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1 Quei movimenti del Sole… Racconto Di Marco Castellani

Quei movimenti del sole

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Racconto di Marco Castellani

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Page 1: Quei movimenti del sole

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Quei movimenti del Sole…

Racconto

Di

Marco Castellani

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Quei movimenti del Sole…

“Per discutere questo punto è da premettere che il Sole, in quanto stella del di-

sco, ruota attorno al centro galattico, con una velocità di circa 220 km/sec,

compiendo dunque un'intera orbita in circa 200 milioni di anni.” (Astrofisica Stel-

lare, 1.4)

Non c’è niente da fare. Il Sole al tramonto è sempre uno spettacolo. Dalla

finestra della sua camera riesce a gustarsi tutta la lenta discesa del disco rosso,

fin dietro il parco. Una cosa sublime. Piano piano il cielo passa da quell’azzurro

bello ma un po’ etereo, ad un fantastico colore blu, che per giunta si fa sempre

più denso e carico, fino a dissolversi piano in un nero limpidissimo… Così bello

che sarebbe quasi da dipingere! Anzi, se fosse brava come nonno Aldo farebbe

un bel quadro ad olio. I colori si contrastano sempre di più, le ombre si arricchi-

scono in profondità e tutto sembra acquistare un rilevo particolare. Tutto è più

denso, quasi spumoso, compatto.

Anche un dialogo, una persona incontrata, un sorriso, un litigio, tutto ci

guadagna. Perfino un ricordo. Sono istanti particolari in cui le cose sono più

profonde, meno superficiali. Al momento del tramonto tutto si ringiovanisce, in

un respiro diverso. Te lo gusti così, proprio come uno spettacolo: non ti serve

nemmeno la televisione, e in più è completamente gratis, non ci vuole proprio

nessun abbonamento tipo Premium oppure Sky (anche se - guarda caso - si

chiama cielo lo stesso, come la traduzione di quel termine inglese). Non è

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nemmeno di quegli spettacoli che lì per lì magari ti piacciono, ma poi ti sembra

pure che alla fine, non servano a nulla. Quelli che esci dal cinema un po’ con-

tenta per quello che hai visto, un po’ dispiaciuta perché sia finito, e comunque

sembra tornato tutto come prima. In questo caso è diverso, alla fine qualcosa è

successo, qualcosa è cambiato: alla fine è notte. Il buio denso come un denso

liquido scuro ha ormai avvolto tutto, il lampione sotto casa ora appare stargliarsi

netto e lucido, come in un cartone animato, definito proprio dalla stessa luce

fredda e precisa che getta intorno.

A proposito del lampione, c’è anche il fatto che non è mica uno solo: lui è

soltanto il più vicino a casa, per quello si vede così bene. Direbbe la prof di ma-

tematica, è piuttosto un elemento parte di una serie, o di un insieme.

Anita si appoggia spesso al balcone, la sera, e rimane in silenzio, a guarda-

re la confortante fila di lampioncini tutti uguali, che lunga e placida si snoda sul

viale ai margini del parco. Le piace un botto immaginarsi qualcosa come una

strada magica che si avvia in lontananze sconosciute, piene di segrete e (sicu-

ramente) dolcissime meraviglie. Difficili da raggiungere, forse, ma sempre pos-

sibili. Come una traiettoria che si può comunque percorrere, che sta lì e rimane.

Un qualcosa che ti tenta sempre come una aperta, splendente possibilità. Della

serie, non ci vado ma lo potrei fare in ogni momento. Sto qui, tanto sono sem-

pre sicura che ci potrei andare. Mi piace però rimanere a casa, a far partire la

testa, ad immaginare le meraviglie là fuori. Qui nella mia casa al sicuro, mi sen-

to al centro del mondo. Qui è tutto a posto.

Quando la sera infine cede il passo alla notte, esattamente in quel momen-

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to magico, le sembra - anzi è sicura - di avvertire tutto il mondo avvolgersi intor-

no alla sua casa, fasciandola e proteggendola con la sua delicata, dolcissima,

inesorabile immensità. A proposito: la professoressa aveva raccontato ad Anita,

l’altra settimana, di come una volta - molti, molti anni fa - pensassero che la

Terra fosse addirittura al centro dell’universo, tanto che persino il Sole - per

quanto sia certamente più grande, anzi molto più grande - alla fine si fosse co-

me rassegnato a girarle attorno. In effetti, si erano così tanto convinti che addi-

rittura si arrabbiavano se uno poi se ne andava in giro a dire una cosa un po’

diversa. Non nel senso solo di rimproverarlo, di esclamare “stai dicendo una

grossa stupidaggine”, come potremmo fare oggi. No, pare che alcuni si arrab-

biassero davvero tanto. Un po’ come quando mamma ti pesca con le mani nel

vasetto della nutella, hai presente? Di solito la cosa non la prende molto bene

(se poi è quasi ora di cena, anche peggio: è una infrazione alle regole di casa

che - dovendo proprio - conviene fare soltanto nel primo pomeriggio).

