3

Click here to load reader

Psicopatologie femminili nello sport

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Psicopatologie femminili nello sport

Alessandra ParroniMarta CorazziLucia CorazzaComitato Regionale Umbro per il Gioco e lo Sport

PPSSIICCOOPPAATTOOLLOOGGIIEE FFEEMMMMIINNIILLII NNEELLLLOO SSPPOORRTT EE DDIIFFFFEERREENNZZAA DDII GGEENNEERREE

31Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT Numero 1 – 2008

GIORNALE ITALIANO

DI PSICOLOGIA DELLO SPORT

RIASSUNTONonostante la presenza femminile sia sempre più massiccia anche in ambiti sportivi un tempo considerati prettamente maschili, come la boxe, il calcio, il rugby, scarseggiano ancora studi e letteratura scientifica in meritoalle differenze sessuali. L’importanza attribuita dalle atlete alla mediazione maschile nella valutazione dei proprisuccessi o insuccessi è rilevante nella pratica sportiva, poiché gli allenatori sono prevalentemente uomini, mentre difficoltosi appaiono l’affidamento ad una donna ed il riconoscimento dell’autorevolezza femminile. Anche comemodelli ideali, con i quali confrontarsi nelle discipline agonistiche, vengono più spesso indicati dalle donne icampioni del sesso opposto. Da un rapporto tutto “di genere” con il proprio corpo sessuato scaturiscono poi noninfrequenti patologie e disagi psichici, fra i quali i più evidenti sono i disturbi del comportamento alimentare, il controllo ossessivo e l’eccessivo sfruttamento dell’efficienza fisica e della “performance”, il desiderio, talvolta esasperato,di mantenere un “corpo da bambina” o ritornare ad una androginia preadolescenziale, tramite la cancellazione dei cicli mestruali. Anche l’elevata statura o un particolare sviluppo della massa muscolare,entrambe caratteristiche essenziali in sport quali, ad esempio il basket, possono indurre dismorfofobie e problematiche di accettazione della propria immagine fisica.

PAROLE CHIAVEGenere; Differenza sessuale; Psicopatologie femminili specifiche ed aspecifiche da sport; Dismorfofobie;Androginia

ABSTRACTDespite the increasingly presence of women in sport, especially in those usually practiced by male, such asboxing, football, rugby, there are still insufficient studies and literature on sexual differences. The importance attributed to masculine mediation in evaluating successes or failures from the athletes in competitive settingsremains significant, because coaches and trainers are mostly men. Male champions are then more often viewedby women as ideals models. Psychical diseases and psychopathologies are not infrequent. The most frequent are eating disorders, obsessive control, and exploitation of physical efficiency and performance, namely,the desire to maintain a “child body” or to return to preadolescential androgyny through the control or eliminationof the menstruations. Even height or muscle development, which are important characteristics in sports such asbasket, can lead to dismorfofobie and problems of acceptance of individual physical image.

KEY WORDSGender; Sexual difference; Specific and aspecific psychopathologies from sport; dismorfofobie; androgyny

Con il termine “genere” (dall’inglese “gender”) si intendono le aspetta-tive sociali e culturali riguardo all’appartenenza biologica ed anatomicadi ciascun individuo al sesso maschile o femminile. L’identità di gene-re è il nucleo organizzatore dell’esperienza psichica e della relazionecon il mondo esterno. Chi si occupa di psicologia sa che le dimensio-ni interne del femminile e del maschile sono labili e complesse, spes-so fluttuanti, e non si inscrivono nel dualismo rigido della struttura bio-logica ed anatomica. In pari modo può comunque constatare senzaalcun dubbio una specificità nei processi di costruzione della soggetti-vità femminile ed una differenziazione, rispetto al maschile, nel percor-so di sviluppo psicologico.Gli “studi di genere” (“gender studies”), volti a verificare le effettive dif-ferenze fra uomini e donne in vari settori, sono completamente assen-ti dalla ricerca psicologica internazionale sino all’inizio degli anni ottan-ta. Per più di un secolo le teorie psicologiche si sono basate esclusiva-mente sul soggetto maschile. Significativo è che Freud sia giunto a for-mulare una teoria dello sviluppo infantile unica per entrambi i generi,pur essendosi basato soprattutto sull’osservazione e l’ascolto didonne. Del resto fu il primo a parlare di “indicibilità” dell’esperienzafemminile, soprattutto per quanto ne concerne la sessualità e l’affetti-vità, tanto che le definì “un continente oscuro”. Anche i contributi fem-minili al pensiero psicoanalitico, come quelli di Anna Freud, MarieBonaparte, Helene Deutsch, Karen Horney ed altre, riconduconocomunque la donna ad una mancanza: ella è non-uomo, definita pernegazione.

