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I - IL POPOLAMENTO MEDIEVALE ATTRAVERSO UN’INDAGINE DI SUPERFICIE1
1. INTRODUZIONE
Preliminarmente all’intervento archeologico sul castello di Montemassi, sono state condotte delle ricognizioni di superficie sull’at-tuale territorio del Comune di Roccastrada (GR). Durante le quattro campagne di ricognizione sono stati indagati sistematicamente circa 60 kmq di territorio, con una copertura di circa il 30% della superficie totale. L’area indagata si presenta come un complesso geografico e geomorfologico piuttosto variegato, entro il quale un solo elemento si è rivelato costante nei vari momenti storici: la sua perifericità rispetto ad aree economicamente centrali (centri urbani e grandi vie di comunicazione 2); ci troviamo infatti in un’area interna di media e alta collina, con alture che sfiorano gli 800 metri s.l.m., un’area da sempre prevalentemente boschiva e tuttavia ricca di materie prime, soprattutto minerarie 3; un’area quindi che, proprio per queste caratteristiche, ha sempre rappresentato un entroterra aspro e non facilmente coltivabile, ma tuttavia produttivo e conteso soprattutto, per l’approvvigionamento dei metalli, del legname e per l’allevamento. È stato condotto, in questo territorio uno studio di archeologia del paesaggio 4, fina
1. La presente relazione costituisce parte del contri-buto presentato a suo tempo, in collaborazione con il dott. C. Citter, al Convegno di Studi: “Da Roselle a Grosseto, strutture laiche ed ecclesiastiche nella Maremma grossetana fra XI e XII secolo”, (Grosseto, 8/ 9 settembre 1989). Vengono qui presentati, in una versione solo parzialmente aggiornata, i dati relativi alla parte del territorio rosellano da me indagata, corrispondente all’attuale territorio del Comune di Roccastrada. 2. I poli urbani costieri di Roselle e Vetulonia, intorno ai quali gravitava il territorio studiato, distano da questo circa una quindicina di km in linea d’aria. 3. Cfr. BENVENUTI, GUIDERI, MASCARO 1991. 4. Le ricognizioni di superficie sono state coordinate
lizzato alla redazione di una carta archeologica ed alla ricostruzione dei paesaggi antichi e delle loro trasformazioni nel tempo 5. La ricerca si inserisce nell’ambito di una serie di iniziative che, attraverso indagini archeologiche, integrate da ricerche di carattere storico-documentario, si propongono di indagare alcune specifiche tematiche della storia del popolamento 6. Ai fini della comprensione globale delle vicende storiche di un territorio si è infatti rivelata estremamente utile l’integrazione fra i due autonomi campi di ricerca: uno fondato sullo studio delle fonti materiali, l’altro sullo studio delle fonti scritte 7. In questa sede verranno presentati alcuni dati relativi all’insediamento medievale, con particolare riguardo agli aspetti collegati alla nascita del ‘paesaggio incastellato’.
2. L’INCASTELLAMENTO
2.1. L’insediamento altomedievale e la formazione dei futuri castelli
Per comprendere il processo di trasformazione del modello insediativo che si definisce comunemente “incastellamento” in un dato territorio è necessario conoscere tipi e
da chi scrive, nell’ambito dei progetti del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena (direttore della ricerca: prof. R. Francovich), con il contributo del comune di Roccastrada. 5. Sul concetto di archeologia dei paesaggi si veda ilvol CAMBI, TERRENATO 1994, ed in particolare le pp. 101-107. 6. FRANCOVICH 1985 (a cura di), tutto il volume; FRAN-COVICH, PARENTI 1987 (a cura di); CUCINI 1985; FRAN-COVICH, MILANESE (a cura di) 1990. 7. FRANCOVICH 1985, 8 ss. L’autonomia di tali ‘discipline’, in questo senso favorisce la ricostruzione storica, piuttosto che nuocergli, cfr. DELOGU 1986, p. 502.
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modi di insediamento caratteristici dei secoli precedenti, per poter cogliere tanto gli aspetti di originalità delle nuove forme insediative, quanto gli aspetti derivati da forme preesistenti. Nei secoli compresi fra l’abbandono degli insediamenti romani e la nascita dei primi castelli, il modello insediativo si trasforma infatti, in maniera radicale ed i dati che stanno emergendo dalle ricerche di superficie evidenziano sempre più chiaramente che l’in-castellamento rappresenta la fase finale di un lento processo che ha avuto inizio proprio a partire dalla crisi del sistema politico ed economico dell’impero romano 8. Questa fase, purtroppo, emerge con difficoltà dalla ricerca estensiva soprattutto per la attuale carenza di strumenti di datazione sicuri (fossili guida); l’indagine intensiva, ossia lo scavo stratigrafico, risulta in questo senso fondamentale 9 per poter trovare dei punti fermi nella sequenza cronologica. In questo periodo, infatti, la cultura materiale presenta un aspetto di generale ripiegamento dovuto alla contrazione dei traffici commerciali ed alla conseguente regionalizzazione dei centri di produzione e dei mercati 10. L’impoverimento tecnologico 11, che in questo momento caratterizza le produzioni ceramiche, ha, come conseguenza, una assenza di forme o produzioni distintive e cronologicamente caratterizzanti. A partire dal VI-VII secolo d.C., nelle aree interne della Toscana e più in generale dell’Ita-lia centro-settentrionale, risulta attestata una pressocché totale dipendenza del mercato dalle produzioni locali di ceramica 12. Conseguentemente, negli insediamenti rurali troviamo soprattutto ceramica acroma, caratterizzata da morfologie semplificate e pertanto difficili da attribuire con sicurezza. A questo proposito nel territorio esaminato si è individuato un tipo di ceramica che pre
8. Cfr. CAMBI et al. 1994. 9. Sull’interazione fra archeologia estensiva (dei pae-saggi) e metodologia intensiva (stratigrafia) si veda ancora CAMBI, TERRENATO 1994, pp. 106-107. 10. Cfr. HODGES, WHITEHOUSE 1983; BROGIOLO, GELI-CHI 1986. 11. FRANCOVICH 1989, p. 170 12. Si veda, a questo proposito WICKHAM 1994.
