23
FRANCESCO RUTELLI FONDAZIONE ROMA EURO IL FUTURO DI ROMA NEL FUTURO DELL'EuROPA rapa cresce pOCOma l'Italia ha una crescita più vicina allo zero di l trio Il pilastro franco-tedesco, pur in difficoltà, è quello di un Eur pa che ha di fronte un Oriente con una crescita di lO punti all'ann e non è vero che dopo 1'11 settembre non c'è stata crescita econom ca nel mondo, anzi il PIL mondiale è cresciuto di 4 punti e mez circa all' anno grazie alla crescita cinese e indiana con 9 punti circa al l'anno. LAmerica cresce all'incirca la metà verso il 4 %, l'Europa l metà con il2 % circa e l'Italia con la metà con circa 0,8-1,0 %. M al di là del nostro Paese, l'Irlanda è stata una mosca bianca sapend utilizzare al meglio i finanziamenti europei. L'Europa è troppo sr gnante, è stata fatta la strategia di Lisbona, si è cercato di portare avan ti l'economia della conoscenza basata sull' innovazione e trasforman do l'Europa in un' area all' avanguardia con la ricerca nei vari filon dell'innovazione che si riflettesse sulle attività produttive ma così no è stato, ed è fallita la strategia di Lisbona. Non credo che il prossim vertice britannico porterà dei cambiamenti con l'idea di Blair di far convergere i finanziamenti normalmente destinati all' agricoltura ver so la ricerca, per tenere fede alla strategia di Lisbona: Blair ha dett una cosa che molti hanno considerato interessante, ma va raffinat portando l'agricoltura a essere un elemento molto importante anch nella gestione del territorio soprattutto della zone più svantaggiat . Non c'è dubbio che una politica di investimento deve convergere ver- so l'innovazione da un punto di vista politico strategico. Se si dev far fronte alla crisi israelo-palestinese o irachena l'Europa però non c'è, non c'è per far fronte a situazioni di crisi internazionale. C'è so- lo per sottolineare le diversità tra favorevoli o contrari alla guerra. L'Europa non c'è per quanto riguarda il peso politico di quella eh noi chiamiamo una visione nostra che pur appartenendo alla stessa I l ulturale oltre che geografica del mondo ha a sua volta realtà cul- li III ben distinte, se paragonate alla omogeneità dell'America. Se vo- 1111110 difendere il nostro modello sociale dobbiamo rinnovarlo. Non ItI 'sa di una cosa preziosa se non attraverso un coraggioso rinno- IIHIl! . Non basta dire che siamo innamorati di un modello socia- 11011 accetteremmo mai una politica che non preveda un servizio 1III.Iriopubblico per tutti, e vale per tutti gli orientamenti politici: I 1.1 a cuore che ci sia un fondamento di uguaglianza per i servizi IlIl 1.1 mentali. Esiste un modello sociale europeo che è stato discus- " un.rlizzando i diversi modelli europei per decifrare le migliori per- I 1IIII,Inceche sono state individuate in quella britannica e scandina- I, q\l .ste ultime ad orientamento molto bipartisan. La ricchezza di 11111.1 quest'area non è molto diversa dalla sola Lombardia, e la popo- 1111011 arriva si e no a venti milioni di persone. I modelli sono mol- 111 1111 .ressanti, la gente accetta di pagare fino al 50 % del reddito, 111111 'i sono sprechi perché chi paga tasse elevate ha accesso al con- ulillo della spesa pubblica e può ribellarsi a degli sprechi che non ri- Il Il' pportuni pretendendo un buon rendimento di quello che spen- Il 111 tasse. La Svezia aveva un welfare troppo generoso e l'invecchia- IIlllll della popolazione aveva portato il paese al declino, è stata cam- 111,11.1 la politica sociale e da essere tra gli ultimi paesi al mondo per la Il u.ilità è nettamente risalita e ha fatto uno shift di investimenti dal- l' I\~istenza all'innovazione sostenuti dal pubblico: basti pensare a I 111 S on e Nokia. L'Italia ha una bassissima natalità che provocherà IHI prossimi 20 anni un saldo di 300.000 persone in meno che en- 111 Ianno nel mondo del lavoro a causa della nostra depressione de- Illografica. Ci sarà la necessità di sopperire a questa esigenza con flus- I di immigrazione. Quindi il modello scandinavo è risultato il più 80 81

Quaderno 2005 - pag80-125

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Sezione del Quaderno annuale della Fondazione Roma Europea.

Citation preview

Page 1: Quaderno 2005 - pag80-125

FRANCESCO RUTELLI FONDAZIONE ROMA EURO IL FUTURO DI ROMA NEL FUTURO DELL'EuROPA

rapa cresce pOCOma l'Italia ha una crescita più vicina allo zero di ltrio Il pilastro franco-tedesco, pur in difficoltà, è quello di un Eurpa che ha di fronte un Oriente con una crescita di lO punti all'anne non è vero che dopo 1'11 settembre non c'è stata crescita economca nel mondo, anzi il PIL mondiale è cresciuto di 4 punti e mezcirca all' anno grazie alla crescita cinese e indiana con 9 punti circa all'anno. LAmerica cresce all'incirca la metà verso il 4 %, l'Europa lmetà con il2 % circa e l'Italia con la metà con circa 0,8-1,0 %. Mal di là del nostro Paese, l'Irlanda è stata una mosca bianca sapendutilizzare al meglio i finanziamenti europei. L'Europa è troppo srgnante, è stata fatta la strategia di Lisbona, si è cercato di portare avanti l'economia della conoscenza basata sull' innovazione e trasformando l'Europa in un' area all' avanguardia con la ricerca nei vari filondell'innovazione che si riflettesse sulle attività produttive ma così noè stato, ed è fallita la strategia di Lisbona. Non credo che il prossimvertice britannico porterà dei cambiamenti con l'idea di Blair di farconvergere i finanziamenti normalmente destinati all' agricoltura verso la ricerca, per tenere fede alla strategia di Lisbona: Blair ha dettuna cosa che molti hanno considerato interessante, ma va raffinatportando l'agricoltura a essere un elemento molto importante anchnella gestione del territorio soprattutto della zone più svantaggiat .Non c'è dubbio che una politica di investimento deve convergere ver-so l'innovazione da un punto di vista politico strategico. Se si devfar fronte alla crisi israelo-palestinese o irachena l'Europa però nonc'è, non c'è per far fronte a situazioni di crisi internazionale. C'è so-lo per sottolineare le diversità tra favorevoli o contrari alla guerra.L'Europa non c'è per quanto riguarda il peso politico di quella ehnoi chiamiamo una visione nostra che pur appartenendo alla stessa

I l ulturale oltre che geografica del mondo ha a sua volta realtà cul-li III ben distinte, se paragonate alla omogeneità dell'America. Se vo-1111110 difendere il nostro modello sociale dobbiamo rinnovarlo. Non

ItI 'sa di una cosa preziosa se non attraverso un coraggioso rinno-IIHIl! . Non basta dire che siamo innamorati di un modello socia-

11011 accetteremmo mai una politica che non preveda un servizio1III.Iriopubblico per tutti, e vale per tutti gli orientamenti politici:I 1.1 a cuore che ci sia un fondamento di uguaglianza per i serviziIlIl1.1 mentali. Esiste un modello sociale europeo che è stato discus-

" un.rlizzando i diversi modelli europei per decifrare le migliori per-I 1IIII,Inceche sono state individuate in quella britannica e scandina-

I, q\l .ste ultime ad orientamento molto bipartisan. La ricchezza di11111.1 quest'area non è molto diversa dalla sola Lombardia, e la popo-1111011 arriva si e no a venti milioni di persone. I modelli sono mol-111 1111 .ressanti, la gente accetta di pagare fino al 50 % del reddito,111111 'i sono sprechi perché chi paga tasse elevate ha accesso al con-ulillo della spesa pubblica e può ribellarsi a degli sprechi che non ri-Il Il' pportuni pretendendo un buon rendimento di quello che spen-Il 111 tasse. La Svezia aveva un welfare troppo generoso e l'invecchia-IIlllll della popolazione aveva portato il paese al declino, è stata cam-111,11.1 la politica sociale e da essere tra gli ultimi paesi al mondo per laIlu.ilità è nettamente risalita e ha fatto uno shift di investimenti dal-l' I\~istenza all'innovazione sostenuti dal pubblico: basti pensare aI 111 S on e Nokia. L'Italia ha una bassissima natalità che provocheràIHI prossimi 20 anni un saldo di 300.000 persone in meno che en-111 Ianno nel mondo del lavoro a causa della nostra depressione de-Illografica. Ci sarà la necessità di sopperire a questa esigenza con flus-I di immigrazione. Quindi il modello scandinavo è risultato il più

80 81

Page 2: Quaderno 2005 - pag80-125

FRANCESCO RUTELLI

efficiente, dinamico e responsabile, un governo dove si passa ad un' al-ternanza politica senza traumi: arriva un governo di centro destranon fa un falò di tutto quello che è stato fatto dal precedente gover-no socialdemocratico e viceversa, con estrema maturità. Il modellinglese è stato favorito dall' eredi tà del governo Thatcher che ha la-sciato a Blair un grande conflitto che ha risolto con mano pesantcon delle indicazioni negative ma con vantaggi indiscutibili per il ri-sanamento della cosa pubblica. Con Blair però i conti tornano, c'una crescita del 3 % c'è una redistribuzione sociale, se andate a vede-re questi 6-7 anni di governo Blair c'è stato un trasferimento di ric-chezza dalla fascia più alta a quella più povera pur essendo un paesdalla dinamicissima capacità economica e produttiva. Questo per di-re che la nostra sfida è rispondere alla doppia crisi dell'Europa in cam-po economico e in campo della difesa e la sicurezza con un esercitoeuropeo che ci permetta di contare nel mondo come europei. L'Eu-ropa si occupa troppo di come fare le cose, vedi l'esempio della Tur-chia sì, Turchia no, che diventerebbe il primo paese in Europa anchprima della Germania, un paese a prevalente componente islamica,un paese dal quale passano tutti gli approvvigionamenti energeticieuropei, e anche la capacità di fare un islam democratico passa da Il.Peres mi disse che un autocrate come Ataturk ha portato la demo-crazia e un islamista ha portato il pluralismo religioso. Questo para-dosso per dire che la Turchia ci sta interpellando per cambiare il pa-norama europeo.

Poiché i tempi attuali proiettano una riflessione sulla secondarie-tà, cioè sulla capacità di imparare dagli altri che è stata la forza di Ro-ma e del pensiero europeo, e poiché nel tempo breve dobbiamo im-parare dagli altri velocemente e interagire e trasferire alcune delle espe-

82

IL FUTURO DI ROMA NEL FUTURO DELL'EUROPA

Il Il'I,C migliori che siamo in grado di conoscere, allora il dovere di111.1.ittà è di non smettere mai di cambiare e il dovere dell'Europa èIIl10n preoccuparsi solo di come cambia dal punto di vista istituzio-1111,·dei suoi meccanismi di funzionamento ma anche dal punto diI 1.1dei suoi obiettivi e delle sue missioni. La grande passione del-

I ""Iropa del dopoguerra ci ha portato a creare pace, dopo la morteIl d . ine di milioni di europei, e a creare benessere dopo una condi-11111. di sofferenza e l'ansia del miglioramento. Credo che oggi l'Eu-

IlIp.1manchi di una missione, quella di quanto vuole contare nel rnon-III ,. quando vuole essere protagonista. I nostri amici alleati america-111operano e decidono. Le colossali crescite della Cina e dell'India1.1I11l0avendo e avranno sempre di più un impatto che dobbiamo te-

111I • in considerazione, per trame insegnamento e sfruttare la nostraI Ip.\ ità di secondarietà. Per fare questo ci vuole leadership. Le ele-IIll1iin Germania sono la dimostrazione che la posta in gioco è al-

li sima e il rischio è che i due contendenti si trovino a lavorare senzaIVI l' ' veramente un obiettivo comune. L'Italia senza l'economia tede-1.1 .he tira perde un punto di PIL all' anno, l'Europa senza il moto-Il rcdesco che gira sta ferma, ci vuole leadership, strategie sul come

unbiare lo stato delle cose. Questa è la sfida più interessante: cerca-Il di difendere il modello sociale europeo di cui siamo innamorati e.1quale non intendiamo rinunciare attraverso la sua trasformazione.Ilgando le due parole Roma e Europa, ho voluto parlarvi ringrazian-limi della vostra attenzione.