Il nostro contributo consiste in una rassegna critica degli studi ineren-ti la specificità dei disagi e delle psicopatologie femminili nelle discipli-ne agonistiche. Premettiamo che riguardo alle differenze di genere ele loro implicazioni nella psicologia dello sport, la disamina accuratadella letteratura e delle ricerche esistenti fa riscontrare una forte caren-za. Lo sport è tradizionalmente un dominio maschile, ma negli ultimianni si sono verificati notevoli cambiamenti, includendo una semprepiù massiccia presenza femminile anche in discipline un tempo consi-derate prettamente maschili come la boxe, il calcio, il rugby, il ciclismoagonistico. Cann (1991) ha identificato fra i fattori sociali che hannolimitato la partecipazione femminile allo sport principalmente la rappre-sentazione estetica del corpo femminile, secondo la quale, fino aglianni cinquanta, l’assenza di sviluppo muscolare era una caratteristicadesiderabile. Le attività motorie considerate appropriate per le donneerano la danza, il pattinaggio artistico, il tennis e l’equitazione, poi glisport individuali o che comunque non implicassero contatti fisici.Ricordiamo che la prima squadra di ginnastica preparatoria femminilefu fondata a Torino dall’istruttore svizzero Rudolph Obermann nel1867.Nella prima metà del novecento iniziano le discipline olimpioniche edaumenta la partecipazione delle donne a sport di squadra e di contat-to, mentre l’educazione fisica diviene materia scolastica anche per leragazze. Nel periodo fascista in Italia lo sport viene associato alla virili-tà, mentre le donne devono praticare attività che ne esaltino i movi-menti aggraziati. Con l’accesso femminile al voto ed il diffondersi del

