibition site of Palazzo GhettiIn the Medieval period, Rimini was made up of a urban settlement surrounded by walls to which over time the four main ‘Borghi’ (villages) were added: Borgo San Giuliano, Borgo San Genesio, Borgo Sant’Andrea and Borgo Mare. Between the 13th and the 15th centuries, some of the Borghi were surrounded by a defence system; Sant’Andrea still has no walls and only Borgo San Giuliano was equipped with a complete enceinte of walls. Borgo San Genesio – now San Giovanni and in the Medieval period also referred to as Borgo San Bartolo - is located on the

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Via Flaminia, separated from the city by the Ausa stream; its Western side only was defended by a masonry wall, as indicated by the sources and the historical cartography, while the sources provide evidence of the other sides being equipped with systems of palisades, fences and moats that nevertheless, should have been able to defend the built-in area.The excavations carried out recently in Via Circonvallazione Meridionale, property of the Renzi family, and inside Palazzo Ghetti, currently seat of a branch of the Banca Malatestiana credit institute, confirmed the presence of the defensive walls and substantially confirmed their orientation along this side; the brick walls, whose first construction stage dates back to the 15th

century, then followed by various remaking in the 16th century, were equipped with ramparts positioned at regular distances; the polygonal tower now included in Palazzo Ghetti is made in solid masonry, with a core made of pebbles arranged in a haphazard way and bound with plenty of strong mortar, and the external face made of reused bricks arranged in regular rows. The defence line was further protected by a moat that was gradually filled between the 16th and the 18th century with soil mixed with rubble and scraps from the furnace. The dwellings were spread throughout the inside the walls either side by side or divided by straight roads, some of which were identified during the archaeological excavations; they were modest dwellings with structures that employed pebbles or perishable material for the sides, tiles for the roofs and dirt floors.In this part of the territory, next to the Via Flaminia constructed in 220 BC, traces of human presence in previous eras can also be found; in the Roman period, between the Roman Republic era and the middle Imperial age, the most significant evidence is represented by activities linked to use of the earth. Signs of this include a system of canals for land reclamation, a ground water well, perhaps located near a rural building. In Late Antiquity, local landscape was characterised by a small group of burials, which an indication of gradual abandonment of the countryside and perhaps also the result of proximity to major roads.The excavations carried out inside Palazzo Ghetti were a chance to create, during the restoration works, a dedicated place for displaying archaeological data and the most significant finds, with particular reference to the formation and development of Borgo of San Genesio in the Middle Age; the exhibition project also provides for the enhancement of structural remains of the defence walls and towers by the creation of a small archaeological area providing public access to a part of the fortifications.

Walking along the Via FlaminiaColonnella, archaeological area of the first mileWayfarers approaching Rimini from the South followed the Via Flaminia after having crossed cultivated fields and rural dwellings. About a mile from the city they found a completely different landscape, distinguished by the presence of burials, funeral monuments of various sizes, shapes and decorations that spread neatly along the sides of the road: this was the monumental necropolis (Fig.91) of the city that, as in the majority of Roman settlements, was distributed along one of the main roads. Lots of archaeological evidence has been found about this necropolis during several excavations, with significant data on the cemetery layout, the type of tombs, the

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way the deceased were deposed, the grave goods and the funeral rites that accompanied the deceased on their journey to the afterlife.But those who journeyed along the Roman roads were able to check the number of miles travelled or find out the distance between one city and the other; along the main roads, milestones were placed which indicated the distance between the various settlements and the name of the public person who had the sign located it in that specific position; in many other cases, however, these stone cippi had no inscriptions, as is the case of the two monoliths that still remain almost in their original position on the Via Flaminia. Two milestones had to be located a precise distance away from the city: the closest one, marking a one mile distance, had to be placed at the city gates; it can still be seen a short distance away from the Colonnella church and almost on the edge of the Via Flaminia; the second milestone, still located along the Via Flaminia in Miramare, marked a three mile distance. The position of the first milestone to be seen by those leaving the city (and perhaps the last for those arriving) is particularly important, as it was very close to the Southern edge, thus also marking the area intended for burial rituals.Inside the new car park located between the Colonnella church and the hospital kindergarten, on a small archaeological site next to the Via Flaminia, the sandstone cippus indicating the distance from the city (Fig.92) can now be admired in its entirety.

