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Quasimodo critico teatrale di D  ANILO UOCCO Pagina 1 di 11 Quasimodo critico teatrale Di D  ANILO UOCCO Negli anni che vanno dal 1948 al 1959 Salvatore Quasimodo tenne la rubrica di critica teatrale per i settimanali «Omnibus» e «Tempo». Nel medesimo periodo sono stati titolari della critica drammatica dei maggiori periodici nomi illustri quali: Renato Simoni per il «Corriere della Sera», Silvio D’Amico per «Il Tempo», Ferdinando Palmieri per «La Notte» e «Epoca», Corrado Alvaro per «Il Mondo», Lucio Ridenti per «Il Dramma», Eligio Possenti  — scomparso Simoni nel 1952 — per il «Corriere della Sera», Sandro De Feo per «L’Espresso», Carlo Terron per «La Notte» e «Sipario», Giorgio Prosperi — morto D’Amico nel 1955 — per «Il Tempo», Vito Pandolfi per «L’Unità» e «Il Dramma», Raul Radice per il «Corriere della Sera» e Roberto De Monticelli per «Il Giorno» e «Epoca». Costoro, in misura diversa, furono testimoni, coi loro scritti, dell’affermazione dei registi della “nuova generazione” — i più significativi dei quali furono, senza dubbio, Giorgio Strehler e Luchino Visconti  — che portarono a termine il rinnovamento delle modalità di produzione dello spettacolo italiano, intrapreso — nel periodo tra le due guerre — da Tatiana Pavlova. Nel 1961 fu pubblicata da Mondadori un’antologia delle critiche firmate da Quasimodo, insignito — due anni prima — del Premio Nobel per la Letteratura.  Apriva il volume una Nota introduttiva di Roberto Rebora. Nel 1984, invece,  Alessandro Quasimodo curò, per Spirali, l’edizione completa delle critiche drammatiche del poeta, scomparso — come si sa — nel 1968. L’ Introduzione  della nuova edizione si fregiava della firma di Roberto De Monticelli.  Vari e contrastanti sono stati i pareri espressi a riguardo del lavoro svolto da Quasimodo come critico militante: da giudizi di sostanziale positività, si passa ad altri negativi in modo inappellabile. Giovanna Musolino, che è tra coloro che apprezzano il lavoro del poeta—critico, afferma che […] nella forma organica del libro, il risultato della milizia teatrale di Quasimodo, si presenta al lettore come un lungo, fitto colloquio con autori e interpreti. […] <Egli> (non di rado attribuisce <proprio> alla bravura degli interpreti il salvataggio di commedie inesistenti, rammaricandosi ad un tempo di un tale spreco di capacità e sensibilità). 1  La studiosa, dunque, riconosce a Quasimodo la capacità di scindere, nel di lui giudizio, quanto inerente alla parte letteraria da quanto, invece, appartenente alla sfera spettacolare. 1 G IOVANNA M USOLINO , Quando il poeta giudica a teatro , in «La Gazzetta del Sud», 4 giugno 1985.

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L'attività di recensore di spettacoli teatrali del Premio Nobel per la Letteratura Salvatore Quasimodo

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Quasimodo critico teatrale Di D ANILO R UOCCO 

Negli anni che vanno dal 1948 al 1959 Salvatore Quasimodo tenne larubrica di critica teatrale per i settimanali «Omnibus» e «Tempo». Nelmedesimo periodo sono stati titolari della critica drammatica dei maggioriperiodici nomi illustri quali: Renato Simoni per il «Corriere della Sera», SilvioD’Amico per «Il Tempo», Ferdinando Palmieri per «La Notte» e «Epoca»,Corrado Alvaro per «Il Mondo», Lucio Ridenti per «Il Dramma», Eligio Possenti — scomparso Simoni nel 1952 — per il «Corriere della Sera», Sandro De Feoper «L’Espresso», Carlo Terron per «La Notte» e «Sipario», Giorgio Prosperi —morto D’Amico nel 1955 — per «Il Tempo», Vito Pandolfi per «L’Unità» e «IlDramma», Raul Radice per il «Corriere della Sera» e Roberto De Monticelli per«Il Giorno» e «Epoca». Costoro, in misura diversa, furono testimoni, coi loroscritti, dell’affermazione dei registi della “nuova generazione” — i piùsignificativi dei quali furono, senza dubbio, Giorgio Strehler e Luchino Visconti — che portarono a termine il rinnovamento delle modalità di produzione dellospettacolo italiano, intrapreso — nel periodo tra le due guerre — da TatianaPavlova.

Nel 1961 fu pubblicata da Mondadori un’antologia delle critiche firmate daQuasimodo, insignito — due anni prima — del Premio Nobel per la Letteratura.  Apriva il volume una Nota introduttiva  di Roberto Rebora. Nel 1984, invece,  Alessandro Quasimodo curò, per Spirali, l’edizione completa delle critiche

drammatiche del poeta, scomparso — come si sa — nel 1968. L’ Introduzione  della nuova edizione si fregiava della firma di Roberto De Monticelli.

