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Quando Saviane voel vas aval reg h.ri. · un mazzo di chiavi, mostrandomi quella più lunga, zeppa di forellini, che gli serviva per aprire una porta blindata. Era il suo modo poetico

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24 aprile 2013 | Panorama119

Quando Saviane voleva salvare i ghiri...

Ecco i leoniIl libro di Stefano Lorenzetto «Hic sunt leones» (332 pagine, 18 euro) è edito da Marsilio. Il 6 maggio Lorenzetto riceverà il Premio Giorgio Lago per la longevità della sua

rubrica de «Il Giornale» Tipi italiani.

È in libreria «Hic sunt leones» di Stefano Lorenzetto, che ha per sottotitolo «Venticinque storie di veneti notevoli» di cui pubblichiamo alcuni stralci dell’introduzione.

Il quarto veneto notevole entrato nella mia vita fu quel cronista di razza e inarrivabile scrutatore di umane debolezze che rispon-deva al nome di Sergio Saviane. Non rie-sco a darmi pace per aver maldestramente cancellato il messaggio di benvenuto della sua segreteria telefonica, che avevo tenuto per anni inciso nella mia; una registrazione

effettuata pochi giorni dopo la sua morte, avvenuta nel 2001, quando, telefonando al numero 0423 563676, ti rispondeva ancora lui: «Non sono in casa. Potete lasciare un messaggio dopo il segnale acustico». E qui invece del banale bip ascoltavi Saviane che gorgheggiava, tale e quale il fringuello che si sentiva in sottofondo nel motivetto L’uccellino della radio cantato da Silvana Fioresi negli anni Quaranta. (...)

Sull’ornitologia Saviane s’era sofferma-to anche nella prima intervista che gli feci, scioccandomi con una sorprendente dichia-razione di debolezza: «Védito, Stefanelo, el me osèl xe come ’na ciàve Yale», e per ren-dere plastica la descrizione estrasse di tasca un mazzo di chiavi, mostrandomi quella più lunga, zeppa di forellini, che gli serviva per aprire una porta blindata. Era il suo modo poetico per confidarmi di sentirsi un so-pravvissuto al tumore che lo aveva colpito all’organo più caro, e un tempo più utilizzato, dopo il cervello. Subito aggiunse, serissimo: «Pensa che Alberto Moravia ha passato la vita a discorrere e a far baruffa col suo lui. Poaréto, non sapeva dove mettere le virgole, l’unica cosa che gli riusciva bene era girare per l’Africa con la Dacia Maraini e la Maria Callas a fotografare merde di elefante. Ma della donna non sapeva niente, niente! Noi

latini siamo degli usurpatori, crediamo che far l’amore sia una cosa divertente. Invece è drammatica».

C’eravamo conosciuti 10 anni prima, nel 1988. Dopo un trentennio di onorata carriera, L’Espresso lo aveva fatto fuori per affidare la rubrica della critica televisiva a un pub-blicitario, Emanuele Pirella. (...) Molti anni dopo, quando restò di nuovo disoccupato, lo accompagnai a Milano da Maurizio Belpie-tro, direttore del Giornale sul quale già aveva scritto ai tempi di Montanelli. Per prepararsi

all’incontro, durante il viaggio sulla A4 bevve due litri di acqua: doveva smaltire i postumi di una mezza sbornia della sera prima. C’e-ravamo quasi combinati per farlo scrivere in prima pagina. Corsivi brevissimi sui fatti di giornata. (...) Ma il primo commento non si rivelò all’altezza delle aspettative di Belpietro, e neppure mie. Vi si censurava il malvezzo dei trevigiani di mangiarsi i ghiri arrosto, consuetudine che Sergio giudicava barbara oltreché svantaggiosa, dal momento che, secondo lui, molti fabbricanti di cofani funebri recuperavano i gusci vuoti di noci e nocciole

rosicchiate da questi simpatici roditori e li utilizzavano al posto del legno, dopo averli

pressati, per farne casse da morto. (...)In mezzo secolo di carriera Saviane

aveva rimediato una settantina di querele. L’ultima fu di Irene Pivetti. (...) C’era stato un fraintendimento linguistico. L’aveva definita «gobeta sopressada», che in veneto vuol dire gobbetta stirata ed è un’espressione antica e quasi affettuosa, per indicare chi, pur avendo la schiena dritta, ha la faccia da gobbo, il naso da gobbo, il pallore da gobbo. (...) L’ex terza autorità dello Stato aveva chiesto una provvisionale di 40 milioni di lire in attesa dell’appello. Ma Saviane non aveva il becco di un quattrino. Poiché l’articolo incriminato era apparso sulla Voce, nel frattempo defunta, egli scrisse una letterina a Montanelli: «Possiamo fare metà ciascuno? Io riesco a mandarti un milione al mese...». Gli aveva prontamente telefonato Vittorio D’Aiello, l’avvocato di fidu-cia del Grande Vecchio: «Ha già pagato tutto Indro». Da allora il fondatore del Giornale e della Voce riluce nel mio pantheon personale dei giganti, mentre l’ex vandeana brucia tra le fiamme eterne dell’altrettanto personale inferno dove colloco gli individui meschini. Si congedarono insieme nel 2001, Indro e Sergio, uno il 22 luglio e l’altro il 27, e ditemi voi se può essere solo una coincidenza. n

© riproduzione riservata

Nella foto, lo scrittore e giornalista Sergio Saviane, morto nel 2001.

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27Mercoledì 17 aprile 2013 ilGiornale

diStefano Lorenzetto

«A ncora? Non sta-rai esagerandocon questi vene-ti?», ha eccepito

mia moglie. Si scrive soltanto diciò che si sa, ho replicato io. Miconsiderounnullologo,cioè,se-condo la definizione offertamida Paolo Occhipinti, per 26 annidirettore diOggi, uno che non saquasinientediquasitutto,alcon-trario del tuttologo che sa quasitutto di quasi niente. Quel pocoche so del Veneto coincide contutto ciò che so della vita.

Ilprimovenetonotevoleentra-to nella mia vita era un prete. SichiamavadonWalterPertegato.DirigevaVeronaFedele,settima-nale diocesano che usciva il ve-nerdì, con grande consolazionedeiderelittidellacittàscaligera, iqualinelpomeriggiodiquelgior-nosimettevanoinfiladavantial-laredazioneperricevereunaco-pia omaggio e, assai più gradita,una moneta da 50 lire.

Eranatonel1930aGrisignanodiZocco,inprovinciadiVicenza.

Ungiornalistabuono,primacheunbuongiornalista.(...)Indossa-vasemprelatalare,perfettamen-teinamidata,eocchialidibache-lite nera che 35 anni dopo TomFord deve aver preso a modelloper Colin Firth in A single man,cosìpesantidalasciargliunsolconel naso quando, alla manieradeimiopi,litoglievapergiudica-re se un dattiloscritto fosse de-gno di pubblicazione. (...) DonPertegato è stato per me ciò chedonAndreaSpada,permezzose-colo alla guida del quotidianoL’EcodiBergamo, fu per VittorioFeltri, un altro dei miei maestriveneti, essendo nato di qua del-l’Adda. Prima di trasformarsi insettimanale,ancheVeronaFede-leusciva tutti i giorni. La testata,

natanel1878,riprendeva,tradu-cendolo,l’appellativo“Veronafi-delis” che i magistrati della Re-pubblica Veneta avevano attri-buitoallacittànel1757perlasuainconcussafedeltàallaSerenissi-ma. Era sorta dalle ceneri delRi-posoDomenicale(va’aspiegarloai centri commerciali), fondatonel1872perrintuzzare«lecalun-nie svergognate, le menzognesfacciate,lebestemmieesecran-decontro la Chiesa, il Papa, il sa-cerdozio,lareligione,Iddio»–no-tarel’ordinegerarchico– propa-latedalneonatoquotidianorisor-gimental-massonicoL’Arena.

In una piccola città di provin-cia, posta alla periferia di unagranderegionecattolica,VeronaFedeleeral’unicoorganodistam-pa che potesse aprire le porte aunsedicenne.Avevatenutoabat-tesimomoltigiornalistidestinatia far carriera, chi rimanendo echi emigrando: da GiuseppeBrugnoli, prima direttore delGiornale di Vicenza e poidell’Arena, ad Aldo Ba-gnalasta, corrispon-dente dell’Ansa daWashington.(...)

Ci pubblicai ilmioprimoarti-colo 40 annifa,nelmaggiodel 1973. Lo si-glarono “Ste. Lo.”,ma sarebbeandato benis-simo anche ilcontrario, “Lo.Ste.”,datocheri-sentivadell’anda-tura incerta tipicadegli alcolisti. Allo-ra(perfortuna)lere-goledell’apprendista-toeranoqueste.Ilcom-pianto Giulio Nascim-beni, forse il capo dellacultura rimasto in sellapiùalungoalCorrieredellaSera, ormai anziano rievo-

cava una volta sì e una no, nellenostre lunghe telefonate dome-nicali, la mortificante attesa pri-ma di veder comparire per este-solasuafirmaallafinediunelze-virosulquotidianodiviaSolferi-no:unanno.Solochenelfrattem-polui ne aveva già compiuti 38.

Unmesedopol’uscitadiquel-la prima cronachetta bussai allaporta di don Pertegato. Non

milasciònemmenotornareaca-sa. Presi servizio come abusivo.Fin da subito mi accorsi che daiquattro angoli della provinciaconvergeva negli uffici di reda-zione,dipersonaopercorrispon-denza,unafaunapittorescaesa-namente monomaniaca-le.C’erailcavalierLo-

renzoZera,reducediRussiaabi-tanteaIsoladellaScala,cheognisettimana, roteando le pupille,non meno che le “r” a causa delrotacismo da cui era afflitto,avrebbe preteso di lasciare inconsegnaaldirettoresvariateco-piedirivistepornografiche,affin-ché si rendesse conto del livellodiabiezioneraggiuntodall’edito-riadelsettore.S’erainfattiaccor-to che i cancellieri della Procuradella Repubblica, anziché alle-garle agli atti delle denunce cheandava a sporgere settimanal-mente, le imboscavano nei cas-settidelle loro scrivanie. (...)

C’era Basilio F. che dallaValpolicellacispedivatuttiigior-ni lettere sgrammaticate scritte

su fogli di quaderno – le più ir-resistibililehoconservate

–persegnalarelemale-fattedella“Mariaal-

ta” (la cui identi-tà e statura ri-

m a s e r osempre

avvolte nel mistero), col-pevole di mettergli di nasco-

sto le “bombe” nel caffè. Il pri-mo di questi ordigni chimici glierastatosomministrato–scrive-va–a27 anniinunbar«suaMa-rano,eadessoneho60,dunquesonopiùditrent’annichevengodrogato». Aveva registrato suicalendari «593 di queste bom-be», all’apparenza antenate delViagra.Trattavasi,asuodire,«difarmaco che provochi assuefa-zioneenelostessotempofarag-giungerelorgasmo,conlatiziaela caia, si sa che questo avviene,solo che il sogeto appare nel so-gno e la mia lista di queste don-nesiallungasempredipiù».L’ef-fetto finale sembrava compati-bileconuna polluzione nottur-na accompagnata da un ango-

scioso senso di colpa. (...)C’erafratelGiuseppePerin,in-

segnante nella Casa Buoni Fan-ciulli, geologo, mineralogista eintrepido esploratore, che (...)avevascrittoIlminilibriccinodel-la riconoscenza, ricco di etereedescrizioni anatomiche. Comelaseguente,relativaall’apparatogenitalefemminile:«V’èunapor-ticina,ilcuinomedialettalehare-miniscenze con la foglia sceltadaAdamoedEvapernasconde-re la propria nudità, e adottata,per tradizione, dagli artisti ondevelare nudità di statue e pitture.Per sommo, istintivo rispetto, èun nome che mai ho osato pro-nunciareechehosemprecancel-lato dai muri con esso deturpati.Quale porticina più preziosa diquella?Peressaesceognigiornoilliquidobiondochehapurifica-totutto l’organismo». (...)