Inside the walled citySince its foundation, the city of Ariminum, a meeting point for all the main roads connecting it to the principal centres of the North and South, has been seen as a regular settlement enclosed between the Marecchia and Ausa rivers, and characterised by a network of roads orthogonal to each other that outlined rectangular blocks; the city was equipped with a defensive structure created using sandstone and the opus quadratum technique (archaeological area along the Roman walls via Gambalunga, via Cattaneo). Inside these were private dwellings, whose layouts were often complex, and public buildings. Several private buildings have been conserved in the city’s subsoil and brought to light by archaeological excavations; among them are the two domus at the side of the Arch of Augustus, the domus of Palazzo Diotallevi (close to the Surgeon’s domus), the domus of the former Bishop’s Palace or of Palazzo Gioia. Among the most significant and still partially visible public buildings, besides the Bridge of Tiberius and the Arch of Augustus that outline the limits of the urban area, the following stand out: the theatre in Via Giordano Bruno, in one of the central blocks next to the Forum (the main square), the amphitheatre and the city gates and the defensive walls, of which only stretches from the Republican age and others from the 3rd Century AD remain.

Piazza Tre Martiri – archaeological area of the ForumThe heart of every city is represented by the main square, a point where all the main public buildings were and still are collected, places where all the civic, religious and trade activities were focused. In the Roman period, the Forum represented the centre of the city and in Rimini, as with the majority of Roman centres, this was located at the crossroads between the two many roadways, the cardo maximus and the decumanus maximus. However, in the colonial period

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it probably developed along the cardo maximus, which was the main road that connected the inland to the port; it was only after the construction of the Via Flaminia and the Via Aemilia that the Forum was established onto the decumanus maximus, which had now become the main city route. The square was of great length (almost 130 m) and was paved with large rectangular stone slabs. Towards the South, on its short side, it had a monumental entrance consisting of an arch; the base of the arch impost remains, made in sandstone and built using the opus quadratum technique. Little is known about the public buildings which surrounded the Forum; epigraphic evidence leads us to believe that there were honorary buildings or monuments. The only public complex documented in the block next to the southern side is the theatre, built in the Augustinian era; the theatre and the Forum area are therefore the result of organized planning. Furthermore, they were connected by means of a large square that reached the Forum from the back of the theatre.

Palazzo Massani – archaeological area of the domus (Fig.93)The oldest evidence dates back to the decades in the middle of the 4th century BC, before the foundation of the colony. This show traces of a first stable settlement oriented towards the Adriatic coast; the earliest structures are humble dwellings made using wooden beams for the foundations and dirt floors. Following these, slightly before the foundation of the colony, were well-structured, large buildings provided with roof tiles, still with earth or wooden floors; in this stage the first signs of organised planning appear, as shown by the presence of a stretch of road that probably connected the inland to the sea. Only after the foundation of the Latin colony in 268 BC, this area also seemed to be affected by the town planning adopted, which led to the building up of the street that became the city’s cardo maximus, the division of the block into lots and the maintenance of the main construction guidelines that were used again for new houses; in the course of the 2nd century BC, all the available space was taken up, the front of the block opening onto the street was arranged with a series of tabernae, shops that were probably dedicated to sales activities. The dwellings were renovated; the one investigated in more detail during the archaeological excavations seems to belong to the Italic type (characteristic structure of the Pompei houses). These had an entrance room with a tabernae on both sides and a large atrium which was flanked on both sides and at the back by a few rooms including the tablinum (reception room). In the centuries that followed, some dwellings underwent structural changes until they acquired a different final layout which was distinguished by the atrium axis, tablinum and peristyle (the porticoed garden), provided with a large central bath; the renovation also influenced the flooring which was now made of mosaic and using opus sectile in the residential rooms. The building was still in use with no significant structural changes until the 3rd century when the economic and material crisis that influenced the city even started to appear in this sector. In the following centuries, gradual degradation and abandonment of the specific sectors of the block was witnessed, even if settlement continuity providing for the partial renovation of some buildings can be seen; only in the 6th century, perhaps during the war between the Greeks and the Goths, a period in which the city of Rimini was subjected to siege several times, the functional aspect of this block completely changed and it transformed into an area for cultivation

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and then became the site of a small necropolis.The significance of the structural remains found during the excavations carried out inside Palazzo Massani, determined their insertion in an archaeological itinerary project which intended to highlight the most significant aspects of the complex. It was therefore decided that the structural and flooring remains relating to the Imperial age extensions, corresponding to the back of the domus should remain on display; a small part of the atrium, the tablinum, a corridor and a part of the peristyle with the large bath can therefore be seen.