 Vari e contrastanti sono stati i pareri espressi a riguardo del lavoro svoltoda Quasimodo come critico militante: da giudizi di sostanziale positività, sipassa ad altri negativi in modo inappellabile. Giovanna Musolino, che è tracoloro che apprezzano il lavoro del poeta—critico, afferma che

[…] nella forma organica del libro, il risultato della milizia teatraledi Quasimodo, si presenta al lettore come un lungo, fitto colloquio conautori e interpreti. […] <Egli> (non di rado attribuisce <proprio> alla

bravura degli interpreti il salvataggio di commedie inesistenti,rammaricandosi ad un tempo di un tale spreco di capacità esensibilità).1 

La studiosa, dunque, riconosce a Quasimodo la capacità di scindere, nel dilui giudizio, quanto inerente alla parte letteraria da quanto, invece,appartenente alla sfera spettacolare.

1

GIOVANNA MUSOLINO, Quando il poeta giudica a teatro , in «La Gazzetta del Sud», 4giugno 1985.

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Tra coloro, invece, che condannano l’operato critico del Premio Nobel perla Letteratura il più drastico è, forse, Giovanni Antonucci, il quale, nella suaStoria della critica teatrale , lamenta che le cronache teatrali del poeta

[…] sono indifendibili per l’ideologismo che le pervade, per ilpressoché completo misconoscimento della nostra miglioredrammaturgia e per la disattenzione al ruolo, decisivo nel bene e nelmale in quegli anni, della regia.2 

Come si vede, quello dello storico del teatro, è giudizio assai severo, inquanto accusa il poeta di scarsa obiettività dovuta alla presunta faziosità che, sicrede di capire, sarebbe tipica degli intellettuali di aria marxista. Non intendo,certo, discutere, qui, della supposta scarsa imparzialità dei critici di sinistra.Rientra, invece, nei miei obiettivi verificare se, ad esempio, realmente

Quasimodo abbia ignorato, come vorrebbe, appunto, Antonucci, l’operato deiregisti della “nuova generazione”.Nel mio contributo al catalogo edito da Mazzotta in occasione della mostra

Quasimodo , ho messo in evidenza come — a mio avviso — tra le cause delperché le critiche quasimodiane siano misconosciute anche da alcuni studiosidelle discipline dello spettacolo vadano elencate, paradossalmente, leintroduzioni a suo tempo vergate da Rebora e De Monticelli che insistono,ingiustamente, «sulla supposta preminenza, da parte di Quasimodo, della criticaai testi, a scapito di un’attenta valutazione delle realizzazioni spettacolari.»3. Ilmio scritto tentava di dimostrare — spero con successo — come, al contrario,

Quasimodo fosse, non solo preoccupato della validità del testo (da lui,giustamente, concepito come “copione” scritto per le scene — dunquesuscettibile di “tagli” migliorativi — e non come opera letteraria “inviolabile”),ma fosse, anche, sempre attento alla traduzione in spettacolo del testo teatraleda parte di registi e interpreti. Non di minore interesse, infine, erano per lui lereazioni del pubblico4.

Il presente lavoro intende giungere alle medesime conclusioni testésuccintamente ricordate, ma, se nello scritto in catalogo esploravo soltanto lecritiche quasimodiane al fine di rendere loro pienamente giustizia, ora intendocompararle con alcune di quelle scritte da qualcuno dei colleghi recensori delpoeta, nella speranza che ciò possa meglio aiutare a comprendere la modernitàdella visione critica del Premio Nobel.

Tra gli spettacoli del Secondo dopoguerra in grado di influirepositivamente non solo all’interno del mondo teatrale, ma anche in quello deglistudiosi, figurano due rappresentazioni di commedie goldoniane: la Locandiera  realizzata da Luchino Visconti nel 1952 e la Trilogia della Villeggiatura  firmata

2 GIOVANNI  ANTONUCCI, Storia della critica teatrale , Roma, Edizioni Studium, 1990, pp.219—220. Antonucci incorre in un errore di distrazione quando afferma che Quasimodo firmò lesue recensioni solo per il settimanale «Tempo».

3 D ANILO R UOCCO, Salvatore Quasimodo e il teatro , in ALESSANDRO QUASIMODO A CURA DI,

Quasimodo , Milano, Mazzotta, 1999, p. 175.4 Cfr. ibidem , pp. 174—179.