Delprimogiornoinredazionericordo due persone, oggi en-trambedefunte:Mao Tse-tungeDarioTicinelli.Ilprofilodelditta-torecinesecompariva sul porta-chiavidiuncollaboratorepart-ti-mechealle13sioffrìgentilmentedidarmiunpassaggiofinoacasasulla sua Mini Minor, dopo averscoperto che abitavamo dallestesse parti. Pensavo che il gior-nalista ostentasse quel gadgetperunaformadisnobismo.Men-tre metteva in moto, gli chiesi sel’avesse vinto a qualche lotteria.«No, no, sono un seguace diMao», rettificò serio. E tra un se-maforoel’altromiappioppòunalectio brevis sulla Lunga marcia,ilGrandebalzoinavantielaRivo-luzioneculturale.Iltempodiarri-vareaPortaVescovo(edove,sen-nò?)egiàmichiedevosefossica-

pitato aVeronaFedeleoaServire ilPopolo.

Di Ticinelli, l’uni-coredattoreordinarioiscrittoal-l’albodeigiornalistiprofessioni-sti, oltre a un tratto del tempera-mento cheavevamo in comune,l’ipocondria, mi risultò subitosimpaticoilperfezionismomani-acale.Giànellaprimatrasfertaintipografia,doveallorasilavoravacol piombo, mi insegnò che eraobbligatoriochiudereapacchet-to l’ultima riga delle didascalieuscitemonchedallalinotype.Oc-correva pertanto aggiungerviqualche parola, badando a con-tarelebattute.(...)Lalezionecad-de su un terreno già dissodato.Col tempo, anzi, la pignoleriaavrebbeassuntoinmeconnotatipatologici, sino a farmi giungerealla conclusione che il giornali-smoo è perfezione o non è.

L’ANTICIPAZIONE Il libro di Stefano Lorenzetto

Nella terra sconosciutadei «serenissini» leoniIn «Hic sunt leones» i ritratti di 25 tipi veneti tracciati da chi li conosce beneGente normale che, nella santità oppure nel crimine, ha lottato e si è imposta

L’INCONTRO Continuano gli appuntamenti «Io e Sciascia»,organizzatidall’associazioneAmicidiLeonar-doSciasciapressolasedemilanesedelloStu-dio La Scala. Domani alle ore 18 ilmagistratoErminio Amelio e Guido Vitiello discuterannodiGiustizia eVerità nell’opera di Sciascia.

PRIMO DIRETTORE«DonWalter Pertegato,giornalista buono, primache buon giornalista»

COLONNEIl leone

di San Marcoa Venezia e lacopertina dellibro diStefanoLorenzetto

Giustizia e verità

nell’opera di Sciascia

Esce oggi Hic sunt leones,nuovo libro di Stefano Lo-renzetto,chehapersottoti-tolo Venticinque storie diveneti notevoli (pagg. 332,euro 18). Per gentile con-cessionediMarsilio Edito-ri, pubblichiamo l’iniziodell’introduzione.

Album

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12 Giovedì 18 aprile 2013 ITALIA

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Il libro di Stefano Lorenzetto

L’uomo dei polli che mise pacetra De Benedetti e il CavalierePassato dall’industria alimentare Arena all’editoria, il veneto Grigolinifavorì l’intesa dei due storici rivali sul caso Mondadori. Ma poi...::: STEFANO LORENZETTO

��� Il terzo veneto notevoleentrato nella mia vita fu un alle-vatore di pulcini, Antonio Grigo-lini, che a un certo punto della suaavventura imprenditoriale di-ventò editore e riuscì nella sba-lorditiva impresa di mettere d’ac -cordo Silvio Berlusconi e CarloDe Benedetti.

Il Commendatore - tutti lochiamavano così, dopo che il ca-po dello Stato l’aveva insignitodella decorazione di terza classedell’Ordine al merito della Re-pubblica - nel 1983 mi assunseall’Arena, il quotidiano di Vero-na, dove avevo già lavorato nel1975. In precedenza ero stato fra isuoi giornalisti anche a RadioAdige, una delle prime emittenticommerciali d’Italia, che Grigoli-ni aveva messo in piedi senza ri-sparmio di mezzi: sede nella cen-tralissima piazza Bra; avveniristi-che attrezzature da broadcastingacquistate negli Stati Uniti; regi-stratori professionali Nagraall’epoca in uso soltanto ai gior-nalisti della Rai. (...) Nel 1951, in-sieme con l’amico Arrigo Armel-lini, era andato nei Paesi Bassi aimparare come gli olandesi ave-vano industrializzato il ciclo uo-vo-pulcino-gallina. A suggerir-glielo fu don Giovanni Calabria,padre spirituale di entrambi, unmatto di Dio, un matto vero, chein quello stesso anno finì nellafossa dei serpenti e venne sotto-posto dal professor CherubinoTrabucchi, direttore del manico-mio cittadino di San Giacomo, aquattro sedute di elettroshock,perché non s’erano accorti chenella testa aveva una pazzia chegli psichiatri non possono curare:la santità. C’è voluto un Papa ve-nuto da molto lontano, dalla Po-lonia, per riconoscerla.

Tornò dunque Grigolinidall’Olanda con i pulcini e nac-que la Agripol, acronimo, in ordi-ne strettamente alfabetico, di“Armellini Grigolini polli”. As-sunse i sessatori cinesi che condestrezza, soffiando su quei ba-tuffoli di piume, riuscivano a di-stinguere i maschi dalle femmi-ne, 1.200 esemplari l’ora, senzasbagliare un colpo. Nel 1960,sempre col socio Armellini, fon-dò a Sommacampagna il PolloArena, che arrivò a gestire l’interafiliera dall’allevatore al consu-matore. Alle carni avicole si ag-giunsero ben presto i surgelati e ipiatti pronti. I dipendenti eranodiventati più di 2.000. I prodotticontrassegnati dalla grande “A”rossa si vendevano in tutta Italia.All’ora di pranzo e di cena com-parivano, oltre che sulle tavole,anche in televisione.

Gli spot su Canale 5 («PolloArena, tutta la bontà del pollo»)propiziarono una solida amiciziafra Berlusconi e Grigolini. (...) Isuccessi imprenditoriali delCommendatore non potevanosfuggire al ras del Veneto, il mini-

Antonio Grigolini [dal web]

::: POLITICA E SOCIETÀ

capace: da buon cattolico. Fra lesue prime iniziative, perciò, vi fuun duro rimprovero al direttoredell’Espresso, Claudio Rinaldi,per le copertine scollacciate concui cercava di spingere le vendite.L’anziano veronese non riuscivaa spiegarsi quell’ossessiva ripeti-tività. Alla fine mi confidò d’esse -re arrivato a una conclusione cheequivaleva a un’assoluzione:«Poaréto, magari el fa cussì parvia de la malatia». S’era cioè con-vinto che l’eccessivo interesseper le modelle discinte potesseessere la conseguenza compen-satoria di una disfunzione eretti-le provocata dalla sclerosi multi-pla, patologia di cui il direttoresoffriva da anni. E mi mostrò sod-disfatto un bigliettino con l’inte -stazione “Claudio Rinaldi Tufi”,in cui l’erotomane gli rinnovavala sua stima e lo pregava di conti-nuare a volergli bene: il Com-mendatore lo aveva interpretatocome un segno di ravvedimento.

Con simili doti di diplomazia lacarriera di Grigolini nell’editorianon poteva durare a lungo. Sul fi-nire degli anni Ottanta si ruppe ilsuo sodalizio con Armellini. (...) Siritirò a vita privata, senza recri-minare, soprattutto senza odiarenessuno. Aveva fatto propria lapreghiera che il suo padre spiri-tuale, quello che gli aveva datol’idea dei pulcini, recitava ognisera nell’atto di benedire la cittàdalla finestra della sua cameretta,un balcone affacciato su Verona:«Ti ringrazio, o Dio, per quelloche mi hai dato, per quello chenon mi hai dato, per quello chemi hai tolto». Cercò di rendereogni giorno sempre più leggero ilsuo zaino, consapevole che persalire la montagna del Signorenon bastano mani innocenti ecuore puro: bisogna anche sa-

persi disfare di tanta za-vorra terrena. (...)

Da uomo pro-fondamente lega-to ai cicli della na-tura, offrivaun’interpreta -zione di france-

scana stringatezzadegli eventiavversi che loavevanoespulso dal

Gotha locale e nazionale: «CaroStefano, lù el crede che andandoavanti co’ i ani i grópi i se desgró-pa. Invésse i se ingrópa semprede più». Nessun altro ha saputomettermi in guardia con parolepiù acconce circa il futuro.Quant’è vero! Viviamo tutti conquesta perenne illusione che inodi non vengano mai al pettine,anzi che il tempo riesca a scio-glierli, e invece il loro intrico sof-focante ci avviluppa sempre dipiù. Talché possiamo ben con-cludere che i giorni in cui ci siamosentiti più avviliti, incompresi,deboli, sfortunati, ebbene quellierano i giorni più felici che Dioaveva preparato per noi.

stro Antonio Bisaglia. Cosicché,non appena i Galtarossa (fonde-rie), i Fedrigoni (cartiere), i Farina(macchine agricole) e i Bertani(vini) - la vecchia guardia liberaleche dal dopoguerra deteneva ilpacchetto azionario dell’Athesis- manifestarono l’intenzione disbarazzarsi dell’Arena e del Gior -nale di Vicenza, il leader doroteosi diede molto da fare affinché lacasa editrice passasse, col con-corso delle associazioni indu-striali delle due città, a una corda-ta formata da Grigolini e Armelli-ni, affiancati da Luigi Ferro, po-liedrico uomo d’affari e collezio-nista d’arte i cui interessi spazia-vano dai fertilizzanti agli alber-ghi. Era il 1979. (...)

Un editore frequenta di norma

gli altri editori. Fu così che Grigo-lini conobbe, dopo Berlusconi,anche Carlo De Benedetti e CarloCaracciolo di Castagneto, per luisemplicemente El Principe, pro-prietari della Repubblica edell’Espresso, vale a dire quantodi più lontano dalle sue idee poli-tiche. Ciò non gli impedì di pro-porsi come mediatore allo scop-pio della cosiddetta guerra di Se-grate fra la Cir (Compagnie indu-striali riunite) di De Benedetti e laFininvest di Berlusconi per ilcontrollo della Arnoldo Monda-dori Editore. Con la bonomia ti-pica dei veneti, convinse i con-tendenti a incontrarsi nella suatenuta di Buttapietra, alle porte diVerona, presente Caracciolo. Laleggenda narra che il futuro pre-

sidente del Consiglio, non ancoraprovvisto dell’elicottero recanteil marchio del Biscione sulla co-da, avesse raggiunto via Casettecon un camper che gli serviva daufficio mobile, più simile a un Tirche a un autocaravan, e che, ri-masto incastrato all’imboccodella stradicciola, fosse stato co-stretto a proseguire a piedi finoalla magione di campagna.

Ho avuto modo di vedere ledediche encomiastiche lasciatedal Cavaliere, dall’Ingegnere edal Principe sul libro degli ospiti,accanto alle foto di quel meetingagreste all’inizio del quale ilCommendatore aveva schieratocon orgoglio l’intera famiglia.Siccome mi sono impegnato alriserbo, non posso riferir-ne. Dico solo che se ilitiganti avesseropoi tenuto fede aibuoni propositisottoscritti attor-no alla mensa diGrigolini, mai sa-rebbe stato neces-sario il lodo Monda-dori e l’Italia si sarebberisparmiata le penosevicende giudiziarie chene seguirono, tuttora ben lungidalla conclusione. Un’antivigiliadi Natale, nel tinello della casa dicittà, il Commendatore ci tenne amostrarmi il premio che Berlu-sconi gli riservava ogni anno perquella mediazione: un panettoneda 30 chili.

