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frfltrfi zTÉsABATo le MAM' 2ol I tS6uzott $o qrffitl'I RrsoRcrm CREAAA' di VITTORIO DORNETTI T a'problematica sollevata dalTa "conversione" patriottica di l:Toffetti si ripresenta in termini ancora più appassionanti a proposito di Bnrico Martini. Detto in parole semplici: cosa fuo aver indotto un giovane nobile, ricco, destinato a una carnerabri- lante e sicura, a rinnegare tutto questo, e a schierarsi a favore di un.partito che, nella migliore delle ipotesi, si fondava sopra un desiderio e una speranza? Il destino del giovane Enrico sembrava infatti segnato fin dalla nascita (che awenne nel 1818 a $an Bernardino, allora comune autonomo) a svolgersi secondo binari collaudati, comuni a tan- ti rampolli della nobiltà lombarda. Frequentò il Regio Collegio Marinimo di Venezia (i rapporti di Crema con la Serenissima rimanevano ferrei); viaggio all'estero (soprattutto a Parigi, dove ebbe qualche contatto con I'ambiente moderato italiano e france.- se); fu un assiduo frequentatore dei salotti della nobiltà milanese, come moltissimi altri del suo ceto. A un certo momento, non più che ven- tenne awenne una rottura con tutto questo. Perché? Ebbe probabilmente un ruolo la sua ambizione personale, I'opporhr- nità di distinguersi,-nel nuovo stato, atEaverso tm ruolo più elevato, più definito, che awebbe messo meglio in luce le sue doti. Ambizioso Marti- ni lo era sicuramentg come dimostra la scelta di proseguire, dopo il 1859, nell'attività politica, candidandosi proprio a Crema; e come dimostrano soprattutto le vivaci proteste dirette a Cavour chg a suo dire, non gli of- friva un appoggio adeguato. Si tatta di una circostanza di cui tener conto seÍrza imbarazzo. Solo chi mantiene rura visione moralistica e astratta del- la storia può condannarla, e attribu- irle un peso sproporzionato. Anche i Una íncísíone cho íIlastra an episodio,{ello Cínque Gíornue MíIano. Martinífu ó'mbascíatorc delGoverno provvísorio che sifurrnò subito fupo patrioti e-gli eroi infatti aon agiscono solo sulla base dell'ideo- logra, ma di una complessità di fattori che coinvolgono l'indole, la sensibilità e i condizionamenti del proprio viszuto. Sulla base delle ricerche di Pietro Martini, recentemente raccolte nel suo volume II goverru prowinio di Mílano (Leva Artigrafiche edito- 're), si può invocare, a motivare la sua scelta, anche l'esempio e il magistero di Vincenzo Toffetti, che Enrico considerò sempre il buo mentore, e che verosimilmente lo aiutò a dare un senso e un orientamento a una vita che fino a quel momento si era rivelata piuttosto inconcludente e oziosa. Ya fatta risalire a Toffetti, pro- babilrnente, anche la decisione di aderire al partito dei liberali moderati piemontesi per riscattare la Lombardia, sulla base della convinzione che anche al Piemonte conveniva contrastare I'Au- stria o quanto meno limitare il suo potere. Forse non va sottovalutata neppure l'influenza che sul conte cremasco ebbe il giovane cognato Luciano Manara, di Antegna- te, un patriota vicino ai democratici e ai mazziniani. ma dotato di notevole duttilita politica, e molto legato affettivamente a En- rico (i due infatti, che avevano caratteri e idee politiche diverse, rimasero amici molto stretti anche dopo la morte della moglie di Martini). La maturazionepolitica del giovane cremasco venne completa- l*icoMartid, patriot ilecremasco ta dag)t scritti di Massimo d'Azeglio (in particolare GIi ultimi casi di Romagna. 1848) e di Cesare Balbo (Le speranzt d'Italia, l8M): due testi che venivano soverìte lettt in blocco, come due battute di uno stesso dialogo: nell'uno si insisteva sulf inefficacia della pra- . tica insurrezionale e in particolare dei moti carbonari; nell'altro si indicava la necessità, per la liberazione dell'Italia, di una gurda laica, individuata nel re di Sardegna, cioè nel capo dello stato italiano più organizzato dal punto di vista militare. Il contributo di Martini all'impresa italiana è limitato alla prima guera d'IndipenderLza; esso riguardò soprattutto la sfe- ra diplomatica, esattamente come per il suo mentore Vincenzo lìotretti. Fu ambasciatore del Governo pròwisorio che si formò dopo.le Cinque Giornate di Milano; e in questa veste ricevette I'incarico di porre alcune condizioni a Carlo Alberto, in cambio della richiesta ufficiale di intervento da parte dei Milanesi. Una di queste consistette nell'impegno da parte del re di adottare la bandiera tricolore a cui aggiungere, in campo bianco, lo stemma dei Savoia. Il sowano accettò senza battere ciglio, ma gli dovette costare moltissimo, non solo per il ben noto amore che egli portava al vessillo sabaudo, ma soprathrtto perché da tempó il tricolore aveva assunto un significato politico preciso: agli oc- chi di molti, infatti, assumeva un inequivocabile significato democra- tico e sowersivo. n suo capolavoro diplomatico (che assunse anche tratti rocambo- leschi che lo stesso Martini prowide a esaltare) fir certamente I'incarico di penetrare nella Milano assediata dall'esercito austriaco per annuncia- re la disponibilita.del re di Sardegna a intervenire a favore dei rivoltosi. Martini entrò in citta travestito da operaio addetto al trasporto del sale,e in questa veste corse il rischio non teorico di essere smascherato e passato immediatamente per le armi. Uscire da Milano si rivelò pericoloso quanto enúare: Martini tentò più volte di awicinarsi ai bastioni, e almeno in due occasioni venne fermato dai rivoltosi che lo consideravano una spia e riportato apalazzo Taverna, sede del Comitato prowisorio (solo la seconda volta, in cui I'appari- zione di Martini fu salutata da una solenne risata dei presenti, si pensò di fornirlo di un salvacondotto che gli permettesse di super.ue le barriere dei rivoltosi). Anche per Martini come per molti patrioti alla poesia della lot- ta per f indipendenza teffie dietro la prosa dell'unificazione che non gli risparmiò le amarczze e nella quale, da uomo politico e da parlamentare, non si comportò sempre in maniera impeccabile. Ma le sue imprese di giorrennr rimangono; e finisce per prenderne atto anche il suo eterno rivale, Francesco Sforza Benvenuti, che sembra alludere a se stesso quando afferma (nel profilo del zuo Dizionario biografico): "Ne compiansero la morte gli stessi suoi awersari, i quali, pur credendo di avere dei motivi per contrastar- gli I'entrata in parlamento, non potevano in lui disconoscere pregi non volgari (...) la storia ricorderà il nome del conte Martini na quei patrioti lombardi che nel 1848 si adoperarono calorosamen- te per I'indipendettza nazíonale e per accrescere nuove gemme alla corona reale della benemerita Casa di Savoia".