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da Giorgio Strehler nel 1954. Entrambi gli spettacoli si situano in quella chePaolo Bosisio — in un suo saggio sulle realizzazioni sceniche novecentesche inItalia del teatro di Goldoni5 — ha definito La grande stagione del realismo 6,ovvero quella durante la quale gli interpreti delle commedie del veneziano

smettono di rappresentare il Settecento attraverso «soluzioni di tipo ballettisticoe stilizzato […] <o> proposte bozzettistiche di stampo tardo naturalistico allamaniera di Baseggio.»7, e iniziano ad illuminare i testi di Goldoni con luce più  “cruda”, veritiera, realistica, appunto. Tale nuova lezione imposta sulle scenedai due registi ora ricordati, sollevò più d’una protesta da parte di alcuni critici.Per esempio, Silvio D’Amico, recensendo la Locandiera viscontiana8, tra l’altro,dichiara:

D’accordo che la “maniera” con cui troppi attori nostri credono direndere […] <lo> stile <di Goldoni>, oggi è spesso divenuta una

convenzione falsa e stucchevole: ma il problema dello stile goldonianopermane, né può essere risolto coi dischi del linguaggio parlato. Perciòconfessiamo di non essere rimasti persuasi in partenza da questaintelligente, e anche delicata, ma a nostro avviso spostata,interpretazione di Visconti. Non ci sono sembrate a proposito le scenealla Morandi, i suoi mortificati costumi maschili, il cortile che egli hasostituito ad alcuni interni: logica cornice all’andatura prosaica da luiconferita […] alla recitazione […]9 

Ugualmente negativo fu anche il giudizio di Roberto De Monticelli che,

dopo essersi detto perplesso dalla regia realizzata da Visconti sul capolavoro diGoldoni, afferma:

[…] qui non si tratta, passando per codini, di difendere unatradizione delle mossette, delle volantine, delle prese di tabacco, dellerisatine, delle mani sui fianchi alla Corallina, ecc. ecc. […] Né è il caso diinvocare un’altra tradizione, di origine più nobilmente culturale, latradizione che fa, di certe pièces  di Goldoni, stupefatti balletti,accompagnati da una recitazione fra incantata e musicale. Ma perchéimpregnare d’un tono così spietatamente contingente, così quotidiano,così «commedia borghese» quel dialogo che è uno dei pochi

5 Cfr. P AOLO BOSISIO, Il teatro di Goldoni sulle scene italiane del Novecento , Milano, Electa,1993.

6 Tale è il titolo assegnato da Bosisio al capitolo nel quale figurano le analisi ai duespettacoli ricordati (Cfr. ibidem , p. 105.).

7 Ibidem .8 La Locandiera di Carlo Goldoni, regia di Luchino Visconti, scene e costumi di Luchino

 Visconti e Piero Tosi. Con: Marcello Mastroianni, Paolo Stoppa, Gianrico Tedeschi, Rina Morelli,Flora Carabella, Giorgio De Lullo, Aldo Giuffrè, Ruggero Nuvolari. Teatro La Fenice di Venezia, 2ottobre 1952.

9

SILVIO D’AMICO, Nella Mirandolina alla Fenice, troppo Visconti e poco Goldoni , in «IlTempo», 4 ottobre 1952.

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autenticamente classici del nostro teatro?10 

Ben altre parole, invece, si leggono nella critica allo spettacolo firmata daQuasimodo. Il poeta, non solo apprezza la regia intessuta di realismo di

 Visconti, ma afferma che il vero Goldoni è proprio quello che il regista milaneseci mostra. Scrive, infatti, Quasimodo:

[…] se dovessimo parlare di realismo del teatro italiano, d’unalibera critica dei sentimenti e del costume, Goldoni ci verrebbe incontrosorridente, […] senza parrucca e senza inchini. […] Il gioco goldonianoè davvero pericoloso per chi si fermi all’esterno e veda solo decorazionee ritmo dove c’è anche tristezza e malinconia e sudore di sangue. La locandiera , priva degli scatti a orologeria, degli svolazzi e dei saltelli, è,nell’intimo, quella che ci presenta Luchino Visconti. […] la sua

Mirandolina, il suo marchese di Forlipopoli, vengono staccati dallarecitazione tradizionale per rivelare i loro umori psicologici, il peso dellafisica provvisorietà: sono esseri umani e non maschere di un ballettoconvenzionale. […]11 

Secondo la ricostruzione dello spettacolo effettuata da Paolo Bosisio nelsaggio già ricordato, ad entrare maggiormente in sintonia con le intenzioni di Visconti sarebbe stato Quasimodo e non D’Amico o De Monticelli. Scrive, infatti,lo storico del teatro:

[…] Visconti ha sollevato con la sua regia un coperchio che da duesecoli precisi celava sotto un confortante borbottio la inquietantericchezza problematica di un testo e di un autore variamente, macostantemente, fraintesi e assunti in minore , secondo prospettivecriticamente più o meno avvertite, ma sempre tranquillizzanti, […]