te
senta un particolare impasto (color cuoio in superficie e grigio azzurro in frattura, con inclusi micacei e quarzosi ben distribuiti e con diversi gradi di depurazione), apparentemente di origine locale. Questo tipo di impasto è attestato in maniera predominante in alcuni siti interpretati come fornaci 13
per l’associazione con numerosi frammenti malcotti e bruciati e con noduli di argilla, ma lo si ritrova anche in siti con funzioni abitative. Si tratta di contesti ceramici omogenei ed uniformi 14, caratterizzati da una alta percentuale di forme aperte (testelli, testi, catini, ciotole e piatti coperchi 15), da olle monoansate, tipologicamente indifferenzia
16, da boccali di varie dimensioni e da anforacei con fondi convessi ed anse a nastro (v. Tavv. I, II, III, IV, V). Queste due ultime forme, insieme alla serie di piatti coperchi, trovano frequenti confronti con reperti altomedievali 17. La ceramica, sebbene costantemente acroma, attesta un livello piuttosto alto nella qualità della manifattura. Si tratta sempre di prodotti in argilla selezionata, realizzati al tornio veloce e generalmente ben cotti. Tali caratteristiche, assommate, hanno permesso una attribuzione cronologica preliminare ad un arco di tempo che va dal VI al VII secolo d.C. circa. La tradizione tec
13. L’omogeneità delle forme e degli impasti, la quan-tità di materiale rinvenuto e l’assenza di tracce d’uso (esposizione al fuoco) in tali materiali confermano l’ipotesi che si tratti di un sito destinato alla produzione. 14. Le fornaci e gli altri siti con tale ceramica si tro-vano topograficamente molto vicini fra di loro (v. carta di distribuzione). 15. Quest’ultima forma (v. tav. 17, dis. 627, tav. 18, dis. 623, 626) sembra imitare le tipologie delle ultime produzioni di sigillata africana. Cfr. HAYES 1972, tav. CV, dis. 2. Piatti in sigillata africana di questa stessa forma provengono dalle necropoli di Nocera Umbra e Castel Trosino, cfr. BALDASSARRE 1967. 16. I frammenti, tutti molto simili fra di loro, potreb-bero rappresentare le varianti morfologiche di uno stesso tipo. Olle monoansate di questo tipo sono documentate fra i materiali di epoca barbarica provenienti da Matelica, cfr. MERCANDO 1970, fig. 12. 17. Cfr. MERCANDO 1970; MAETZKE 1973; BROGIOLO, LUSUARDI SIENA 1980; PATTERSON 1985; LAGANARA FA-BIANO 1985, fig. 4, tipi 1-3; WHITEHOUSE 1967; VA-LENTI 1995. Si vedano in modo particolare le analogie con il territorio di Atri, STAFFA 1986 e 1989. Vedi anche le forme dei boccali nelle tombe longobarde di Ponte Nepesino, BALDASSARRE 1967. Si veda inoltre CAMBI, FENTRESS 1989.
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13Tav. I – Acroma Selezionata: vari esemplari tipologicamente indifferenziati di olle monoansate (sito 106, v. Fig. 1).
Tav III – Acroma Selezionata: orli di catino (1, 2); Acroma Selezionata: orli di piatto-coperchio (3, 4, 5, 6) (Sito 102, V. Fig. 1).
nologica di epoca classica sembra infatti ancora ben presente in questa produzione. Si tratta in sostanza di un contesto che si caratterizza da un lato per i legami con le produzioni tardo romane, dall’altro per la presenza di elementi tipologici conservatisi anche in produzioni successive. Sulla base della cronologia suggerita da questi ritrovamenti, sono stati interpretati altri siti la cui ceramica presentava analoghe caratteristiche morfologiche e di impasto. In tal modo, gli insediamenti attribuibili al suddetto periodo risultano 12. Si tratta di inse
diamenti piccoli che si presentano in superficie come concentrazioni di poche pietre e poco materiale ceramico, interpretati come case o capanne, che si trovano in gran parte concentrati sul versante occidentale della valle dell’Ombrone (Fig. 1). Tali insediamenti risultano del tutto spostati verso i rilievi collinari, mentre la pianura risulta adesso del tutto spopolata (in direzione del fiume Bruna e dell’Aurelia non si è raccolto nessun dato riconducibile, anche soltanto in via di ipotesi, all’altomedioevo). Fra VI e VII secolo si osservano quindi, in
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Tav IV – Acroma Selezionata: orli di catino (1, 2, 3); Acroma Selezionata: orlo di piatto-coperchio (4); Acroma Grezza: orlo di testello (5) (Sito 102, v. Fig. 1).
quest’area, due fenomeni collegati fra di loro. Il primo è caratterizzato dalla perdita di importanza economica delle ville romane e dal sostanziale abbandono delle aree di pianura, il secondo fenomeno è rappresentato dalla contemporanea comparsa, nei territori dell’entroterra, di alcune nuove fondazioni situate sulle prime pendici collinari. Questi ultimi insediamenti vanno ad occu
pare le aree, precedentemente occupate solo in maniera sporadica, dove in seguito si svilupperanno il popolamento altomedievale e le prime forme di incastellamento. Dal punto di vista della distribuzione degli insediamenti, si è potuto osservare, già a partire da questo periodo, una certa tendenza verso l’accentramento dell’abitato. Si tratta di una tendenza costante per questo territo
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17Tav. V – Acroma Selezionata: orli di catino con decorazione incisa a stecca (1, 2, 4, 5, 9);. Acroma Depurata: fuseruole (3, 6, 7, 8) (Sito 102, v. Fig. 1); Acroma Selezionata: orli e fondi di olla (10, 12, 15, 17, 19); Acroma
Selezionata: orli di boccale (11, 13, 14, 15, 16) (Sito 88, v. Fig. 1).
Fig. 1 – Carta di distribuzione degli insediamenti nel periodo altomedievale (secoli fine VI, VIII).
rio, che non appare mai caratterizzato da un denza della piccola proprietà e con una preabitato sparso di tipo classico 18. dominanza di forme di gestione del territo-Se, per quanto riguarda l’età imperiale, il rio basate sul latifondo di tipo pastorale ed modello insediativo misto, caratterizzato in misura minore cerealicolo 19, il ripetersi dalla compresenza di ville e villaggi, può es- del fenomeno nei secoli successivi, può essere messo in relazione con una scarsa inci- sere messo in relazione anche al tipo di eco
18. GUIDERI 1993. 19. CAMBI et al. 1994.
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Fig. 2 – Sito 88-1, Il Chiesino: muro longitudinale della piccola chiesa preromanica.
nomia, quella mineraria, qui predominante. Nel territorio sottoposto ad esame, che comprende le propaggini meridionali del comprensorio delle Colline Metallifere (Roccatederighi, Poggio Mozzeta – Fig. 2), sono presenti infatti importanti mineralizzazioni polimetalliche a Cu, Pb (Ag). Tali mineralizzazioni, attualmente di nessun interesse economico, hanno rappresentato una significativa risorsa economica in epoca antica e soprattutto medievale, certamente da mettere in relazione alla distribuzione ed alla storia economica dell’insediamento. L’economia mineraria legata alla produzione dei metalli monetabili non poteva sopravvivere infatti basandosi su iniziative a piccola scala, ma necessitava piuttosto una concentrazione delle varie fasi del ciclo produttivo nelle mani di un potere centrale, per ragioni di controllo e commercializzazione del prodotto 20. Gli intenti espansionistici di alcuni centri della Tuscia longobarda verso
20. Sulla definizione di risorsa mineraria e sulle pro-blematiche dell’insediamento a questa collegate si veda FRANCOVICH, FARINELLI 1994.