Ma anche le peggiori arrabbiature passano, si capisce. Quelle di mamma ci

mettono anche un giorno o due, alle volte (per altri adulti è anche peggio). Co-

munque, per riprendere il racconto della prof, ebbene, ad un certo punto era ar-

rivato qualcuno che diceva che - attenzione! - fino a quel punto si erano tutti

sbagliati, in realtà è la Terra che gira attorno al Sole. E non solo, ma non è per

niente al centro di nulla. Va beh, pare che per l’occasione ci fosse stata un po’

di maretta, qualche litigata insomma, forse pure qualche scazzottata (lei lo dà

per sicuro, anche se la prof non l’ha detto), ma alla fine tutti si erano convinti.

Bella forza.

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A furia di guardare il cielo attraverso i telescopi - che intanto avevano impa-

rato a fabbricare, da quando Galileo aveva avuto l’idea di costruirne uno tutto

da solo - non potevano fare altro che convincersi. E così avevano anche impa-

rato altre cose. E mica soltanto del cielo! Avevano imparato, tanto per dirne

una, che la scienza non mette per niente in discussione quello che uno crede

riguardo la vita o la morte, o riguardo Dio: lei spiega soltanto come funziona il

mondo.

Ragazzi, è semplicissimo: sono due ambiti diversi, aveva spiegato la prof.,

(con quel suo fare saccente che sembra sempre che sa tutto lei). C’erano volu-

te cose come queste per capirlo, ma ormai tutte le persone ragionevoli sono

d’accordo. Così ecco, per farla breve, il Sole è diventato per tutti quello che sta

fermo, nel cielo. E in verità la cosa ha convinto anche Anita: certo è normale

che una faccenda tanto grossa eviti di muoversi, se appena può. In fin dei conti,

chi glielo fa fare? La Terra è più fluida, dinamica, fresca, snella. Rotonda pure

lei, va bene, ma piccolina, agile. Come la Smart del ragioner Pieretti al confron-

to della Volvo di quello antipatico del piano di sopra (quello che non saluta mai,

per capirci). Se qualcuno deve muoversi, se proprio qualcuno deve girare attor-

no a qualcun altro (come la prof ti gira intorno quando non hai finito i compiti,

chissà come lo capisce), potrà ben farlo lei, pensava. Peccato solo per il fatto

della sua casetta, quella non può certo più ambire ad essere il centro

dell’Universo: è bella che passata l’epoca in cui ognuno si poteva inventare la

scienza a proprio piacimento, senza fare esperimenti, senza studiare, insomma

secondo la propria fantasia. Ma ad Anita non importava, certo a scuola non

l’avrebbe mai detto, non l’avrebbe mai sostenuto; le bastava poterlo sentire nel

cuore, poter custodire in segreto tale suggestione.

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Ecco. Però - a pensarci bene - se non ci fosse stata di mezzo la mamma,

tutto sarebbe rimasto così, quello che era fermo rimaneva fermo, quello che si

muoveva, continuava pure a muoversi. E nessuno avrebbe avuto proprio niente

da ridire. Invece...

Ormai l’avete capito la questione com’è.

Mamma è una tipa che non smette mai di lavorare, anche se non sembra.

Lei dice che tutti gli scienziati in fondo fanno la stessa cosa: hanno una parte

della testa che rumina sempre, anche se stanno preparando le melanzane gri-

gliate, per dire. Vabbé: siccome lavora a capire il mondo e l’astronomia, ecco

che sta sempre lì a tentarti con qualche domandina infida. Di quelle che tu sul

momento non ci fai troppo caso, pensi siano indolori. Magari ti illudi di cavartela

con una risposta veloce, fai anche vedere che hai imparato tutto quello che ti

hanno detto a scuola: perfetto, va bene così. E invece proprio quando non te

l’aspetti, ti arriva il colpo imprevisto. Perché con mamma è sicuro solo questo,

che non puoi mai stare sicura.

- Allora che hai imparato di bello a scuola?