Disposto a una comprensione ampia e profonda della complessamateria drammaturgica goldoniana, […] Visconti coglie la determinanzadell’intenzione realistica nella drammaturgia goldoniana, apprezzandonela serietà di fondo come un elemento ben più qualificante dellasuperficiale (seppur presente) comicità, […]12

 

Due anni dopo la regia di Visconti, Strehler allestisce la Trilogia della Villeggiatura 13, adattando i tre testi che la compongono in modo che fosse

10 R OBERTO DE MONTICELLI, «La Locandiera» nella regia di Visconti , in «La Patria», 28marzo 1953, ora in ID, Le mille notti del critico. Trentacinque anni di teatro vissuti e raccontati da uno spettatore di professione , vol. 1, Roma, Bulzoni, pp. 23—25, da cui si cita.

11 S ALVATORE QUASIMODO, La locandiera di Carlo Goldoni , ora in ID, Il poeta a teatro ,Milano, Spirali, 1984, p. 209, da cui si cita. La critica è dell’aprile 1953.

12 P AOLO BOSISIO, op. cit., pp. 112—113. Corsivo nel testo.13  La Trilogia della Villeggiatura  di Carlo Goldoni, riduzione e regia di Giorgio Strehler,

scene di Mario Chiari, costumi di Maria de Matteis, musiche di Fiorenzo Carpi. Con: Sergio

Tofano, Valentina Fortunato, Tino Carraro, Fulvia Mammi, Alfredo Bianchini, Sergio Fantoni,Marcello Giorda, Ottavio Fanfani, Zora Piazza, Enzo Tarascio, Jone Morino, Pina Cei, Relda

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possibile, per la prima volta, inscenarli in un’unica serata e,contemporaneamente, elevando Giacinta a vera protagonista della vicenda. Si èdetto che questo spettacolo, come quello di Visconti, è realizzato sotto la lucedel realismo. Più di un critico, inoltre, vide, nelle atmosfere create dal regista

del Piccolo Teatro, influenze sullo spettacolo del teatro di Čechov. Di nuovo,Quasimodo dimostra di penetrare nel gioco registico e dichiara:

Strehler ha costruito un Goldoni limpido e autentico, attraversotutti i toni e i ritmi delle sue preferenze stilistiche. Preferenze che, divolta in volta, sono apparse nelle sue regie di Shakespeare, dello stessoGoldoni […] di Čechov. Ma essenziale è, in questa trilogia, l’insistente emodulata ricerca del «dramma» goldoniano […]

La locandiera  di Luchino Visconti era stata, del resto, unavvertimento. Strehler ha raggiunto la figura di Giacinta con un metodo

singolare: è stato romantico, crepuscolare e realista; […]14

 

  Vale la pena rilevare come Quasimodo, nel brano appena citato, aproposito di Goldoni, usi la parola dramma, tra l’altro, virgolettandola. Ad essaseguono espressioni come «romantico, crepuscolare e realista». Lungi dall’averarbitrariamente spostato Goldoni in pieno Ottocento, Quasimodo, con taliparole, rivela di aver compreso in profondità la rivoluzione registica strehleriana.È lo stesso regista, una ventina di anni dopo, a confermare, indirettamente, lavisione critica del poeta. Scrive, infatti, Strehler:

[…] <lo spettacolo> parte da una comicità motoria, ritmica, tipicadel Goldoni comico, e a poco a poco digrada nel patetico, nel dolente.[…]

Poiché in definitiva la Trilogia  risulta una commedia di statid’animo e, senza voler anticipare troppo, di atmosfere […] Stati d’animosoprattutto amorosi.

[…] il dramma è d’amore, in pieno, senza reticenze, c’èabbandono sentimentale, incontro di sentimenti a caldo, […]15 

Le atmosfere di cui parla il regista sono, si crede di capire, quelle diČechov, al teatro del quale, forse inconsciamente, il regista già guardava al

momento della realizzazione della Trilogia della Villeggiatura . Non stupisce,allora, come proprio dopo lo spettacolo goldoniano, Strehler insceni il Giardino dei ciliegi 16. Quasimodo, pur dimostrando di apprezzare la regia strehleriana del

Ridoni, Giulio Chazalettes, Franco Graziosi, Andrea Matteuzzi, Checco Rissone. Piccolo Teatro diMilano, 23 novembre 1954.

14 S ALVATORE QUASIMODO, La Villeggiatura di Carlo Goldoni , ora in ID, Il poeta a teatro , cit.,p. 265. La critica è del dicembre 1954.

15 GIORGIO STREHLER , Per un teatro umano , Milano, Feltrinelli, 1974, ora in ID,Shakespeare, Goldoni, Brecht , Milano, Piccolo Teatro di Milano—Teatro d’Europa, 1988, p. 84,da cui si cita.