qrffitl'I l*icoMartid, - societanazionale.it · autonomo) a svolgersi secondo binari collaudati, comuni a tan-ti rampolli della nobiltà lombarda. Frequentò il Regio Collegio Marinimo

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Page 1: qrffitl'I l*icoMartid, - societanazionale.it · autonomo) a svolgersi secondo binari collaudati, comuni a tan-ti rampolli della nobiltà lombarda. Frequentò il Regio Collegio Marinimo

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di VITTORIO DORNETTI

T a'problematica sollevata dalTa "conversione" patriottica dil:Toffetti si ripresenta in termini ancora più appassionanti aproposito di Bnrico Martini. Detto in parole semplici: cosa fuoaver indotto un giovane nobile, ricco, destinato a una carnerabri-lante e sicura, a rinnegare tutto questo, e a schierarsi a favore diun.partito che, nella migliore delle ipotesi, si fondava sopra undesiderio e una speranza?

Il destino del giovane Enrico sembrava infatti segnato fin dallanascita (che awenne nel 1818 a $an Bernardino, allora comuneautonomo) a svolgersi secondo binari collaudati, comuni a tan-ti rampolli della nobiltà lombarda. Frequentò il Regio CollegioMarinimo di Venezia (i rapporti di Crema con la Serenissimarimanevano ferrei); viaggio all'estero (soprattutto a Parigi, doveebbe qualche contatto con I'ambiente moderato italiano e france.-se); fu un assiduo frequentatore dei salotti della nobiltà milanese,come moltissimi altri del suo ceto. Aun certo momento, non più che ven-tenne awenne una rottura con tuttoquesto. Perché?

Ebbe probabilmente un ruolo lasua ambizione personale, I'opporhr-nità di distinguersi,-nel nuovo stato,atEaverso tm ruolo più elevato, piùdefinito, che awebbe messo meglioin luce le sue doti. Ambizioso Marti-ni lo era sicuramentg come dimostrala scelta di proseguire, dopo il 1859,nell'attività politica, candidandosiproprio a Crema; e come dimostranosoprattutto le vivaci proteste direttea Cavour chg a suo dire, non gli of-friva un appoggio adeguato. Si tattadi una circostanza di cui tener contoseÍrza imbarazzo. Solo chi mantienerura visione moralistica e astratta del-la storia può condannarla, e attribu-irle un peso sproporzionato. Anche i