Eccola. La domanda è certamente di quelle che avrebbero dovuto pur de-

stare qualche preventiva perplessità, se solo Anita fosse stata più attenta.

Il fatto è questo, che mamma l’ha presa esattamente in uno dei giorni peg-

giori. Tutta colpa di Ludovica, chiaro. Proprio lei, la sua compagna di banco. Eh

sì. Tutti a dire, buona e cara, incantevole, una bambolina. Come no. Da non

crederci quanto è capace di chiacchierare, quella. Tutta la mattina l’ha stressa-

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ta, raccontandole in lungo e in largo del suo Renato, con il quale sosteneva di

essersi appena fidanzata. In realtà a lei sembrava che Renato manco la guar-

dasse, piuttosto sembrava che Ludovica si fosse girata tutto un film nella sua

testa. Un bel film a colori, pure in 3D ché ti devi ricordare di portarti gli occhialet-

ti da casa (papà si arrabbia se li deve ricomprare). E questo, e quell’altro, e co-

me stanno bene insieme, le gite favolose che avrebbero fatto, perfino che da

grandi si sarebbero sposati e sarebbero andati ad abitare in una casa enorme

con un fantastico giardino e… avrebbero avuto un cane o forse anche un gat-

to… anzi, meglio entrambi, tanto sai che se li prendi da piccoli mica litigano…

bla bla… e non è splendido Renato con quei capelli a spazzola... bla bla... Però

deve stare attenta che secondo lei Giuliana pure gli fa un po’ il filo, no lui non la

guarda (e chi glielo ha chiesto?), ma non si sa mai con i maschi, lo sai…

Anita aveva cercato a più riprese di manifestare palese disinteresse, lasciar

cadere la cosa. Del resto i maschi non le interessano, loro perlopiù si occupano

di calcio, di macchine e videogiochi, tutte cose che nella sua mente hanno im-

patto zero. Ma Ludovica, no, zitta non ci stava proprio. Ovvio che poi la Ripetti

tutta seccata, a metà dell’ora di storia, le avesse rimproverate per bene tutte e

due. Anzi, altro che rimproverate! Un liscia e bussa da paura, tanto che tutti, in

classe, si erano poi guardati bene dal fiatare. Ma lei non c’entrava proprio nulla!

Però la Ripetti è così, si mette in testa una cosa e poi parte in quarta e non sen-

te più nessuno! E meno male che non aveva pure messo la nota. Sennò vallo a

spiegare a mamma... e soprattutto a papà! Già poveretto torna a casa stanco

morto dal lavoro, ci manca solo farlo arrabbiare proprio all’ora di cena…

- Dunque che hai imparato oggi?

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Anita sbuca fuori dai suoi pensieri oscillanti tra la sottile odiosità della Ripet-

ti e la stanchezza del papà la sera, e trova al centro del suo campo visivo la

faccia interrogativa della mamma, gli occhi furbetti puntati esattamente su di lei.

Niente: non aver risposto non ha funzionato affatto. Come era prevedibile, del

resto. Mamma ha questo di suo, che prova e riprova finché non ottiene la rispo-

sta sperata. Lei dice che è il metodo scientifico, una frase roboante per dire che

devi tentarle tutte fino a che non ottieni qualcosa di interessante (e riproducibile,

aggiunge sempre lei, ma questo Anita non lo ha ancora ben capito). Comunque

sia questo metodo, sembra un po’ una fregatura, perché è difficilissimo scappa-

re.

- Mah... ah sì, ecco. Che il Sole sta fermo!

- Come? - fa mamma sgranando gli occhi, poggiando immediatamente i

suoi fogli sul tavolo. Decisamente dei cattivi segni. Pessimi segni, che Anita per

il momento finge spudoratamente di ignorare.

- Sì, certo, che il Sole è fermo. E’ la terra che gli gira intorno. Sai mamma,

tutta quella cosa del tramonto, il Sole che scende dietro il parco, che vedi che si

abbassa fino a scomparire dietro agli alberi, tutto rosso rosso… è bellissima,

d’accordo, ma in fondo è una illusione ottica. Una specie di gigantesca illusione

ottica. - conclude lei, allargando le braccia per far capire quanto sia gigantesca.

- Beh ecco, non direi proprio così... - fa la mamma, ancora un po’ rigida, li-

sciandosi pensosamente i capelli.

- No? - Ecco che iniziano i guai. Dopo Ludovica, anche questa non ci vole-

va, non ci voleva proprio. Domani, forse?