16

 Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov, regia di Giorgio Strehler, traduzione di VirginioPuecher e Barbara Parfiliev, scene e costumi di Tanya Moiseiwitsch, musiche di Fiorenzo Carpi.

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capolavoro di Čechov, regia che definisce «nuova lezione di stile»17, esprime,però, perplessità a riguardo del finale dello spettacolo del Piccolo Teatro,colpevole — a suo avviso — di portare in primo piano, caricandola di significatipolitici che non le sono propri, la vicenda personale del vecchio servitore Firs, a

scapito del

[…] colpo della scure sui tronchi dei ciliegi che cominciano aessere abbattuti. La polemica, cioè, invece della poesia: quella villa chesi chiude per diventare una camera ardente del vecchio, fedeleservitore, è una violenza alla discrezione di Čechov.18 

Tale osservazione varrebbe da sola a smentire l’accusa mossa da Antonucci a Quasimodo di essere un critico troppo schierato a sinistra e, perciò,poco obiettivo. Se è vero, infatti, che il poeta apprezza che Goldoni sia, da

Strehler, imparentato a Čechov, ma solo sul piano delle “atmosfere”; èaltrettanto vero che egli non accetta, invece, che il commediografo russo vengaletto dal regista, in un certo senso, come un Brecht ante litteram  ed invita,quindi, a far sì che la polemica politica non si sostituisca alla poesia.Quasimodo, d’altronde, non era l’unico critico a non condividere il finale volutoda Strehler. Anche De Monticelli, ad esempio, ricorda al regista che Čechov, conil Giardino dei ciliegi , aveva intenzione di realizzare «una sorta di grande, gaio etriste vaudeville »19 e non, certo, un’opera che anticipasse una rivoluzione:

[…] anche la «tirata» rivoluzionaria dello studente fallito non

stabilisce premesse, non si àncora a una realtà polita, <e> sbaglierebbechi la prendesse per un manifesto o un proclama.20 

  All’affermazione della “regia critica” è legato a filo doppio losvecchiamento del repertorio operato tramite, anche, la presentazione alpubblico nazionale di quei testi vietati per anni dalla censura fascista. Tra iregisti più attenti alla drammaturgia straniera contemporanea, specie quellastatunitense, figurano Visconti e Squarzina. Uno degli spettacoli che più siimpose all’attenzione di pubblico e critica è Morte di un commesso viaggiatore 21 

Con: Sarah Ferrati, Fulvia Mammi, Valentina Fortunato, Luigi Cimara, Tino Carraro, Giancarlo

Sbragia, Enzo Tarascio, Pina Cei, Andrea Matteuzzi, Narcisa Bonati, Aristide Baghetti, FrancoGraziosi, Ottavio Fanfani, Dino Malgrid, Raoul Consonni. Piccolo Teatro di Milano, 13 gennaio1955.

17 S ALVATORE QUASIMODO, Il giardino dei ciliegi di Anton  Č echov , ora in ID, Il poeta a teatro , cit., p. 270. La critica è del gennaio 1955.

18 Ibidem .19 R OBERTO DE MONTICELLI, «Il giardino dei ciliegi» , in «La Patria», 14 gennaio 1955, ora in

ID, Le mille notti del critico…, cit., p. 98.20 Ibidem , p. 99.21 Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, regia di Luchino Visconti, traduzione

di Gerardo Guerrieri, scene di Gianni Polidori, musiche di Alex North. Con: Paolo Stoppa, RinaMorelli, Giorgio De Lullo, Marcello Mastroianni, Franco Interlenghi, Flora Carabella, Gaetano

 Verna, Mario Pisu, Cesare Danova, Pina Sinagra, Bruno Smith, Laura Tiberti, Lauretta Torchio.Teatro Eliseo di Roma, 10 febbraio 1951.

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di Arthur Miller messo in scena da Visconti nel 1951. Quasimodo è tra coloroche apprezzarono il nuovo testo milleriano, soprattutto per la figura delprotagonista in esso tratteggiata. A tale proposito, il poeta scrive parole digrande elogio nei confronti di Miller, il quale, a suo dire,

[…] ha fatto una scoperta importante per il teatro contemporaneo:ha preso un uomo per le spalle, un uomo qualsiasi, […] <e> lo haspinto sulle tavole del palcoscenico costringendolo a parlare.22 

Di non secondaria importanza, soprattutto per quanto qui si staaffermando a proposito della capacità del poeta—critico di saper valutare imeriti dei registi, è la valutazione del lavoro svolto da Visconti sul testo di Miller.Scrive, infatti, Quasimodo:

[…] possiamo dare a Luchino Visconti un riconoscimento piùampio di quello che gli spetta come regista, perché la sua capacità èstata di natura critica prima che poetica: un merito prezioso, oggi. Millerha avuto un critico severo in Luchino Visconti, che ha seguito ogni frasedei personaggi di Morte di un commesso viaggiatore senza la più lievecompiacenza.23 