Caracciolo, in segno di ricono-scenza, cooptò Grigolini nel con-siglio d’amministrazione delgruppo editoriale L’Espresso e celo tenne, con inusitata eleganza,per molti anni, anche dopo chel’amico era uscito dal mondodell’editoria. (...) Il Commenda-tore s’integrò nel board del piùlaicista dei gruppi editoriali ita-liani nell’unico modo di cui era

::: LA SCHEDA

L’AUTOREStefano Lorenzetto ha co-minciato la sua lunga atti-vità di giornalista a«L’Arena» di Verona. AlVeneto e ai veneti ha de-dicato vari saggi: prima diquesto ultimo “Hic suntleones”, sempre per i tipidi Marsilio sono usciti“Cuor di Veneto” e “Laversione di Tosi”.

IL LIBROTra i venticinque «venetinotevoli» di cui il libro“Hic sunt leones” traccia ilritratto, c’è anche la figuradi Antonio Grigolini, giàallevatore di pulcini, fon-datore del marchio “PolloArena”, prima di dedicarsiai giornali, diventandoeditore dell’«Arena».

LA VICENDAGrigolini intrattenne otti-mi rapporti con i due gran-di rivali Carlo De Benedet-ti e Silvio Berlusconi. Sullaquerelle-Mondadori i dueraggiunsero un accordoproprio in casa Grigolini.L’intesa durò poco ma Gri-golini rimase in contattocon entrambi i contenden-ti.

È in libreria “Hic sunt leo-nes” di Stefano Lorenzetto,che ha per sottotitolo “Ven -ticinque storie di veneti no-tevoli” (332 pagine, 18 eu-ro). Per gentile concessionedi Marsilio Editori, pubbli-chiamo alcuni stralcidell’introduzione riguar-danti un inedito risvolto del-la cosiddetta «guerra di Se-grate».

Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti in una vecchia foto [Olycom]

Stefano Lorenzetto

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21Giovedì 18 Aprile 2013 2Giovedì 18 Aprile 2013M E D I AEra il miglior amico di Benetton, ma gli cavò la pelle ne Il miliardario. Era fatto così

Saviane, giornalista-scorpionePer lui, Moravia, in Africa cercava cacche di elefante

È in libreria Hic sunt leones di Stefano Lorenzetto, che ha per sottotitolo «Venti-cinque storie di veneti no-

tevoli» (332 pagine, 18 euro). Per gentile concessione di Marsilio Editori, pubblichiamo alcuni stralci dell’introduzione riguar-danti Sergio Saviane.

Il quarto veneto notevole entrato nella mia vita fu quel cronista di razza e inarrivabile scrutatore di umane debolezze che rispondeva al nome di Sergio Saviane. Non riesco a darmi pace per aver maldestra-mente cancellato il messaggio di benvenuto della sua segreteria te-lefonica, che avevo tenuto per anni inciso nella mia; una registrazione effettuata pochi giorni dopo la sua morte, avvenuta nel 2001, quando, telefonando al numero 0423 563676, ti rispondeva ancora lui, come se fosse vivo: «Non sono in casa. Pote-te lasciare un messaggio dopo il se-gnale acustico». E qui - ecco il genio assoluto, l’irriverenza fatta persona - invece del banale bip elettronico ascoltavi Saviane che gorgheggia-va soavemente, tale e quale il frin-guello che si sentiva in sottofondo nel motivetto L’uccellino della ra-dio cantato da Silvana Fioresi negli anni Quaranta. (...)

Sull’ornitologia Saviane s’era soffermato anche nella prima in-tervista che gli feci, scioccandomi con una sorprendente dichiarazione di debolezza: «Védito, Stefanelo, el me osèl xe come ’na ciàve Yale», e per rendere plastica la descrizio-ne estrasse di tasca un mazzo di chiavi, mostrandomi quella più lunga, zeppa di forellini, che gli ser-viva per aprire una porta blindata. Era il suo modo poetico per confidarmi di sentirsi un soprav-vissuto al tumore che lo aveva colpito all’organo più caro, e un tempo più utilizzato, dopo il cervello. Subito aggiunse, serissi-mo: «Pensa che Alberto Moravia ha passato la vita a discorrere e a far baruffa col suo lui. Poaréto, non sa-peva dove mettere le virgole, l’unica cosa che gli riusciva bene era girare per l’Africa con la Dacia Maraini e la Maria Callas a fotografare mer-de di elefante. Ma della donna non sapeva niente, niente! Noi latini siamo degli usurpatori, crediamo che far l’amore sia una cosa diver-tente. Invece è drammatica. Un atto sacrale».

C’eravamo conosciuti dieci anni prima, nel 1988, in una serata di lu-glio insolitamente primaverile. Dopo un trentennio di onorata carriera, L’Espresso lo aveva fatto fuori per affi dare la rubrica della critica tele-visiva a un pubblicitario, Emanuele Pirella, l’inventore dei tormentoni «Nuovo? No! Lavato con Perlana» e «O così o Pomì». Un segno dei tempi. (...) Molti anni dopo, quando restò di nuovo disoccupato, lo accompagnai a Milano da Maurizio Belpietro, di-rettore del Giornale sul quale già aveva scritto ai tempi di Montanelli. Per prepararsi all’incontro, duran-

te il viaggio sulla A4 bevve due litri di acqua minera-le: doveva smaltire i postumi di una mezza sbornia della

sera prima. C’eravamo quasi com-binati per farlo scrivere in prima pagina. Corsivi brevissimi sui fatti di giornata. Sarebbe stato un gran-de ritorno. E anche la prova di una reciproca indipendenza, considerato che Saviane si riferiva a Silvio Ber-lusconi chiamandolo sempre e solo «il nanetto di Arcore». Ma il primo commento che mi spedì per fax non si rivelò all’altezza delle aspettative di Belpietro, e neppure mie, a dirla tutta. Vi si censurava il malvezzo dei trevigiani di mangiarsi come pietanza i ghiri arrosto, consue-tudine che Sergio giudicava barbara oltreché svantaggio-sa, dal momento che, secondo lui, molti fabbricanti di cofani funebri recuperava-no i gusci vuoti di noci e nocciole ro-sicchiate da questi simpatici roditori e li utilizzavano al posto del legno, dopo averli pressati, per farne casse da morto. Un successivo ricovero ospedaliero e i guai dell’età impedirono che la collaborazione decollasse con un commento meno

stravagante.Già, l’età. Argomento tabù. Guai

ad accennargliene. Dovetti spulcia-re un vecchio annua-rio dell’Ordine dei giornalisti per sco-prire che era nato a Castelfranco Veneto il 18 aprile 1923 ed era iscritto all’albo dei professionisti dal lontano 1958. Non gli piaceva parlare del tempo che pas-sa, soprattutto dopo la perdita della sua Caterina, che se n’era andata per sempre una sera di marzo del 1991, «un’amica più che una fi glia, i fi gli hanno bisogno del padre, soprattutto le fi glie, ma io ero sempre assente». L’ultimo dei suoi

31 anni Caterina l’aveva fi nalmente vissuto col papà: «Dormivo vestito, di notte andavo per caserme e me la ri-portavo a casa, fu-mava 120 sigarette al giorno, e se non erano sigarette era qualcosa di peggio. Il buco fi nale a Mi-

lano, in casa di un’amica. Sono di-ventato buffone anche per questo, per difendermi». All’altra fi glia che gli era rimasta, Valentina, residen-te a Roma, non risparmiava il suo

sarcasmo. La chiamava «la nazi-sta»: troppo severa, a suo giudizio, nell’educazione dei fi gli. Avendola conosciuta, posso testimoniare che si sbagliava. (...)

Nel 1998 aveva commesso l’errore di dedicare a Benetton, compagno di interminabili partite a tressette, un’impertinente biografi a edita da Marsilio, Il miliardario, e più anco-ra di mandargliela in lettura prima di darla alle stampe. L’imprenditore dei maglioni colorati non gli doman-dò né di correggere né di smussare né di tagliare, ben sapendo che Sa-viane non l’avrebbe certo acconten-tato. Non gli chiese nulla di nulla. Semplicemente smise di cercarlo e di parlargli. Sergio, che considerava la libertà di pensiero un fatto fi sio-logico alla stregua del respiro e del battito cardiaco, non riuscì mai a capacitarsi di questa rottura. Per mantenere intatto il ricordo delle allegre ore conviviali passate con Benetton, si autoconvinse che a in-cazzarsi non fosse stato lui, bensì Laura Pollini, l’addetta stampa nel frattempo diventata la compagna di Luciano. (...)

Ci sentivamo spesso per telefono e ogni tanto andavo a trovarlo. Una volta volle conoscere mia moglie. (...) Andammo a pranzare da Lino, a Solighetto, dov’era stata di casa il soprano Toti Dal Monte. La sua lo-canda prediletta. E non per la sopa coada, la zuppa di piccione, o per le altre ricette della nonna, o per il sof-fi tto foderato da paioli di rame. No: per il camino. Lì a tavola ci svelò che sceglieva soltanto trattorie dotate di questo impianto a suo giudizio in-dispensabile e che, fra tutte, preferi-va quella di Lino Toffolin in quanto nella sala da pranzo c’era non un caminetto bensì un caminone, uti-lizzato dallo chef per le costate alla brace e per lo spiedo. Gli chiesi: ti piacciono le carni arrostite sul fuoco

vivo? La risposta fu una fi ondata: «Non m’interessano né le bistecche né lo spie-do. Il camino serve per le scoregge». Mia moglie trasalì. Ma lui, per nulla imbarazzato, spie-gò: «Non lo sapete che al ristorante tutti spetazzano?

Ve ne potete accorgere anche voi: quando un commensale sorride e socchiude l’occhietto, vól dir che xe concentrado su ’na scoresa, deve stare attento a rilasciarla senza far rumore. E non c’è altro come il camino acceso che attiri questi ef-fl uvi, garantendo il ricircolo d’aria negli ambienti chiusi. Insoma, xe question de igiene». (...)

In mezzo secolo di carriera Savia-ne aveva rimediato una settantina di querele. L’ultima, la più sangui-nosa, fu di Irene Pivetti, l’ex leghista passata dalla croce della Vandea ap-pesa al collo alle guaine in latex che le strizzavano i seni quando con Pla-tinette conduceva Bisturi! Nessuno è perfetto su Italia 1. C’era stato un fraintendimento linguistico. L’aveva defi nita «gobeta sopressada», che in

Non decollòal Giornale

perché il suo primopezzo era contro chi

mangiava i ghiri arrosto

Per lui, i grandi camini dei ristoranti

aiutanogli scoreggiatori

che voglionorestare impuniti

continua a pagina 22

tAdlim

Dopo 30 annidi lavoro, l’Espresso gli tolse la rubrica tv

per darlaall’esangue Pirella

Stefano Lorenzetto

103105097110110105

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22 Giovedì 18 Aprile 2013

veneto vuol dire gobbetta stirata ed è un’espressione antica e quasi affettuosa, per indicare chi, pur avendo la schiena dritta, ha la faccia da gobbo, il naso da gob-bo, il pallore da gobbo. «Nota bene che chiamano gobbo pure me», si stupì, «e che nello stesso articolo avevo dato delle gobete sopressade anche a Emma Bonino e a Marina Salamon». L’ex terza autorità dello Stato, tran-sitata con disinvoltura dalla Camera alla telecamera, aveva chiesto una provvisionale di 40 milioni di lire in attesa dell’appello. Ma Saviane non aveva il becco di un quattrino. Poiché l’articolo incriminato era appar-so sulla Voce, nel frattempo defunta, egli scrisse una letterina a Montanelli: «Possiamo fare metà ciascuno? Io riesco a mandarti un milione al mese...». Gli aveva prontamente telefonato Vittorio D’Aiello, l’avvocato di fi ducia del Grande Vecchio: «Ha già pagato tutto Indro». Da allora il fondatore del Giornale e della Voce riluce nel mio pantheon personale dei giganti, mentre l’ex vandeana brucia tra le fi amme eterne dell’altrettanto personale inferno dove colloco gli individui meschini. Si congedarono insieme nel 2001, Indro e Sergio, uno il 22 luglio e l’altro il 27, e ditemi voi se può essere solo una coincidenza. (...)