Page 2: Psicopatologie femminili nello sport

concetto di parità, il divario fra i sessi nella possibilità di accesso allediscipline sportive sembra essere annullato, ma, se questo è vero perle attività ricreative e di fitness, non lo è altrettanto per lo sport profes-sionistico, poiché l’agonismo e lo “sport spettacolo” sono ancora ter-ritori maschili. I giornalisti sportivi sono prevalentemente uomini e lastampa offre più spazio allo sport di squadra maschile. A tutt’oggi leatlete italiane sono discriminate sul piano economico rispetto ai colle-ghi (Ricerca Regione Lazio, 2007) tanto che il 77% di coloro che pra-ticano attività sportiva a livello agonistico non raggiungono l’indipen-denza economica, il 21% afferma di aver subito in prima persona epi-sodi di discriminazione e soltanto il 29% recepisce una retribuzionefissa. Molte di loro considerano lo sport anche agonistico comeun’esperienza transitoria nella propria vita e non una possibilità profes-sionale. Le cause sono attribuite alla scarsa presenza di dirigentidonne nelle federazioni e società sportive ed alla mancanza di valoriz-zazione mediatica degli sport femminili. In base alla legge 91 del 1981poche atlete in Italia hanno diritto ad essere riconosciute professioni-ste e di conseguenza non hanno le tutele previste per le lavoratrici inmaternità. La maternità è del resto spesso rinviata a fine carriera pervari ordini di motivi.Il Rapporto ISTAT 2007 evidenzia come le donne abbiano sempremeno tempo da dedicare alle attività sportive, anche semplicementeamatoriali. Difficile è infatti conciliare lo sport agonistico con i tempidella famiglia, dello studio e del lavoro. Permangono poi sistemi di cre-denze stereotipate e aspettative di genere, comportamento, abilità,efficacia e successo ancora legati a parametri maschili che influenza-no l’autovalutazione e l’autostima delle atlete al ribasso e possonocondizionarne la stessa performance o indurle all’abbandono precoce(“drop out”). Femminilità nello stereotipo significa minore aggressivi-tà, ambizione e competitività, maggiore orientamento verso i rapportiinterpersonali, capacità empatica, passività e facilità di adattamento.Ma questi sono prototipi di personalità assegnati dalla cultura maschi-le ai quali le donne non sembrano affatto assomigliare, anche quandocercano di aderirvi. Nello sport comunque è certo che gli unici model-li e riferimenti sono quelli maschili e questo sembra avere un pesonella costruzione dell’identità sportiva femminile.Da diversi studi (Bal Filoramo, 2001; Brown, Frankel, e Fennell, 1989;Vaughter, Sadh, e Vozzola, 1994) emergono caratteristiche che vengo-no interpretate come specifiche del sesso femminile, quali la tenden-za ad attribuire a variabili esterne i successi ed alla propria responsa-bilità gli insuccessi e a spostare dunque il “locus of control” a secon-da dei risultati raggiunti. Sappiamo che i giochi dell’infanzia sono i pre-cursori dell’attività sportiva e delle differenze di genere nella sceltadelle specifiche discipline. Secondo Giuliano, Popp e Knight (2000) ilfatto di aver giocato in gruppi misti o prevalentemente dell’altro sessoè per le bambine predittivo di future possibilità agonistiche in sporttradizionalmente considerati maschili, così come la preferenza accor-data a giochi di movimento e competizione e giocattoli “da maschi”.Questo tipo di bambine risulterebbe favorito negli sport definitimaschili a causa della precoce valorizzazione di tratti ed attitudinicome la competenza e la coordinazione motoria, la velocità, il control-lo del corpo, la resistenza.Una grande influenza è poi esercitata dai modelli e dalle scale di valo-rizzazione familiari, sociali e del gruppo dei pari. La famiglia può infat-ti essere elemento di supporto o di disturbo nella scelta agonistica(Antshel e Anderman, 2000). Winnicott (1971) sottolinea il potere ritua-lizzante del gioco come creazione di situazioni-modello finalizzateall’acquisizione di competenze sulla realtà per mezzo della simulazio-ne. Appare allora evidente che l’esclusione dai giochi cosiddetti“maschili” comporterà per le bambine un mancato apprendimento ditratti, ruoli ed abilità culturalmente e socialmente definiti come carat-teristici del sesso opposto.L’identità personale si costruisce e si evolve sin dalla primissima infan-zia nella relazione con il corpo e la sua rappresentazione. Se tale rap-