83

Page 3: Quaderno 2005 - pag80-125

FRANCESCO RUTELLI FONDAZIONE ROMA EUROI'

INTERVENTI DEI CONVENUTI

Cesare San MauroRingrazio Francesco Rutelli perchè stasera abbiamo volato veramen

te alto. E adesso le domande:

Gianpiero GamaleriQuale è l'assetto politico istituzionale che ci si auspica possa esser

adeguato ad un Paese come il nostro che ha tutte le caratteristichecontraddizioni che noi conosciamo?

Nicola ScalziniI paesi che liberalizzano crescono di più, ma quando si va verso I

scelte più concrete si trova un muro, come se ne esce?

Umberto CappuzzoL'Europa della difesa procede, è attiva e abbiamo già una sede a Vi-

cenza. L'Europa ha già una sua forma attiva di difesa.

Mario De AngelisVolevo chiedere a suo avviso in che misura c'è un condizionamen-

to del mondo economico verso la politica, e che cosa la politica si aspet-ta dal mondo economico, e se è possibile per l'impresa conciliare pro-fitto e interesse per la collettività.

Gennaro MonacoHo colto nel suo discorso un punto di sintesi: l'Europa delle diver-

sità, l'Italia delle diversità il problema della leadership, della coesione,

84

l'Il!'!'. PRIMA IL FUTURO DI ROMA NEL FUTURO DEL~EuROPA

di lla decisione, il passare dalla torre di babele a una cosa certa per an-d.ll" avanti, per fare. Vorrei sapere come risolvere questo dilemma.

rrancesco Rutelliirca l'assetto politico istituzionale, noi difendiamo il bipolarismo

pl l' .hé l'Italia ci guadagna nel porsi davanti agli elettori con una coali-none versus un' altra. Naturalmente il mio sogno è quello di avere unhipolarismo equilibrato e non condizionato in entrambi gli schiera-menti da forze estreme ma questo è un processo politico e non istitu-zionale, su questo ultimo piano dico che dobbiamo mettere mano alpro esso federalista, l'Italia ha visto nascere il sentimento di unità na-/innale paradossalmente attraverso i comuni sette secoli fa e il senso.lcll'Italia nasce attraverso l'autonomia e l'Italia ha un immenso inte-Il'sse a valorizzare le differenze nel territorio.

iamo in un paese in cui è impossibile fare lo stesso discorso in.111 ' città diverse. Il concetto di diversità quindi è in questo paese unLitta molto positivo, per valorizzare le vocazioni mettere al lavoro leuniversità con le attività produttive, le camere di commercio. Però1011 57 milioni di abitanti non ci possiamo permettere di avere un,Ipparato istituzionale barocco come quello che abbiamo via via co-Iitu ito con responsabilità anche della sinistra e della devolution di

110 si. Dobbiamo quindi semplificare il sistema anche a rischio di es-ne impopolari. Dobbiamo mettere mano ad un apparato nel quale

Il' regioni competano nel mondo e non tra di loro: quando sono an-dato a conoscere il presidente del partito comunista di Shanghai e miha raccontato la sfilza di governatori che lo andavano a trovare perLII'prevalere favoritismi turistici verso una regione piuttosto che ver-xo un'altra delle 20 regioni italiane, sono rimasto allibito. Ma vi pa-

85

Page 4: Quaderno 2005 - pag80-125

86

IL FUTURO DI ROMA NEL FUTURO DELLEUROPAFRANCESCO RUTELLI

re che debbano competere la Liguria contro la Sicilia o l'Umbrifar venire venti milioni di cinesi? Lo deve fare l'Italia. Ma nonessere logico che questo succeda, che ci debbano essere 20 poliregionali, 20 delle reti, 20 delle infrastrutture, 20 politiche enche. Questo non si può fare. La tragedia di Katrina ha segnalato l'ficienza della politica federale dell' amministrazione american .governo federale deve avere un potere centralizzato fortissiml'emergenza, se persino gli Stati Uniti hanno falle di questo tipnoi abbiamo invece una protezione civile molto più effìcientglio organizzata. L'obiettivo è semplificare l'architettura, imp disovrapposizione delle competenze, non sprecare e duplicare e vcare l'operato. Abbiamo troppe agenzie, troppi enti, troppeche si occupano di sviluppo industriale nessuna delle quali si ifaccia con l'altra.

Sulla seconda domanda, il primo passaggio che dobbiamo fquello che riguarda la concorrenza. So che tocco gli interessi d 11'o dell'altro dei presenti, in Italia il prezzo più alto che paghiaquello della scarsa liberalizzazione - e non sto parlando di privatizione - nei servizi pubblici locali, nell' energia e nelle sue reti dibutive. Dobbiamo rendere le procedure più semplici e gli attoriinvogliati a farsi concorrenza nel dare servizi migliori ai cittaPenso che questo sia un ambito fondamentale nel quale dare rispiù rapide. Abbiamo fatto una buona riforma delle pensioni Jche l'OCSE abbia chiesto ai paesi membri di togliere i tetti p I

nabili su base volontaria in una società in cui viviamo lO anni ildi prima e la gente ha piacere di lavorare ancora. Abbiamo qui ilfessor Bollea che a 92 anni non ci pensa proprio a smettere di dsuoi consigli preziosi alle famiglie.

1111.1 lifesa, hai ragione a dire che l'Europa della difesa procede. Ri-111 il p .nerale Moriglioni che fa parte del partito democratico euro-I .1 mia convinzione è che va fatta con gli altri paesi una coalizio-

" hc negli armamenti nella difesa quindi e nella sicurezza.I Ilma impresa e politica non può essere affrontato retoricamente.I Il sS ' della collettività è che le imprese facciano profitto, che pro-

111I l'i chezza, l'interesse delle imprese è che i cittadini siano atten-111 il i sulle capacità e le vocazioni industriali. Una volta finito il pe-

lli del1 minato di collateralismo, caratterizzato da un paese come1,.1 dall'alternanza impossibile perché c'era il partito comunista fi-Il.1 II) dai paesi dell' est così c'erano molte altre forze che finanziava-I, l''l\uta di un impossibile cambiamento almeno fino al 1989, ilIIH to tra politica e poteri economici e finanziari e sindacali si rias-I il! una parola: autonomia. Perchè ho criticato la Confindustria"l,io li questa legislatura? Perchè si è messa di punta a chiedere al

1111) di attuare determinate cose con le quali si è identificata: la bar-Il I ull'articolo 18. Risultato zero, conflitto mille. Nessun risultato

1.1 • ollertività, nessun valore aggiunto alla cornpetitività. Sprecate1111 lise nergie. Era un rapporto politico di un gruppo dirigente as-

"'VO he si vedeva legittimato dentro ad un percorso di governo.111 .1 più saggia per un governo è considerare Confindustria come

111I1a .ato di imprenditori. L'interesse della politica è che non ci sia111 il It azione tra un mandato politico e un potere economico pro-Iplllt'. Il mancato collateralismo aiuta il potere politico. Ho avutoplohl 'mi anche all'interno del mio partito quando ho criticato un

1111 t 11\ .rventisrno su alcune cordate finanziarie e bancarie perché lo1"1111111 ritorno al passato. Mi ricordo di Craxi quando tentò la sua

Ilt I .tl potere cercando di mettere un certo occhio sulle partecipa-

87

Page 5: Quaderno 2005 - pag80-125

FRANCESCO RUTELLI

zioni statali perché vedeva che la democrazia cristiana aveva il suo bloc-co di potere come lo aveva il partito comunista, i sindacati .le regionirosse etc. Craxi si illuse di creare il suo azionariato di riferimento n lmondo economico, la politica moderna ha invece l'interesse per l'au-tonomia propria e del giudizio libero degli interlocutori del mondoproduttivo. Quello che sta avvenendo al governo in questi giorni conil massacro dei tagli ai finanziamenti al mondo della cultura è veramen-te una schifezza. Quello che si risparmia provoca un grippaggio del si-stema, possiamo dire che l'Italia deve fare della cultura, del turismo lasua immagine del mondo e poi tagliando duecento mila euro, taglian-do le stagioni dei teatri lirici e non rende la situazione rispetto ai costidi un utilità decisamente marginale. I conti vanno fatti tornare ma noncosì. Lunica città i cui conti delle istituzioni culturali sono in pareggioè Roma, quando abbiamo preso il Teatro dell'opera e l'Auditorium era-vamo in fondo a un pozzo ma con fatica e con impegno i primi 5 an-ni io e adesso Veltroni con fatica abbiamo riportato i conti in pareggio.In Italia non siamo nei paesi anglosassoni dove fondazioni private pos-sono detassare le proprie donazioni e favore di iniziative culturali, inItalia è sempre lo stato che si sottrae dei fondi per finanziare la cultu-ra. Nessuna istituzione nel mondo musicale vive con più di un terzo difondi che entrano direttamente dall'attività, il resto sono fondi istitu-zionali. L Il % del PIL e il 12 % della forza lavoro in Italia stanno nelturismo, è come vuotare il mare con un secchiello pensare che taglian-do i finanziamenti per la cultura si sanino i conti dello stato.

Come conciliare diversità e decisione è la domanda da cento mi-lioni di dollari. E' come conciliare il consenso politico senza il qua-le non si viene eletti. Il punto di equilibrio tra la decisione anche im-popolare e il consenso? Nella leadership. La leadership è ascoltare e

88

l' Il lE PRIMA IL FUTURO DI ROMA NEL FUTURO DELL'EuROPA

poi decidere, magari creando scontento all'inizio: ma poi funziona.I .1 diversità sta diventando una caratteristica del nostro tempo e pur-IIOppO presuppone ignoranza. Nemmeno i nostri sistemi bipolari ohipartitici resistono al pluralismo della nostra società dove è più dif-11\ ile conciliare rappresentanza, partecipazione consenso e decisio-IU'.Pensate al fatto che gli ultimi 2 presidenti degli Stati Uniti sonor.ui eletti in un sistema che non è bipolare ma bipartitico grazie ad

1111 terzo candidato. Clinton fu eletto perché si presento' Ross Perotl Il ' fece perdere i repubblicani, Bush vinse perché si presentò RalphNader, esponente di minoranza che impedì l'elezione di Al Gare,uttraendogli voti preziosi. La prima democrazia del mondo, la più

l onsolidata, i capi del mondo sono stati scelti grazie al fatto che per-one senza speranza che hanno deciso di candidarsi. Blair che è un

gi rante della politica però ha vinto 3 volte di seguito con un 35-44tyu di voti. Ha vinto grazie al fatto che i conservatori si sono indebo-Iil i ma in Inghilterra la tradizione del bipolarismo dà l'equilibrio alp.iese. L'esercizio della politica come sintesi diventa qualcosa di elo-quente. Nei paesi dell' est hanno scoperto da poco la passione per lad .mocrazia: e non c'è un paese dove lo stesso schieramento va al go-v .rno due volte di seguito. Grazie

89

Page 6: Quaderno 2005 - pag80-125

COCCIDENTE E LE RELAZIONI TRANSATI.ANTICHE: VALORI COMUNIRoma, Caffè Greco, 28 novembre 2005

di Ferdinando Adornato ~

Cesare San Mauro

Buonasera e benvenuti. Questa sera abbiamo l'onore di ospitareFerdinando Adornato, Presidente della Commissione Cultura,Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati nonché Presi-

d nte della Fondazione Liberai. Ringrazio il Presidente per l'occasione-he ci offre, e volentieri senza ulteriori indugi gli cedo la parola.

