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Quell’oscuro desiderio di PERDERE A SINISTRA Collana «DIALOGHI»

Quell'oscuro desiderio di perdere a sinistra

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La sinistra non ama il potere e fa perdere la sinistra. In due secoli di democrazia, in tutto il mondo la sinistra ha governato molto meno della destra, il cui elettorato, non così pudico, sa benissimo che prima di tutto bisogna averlo, quel famoso Potere. La sinistra che parla, quella che influenza l’opinione pubblica, in Francia trovava che Mitterrand, appena eletto, fosse già troppo abile.

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Quell’oscuro desiderio diPERDERE A SINISTRA

Collana«DIALOGHI»

Indice

Prefazione – La sinistra vince quando la destra fa ditutto per farla vincere 7

Un famoso caso di scuola 31Votare contro il proprio schieramento 42Quando l’intelligenza media è più intelligente diquella sottile 45

La malafede che c’è nella fede 48Di una colpa esistenziale in politica 56La voluttà di essere contro è tutto ciò che vuolecolui che vota contro ciò che vuole 59

Beneficio dell’esecrazione 66Le evidenze sono ciò a cui si pensa di meno 75L’Ora Grigia della democrazia francese 77E per una volta che aveva il tempo dalla sua,la sinistra lo restituì alla destra 85

Se non puoi ragionare con loro, fanneun ritratto 90

Poiché un buon bilancio non è un programma,tanto vale un programma sicuramente nullo 97

L’inconfessata confessione della sinistradell’insoddisfazione 108

Il rifiuto della folla 109

Il bovarismo politico 112Etica di irresponsabilità della sinistra e ottusitàstrategica 113

Perché? I perché 116Prima 123Questo termine “sinistra”, ad ogni modo… 131

UN AFFAIRE 133DSK, Shakespeare & Co. 133

UN FUTURO 149Il 15 settembre più dell’11 inaugurò il XXI secolo149

Jean-Philippe Domecq

Quell’oscurodesiderio diPERDERE

A SINISTRA

GREMESE

Titolo originale:Cette obscure envie de perdre à gauche© Éditions Denoël, 2011

Traduzione dal francese:Giulia Castorani

Stampa:Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR)

Copyright dell’edizione italiana:2013 © GREMESENew Books s.r.l. – Romawww.gremese.com

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libropuò essere registrata, riprodotta o trasmessa,in qualunque modo e con qualunque mezzo,senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-760-3

AGuilhem

LA SINISTRA VINCEQUANDO LA DESTRA FA DI TUTTO

PER FARLA VINCERE

Prefazione all’edizione italianadi Jean-Philippe Domecq

Questo libro tratta di una verità statistica: daquando la democrazia moderna è nata e si è dif-fusa nel mondo, due secoli fa, la sinistra è semprearrivata al potere molto meno della destra. Nes-suno si è mai dedicato veramente allo studio diquesto fenomeno, nonostante le sue massicce di-mensioni – anzi, probabilmente proprio per que-sto motivo; è un fatto fin troppo lampante, lì,sotto i nostri occhi. Questa tendenza umana adallontanare le evidenze non deve peraltro stupi-re, anche il Cristo enunciò a modo suo: «Popoloche ha occhi ma non vede, che ha orecchi ma nonode»; e se le Sue parole annunciano l’avvento delRegno di Dio accanto al quale passiamo, ciò nonsignifica che non parlino al tempo stesso anchedel nostro inconscio e della nostra preoccupazio-

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ne, estremamente collettiva, di allontanare dallavista quello che vogliamo accuratamente ignora-re. È ciò che si definisce passione per l’ignoranzavolontaria, un fenomeno che imperversa in ogniambito, inclusa la politica. Sarebbe stato quindiun peccato non cogliere l’occasione per fare diquesta stupida e forte passione una descrizionein termini di psicologia collettiva, nello spiritodella letteratura moralista, insieme a un’analisistrettamente politica della tendenza storica chefino a oggi ha portato i popoli ad affidare così po-co spesso le loro sorti alla sinistra di governo, no-nostante la sua vocazione sia quella di aiutarli.Fino a oggi: questa precisazione è diventata ne-

cessaria visto il cambiamento innescatosi di recen-te, del quale paradossalmente possiamo notare isegni premonitori dietro gli ultimi ed enormi erro-ri tattici commessi dall’elettorato di sinistra (in Ita-lia, negli Stati Uniti e in Francia) nell’ultimoquarto di secolo. Il fenomeno, come potrà essereosservato in tutte le ultime elezioni democratiche,si trova probabilmente a un punto di svolta. Finitii due secoli che vanno dal 1789 al 1989, gli elettoricominciano ad affidare più spesso la responsabili-tà di governo alla sinistra, a costo di giocare conl’alternanza come con uno yò-yò, cambiando mag-gioranza politica a ogni appuntamento elettorale oquasi. Qualcuno potrebbe chiamarlo voltare gab-bana ogni quattro o cinque anni, ma in ogni casociò induce a credere che i popoli abbiano avuto bi-sogno di due secoli per assuefarsi alla democrazia.