Via Sigismondo – Chamber of Commerce – archaeological area of the domusFurther evidence of the private buildings from the Roman period can be seen inside the Chamber of Commerce property where, as the result of renovation, structures tracing back to some domus emerged; the area is located in a rectangular block, closed to the South-West by the walls and probably divided in two by a small road onto which the dwellings face; as it has been possible to document for other zones, this section was organised rather precociously, as it almost dates back to the first settlements of the city. Between the end of the 2nd and the beginning of the 1st century BC, a series of dwellings formed from different areas were constructed. In the early and middle Imperial age these were provided with flooring in “cocciopesto”, in mosaic, even multicoloured, in opus sectile and finely frescoed walls. As is the case for the other blocks, also in this district, even if rather marginal with respect to the city centre defined by the middle blocks facing onto the decumanus maximus, the building activity continued in a non intensive but still significant manner up until the late Imperial age. The last outcome of architectural renovation were some interventions on one of the buildings that were positioned to the East of the small street, now cancelled by continuous remaking and extensions; the more characteristic element is represented by an extremely large room, probably a reception room, flanked by an apse paved with rich polychrome marble.The residential quality of this block is also confirmed by the presence of the buildings of the same kind located in immediate proximity which were brought to light by the archaeological excavations; these elements that denote a certain quality in the construction technique and in the furnishing, which is also noted in the domus found inside Galli Theatre or in the former cinema Capitol.

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LA SEZIONE ARCHEOLOGICA: CENNI BIO-BIBLIOGRAFICI

Dal Seicento Ariminum ha un’ampia bibliografia. Basilare la Storia civile e sacra riminese, Rimini 1848-1884, (partic. voll. I, Rimini avanti il principio dell’era volgare e II, Rimini dal principio dell’era volgare al XII secolo), di Luigi Tonini che nel 1871 allestì la prima Galleria Archeologica sotto il portico di palazzo Gambalunga esponendo la collezione comunale formatasi dalla metà del Cinquecento. Smobilitata negli anni ’20 del Novecento, la Galleria rinacque come Museo Archeologico nell’ex Convento di San Francesco (1932), a fianco del Tempio Malatestiano: curatore il Soprintendente alle Antichità Salvatore Aurigemma che pubblicò Rimini. Guida ai più notevoli monumenti romani e al Museo Archeologico Comunale, Bologna 1934. Proprio durante la seconda guerra mondiale, che portò la distruzione dell’edificio museale, Guido Achille Mansuelli diede alle stampe Ariminum (Rimini). Regio VIII, Aemilia, Roma 1941, tuttora imprescindibile per la storia della città antica. Gli anni ’50 e ’60 videro crescere il nucleo archeologico e il dibattito sulla sede espositiva. Una stagione in cui emergono Carlo Lucchesi (già protagonista della messa in salvo delle collezioni) e Gino Ravaioli, che nel ’48 sistemarono in palazzo Gambalunga sculture e bronzi romani, nonché Mario Zuffa, affermato studioso di archeologia. Direttore degli Istituti Culturali dal 1954 al 1970, Zuffa allestì la Pinacoteca in palazzo Visconti, inserendovi reperti archeologici, (Pinacoteca Comunale di Rimini. Elenco delle opere, Rimini 1964 e Guida alla Pinacoteca Comunale, in F. Fellini, La mia Rimini, Bologna 1967) e fu fautore dell’autonomia del Museo dotato di un regolamento (1968) ex lege 1960/1080.Andreina Tripponi, conservatore e poi direttore del Museo Civico, diede corpo alla nuova istituzione con un organico di figure professionali e con una vivace attività culturale; al fine dell’ordinamento museale nell’ex Collegio dei Gesuiti (già Ospedale Civile), acquistato dall’Amministrazione Comunale nel 1979 per essere sottoposto a un impegnativo restauro, concepì “Musei Proposte ‘80”, un progetto d’avanguardia che coinvolse l’Università di Bologna, la Soprintendenza archeologica e l’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna. Il lavoro di ricerca, da lei coordinato e diretto, per Rimini antica, da Giancarlo Susini, sfociò nella pubblicazione Analisi di Rimini antica: storia e archeologia per un museo, Rimini 1980 e nell’allestimento, nel giardino interno, del Lapidario romano, il primo segmento del museo, descritto in Rimini antica Il lapidario romano (a cura di A. Donati, Rimini 1981), completato da una mostra introduttiva sulla scrittura romana. Innovativi i criteri di ordinamento e la collocazione delle iscrizioni all’aperto, per evocare l’originaria ambientazione. Fulcro intorno al quale è cresciuto il Museo della Città, il Lapidario è tuttora capace di generare nuovi progetti come quello realizzato con il Liceo “Giulio Cesare” nell’ambito di “Io Amo i Beni Culturali” (Le pietre raccontano, Rimini 2013).Fra gli anni ’80 e ’90 si sviluppava un’attività di ricerca spesso confluita in mostre corredate da pubblicazioni e in convegni anche internazionali e, dal 1999 in “Antico/Presente” poi Festival del Mondo Antico, da un’idea di Marcello Di Bella (Covignano. Ricerche sul territorio, a cura di A. Fontemaggi, Roma 1984; Lucerne romane nel Museo di Rimini. Scavi e collezioni a cura di C. Giovagnetti, Roma 1984; Il ripostiglio di Poggio Berni, a cura di G. Morico Roma 1984; “La stanza del chirurgo”. Una domus romana a Piazza Ferrari: primi risultati di una ricerca archeologica. Mostra documentaria, Rimini 1991; Una cartolina da Ariminum. Il museo delle barche della domus di Palazzo Diotallevi e il suo restauro, Rimini 1993; Con la terra e con il fuoco. La produzione fittile riminese in epoca romana, Rimini 1993; Il cuore antico del Borgo.