Ferdinando AdornatoGrazie, a voi tutti e a Cesare San Mauro per avermi invitato qui stasera.Particolare rilievo hanno assunto, nel contesto europeo, le posi-

zioni che l'Italia è venuta via via assumendo nello scacchiere interna-zionale all'indomani dell' Il settembre del 200 1. Una valutazione del-le ragioni storiche, politiche e perfino morali di tali posizioni appareparticolarmente utile: anche al fine di contribuire a superare o ad at-tenuare le divergenze che, intorno ai temi della politica internazio-nale si sono registrate tra le diverse nazioni dell'Unione europea. E

. Presidente della Fondazione .LiberaL

91

Page 7: Quaderno 2005 - pag80-125

FERDINANDO ADORNATOFONDAZIONE ROMA EUROI'

soprattutto per discutere quale dovrà essere il ruolo dell'Italia e dell'Europa nello scenario internazionale del XXI secolo.

Con 1'11 settembre del 200 l è emerso un fenomeno profondamente inedito che ha drasticamente mutato il contesto geopoliticostrategico del nuovo secolo rispetto a quello del Novecento. Il nazi-smo e il comunismo, infatti, avevano messo in scena uno scontro in-traoccidentale, interno all'universo dell'Occidente. Occidentali era-no i carnefici, occidentali erano le vittime. Qualcuno ha persino po-tuto interpretare il comunismo come una sorta di eresia cristiana, al-tri hanno decifrato nel nazismo le ombre di millenarie leggende del-la terra tedesca. Oggi, al contrario, l'aggressione è extraoccidentale,esterna all'Occidente. E tenta di determinare un conflitto tra civiltàmescolando, in un velenoso cocktail, l'odio religioso e il rancore so-ciale. Hider e Stalin erano come Frankenstein: un Male che l'Occi-dente aveva costruito nei propri laboratori filosofici e politici. Bin La-den, al contrario, rispetto a noi, è un AIien: semina distruzione in no-me di un'ealterità» al destino dell'Occidente. Dal punto di vista del-le vittime non c'è alcuna differenza. Qualsiasi opera di distruzione èeternamente identica a se stessa. Ma lo scenario per com batterIa è ra-dicalmente diverso. La guerra di movimento COntro il nazismo e laguerra di posizione contro il comunismo sono state segnate dall'al-ternativa tra democrazia e totalitarismo. La guerra asimmetrica di-chiarata da AI Qaeda ha aperto un'era del tutto nuova. Non solo permotivi geostrategici: perché il nemico è invisibile, può aggredire sen-za essere localizzato, può scegliere di colpire qualsiasi area del mon-do. Ma anche per motivi etici e storici: perché ora il cuore del con-flitto diventa la stessa identità dell'Occidente, la forza propulsiva deisuoi valori fondativi. Non più dunque solo dittatura COntro libertà:

92

l' ICiI r~Rl,!!:MA~ ~L~'O~C~C<!..!ID~Ee!:!NTE..!.E:...!E~LE~RE~lAZI~""O:!..'-NJ,--,T,-"RAN,-=S"-,A1ù\NTI-,-=~C""H-,,,E,,--:v..!'-AL""O=Rl,-"--,,,C=OMUNl==

111.1 anche religione contro secolarizzazione, povertà contro ricchez-1.1, Islam contro Cristianesimo. Il terrorismo cerca di mettere in ope-1.I·i che il mite professor Samuel Huntington ha descritto solo co-lli . un rischio: lo scontro di civiltà.

l i fronte a questo nuovo scenario è indispensabile cercare di isola-Il AI Qaeda facendo capire che l'Occidente non si sente in guerra conl' lslam, moltiplicare gli sforzi per ridurre la povertà nel mondo e rilan-I i.1 re il dialogo tra le religioni. Così come è indispensabile innovare lenostre strategie di difesa e mostrarsi inflessibili con gli Stati che proteg-l',ono l'estesa rete del terrore.

E' indispensabile cominciare a porsi quella che, dopo l'Il settern-111' " appare come la domanda della Sfinge: noi donne e uomini delleterre occidentali siamo ancora consapevoli della nostra identità? Sap-piamo ancora quanto vale la nostra libertà? E siamo ancora disposti adirenderla? Ho scritto terre occidentali, ma avrei dovuto scrivere Eu-lopa: perché l'enigma, in realtà, riguarda essenzialmente il Vecchio(; ntinente. Quello Nuovo sembra infatti più che consapevole dellaIl .ricolosità della sfida. La risposta, purtroppo, non può essere del tut-to positiva. Non erano passati neanche due anni dall'Il settembre che~)iàtornava a circolare nelle terre d'Europa il vento dell'indifferenza,la tentazione di dimettersi dalle proprie responsabilità. Quel vento equella tentazione che hanno condizionato la più recente storia dell'Eu-ropa, rendendola un nano militare, una mediocre potenza politica e,

iò che più conta, un continente a bassa intensità etica.Abbiamo tutti sgranato gli occhi di fronte all'Inferno che trasloca-

va a Manhattan. Abbiamo gridato che eravamo tutti americani e chenulla sarebbe più stato "come prima". Ebbene per gli americani quelleparole restarono scolpite nella pietra. Ma non è stato così per tutti noi

93

Page 8: Quaderno 2005 - pag80-125

FERDINANDO ADORNATOFONDAZIONE ROMA EUROPEA

europei. Qualcuno è tornato a chiudere gli occhi. In alcune capitali eu-ropee si è persino tentato di far apparire George Bush come il vero pe-ricolo per il mondo. Tanto che è sempre stato il ritratto di Bush a cam-peggiare come odiato nemico in molte manifestazioni "pacifiste". Maiquello di Bin Laden, mai quello di Saddam.

Mi sono chiesto se la psicologia europea sarebbe stata diversa se que-gli aerei suicidi, invece di sventrare il World Trade Center, avessero cen-trato la Tour Eiffel o il Colosseo. Respirare sotto casa l'aria delle maceriee dei cadaveri non può che rendere più cornbattiva la reazione di ognicomunità. Ma poi la strage di Madrid dell' Il marzo mi ha tolto ognidubbio. Subito dopo il terribile attentato di Al Quaeda il nuovo gover-no di Zapatero ha ritirato le truppe spagnole dall'Iraq. Mi è allora torna-ta in mente la resa europea di fronte alle truppe di Hitler, la relativa fa-cilità con la quale si è permesso al nazismo di impadronirsi dell'interaEuropa. In una parola mi è tornata in mente la "sindrome di Monaco".Assieme all' amaro ricordo che per ben due volte l'Europa, nel secolo scor-so, ha avuto bisogno degli americani per difendere la sua libertà.

Chiediamoci perciò più concretamente: quanti europei, quanti ra-gazze e ragazzi dei nostri Paesi, sarebbero davvero disposti a rischiare lavita per difendere la loro libertà, la patria, la civiltà? Rivedo le imma-gini delle navi e degli aerei, carichi del peso di migliaia di ragazze e ra-gazzi, bianchi, neri, cinesi, ispanici, di Cleveland, di Detroit, di Bo-ston, di Seattle, di tutte le contrade degli Usa, partire per l'Afghanistane poi per l'Iraq. Sono i pronipoti e i nipoti di coloro che sbarcarono inEuropa nella prima e nella seconda guerra. Ripenso anche alle bellissi-me parole del presidente Ciampi agli studenti italiani: «Difenderemocon tutte le nostre forze la nostra civiltà». Ma ne saremmo davvero ca-paci? Quanti italiani, francesi, spagnoli, tedeschi avrebbero davvero

94

l'ARTE PRIMA .eOCCIDENTE E LE RELAZIONI TRANSATLANTICHE: VALORI COMUNI

l'animo di farIo? Intendiamoci: non c'è niente di cui vergognarsi. E'ovvio che la lunga e santa abitudine alla pace ha per fortuna tenuto lon-tane da noi eventualità del genere. Tuttavia è inquietante che i nostriIlgli rischino di non percepire più, in modo culturalmente attivo, co-me per conquistare la grande libertà di cui oggi godono (e che a loros .mbra "naturale") molti dei loro nonni e dei nostri padri, hanno sa-crificato la vita. Non è affatto giusto, per il loro stesso futuro, che igno-rino come nella storia la terribile alternativa tra Bene e Male torni co-stantemente a lacerare le nostre coscienze e che nulla, nella vita, possadirsi conquistato una volta per tutte. I nostri figli sanno quanto valeun golfino Arrnani. Ma rischiano di non sapere più quanto vale la li-h rtà. La colpa è anche nostra: se abbiamo lasciato intendere ai nostrifigli che la guerra non si sarebbe mai più presentata in queste nostret .rre abbiamo raccontato loro una mezza bugia. Se appare infatti vero-simile che non debbano più ripetersi i cupi scenari del secolo scorso,non è affatto detto, come si è visto a New York, che il Male non possaripresentarsi di fronte a noi sotto altre forme. Ma soprattutto: la guer-ra nel mondo, in realtà non è mai finita. Ruanda, Bosnia, Indonesia,I osovo, Cecenia, Iraq sono stati in questi decenni un tormentoso, cru-dele memento. Lillusionismo dei media ci ha protetto, decretando chequando un massacro non appare in TV è come se non fosse accaduto.Ma, purtroppo, non è così. La gente muore anche senza cameramen.I~'questo un tragico rischio della modernità: il nostro cuore è portatoad andare solo dove vanno i media. Al tempo del Kosovo la maggio-ranza dell' opinione pubblica europea invocò l'ingerenza umanitaria. Leimmagini dei profughi kosovari colpirono nel profondo l'emozione delmondo e crearono un certo "consenso" per quella guerra. Dall'Iraq diSaddam invece (come dal Ruanda, dalla Cecenia, da Timor Est) non

95

Page 9: Quaderno 2005 - pag80-125

FERDINANDO ADORNATO

ci giungevano immagini di morte e di disperazione. Per questo la s _conda guerra dell'Iraq è stata così poco compresa. Niente media, nien-te cuore: le nostre opinioni pubbliche hanno così facilmente dimenti-cato i 4000 villaggi, le 2000 scuole, le 2500 moschee, le 300 chiese di-strutte da Saddam. 12 milioni di curdi deportati. I 5000 uomini, bam-bini, vecchi, donne gasati con il gas nervino ad Halabja. I 10.000 ira-cheni che, ogni anno, scomparivano vittime della repressione del regi-me (il che vuoI dire che ogni anno moriva in Iraq un numero di per-sone dieci volte più grande di quante ne siano state uccise nell'ultimoconflitto). E così qualcuno, in nome della pace, ha finito per difende-re l'ombra della dittatura e della morte. Magari soltanto perché que-st' ombra non era comparsa in prima serata TV In ogni caso una solacosa non può più essere giustificata: che gli europei deleghino agli Sta-ti Uniti l'onere di difendere, pressoché da soli, la libertà nel mondo perpoi contestar loro di comportarsi da padroni e gendarmi. Senza farsicarico dei doveri non si possono imporre diritti.