la fascia costiera maremmana sembra debbano essere letti proprio in questo senso come la indiretta attestazione dell’importan-za che tali territori avevano acquisito a causa del loro potenziale strategico, rappresentato dalle risorse metallifere 21. Fra VII ed VIII secolo si assiste dunque ad una sorta di aggregazione degli insediamenti in nuclei più consistenti. La presenza di ceramica altomedievale all’interno di alcuni castelli (Fornoli, S. Disdagio e Litiano) e l’esi-stenza, nei pressi di alcuni di questi (Fornoli, Litiano, Torri, Rosciano, S. Disdagio) di insediamenti tardoromani che cessano di esistere fra VI e VII secolo, lascia supporre che la popolazione in questo momento sia confluita nei siti soprastanti. Tre esempi si presentano molto interessanti da questo punto di vista.
a) Nel sito dove sorgerà più tardi la pieve medievale del castello di Fornoli, si è localizzata un’area di frgmm. fittili romani e tar
21. Su questa problematica si veda FRANCOVICH, FARI-NELLI 1994 e FRANCOVICH, WIKCHAM 1995.
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Fig. 3 – Il Chiesino: pianta dell’edificio e prospetto della muratura settentrionale.
do antichi (sigillata africana) frammisti ad abbondanti ossa umane 22 (toponimo attuale La Pieve, Fig. 1). Dovendo escludere l’ipo-tesi che si trattasse del cimitero relativo alla più tarda pieve, si è ipotizzata l’esistenza di un insediamento precedente, sorto in età romana e vissuto fino al VI-VII secolo d.C. È quindi verosimile che nel sito del castello di Fornoli, confluiscano gradualmente gli abitanti di questo insediamento. Un processo del tutto analogo è attestato del resto anche nell’area scarlinese, sia per il castello di Scarlino, sia per altri castelli della zona 23. Il sito della Pieve verrà nuovamente interessa
22. Il proprietario ci ha raccontato che, quando unacinquantina di anni fa fecero lo scasso per l’impianto della vigna, vennero fuori interi scheletri e molta ceramica. 23. FRANCOVICH 1985, 12; CUCINi 1985, p. 301.
to, a distanza di pochi secoli, dall’impianto plebano di età medievale.
b) È possibile supporre uno sviluppo di questo stesso tipo anche per quel che riguarda il castello di Torri. A circa un chilometro da questo insediamento, in un’area molto isolata, abbiamo infatti individuato un modesto villaggio composto da 6 piccole aree di frgm. fittili localizzate nei pressi di una chiesa medievale abbandonata (sito 88-1 Il Chiesino, Figg. 1, 2 e 3). I pochi materiali riconoscibili qui rinvenuti sembrano condurre ad un’orizzonte di VII-VIII 24 (Tav. V, nn. 11-16). È quindi molto probabile che, anche in questo caso, gli abitanti abbiano preferito ad un certo punto trasferirsi nel più
24. Devo alla dott.ssa L. Paroli (Museo dell’alto me-dioevo di Roma) molti suggerimenti.
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alto sito del castello di Torri, salvo forse continuare ad utilizzare la piccola chiesa rurale. Nella stessa zona si è poi individuata una struttura ricavata nella roccia, da noi interpretata come pestarola o palmento 25. Tale struttura, seppure indatabile, risulta un documento importante perché, oltre a confermare la presenza di una qualche forma di insediamento precedente o coevo alla chiesa, attesta anche una locale produzione vinaria in un’area oggi quasi interamente boschiva ed abbandonata.
c) L’esempio di Rosciano risulta, infine, ancor più significativo, poiché, se si accetta l’identificazione proposta da Cardarelli 26 del sito citato come ‘fundo Rosciani’ nel 715 27
e menzionato nel 1074 in un Privilegio di Gregorio VII 28, con la tenuta la Castellaccia (Fig. 1), l’antico castello, insisterebbe sui ruderi di una villa romana 29.
Accanto ai siti individuati con la ricognizione di superficie è noto il ritrovamento di una necropoli di età longobarda alla Pescaia presso Sticciano Scalo 30, oggi non più visibile sul terreno (Fig. 1). Anche questa necropoli occupa del resto un’area immediatamente sottostante il castello di Sticciano, già noto dalle fonti nel X secolo 31. Tutti i dati vengono quindi a confermare che la distribuzione e la tipologia degli insediamenti di VI e VII secolo rappresenta una fase intermedia di passaggio verso l’insediamen-to fortificato di altura, più comune nei secoli centrali del medioevo. Ad uno spostamento geografico degli insediamenti in età tardo antica fa seguito pertanto un primo accentramento di questi nei siti che più tardi verranno incastellati.
25. Strutture analoghe, ma realizzate in materiale di-verso, sono state rinvenute nell’area dei tufi: a Vitozza (Tesi di laurea di Enrica Boldrini, anno accademico 1986-1987); a Castel Porciano, cfr. MALLET
WHITEHOUSE, 1967, 113-146 e nel territorio di Abbadia S. Salvatore, cfr. CAMBI, DE TOMMASO 1988. 26. CARDARELLI 1932. 27. BATTISTI 1961-62, pp. 461-99. 28. CAMMAROSANO, PASSERI 1976, p. 320. 29. CURRI 1978, pp. 66-67. 30. REISCH 1931; HESSEN Von 1971-72; CAPPELLI 1934. 31. V. infra.
È molto verosimile supporre quindi che alcuni dei siti, poi fortificati, esistessero già come villaggi, ma soltanto l’indagine stratigrafica sistematica può darcene conferma 32. Più difficile è capire invece se questi “protocastelli” nascano spontaneamente o se facciano parte di una riorganizzazione del territorio legata a nuove forme di potere. Nel territorio rosellano una prima forma di riorganizzazione dell’insediamento, sia per iniziativa delle popolazioni locali, sia per iniziativa dei ceti egemoni (autorità ecclesiastica e laica), è infatti attestata dalle fonti già a partire dall’VIII secolo 33. Parallelamente alla risalita, che appare dunque un fatto compiuto nell’VIII secolo, la presenza di aziende curtensi attesta anche un riassetto della proprietà fondiaria e dello sfruttamento del territorio che, con l’età carolingia e fra alterne vicende, vede la famiglia lucchese degli Aldobrandeschi come protagonisti.
2.2. Il paesaggio dei castelli
Dopo aver individuato le fasi che conducono al formarsi di questi nuclei di popolamento resta da capire quando e per quali motivi questi nuclei vengono fortificati 34. Il più grosso ostacolo alla risoluzione di questo quesito è in gran parte rappresentato dalla cosiddetta fase romanica. Fra la fine dell’XI ed il XII secolo, infatti, la stragrande maggioranza dei siti già incastellati subì una sorta di pianificazione urbanistica che determinò sostanziali modifiche dell’aspetto architettonico, obliterando molto spesso le labili tracce precedenti. Questi cambiamenti, oltre ad attestare un evidente balzo in avanti della prosperità materiale, significarono anche un cambiamento nel modo in cui si intese rappresentare l’immagine dei singoli castelli. Tale momento va inteso come il con
32. Un fenomeno di questo tipo risulta attestato neisiti incastellati di Scarlino e Montarrenti, cfr. FRAN-COVICH 1985, 14-15 (Scarlino: fasi V e VI); FRANCOVI-CH, MILANESE (a cura di) 1990. 33. CAMBI et al. 1994. 34. Per il problema delle origini e dello sviluppo deicastelli in Italia centrale si vedano FRANCOVICH 1985, pp. 10 ss.; Id 1989; FRANCOVICH, CUCINI, PARENTI 1990; ANDREWS 1984, pp.123-136; WICKHAM 1984.