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L’abbazia di San Giuliano: i recenti ritrovamenti archeologici nell’area del cinema Tiberio, Rimini 1994; Alle origini della Storia. Il Paleolitico di Covignano, Rimini 1996; L’Arco d’Augusto. Significati e vicende di un grande segno urbano, Rimini 1998; Alla scoperta dell’Anfiteatro romano. Un luogo di spettacolo tra archeologia e storia, a cura di A. Fontemaggi – O. Piolanti, Rimini 1999; Rimini divina. Religioni e devozione nell’evo antico a cura di A. Fontemaggi – O. Piolanti, Rimini 2000 e Pro Poplo Arimenese, Atti Conv. Rimini antica, Una res publica fra terra e mare - Rimini 1993, Faenza 1995; Le fornaci romane. Produzione di anfore e laterizi con marchi di fabbrica nella Cispadana orientale e nell’Alto Adriatico, Atti Giornate Int. Studio – Rimini 1993, Rimini 1998). Nel frattempo Pier Luigi Foschi subentrava alla direzione del Museo che si dotava anche del responsabile per l’Archeologia e le Culture Extraeuropee, Maurizio Biordi, direttore dal 2011.Il restauro dell’ex Collegio, condotto dall’arch. Foschi, alle soglie del 2000 consentiva di entrare nella fase esecutiva; con una revisione doverosa del percorso espositivo per la crescita del patrimonio grazie ai numerosi scavi diretti da Maria Grazia Maioli, Jacopo Ortalli e quindi Renata Curina, della competente Soprintendenza. Dopo la scomparsa di Giancarlo Susini, l’ordinamento della Sezione archeologica fu affidato a Lorenzo Braccesi che, nel 2003, inaugurò le sale dedicate alla città del medio Impero (Rimini Imperiale (II - III secolo), Rimini 2003). Nevralgico il nucleo dei materiali dalla domus del Chirurgo con l’eccezionale corredo di strumenti intorno al quale, nel 2006, venne ricostruita la taberna medica. Un preludio all’apertura del sito di piazza Ferrari (2007), a pochi passi dal Museo, integrato nel percorso di visita. L’inaugurazione fu accompagnata da uno strumento divulgativo (J. Ortalli La domus del Chirurgo e gli scavi archeologici di piazza Ferrari). Nell’ambito del Festival del Mondo Antico (ed.2010) la Sezione archeologica raggiunge, dotandosi di altre 40 sale, l’itinerario illustrato da questa Guida. L’ampliamento, seguito dai Musei e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici in attuazione del progetto finanziato anche dai fondi statali del gioco del Lotto, è per il Museo della Città una tappa importante ma non il traguardo in relazione soprattutto alle continue scoperte archeologiche. Scoperte che spesso la tendenza alla valorizzazione in sito trasforma in nuovi luoghi di interesse, una sorta di “Museo fuori di sé” che disegna una pianta sempre più dettagliata dell’antica Ariminum (L’area archeologica di via Sigismondo a Rimini. s.l. 2001; J. Ortalli, C. Ravara Montebelli, Rimini. Lo scavo archeologico di palazzo Massani, Rimini 2003; Dalle origini del Borgo a Palazzo Ghetti. 25 secoli di storia, a cura di M. Cartoceti, R. Curina, L. Mandolesi, Rimini 2013).