Questo paradosso storico, esito di decenni di pigrizia etico-politica del-l'Europa, ha consentito il formarsi di sempre più vaste aree di diffidenzatra il nostro continente e gli Stati Uniti. Mai come negli ultimi tempi, dalvertice di Johannesburg al confronto sull'Iraq, si sono fatti forti e ripetutii segnali di ostilità lanciati da alcune nazioni dell'UE verso Washington fi-no a far intravedere il pericolo di una frattura politico-culturale di ciò che,fino ad oggi, abbiamo chiamato Occidente. Non si tratta di segnali univo-ci e coerenti. A periodi di silenziosa o esplicita «ribellione» seguono perio-di di «consenso forzato», secondo una logica di stop and go. Ma non c'èdubbio che dopo 1'89, con la fine della guerra fredda, i rapporti tra Euro-pa e USA si siano andati deteriorando. E' probabile che, con l'estinzionedella minaccia sovietica, sia venuto alla luce ciò che già covava nel SOtto-

96

Il 1111'~P[~UMA~ ---,r.:"-,'O",-C""C""lD""E,,,-NT,-,-=E",-E!:!LE'-'.RE=LAZ=IO"-NI:o..T=RAN.::..o:..:;S=A=TlAN=-=-,-,TI=C",,HE=:-"VAL=O,-=Rl~C=O~M=U~NI

111110della coscienza delle classi dirigenti europee, sia di destra che di sini-11.1:quello spirito di revanche, quella miscela di sudditanza e di rancore,

quella permanente oscillazione tra bisogno di protezione e desiderio di af-h.mcamento che caratterizza il nostro rapporto con gli Stati Uniti, alme-IICI da quando Washington ha sottratto all'Europa nel secolo scorso, la lea-.lrrship del mondo. Ma non è questa la sede per tornare sulle cause stori-I Il·e ideologiche dell'antiamericanismo che ha attraversato, da destra e damistra, il Novecento europeo, e che ancora propone i suoi frutti avvelena-

Il. Vogliamo solo indicare ciò che andrebbe considerato un punto fermo,I ·11'attuale scenario geopolitico: una rottura con gli Stati Uniti sarebbe peril futuro dell'Europa un disastro economico, politico, etico e culturale.

baglia, in Europa, chi pensa che gli Occidenti siano due. E sbaglia,II1America, chi vede come ormai incolmabile la distanza tra Marre (Sta-ti Uniti) e Venere (Europa), tra un pianeta etico e combattivo e un mon-do vile ed estenuato. Ci sono segnali di questo tipo: ma sarebbe esizia-I,.. da una parte o dall' altra, dimenticare che nonostante le evidenti in-, omprensioni, la madre Europa e la figlia America continuano a reci-r.ire nel mondo all'interno di uno stesso orizzonte di valori, protagoni-t' di una medesima identità storico-culturale. Se l'isolazionismo ame-

Ii 'ano è sempre stato per noi un male, un isolazionismo europeo dagliStati Uniti sarebbe davvero un salto nel buio e, per il mondo, una pe-I i olosa destabilizzazione. Non è dunque solo il debito di libertà e di\.lllgue contratto nel Novecento con l'America a legarci a Washington.Non è solo il passato: è il futuro, con le sue incognite, a chiederei di1I0n spezzare la rotta storico-culturale che chiamiamo Occidente. La-vorare per impedire che questa frattura si crei, costruire un ponte po-litico e umano tra la sensibilità europea e le strategie americane. E' que-sia la fatica che oggi attende chi crede nei valori dell'Occidente. Leal-

97

Page 10: Quaderno 2005 - pag80-125

r:OCCIDENTE E LE RElAZIONI TRANSATLANTICHE: VALORJ COMUNIFERDINANDO ADORNATO FONDAZIONE ROMA E~JI

tà nei principi e duttilità diplomatica: questa è la ricetta di una mna politica euroatlantica. Molti si ostinano a non capirlo: non è piùtempo, una questione di destra e di sinistra. I due principali mod 11comportamento che oggi l'Europa ha di fronte a sé non sono riduli a questo schema. Da una parte, infatti, c'è il modello dellabuBlair, non seguito da tutta la sinistra: un' alleanza strategica con gliti Uniti, la stessa che liberò il mondo dal nazismo. Dall'altra c'è il.dello del gollista Chirac, non seguito da tutta la destra: il sogno di un'tonomia politica e militare dagli Stati Uniti. Risulta allora evidentl'Europa deve fare in modo che questi due modelli non diventino imediabilmente alternativi, affinché non si apra nel cuore dell'Eurun incolmabile fossato tra l'asse franco-tedesco e quello anglo-it lispanico. Dovrebbe essere questa la stella polare dell'intera Union .

Torna utile tenere a mente una riflessione di Paul Valéry, propometà degli anni Trenta, quando il destino del nostro continente era gignato dalla follia del XX secolo: "I..:Europa aveva in sé di che sottomre, e guidare, e regolare a fini europei il resto del mondo. Aveva strumti invincibili e gli uomini che li avevano creati. Molto al di sotto di coro erano quelli che disponevano di lei. Erano nutriti di passato: e solo psato hanno saputo realizzare. Anche l'occasione è passata. La storiatradizioni politiche; le dispute paesane, di campanile e di bottega; Ilosie e i rancori da cortile - insomma la mancanza di prospettive - hno fatto perdere all'Europa quella straordinaria occasione, della cuistenza non si è nemmeno accorta in tempo utile. Napoleone è stato l'lico, a quanto pare, ad aver intuito ciò che doveva accadere e ciò che siteva tentare. Ha pensato a misura del mondo presente, non è statopreso e lo ha detto. Ma arrivava troppo presto; i tempi non erano mri; i suoi mezzi erano ben lontani dai nostri. Dopo di lui abbiamo ri

111LIIO a occuparci degli ettari del vicino e a ragionare in base al mo-IlIn. (,li sciagurati Europei hanno preferito giocare ad armagnacchi eI c '1\') ni, anziché farsi carico su tutto il globo della grande funzione

Il! lln ocietà della loro epoca i Romani avevano saputo assumere e so-li H'per secoli. In confronto ai nostri, il loro numero e i loro mezzi non1111 nulla; ma nelle viscere dei loro polli essi trovavano più idee giuste eIl liti di quante non ne contengano le nostre scienze politiche».l' Valéry amaramente concludeva: «Poiché non sappiamo disfarei del-

IIll\tI'a toria, ne saremo sgravati da popoli felici che non ne hanno af-u», o quasi. E questi popoli felici ci imporranno la loro felicità». Forse

l ruulo di Napoleone non fu solo positivo come Valéry sembra credere:I ti .~II ritratto dello spirito europeo è di straordinaria attualità. Sareb-.l.rvvcro velleitario che gli europei intendessero invertire la rotta del 10-llC'~1ino imputando ai «popoli felici senza storia» (gli americani?) la col-

1.11 .ivcr reso «infelice» la loro. Oppure rivendicando presso di essi un' au-uuunia puramente retorica, perché orfana di valori e di impegno appli-Il••rppunto, «su tutto il globo». A questo modo l'Europa si comporte-11111' . me una contessa decaduta che si ostinasse a pretendere obbedien-I .l.tlla nuova società ormai trionfante. Significherebbe perseverare nelIl.lesimo cliché di miope ottusità denunciato da Valéry.

l'l'riò bisogna davvero intendersi sulle parole: che cosa vuol dire au-uuunia dell'Europa? La fine della guerra fredda prima e 1'11 settern-

Il poi hanno decretato il tramonto dell'equilibrio mondiale fondato,,11.1 paura dell'atomica e hanno certificato che la logica della «deter-

11/.1» (che era anche la formula per la conservazione dello status quo)111111 più sufficiente. Si trattava infatti di una logica volta a impedire

" H'tire l'azione che oggi non funziona più: perché i terroristi agisco-1111 wnza trattare. E per di più non agiscono per autodifesa. Al Qaeda

98 99

Page 11: Quaderno 2005 - pag80-125

FERDINANDO ADORNATO FONDAZIONE ROMA EUROPF

non esibisce un qualche diritto da raggiungere tramite trattativa. AIQaeda vuole semplicemente distruggerci. Vuole distruggere noi, lo Sta-to d'Israele, la civiltà giudaico-cristiana. Questi sono i suoi esplicitidichiarati obiettivi. Risulta allora chiaro come anche l'Occidente deb-ba compiere una svolta concettuale, fare proprio un nuovo pensierostrategico differente da quello messo in atto al tempo della guerra fred-da. Ebbene, non sembra che l'Europa abbia voluto finora riflettere conseverità intorno alla necessità di un "nuovo pensiero strategico". Spes-so anche quei settori che premono per accrescere il potenziale autono-mo di difesa finiscono poi per sottolineare come tale obiettivo sia mi-rato a poter «bilanciare» l'azione degli USA e non già, al contrario, perimpegnarsi in modo più indipendente e incisivo nella lotta contro ilterrorismo, assumendo, ad esempio, autonome responsabilità nell'areamediterranea geopoliticamente cruciale e, per diverse ragioni, più "vi-cina" agli europei.

Chiediamoci allora: l'auspicabile autonomia politico-militare del-l'Europa deve servire a «frenare» gli USA o piuttosto ad assumersi inprima persona, alloro posto, le responsabilità che, nell'alleanza comu-ne, dovrebbero competere a un continente come il nostro? Come è evi-dente, si tratta di due «autonomie» del tutto diverse. La guerra all'Iraqha diviso l'Europa proprio su questo. Si tratta di un problema dirirnen-te che noi europei dobbiamo a tutti i costi cercare di risolvere in unadiscussione comune con Washington, chiedendo agli americani la pa-zienza di ragionare con noi e chiedendo a noi stessi di non fraintende-re le reali intenzioni americane.