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solidamento di un potere economico, giuridico ed istituzionale all’interno di forme di popolamento preesistenti e rappresenta per noi, adesso, l’aspetto senz’altro più evidente dell’incastellamento nel territorio (Fig. 46). Per la conclusione di questo processo appare dunque determinante il ruolo svolto dai signori, la cui affermazione risulta necessariamente connessa alla definizione della proprietà ed allo sfruttamento delle risorse del territorio. Per quanto riguarda gli insediamenti fortificati, non citati fino ad ora (Roccastrada, Montemassi, Sassoforte, Roccatederighi, Torniella, Belagaio, Bagnolo e Terzinate – Fig. 6) non è stato possibile individuare, attraverso la sola ricognizione di superficie, nessun indizio di insediamento precedente le prime citazioni documentarie, che, per quanto riguarda la definizione castrense sono riferibili quasi tutte al periodo compreso fra XI e XIII secolo 35. Va sottolineato tuttavia ancora una volta che l’analisi della documentazione scritta non consente necessariamente di associare la comparsa del termine castrum alla prima fase di fortificazione del centro poiché, come in più casi hanno dimostrato le indagini archeologiche 36, le fonti scritte compaiono più spesso contestualmente alla fase romanica dei castelli e solo raramente documentano le fasi precedenti. Infatti, per fare solo alcuni esempi, fra i castelli citati finora come esempi di risalita ed accentramento precoci, Fornoli verrà citato come castello solo nel 1202 37. È probabile quindi, che la fortificazione del sito sia avvenuta piuttosto tardi ad opera della famiglia degli Ardengheschi. Non si può tuttavia neppure escludere una prima fortificazione spontanea del sito, caratterizzata dall’impie-go di materiali “poveri”, di cui non abbiamo traccia nelle fonti scritte.
35. LISINI 1908; SCHNEIDER 1911, 1907; ASS, Caleffo Vecchio. Soltanto per quanto riguarda Roccatederighi vi è l’ipotesi che sia da identificare con una Rocca di Nossina posta in territorio rosellano e già citata come luogo abitato nel 953, cfr. in ultimo CAMMARO-SANO, PASSERI 1976, 48.9. 36. FRANCOVICH 1989, pp. 169-170. 37. «Roccham de Fornori cum curte» (SCHNEIDER 1911, 159); ASS, C.V., 78.
Figg. 4-5 – Roccatederighi, tratti di muratura romanica ancora conservatisi negli attuali edifici del centro
storico.
Il castello di Torri (Fig. 6) viene citato per la prima volta dai documenti nel 1140 38. Litiano (Fig. 6) è citato dalle fonti come «villa» fino al 1140 39, mentre nel 1202 viene
38. ASS, Arch. Rif., a. 1140. 39. LISINI 1908. Non è escluso che fra le ville citate in un documento del 991, dove è citato anche un luogo
22
Fig. 6 – Carta di distribuzione degli insediamenti nei secoli centrali del medioevo (secoli X-XIII).
ta»
elencato fra i castelli degli Ardengheschi 40. Tornerà a perdere questo suo «ruolo» dopo il 1342, quando verrà dichiarato «terra aper
41.
detto “Fornoli”, il toponimo “Lipitiano” si riferisca a Litiano; BARSOCCHIN, BERTINI 1837, doc. MDCLXV. 40. ASS, C.V., 79. 41. LISINI 1895, 197. A partire da questo momento lo
S. Disdagio, (Fig. 6) elencato nel 1202 fra le proprietà degli Ardengheschi, verrà citato come castrum solo nel 1326 42.
troveremo citato come «tenuta», cfr. PECCI 1766, pp. 496-497; GINATEMPO 1988. 42. PECCI 1766, p. 154; ASS, Cons. Gen., 20 Dicembre 1326.
23
Fig. 7 – Roccastrada: tratto della cinta muraria di età romanica inglobata nelle abitazioni.
Sticciano, (Fig. 6) è attestato invece nell’an-no 969 43 come insediamento dotato di una sede pubblica e verrà citato come castello solo alla fine dell’XI secolo 44. L’unico castello attestato come tale già nel X secolo è Lattaia 45. (Fig. 6) La planimetria delle strutture che occupano attualmente il sito del castello di Lattaia ricalca quella del primitivo insediamento e rappresenta uno dei più semplici e più arcaici esempi di architettura fortificata 46 (Fig. 8). La disposizione planimetrica degli edifici vede infatti al centro la traccia quadrangolare dell’anti-ca torre (Fig. 9), circondata da una cinta pressoché circolare, gran parte della quale, più o meno abbassata, si conserva tutt’oggi 47.
43. LISINI 1908 riporta l’anno 966, come CAMMARO-SANO, PASSERI 1976; SCHNEIDER, 6-7, n. 17 data invece il documento all’anno 969. 44. CAMMAROSANO, PASSERI 1976, p. 157. 45. Nell’anno 973 viene stipulato un atto di vendita«actum loco Lactera, intus in ipsa turre». KURZE 1982, Band II, n. 204, pp. 14-15; LISINI 1908, p. 34. 46. Ibidem, 133. 47. CAMMAROSANO, PASSERI 1976, p. 155.
La presenza della torre, elemento costante a partire dall’XI secolo 48, generalmente caratterizza il “castrum”. In questo caso è molto probabile tuttavia che si tratti di un palazzotto signorile fortificato o casa-torre 49. L’aspet-to interessante di questo castello è rappresentato dalla sua ubicazione. Esso si trova infatti al centro della pianura a quota 25 m s.l.m. in posizione del tutto isolata, indifesa e diversificata da quella dei rimanenti insediamenti fortificati che sorgeranno tutti nella fascia di media e alta collina circostante la pianura, secondo un modello che vede i castelli collocati «a metà strada fra l’incolto sopra e il colto sotto» 50 (Fig. 6). È stata forse proprio la posizione di questo insediamento a determinarne la precoce fortificazione. Gli insediamenti castrensi del territorio risultano infatti disposti, per la maggior parte, lungo i due spartiacque che dividono ri
48. ANDREWS 1984, p. 131. 49. ANDREWS 1984, p. 131. 50. WICKHAM 1984, p. 89. Si veda il caso di Scarlino, FRANCOVICH 1985, 10 e del suo territorio, CUCINI 1985, p. 302.
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Fig. 8 – Veduta generale del castello di Lattaia nel suo attuale stato di conservazione.