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Tale ipotesi sembra confermata da quanto èsuccesso in Francia dopo l’edizione francese diquesto libro nel febbraio del 2012: la vittoria dellasinistra alle elezioni presidenziali e legislative. Etuttavia anche questa vittoria, netta e schiaccian-te, in fondo conferma la pesante tendenza storicache tanto a lungo ha sfavorito la sinistra. Questolibro lo annunciava già dalla seconda pagina: «Ese torna al comando, è perché la destra si è taglia-ta le mani da sola con il suo stesso potere. Al difuori di quei momenti eccezionali, fino a questomomento la costante è stata che alla sinistra man-ca sempre una certa sinistra per essere eletta».Già adesso la sinistra socialista appena eletta,

e con in mano tutti i poteri regionali e nazionalidella Francia, viene tormentata dalla sua stessasinistra, che come sempre non la ritiene “abba-stanza di sinistra”. Anche negli Stati Uniti, ben-ché le elezioni del novembre 2012 non si sianoancora tenute al momento di scrivere questa pre-fazione, possiamo già assicurare che l’elezione diBarack Obama dipenderà più dagli errori pro-grammatici della destra che dall’intelligenza tat-tica dell’elettorato di sinistra e, soprattutto, dellasinistra della sinistra*.Quanto all’Italia, il paese si trova alla vigilia di

scadenze elettorali che non possono che essereinedite, vista la situazione estremamente singola-re, forse unica, in cui esso si trova; è stata infattil’Europa, e non il popolo italiano né i suoi rap-presentanti, a cambiare il governo alla guida del-

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lo Stato. In quale misura tale configurazione as-solutamente inedita potrà aggiornare, o meno, lanostra teoria sulla Voglia di perdere a sinistra? Inquale misura l’Italia confermerà o meno la recen-tissima mutazione che finalmente sembra averdato alla sinistra lo stesso diritto all’alternanza dicui godeva la destra? Queste circostanze la pon-gono adesso in una posizione di laboratorio, o diesperimento fallito, per il tipo di democrazia chel’Europa allargata, federale o confederale, prati-cherà in futuro? È quello che ci chiediamo in que-sta sede, pur sapendo che l’Italia, decisamente,oggi come ieri non si lascia mai ricondurre alloschema comune.Prima di tutto, risaliamo alle origini. Una spie-

gazione alla quale non si pensa immediatamenteè quella etimologica. Per la traduzione in linguaitaliana di un libro scritto in francese, non è su-perfluo iniziare da questo punto. Tanto più che ilfilo in questione, una volta tirato, porta con sédati e informazioni interessanti. Se in francese laparola “gauche” designa al tempo stesso qualcosache si trova a sinistra e qualcosa di maldestro, initaliano la parola “sinistro” indica qualcosa che sitrova a sinistra e qualcosa di funesto. Si ritrova di-rettamente la radice latina comune alle due lin-gue; ma, vista la connotazione negativa assuntadal termine, capiamo anche come non sia super-fluo risalire all’origine etimologica di cui parlere-mo più approfonditamente nel libro, e checontiene già in sé un significato fatale per la sini-

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stra politica (cfr. capitolo: Questo termine “sini-stra”, ad ogni modo…): «Già di per sé pone un pro-blema, e sin dall’inizio, no? Per quale fatalitàetimologica quelli che hanno voluto cambiare ilmondo si sono seduti proprio a sinistra… (…) Lasinistra è la direzione dei cattivi presagi, del nefas(…). Al contrario, essere a destra sembra dareun’impressione di destrezza e di abilità, di tro-varsi sulla “retta via”. In ogni caso, in queste dueparole c’è come un oscuro sospetto sulla parte si-nistra, una colpevolezza che precede l’atto».Nel più latino dei paesi latini ed europei, l’Ita-

lia, la pregnanza negativa della parola “sinistra”ha forse pesato più che altrove sull’inconscio del-l’opinione pubblica democratica.Quale che ne sia la ragione, in Italia il popolo

ha eletto la sinistra meno spesso che in altri paesidell’Europa occidentale, compresa addirittura laSpagna, che siamo abituati a vedere rigorosa-mente a destra. Le cifre parlano da sole: dal 1945,solo quattordici anni per il centrosinistra in Italia,grosso modo, sommando gli anni di Craxi e quel-li di Prodi; dalla fine del franchismo nel 1975,ventuno anni per i socialisti spagnoli, aggiungen-do l’era González agli anni di Zapatero.Beninteso, il risultato matematico delle elezio-

ni non è solamente la prova che l’etimologia erafatale…Altre radici tipicamente italiane spieganoin modo molto più diretto questo risultato.Radice fondamentale: Roma è sede del papato.