Mamma dai lascia perdere, non approfondiamo, oggi non mi va, oggi no….

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fosse domani magari, magari parliamone domani…

Prova a dare voce ai suoi pensieri.

- Si può fare domani?

- Domani cosa? - chiede mamma. Eccoti qui che fa pure la finta ingenua...

- Niente, lascia perdere - Tanto non ci si arriva né a piedi né a cavallo, co-

me dice papà.

Le viene in mente un ultimo possibile tentativo..

- Mamma, che dici, non è che magari mi metti un po’ di corn flakes in una

tazza di latte?

- Mmm... vieni a farlo tu… - ora sta scrutando dei fogli che ha portato dal

lavoro, tutto d’un tratto sembra drammaticamente assorta, troppo perché la si

possa interrompere.

Ma tanto non sono i cereali ciò che voleva Anita. E’ appena un pretesto.

- Uffa va bene… - le risponde, segretamente contenta di averla scampata.

Si siede vicino alla mamma, con la scatola dei corn flakes, la tazza e la bot-

tiglia del latte. Un senso di calda rassicurazione inizia a scenderle dalla pelle fin

verso il cuore. Qui, in mezzo al mio mondo, vicino a mamma nella cucina, la

stanza più dolce e accogliente della casa. Stiamo vicino e possiamo anche ri-

manere in silenzio. E non si può dire, non si può più dire, però è proprio eviden-

te: tutto l’Universo ci gira intorno. E’ davvero evidente! E posso papparmi i corn

flakes e certo - non si può dire nemmeno questo, per la scienza - ma vicino alla

mamma hanno più sapore.

E’ proprio mentre un fiotto bianco sta allegramente precipitando a coprire i

cereali, che mamma, con fintissima noncuranza, riapre la faccenda.

- A proposito, come era la questione…?

- Quale? I corn flakes? Te l’ho già detto ieri, è molto semplice: a me piace

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solo il muesli croccante, quello con i pezzetti di cioccolata mischiati dentro.

Compra sempre quello, perfavore. E’ facile, vedi come è fatta la scatola? E’

quella tutta gialla, c’è la foto di questa bimba che mangia e sorride, somiglia un

po’ a quella del piano di sotto, facci caso… Poi però questi sorrisi così fasulli…

- No, no….- riprende la mamma fissando il panorama fuori dal finestrone di

cucina, senza guardare affatto la scatola. - Questa cosa del Sole. Che... sta-

rebbe fermo. Così mi hai detto, giusto?

Ecco ci siamo. Non ci sono scappatoie, non ci sono vie d’uscita. Perché

papà non telefona, adesso? Adesso, perfavore. Chiama, papà! Che starai mai

facendo di più importante, di più decisivo che salvare tua figlia da una disquisi-

zione scientifica della sua mamma? Chiama! O se non tu, qualcuna delle ami-

che di mamma: chiamassero almeno loro. Insomma, signor telefono, squilla

adesso, ti prego!

Per parte sua, il telefono appare assolutamente insensibile alla accorata e

muta implorazione di Anita. Eccolo lì, anzi, silenzioso ed ostile come non mai.

Ostile perché spudoratamente silenzioso.

Del resto, non è nemmeno tutta colpa del telefono. Papà è simpaticissimo

ma ha pure questa fastidiosa caratteristica incorporata. Telefona sempre quan-

do non serve, anzi diciamolo, quasi scoccia, alle volte. Ad esempio ogni volta

che cerchi di fare un discorso delicato con mamma, che ti ci vuole coraggio e

concentrazione, che magari erano giorni che pensavi a come farlo… ecco che

telefona lui. Proprio quando hai iniziato finalmente il discorso. Poi arriva la volta

che tu vuoi che chiami, perché sei sola o perché vuoi scappare via da qualcosa,

anche dalla mamma... o magari no, magari vuoi sentire soltanto la sua voce:

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perché ha quel qualcosa di misterioso che ti rassicura, quel tono profondo e

gentile che ti fa subito passar via quelle paure assurde, ti fa sentire così, al sicu-

ro, delicatamente protetta… niente: in quei momenti, non si sa com’è, ma non

c’è proprio verso che chiami.

Ah, però mamma sta aspettando. Cos’è che aveva chiesto? Sì la cosa di

scuola, giusto.