Fig. 9 – Castello di Lattaia: breve tratto della muratura dell’antica torre attualmente inglobato in un muretto all’interno del cortile.
spettivamente le valli del t. Farma e del f. Ombrone dalla pianura solcata dal f. Bruna formando una sorta di catena che cinge a nord e ad ovest la pianura (v. carta). In alcuni di questi castelli l’insediamento si è protratto senza soluzione di continuità fino ad oggi. I centri attuali del territorio sono infatti per lo più costituiti dai borghi di origine medievale. Molti altri insediamenti castrensi sono invece stati abbandonati durante i secoli bassomedievali e si presentano oggi come ruderi in condizioni di totale rovina ed abbandono. Durante la ricognizione di superficie si sono condotte delle indagini mirate nei siti
di questi ultimi castelli ed in nessuna delle fortificazioni del territorio è stato possibile individuare, per le ragioni già citate, strutture murarie precedenti alla fase romanica51. I materiali raccolti in superficie sono costituiti in prevalenza da frammenti di ceramica acroma (testi, olle, boccali) e da una limitata quantità di frammenti di maiolica arcaica di produzione senese, riferibili spesso alla fase immediatamente precedente l’abbando-no di tali insediamenti. È da notare che la presenza di questa classe ceramica nell’area
51. Si veda anche il territorio di Scarlino, cfr. CUCINI
1985.
25
indagata è pressoché esclusiva degli insediamenti incastellati. Riassumendo, se, nell’area presa in esame, il fenomeno dell’incastellamento si presenta in molti casi come il consolidamento strutturale ed istituzionale di preesistenti forme insediative, anche fortificate, di altura, non si può escludere tuttavia, accanto a queste, la nascita di nuove fondazioni su sommità strategiche, legate alle esigenze produttive del potere signorile. La diversità fra insediamento inizialmente ‘spontaneo’ ed insediamento nato per specifica volontà signorile potrebbe essere riscontrata, topograficamente, fra i castelli di media collina, geograficamente e tipologicamente più prossimi alle forme insediative preesistenti (Litiano, Fornoli, Lattaia, Sticciano, Rosciano, Montemassi?, S. Disdagio) ed i castelli più arroccati e più imponenti, situati spesso in alture impervie e più lontane dalle zone coltivabili, ma talora prossimi alle aree di importanza strategica per le attività minerarie e/o metallurgiche (Roccatederighi, Sassoforte, Roccastrada, Torniella). Per questi ultimi si ipotizza dunque una genesi signorile più tarda e contemporanea alla definizione istituzionale e giuridica degli altri. Si tratta tuttavia di una semplice ipotesi che non può assolutamente prescindere dal-l’indagine stratigrafica per avere conferma.
3. L’INSEDIAMENTO SPARSO
La ricognizione di superficie ha permesso di individuare, nell’area indagata, un «insediamento sparso» 52 di una certa consistenza per i secoli centrali del medioevo. Si tratta complessivamente di trenta aree di frammenti fittili interpretabili come abitazioni rurali (Fig. 3). La pressoché totale assenza di maiolica arcaica in questi insediamenti consente due ipotesi: può infatti essere considerata l’espressione di una limitata circolazione delle merci, riscontrata anche per altri periodi, ipotesi meno probabile, oppure come il
52. Per insediamento sparso si intende, in questo con-testo, insediamento non incastellato; si tratta infatti di forme abitative non propriamente definibili come case sparse, ma piuttosto come abitati.
sintomo di una crisi del popolamento sparso alle soglie del XIV secolo. È molto probabile infatti che molti di questi piccoli insediamenti siano precedenti o coevi ai grandi castelli e che la popolazione del contado venga assorbita da questi durante le fasi della conquista senese. Un importante punto di riferimento per l’or-ganizzazione dell’insediamento sparso nel territorio sono le sedi ecclesiastiche ed in modo particolare, le pievi rurali ed i monasteri. Il territorio, facente capo nel nostro caso, alla diocesi di Roselle prima e di Grosseto poi 53, risulta infatti frazionato in una serie di pievi attorno alle quali si raccoglie il popolamento rurale 54. Nel territorio considerato è attestata la presenza di 5 pievi rurali e 6 chiese, sottoposte alla giurisdizione vescovile di Grosseto 55. Si è potuto quasi sempre rintracciare l’ubica-zione delle pievi sparse, ma non sempre è stato possibile documentarne le strutture, talvolta completamente obliterate da successivi interventi edilizi (Pieve di S. Sicudera, v. Fig. 6). Alcune di queste tuttavia hanno lasciato tracce abbastanza evidenti. Alcuni importanti centri ecclesiastici intorno ai quali si è potuta attestare la presenza di un certo insediamento sparso sono la pieve del castello di Fornoli (pl. S. Marie), l’in-sediamento di Caminino (pl. S. Ferioli), la chiesa di S. Giusto a Lavaiano 56 ed il monastero di Giugnano (Fig. 6).
a) La pieve di Fornoli (attuale podere La Pieve – Fig. 6), nota dal 1188 57, faceva capo ad
53. Cfr. CARDARELLI 1932, p. 230; LISINI 1908, 1138, Aprile, A. 9 di Papa Innocenzo II, R. Augusto Cerretani. 54. Si consideri che per i secoli altomedievali fino atutto l’XI secolo, la documentazione esistente si riferisce quasi esclusivamente a questioni economiche riguardanti il patrimonio ecclesiastico. Cfr. BARSOCCHI-NI, BERTINI 1837, per quanto riguarda l’episcopato lucense e KURZE 1982, per il Monastero di S. Salvatore al Monte Amiata. 55. La sede della Diocesi vescovile viene spostata nel1138 da Roselle a Grosseto. Cfr. CARDARELLI 1932, p. 230; LISINI 1908, 1138, Aprile, A. 9 di Papa Innocenzo II, R. Augusto Cerretani. Per l’elenco delle pievi, si veda GIUSTI, GUIDI 1942. 56. CARDARELLI 1932, p. 187. 57. Privilegio papale di Clemente III. CARDARELLI 1932, p. 188.
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un ampio territorio 58. Sporadiche sono le tracce dell’antica struttura plebana ancora leggibili nelle murature moderne. La ricognizione di superficie ha individuato, nel-l’area circostante il podere, 3 piccole concentrazioni di materiale edilizio e ceramico medievale, interpretate come case.