Sergio aveva trasfor-mato la cucina nel suo studio. La televisione, «la grande meretrice», troneggiava spenta sopra il frigorifero. Su una sedia impagliata sonnecchiava la Oli-vetti verdolina, «l’unica vacca che m’è rimasta nella stalla». Il giornalista metteva le stecche del-le sigarette sul davanzale affi nché conservassero il giusto grado di umidità. Sotto il secchiaio di marmo rosso Verona, dietro una tendina, teneva le bottiglie di Prosecco. Già alle 9 del mattino insisteva per dar-tene un bicchiere. Per lui era il succedaneo dell’acqua Recoaro: un diuretico. «Il Prosecco», ammaestrava, «si offre ma non si regala». Proteggeva l’identità del suo fornitore di fi ducia come se fosse il terzo segreto di Fatima. Me lo fece conoscere soltanto dopo alcuni anni che ci frequentavamo: era un contadino che si chiama-va Giotto, con cantina a Farra di Soligo, mi sembra, ma non potrei giurarci, giacché per portarmici Sergio fece innumerevoli giravolte, quasi volesse impedirmi di ricordare la strada per ritornarci da solo. Nella circostanza autorizzò il predetto Giotto a vendermi qualche cartone del prezioso nettare. Credo che per lui quell’atto rappresentasse la massima espressione di riguardo, il suggello più sublime dell’affi atamento raggiunto fra di noi. (...)

La sera, prima di andare per osterie, Sergio caricava di legna la stufa di maiolica della camera, altrimenti al ritorno sarebbe morto congelato nel sonno. La porta d’ingresso dell’antico palazzo era chiusa con una sola mandata, segno di un’illimitata fi ducia nell’umanità. Non un portone di legno: una porta a vetri, appannati dallo sporco, ma abbastanza puliti da lasciar intra-vedere un cosmico disordine nell’androne. Per terra, la prima volta che ci arrivai, fra mille cianfrusaglie risaltava un poster di Veruschka, la top model tedesca nata nel 1939, una sua fi amma, ignoro se in senso pla-tonico o reale. Su una sedia era appoggiato un caschet-to giallo di quelli usati come protezione nei cantieri. Mi venne spontaneo, dato anche il caos circostante, chiedergli se stesse per caso ristrutturando l’abitazio-ne. «Stefanelo, macché restauri! Quélo xe l’elméto che me meto par ’ndar in Posta col motorin». Non sapeva nulla dei caschi omologati per motociclisti. Secondo lui un copricapo da muratore bastava e avanzava per considerarsi in regola col codice della strada. Nessun vigile urbano osò mai multarlo. (...)

Ho cercato senza successo di far ripubblicare i suoi libri, un’opera omnia savianea che partendo dall’ul-timo, Il miliardario, attraverso L’Espresso desnudo, Moravia desnudo e il suo primo romanzo Festa di lau-rea, risalisse fi no all’inchiesta sui delitti di Alleghe, la località dolomitica da lui ribattezzata «la Montelepre del Nord»; una faida con otto morti ammazzati, fatta di amori segreti, fi gli illegittimi e contese ereditarie, da cui mossero le indagini che squarciarono vent’anni di omertà e spedirono all’ergastolo due degli assassini. Mi è stato spiegato che si tratta di scritti troppo datati, che oggi non interessano più a nessuno. A Scalfari i Meridiani, a Saviane l’oblio. C’è da stupirsene?

Ogni tanto torno davanti a casa sua, più vuota e più abbandonata che mai. Mi soffermo nell’attigua chiesetta, sempre aperta, che ha solo quattro banchi. E mi pare di udire una domanda portata dal vento: «Stefanelo, ma còssa feto qua?».

SEGUE DA PAGINA 21

La Pivetti non tolleròdi essere trattata dagobeta sopressada.

Ma i 40 milionili pagò Montanelli

L’Antitrust: non sia la Lega a ripartire le risorse ai club

Calcio, dividere i dirittitv sulla base del merito

DI ANDREA SECCHI

Se una squadra di calcio è competitiva, ha inve-stito adeguatamente e quindi ottiene buoni

risultati sul campo deve poter guadagnare dai diritti televi-sivi. Non importa la sua storia passata oppure il numero di ti-fosi, elemento quest’ultimo che può dipendere da molti fattori. Per questo, secondo l’Antitrust, deve cambiare il sistema di sud-divisione dei proventi dalla tv attualmente adottato in Italia: un tesoretto che per la Serie A vale 1 miliardo di euro e le cui fette maggiori oggi vanno alle squadre storiche: Juve, Milan, Napoli e Roma. Ma l’Autorità garante della concorrenza nel mercato si è spinta anche oltre: le associazioni di categoria, in particolare la Serie A, non sono l’organismo adatto per curare la ripartizione delle risorse, perché al loro interno ci sono i rappresentanti delle squadre che quindi potrebbero influen-zare la suddivisione. Serve quindi un soggetto terzo.

Il tutto è contenuto in un pa-rere che l’Autorità presieduta da Francesco Pitruzzella ha inviato a parlamento e

governo. Perché alla base dei criteri per la suddivisione dei diritti c’è un decreto legislativo del 2008, il numero 9, che ha defi nitivamente reintrodotto in Italia la contrattazione col-lettiva dei diritti tv del calcio al posto di quella della singola squadra. Il decreto ha anche stabilito le regole generali per la suddivisione degli introiti, lasciando poi alla Lega il com-pito di determinarne i criteri nel dettaglio: il 40% del totale dei diritti, dice la norma, deve essere suddiviso in parti ugua-li fra le squadre, mentre una quota deve essere determinata sulla base del risultato sporti-vo e un’altra (uguale alla pre-cedente) sulla base del bacino d’utenza.

Nel novembre scorso la Lega ha approvato le sue misure, ri-calcando quanto già il decreto aveva previsto provvisoria-mente per il primo anno: 40% in parti uguali, 30% sulla base del bacino d’utenza (di cui 25% in proporzione ai sostenitori e 5% alla popolazione residen-te nel comune della squadra) e infi ne il 30% sulla base dei risultati (di cui 5% sui risulta-ti della stagione, il 15% sugli ultimi cinque anni, il 10% sui

risultati storici dal 1946/47). A questi criteri si erano opposti il Palermo e il Chievo, mentre si erano astenute nella votazione la Fiorentina e il Napoli.

E il ragionamento dell’Agcm sembra dare ragione ai club più critici, ma soprattutto cerca di individuare un mec-canismo con il quale incenti-vare le società a fare meglio e a competere tra loro senza adagiarsi sugli allori passati. «Un evento sportivo ha una maggiore attrattiva in quelle ipotesi in cui si ha un maggio-re equilibrio tra i competitor», scrive l’Antitrust. «Infatti, sol-tanto se vi è equilibrio tecnico tra le squadre che prendono parte a un campionato vi può essere incertezza in merito al risultato, la quale comporta, a sua volta, una maggiore at-trattività delle competizioni sportive» e quindi maggiori guadagni dagli spettatori. Ben vengano quindi gli inve-stimenti anche da parte dei nuovi entranti, che fanno più interessante il calcio e spingo-no a una maggiore effi cienza. Sforzi che però devono essere compensati dividendo i diritti sulla base del merito.

© Riproduzione riservata

Bacino d’utenza

40%

30% 30%

Risultatidella squadra soprattutto

storici

Parti uguali

2011/2012 2012/2013 2014/2015

866 mln 966 mln 1.006 mln

2020200201111111111111/2/2/2/2/22/2/201010101010112222222 202020200020121121211121 /2/2/2/2/2/2010101010101010110 333333 202020020201414141441444/2/2/2/2/2/2/ 01010101010 55555

I ricavi

La suddivisione dei diritti tv

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PER 27.000 LOCALITÀ ITALIANE E 170.000 CITTÀ DEL MONDO

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Fine settimana, museo o barbecue?

L’Antitrust: non sia la Lega a ripartire le risorse ai club

M E D I A

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E’ uno spaccato di un Nordest che a GiorgioLago sarebbe piaciuto: per il giornalismoStefano Lorenzetto, penna veronese nota pergli articoli e per i libri, per lo sport i fratelliBergamasco, simboli del rugby italiano, perl’impresa Riccardo Donadon, mentedell’incubatore di idee H-Farm. E poi il Fai(Fondo Ambientale Italiano) di Padova,premiato per il no-profit, ePordenoneLegge, il festival del librovincitore nella categoria cultura, direttodallo scrittore e poeta Gian Mario Villalta.Ecco svelati i cinque vincitori del premio,giunto alla nona edizione, dedicato a Lago(1937-2005): storico direttore del Gazzettinoe poi editorialista per La Repubblica e iquotidiani nordestini del gruppo Espresso.Più che ungiornalista, un«profeta delNordest», terrache amava,vezzeggiava,criticava. A Lagoè intitolato ilcentro studiinterdipartimenta-le dell’Universitàdi Padova, direttodal professorGianniRiccamboni.Propriol’universitàpatavinacollabora (conVeneto Banca e ilComune diCastelfranco) al premio che sarà consegnatoil 6 maggio a Castelfranco Veneto, chiusuraideale del festival dedicato al giornalista (dal3 al 5 maggio) organizzato dall’associazione«Amici di Giorgio Lago», presieduta daLuigino Rossi che ricorda come «allapremiazione sarà presente Paolo Mieli»,mentre al festival parteciperanno nomiillustri quali Sergio Rizzo, MarcelloVeneziani, Pierangelo Buttafuoco. «GiorgioLago era un giornalista, uno scrittore digrandi capacità - ricorda Giuseppe Zaccaria,rettore dell’ateneo di Padova - ha saputoriflettere, precursore prima di altri, su temiquali il federalismo, il fenomeno Nordest».

Enrico Albertini© RIPRODUZIONE RISERVATA

I l quarto veneto notevole entra-to nella mia vita fu quel croni-sta di razza e inarrivabile scru-

tatore di umane debolezze che ri-spondeva al nome di Sergio Savia-ne. Non riesco a darmi pace peraver maldestramente cancellato ilmessaggio di benvenuto della suasegreteria telefonica, che avevo te-nuto per anni inciso nellamia; unaregistrazione effettuata pochi gior-ni dopo la suamorte, avvenuta nel2001, quando, telefonando al nu-mero 0423 563676, ti rispondevaancora lui, come se fosse vivo:«Non sono in casa. Potete lasciareunmessaggio dopo il segnale acu-stico». E qui - ecco il genio assolu-to, l’irriverenza fatta persona - in-vece del banale bip elettronicoascoltavi Saviane che gorgheggia-va soavemente, tale e quale il frin-guello che si sentiva in sottofondonel motivetto L’uccellino della ra-dio cantato da Silvana Fioresi neglianni Quaranta. (...)Sull’ornitologia Saviane s’era

soffermato anchenella prima inter-vista che gli feci, scioccandomiconuna sorprendente dichiarazio-ne di debolezza: «Védito, Stefane-lo, el me osèl xe come ’na ciàveYale», e per rendere plastica la de-scrizione estrasse di tasca unmaz-zo di chiavi, mostrandomi quellapiù lunga, zeppa di forellini, chegli serviva per aprire una portablindata. Era il suo modo poeticoper confidarmi di sentirsi un so-pravvissuto al tumore che lo avevacolpito all’organo più caro, e untempo più utilizzato, dopo il cer-vello. Subito aggiunse, serissimo:«Pensa che Alberto Moravia hapassato la vita a discorrere e a farbaruffa col suo lui.Poaréto, non sa-peva dovemettere le virgole, l’uni-ca cosa che gli riusciva bene era gi-rare per l’Africa con laDaciaMarai-ni e la Maria Callas a fotografaremerde di elefante. Ma della donnanon sapeva niente, niente! Noi lati-ni siamo degli usurpatori, credia-mo che far l’amore sia una cosa di-vertente. Invece è drammatica. Unatto sacrale».