Il cosiddetto «nuovo pensiero conservatore» americano, il pensiero deiWolfowitz, dei Perle, dei Kagan, dei Kristol, che ha trovato ascolto nellapresidenza di George W Bush, non rappresenta affatto l'epifania di un

100

l', Ili E PRIMA LOCClDENTE E LE RELAZIONl TRANSATLANTICHE: VALORJ COMUNI

Il -ricoloso bellicismo imperiale, come pure in molti ambienti europei sil detto e si dice. Esso è invece il risultato di due precise motivazioni stra-!l'giche: da una parte l'indispensabile sistemazione teorica delle coordina-I(' di un nuovo ordine mondiale post guerra fredda (sotto questo aspettoI\u h figlio si è proposto un compito che avrebbe già dovuto essere esple-r.uo dal padre), dall'altra la coniugazione di queste linee guida con i nuo-vi cenari aperti dall' Il settembre. La consapevolezza di tali simultaneeesigenze era già presente nel discorso sullo stato dell'Unione tenuto da Ge-orge W Bush nel gennaio del 2003: "Questa minaccia è nuova; il com-piro dell'America è quello solito. Per tutto il:XX secolo piccoli gruppi dipersone hanno preso il controllo di grandi nazioni, arruolato eserciti e co-struito arsenali per sottomettere i deboli e intimidire il mondo. In tutti i.asi, le loro ambizioni non ponevano limiti alla loro crudeltà e ai loro as-sassinii. Il nazismo, il militarismo e il comunismo sono stati sconfitti dal-la volontà dei popoli liberi, dalla forza delle grandi alleanze e dalla poten-za degli Stati Uniti d'America. Ora, in questo secolo, l'ideologia del pote-re e della dominazione è comparsa di nuovo e cerca di procurarsi le armidel più assoluto terrore. Ancora una volta la nostra nazione e i nostri al-leati sono tutto ciò che si frappone tra un mondo di pace e un mondo dicaos e allarme perenne. Ancora una volta siamo chiamati a difendere lasicurezza del nostro popolo e la speranza di tutta l'umanità. E accettiamo

questa responsabilità".Il presidente americano poi concludeva: «Esercitiamo il potere sen-

za conquistare e ci sacrifichiamo per la libertà degli altri popoli». E'difficile non mettere in relazione queste parole con quell'interventi-smo democratico di matrice wilsoniana che, superando fortissime obie-zioni interne, convinse infine gli Stati Uniti a muovere guerra all'eser-cito nazista liberando il pianeta dall'incubo della croce uncinata. Ma

101

Page 12: Quaderno 2005 - pag80-125

FERDINANDO ADORNATO FONDAZIONE ROMA EUROPEA

è difficile anche non scorgere il nuovo scenario strategico aperto dal-la fine della guerra fredda. La pace coatta imposta dal ricatto atomi-co, infatti, se aveva preservato il mondo da cupi scenari di catastrofe,aveva anche «congelato» ogni possibile espansione della libertà e deidiritti umani. Le reciproche sfere di «sovranità limitata» spartite traUsa e Urss avevano paralizzato il cammino del progresso politico e ci-vile. Ora questo mondo è scomparso e il XXI secolo si è aperto sottoil segno di nuove radicali contraddizioni unite all'emergere di una gran-de chance. La prima contraddizione è quella tra la velocità della glo-balizzazione e l'arretratezza politico-istituzionale di una vasta parte delmondo nella quale non vige il sistema liberale. Dittatura e globalizza-zione non possono andare d'accordo (come persino la vicenda della«polmonite atipica» ha dimostrato). La questione non riguarda dun-que solo l'Islam, ma tutti i sistemi non liberali del mondo. Si apre unaforbice drammatica: la globalizzazione non può essere fermata ed è an-zi una grande occasione di benessere per le aree più povere del piane-ta. Eppure, il sistema liberale, cioé l'unico sistema di valori che puòaccoglierla e governarla verso il bene comune non è, appunto, globa-le. Di più: le dittature sono espressioni di Stati nazionali spesso assaichiusi, mentre il mondo si predispone a inedite frontiere sovranazio-nali. La seconda contraddizione è ancora più inquietante: mentre nonci sono ragioni per pensare che le tre religioni monoteistiche voglianosviluppare un' offensiva planetaria per imporre la loro verità come uni-versale, è invece già in atto l'azione di consistenti poteri statali, finan-ziari e politici, in diretto contatto con le reti del terrorismo interna-zionale, per «giustificare» le loro resistenze all'avvento di una demo-crazia planetaria dietro lo schermo della religione, usando l'Islam co-me strumentale paravento della difesa di satrapie illiberali. E' un ero-

102

l' Ili Il PRIMA [OCCIDENTE E LE RELAZIONI TRANSATIANTICHE: VAWRI COMUNl

I cvia assai complesso e pericoloso che, però, appunto, apre anche unaw.mde chance impensabile all' epoca della guerra fredda: lavorare pervpandere libertà e democrazia in tutto il pianeta.

Questa chance non si presenta solo come una «preferenza strategi-1.1» ma come una vera e propria «necessità storica»: per fare in modoI Il ' i benefici economici dell'interdipendenza globale possano esserel'ili facilmente, e in tempi più rapidi, assorbiti dalle aree attualmente( siranee allo sviluppo. La nostra generazione deve, insomma, saper an-I1.1re "oltre jalta". Ebbene, proprio questo sembra essere l'obiettivo del-"amministrazione Bush e del nuovo pensiero strategico di Washington.alta aveva scritto l'assetto di un mondo segnato da una sorta di «bi-

polarismo autarchico». E se aveva regalato la pace all'Europa, avevarspropriato della libertà mezzo pianeta. Oggi che nuove nazioni e in-rcri continenti, dall'Asia al Sudamerica, rompono le camicie di forza diquell'assetto le vecchie regole non tengono più. L'orizzonte della liber-I; economica e politica comincia a far breccia anche laddove preceden-l 'mente era valutato con diffidenza. Ma è del tutto evidente che soloIIn Occidente unito può rendere più rapida la conquista di quest' oriz-zonte e vigilare, con maggiore autorità e forza, sulle inevitabili tensio-ni che, lungo tale percorso, già si aprono e sempre più si apriranno.

Vale la pena, a conferma di quanto finora detto, citare anche il di-s orso che George Bush ha tenuto a Bruxelles, culmine del suo viaggioin Europa dopo la riconferma come presidente degli Stati Uniti. Si ètrattato di un discorso questa volta ben accolto da tutte le cancellerie.uropee ma che, in fondo, non si discostava in nulla dai precedenti ra-tionamenti di Washnigton: "Oggi l'America e l'Europa si trovano difronte a un momento di grande peso e denso di opportunità. Insieme,possiamo ancora una volta far imboccare alla storia la strada della spe-

103

Page 13: Quaderno 2005 - pag80-125

FERDINANDO ADORNATO FONDAZIO E ROMA EUROI'

ranza, che allontani povertà e disperazione e avvicini lo sviluppo e ldignità dell'autodeterminazione, rifugga dal risentimento e dalla violenza e vada verso la giustizia e una pacifica conciliazione delle diffirenze. Cogliere questo momento richiede idealismo: dobbiamo vedre in ogni persona ciò che c'è di giusto e la capacità di vivere nella libertà. Cogliere questo momento richiede realismo: dobbiamo agire cosaggezza e decisione nei confronti di sfide complesse. Cogliere questmomento richiede cooperazione: perché quando l'Europa e l'Americstanno insieme non ci sono problemi insormontabili".

Idealismo, realismo, cooperazione transatlantica: queste sembrandavvero le chiavi del futuro, le chiavi della nuova era. Perciò l'Europanon deve mancare quest'ennesimo appuntamento con la Storia. Perciònon deve esimersi dalla responsabilità di contribuire a guidare il mon-do oltre Yalta. La contestazione dell'unilateralismo americano, comdetto, può assumere due facce. La prima è quella di chi, avendo in fon-do nostalgia della guerra fredda, immagina di costruire nel mondo unnuovo bipolarismo antagonista con l'Europa che, mutatis mutandis,vestirebbe geopoliticamente, nei confronti degli Usa, i panni che furo-no dell'Urss. La seconda è, viceversa, quella di chi intende governare ilXXI secolo nella cornice di un nuovo multilateralismo democratico nelquale l'Europa, in forte sintonia strategica con gli Stati Uniti, dotata diautonomia politica e militare, comincerebbe progressivamente ad as-sumere responsabilità analoghe a quelle degli americani, dividendoequamente diritti e doveri del nuovo ordine mondiale.

Costruire la propria unità politica e un proprio esercito cornpetirivosignifica probabilmente, per gli europei, operare diverse rinunce in ordi-ne al proprio sistema di tutela sociale e agli investimenti della propriaspesa pubblica: ma, come detto, non si può pretendere di delegare la pro-

104

P Iti F. PRIMA LOCCIDENTE E LE RELAZIONI TRANSATLANTICHE: VALORI cOMUNI

1" ia sicurezza (oltre che quella del pianeta) agli Stati Uniti per poi lamen-msamente contestar loro vere o presunte arroganze da superpotenza. Ta-h. traguardo, se vuole affermarsi come unità dell'Occidente, evitando iIis hi di un bipolarismo antagonista tra Europa e Stati Uniti, deve esse-Il' anticipato e suggellato da un patto etico-politico: una nuova alleanza,I -lle democrazie che richiami, attraverso una carta dei valori e degli in-u-nti, i principi morali, strategici, geopolitici e umanitari che guideran-110 la loro azione nel nuovo ordine mondiale, compresa l'eventualità diinterventi militari o di polizia internazionale. Al tempo del Kosovo si in-vocò l"'ingerenza umanitaria". Dopo 1'11 settembre si è delineato lo sce-Il rio della «guerra preventiva». Il tutto puntualmente accompagnato dainevitabili polemiche. Quale che sia il giudizio su questa o quella strate-'la, è ormai evidente che il mondo del post '89 chiede nuove petizionili principio e nuove regole di legittimazione del diritto. Una nuova car-

ta di valori sottoscritta da tutte le democrazie, certamente non avrebbevalore erga omnes, ma servirebbe a definire, per un lungo periodo di tem-po, una posizione comune del mondo democratico all'interno di tutte lerganizzazioni internazionali. tOnu, così come attualmente è organiz-

zata, non è in grado di provvedere alla definizione di queste nuove rego-le. E' inutile essere ipocriti: era ed è a tutti evidente, già assai prima del-l'ultima controversia sull'Iraq, che l'Onu, se non cambia, rischia di af-frontare il viale del tramonto, come era già successo alla Società delle Na-zioni. Del resto, la storia non fa salti: se è vero che l'ordine fondato a Yal-ta è superato, è inevitabile che risulti superato anche il modello di rela-zioni internazionali che a quell' ordine si ispirava. Finché il problema eraquello di «bilanciare» e «contenere» il bipolarismo USA-URSS, il Palaz-zo di vetro ha egregiamente svolto il suo mandato, dando voce e autori-tà ai Paesi che rischiavano di rimanere schiacciati dal gioco delle sovra-

105

Page 14: Quaderno 2005 - pag80-125

FERDINANDO ADORNATOFONDAZIONE ROMA EUROI'Et.

nità limitate e impedendo, con l'attribuzione del diritto di veto, ogni for-zatura unilaterale capace di mettere a repentaglio il pianeta. Ma oggi ehi nuovi scenari mondiali evidenziano la necessità, sia in campo economi-co che politico, di espandere l'«area delle libertà», risulta inefficace, unostrumento costretto a dar voce e autorità alle diverse dittature del mon-do perfino in materia di diritti umani. Ebbene, in attesa che il mondotrovi più adeguati strumenti di regolazione del diritto internazionale, unacarta di valori e di intenti promossa da una nuova alleanza delle demo-crazie avrebbe il merito di render intanto chiaro al pianeta ciò che StatiUniti, Unione europea, Canada e Israele intendono per «ordine mondia-le» sollecitando Paesi come Russia, Turchia, India, Cina e quanti altri in-tendessero aderire, dall'Asia all'Mrica al Medio Oriente, a muovere i pas-si necessari per assumere una piena titolarità a far parte della nuova retdemocratica mondiale. Il network della libertà e della pace.