lo
b) La pieve di Caminino (Fig. 6) appare oggi inglobata in una casa colonica del XIX secolo; sono tuttavia ancora riconoscibili numerose tracce dell’antico edificio. Un primo documento che attesta l’esistenza di questa chiesa risale all’anno 1075 59. Si tratta di una donazione fatta da un certo Ranierus che cede a questa canonica una serie di «casis et casinis, et casalinis et sortis, adque terris et vineis» poste nei dintorni della chiesa stessa60. Abbiamo inoltre individuato con la ricognizione di superficie un’area di frammenti fittili piuttosto estesa con materiali di epoca medievale non posteriori al XIII secolo (Fig. 6s). Emerge quindi da fonti e territorio l’esi-stenza di un popolamento sparso collegato alla chiesa nei secoli precedenti al XIV seco
61. Per il XIV secolo possediamo poi una importantissima fonte che è la “Tavola delle possessioni” 62. Nel 1320 troviamo la pieve di S. Feriolo a capo di un territorio dove estremamente più rare risultano le abitazioni rurali sparse 63. Da questo documento si evidenzia infatti che il popolamento si è concentrato intorno al castello di Roccatederighi 64 ed intorno ad un insediamento aperto non distante dal castello (villa Lavaiani ) 65. La vallata sottostante Roccatederighi, dove
58. Fornoli aveva per filiali le chiese di Roccastrada edi Torri. Cfr. CARDARELLI 1932, p. 189. 59. ASS, Riformagioni, a. 1075, Luglio, 23-Copia del 1182. V. anche LISINI 1908. 60. Ho potuto rintracciare il toponimo «Cirtoia», oggiCintoia, che dista circa 4 chilometri da Caminino ed «il guado de Rigo maiore», che si trova a meno di un chilometro dall’attuale podere. V. IGM, 128, Montemassi, III S.E. 61. Nel XIII secolo la troviamo citata come pieve,con diversa intitolazione. CARDARELLI 1932, p. 187. 62. ASS, Estimo, V. cap. IV, A, 2. 63. ASS, Estimo, 54, c. 378. 64. Le abitazioni citate da questa fonte si trovanoadesso per la maggior parte «in districtu dicti casseri». ASS, Estimo, 54, f.CXVIIII v. e r. 65. ASS, Estimo, 54, f. XLII v., XLIIII v.
si trova S. Feriolo, risulta quindi in quegli anni (1320) priva di insediamenti rurali. Vi abbondano invece fornaci per la lavorazione dei metalli; verrà denominata infatti «valle fabrorum» 66.
c) La chiesa di S. Giusto a Lavaiano (Fig. 6), i cui resti, inglobati in un podere, si trovano a circa tre chilometri da Roccatederighi, viene citata una prima volta nel 1277 67. La ritroviamo nel 1294 all’interno della «villa di Lavaiano» 68. La villa di Lavaiano, che in quella occasione viene venduta al comune di Siena insieme ad altri territori, si configura, nello spazio di pochi decenni, come un vero e proprio villaggio 69.
d) Il sito dove sorgerà il monastero di S. Salvatore di Giugnano (Fig. 6) è citato per la prima volta dai documenti nell’867 come «casale» 70. La documentazione scritta attesta poi, nell’XI secolo, l’esistenza di un popolamento sparso di una certa consistenza, raccolto intorno ad una chiesa di S. Stefano posta «in loco et finibus Iungano» 71. Nell’XI secolo, inoltre, viene qui fondato un monastero benedettino 72. A quell’epoca risale probabilmente l’affermazione del toponimo “S.
66. ASS, Estimo, 54, f. LXXXXVIII. Vedi infra pagina 33. 67. CARDARELLI 1932, pp. 187-188. 68. ASS, C.V., 989, 1294, Aprile, 14-15. Si tratta della stessa villa di Lavaiano citata dall’Estimo, v. sopra. 69. Al suo interno troviamo infatti numerosi casalinie casali (ASS, Estimo, 54, f. XXX r., XLII v., XLIIII, CI), un forno (ibidem, f. CVIII) e la chiesa di S. Giusto (ibidem, f. CCCVI). 70. Un cittadino di Chiusi cede, in quell’occasione, aWinighisi, conte della città di Siena i suoi beni posti nel casale di Giugnano; KURZE 1982, vol. I, 315-317, 149, Vicario, 867 (Settembre), 868 (Marzo) Roselle; LISINI 1908. 71. Nel 1012 si parla per la prima volta di una chiesadi S. Stefano, a cui appartengono considerevoli possedimenti: «duodecim inter casis et sortis et casalinis cum ecclesia illa», cfr. KURZE 1982, 234, Cartula donationis, 1012. Nel 1027 e poi nel 1036 l’imperato-re Corrado II dona all’abate del monastero di S. Salvatore del M. Amiata anche la «ecclesiam Sancti Stephani in Iuniano»; KURZE 1982, Band. I, 263, Praeceptum 1027, 1036; Monumenta Germaniae Historica, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, t. IV (DDK), n. 79.72. Nel 1076 infatti il luogo viene citato come sededi un monastero: «per via pubblica decurrit usque ad terram Monasterii de Gugnano»; SCHNEIDER 1911, n. 91; LISINI 1908.
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Figg. 10-11 – Cripta protoromanica del monastero di S. Salvatore di Giugnano: 10. Pianta; 11. Prospetto della parete sud-occidentale.
Salvatore”. Nel giro di pochi anni tale mo- perficie si presentano tutt’oggi come emernastero assume una notevole importanza genze architettoniche di notevole entità economica 73. Le strutture rintracciabili in su- (Figg. 10 e 11), in uno stato di conservazio
ne purtroppo assai precario (Fig. 12). Si può 73. Nel 1140 infatti si parlerà esplicitamente di un ipotizzare che la struttura protoromanica monastero di S. Salvatore di Giugnano, che possiede della cripta sia relativa all’impianto del mobeni molto consistenti nei territori di Roselle Grosse- nastero, mentre le imponenti emergenze soto, Lattaia, Roccastrada, Litiano, Torri etc.. LISINI
1908. prastanti sono probabilmente da attribuire
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Fig. 12 – Cripta del monastero di S. Salvatore di Giugnano.
alla piena età romanica e pertanto alla fase cistercense del monastero. Non si sono invece potuti individuare resti pertinenti alle fasi precedenti (chiesa di S. Stefano).
È molto interessante notare la vicinanza di questo complesso monastico, che nel XIII secolo diverrà grangia dei cistercensi di S. Galgano 74, ad una serie di strutture produttive, databili molto probabilmente ad epoca medievale 75. Si tratta di tre mulini, di una ferriera e di un area di lavorazione dei locali solfuri misti (Cu-Pb) (Fig. 13), tutti situati lungo il corso del torrente Bai 76 (Fig. 6). La ricognizione non ha permesso purtroppo di raccogliere materiali datanti in questo tipo di siti. Da alcuni documenti relativi alla re
74. Nel 1209 il monastero viene concesso da papaInnocenzo ai cistercensi di S. Galgano (nell’episcopa-to volterrano); SCHNEIDER 1911, 196, n. 457; COTTINEAU 1939, col. 1288; P.F. KEHR, Regesta Pontificum Romanorum, vol III, 264; CAMMAROSANO, PASSERI 1976, vol. II, 366. 75. Si veda, per una descrizione delle emergenze FA-RINELLI 1992. 76. Molte di queste emergenze non sono oggi più leg-gibili a causa della persistente attività di cava che ha radicalmente modificato il paesaggio distruggendo Fig. 13 – Area di scorie di lavorazione dei locali solfuri tutte le tracce degli insediamenti produttivi medieva- misti nei pressi di un piccolo canale artificiale in li. prossimità del torrente Bai.