- Beh ma è semplice - risponde con un leggero senso di irritazione (perché

mamma le chiede cose che sicuramente conosce bene?) - il Sole è fermo e la

Terra gli gira intorno, anche se a noi sembra esattamente il contrario. E’ solo

per questa cosa, perché non ci rendiamo conto che ci stiamo muovendo, e allo-

ra ci sembra che siano gli altri a muoversi…

- In un certo senso, sì…

- Come sarebbe ‘in un certo senso’? O il Sole sta fermo o non sta fermo,

no? - Insomma la cosa è semplice, non è tanto da girarci intorno. E’ la Terra

che gira, stop.

- Eh no, in senso assoluto, non è vero. - fa la mamma risoluta, sistemando i

fogli.

Anita rimane un instante con il cucchiaio mezzo infilato in bocca. Lo toglie,

mastica, manda giù. Respira. Obietta.

- Ma come, me l’hanno spiegato proprio oggi! C’è scritto anche nel libro, ora

te lo prendo… - Appoggiato il cucchiaio, fa per alzarsi.

- Ferma, non serve. Ora ti spiego.

Ora ti spiego??? Niente di peggio di quando ti vogliono spiegare una cosa

che pensi sia già acquisita, incasellata e messa via. Eh già, perché ti tocca tor-

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nare a far fatica per capire. Una fatica che ormai pensavi di poterti evitare, te la

saresti proprio evitata volentieri... Poi con mamma non funziona nemmeno tanto

questa cosa del fatto c’è scritto nel libro, che di solito taglia la testa a tante inutili

conversazioni. C’è scritto nel libro e stiamo a posto, dovrebbe pur bastare no?

Mica è wikipedia, ché mamma storce il naso, dice che è utile, certo, ma non ti

puoi mai fidare del tutto. Qui è diverso, questo è stampato. Vuol dire che in giro

c’è qualcuno esperto, molto molto esperto tanto da scrivere un libro per le scuo-

le, e farlo stampare e farlo arrivare in cento o magari duecento cartolerie italia-

ne (anche se mamma si lamenta che in quella sotto casa non c’è mai, tocca or-

dinarlo e non si sa quando arriva, oppure deve andare con la macchina a pren-

derlo in qualche posto lontano, oppure deve mandarci papà che tanto non dice

di no). Poi i professori danno l’elenco dei libri all’inizio dell’anno, e i genitori

vanno a prenderli, lamentandosi sempre per il costo (comunque ci vanno). In-

somma, se le cose stanno a questo punto, se non ti puoi fidare nemmeno dei

libri, dei libri stampati, stiamo messi proprio male.

- Mamma c’è nel libro, davvero…

- Sì d’accordo, ma ragioniamo un momento. Usiamo la testa, cerchiamo di

capire. Anche le cose scritte nei libri possono essere sbagliate.

- Come mi dici sempre di Wikipedia? Adesso perfino un libro normale può

essere sbagliato?

- Ma certo! O vogliamo tornare ai tempi dell’ipse dixit aristotelico?

- Di cosa? Dov’è che vogliamo tornare?

- Niente, non preoccuparti - Mamma sorride, come quando si rende conto di

aver perso il contatto con la figlia per un indebito eccesso di complessità - In-

tendevo, tanto tempo fa pensavano che una cosa fosse vera in base a quanto

era autorevole chi la diceva…

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- Quanto era?

- Quanto era … va beh, diciamo quanto era famoso.

- Ma non ha senso! - sbotta Anita.

Mamma continua a sorridere. Come se avesse in mano il bandolo di una

matassa nella quale al momento lei è completamente persa.

- Non ha completamente senso, è vero. Ma un po’ sì, in fondo. Ragioniamo

un momento… Uno di qualcosa o di qualcuno, si deve pur fidare, sai? Non di-

cevi tu stessa appena ora che questa cosa è vera perché l’ha detto il libro?

- Beh sì ma…

- E poniamo il caso che tua mamma e il libro dicessero cose diverse, tu di

chi ti fideresti?

- Ma non… non è possibile, cioè…

- Comunque vedi, di solito i libri dicono le cose giuste, ma anche quando lo

fanno, può succedere che non ti dicano proprio tutto…

- E perché? Il mio libro di scienze è bello, l’avevi detto anche tu, e poi è pu-

re pieno di figure carine!

- Figure carine eh? Tipo quella della rana dissezionata? - dice mamma

storcendo la bocca in modo buffo.

- Va beh, quella magari… - concede Anita, divertendosi alle smorfie di

mamma.

Mamma mette da parte i fogli che stava sistemando. Li ripone a lato del ta-

volo, poi ci mette sopra la saliera in modo che non si muovano. Anita è modera-

tamente preoccupata. I segni che la genitrice si stia preparando ad una estesa

disamina della faccenda, purtroppo, ci sono tutti.