presentazione si sviluppa in modo armonico, la personalità sarà equi-librata, in caso contrario mostrerà sintomi egodistonici e di disequili-brio. L’identità è dunque radicata non solo nella mente, ma anche nelcorpo. L’immagine individuale e in seguito quella rimandata dallosguardo degli altri, quella sociale, determineranno, nella reciprocainterazione, l’accettarsi e l’essere accettati, l’autostima ed il senso diefficacia personale. Il corpo e lo schema corporeo (la rappresentazio-ne, cioè, del proprio corpo in movimento, delle sequenze motorie edelle prassie automatizzate) sono dunque parte integrante nella costi-tuzione della consapevolezza della propria identità. Il tutto viene poifissato o modificato dalle relazioni sociali ed affettive a seconda chela risposta sia di approvazione o meno.Winnicott evidenzia come i primi giochi avvengano con il seno e conil corpo materno e già lì, nell’interazione giocosa con la madre, siabbozzi la prima rappresentazione di sé. Se l’identità si struttura a par-tire dal corpo, bisognerà tenere presente che ogni corpo è, prima diogni altra determinazione, biologicamente e culturalmente sessuato.Proporre questo tipo di approccio vuol dire opporsi ad una pericolosadesessualizzazione ed alla pervasiva affermazione di un “neutro”apparente, dietro il quale si cela il “soggetto unico”, in realtà il maschi-le, che da sempre impera nella cultura occidentale ed anche nella psi-cologia.La specificità dell’autorappresentazione del corpo femminile è con-nessa alle trasformazioni che nel corso dell’esistenza esso subisce, alsuo dinamismo: pensiamo alla pubertà, le mestruazioni, la gravidan-za, il parto, la menopausa, eventi fisiologici a volte vissuti con ambiva-lenza ed angoscia. Avere a che fare continuamente con il divenire e ilnuovo fa sì che ad ogni fase la donna debba imparare a “fare lutto”della precedente. Il mantenimento di un’identità stabile e non fram-mentaria è perciò un percorso a ostacoli, mentre non accade altret-tanto per la posizione maschile, che, una volta acquisita, è contrasse-gnata da una certa fissità e mostra maggior agio con l’accrescimento,coerentemente con il tipo di evoluzione corporea che ha attraversato.Per quanto concerne la psicologia dello sport le patologie specificheed aspecifiche riferite alle atlete sembrano differire nettamente nellaloro espressione da quelle maschili. Dalla letteratura esaminata(Anshel e Delany, 2001; Antshel e Anderman, 2000; Desertain eWess, 1998; Koivula, 1999) fra le sindromi specifiche da sport la“master sindrome” o “sindrome del campione” sarebbe raramenteriscontrabile nella donna atleta (Desertain e Wess, 1998; Koivula,1999), ovvero si manifesterebbe, più che nella sua totalità, nel paros-sismo di alcuni dei tratti descritti, non necessariamente accompagna-ti dagli altri, fino a confondersi con un disturbo di personalità aspecifi-co rispetto allo sport e forse preesistente. Ricordiamo brevementeche tale complesso di sintomi psicologici consiste nell’adozione di uncomportamento trasgressivo delle regole, perdita di controllo emoti-vo, disforia ed instabilità umorale, bassa tolleranza alle frustrazioni,ricerca di attenzioni e lodi, grandiosità, egocentrismo, atteggiamentiparanoici e recriminatori (Antonelli, 1963; Antonelli e Salvini, 1987).Nel caso della “nikefobia” (o “successphobia”, paura della vittoria), purugualmente rappresentata in uomini e donne, le spiegazioni psicoana-litiche che la riconducono al contrasto con l’autorità paterna, al sensodi colpa e all’ “angoscia di castrazione”, ovvero al timore inconsciodella ritorsione da parte del padre edipico, che l’atleta eviterebbe per-dendo o evitando la competizione, mal si adattano ai processi di svi-luppo psicologico femminili, contrassegnati da tutt’altre vicende edi-piche.La paura di competere e di vincere, la paura del successo nelle atletepuò dipendere dall’interiorizzazione di precoci apprendimenti sociali diuna corretta educazione “di genere”, ovvero la valorizzazione di trattied atteggiamenti ritenuti appropriati al genere femminile come lamodestia, l’umiltà, l’oblatività, la rinuncia al conseguimento di obietti-vi personali. Un’altra interpretazione, di carattere psicoanalitico,potrebbe stare nel divieto di “competere con la madre” per non susci-