E' del tutto evidente che, per poter solo immaginare questo grandtraguardo, occorre sconfiggere quella potente corrente relativisra cheda tempo attraversa la cultura europea e che contesta l'esistenza stessadi verità considerabili "universali". Lungo questa via si può arrivare per-sino a considerare equivalenti i diversi ordinamenti politici: a conside-rare cioè trascurabile anche la differenza di valore tra gli Stati democra-tici e quelli totalitari. In fondo, questi ultimi si fondano solo su tradi-zioni, culture, costumi etnici diversi dai nostri! Verrebbe così contrad-detta l'idea stessa che democrazia e libertà siano valori universali, fon-dativi della convivenza umana. Se l'Occidente cessasse di considerarela democrazia come un valore universale si aprirebbe una pagina dav-vero buia per tutto il pianeta. Segni di tale possibile regressione sonogià presenti in Europa. La polemica contro le "democrazie che credo-no", contro la religiosità civile che anima l'etica pubblica americana,

106

l' 111'1\ PRIMA LOCCIDENTE E LE RElAZIONI TRANSATLANTICHE: VALORI COMUNI

Il,~lspesso richiamata anche dai discorsi dei presidenti degli Stati Uni-Il (non è questa infatti un' esclusiva di George W Bush) e le tentazionidi un certo laicismo che vorrebbe "espellere" ogni suggestione religio-

.1 dalla sfera pubblica, lasciano trasparire una concezione minimalistad('lla democrazia, letta unicamente come un insieme di procedure for-m.ilistiche, sciolte da qualsivoglia riferimento etico. Ma così, separato.l.rlla propria fede nella libertà e nella democrazia, l'Occidente restereb-Il(' davvero soltanto un complesso militare-industriale, privo di qual-usi credibilità etica. Una potenza-totem, afasica di messaggi universa-

li l' pirituali, del tutto incapace di coniugare la forza con la giustizia edi .redere nell'irriducibilità della libertà, veri leitmotiv della sua seco-1.11'- marcia di progresso. Il network della libertà e della pace deve, vi-I l'versa, considerare come inscindibile, nel nuovo ordine mondiale, il1,lpporto tra forza e giustizia. Così come quello tra sicurezza e svilup-po. E' più debole la forza di tutti se usata senza amore per la giustizia,losì come è disarmata e spuntata ogni rivendicazione di giustizia sel ~.lude a priori ogni uso della forza. Nello stesso modo è più debole lai .urezza di ciascuno di noi senza saper garantire sviluppo, specie alle

l'l onornie più arretrate, così come è impossibile avanzare nello svilup-po senza difendere la sicurezza di tutti.

Il XXI secolo non chiede dunque agli europei di abbandonare i ca-nnli privilegiati che, anche sulla base della storia, abbiamo costruitoon questo o quel governo moderato dei paesi arabi o islamici. Al

rnntrario: si tratta di renderli ancora più robusti pretendendo, pro-Ill'io in nome dell' amicizia, che da questi governi e dai loro popoli siIl vi una condanna ancora più forte del terrorismo internazionale eti .lle dittature. La nostra battaglia non è contro l'Islam. Viceversa è,I suo vantaggio: per impedire che la religione venga usata come pa-

107

Page 15: Quaderno 2005 - pag80-125

FERDINANDO ADORNATOFONDAZIONE ROMA EUROI'

ravento della dittatura e del crimine, facendo prevalere quelle voci riformistiche che, seppur per ora in solitudine, orgogliosamente rivendicano la possibile convivenza tra Islam e democrazia. Le terre occidentali sono costantemente attraversate da movimenti che contestano gli Stati Uniti e le scelte dei propri governi. Per quanto alcune delle posizioni espresse siano pericolose e autolesioniste, esse fanno comunque parte del paesaggio della nostra libertà, della nostra fede nella democrazia e nella libera espressione del pensiero. Sarebbe belIpoter vedere un giorno, nelle città islamiche, analoghe manifestazio-ni: contro il terrorismo, contro Bin Laden o contro i vari Saddarn,per gridare a tutto il mondo che tra l'Islam e l'ideologia terrorista nonc'è e non ci deve essere nessuna commistione. O ancora meglio ma-nifestazioni figlie di un libero esprimersi del pluralismo politico. Qu lgiorno sarà davvero un grande giorno per tutto il pianeta. E di que-sto nuovo corso anche l'Europa dovrà essere protagonista.

108

LAzIO, PROTAGONISTA TRA ROMA E L'EUROPARoma, Caffè Greco, 13 dicembre 2005

di Piero Marrazzo *

esare San Maurouonasera a tutti e benvenuti. Vi presento il Presidente della Re-gione Lazio Piero Marrazzo, le altre volte che ho avuto l'occa-sione di avere personaggi noti come il Presidente Marrazzo non

ho dovuto dire niente perché la notorietà supplisce alla informazione,rua mi piace rammentare del Presidente l'impegno in modo particola-/(' ul fronte della difesa dei consumatori e degli utenti. Il Presidente èl.rureato in giurisprudenza, ha trascorso in RAI 20 anni prima comeI onduttore e poi come inviato di RAI 2, poi è stato responsabile dellaI 'stata giornalistica e quindi direttore del tg regionale della Toscana eha poi lavorato con Giovanni Minoli ad alcuni celeberrimi format te-I 'visivi in modo particolare a "Cronaca in diretta" e agli speciali di for-mat, per poi balzare alla notorietà assoluta conducendo "Mi mandaIW tre" che è il momento in cui il tema della difesa dei cittadini è sta-IO determinante per il suo impegno. Ho detto tutto e ringrazio anco-ra il Presidente Marrazzo per avergli rubato un po' del suo tempo .

. Prmdente della Regione Lazio.

109

Page 16: Quaderno 2005 - pag80-125

PIERO MARRAzzo

Piero Marrazzo

Buonasera a tutti. Sono io che vi ringrazio per avermi invitato, daquella biografia manca forse la parte più importante. E' ora anche digettare la maschera: sono stato il candidato civico che ha vinto cercan-do di costruire una rete intorno a sé che andasse al di là della coalizio-ne dei partiti, ma in realtà sono stato programmato per tutt'altro e chimi ha chiesto di candidarmi lo sapeva. Dal 1974 al 1985 ho svolto un' at-tività ~olitic~ prima in una federazione giovanile fino ad arrivare quasial vertice, pOI ho svolto attività in un partito pensando di fare l'avvoca-to o qualcos'altro, chi conosceva mio padre lo sapeva che ci teneva e sta-sera vedo un suo grande amico in fondo alla sala" ho preso quindi unalaur:a in. giurisprudenza alla Sapienza ma in realtà è come se dopo 20anru fossi tornato a fare quello per cui ero stato programmato. Di fron-te. a~ una plate~ come questa bisogna di do e giocare a carte scoperte.DICI~m~ che mIO padre ha lasciato una traccia indelebile nel giornali-smo italiano televisivo e non solo. Quando un giornalista muore nel-l'at~ivit~, i~ RAI, si dà accesso ai figli. lo venivo da un periodo persona-le dIffiCIle, In quanto nello stesso anno avevo perso mio padre e mia ma-dre, quindi per fada breve sono entrato in RAI e ci ho passato 20 anni.Quando sono stato chiamato alla sfida per la Regione Lazio, essendomisempre occupato degli interessi dei cittadini avrei potuto costruire con-senso intorno alla mia candidatura: però vorrei dirvi che sono stato chia-mato anche perché sapevano che la politica non mi era affatto estranea.Da sei mesi sto lavorando cercando di rimettere in moto dei meccani-smi arrugginiti dopo 20 anni che non sono pochi. Sono stati sei mesibelli, sono molto appagato per quello che sto facendo, sto lavorando conil piacere di lavorare. Sono arrivato in un mondo diverso, per quanto ri-guarda la politica, basti pensare che nel 1980 un congresso giovanile lo

110

l', 1(1'1, PRlMA LAZIO, PROTAGONISTA TRA ROMA E LEuROPA

I hiudeva uno come Riccardo Lombardi e da questo potete capire come! r.t la politica che avevo lasciato. Roma e l'Europa, oggi ho riflettuto alungo su quali temi incentrare l'incontro con voi. In primo luogo par-rendo dal dato quanto di europeo c'è a Roma e se mi consentite nel La-zio, potremmo partire dalle infrastrutture su gomma e sapremmo cheiarno molto al di sotto della media europea, standard di offerta e di ser-

vizi, grande frontiera sul mondo del ventesimo secolo: qui potremmol'orgere delle punte apicali e poi delle ricadute. Quanto siamo europei

I ome regione intendendo la politica della regione in una politica di bi-l.rreralismo nell'area in cui si opera? Qui vorrei dire che pensando allamtalogna di Maragal, o altri centri in Europa come in Baviera o altriluoghi per esempio dell' energia pulita come la Galizia, penso che abbia-mo una centralità politica da riconquistare nonostante Roma abbia del-I . forti espressioni in tal senso, mi viene in mente Sant'Egidio, Romacittà del dialogo, ma che poi non si concerta nelle attività istituzionalidella regione. Quindi è una regione che deve cercare di essere sempre dipiù all'interno degli asset delle politiche regionali europee. lo immagi-no che la Regione Lazio e io come suo Presidente debba attivare la po-litica della cosiddetta Camera bassa, il CDR ovvero il Comitato delleRegioni, dove il protagonismo è della Toscana con Mattini e forse an-he della Lombardia, applicando una attività politica relazionale al di

fuori degli schemi. Ora manca alla nostra regione una visione politica'uropea, abbiamo coniato un piccolo slogan ma secondo me molto rap-presentativo: "testa in Europa e piedi nel Mediterraneo". Vuole dare ilmessaggio di standardizzare la regione verso l'alto guardando l'Europama con un ruolo nel Mediterraneo e credo che questo sia la sintesi po-litica del nostro incontro di questa sera. Non può esserci sviluppo senon c'è sviluppo infrastrutturale, quindi nelle reti materiali e nelle reti

111

Page 17: Quaderno 2005 - pag80-125

PIERO MARRAzzo

immateriali: SU queste ultime abbiamo da lavorare molto, se la bandlarga non arriva che in 200 comuni su 378 che costituiscono la nostrregione. Ho trovato una regione che al suo interno non dialoga con lin-guaggi tra assessorato e assessorato a volte non interfacciabili. Dalle per-sone che ho incontrato, uomini e donne che ad esempio conoscono be-ne il mondo della sanità, bene io quest' estate non ho dormito perchper esempio il network delle ambulanze che ho trovato era senza nes-sun sistema satellitare o di nuovissima generazione: io ho trovato il si-stema analogico che non funzionava con un'unica antenna a Monte-compatri, che se ci fosse stato un grave attentato non avremmo avuto leautoambulanze connesse tra di loro né tanto meno connesse con gliospedali. Abbiamo fatto un investimento di due milioni di euro passa-to attraverso Laziornatica solamente per rimettere in piedi la rete analo-gica, con l'idea di andare a interfacciarci con quelle che poi saranno lescelte nazionali nel momento in cui avvenisse un grande evento e pas-sasse dunque tutta l'emergenza attraverso la prefettura che svolgerebbeattività sia di intervento che di protezione civile. Questo è il simbolo diquello che abbiamo ereditato: noi attraverso Laziomatica pensiamo chesia necessario, partendo dal nostro "core" che è l'attività amministrati-va, svolgere poi una grande attività di rete. Passo quindi alle reti mate-riali, come dicevo sappiamo che su gomma non ci siamo, voi sapete - elo avrete letto sui giornali - che ho preso una decisione in una logica for-temente collaborativa con il governo che è quella di immaginare una ri-partenza. Negli ultimi cinque anni non è stato costruito un chilometrodi strada. Guardate, non sono qui a rivendicare né a fare polemica po-litica perché forse sono cose che vengono anche da lontano. Circa il pro-blema dell' emergenza, i fondi sono pochi però è necessario rimettere inmoto la macchina del Lazio e ho scelto la logica di ripartire da quello