- Allora vedi, non ti serve prendere il libro, adesso. Quello certamente ti dice

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la verità, ma non tutta la verità.

- E perché scusa? - chiede Anita, per nulla convinta.

- Perché nella scienza è così. Le cose, tutte le cose, si capiscono per gra-

dini, un passo alla volta. Insomma, è come se pian piano tu allargassi lo sguar-

do, osservando un panorama più vasto. E le cose che hai visto prima rimango-

no sempre vere, ma vere in un modo diverso.

- Nella scienza è… - ripete lei, cercando di mettere le cose in ordine.

- Beh ora che mi ci fai pensare, hai ragione. Hai proprio ragione. Non è solo

nella scienza. E’ in tutte le cose, in tutte le cose della vita… Beh, in quasi tutte,

in realtà. Io quando ho incontrato papà l’ho sentito subito che quello era un in-

contro particolare, non c’è voluto molto, in verità. Però questo accade per poche

cose, per pochissime cose. Per il resto, devi sapere che la gradualità è la rego-

la…

- Non è che ti sto capendo tanto, eh, mamma… - dice Anita con la faccia

piuttosto perplessa.

Mamma la guarda e stavolta sul suo viso affiora un sorriso tenero, teneris-

simo. Ma la battaglia - Anita lo sa bene - è appena cominciata.

- Va bene, ora torniamo pure a questa cosa del Sole. Tu dici che non si

muove…

- Non sono io… E’ il libro che lo dice, mamma… - ribadisce Anita, con una

pazienza che a lei stessa appare quasi sproporzionata

- Va bene, va bene. Il libro. Sia pure. Pensa che il Sole invece non sta fer-

mo. Non sta fermo per niente! E’ vero che la Terra gli gira intorno quasi come

fosse fermo, ma lui in realtà si muove. E parecchio. Anzi, corre proprio.

- Corre? E dove corre, scusa?

- Va a spasso per l’Universo! C’è tutto un sistema di interazioni gravitazio-

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nali… Ogni cosa attira l’altra… In realtà, devi sapere che nello spazio di cose

ferme praticamente non ce ne sono. Anche perché, ferme rispetto a cosa? - fa

mamma, guardandola con occhi furbetti.

- Rispetto a cosa? Cioè? Io dico ferme, che non si muovono! - Uffa anche le

cose semplici tocca spiegare, a mamma. Certe volte non sembra affatto una

scienziata, non capisce anche le cose più elementari.

- Sì ma ferme rispetto a… Sai, quando dici che una cosa è ferma o in mo-

vimento, è necessario sempre specificare rispetto a cosa. Perchè poi è tutto re-

lativo, alla fine. Va beh, non importa. Torniamo al Sole. Allora intanto… il Sole

non è fermo, ma si muove alla bella velocità di duecento chilometri al secondo.

- Quanto?

- Sono più di settecentomila chilometri all’ora, se fai un rapido conticino.

- Ma è pazzesco! E io non mi accorgo di niente!

- Certo che non te ne accorgi, perché siamo tutti in moto…

- Che vuol dire, mamma? A me sembra che siamo belli fermi qui. Cioè, a

parte che spesso ci agitiamo un po’, e tu ci dici sempre di stare calmi, di stare

tranquilli. Ieri mentre giocavo con Lavinia non facevi che dirmelo! Ferme bimbe,

tranquille per favore! Ma anche quando ci agitiamo, alla fine non andiamo da

nessuna parte: al massimo, passiamo dal salone alla cucina. E poi torniamo in-

dietro, perché tu non ci vuoi lì mentre prepari.

Mamma sorride, non risponde subito. Ha proprio una cosa bella mamma,

che dal suo sorriso non ti senti mai abbandonato. Hai questa strana sensazio-

ne, che vi sia sempre uno spazio per te, nel suo sorriso. Poi non si arrabbia se

non capisci, non si arrabbia proprio mai. L’unico momento in cui si arrabbia è

quando non vuoi capire, sai, quando ti impegni in quello sforzo di non fare en-

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trare niente nella testa, niente di quello che fanno passare le orecchie. Perché

le orecchie fanno passare tutto, ma la testa la puoi chiudere e allora ciao, mica

impari più nulla: garantito. Ecco, allora lì mamma si imbufalisce e si arrabbia di

brutto. Che poi ha un qualcosa, come un sesto senso: lo capisce subito se ti sei

chiusa.