32 Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT Numero 1 – 2008

GIORNALE ITALIANO

DI PSICOLOGIA DELLO SPORTRASSEGNERA

SSEG

NE

Page 3: Psicopatologie femminili nello sport

33Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT Numero 1 – 2008

GIORNALE ITALIANO

DI PSICOLOGIA DELLO SPORT RASSEGNE

tarne l’ira annientatrice (Klein, 1957) verso un io ancora instabile e nondel tutto separato e definito.Allo stesso modo l’ansia preagonistica (“prestart anxiety”) e la depres-sione da successo sarebbero riconducibili nella donna a difficoltà didifferenziazione e separazione (Aguglia e Sapienza 1988; Preti, Usai,Petretto, Miotto, e Masala, 2004) cioè sostanzialmente alla fragilitàdell’io. L’ansia preagonistica e la depressione da successo precedonospesso il “burn out” (disinvestimento emotivo e motivazionale dell’at-tività sportiva) ed il “drop out”, ovvero l’abbandono precoce della pra-tica agonistica, frequentissimo nelle giovani atlete. I disturbi del com-portamento alimentare, a nostro avviso imprecisamente classificatifra le patologie aspecifiche da sport, sono i più rappresentati nelleatlete e per certi aspetti divengono assimilabili alle condotte dopanti.L’idea monotematica di doversi alimentare solo di alcuni cibi ritenen-do che giovino particolarmente allo sviluppo muscolare e all’attivitàagonistica (ortoressia), l’anoressia-bulimia finalizzate al controllo ed almantenimento del peso o all’evitamento del menarca, spesso para-dossalmente incoraggiate dagli stessi allenatori o dai genitori in parti-colare delle giovanissime ginnaste, sono temi che sembrano interes-sare quasi elusivamente le donne. Il quadro si completa poi conl’“exercise addiction”, una compulsione nell’allenamento che spessoaccompagna il comportamento alimentare disfunzionale e facilmentesi associa a dismorfofobie.Il frequentissimo controllo dei cicli mestruali tramite l’assunzione dellapillola contraccettiva senza interruzioni o le iniezioni di ormoni almedesimo scopo, il sovrallenamento, il basso peso corporeo ricerca-to per favorire la performance, conducono spesso le atlete di alcunediscipline a scompensi endocrini e metabolici, che possono avereanche serie ripercussioni psichiche. Ricordiamo la famosa “triade del-l’atleta” costituita da amenorrea, alterazioni della condotta alimentaredi vario tipo (ad es., dieta iperproteica e chetonica), osteoporosi. Lericerche evidenziano il diffuso comportamento alimentare disfunzio-nale nel 74% delle ginnaste, il 47% delle maratonete, il 15,4% dellenuotatrici (Antonelli, Caputo, Grandonico, Tognetti, e Zenobi, 1991;Preti et al., 2004). Sulla base di tali dati si evidenzia senza dubbio lanecessità di sensibilizzare manager, famiglie, allenatori ed in generaletutti coloro che strutturano il contesto sportivo al fine di preveniresimili problematiche.Una ricerca di Desertain e Wess (1998) rileva che le atlete androginepresentano minori conflitti e patologie rispetto a quelle molto caratte-rizzate femminilmente, che vanno incontro più frequentemente a con-flitti di ruolo, “burn out” e abbandono precoce dell’attività sportiva.L’androginia è definita come l’interiorizzazione dei tratti sessuali tipicidi entrambi i generi ed il conflitto di ruolo avrebbe origine nelle perso-nalità inadeguate a far fronte alle caratteristiche richieste dallo sport(assertività, forza, indipendenza). Secondo gli autori citati il conflitto diruolo viene risolto generalmente dalle atlete adottando quattro strate-gie di coping disadattivo consistenti nell’evitamento di ambienti socia-li non sportivi, l’adozione di un comportamento androgino anche incontesti non sportivi o, al contrario, l’iperfemminilizzazione ed infinel’abbandono della pratica agonistica. Il contesto sportivo e la rete dellefigure che ne fanno parte possono divenire per le atlete una sorta di“claustrum” protettivo rispetto al mondo esterno, generando ed ampli-ficando difficoltà relazionali, affettive e di mantenimento dell’identitàpersonale al di fuori delle sue “mura di cinta”. L’allenamento intensoquotidiano, in oltre, grazie all’iperstimolazione sensoriale e muscolareed al rilascio di endorfine, può consentire il mascheramento e la ridu-zione di sensazioni depressive più o meno coscienti. Se praticato inmodo compulsivo, lo sport è talvolta sintomatico dell’esistenza di unproblema psichico. L’incapacità di accettare una sconfitta o un calonell’efficienza fisica e nelle prestazioni può motivare anche la donnaatleta a condotte dopanti, generando un circolo vizioso incrementato,successivamente, proprio dalle disfunzioni neurobiologiche, endocri-ne e cerebrali indotte dal doping.