Corrado Alvaro è molto meno benevolo di Quasimodo nei confronti deltesto di Miller e stigmatizza la violenza insita in esso con poche, ma bencalibrate, parole: «La brutalità è la nuova musa. […] E all’Eliseo per poco nonabbiamo veduto il padre protagonista percosso dal figlio.»24. Positivo, invece, ildi lui giudizio sulla regia di Visconti

[…] il quale ha l’occhio attento ai minimi effetti, alla complessitàdell’azione che egli ama svolgere in ogni sua minima parte […] C’è in luiuna matematica dei gesti, degli atteggiamenti, un prestigio delleapparizioni in scena sempre di effetto sicuro.25 

Finora si è riportato solo quanto da Quasimodo espresso circa i traguardiraggiunti dai registi, tralasciando di riportare anche quanto da lui scritto intornoall’arte degli attori. È bene ripetere come il poeta fosse costantemente attento

all’arte attorale. Solo l’urgenza del discorso fin qui condotto, ha fatto sì che taleaspetto venisse sorvolato. Ora, si vuole riparare, iniziando proprio riferendoquanto da Quasimodo detto, con parole commosse, a proposito delle prove diPaolo Stoppa e Rina Morelli protagonisti del lavoro di Miller:

22 S ALVATORE QUASIMODO, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller , ora in ID, Il poeta a teatro , cit., p. 128. La critica è dell’aprile 1951. 

23 Ibidem , p. 129.24 CORRADO  ALVARO, Il commesso viaggiatore , in «Il Mondo», 3 marzo 1951, ora in ID,

Cronache e scritti teatrali , Roma, Abete, 1976, p. 327, da cui si cita.25 Ibidem , p. 330.

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Paolo Stoppa è entrato in Willy Loman con la sua più profondanatura: e averlo visto qui è stata una sorpresa. La sua bravura in altrezone del teatro di prosa è divenuta arte. L’apparizione improvvisa diStoppa al centro d’una tragedia ha rivelato un grande attore […] Rina

Morelli, minuta e umilissima «croce» di casa Loman, ci ha fatto donofino all’ultima scena della sua altissima arte, con la chiarezza della suaanima accresciuta dal dolore e dall’accettazione della morte.26 

Uguale stima esprime Alvaro nei confronti della Morelli. Meno perfetta,invece, a suo giudizio, la prova di Stoppa che non sarebbe stato in grado, inogni momento, di rendere palese il continuo sfalsamento di piani tra il presenteed il passato richiesto dal testo. Ad ogni modo

[…] in una simile fatica, Stoppa ha raggiunto il più delle volte

un’evidenza impressionante, di grande effetto […] lo hanno soccorsotutti i mezzi di cui dispone, una ricchezza di toni e di modi, una duttilitàdi strumenti vocali che credo siano una scoperta per lui stesso.27 

Molti erano gli attori che Quasimodo apprezzava per il loro modo diaffrontare i ruoli e, in particolare, alcuni di essi amava per la “naturalità” con laquale recitavano i versi, ossia evitando di sonorizzarli. Riprodurre, ora, unprofilo schizzato dal poeta per ognuno di loro diventerebbe troppo dispersivo.Potrebbe, invece, rivelarsi di qualche interesse, esaminare — con il medesimometodo comparativo fin qui usato — quanto da Quasimodo espresso a riguardodi due di quegli attori che portarono sulle scene testi da lui tradotti: la Brignonee Benassi. Per esempio, di Lilla Brignone, interprete dell’ Elettra 28 di Sofoclemessa in scena da Strehler nel 1951, il poeta cantò altissime lodi:

[…] la grande attrice ha chiarito umanamente i deliri e le ombre diquell’anima «amorosa». Non dimenticheremo più il corpo di Elettraabbandonato a terra e chiuso dal cerchio del Coro (una veste nera e oroe i capelli inariditi: davvero «polvere e nulla»), e i suoi lamenti, la suacrudeltà e la sua ansia di affetti. La Brignone non ha lasciato spazi vuotitra lei e il personaggio: nella sua antologia scenica doveva entrareElettra. V’è entrata con colpi forti di cuore, nel tempo più esatto

dell’arte.29 

26 S ALVATORE QUASIMODO, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller , cit., 129.27 CORRADO ALVARO, Il commesso viaggiatore , cit., p. 330.28 Elettra di Sofocle, regia di Giorgio Strehler, traduzione di Salvatore Quasimodo, costumi

di Felice Casorati, musiche per il coro di Fiorenzo Carpi, maestro del coro Giuseppe Caleffa, coromimato e istruito da Jacques Lecoq. Con: Lilla Brignone, Antonio Crast, Fulvia Mammi, GiovannaGalletti, Piero Carnabuci, Salvo Randone, Vittoria Martello, Miranda Anastrelli, BiancamariaBottari, Wanda Cardamone, Anna Maria Cariolin, Lieta Carraresi, Livia Dudan, Nora Fabbro,