Una íncísíone cho íIlastra an episodio,{ello CínqueGíornue dí MíIano. Martinífu ó'mbascíatorc

delGoverno provvísorio che sifurrnò subito fupo

patrioti e-gli eroi infatti aon agiscono solo sulla base dell'ideo-logra, ma di una complessità di fattori che coinvolgono l'indole,la sensibilità e i condizionamenti del proprio viszuto. Sulla basedelle ricerche di Pietro Martini, recentemente raccolte nel suovolume II goverru prowinio di Mílano (Leva Artigrafiche edito-'re), si può invocare, a motivare la sua scelta, anche l'esempio eil magistero di Vincenzo Toffetti, che Enrico considerò sempre ilbuo mentore, e che verosimilmente lo aiutò a dare un senso e unorientamento a una vita che fino a quel momento si era rivelatapiuttosto inconcludente e oziosa. Ya fatta risalire a Toffetti, pro-babilrnente, anche la decisione di aderire al partito dei liberalimoderati piemontesi per riscattare la Lombardia, sulla base dellaconvinzione che anche al Piemonte conveniva contrastare I'Au-stria o quanto meno limitare il suo potere.

Forse non va sottovalutata neppure l'influenza che sul contecremasco ebbe il giovane cognato Luciano Manara, di Antegna-te, un patriota vicino ai democratici e ai mazziniani. ma dotatodi notevole duttilita politica, e molto legato affettivamente a En-rico (i due infatti, che avevano caratteri e idee politiche diverse,rimasero amici molto stretti anche dopo la morte della moglie diMartini).

La maturazionepolitica del giovane cremasco venne completa-

l*icoMartid,patriot ilecremasco

ta dag)t scritti di Massimo d'Azeglio (in particolare GIi ultimi casidi Romagna. 1848) e di Cesare Balbo (Le speranzt d'Italia, l8M):due testi che venivano soverìte lettt in blocco, come due battute diuno stesso dialogo: nell'uno si insisteva sulf inefficacia della pra- .

tica insurrezionale e in particolare dei moti carbonari; nell'altrosi indicava la necessità, per la liberazione dell'Italia, di una gurdalaica, individuata nel re di Sardegna, cioè nel capo dello statoitaliano più organizzato dal punto di vista militare.

Il contributo di Martini all'impresa italiana è limitato allaprima guera d'IndipenderLza; esso riguardò soprattutto la sfe-ra diplomatica, esattamente come per il suo mentore Vincenzolìotretti. Fu ambasciatore del Governo pròwisorio che si formòdopo.le Cinque Giornate di Milano; e in questa veste ricevetteI'incarico di porre alcune condizioni a Carlo Alberto, in cambiodella richiesta ufficiale di intervento da parte dei Milanesi. Unadi queste consistette nell'impegno da parte del re di adottare labandiera tricolore a cui aggiungere, in campo bianco, lo stemma

dei Savoia. Il sowano accettò senzabattere ciglio, ma gli dovette costaremoltissimo, non solo per il ben notoamore che egli portava al vessillosabaudo, ma soprathrtto perché datempó il tricolore aveva assunto unsignificato politico preciso: agli oc-chi di molti, infatti, assumeva uninequivocabile significato democra-tico e sowersivo.

n suo capolavoro diplomatico(che assunse anche tratti rocambo-leschi che lo stesso Martini prowidea esaltare) fir certamente I'incaricodi penetrare nella Milano assediatadall'esercito austriaco per annuncia-re la disponibilita.del re di Sardegnaa intervenire a favore dei rivoltosi.Martini entrò in citta travestito daoperaio addetto al trasporto delsale,e in questa veste corse il rischionon teorico di essere smascherato e

passato immediatamente per le armi. Uscire da Milano si rivelòpericoloso quanto enúare: Martini tentò più volte di awicinarsiai bastioni, e almeno in due occasioni venne fermato dai rivoltosiche lo consideravano una spia e riportato apalazzo Taverna, sededel Comitato prowisorio (solo la seconda volta, in cui I'appari-zione di Martini fu salutata da una solenne risata dei presenti,si pensò di fornirlo di un salvacondotto che gli permettesse disuper.ue le barriere dei rivoltosi).

Anche per Martini come per molti patrioti alla poesia della lot-ta per f indipendenza teffie dietro la prosa dell'unificazione chenon gli risparmiò le amarczze e nella quale, da uomo politico e daparlamentare, non si comportò sempre in maniera impeccabile.Ma le sue imprese di giorrennr rimangono; e finisce per prenderneatto anche il suo eterno rivale, Francesco Sforza Benvenuti, chesembra alludere a se stesso quando afferma (nel profilo del zuoDizionario biografico): "Ne compiansero la morte gli stessi suoiawersari, i quali, pur credendo di avere dei motivi per contrastar-gli I'entrata in parlamento, non potevano in lui disconoscere preginon volgari (...) la storia ricorderà il nome del conte Martini naquei patrioti lombardi che nel 1848 si adoperarono calorosamen-te per I'indipendettza nazíonale e per accrescere nuove gemmealla corona reale della benemerita Casa di Savoia".