112

LAzIO, PROTAGONISTA TRA ROMA E CEUROPA

Il . forse il luogo simbolico: la direttrice sud. Non mi convince il cor-I,rio tirrenico meridionale e la scelta di Arcea, una soluzione che ci ha

111 Il, portato, fra l'altro ad un procedimento di infrazione europea con111 investimento pubblico del 71 %, di cui il 40 % da parte dello stato

11111.1 legge obiettivo ma più del 31 % da parte della regione: è impossi-bili' he la Regione Lazio possa sostenere la spesa del 31 % per compie-I l'opera. Lidea, che porteremo al CIPE, è di partire da una Roma-La-1111,1 c da una Cisterna-Valmontone cioè immaginare un primo grandeIl IlIl one, perché la Pontina è una emergenza. Il sedime della Pontina èd,I sfruttare, perché quando si fanno delle opere non si fanno contro il111 ritorio, il territorio ha visto questa opera molto male e adesso chiede.Il Il risposte che vedano sistematicità nella rete su gomma. Poi c'è un' ope-1.1 'he da trentatré anni chiede di essere conclusa, sono i 33 kilornetri.1.1 inelli a Civitavecchia, sarebbe la Orte-Civitavecchia; non abbiamol,I trasversale che va da Cisterna a Valmontone, non abbiamo la Montil.cpini che collegherebbe Latina a Frosinone per arrivare fino alla For-ruia-Cassino. Quindi la mia sarebbe un'idea di regione che dovrebbepartire da nord, stiamo aspettando di chiudere anche con il governo eIon la Toscana per il corridoio tirrenico settentrionale. Debbo dire che,i parlato molto ma non si è detto che nella legge obiettivo ancora non

tanziato un euro. Sono molto attento, avendo la Roma-Civitavecchia,.1 sfruttare il sedime dell'Aurelia, però mi inserisco in una logica più com-plessiva. Non sono né del "partito di Caparbio" né di altri partiti, ma laI gica è quella di raggiungere l'obiettivo di arrivare fino a Formia, in-somma che questa regione abbia il completamento. Tutto questo è col-legato al ferro. Sta per arrivare una rivoluzione che ancora non è gover-nata, c'è uno spostamento verso l'alta velocità e quindi ci si liberano perle ferrovie regionali la Cassino-Roma e la Formia-Roma: questo in una

113

Page 18: Quaderno 2005 - pag80-125

PIERO MARRAzzo FONDAZIONE ROMA EUROPI

logica di Roma europea per una rete che non sia solo sui grandi traccia-ti che legano l'Italia ma anche una rete regionale. Dobbiamo avere un'iddi piano di mobilità e di piano di lavori pubblici sulle reti materialiimmateriali e su quelle materiali una grande interrnodalità tra ferrogomma. Se passerà al CIPA l'idea di non portare solo su gomma il trat-to Pomezia-Roma ma anche su ferro, comincia a prendere forma il pen-siero che a Roma ci si arriva anche su ferro. Questo vale anche per Vi-terbo: sapete che noi mettiamo un' ora per arrivare a Napoli e un' ora emezzo per arrivare a Viterbo? Queste sono cose che dobbiamo avere amente perché se no è inutile parlare di Roma europea, a chi interessa aRoma il sistema regionale? Sono venuto a parlarvi di un'idea che mi so-no formato in sei mesi perché vi dovete aspettare da me una visione dilettura politica della regione e della questione dei rapporti tra enti loca-li. Abbiamo qui un maestro del cinema, Gigi Magni, che ha amato Ro-ma ma ci ha anche lasciato la storia di una città che viene da lontanoma che va anche lontano, e allora noi possiamo immaginare che risol-viamo Roma con la questione legge capitale, un District of Columbiacioè ad un Washington D.C. avulso dal suo contesto? lo penso di noperché noi siamo in Europa: come Barcellona ha bisogno della Catalo-gna a e la Catalogna ha bisogno di Barcellona, e la Baviera di Monacoe Monaco della Baviera, Roma non può fare a meno di una crescita com-plessiva sia del sistema infrastrutturale o economico. Si lavora a Roma,si vive magari a Viterbo, si trascorrono le vacanze sul litorale romano, siparte in aereo da Fiumicino, si parte in nave da Civitavecchia: questa èun'idea, Roma è una città metropolitana e deve essere considerata unacapitale, su questo non c'è dubbio e deve avere leggi che consentano aquesta città di vivere da capitale. Per tutti i volumi di traffici e di perso-ne è la più grande capitale di Europa e un'area metropolitana che deve

114

l' Il 1'1', PRIMA LAZIO, PROTAGONISTA TRA ROMA E LEuROPA

uminciare a pensare che ha la necessità di un territorio metropolitanopill vasto, il Lazio. Non vorrei citare Metternich ma in realtà quando'1" 'sto Lazio voi lo andate a guardare, vogliamo parlare di Rieti? Voglia-IItO parlare di Frosinone? Vogliamo parlare di Latina? Quando nasco-1I0? Qui ci vuole la storia, nascono nel ventesimo secolo ma in realtà so-110 più territori, cioè la Sabina non è il Reatino che è stato strappato al-l'Urnbria o all'Abruzzo, la provincia di Frosinone che è un'altra finzio-It(' nel senso che la Ciociaria e le terre di lavoro erano più campane, pernon parlare del subpontino che è vicino alla Campania: cosa volevo quin-di dire? Che c'è bisogno di ragionare la regione più per territori e que-Ii lavorano, vivono e si interconnettono come popolazione con Roma

( Roma ha bisogno di questi terrirori perché la valorizzazione del terri-torio urbano di Roma spinge notevoli segmenti della popolazione ad.mdare a vivere non solo nella provincia di Roma ma anche verso le al-t l" province limitrofe. Lobiettivo di un' area come quella di Roma è quel-lo di recepire a volte quasi mezzo milione di persone sia in entrata chein uscita perché si può lavorare a Pomezia o ad Aprilia, un ingegnerepuò lavorare in Finmeccanica o alla Marconi o in altri settori, allora perp ter parlare di Roma europea e cominciare ad immaginare non più Ro-ma come 80 % di prodotto interno lordo del Lazio, Roma e la sua pro-vincia come una realtà che ospita quasi tre milioni e mezzo di abitanti,bisogna cominciare ad immaginare questo luogo in connessione con l'al-tra parte della regione che produce i120 % del PIL e che ospita due mi-lioni e mezzo di persone che vivono in un sistema: il sistema Lazio.

Questo sarebbe già un modo per lavorare in termini e con parame-l'i europei, però dobbiamo anche capire che se questo territorio rie-

sce a vivere così deve porsi delle frontiere. La prima frontiera che pen-so alle porte, i biglietti da visita, sono Civitavecchia e Fiumicino. Fiu-

115

Page 19: Quaderno 2005 - pag80-125

PIERO MARRAzzo FONDAZIONE ROMA EUROP

micino è una grande partita e lo dico davanti a un prestigioso parrerre de roi, non possiamo più pensare che Fiumicino non abbia un ruolo strategico per il Paese. Mi diceva uno dei più grandi esperti italiandi mobilità che noi qui non produciamo ricchezza perché non sfruttiamo la logistica e questa per esempio è una strada europea per Roma e per il territorio, ma l'hub di Fiumicino potrebbe diventare IFrancoforte del mediterraneo e la partita è molto importante e si gioca con l'Alitalia - che è la più grande azienda di questa regione - e inquel cornparto che insiste su Fiumicino e Ostia con un gran numerdi persone che lavorano nell' azienda Fiumicino, la città del volo. itratta di persone che vivono e lavorano con l'Alitalia. Quindi l'operazione è convincere Alitalia che la rinascita o comunque il percorso ehsperiamo la aiuterà ad uscire dalla crisi passa per l'hu di Fiumicino. E'certo quindi che se questa città vuole essere europea non può prescin-dere dalle rotte intercontinentali. Questo vale per il primo grande start-up economico che ha la regione e ha la città. La città è anticiclica,vero che va in controtendenza ed attrae sempre più turisti, ma ormainon si regge se non si ha una logica di territorio più vasto e allora co-me facciamo se non portiamo turisti dal più grande mercato del mon-do che è la Cina? Non ci conoscono in India, non possiamo sfruttartutte le potenzialità. Parlavo con l'amministratore delegato di Sky ehdiceva che noi abbiamo 40 milioni di cittadini americani che si ricor-dano di Roma quando muore il papa e vengono. E' un brand forte manon si può contare solo sulla CNN, deve essere più strutturato. E al-lora se le infrastrutture sono necessarie per una logica di tipo europeocredo che dobbiamo vedere quali sono le potenzialità e quale è l'ideache abbiamo e giocando sempre sulla parola Europa, se il mio ospitme lo consente rappresentando tutti i soci di questa Fondazione, c'

116

IIII PRJMA LAZIO. PROTAGONISTA TRA ROMA E L'EUROPA

1111.1 prima grande necessità: Europa come infrastrutture ma Europa!Il he come capacità di governare i processi di cambiamento. Allora"I saprete che in Francia c'è una agenzia per l'innovazione che gesti-I (' oltre un miliardo per l'innovazione: se adesso vi dicessi la cifra che

mvc tiamo in Lazio in innovazione non ci credereste. Ogni anno que-1.1 regione investe tra i cento e i cento trenta milioni di euro in inno-.izione, completamente polverizzati perchè è una polverizzazione cheI va a posare su una serie infinita di investimenti. Questo non è un

p.lrametro europeo, e allora la logica che vorremmo seguire è quellaIl individuare le priorità, primo perché siamo in una fase di vacche

Il!.lgre, scusate il termine, e quindi non ci verrà consentito di potereip!'l'mettere lo spreco delle risorse; secondo perché dobbiamo cornin-I inre ad immaginare quali sono le vocazioni di questa regione. In pri-\110 luogo una vocazione è quella di sapere da dove veniamo, pensan-do che questa regione è una regione europea perché ha in sé la logica11t' difendono paesi come Germania e Francia: la politica dell'agricol-tura. Questa regione deve ripartire da un'agricoltura che difende il ter-iirorio rendendolo produttivo anche arrivando a difendere quel patri-11\ nio che l'UNESCO dice essere per 1'80 % dei beni culturali mon-diali in Italia, la maggior parte dei quali sono nella nostra regione e aRoma. C'è poi l'agenda di Lisbona, cioè la logica dell'economia del,.Ipere. Qui davanti a me ci sono molte persone che vivono e lavora-110 nell'università. Noi viviamo nella città con maggior numero di cen-Il'i di ricerca ma non abbiamo il sistema, non c'è sistema e questo è si-l uramente un problema per l'economia della coscienza, ecco noi ab-hiarno già tre cose ma che, insisto, purtroppo non sono in rete. Ab-hiamo il polo chimico-farmaceutico a sud di Roma e a nord di Lati-na. C'è stato poi un certo trasferimento delle TLC e delle ICT con