Nell’impossibilità di richiamare tutti gli studi sul patrimonio archeologico, si citano i titoli più recenti rinviando alla bibliografia ivi contenuta.

Per la pre-protostoria: B. Bagolini, O. Delucca, A. Ferrari, A. Pessina, B. Wilkens,, Insediamenti neolitici ed eneolitici di Miramare (Rimini), “Preistoria Alpina” 25, 1989 pp. 53-120; B. Bagolini, Misano Adriatico e i primi agricoltori di Romagna, in Storia di Misano Adriatico (Forlì). Dalla Preistoria al secolo XV, N. Alfieri (a cura di), Rimini 1989, pp. 37-60; G. Bermond Montanari, M. Massi Pasi, G. Morico, Riccione, podere ex Conti Spina; campagne di scavo dal 1982 al 1986, “Padusa” XXVIII, 1992, pp. 105-112; C. Calastri, C. Cornelio, R. Curina, P. Desantis, D. Locatelli, L. Malnati, M. Miari, L’architettura domestica in Cispadana tra VII e II secolo a.C. Una rassegna alla luce delle nuove scoperte, in M. Bentz, C. Reusser (a cura di), Etruskisch-italische und römisch-republikanische Häuser, Bonn 2009), Wiesbaden, Reichert, 2010, pp. 43-63; A. Fontemaggi, O. Piolanti, Un colle, la sua storia, la sua anima: popoli, dei e devoti dalla preistoria alla romanità, in Alle pendici del Paradiso. San Fortunato: arte, natura e storia, Rimini 1996, pp. 112-152; La formazione della città in Emilia Romagna (Cat.Mostra, Bologna 1987-1988), Bologna 1987, pp. 205-309; M. Miari, Stipi votive dell’Etruria padana, Roma 2000, pp. 293-333; M. Miari, E. Valli, M. Bazzocchi, F. Bestetti, L. Del Gatto, C. Mazzanti, S. Padoanello, L. Tagliani, L’insediamento del Bronzo antico di Cattolica (RN). Notizie preliminari, “IpoTESI di Preistoria”, 2,1, 2009, pp. 37-74; G. Morico, L’età del Rame in Romagna, in Quando Forlì non c’era. Origine del territorio e popolamento umano dal paleolitico al IV sec. a.C., (Cat. Mostra), G. Bermond Montanari, M. Massi Pasi, L. Prati (a cura di), Forlì 1996,

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pp. 93-105; G. Morico, Il ripostiglio protovillanoviano di Poggio Berni (Rimini) e G. Morico, Il ripostiglio protovillanoviano di Casalecchio (Rn), in Quando Forlì non c’era, cit., pp. 227-234 e pp. 235-243; C. Peretto, Il Paleolitico della Romagna, in Quando Forlì non c’era, cit. pp. 47-57; P. von Eles (a cura di), Le ore e i giorni delle donne. Dalla quotidianità alla sacralità tra VIII e VII secolo a.C. (Cat. Mostra, Verucchio 2007), Verucchio 2007; P. von Eles (a cura di), Guerriero e sacerdote. Autorità e comunità nell’età del ferro a Verucchio, Firenze 2002.