Dovetti spulciare unvecchio an-nuario dell’Ordine dei giornalistiper scoprire che era nato a Castel-franco Veneto il 18 aprile 1923 edera iscritto all’albo dei professioni-sti dal lontano 1958. Nongli piace-va parlare del tempo che passa, so-prattutto dopo la perdita della suaCaterina, che se n’era andata persempre una sera di marzo del1991, «un’amica più che una figlia,i figli hanno bisognodel padre, so-prattutto le figlie, ma io ero sem-

pre assente». L’ultimo dei suoi 31anni Caterina l’aveva finalmentevissuto col papà: «Dormivo vesti-to, di notte andavo per caserme eme la riportavo a casa, fumava 120sigarette al giorno, e se non eranosigarette era qualcosa di peggio. Ilbuco finale a Milano, in casa diun’amica. Sono diventato buffoneanche per questo, per difender-mi». All’altra figlia che gli era rima-sta, Valentina, residente a Roma,non risparmiava il suo sarcasmo.

La chiamava «la nazista»: tropposevera, a suo giudizio, nell’educa-zione dei figli. Avendola conosciu-ta, posso testimoniare che si sba-gliava. (...)Sergio aveva trasformato la cuci-

na nel suo studio. La televisione,«la grande meretrice», troneggia-va spenta sopra il frigorifero. Suuna sedia impagliata sonnecchia-va la Olivetti verdolina, «l’unicavacca che m’è rimasta nella stal-la». Il giornalista metteva le stec-chedelle sigarette sul davanzale af-finché conservassero il giusto gra-do di umidità. Sotto il secchiaio dimarmo rosso Verona, dietro unatendina, teneva le bottiglie di Pro-secco. Già alle 9 del mattino insi-steva per dartene unbicchiere. (...)Ogni tanto torno davanti a casa

sua, più vuota e più abbandonatache mai. Mi soffermo nell’attiguachiesetta, sempre aperta, cheha so-lo quattro banchi. Emi pare di udi-re una domanda portata dal vento:«Stefanelo, ma còssa feto qua?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lorenzetto racconta la lunga amicizia con Saviane

Il libro Esce «Hic sunt leones» del giornalista veronese: 25 storie di veneti «notevoli»

Premio Giorgio Lagocon Villalta,Donadon e il Fai

Cultura&Tempo libero

«Coraggiose genti»La copertina di «Hic suntleones» di Stefano Lorenzetto(nella foto). In alto a destra,Sergio Saviane, a cui è dedicataparte dell’introduzione

di STEFANO LORENZETTO

Il libro«Hic sunt leones. Venticinquestorie di veneti notevoli» (Glispecchi Marsilio, 332 pagine,18 euro, da oggi in libreria) èl’ultimo libro di StefanoLorenzetto. Il giornalista escrittore riprende la sagadella sua gente a cominciareda quattro veneti notevoli cheha incrociato in 40 anni diprofessione giornalistica.L’autoreLorenzetto, veronese, lavoraper «Il Giornale»,«Panorama» e «Monsieur». Èstato inserito nel GuinnessWorld Records per le oltre600 puntate della rubrica«Tipi italiani».

Ogni tanto torno davantia casa sua, mi pare di udireuna domanda portata dal vento

Il riconoscimento

Riccardo Donadon

Gian Mario Villalta

«Quelle lezioni d’amorenella cucina del Buffone»

È in libreria «Hic suntleones» di Stefano Loren-zetto, che ha per sottotito-lo «Venticinque storie diveneti notevoli» (332 pagi-ne, 18 euro). Per gentileconcessione di MarsilioEditori, pubblichiamo al-cuni stralci dell'introdu-zione riguardanti SergioSaviane.

La scheda

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21Corriere del Veneto Giovedì 18 Aprile 2013

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Scienziati e pastori,medici, ex terroristi,

la giudice velista eil ladro gentiluomo

L’uomo che riuscìa mettere d’accordo

Carlo De Benedettie Silvio Berlusconi

(S.F.) Ci sono benefattori e malvi-venti, medici e malati, ex giudicied ex terroristi, scienziati e pasto-ri, nomi famosi e in/soliti ignoti nelnuovo libro di Stefano Lorenzetto"Hic sunt leones" (Ed. Marsilio, €18), che racconta 25 storie diveneti notevoli. Accanto ai suoimaestri di giornalismo - WalterPertegato, Cesare Marchi e SergioSaviane - nell’introduzione Loren-zetto parla anche dell’editore epatron del Pollo Arena AntonioGrigolini, a cui è dedicato il branoriportato sotto.

Ma nella lista ci sono gli scienzia-ti Massimo Marchiori e FabrizioTamburini, il fondatore della LifeFabio Padovan, il regista AntonelloBelluco, il protagonista del libro diFulvio Ervas "Se ti abbraccio nonaver paura" Franco Antonello colfiglio Andrea, il progettista dellaTorre Cardin Rodrigo Basilico (ni-pote di Pierre), la giudice-velistaCecilia Carreri, di cui Lorenzettoriscrive ex novo la vicenda. Ma c’èanche il "doge dei ladri" VincenzoPipino, a cui spetta la battuta piùdivertente: «Il settimocomandamento? L’ho sempre ri-spettato. Ho solo svuotato le taschedi chi aveva rubato prima di me»

Il comune denominatore di tuttequeste storie? Il coraggio, diceLorenzetto. Ecco perchè i leoni deltitolo.

Il terzo veneto notevole entratonella mia vita fu un allevatore dipulcini, Antonio Grigolini, che aun certo punto della sua avventu-ra imprenditoriale diventò edito-re e riuscì nella sbalorditivaimpresa di mettere d’accordoSilvio Berlusconi e Carlo DeBenedetti. Il Commendatore (...)nel 1983 mi assunse all’Arena, ilquotidiano di Verona, dove ave-vo già lavorato nel 1975. Inprecedenza ero stato fra i suoigiornalisti anche a Radio Adige,

una delle prime emittenti com-merciali d’Italia (...)

Nel 1951, insieme con l’amicoArrigo Armellini, era andato neiPaesi Bassi a imparare come gliolandesi avevano industrializza-to il ciclo uovo-pulcino-gallina.A suggerirglielo fu don GiovanniCalabria, padre spirituale di en-trambi (...) Tornò dunque Grigo-lini dall’Olanda con i pulcini enacque la Agripol, acronimo, inordine strettamente alfabetico,di “Armellini Grigolini polli”.Assunse i sessatori cinesi checon destrezza, soffiando su queibatuffoli di piume, riuscivano adistinguere i maschi dalle fem-mine, 1.200 esemplari l’ora, sen-za sbagliare un colpo. Nel 1960,sempre col socio Armellini, fon-dò a Sommacampagna il PolloArena, che arrivò a gestire l’inte-ra filiera dall’allevatore al consu-matore (...) All’ora di pranzo e dicena comparivano, oltre che sul-

le tavole, anche in televisione.Gli spot su Canale 5 («Pollo

Arena, tutta la bontà del pollo»)propiziarono una solida amiciziafra Berlusconi e Grigolini. (...)Un editore frequenta di normagli altri editori. Fu così cheGrigolini conobbe, dopo Berlu-sconi, anche Carlo De Benedettie Carlo Caracciolo di Castagne-to, per lui semplicemente ElPrincipe, proprietari della Re-pubblica e dell’Espresso, vale adire quanto di più lontano dallesue idee politiche.

Ciò non gli impedì di proporsicome mediatore allo scoppio del-la cosiddetta guerra di Segratefra la Cir (Compagnie industrialiriunite) di De Benedetti e laFininvest di Berlusconi per ilcontrollo della Arnoldo Monda-dori Editore. Con la bonomiatipica dei veneti, convinse i con-tendenti a incontrarsi nella suatenuta di Buttapietra, alle porte

di Verona, presente Caracciolo.La leggenda narra che il futuropresidente del Consiglio, nonancora provvisto dell’elicotterorecante il marchio del Biscionesulla coda, avesse raggiunto viaCasette con un camper che gliserviva da ufficio mobile, piùsimile a un Tir che a un autocara-van, e che, rimasto incastratoall’imbocco della stradicciola,fosse stato costretto a proseguirea piedi fino alla magione dicampagna.

Ho avuto modo di vedere ledediche encomiastiche lasciatedal Cavaliere, dall’Ingegnere edal Principe sul libro degli ospi-ti. Siccome mi sono impegnato alriserbo, non posso riferirne. Di-co solo che se i litiganti avesseropoi tenuto fede ai buoni propositisottoscritti attorno alla mensa diGrigolini, mai sarebbe stato ne-cessario il lodo Mondadori el’Italia si sarebbe risparmiata le

penose vicende giudiziarie chene seguirono, tuttora ben lungidalla conclusione. Un’antivigiliadi Natale, nel tinello della casadi città, il Commendatore citenne a mostrarmi il premio cheBerlusconi gli riservava ognianno per quella mediazione: unpanettone da 30 chili.

Caracciolo, in segno di ricono-scenza, cooptò Grigolini nel con-siglio d’amministrazione delgruppo editoriale L’Espresso.

*da "Hic sunt leones"Ed.Marsilio

VICENZA

Edoardo Bennatoinaugura il 22.Guitar Festival

Pagina 25

CINEMA

Roma e Sorrentinosperanza italianain gara a CannesDe Grandis a pagina 25

DI STEFANO LORENZETTO*

I leoni delVeneto, storie di coraggioNel nuovo libro di Stefano Lorenzetto il ritratto di 25 personaggi. Come Antonio Grigolini, editore e imprenditore

VENTICINQUE STORIEUn lampione e il leone di

San Marco. È l’immagine dicopertina del nuovo libro

di Stefano Lorenzetto,"Hic sunt leones"

PROTAGONISTI Antonio Grigolini,editore e già titolare del Pollo

Arena. Sotto Stefano Lorenzetto

PG 23 23Venerdì 19 aprile 2013

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ANTEPRIMA.StefanoLorenzettoracconta i suoiconterraneipiùfieri

UNLEONETRAIPOLLIStefano Lorenzetto

Il terzo veneto notevole entra-tonellamiavita fuunallevato-re di pulcini, Antonio Grigoli-ni, che a un certo punto dellasua avventura imprenditoria-lediventòeditoreeriuscìnellasbalorditiva impresadimette-re d’accordo Silvio BerlusconieCarloDeBenedetti.Il Commendatore — tutti lo

chiamavano così, dopo che ilcapo dello Stato l’aveva insi-gnito della decorazione di ter-za classe dell’Ordine almeritodella Repubblica — nel 1983mi assunse all’Arena, il quoti-diano di Verona, dove avevogià lavoratonel 1975. Inprece-denza ero stato fra i suoi gior-nalisti anche a Radio Adige,unadelleprimeemittenticom-merciali d’Italia, cheGrigoliniaveva messo in piedi senza ri-sparmio di mezzi: sede nellacentralissimapiazzaBra;avve-niristiche attrezzature da

broadcasting acquistate negliStatiUniti; registratoriprofes-sionali Nagra all’epoca in usosoltanto ai giornalisti dellaRai.Nel1951, insiemeconl’amico

Arrigo Armellini, era andatonei Paesi Bassi a imparare co-me gli olandesi avevano indu-strializzato il ciclo uovo-pulci-no-gallina. A suggerirglielo fudon Giovanni Calabria, padrespiritualedientrambi,unmat-todiDio,unmattovero,che inquello stesso anno finì nellafossa dei serpenti e venne sot-topostodalprofessorCherubi-noTrabucchi,direttoredelma-nicomio cittadino di San Gia-como,a quattro sedutedi elet-troshock, perché non s’eranoaccorti che nella testa avevauna pazzia che gli psichiatrinon possono curare: la santi-tà. C’è voluto un Papa venutoda molto lontano, dalla Polo-nia, per riconoscerla.Tornò dunque Grigolini dal-

l’Olanda con i pulcini e nac-quelaAgripol,acronimo,inor-dine strettamente alfabetico,di «ArmelliniGrigolini polli».Assunse i sessatori cinesi checon destrezza, soffiando suqueibatuffolidipiume, riusci-vano a distinguere i maschidallefemmine,1.200esempla-ri l’ora, senza sbagliare un col-po. Nel 1960, sempre col socioArmellini, fondò a Somma-campagna il Pollo Arena, chearrivò a gestire l’intera filieradall’allevatore al consumato-re.Alle carni avicole siaggiun-sero ben presto i surgelati e ipiatti pronti. I dipendenti era-nodiventatipiùdi2.000.Ipro-dotti contrassegnati dallagrande «A» rossa si vendeva-no in tutta Italia. All’ora dipranzo e di cena compariva-no, oltre che sulle tavole, an-che in televisione.