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golamentazione del taglio dei boschi intorno alle ferriere del Farma, appare evidente che, durante tutto il ’300, i monaci cistercensi dell’abbazia di S. Galgano, ebbero interessi e proprietà fra le numerose ferriere situate sul F. Merse ed a Monticiano 77. Non è da escludere pertanto che le strutture suddette abbiano fatto inizialmente parte della rete produttiva cistercense 78. Divenuto tuttavia nel XIV secolo eremo agostiniano 79, Giugnano andò perdendo molta della sua importanza 80. La fitta maglia di insediamenti che intorno a questa abbazia si era creata si allenta e nei secoli seguenti le uniche forme di attività in quella zona risultano connesse alla ferriera ed al mulino. La ricognizione ha individuato 7 piccole concentrazioni di ceramica medievale nei dintorni del complesso di Giugnano, topograficamente situate nel punto di raccordo fra l’altura e la pianura alluvionale (Fig. 6). I materiali pertinenti a tali insediamenti, consistenti anche in frammenti di Maiolica Arcaica, sembrano confermare un abbandono dell’area proprio al XIV secolo. Nel complesso quindi, la fase di massima densità insediativa nel nostro territorio risulta collocabile fra la fine dell’XI secolo ed i primi del XIII. In questo periodo il paesaggio si presenta infatti popolato da una serie di castelli o residenze signorili e da una maglia insediativa connessa alla suddivisione territoriale delle varie circoscrizioni ecclesiastiche (Fig. 6), secondo un modello attestato anche in aree limitrofe 81. La chiesa rappresenta infatti, molto spesso, a causa della decentralizzazione dell’autorità, l’unico punto
77. ASS, Archivio Venturi Gallerani, t. XLIV, fasc. 6. 78. Cfr. FARINELLI 1992, p. 45, nota 31. 79. COTTINEAU 1939, col. 1288; KEHR, Regesta Pontificum Romanorum, vol. III, p. 264. 80. Non se ne trova più alcuna traccia nella docu-mentazione e nel XVII secolo parlando di Giugnano si farà riferimento solo alla ferriera ed al mulino; Statuto di Roccastrada, 1612. Cardarelli sostiene che nel XIV secolo all’abbazia si sostituì un comunello, CAR-DARELLI 1932, 198. Tuttavia ricerche più recenti sul contado senese del XV secolo non hanno verificato l’esistenza di tale comunità: GINATEMPO 1988. 81. Questo quadro del paesaggio, nei secoli centralidel medio evo, presenta notevoli affinità con l’area scarlinese: CUCINI 1985, p. 311.
di riferimento per gli abitanti del contado 82. La nascita del comune di Siena ed il suo espandersi nel territorio comporteranno una progressiva perdita del potere temporale ed economico delle antiche organizzazioni ecclesiastiche 83. Tale processo si riflette in maniera abbastanza evidente nello spostamento della popolazione all’interno dei borghi fortificati, attestato anche dalla diminuzione dei ritrovamenti databili al XIV secolo (Fig. 14).
4. LA CONQUISTA SENESE
A partire dal XIII secolo, con il declino della famiglia degli Aldobrandeschi 84, le varie dinastie locali dei castelli del territorio, fanno atto di sottomissione al comune di Siena. Siena, in tal modo, da’ inizio ad un ampliamento dei confini del suo contado in direzione meridionale proprio laddove minore era la resistenza. Mentre a nord-nordest della città, cioè in direzione di Firenze ed Arezzo, i confini erano bloccati, a sud poterono espandersi fino alla Tuscia romana 85. Si data al XIII secolo, prima fase di intervento senese, il sostanziale abbandono di almeno due castelli del territorio (Fornoli e Torri) 86. La ricognizione di superficie sem
82. Cfr. anche CAMBI et al. 1994. 83. Si veda anche CHERUBINI 1981. 84. L’imperatore Federico II dichiara, nel 1243, gli Aldobrandeschi rei di fellonia ed infeuda gran parte della Maremma al comune di Siena. Cfr. MARRARA
1961, p. 50. 85. Si osservi che la stessa struttura urbanistica dellacittà di Siena riflette questo processo: infatti mentre la via di Camollia, in direzione di Firenze, è circondata da una cinta muraria che forma uno stretto corridoio, a sud, l’abitato e la sua cinta si aprono a ventaglio verso i possessi maremmani. 86. Fornoli, nonostante la sottomissione del 1202(SCHNEIDER, R.S. n. 402, 506, 510; ASS, C.V., 78, 79, 141, 836, 837), fu assediato e distrutto da Siena e Firenze nel 1272 perché rifugio di fuoriusciti ghibellini (PECCI 1766, p. 152; CAMMAROSANO, PASSERI 1976, II, p. 366). Si propose poi di rifortificare il sito, ma nessun documento attesta l’avvenuta fortificazione (ASS, Cons. Gen., 12 Aprile 1365, c. 40; PECCI 1766, p. 154). Anche il castello di Torri, divenuto rifugio di fuoriusciti ghibellini dopo la sottomissione a Siena nel 1205 (ASS, C.V., 83, 84), fu espugnato e demolito dalla Repubblica senese (PECCi 1766, 399; CAMMARO-SANO, PASSERI 1976, II, p. 158).
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Fig. 14 – Carta di distribuzione degli insediamenti nel periodo bassomedievale (secoli XIV-XV).
bra confermare, in questo caso, le notizie do- Sassoforte, la cui popolazione viene trasfecumentarie; non si è infatti rinvenuto, all’in- rita dopo la distruzione senese del 1330 88, terno di questi due insediamenti alcun re- risulta invece abbandonato in maniera defiperto attribuibile ad epoca posteriore al XIII secolo 87.
Montepozzali e Castel d’Alma), attestato anche dai dati di superficie, CUCINI 1985, p. 304.
87. Si veda l’analogo precoce abbandono di alcuni 88. ASS, C.V., 868, 869, 870. CAMMAROSANO, PASSERI
castelli del territorio di Scarlino (Castellina, Tricasi, 1976; II, 157.