 Angela Ghiotto, Lia Jodice, Maria Padovani, Luigina Pagnoni, Gabriella Polver, Renée Reggiani,

Maria Teresa Veronese. Teatro Olimpico di Vicenza, 7 settembre 1951. 29 S ALVATORE QUASIMODO, La casa nova — L’avaro di Carlo Goldoni. Elettra di Sofocle , ora

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  Anche Giancarlo Vigorelli si dichiara entusiasta dell’interpretazione dellaBrignone, dando all’attrice più di un merito se «le suggestioni, gli ardimenti diStrehler»30 non sono “caduti” all’atto pratico della recita. Egli, con lusinghiereparole, descrive l’attrice

Pronta quasi a sottacere l’anima, pur che venissero fuori e avantila realtà del dramma, il peso del delitto, le viscere delle passioni. LillaBrignone […] ha ottenuto una Elettra moderna, perché ha saputoarticolarne un personaggio persino impietoso, di arida furia, diinfingarda e oscura dannazione.

La sua Elettra era un mostruoso fatto di cronaca, qua e làfulminato dalla fatalità.31 

Colpito dalla strabiliante interpretazione della Brignone è anche Carancini

de «La Voce repubblicana», il quale afferma che l’attrice

[…] ha tessuto il suo personaggio senza una smagliatura: e suquesto tessuto che era come una costante base di lancio, in certimomenti ha spiccato il volo. […] E ci mancano le parole — per la primavolta, ripensando alla emozione che la Brignone ci ha procurato iersera  — per restituire ai nostri lettori l’ammirazione per questa […] attriceunica.32 

Tali manifestazioni di stima incondizionata da parte dei critici citati,tranquillizzano il lettore smaliziato intorno alla vera ragione dell’ammirazionemanifestata da Quasimodo nei confronti della Brignone che, dunque, non erafrutto di una momentanea rinuncia alla valutazione obiettiva dei di lei meriti daparte del traduttore del testo, nel ruolo di critico. Ugualmente può dirsi perMemo Benassi nella parte del protagonista del Tartufo 33 di Molière, del quale,Quasimodo tratteggiò un dettagliato ritratto:

Benassi è strisciato in scena con la sua nera palandrana di devoto,come battendo di nascosto ali di pipistrello, girando intorno alla«donna» […] movendo mani lubriche e molli, pronte a sentire il saporedelle stoffe e della pelle, e vi è rimasto a mettere ombre in ogni piega

dell’anima umana. Non ha avuto quiete il serpente—Tartufo, e la suavoce ora si gonfiava nella gola, carica di sensi terreni, ora siassottigliava tutta nel corpo a rendere un’immagine di delizie del cielo,

in ID, Il poeta a teatro , cit., pp. 146—147. La critica è del settembre 1951.30 GIANCARLO VIGORELLI, Al teatro Quirino Elettra , in «Il Momento», 5 aprile 1952.31 Ibidem .32 G. C ARANCINI, “Elettra” di Sofocle con Lilla Brignone , in «La Voce repubblicana», 6 aprile

1952.33 Tartufo di Molière, regia di Gianni Santuccio, traduzione di Salvatore Quasimodo, scene

e costumi di Piero Zuffi. Con: Memo Benassi, Lilla Brignone, Marcello Moretti, Glauco Mauri,

Loredana Savelli, Adriana Asti, Enrico Maria Salerno, Vincenzo De Toma, Davide Montemurri.Teatro Carignano di Torino, 20 gennaio 1954.

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senza una minima rottura che tradisse la presenza dell’analisi, dellavolontà dell’attore. Benassi—Tartufo è la più crudele verità molieriana.34 

Per descrivere Benassi nel ruolo di Tartufo, il recensore della «Stampa»

usò parole quasi simili a quelle di Quasimodo, a dimostrazione del fatto che lalimpida interpretazione di Benassi lasciava pochi dubbi nella platea:

Subdolo e untuoso e fosco come la parte richiedeva (e a volte,così vestito di nero e tutto raccolto, sembrava un enorme scarafaggioche strisciasse sulle pareti della casa) Benassi ha avuto nel tempostesso continui bellissimi accenti di comicità […] <La sua fu> unainterpretazione esemplare, da non dimenticarsi facilmente […]35 