Gli spot su Canale 5 («PolloArena, tutta la bontà del pol-lo») propiziarono una solidaamicizia fra Berlusconi e Gri-golini. I successi imprendito-riali del Commendatore nonpotevanosfuggirealrasdelVe-neto, ilministroAntonioBisa-glia. Cosicché, non appena iGaltarossa (fonderie), i Fedri-goni (cartiere), i Farina (mac-chine agricole) e i Bertani (vi-ni)—lavecchiaguardialibera-le che dal dopoguerra detene-va il pacchetto azionario del-l’Athesis—manifestaronol’in-tenzione di sbarazzarsi del-l’ArenaedelGiornalediVicen-za, il leader doroteo si diedemolto da fare affinché la casaeditricepassasse,colconcorsodelle associazioni industrialidelle due città, a una cordataformatadaGrigolinieArmelli-ni, affiancati da Luigi Ferro,poliedrico uomod’affari e col-lezionista d’arte i cui interessispaziavano dai fertilizzantiagli alberghi. Era il 1979.

UN EDITORE frequenta di nor-magli altri editori. Fu così cheGrigoliniconobbe,dopoBerlu-sconi,ancheCarloDeBenedet-ti e Carlo Caracciolo di Casta-gneto, per lui semplicementeEl Principe, proprietari dellaRepubblicaedell’Espresso, va-le a direquantodi più lontanodalle sue idee politiche. Ciònon gli impedì di proporsi co-memediatorealloscoppiodel-lacosiddettaguerradiSegratefra la Cir (Compagnie indu-striali riunite) diDeBenedettie la Fininvest di Berlusconiper il controllo della ArnoldoMondadoriEditore.Conlabo-nomia tipica dei veneti, con-vinse i contendenti a incon-trarsinellasuatenutadiButta-pietra, alle porte di Verona,presente Caracciolo. La leg-

gendanarracheil futuropresi-dentedelConsiglio,nonanco-ra provvisto dell’elicottero re-cante il marchio del Biscionesulla coda, avesse raggiuntoviaCasette conuncamper chegli serviva da ufficio mobile,piùsimileaunTircheaunau-tocaravan,eche, rimasto inca-strato all’imbocco della stra-dicciola, fossestatocostrettoaproseguireapiedifinoallama-gionedi campagna.Ho avuto modo di vedere le

dediche encomiastiche lascia-te dal Cavaliere, dall’Ingegne-reedalPrincipe sul librodegliospiti, accantoalle fotodiquelmeeting agreste all’inizio delquale il Commendatore avevaschierato con orgoglio l’interafamiglia. Siccomemi sono im-pegnato al riserbo, non possoriferirne.Dico soloche se i liti-ganti avessero poi tenuto fedeai buoni propositi sottoscrittiattorno alla mensa di Grigoli-ni, mai sarebbe stato necessa-rio il lodoMondadori e l’Italiasisarebberisparmiatalepeno-se vicende giudiziarie che neseguirono, tuttora ben lungidallaconclusione.Un’antivigi-lia di Natale, nel tinello dellacasadicittà, ilCommendatoreci tenneamostrarmi ilpremioche Berlusconi gli riservavaogniannoperquellamediazio-ne:unpanettoneda30chili.Caracciolo, in segno di rico-

noscenza, cooptò Grigolininelconsigliod’amministrazio-ne del gruppo editorialeL’Espresso e ce lo tenne, coninusitata eleganza, per molti

anni, anche dopo che l’amicoera uscito dal mondo dell’edi-toria. IlCommendatores’inte-grò nel board del più laicistadei gruppi editoriali italianinell’unico modo di cui era ca-pace: da buon cattolico. Fra lesue prime iniziative, perciò, vifuundurorimproveroaldiret-tore dell’Espresso, Claudio Ri-naldi, per le copertine scollac-ciateconcuicercavadispinge-relevendite.L’anzianoverone-se non riusciva a spiegarsiquell’ossessiva ripetitività. Al-lafinemiconfidòd’esserearri-vato a una conclusione cheequivaleva a un’assoluzione:«Poaréto, magari el fa cussìpar via de la malatia». S’eracioè convinto che l’eccessivointeresseperlemodellediscin-tepotesseesserelaconseguen-za compensatoria di una di-sfunzione erettile provocatadallasclerosimultipla,patolo-gia di cui il direttore soffrivadaanni.Emimostròsoddisfat-to un bigliettino con l’intesta-zione «Claudio Rinaldi Tufi»,incui l’erotomanegli rinnova-va la sua stima e lo pregava dicontinuare a volergli bene: ilCommendatoreloavevainter-pretato come un segno di rav-vedimento.

CON SIMILI DOTI di diplomazialacarrieradiGrigolininell’edi-toria nonpoteva durare a lun-go. Sul finire degli anniOttan-ta si ruppe il suo sodalizio conArmellini.Siritiròavitapriva-ta, senza recriminare, soprat-tutto senza odiare nessuno.

Aveva fatto propria la preghie-ra che il suo padre spirituale,quello che gli avevadato l’ideadei pulcini, recitava ogni seranell’atto di benedire la cittàdalla finestra della sua came-retta, un balcone affacciato suVerona: «Ti ringrazio, o Dio,perquello chemihaidato, perquello che non mi hai dato,per quello che mi hai tolto».Cercò di rendere ogni giornosempre più leggero il suo zai-no, consapevole che per salirela montagna del Signore nonbastanomani innocenti ecuo-re puro: bisogna anche saper-si disfare di tanta zavorra ter-rena.Da uomo profondamente le-

gato ai cicli della natura, offri-va un’interpretazione di fran-cescana stringatezza deglieventi avversi che lo avevanoespulso dal Gotha locale e na-zionale: «Caro Stefano, lù elcrede che andando avanti co’ iani igrópi isedesgrópa. Invés-seise ingrópasempredepiù».Nessunaltrohasaputometter-mi in guardia con parole piùacconce circa il futuro. Quan-t’èvero!Viviamotutticonque-sta perenne illusione che i no-dinonvenganomaialpettine,anzi che il tempo riesca a scio-glierli, e invece il loro intricosoffocante ci avviluppa sem-pre di più. Talché possiamoben concludere che i giorni incuici siamosentitipiùavviliti,incompresi, deboli, sfortuna-ti, ebbene quelli erano i giornipiù felici cheDio aveva prepa-ratopernoi.•

Illibro

Èdaoggi inlibreria HicsuntleonesdiStefano Lorenzetto,chehaper sottotitolo«Venticinque storie divenetinotevoli»(332 pagine,18euro).Perconcessione diMarsilioEditori,pubblichiamoalcunistralcidell’introduzioneriguardanti ilveronese AntonioGrigolini,cheneglianniOttantafutra gli editoridel nostrogiornale.Conun ineditorisvoltodellacosiddetta«guerradiSegrate».

L’AUTORE,giornalista escrittoreveronese, hagiàpubblicatoinCuordivenetounaraccoltadiinterviste agentenotevole dellasua terra.Iltitolo diquestonuovo librovienedaAnna Benedetti, lamammadi Lucy,unabimbaveronese affetta daunagravesindrome,chenonsarebbenemmenonatase unaluceintensa,unalucevera,nonavesse illuminatola primanotted’angosciadei genitoridopol’ecografia:«Mi sonosentitaunleone, fortissima»,haconfidatoladonna aLorenzetto.«BisognerebbedunqueaggiornarelacartografiadelVeneto»,commental’editore,«escriverci, come nelleantichemappe,“hic suntleones”. Maconun’accezione deltuttonuova:non leonichesbranano,bensìleonichecombattono. Acominciaredaquello diSanMarco, ilpiù glorioso,il piùaudace,il piùindomito. Ancheilpiùmaltrattato».

Altri25tipidiveneticombattivi

SiproposecomemediatoreeconvinseiduecontendentiaincontrarsiSTEFANOLORENZETTOGIORNALISTA ESCRITTORE

AntonioGrigolini,alcentro,conl’amicoCarloCaraccioloalleofficinegraficheMondadoridiVerona,1990 Illeone marcianoin copertina

AntonioGrigolini, l’allevatoredipulcini che fucapacedifermare(per unpo’) la guerratra BerlusconieDeBenedetti per laMondadori.Premio: panettone

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L'ARENAGiovedì 18 Aprile 201348

Page 12: Quando Saviane voel vas aval reg h.ri. · un mazzo di chiavi, mostrandomi quella più lunga, zeppa di forellini, che gli serviva per aprire una porta blindata. Era il suo modo poetico

È in libreria “Hic sunt leones”di Stefano Lorenzetto, che haper sottotitolo “Venticinquestorie di veneti notevoli” (332pagine, 18 euro). Per gentileconcessionediMarsilioEdito-ri, pubblichiamo alcuni stral-ci dell'introduzione riguar-dantiSergioSaviane.di Stefano Lorenzetto

I l quarto veneto notevole en-trato nella mia vita fu quelcronistadi razzae inarrivabi-

le scrutatore di umane debolez-ze che rispondeva al nome diSergioSaviane. Non riesco a dar-mi pace per aver maldestramen-tecancellatoil messaggio di ben-venuto della sua segreteria tele-fonica, che avevo tenuto per an-ni inciso nella mia; una registra-zione effettuata pochi giorni do-po la sua morte, avvenuta nel2001, quando, telefonando alnumero 0423 563676, ti rispon-devaancora lui, come se fossevi-vo: «Non sono in casa. Potete la-sciare un messaggio dopo il se-gnaleacustico». E qui - ecco il ge-nio assoluto, l’irriverenza fattapersona - invece del banale bipelettronico ascoltavi Savianeche gorgheggiava soavemente,tale e quale il fringuello che sisentiva in sottofondo nel moti-vettoL’uccellino della radio can-tatodaSilvanaFioresineglianniQuaranta.(...)

Sull’ornitologia Saviane s’erasoffermato anchenella prima in-tervista che gli feci, scioccando-mi con una sorprendente di-

chiarazione di debolezza: «Védi-to, Stefanelo, el me osèl xe come’na ciàve Yale», e per rendereplastica la descrizione estrassedi tasca un mazzo di chiavi, mo-strandomi quella più lunga, zep-pa di forellini, che gli serviva peraprire una porta blindata. Era ilsuo modo poetico per confidar-

mi di sentirsi un sopravvissutoal tumore che lo aveva colpitoall'organo più caro, e un tempopiù utilizzato, dopo il cervello.Subito aggiunse, serissimo:"Pensa che Alberto Moravia hapassatolavitaadiscorrereeafarbaruffa col suo lui. Poaréto, nonsapeva dove mettere le virgole,

l’unicacosachegliriuscivabeneera girare per l’Africa con la Da-cia Marainie la Maria Callas a fo-tografare merde di elefante. Madella donna non sapeva niente,niente! Noi latini siamo degliusurpatori, crediamo che farl’amore sia una cosa divertente.Invece è drammatica. Un atto

sacrale».Dovetti spulciare un vecchio

annuario dell’Ordine dei giorna-listi per scoprire che era nato aCastelfranco Veneto il 18 aprile1923 ed era iscritto all'albo deiprofessionisti dal lontano 1958.Non gli piaceva parlare del tem-po che passa, soprattutto dopolaperditadellasuaCaterina,chese n’era andata per sempre unasera di marzo del 1991, «un’ami-capiùcheunafiglia,i figlihannobisogno del padre, soprattuttole figlie, ma io ero sempre assen-te».