Come quella volta con papà, proprio l’altro giorno. Viene papà a casa con

quell’idea, andiamo in vacanza in Toscana. A Punta Ala. C’è la famiglia di Cri-

stiano che ci va, andiamo anche noi. Non è un’idea favolosa? Insomma è lì tutto

contento, tutto gasato. Quasi nemmeno mangia, per spiegare tutti i particolari.

Però mamma non sembra tanto felice. Sembra che eviti di commentare, di met-

terci entusiasmo. Guarda il suo piatto e mangia in silenzio. Il che è già una cosa

preoccupante, a pensarci bene.

Più tardi, dalla sua camera, li aveva sentiti che discutevano un po’. Non le

piace mai troppo quando discutono perché si sente un po’ di freddo, per fortuna

accade di rado. Quella volta però si era davvero preoccupata, perché qualcosa

non andava per il verso giusto. Non era una serata tranquilla e dolce come le

altre. Invece di stare a divertirsi tutti insieme, appena finito di sparecchiare, si

erano quasi subito rintanati in camera, lasciandola da sola. Le voci che arriva-

vano da lì le facevano capire di cosa si stesse parlando. Mamma diceva qual-

cosa come ma non ci sono, i soldi non ci sono, poi dobbiamo fare i lavori di ca-

sa e papà diceva sempre a preoccuparti, ma lascia andare, i lavori magari

aspettano… poi sì, ammettiamolo: si sentiva tutto anche perché lei si era messa

appoggiata alla porta di camera per riuscire ad ascoltare. Certo, certo, non si fa,

non va fatto. Siamo d’accordo. Non ne era certo orgogliosa. Ma non l’aveva fat-

to per cattiveria, voleva soltanto sapere se poi alla fine ci si andava in vacanza,

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con Cristiano (che tra l’altro ha una sorella che si chiama Chiara e ha le trecce

bionde e lunghe ed è simpaticissima, sarebbe stato proprio forte andare).

Però era noioso. Dopo un po’ uno diceva ma tu non mi ascolti eh e l’altro

dopo qualche momento - da quanto riusciva a sentire - gli ripeteva la stessa co-

sa. Si vede che si erano chiusi, come quando lei non voleva fare entrare la ma-

tematica dentro il cervello, quando sperava con tutte le forze che scivolasse

fuori dalle orecchie, così come vi era entrata, facendo meno danni possibile.

Che poi, chissà quale problema avrebbe fatto, una volta entrata. Proprio nessu-

no, ma proprio nessuno. E loro così, probabilmente avevano fatto come se par-

lassero di matematica. Ma anzi peggio. Perché i grandi raramente si chiudono

la testa con la matematica, a quanto si può capire: è assai più facile che se la

chiudano con delle impuntature per cose che a lei sembrano piccolissime, quasi

minime. In effetti i grandi, siano scienziati o meno, hanno sempre delle zone in-

terne proprio strane, che un bambino normalissimo non riesce proprio a capire.

Come se ogni tanto scomparisse il Sole anche dalla loro testa, o dal loro cuore.

E’ allora che li vedi lì tutti tesi ed arrabbiati e scontrosi, tutto appena per una

fesseria. Roba che un bambino non ci starebbe a perdere due minuti, nemme-

no. Meno male che di solito il loro sole ritorna presto - almeno per mamma e

papà è così - e quando li illumina di nuovo, ritornano ad essere ragionevoli qua-

si come normalmente lo sono i piccoli.

Si vede che il fatto dei soldi li aveva un pochino fatti preoccupare. Lei non si

preoccupa mai dei soldi, in effetti i soldi sono come i maschi: non le interessano

proprio. Dopotutto ci pensano mamma e papà a darle le cose di cui ha bisogno.

- Se andiamo tutti insieme, è così. Ti sembra che siano tutti fermi e invece

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vanno tutti avanti. Non è che mi riempiresti la saliera? - fa la mamma, ripren-

dendo i fogli come per chiudere la conversazione.

- Sì mamma, va bene. Tanto se non le faccio io, queste cose!

- Vedi che sei brava? Io lo sapevo.

Mamma non alza la testa dal foglio, ma sorride. Lei la vede sorridere e tan-

to le basta. Non chiede niente altro per il momento. Anche perché non ha voglia

di chiedere. Non le serve più. Le è venuta un’idea e vuole rimanere un po’ a

pensarla da sola, a rigirarla in testa, perché le pare molto bella.

Anzi no, deve verificare. Deve chiedere.