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nitiva solo più tardi. Nonostante la distruzione sembra infatti che questo sito abbia continuato ad essere abitato stabilmente almeno per tutto il XIV secolo 89. L’abbando-no deve essere avvenuto qui in maniera più graduale rispetto ai due casi precedenti 90. A questo stesso periodo si datano gli assedi di Siena al castello di Montemassi 91. L’abbandono degli insediamenti fortificati del territorio prosegue anche in epoca posteriore (Litiano e Lattaia) 92. Si assiste in questi casi ad un processo graduale di scomparsa o di trasformazione degli insediamenti. Tale processo, iniziato probabilmente con la crisi demografica del XIV secolo, prosegue con la politica di sfruttamento senese e si conclude durante la guerra fra Siena e Firenze 93. Alle soglie del XIV secolo quindi il territorio si presenta già diverso da quello di un secolo prima. L’elemento caratterizzante del paesaggio è adesso costituito da una larga maglia di castelli, intesi come grossi borghi fortificati, cui fa capo tutto un territorio rurale 94 (Fig. 14). Nell’arco del XIII secolo questa parte della Maremma viene assumendo caratteristiche sempre più diversificate dal resto della To
89. Abbiamo infatti rinvenuto, all’interno di tale in-sediamento numerosi frammenti di maiolica arcaica di produzione senese, databili anche alla seconda metà del XIV secolo (FRANCOVICH 1982). Tali frammenti sono in parte conservati presso i locali del Gruppo Archeologico di Roccastrada. Si veda anche FRANCO-VICH, GELICHI 1980, tav. 1. 90. In una petizione degli abitanti di Roccastrada silegge infatti che tale comunità chiede al Comune di Siena il permesso di poter pascolare il bestiame nella corte di Sassoforte essendosi gli abitanti di quel castello trasferiti in gran parte a Roccastrada. ASS, Concistoro, 2133, c. 43, anno 1461. 91. Per l’assedio del 1328, si veda il contributo di R.Parenti in questo volume. 92. Il governo senese delibererà la distruzione del«casserum sive fortilitium» di Lattaia solo nel 1404 perché il suo mantenimento rappresentava per il comune una spesa troppo alta (ASS, Cons. Gen., 201, c. 140 r., 155, 156. A. Pecci sostiene che la repubblica senese aveva ordinato di fabbricare un nuovo insediamento in luogo «più atto a difendersi», ma il documento citato non fa riferimento a tale ricostruzione. Tuttavia l’insediamento continuò probabilmente ad essere abitato anche in seguito. Vedi anche i casi di “decastellamento” citati da SETTIA 1984, pp. 289 ss. 93. BONENNI COLONNA 1980, p. 225. 94. REDON 1982, p. 25.
Fig. 15 – Poggio di Mozzeta, ingresso di una galleria medievale per l’estrazione di minerali di rame e
piombo argentifero.
scana che vive, proprio in questo momento, la sua fase di massima fioritura economica95. La lontananza dalla città di Siena e dai maggiori traffici commerciali ad essa connessi e la stessa morfologia del territorio, caratterizzato da un aspetto montuoso, con punte che in alcuni casi superano i 700 metri s.l.m. (Sassoforte 787 m e M. Alto), comportano qui una eccezionale persistenza degli istituti feudali ed un conseguente attardamento economico. Siena impiegherà infatti più di un secolo per sottomettere in maniera definitiva quest’area ed otterrà il suo scopo molto spesso con la forza. L’insediamento sparso che caratterizzava in maniera piuttosto evidente determinate zone nei secoli precedenti, subisce una prima con
95. CHERUBINI, FRANCOVICH 1973, pp. 877 ss.; PINTO
1982, p. 62.
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Fig. 16 – Pianura sotto Litiano, un pascolo dei giorni nostri.
trazione e gli insediamenti rurali si avvicinano ai castelli. Ancor prima della crisi del XIV secolo, le fonti a nostra disposizione permettono di delineare un paesaggio nel quale la scarsità del popolamento sparso a poderi (dati ricognizione: Fig. 14), attesta una scarsa diffusione della conduzione mezzadrile dei terreni 96, che altrove aveva già iniziato ad affermarsi 97. Essendo la diffusione del rapporto mezzadrile direttamente connessa al-l’investimento di capitali cittadini per un certo tipo di sfruttamento agricolo del territorio, appare evidente che ci troviamo di fronte ad un’area, la cui peculiarità produttiva, basata su cerealicoltura, allevamento e soprattutto sullo sfruttamento delle risorse minerarie, aveva in qualche modo influenzato le forme insediative, limitando l’esigen-za di un abitato a distribuzione capillare, più funzionale a certi tipi di sfruttamento agricolo. Il paesaggio agrario risulta pertanto qui caratterizzato da ampie coltivazioni a cereali nella pianura 98, da pascoli e boschi 99 e dalla
96. Si veda l’analogia con il territorio di Scarlino,CUCINI 1985, p. 313. 97. CHERUBINI, FRANCOVICH 1973, p. 885 ss. CHERUBI-NI 1981. Si veda inoltre PINTO, PIRILLO 1987. 98. ASS, Estimo, 231. 99. Vedi l’importanza del castagno per Torniella, ASS, Estimo, 67; statuto di Torniella. V.
presenza di coltivazioni intensive nelle zone più prossime ai castelli 100. In questo contesto possono agevolmente inserirsi tutte le attività connesse alla estrazione e lavorazione dei metalli (Figg. 13 e 15), che sembrano subire un incremento a partire dall’inizio del XIV secolo, parallelamente al progressivo passaggio di questo territorio sotto il dominio del comune di Siena 101. È da sottolineare che, in questo periodo, i terreni lasciati incolti sono una minima percentuale. Il popolamento, pertanto, sebbene concentrato, non sembra subire sensibili flessioni. La radicale trasformazione di questo paesaggio avverrà più tardi, dopo la diminuzione demografica del XIV secolo ed a seguito di decenni di politica di sfruttamento da parte della Repubblica di Siena. La ricognizione di superficie non ha potuto evidenziare le tracce di questa crisi nel territorio esaminato, poiché il popolamento si era già in gran parte raccolto attorno ai castelli. Tuttavia una testimonianza importante, per le condizioni del contado nel periodo immediatamente seguente, è offerta, come in parte abbiamo già visto, dalla documentazione scritta 102. I documenti delinea
100. ASS, Estimo, 54, 231, 232, 238.101. Cfr. FARINELLI 1992.102. ASS, Concistoro.
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no un paesaggio ancora diverso da quello di base della radicale trasformazione economiun secolo prima. In questo senso uno degli ca e “paesaggistica” che caratterizzerà la Maelementi più significativi è rappresentato dal- remma come terra inospitale e meta esclusilo sviluppo dell’allevamento a detrimento va della transumanza. della coltura cerealicola, che predominava La repubblica di Siena stessa si avvia, nel XV nei secoli precedenti 103 e quindi da una esten- secolo, verso una progressiva ruralizzazione sione di pascoli e prati a scapito dei semina- a coronamento di una politica che non si era tivi (Fig. 16). mai voluta emancipare dal prestigio della Impaludamento e malaria, che già erano pre- proprietà terriera. Ciò la porterà ad assusenti fra i problemi delle comunità, comin- mere una funzione subalterna nei confronti ciano probabilmente ad aggravarsi proprio di Firenze, prima solamente da un punto di con l’estensione dei pascoli e con l’abban- vista economico, poi anche da quello politidono delle coltivazioni. co, con la conquista fiorentina del 1555 105. Il processo di spopolamento, che nel XVI La conquista medicea non comporta tuttasecolo si accentuerà ulteriormente 104, sta alla via uno smembramento dello Stato Senese
che entra a far parte della nuova realtà politica come entità autonoma 106.
103. ASS, Estimo. S. G.104. SERENI 1976, 241-246. Si veda anche il quadro,
molto evidente, presentato da M. Ginatempo, per quanto riguarda il lento processo di spopolamento delle comunità della Maremma GINATEMPO 1988, Ap- 105. PINTO 1982, p. 89. pendice 2. 106. MARRARA 1961, pp. 142-143.
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