L’ultimodei suoi31 anniCate-rina l'aveva finalmente vissutocol papà: «Dormivo vestito, dinotte andavo per caserme e mela riportavo a casa, fumava 120sigarette al giorno, e se non era-no sigarette era qualcosa di peg-gio.Il buco finale aMilano, in ca-sa di un’amica. Sono diventatobuffone anche per questo, perdifendermi». All’altra figlia chegli era rimasta, Valentina, resi-dente a Roma, non risparmiavailsuosarcasmo.Lachiamava“lanazista”: troppo severa, a suogiudizio, nell’educazione dei fi-gli. Avendola conosciuta, possotestimoniare che si sbagliava.(...) Sergio aveva trasformato lacucina nel suo studio. La televi-sione, “la grande meretrice”,troneggiava spenta sopra il fri-gorifero. Su una sedia impa-gliata sonnecchiava la Olivettiverdolina, “l'unica vacca chem'è rimasta nella stalla”. Ilgiornalista metteva le stecche

delle sigarette sul davanzale af-finché conservassero il giustogrado di umidità. Sotto il sec-chiaio di marmo rosso Verona,dietro una tendina, teneva lebottiglie di Prosecco. Già alle 9del mattino insisteva per darte-ne un bicchiere. Per lui era ilsuccedaneo dell'acqua Recoa-ro: un diuretico. «Il Prosecco»,ammaestrava, «si offre ma nonsi regala». Proteggeva l’identitàdel suo fornitore di fiducia co-me se fosse il terzo segreto diFatima. Me lo fece conosceresoltanto dopo alcuni anni checi frequentavamo: era un con-tadino che si chiamava Giotto,con cantina a Farra di Soligo,mi sembra, ma non potrei giu-rarci, giacché per portarmiciSergio fece innumerevoli gira-volte, quasi volesse impedirmidi ricordare la strada per ritor-narci da solo. Nella circostan-za autorizzò il predetto Giottoa vendermi qualche cartonedel prezioso nettare. Credoche per lui quell’atto rappre-sentasse la massima espressio-ne di riguardo, il suggello piùsublime dell’affiatamento rag-giunto fra di noi. (...) La sera,prima di andare per osterie,Sergio caricava di legna la stufadi maiolica della camera, altri-menti al ritorno sarebbe mortocongelato nel sonno. La portad’ingresso dell’antico palazzoera chiusa con una sola man-data, segno di un’illimitata fi-ducia nell’umanità.

◗ PADOVA

Un premio che si sta radicandosempre più nel territorio. Natocome premio giornalistico nel2005, dal 2011 il Premio “GiorgioLago”, dedicato a una delle vocipiù importati del giornalismo -come ha detto ieri in conferenzastampa il Rettore dell'Universitàdi Padova Giuseppe Zaccaria:“Uno dei precursori di una seriedi temi che, come direbbe Bob-bio, si sono rivelate le promessenon mantenute del nordest”- siè insediato a Castelfranco Vene-to. Quest'anno la Giuria, riunita-si ieri al Bo per comunicare la ro-sa dei vincitori - oltre al figlio diGiorgio Lago Francesco Chia-

vacci Lago e al giornalista Fran-cesco Jori c'erano il PresidenteLuigino Rossi e Giancarlo Saran,assessore alla cultura della Cittàdi Castelfranco Veneto - ha pro-

clamato cinque vincitori (ma so-no sei, come ha specificato Lui-gino Rossi) che si distinguono alivello nazionale e internaziona-le nei settori dell'impresa, dellosport, del giornalismo, del noprofit e della cultura. Il premioall'impresa va a Riccardo Dona-don fondatore del venture incu-bator trevigiano H-Farm che è ilsimbolo dell'innovazione im-prenditoriale del nord est. Il Pre-mio Lago per lo sport va ai fratel-li Mauro e Mirco Bergamasco,padovani, campioni di rugby,cresciuti entrambi nelle fila del-la squadra padovana del Petrar-ca. Il Premio Lago per il giornali-smo va invece a Stefano Loren-zetto, scrittore e giornalista vero-

nese ( scrive su Il Giornale e Pa-norama). Il Premio Lago per ilNo Profit quest'anno se lo aggiu-dica il FAI ( Fondo Ambiente Ita-liano) che viene premiato dallaGiuria per l'operazione di salva-guardia di Villa dei Vescovi di Lu-vigliano di Torreglia che dal2011 è diventata uno spazioaperto a disposizione dei cittadi-ni. Mentre il premio Lago per lacultura va a Pordenonelegge, lagrande festa del libro con l'auto-re che quest'anno giunge allasua XIV edizione. La Kermesse -il direttore artistico è lo scrittoree poeta Gianmario Villalta - è unappuntamento internazionaleper autori, case editrici, operato-ri, spettatori che raggiungono

Pordenone da tutta Italia e dall'estero. Ma il Premio Lago non èsolo questo: come spiega l’asses-sore Saran il festival del giornali-smo “Giorgio Lago Nordest-Ita-lia, il blackout comunicativo”,quest'anno si articolerà in tre in-contri. Venerdì 3 maggio alle 18nel Cortile della biblioteca civi-ca ci sarà l'evento di apertura:“Giorgio Lago: comprendere ilNordest” dove Sergio Rizzo dia-loga con Bepi Covre; moderaAlessandro Russello, direttorede Il Corriere del Veneto. Sabato4 maggio alle ore 17.00, stessoluogo, Marcello Veneziani dialo-ga con Marzio Favero, moderaRoberto Papetti direttore de IlGazzettino. Mentre domenica 5maggio alle ore 17.00 semprenel cortile della biblioteca avre-mo Pietrangelo Buttafuoco conMario Bertolissi, modera Anto-nio Ramenghi, direttore dellenostre testate.

Barbara Codogno

Il giornalista entrato nel Guinness dei primati

CHI è: INTERVISTE, RUBRICHE, LIBRI E PREMI

Gianmario Villalta

Fra le molte persone che intersecano la nostravita, solo alcune vi entrano di prepotenza, finoa cambiarcela per sempre. Non serve andare acercarle lontano: s’incontrano fuori dall’usciodi casa. L’autore del fortunato “Cuor di

veneto”, elegia dedicata a unpopolo che fu nazione, quiriprende la saga della suagente a cominciare da quattroveneti notevoli che haincrociato in 40 anni diprofessione giornalistica. Datutti i personaggi narrati nellibro ha imparato qualcosa eda alcuni molto, moltissimo. Ilcomune denominatore delleloro storie è il coraggio,talvolta applicato persino alcrimine - è il caso di Vincenzo

Pipino, ladro gentiluomo di Venezia - ma piùspesso al mestiere di vivere, come insegnaAnna Benedetti, la mamma di Lucy, una bimbaveronese affetta da una grave sindrome, chenon sarebbe nemmeno nata se una luceintensa, una luce vera, non avesse illuminatola prima notte d’angoscia dei genitori dopol’ecografia: «Mi sono sentita un leone,

fortissima», ha confidato la donna a StefanoLorenzetto. Bisognerebbe dunque aggiornarela cartografia del Veneto e scriverci, comenelle antiche mappe, «hic sunt leones». Macon un’accezione del tutto nuova: non leoniche sbranano, bensì leoni che combattono. Acominciare da quello di San Marco, il piùglorioso, il più audace, il più indomito. Ancheil più maltrattato.Stefano Lorenzetto (nella foto), veronese,lavora per Il Giornale, dov’è statovicedirettore vicario di Vittorio Feltri, e perPanorama. È anche collaboratore fisso delmensile Monsieur. Ha firmato il suo primoarticolo 40 anni fa, ha scritto per unaquarantina di testate e ha pubblicato unadozzina di libri. Come autore televisivo harealizzato Internet café per la Rai. È statoinserito nel Guinness World Records per leoltre 600 puntate della rubrica Tipi italiani,uscite sul Giornale a partire dal 1999. Ha vintoi premi Estense e Saint-Vincent. Nel 2011 lagiuria dell’Amalfi Coast Media Award gli haassegnato all’unanimità il premio BiagioAgnes alla carriera con questa motivazione:«È, in assoluto e per riconoscimento generale,il miglior intervistatore italiano mai esistito»

Per Bersellidibattito a Modena

“Hic sunt leones”i veneti docdiLorenzettoVenticinquestorieraccontatedallapennabrillantedelgiornalista-scrittore Sergio Saviane, giornalista e scrittore, nato a Castelfranco Veneto e scomparso nel 2001 a 78 anni

FRESCHI DI STAMPA

Il riconoscimento a Donadon, ai fratelli Bergamasco, lorenzetto, Villalta e al FAI

Il premioGiorgioLagoalle ideevincenti delNordestMODENA. Tre anni fa, l’11 aprile,moriva Edmmondo Berselli, grangiornalista, acuto osservatoredella realtà e fine intellettuale. AModena, la sua città, loricorderanno con treappuntamenti su temi economici,politici e televisivi. Il ciclo è statointitolato “Quel gran genio delmio amico. Cronache dalla postItalia”. Il primo incontro è oggi,alla Camera di Commercio, SalaLeonelli, alle 18. Su “La posteconomia” parleranno BeppeBerta, Patrizio Bianchi e MicheleSalvati. Gli altri appuntamentisaranno il 22 aprile (Casa MuseoEnzo Ferrari) e il 29 aprile(Fondazione Marco Biagi).

Il RICORDO

IL MATTINO GIOVEDÌ 18 APRILE 2013 35

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■ MATTIOLI A PAGINA 19

NELLE CRONACHE

ORTISEI

Precipitanoda diecimetriSono gravidue operai

LA POLEMICA

Alcol, Kasslatter contro l’Astat«Fornisce un’immagine distorta dei nostri giovani»

APPIANO

Uccide il suo vecchio canea colpi di accetta

PASSO GARDENA

Ecco le ideeper risolvereil problemasicurezza

■ A PAGINA 15

LaSasaall’ultimafermataAutisti sulpiedediguerra, rafficadiscioperi inarrivo ■ DONATINIAPAG.11

IL 25 APRILE DEI RAGAZZI DEL LICEO ARTISTICO “PASCOLI”

■ ■ A PAGINA 25

Poteva succedere soltantoin Alto Adige: l’Istituto pro-vinciale di statistica effet-tua un’indagine scientificasul fenomeno dell’alcol trai giovani mettendo in evi-denza ciò che è sotto gli oc-chi di tutti, e il Palazzo si in-digna. L’assessore alla Cul-tura Kasslatter Mur attaccal’Astat e i media che «scre-ditano i nostri ragazzi».

■ PASQUALIAPAGINA14

di Stefano Lorenzetto

N on riesco a darmi paceperavermaldestramentecancellato il messaggio

di benvenuto della segreteria tele-fonica di Sergio Saviane, quel cro-nistadi razza e inarrivabilescruta-tore di umane debolezze. Il mes-sagio l’avevo tenuto per anni inci-so nella mia segreteria; una regi-strazione effettuata pochi giornidopo la sua morte, avvenuta nel2001, quando, telefonando al nu-mero 0423 563676, ti rispondevaancoralui,comesefossevivo.

■ SEGUEAPAGINA26

LASTORIADISAVIANEEDIALTRI LEONI

■ ■ DANIELI A PAGINA 24

DENUNCIATO SETTANTENNE

Pedofilo esibizionistamolesta i bimbi davanti a scuola

di ALBERTO FAUSTINI

Q uesta notte qualcuno s’èaddormentato presidentedella Repubblica. Ma già a

quest’ora potrebbe essere unsemplice cittadino. E non è det-to che sia un male, consideratialcuni nomi che si sono visti esentiti: perfetti (anche se la sag-gezza è un bel requisito) per ilmuseo delle cere, più che per es-sere i garanti della Costituzionee, in senso più largo, dell’unità

del Paese.La politica, ancora una volta,

non è riuscita a trovare un accor-do. Poco male, se si guarda alpassato: i migliori capi dello Sta-to, a cominciare da Napolitano,sono spuntati dal cilindro delbuonsenso dopo che i favoritisono stati bruciati di votazionein votazione. Malissimo, invece,se si guarda al presente: quelladi oggi (e dei prossimi giorni, seun accordo non si troverà) è in-fatti quasi una prova senza ap-

pello. L’Italia non può perderealtro tempo. Aiutato dalle rinun-ce, persino Grillo - da tutti accu-sato di distruggere e di non co-struire - ha fatto una propostasensata: lanciando il nome di uncostituzionalista libero e autore-vole come Stefano Rodotà. Aproposito: tanto di cappello allaGabanelli e a Strada, che rinun-ciando all’investitura del popolostellato ci ricordano che «ognu-no dovrebbe fare il proprio me-stiere», possibilmente bene.