117

Page 20: Quaderno 2005 - pag80-125

PIERO MARRAzzo FONDAZIONE ROMA EUROP

1'audiovisivo che formano veramente uno dei pezzi fondamentali dell'economia di questa regione: abbiamo investito sette milioni di eurcon il test range del Galileo attraverso la Filas e abbiamo ottenutocostruire un distretto aerospaziale e quindi possiamo immaginare chl'economia della conoscenza del sapere su questa regione si può far.Abbiamo investito nelle bioscienze. Aspettiamo che l'Agenzia Spaziale Italiana sblocchi diciotto milioni di euro, non tutti nel Lazio ma si-curamente andiamo a candidarci e allora vuol dire che noi dobbiaminvestire nei settori industriali: il distretto della bioscienza, dell' aerospaziale, dell'ICT che è un pezzo dell'economia della conoscenza ehci aiuta a costruire innovazione per chi deve produrre in un territoridove abbiamo aziende piccole, troppo piccole che non sono in graddi avere promozione, internazionalizzazione e quindi che hanno biso-gno da parte del tessuto regionale della pubblica amministrazione diessere sostenuti. Ma come farlo? In primo luogo mi sento di dire a voitutti quale era la situazione nella sanità e questa è stata una grande par-tita ereditaria dove nel bilancio 2003/2004 si diceva che il disavanzoera di ottocento milioni di euro, noi abbiamo scoperto che siamo adue miliardi e due. Il Presidente della Regione Lazio dovete vederlocome un Amministratore Delegato che ha un bilancio di sanità circadi 9 miliardi di euro. Questo Amministratore Delegato oggi non è ingrado di controllare la spesa e di controllare il percorso del processodi formazione degli atti: ma quei soldi sono vostri, e quello che fare-mo alla Presidenza della Regione Lazio è istituire un controller comsi fa nelle grandi aziende perché dovete sapere che il Presidente dellaRegione viene a sapere come sono stati spesi solo otto, nove o addirit-tura a volte quindici mesi dopo che sono stati spesi. E' impossibilquindi intervenire? Direi proprio di no. E' europeo questo? Vi ho det-

118

1'11' PRIMALAZIO. PROTAGONISTA TRA ROMA E ~EUROPA

lo di quei cento, centoventi milioni: la seconda cosa che faremo è lallurrna che non costa niente che è la riforma del CIPE regionale con

1111.1abina di regia presso la Presidenza e con gli assessorati economi-1l he gestiscono tutto questo. Questi centoventi milioni vanno spesi

111sviluppo è inutile darli e fare clientela, è molto più importante chie-Il I . alla capofìla, cito Finmeccanica per il test range Galileo, e chie-111" alla grande azienda di fare fìliera verso la piccola e media impre-I. l.'innovazione è anche una questione di organizzazione di impresa.illora il Lazio può essere europeo in una logica di grande attenzio-

111allo sviluppo economico. Il problema è che non puntiamo alla for-11I.11,ionedella classe dirigente della pubblica amministrazione, questo

Iln paese che dopo il concilio di Trento pensava che poi si risolvesse1111IO nell' attività delle piccole formazioni che si chiudevano e non sipl'n ava che c'era la necessità di costruire l'architrave del Paese. Per

empio mi piacerebbe come Regione Lazio lanciare una nuova pro-posta di semplificazione a livello regionale che aiuti l'impresa e i cit-I.Hlini. Penso che quando si parla di Roma e l'Europa ci troviamo da-

rnti a qualcosa che corre veloce: la globalizzazione. Nelle analisi de-li analisti era come arrivare a quei mercati attraverso il sistema glo-

h.c1 nell'acquisizione di un costo del lavoro più basso attraverso la de-Il) .alizzazione delle aziende. Così leggiamo la globalizzazione fino aI(lIalche anno fa, oggi è passata ad una seconda fase nella quale i pro-.lotci a basso costo di produzione cominciano a mettere in crisi pezziddla nostra economia. Prendo ad esempio il caso di Civita Castella-n.i, distretto della ceramica nel Lazio. Andava benissimo, oggi lo sto-vi liame prodotto in Cina a prezzi bassissimi mette in crisi il settore,Il' rgono i sanitari per una questione di know how. Non è più nean-l he la fase della scommessa di vincere la partita abbassando il costo di

119

Page 21: Quaderno 2005 - pag80-125

PIERO MARRAzzo

produzione, ma investendo in innovazione, quindi ricerca e innova-zione e prodotto più competitivo che riesca ad essere concorrenziale.Adesso nel Lazio cominciano ad arrivare capitali dall'Oriente. La miavecchia trasmissione mi ha insegnato a parlare con fatti concreti: peresempio, ad Anagni nella ex-Thompson Videocolor c'erano 2500 per-sone che lavoravano con i televisori a tubo catodico più 1500 nell'in-dotto, più il distretto industriale di questo. Il tubo catodico entra incrisi per le nuove tecnologie dei cristalli liquidi e del plasma, e alla fi-ne la Thomson decide di delocalizzare, vende agli indiani - guarda ca-so è un processo inverso rispetto alle vecchie nostre generazioni chesuperavano gli oceani e poi con alcuni capitali rientravano dai paesidel Nord Europa, adesso invece arrivano capitali dall'Oriente. Questoè una fase da governare, noi abbiamo immaginato e abbiamo dettoagli indiani che sarebbero stati costretti a puntare sull'innovazione pernon delocalizzare a loro volta. Abbiamo anche detto di di cominciarea produrre plasma, che noi ci avremmo messo la formazione con lOmilioni di euro di investimento per la riconversione del personale e 20milioni in 4 anni per la riconversione industriale: speriamo che il go-verno ci segua, questo è un modo per tentare di governare. Ma lo ve-dete il Mediterraneo come è? Può diventare crogiuolo di iniziativecommerciali che poi sono quelle che hanno costruito il tessuto com-merciale delle popolazioni nei secoli, basterebbe citare la scuola me-dica salernitana e tornare ancora a ritroso, fenici e quant' altro. La par-tita quindi si gioca nel Mediterraneo, chi è il Lazio e chi è l'Italia nelMediterraneo: in primo luogo un Paese che deve riuscire a fare di ne-cessità virtù. E allora abbiamo immaginato che se la Galizia ha inve-stito 85 milioni per necessità quando la marea nera ha investito le co-ste Galiziane, con questo investimento hanno investito nelle fonti ener-

120

" 111" PRlMALAzIO, PROTAGONISTA TRA ROMA E L'EUROPA

(Ii he rinnovabili. Mi direte che sono allora schiavi dell' ambientali-1110, e invece no perché nella riconversione energetica che parte dal-

1',lgricoltura, con le biomasse per la produzione di bioenergie quindiluodiesel e biometano attraverso la riconversione di molti terreni cheuun producono più, passando per la piccola filiera che è la filiera del-l'impianto che raffina, ci sono mercati impensabili proprio qui a Ro-1I1.1. Allora abbiamo pensato di investire 100 milioni in 5 anni pun-r.uido verso le energie rinnovabili, non è così difficile perché per esem-pio Rieti ha già 3 milioni finanziati dall'Unione Europea per le bio-ma se. E' quindi Roma europea, Lazio europeo per cimentarsi con le1l1l0Vefrontiere. Sto convivendo da mesi con la politica dei territori,( il Mediterraneo è un luogo nel quale si sta giocando una partita cul-I \I rale importantissima: non sono sicuro che la grande idea di un im-Il .ro del nord del mondo sia in grado di esportare la democrazia ver-o popoli che, se mai, se la costruiranno anche con un processo loroon da una parte realtà fondamentaliste che preparano la morte del-

l'oecidentalismo, dall'altra l'idea del partenariato e della cooperazio-1\ . Potrei citare il caso Mattei, ma potremmo vederne tanti anche inI olitica estera attraverso il dialogo e la cooperazione con la capacità diollaborare e costruire ricchezza. A noi europei chiedono partenaria-l in agricoltura, nell'information and communication technology, celo chiedono per la costruzione di infrastrutture. Ci vuole la capacitàdi sapersi presentare come europei che non costruiscono sulla forzama sulla capacità di condividere un progetto. Per fare tutto questo c'èla necessita di tanta politica, però fatta da chi? lo non sono uno dellasocietà civile prestato alla politica, così ci capiamo, ma questi proces-i di cui vi ho parlato sono possibili anche grazie ad un consenso po-

litico da parte degli attori protagonisti della società, in primo luogo

121

Page 22: Quaderno 2005 - pag80-125

PIERO MARRAzzo FONDAZIONE ROMA ElIl

dai rappresentanti del mondo del lavoro, sia da parte dell'impresada parte del mondo dei lavoratori. Quello che io propongo è unzio che sappia sentirsi europeo, che proponga una visione apertadelle capacità di dialogo, con infrastrutture che ci uniscano: ci sifissati con l'idea di dare il voto agli italiani all'estero, benissimo.madre è italo-arnericana quindi lo capisco molto bene. Il probl mche noi eravamo il motore che generava ricchezza nei paesi che ci otavano, una volta ottenuta la cittadinanza e pagando le tasse pormo dire la nostra nei paesi che ci ospitavano e nello stesso temponivamo integrati, sono processi che non mi invento io oggi. Pereludere mi piaceva venire qui per parlare di Europa perché sarà lara scommessa del mio lavoro per i prossimi cinque anni. Avrò si umente dimenticato tanto ma posso dire che sicuramente dal prossianno diventeremo cornpetitivi nell'attrarre risorse perché abbiamoto una legge grazie alla quale noi diamo il 20 % del pagamento d ll'IV A anticipato e quindi potremmo dire all'industria cinematograca straniera di tornare nel Lazio, abbiamo investito nelle fee commision, insomma è un ragionamento molto ampio quello che ho pravto a fare però era l'idea di dire che io sono nato in una grande scuolpolitica, alla scuola riformista e della programmazione, e continuocredere che un paese, se riesce a coniugare un riformismo pragmatie solidale, sviluppo economico e welfare, è un paese, una regione hpuò candidarsi a svolgere un ruolo da protagonista. Questo dipendperò dalle donne e dagli uomini che vivono in questo territorio e qusta risposta ce la daranno nei prossimi anni. Grazie

PARTE SECONDA

122

Page 23: Quaderno 2005 - pag80-125

LE RETI A ROMA

Situazioni ed atteseRoma, Censis, 23 febbraio 2005

I )is ussant: Carlo Carminucci, Giuseppe De Rita, Cesare San MauroRicerca condotta in collaborazione con ISFORT

J. Gli obiettivi dello studioLa cornpetitività di un sistema territoriale si gioca in buona misura

ulle reti di servizio a sostegno delle attività economiche e produttive.l'infatti le reti sono moderne, efficienti, capillari, il territorio è in gra-

do ia di rafforzare le imprese che vi operano, sia di attrarre imprese e111vestimenti dall'esterno.

Interrogarsi sulle reti a Roma significa allora accendere i riflettori suuna questione-chiave per garantire gli standard concorrenziali della cit-I; e assicurarne lo sviluppo futuro.

Lo studio realizzato dalla Fondazione Roma Europea e da Isfort -Istituto di Formazione e Ricerca per i Trasporti - si è posto un dupli-.. obiettivo:

a. la ricostruzione puntuale del sistema di offerta (reti e servizi peril istema economico) a Roma, la sua evoluzione temporale, il confron-IO interno con altre metropoli italiane e, dove possibile, con città/re-'10111 europee;

b. l'analisi delle percezioni dal lato della domanda, ovvero le valu-Iazioni, i bisogni, le prospettive dei soggetti (imprese) fruitori dell' of-ferra di reti e di servizi della città.

125