Un altro aspetto, che non può definirsi patologico, ma che va comun-que rilevato come tema quasi esclusivamente femminile nello sport,è la preponderante non coincidenza, in alcune discipline come adesempio il calcetto e il rugby, fra sesso biologico ed identità sessualedelle atlete. Questo è un fenomeno, ancora soggiacente a tabù edomissioni, del quale è difficile valutare la preesistenza alla scelta spor-tiva. Non sappiamo cioè se preceda ed indirizzi la scelta di sport gene-ralmente definiti maschili o ne sia al contrario condizionato.

CONCLUSIONI

Le problematiche femminili nello sport appaiono del tutto dissimilida quelle maschili. La scarsa visibilità ed il difficile accesso al profes-sionismo delle donne atlete ne scoraggiano l’imitazione, favorendoinvece l’identificazione e l’ammirazione per gli atleti maschi delleanaloghe discipline, sostanziando un vuoto di “genealogie” e model-li femminili nello sport. Fortunatamente questo stato di cose stacambiando. Riteniamo che un’accelerazione verso il cambiamentopossa avvalersi del contributo della psicologia dello sport chedovrebbe prefigurare disegni di ricerca volti ad esplorare e valorizza-re le differenze di genere nello sport e la specificità della motivazio-ne agonistica nella donna.

Aguglia, E., Sapienza, S. (1988). Aspetti della competizione nella adolescenza.Atletica Studi, 2, 165-174.

Anshel, M. H., & Delany, J. (2001). Sources of acute stress, cognitive appraisalsand coping strategies of male and female child athletes. Journal of SportBehavior, 24, 329-353.

Antonelli, F. (1963). Psicologia e psicopatologia dello sport. Roma: LeonardoEdizioni Scientifiche.

Antonelli, F., Caputo C., Grandonico, N., Tognetti, A., e Zenobi, L. (1991).L’anoressia provocata: indagine sul rapporto fra alimentazione, immaginecorporea, immagine di sé in alcune specialità sportive. Movimento, 7, 95-101.

Antonelli, F., e Salvini A. (1987). Psicologia dello sport. Roma. Lombardo Editore.Antshel, K. M., & Anderman, E. M. (2000). Social influences on sport participa-

tion during adolescence. Journal of Research and Development inEducation, 33, 85-94.

Bal Filoramo, L. (a cura di) (2001). Trasformazioni dell’immagine femminile nellosport. La psicologia dello sport fra performance e benessere. Torino: CELID.

Brown, B. A., Frankel, B. G, & Fennell, M. P. (1989). Hugs or shrugs: parental andpeer influence on continuity of involvement in sport by female adolescents.Sex Roles, 20, 397-412.

Cann, A. (1991). Gender expectations and sport participation. In L. Diamant(Ed.), Psychology of Sport, Exercise, and Fitness. New York: HemispherePublishing.

Desertain, G. S., & Wess, M. R. (1998). Being female and athletic: a cause forconflict? Sex Roles. 18, 567-582.

Giuliano, T. A., Popp, K. E., & Knight, J. L. (2000). Football versus Barbie: childho-od play activities as predictors of sport participation by women. Sex Roles,42, 159-181.

Klein, M. (1957). Invidia e gratitudine (trad. it. 1969). Firenze: MartinelliKoivula, N. (1999). Sport participations: differences in motivation and actual par-

ticipation due to gender typing. Journal of Sport Behavior, 22, 360-375.Preti, A., Usai, A., Petretto, D. R., Miotto, T., e Masala, C. (2004). Disturbi del

comportamento alimentare in adolescenti impegnate in attività sportivecompetitive. Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 1, 143-156.

Ricerca Regione Lazio (2007). Donne e sport. Roma: Sport day 5/12/07.Vaughter, R. M., Sadh, D., & Vozzola, E. (1994). Sex similarities and differences

in types of play games and sports. Psychology of Woman Quarterly, 18, 85-104.

Winnicott, D. W. (1971). Gioco e Realtà (trad. it. 1974). Roma: Armando Editore.

BIBLIOGRAFIA