Si è visto, come Quasimodo, nel criticare gli spettacoli, fosse attento, non

solo ai testi — come parrebbe scontato per un poeta — ma anche alla regia eall’arte dell’attore. Egli, però, non si limitava (e tutto sarebbe stato fuorché unlimite) a questi due soli, eclatanti, aspetti dello spettacolo: era, invece, semprepronto a lodare, oltre alle traduzioni particolarmente riuscite, in quanto “teatrali” e non “letterarie”, anche e soprattutto, le scene, i costumi, le musichee, persino, le coreografie, tutti elementi funzionali e portatori di senso. Per fareun solo, ma significativo, esempio, si veda quanto da Quasimodo scritto, nel1957, a proposito di Un paio d’ali 36 di Garinei e Giovannini, genere dirappresentazione affatto diverso rispetto a quelle dal critico abitualmenterecensite. Molto probabilmente, il poeta non percepì appieno la caricainnovativa insita nello spettacolo che è il primo, vero esempio di commediamusicale del tutto indipendente dal genere della rivista, ma, sicuramente, ebbesentore di un vistoso cambiamento in atto. È vero che rileva nel testo«forzature o vuoti “psicologici”»37, ma è altrettanto vero che non esita a lodareRenato Rascel prima e, subito dopo, Mario Carotenuto per essere degli attori enon dei “tipi comici”, come d’uso nel varietà. Parole di lode egli spende, anche,per le musiche di Gorni Kramer, per le scene di Giulio Coltellacci e — difficile acredersi pensando al Quasimodo amante delle belle donne — per la scarsità dinudi presenti in scena. Sono, però, a suo avviso, le coreografie di Hermes Pan arivelarsi come l’elemento più sorprendente dello spettacolo, capaci, «nella<loro> sensibile intensità formale»38, di far “esistere” la commedia musicale.

34 S ALVATORE QUASIMODO, Tartufo di Molière , ora in ID, Il poeta a teatro , cit., pp. 239—240. La critica è del gennaio 1954.

35 VICE, Benassi nel Tartufo al teatro Carignano , in «La Stampa», 21 gennaio 1954.36 Un paio d’ali di Garinei e Giovannini, regia di Garinei e Giovannini, scene e costumi di

Giulio Coltellacci, musiche di Gorni Kramer, coreografie di Hermes Pan, orchestra diretta daMariano Rossi. Con: Renato Rascel, Giovanna Ralli, Mario Carotenuto, Dory Dorika, Franco

  Andrei, Xenia Valderi, Cesare Bettarini, Dino Curcio, Renata Mauro, Giuliano Persico, AntonioCensi, il Charley Bellet. Teatro Lirico di Milano, 18 settembre 1957.

37 S ALVATORE QUASIMODO, Un paio d’ali di Garinei e Giovannini , ora in ID, Il poeta a teatro ,

cit., p. 357. La critica è dell’ottobre 1957.38 Ibidem , p. 356.

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Lo spettacolo fu visto anche da Eligio Possenti che, forse un po’ piùavvertito di Quasimodo sui nuovi traguardi raggiunti da G&G, non esita alodarne i risultati. Complessivamente, però, Possenti e Quasimodo nondivergono l’un dall’altro nel giudicare lo spettacolo. Scrive, infatti, Possenti:

[…] la fusione tra rivista e la commedia musicale è quasi perfetta.Il problema tecnico era difficile: si ha da riconoscere che i due autorihanno avuto il talento di proporre una situazione felice. […] Sceneburlesche e scene sentimentali che si susseguono interrotte da ballettisempre aderenti ai singoli temi e la lepidezza trepida di Rascel, lagioconda irruenza di Carotenuto, la letizia della Ralli, la totale assenzadi volgarità, la festosità dei dialoghi hanno assicurato allo spettacolo ilpieno successo.39 

Piace chiudere quest’analisi sull’attività di critico di Salvatore Quasimodocon quanto da lui scritto in un articolo, nel quale parla della critica teatrale enon solo. Sono parole, quelle del Premio Nobel, che — purtroppo per coloro cheil teatro amano e che in esso sperano — sembrano redatte oggi e non nel 1949come sono:

La condiscendenza degli impresari e di una parte della criticaverso le opere leggere è una delle cause più gravi della crisi teatrale. Ilpubblico (non quello delle prime, che conta poche centinaia, e che èsempre lo stesso) s’è allontanato a poco a poco dal teatro in virtù

dell’eccesso di stupidità che ad esso veniva periodicamente offerto. […]E allora bisogna avere più coraggio; e invece di pochades  o diriesumazioni di romantici furori cominciamo a rappresentare «iproblemi» dei giovani, che saranno sempre più vivi, almeno altrettantovivi, di quelli che trattenevano nelle platee gli uomini dell’Ottocento.40

 

39 ELIGIO POSSENTI, Un paio d’ali , in «Corriere della Sera», 19 settembre 1957.40

S ALVATORE QUASIMODO, La crisi di Marco Praga , ora in ID, Il poeta a teatro , cit., pp. 58—59. La critica è del febbraio 1949. Corsivo nel testo.