Per Rimini romana: Aemilia, La cultura romana in Emilia Romagna dal III secolo a.C. all’età costantiniana M. Marini Calvani (a cura di), Venezia 2000 (in part. i contributi di G. Bonora, L. Quilici, G. Bottazzi, E. Lippolis, J. Ortalli, M. G. Maioli); Ariminum, storia e archeologia, .Atti Conv. Ariminum, un laboratorio archeologico (Rimini 2004), Roma 2006; L. Braccesi e C. Ravara Montebelli, Ariminum storia e archeologia, 2, Atti della giornata di studio su Ariminum, un laboratorio archeologico (Rimini 2007), Roma 2009; S. De Carolis (a cura di), Ars medica. I ferri del mestiere. La domus del Chirurgo di Rimini e la chirurgia nell’antica Roma, Rimini 2009, al cui interno si segnala l’articolo di Ortalli. Archeologia e medicina: la casa del ‘Chirurgo’ riminese con ampia bibliografia; F. Lenzi (a cura di), Rimini e l’Adriatico nell’età delle guerre puniche, Atti Conv. Int. studi (Rimini 2004), Bologna 2006; S. De Maria, L’architettura romana in Emilia - Romagna fra III e I sec. a.C., in Studi sulla città antica. L’Emilia-Romagna, Roma 1983, pp.335-381; M. G. Maioli, L’edilizia privata tardoantica in Romagna: appunti sulla pavimentazione musiva, “Corsi di Cultura sull’arte ravennate e bizantina”, XXXIV (1987), pp.209-251; M. G. Maioli, Pavimenti musivi a Rimini: la zona a mare dell’arco di Augusto, in Atti 6. colloquio Ass. Italiana studio e conservazione mosaico (Venezia 1999), Ravenna 2000, pp.185-192; O. Mattioli, L. Braccesi, Ariminum/Rimini. Storia e archeologia, Pesaro 2007; L. Mazzeo Saracino (a cura di), Il complesso edilizio di età romana nell’area dell’ex Vescovado di Rimini, Firenze 2005; J. Ortalli, Edilizia residenziale e crisi urbana nella tarda antichità: fonti archeologiche per la Cispadana, “Corsi di Cultura sull’arte ravennate e bizantina”, XXXIX (1992), pp. 557-605; J. Ortalli, Monumenti e architetture sepolcrali di età romana in Emilia Romagna, “Antichità Altoadriatiche”, XLIII (1996), pp. 313-394; J. Ortalli, Ariminum, in Emilia Romagna, Luoghi e tradizioni d’Italia, P. Sommella (a cura di), Roma 1999, III, pp. 371-389.; J. Ortalli, Formazione e trasformazioni dell’architettura domestica: una casistica cispadana, “Antichità Altoadriatiche”, XLIX (2001), pp. 25-58; J. Ortalli, Tra storia e archeologia. Quali coloni ad Ariminum? “Archeologia Classica”,.LVIII (2007), pp. 353-369; J.Ortalli, Il foro di Rimini, una nuova immagine, in I complessi forensi della Cisalpina romana: nuovi dati, Atti Conv. Pavia 2009, Firenze 2011, pp.131-149; F. Rebecchi, La scultura colta in Emilia Romagna, in Studi sulla città antica, cit., pp. 497-567; G. Riccioni, Mosaici pavimentali di Rimini del 1. e 2. secolo d. C. con motivi figurati (scavi 1956-1965), in Colloquio int. mosaico antico, III, Ravenna 1984, pp. 19-34: G. Riccioni, La casa romana presso l’arco di Augusto a Rimini. Fasi di costruzione e pavimenti musivi, in La mosaïque gréco-romaine, IV, Colloque Int.étude mosaïque antique (Trèves 1984), Paris 1994, pp.77-82; D. Scagliarini Corlaita, L’edilizia residenziale nelle città romane dell’Emilia-Romagna, in Studi sulla città antica, cit., pp. 283-334; M. L. Stoppioni (a cura di), Con la terra e con il fuoco, Fornaci romane del riminese, Rimini 1993; Studi riminesi, “Atti e Mem. Dep. Storia Patria Province Romagna”, LI (2000); M. Zuffa, La tutela, la ricerca e l’organizzazione archeologica a Rimini dal 1800 ad oggi, in Storia di Rimini dal 1800 ai nostri giorni, III - L’arte e il patrimonio artistico e archeologico, Rimini 1978, pp. 169-264.

Per la Rimini tardo antica: C. Negrelli, Rimini capitale. Strutture insediative, sociali ed economiche tra V e VIII secolo, Borgo san Lorenzo 2008; R. Savigni, Storia della chiesa riminese, I, Dalle origini all’anno mille, Villa Verucchio-Rimini, 2010: A. Turchini (a cura di), Rimini medievale. Contributi per la storia della città, Rimini 1992.

A.F, O.P

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INDICE

Introduzione

Premessa

Rimini prima di Ariminum

La città romana

Crisi e vitalità della Rimini tardoantica

Il filo di Arianna

Una passeggiata nel tempo

La Sezione archeologica: cenni bio-bibliografici

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Finito di stampare nel mese di Ottobre 2013presso La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio S.r.l.