- Come la famiglia, insomma? - Azzarda.

- Cosa…? Che dici, Anita?

- Beh, questo che ho detto. Come la famiglia, giusto?

Letizia la guarda perplessa. E Anita registra SUBITO una piccola vittoria.

Finalmente è lei che lascia mamma interdetta. E’ lei che la lascia con il deside-

rio di capire di più, stampato sul volto. Si vede che mamma sta pensando, sta

cercando di capire e non riesce a raccapezzarsi. Pensa a che c’entra la famiglia

con il Sole che si muove o sta fermo. E non ci arriva. Mamma è troppo scientifi-

ca, alle volte. Sarà proprio colpa del suo mestiere.

Basta guardarla, ecco: si vede bene che non ci arriva. Si mette una mano in

testa, se la passa tra i capelli. Negli occhi ha un po’ di sconcerto.

- No, non riesco a capirti. Che vuoi dire?

- Ma è semplice, dai mamma. Hai presente quando ci lamentiamo per tutte

le cose che non vanno, quelle piccole dico, cioè che magari a noi sembrano

grandi? Non sarà proprio per questo, perché ci muoviamo tutti insieme?

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- Anita, ma che stai dicendo? - nella voce di mamma affiora questo curioso

filo di preoccupazione. Magari adesso pensa di avere una figlia matta, chissà.

- Uffa, mamma. L’ho capito perfino io! E’ che ci lamentiamo perché non ci

accorgiamo che stiamo andando avanti. Tutti insieme. Se ci accorgessimo di

quanto corriamo, come famiglia, di come stiamo andando avanti bene tutti in-

sieme, non si si starebbe a lamentare per tutte le piccolezze tipo chi deve butta-

re la spazzatura, chi deve portare fuori il cane..

- Quale cane? Non abbiamo mica un cane, Anita. Non ce l’abbiamo mai

avuto - si capisce che mamma è sempre più preoccupata, ma si intuisce pure

che contemporaneamente le sta arrivando addosso un pensiero diverso.

- Ma insomma mamma, era per dire, no? Hai capito.

- Sì forse, ma…

- Oppure… - e qui Anita ha un momento di esitazione - per dove andiamo in

vacanza, se andiamo qui o lì, o in Toscana o magari in un altro posto…

Mamma sta per rispondere, ma si ferma. Cambia volto, si gira. Si nasconde

un momento il viso e Anita capisce che è come se si fosse commossa, inaspet-

tatamente. Come quando nel mezzo di una discussione molto tecnica e molto

scientifica arrivasse qualcuno a dirti senti, io ti voglio bene, da morire.

- Hai ragione, lo sai? Non ci avevo mai pensato… - le dice quando le rivol-

ge di nuovo il viso. Sembra quasi che ora ci sia una piccola lacrima nell’occhio

destro, sarà il riflesso della luce.

- Eh sì, che ho ragione - fa lei, con uno strano senso di sicurezza addosso -

Ma me l’hai spiegato tu.

Stavolta mamma rimane muta. Così le parole di Anita non incontrano subito

altre parole, ma rimangono come sospese nell’aria, come se danzassero segre-

tamente sul pulviscolo dorato che si vede nella striscia di luce che arriva da fuo-

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ri.

- Non potresti farmi un altro favore, adesso? - dice mamma con voce più

esile, strana

- Riempire anche la pepiera? - fa lei, dubbiosa.

- No, quella può aspettare. Un’altra cosa, più urgente, più importante.

- Uff, e che cos’è allora?

- Potresti abbracciarmi, adesso?

Un raggio del sole al tramonto, quel sole che chissà se si muove o sta fer-

mo, trova la strada tra gli incastri della tapparella e d’un tratto tutto si riempie di

pulviscolo dorato, ogni cosa è invasa da striature rosse brillanti. Mamma ha la-

sciato i fogli e adesso stringe Anita e la stringe forte, lei si raccoglie tutta dentro

l’abbraccio caldo della mamma e si gode il suo profumo delicato e l’odore della

sua pelle, ed intanto si stupisce di quanto possa essere forte un abbraccio, non

se lo ricordava forte tanto così. Quasi le fa male, anzi no, le fa benissimo. Spera

che duri il più possibile.

A volte non ci si pensa: andare avanti tutti insieme sembra come rimanere

fermi. Ma non lo è. E a volte tocca farselo spiegare da chi lo sa, ma è come se

non lo sapesse. Tocca farselo spiegare, per rispiegarglielo.

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