La risposta del centrosinistrae del centrodestra non c’è stata:Franco Marini, ottima personache rappresenta però un’Italiaormai lontanissima da quellanella quale viviamo ogni giorno,non è infatti un’idea, ma uncompromesso. Se passa lui, vuoldire che c’è un governo già pron-to. Allora qualcuno deve spiegar-ci perché siamo inchiodati dadue mesi. Ma forse oggi la politi-ca ci stupirà con una sorpresa. Aquesto punto, auguriamocelo.

Cercasi presidente.DisperatamenteGrillo lancia Rodotà. Bersani e Berlusconi rispondono con Marini ■ ALLE PAGINE 2,3,4

Il presidente Napolitano, commosso, al termine del suo settennato

di Antonio Scaglia

O gni democrazia è inade-guata, benché sia comun-que considerata, la forma

politica migliore possibile. Oggi lerughe e le crepe degli stati demo-cratici producono scricchiolii pre-occupanti e insieme salutari. Stia-mo uscendo da un’epoca per en-trareinun’altra,dicuiancoranonimmaginiamo il volto e la struttu-ra. Le visioni della società ricca,pacifica e felice del mondo mo-derno hanno, più o meno esplici-tamente,dichiaratofallimento.

■ SEGUEAPAGINA27

DEMOCRAZIAINMANOAGLIAPPARATI

■■ Trentametri di muro all’ex casermaMignone, poco distante dal luogo dell’eccidio nazista che costò la vita a 23militari. Un vastomurales per non dimenticare, commissionato dal Comune al liceo Pascoli di Firmian in vista dellecommemorazioni 2013per il 25aprile. ■ A PAGINA 16

Mignone, un murales per non dimenticareCoop di lusso45 alloggiin via Cadorna

BOLZANO

Allarme tumorila Cgil attaccasulla trasparenza

TRIBUNALE ■ BERTOLDI A PAGINA 12

Tir travolgeun’anzianain via Roma

BOLZANO ■ ■ PETRONE A PAGINA 17

CULTURA»Alfredo Schonhaut, scampato aBuchenwaldracconta. Per laprimavolta ■ ■ A PAGINA 30

GIOVEDÌ 18 APRILE 2013 QUOTIDIANOFONDATONEL1945DIREZIONE REDAZIONE AMMINISTRAZIONE:VIA ALESSANDRO VOLTA 10 ■ 39100 BOLZANO ■ TEL: 0471/904111 [email protected] ■ www.altoadige.itTRENTINO

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«Non sono in casa. Potete lascia-re un messaggio dopo il segnaleacustico». E qui – ecco il genioassoluto, l’irriverenza fatta per-sona – invece del banale bip elet-tronico ascoltavi Saviane chegorgheggiava soavemente, tale equale il fringuello che si sentivain sottofondo nel motivettoL’uccellino della radio cantatoda Silvana Fioresi negli anniQuaranta. (...)

Sull’ornitologia Saviane s’erasoffermato anche nella prima in-tervista che gli feci, scioccando-mi con una sorprendente dichia-razione di debolezza: «Védito,Stefanelo, el me osèl xe come ’naciàve Yale», e per rendere plasti-ca la descrizione estrasse di ta-sca un mazzo di chiavi, mostran-domi quella più lunga, zeppa diforellini, che gli serviva per apri-re una porta blindata. Era il suo

modo poetico per confidarmi disentirsi un sopravvissuto al tu-more che lo aveva colpito all’or-gano più caro, e un tempo piùutilizzato, dopo il cervello. Subi-to aggiunse, serissimo: «Pensache Alberto Moravia ha passatola vita a discorrere e a far baruffacol suo lui. Poaréto, non sapevadove mettere le virgole, l’unicacosa che gli riusciva bene era gi-rare per l’Africa con la Dacia Ma-raini e la Maria Callas a fotogra-fare merde di elefante. Ma delladonna non sapeva niente, nien-te! Noi latini siamo degli usurpa-tori, crediamo che far l’amoresia una cosa divertente. Invece èdrammatica. Un atto sacrale».

C’eravamo conosciuti diecianni prima, nel 1988, in una se-rata di luglio insolitamente pri-maverile.(...) Molti anni dopo,quando restò di nuovo disoccu-

pato, lo accompagnai a Milanoda Maurizio Belpietro, direttoredel Giornale sul quale già avevascritto ai tempi di Montanelli.Per prepararsi all’incontro, du-rante il viaggio sulla A4 bevvedue litri di acqua minerale: dove-va smaltire i postumi di unamezza sbornia della sera prima.C’eravamo quasi combinati perfarlo scrivere in prima pagina.Corsivi brevissimi sui fatti digiornata. Sarebbe stato un gran-de ritorno. E anche la prova diuna reciproca indipendenza,considerato che Saviane si riferi-va a Silvio Berlusconi chiaman-dolo sempre e solo «il nanetto diArcore». Ma il primo commentoche mi spedì per fax non si rivelòall’altezza delle aspettative diBelpietro, e neppure mie, a dirlatutta. Vi si censurava il malvezzodei trevigiani di mangiarsi come

pietanza i ghiri arrosto, consue-tudine che Sergio giudicava bar-bara oltreché svantaggiosa, dalmomento che, secondo lui, mol-ti fabbricanti di cofani funebrirecuperavano i gusci vuoti di no-ci e nocciole rosicchiate da que-sti simpatici roditori e li utilizza-vano al posto del legno, dopoaverli pressati, per farne casseda morto. Un successivo ricove-ro ospedaliero e i guai dell’etàimpedirono che la collaborazio-ne decollasse con un commentomeno stravagante.

Già, l’età. Argomento tabù.Guai ad accennargliene. Dovettispulciare un vecchio annuariodell’Ordine dei giornalisti perscoprire che era nato a Castel-franco Veneto il 18 aprile 1923ed era iscritto all’albo dei profes-sionisti dal lontano 1958. Nongli piaceva parlare del tempo

che passa, soprattutto dopo laperdita della sua Caterina, chese n’era andata per sempre unasera di marzo del 1991, «un’ami-ca più che una figlia, i figli hannobisogno del padre, soprattuttole figlie, ma io ero sempre assen-te». L’ultimo dei suoi 31 anni Ca-terina l’aveva finalmente vissutocol papà: «Dormivo vestito, dinotte andavo per caserme e mela riportavo a casa, fumava 120sigarette al giorno, e se non era-no sigarette era qualcosa di peg-gio. Il buco finale a Milano, in ca-sa di un’amica. Sono diventatobuffone anche per questo, perdifendermi».(...)

Nel 1998 aveva commessol’errore di dedicare a Benetton,compagno di interminabili par-tite a tressette, un’impertinentebiografia edita da Marsilio, Il mi-liardario, e più ancora di man-

di Stefano Lorenzetto

IL LIBRO

LA STORIADI SAVIANEE DI ALTRI LEONI

DALLA PRIMA

26 Lettere e Commenti ALTO ADIGE GIOVEDÌ 18 APRILE 2013

Page 16: Quando Saviane voel vas aval reg h.ri. · un mazzo di chiavi, mostrandomi quella più lunga, zeppa di forellini, che gli serviva per aprire una porta blindata. Era il suo modo poetico

dargliela in lettura prima di dar-la alle stampe. L’imprenditoredei maglioni colorati non gli do-mandò né di correggere né dismussare né di tagliare, ben sa-pendo che Saviane non l’avreb-be certo accontentato. Non glichiese nulla di nulla. Semplice-mente smise di cercarlo e di par-largli. Sergio, che considerava lalibertà di pensiero un fatto fisio-logico alla stregua del respiro edel battito cardiaco, non riuscìmai a capacitarsi di questa rottu-ra. Per mantenere intatto il ricor-do delle allegre ore convivialipassate con Benetton, si auto-convinse che a incazzarsi nonfosse stato lui, bensì Laura Polli-ni, l’addetta stampa nel frattem-po diventata la compagna di Lu-ciano. (...)

Ci sentivamo spesso per tele-fono e ogni tanto andavo a tro-

varlo. (...) Andammo a pranzareda Lino, a Solighetto, la sua lo-canda prediletta. E non per la so-pa coada, la zuppa di piccione, oper le altre ricette della nonna, oper il soffitto foderato da paiolidi rame. No: per il camino. Lì atavola ci svelò che sceglieva sol-tanto trattorie dotate di questoimpianto a suo giudizio indi-spensabile e che, fra tutte, prefe-riva quella di Lino Toffolin inquanto nella sala da pranzoc’era non un caminetto bensì uncaminone, utilizzato dallo chefper le costate alla brace e per lospiedo. Gli chiesi: ti piacciono lecarni arrostite sul fuoco vivo? Larisposta fu una fiondata: «Nonm’interessano né le bistecchené lo spiedo. Il camino serve perle scoregge». Mia moglie trasalì.Ma lui, per nulla imbarazzato,spiegò: «Non lo sapete che al ri-

storante tutti spetazzano? Ve nepotete accorgere anche voi:quando un commensale sorridee socchiude l’occhietto, vól dirche xe concentrado su ’na score-sa, deve stare attento a rilasciar-la senza far rumore. E non c’è al-tro come il camino acceso cheattiri questi effluvi, garantendoil ricircolo d’aria negli ambientichiusi. Insoma, xe question deigiene». (...)

In mezzo secolo di carriera Sa-viane aveva rimediato una set-tantina di querele. L’ultima, lapiù sanguinosa, fu di Irene Pivet-ti, l’ex leghista passata dalla cro-ce della Vandea appesa al colloalle guaine in latex che le strizza-vano i seni quando con Platinet-te conduceva Bisturi! Nessuno èperfetto su Italia 1. C’era statoun fraintendimento linguistico.L’aveva definita «gobeta sopres-

sada», che in veneto vuol diregobbetta stirata ed è un’espres-sione antica e quasi affettuosa,per indicare chi, pur avendo laschiena dritta, ha la faccia dagobbo, il naso da gobbo, il pallo-re da gobbo. «Nota bene chechiamano gobbo pure me», sistupì, «e che nello stesso articoloavevo dato delle gobete sopres-sade anche a Emma Bonino e aMarina Salamon». L’ex terza au-torità dello Stato, transitata condisinvoltura dalla Camera allatelecamera, aveva chiesto unaprovvisionale di 40 milioni di li-re in attesa dell’appello. Ma Sa-viane non aveva il becco di unquattrino. Poiché l’articolo incri-minato era apparso sulla Voce,nel frattempo defunta, egli scris-se una letterina a Montanelli:«Possiamo fare metà ciascuno?Io riesco a mandarti un milione

al mese...». Gli aveva pronta-mente telefonato Vittorio D’Aiel-lo, l’avvocato di fiducia del Gran-de Vecchio: «Ha già pagato tuttoIndro». Da allora il fondatore delGiornale e della Voce riluce nelmio pantheon personale dei gi-ganti, mentre l’ex vandeana bru-cia tra le fiamme eterne dell’al-trettanto personale inferno do-ve colloco gli individui meschi-ni. Si congedarono insieme nel2001, Indro e Sergio, uno il 22 lu-glio e l’altro il 27, e ditemi voi sepuò essere solo una coinciden-za. (...)

Ogni tanto torno davanti a ca-sa sua, più vuota e più abbando-nata che mai. Mi soffermonell’attigua chiesetta, sempreaperta, che ha solo quattro ban-chi. E mi pare di udire una do-manda portata dal vento: «Stefa-nelo, ma còssa feto qua?».

Esce oggi, edito da Marsilio, il nuovolibro di Stefano Lorenzetto, “Hic suntleones” (25 storie di veneti notevoli)da cui è tratto questo brano.

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