E sin dal secolo dei Lumi, quando l’idea del pro-

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gresso venne lanciata come “un’idea nuova inEuropa”, come disse Saint-Just della felicità, laChiesa cattolica è sempre stata la forza spiritualee culturale più ferocemente contraria alla sinistra.Un sentimento reciproco. Non torniamo qui suquesto fattore basilare, che verrà ricordato nelladimostrazione delle prossime pagine; teniamoperò a mente che l’Italia è stato il luogo dove talefattore si è sviluppato maggiormente. Dal che de-riva la sua potente influenza sulle menti e sui co-stumi.I costumi, abbiamo appena detto. È evidente

che la famiglia cristiana, con la sua doppia artico-lazione matriarcale e patriarcale così stretta inItalia, non favorisce assolutamente l’aperturamentale nei confronti delle idee di liberazione dailegami ancestrali. I ruoli assegnati dalla tradizio-ne che incarna l’affetto quotidiano sembrano fissiper l’eternità; la conseguenza è che parlare di li-berazione della donna e di diritti dei minori puòsembrare un tentativo di dissipazione dei puntidi riferimento e di minaccia verso la famiglia.Prima che si riesca a far capire che i valori di sini-stra, basati tra l’altro sul dinamismo dei costumi,non sono necessariamente ostili alla solidarietàfamiliare, ci vuole quello che ci vorrà sempre, inogni epoca, per ogni evoluzione: tempo. Quellache a sinistra viene chiamata «la lentezza dellaStoria».I costumi ereditati dal cristianesimo dominan-

te sono una delle cause; ce ne sono molte altre,

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ereditate invece dalla storia italiana. Una storiaricca della storia delle sue città Stato, con i loroprìncipi e le loro repubbliche, le loro sovranità ele differenti prosperità locali. Insomma, quelleche oggi vengono chiamate regioni. Quelle che,come ha dimostrato in particolare negli ultimivent’anni il successo della Lega Nord, hannosempre riattivato, in modo più o meno pronun-ciato a seconda che l’ideologia dominante in Eu-ropa pendesse più verso destra o verso sinistra,la famosa divisione fra l’Italia del Nord e l’Italiadel Sud. Ai fini della nostra analisi, vediamo co-me tale elemento costituisca un altro punto sa-liente che non predispone l’Italia alla sinistra.Perché è nell’essenza ideologica della sinistrapromuovere valori e diritti che, proprio in quantopromossi, sono nuovi e possono scontrarsi con icostumi strettamente legati ai poteri più vicini al-la popolazione. Questo è il modo in cui vengonopercepiti di primo acchito; tutte le specificità lo-cali ne vengono disturbate. Inoltre, più il potere èvicino a coloro che amministra, come accade nelcaso delle regioni, più si preserva da ciò che ilcentro dello Stato cerca di amministrargli. UnoStato progressista fa paura alla tradizione insitanel regionalismo.Tale constatazione non viene assolutamente

smentita dal fatto che, durante gli anni Settanta,gli elettori affidarono in massa la gestione delleregioni e dei comuni al Partito Comunista Italia-no guidato da Enrico Berlinguer. Certamente a

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tale circostanza contribuirono anche la strategiadel “Compromesso Storico” con la DemocraziaCristiana, che attenuava lo spettro del comuni-smo puro e duro, nonché la personalità dellostesso Berlinguer, che con il suo carisma sobria-mente aristocratico rassicurava e al tempo stessostimolava quel senso della virtù e della rettitudi-ne che, in Italia, è forte tanto quanto la tendenzaall’accomodamento, alla truffa contro lo Stato, so-prattutto in materia fiscale, e agli intrallazzi. Ilcoraggio dei giudici antimafia ha raggiuntol’eroismo, a questo proposito: un esempio tra glialtri. Ma ciò non toglie che, per quanto riguardail potere locale affidato ai comunisti, ciò fu possi-bile appunto perché si trattava solamente di unpotere regionale. In tutti, la diffidenza nei con-fronti dello Stato si univa alla paura del “Rosso”,impedendo così al Partito comunista più apertodell’epoca di esercitare la responsabilità politicaai livelli più alti.Si potrebbe obiettare, per fare un confronto,

che anche in Germania le regioni sono forti emolto ancorate nella storia del paese. Eppure, laGermania ha tollerato più dell’Italia la sinistra alpotere, nel dopoguerra. In questi decenni, som-mando i governi socialdemocratici di Brandt,Schmidt e Schröder otteniamo un totale di ven-t’anni. Sì, ma appunto: parliamo del dopoguerra,una guerra che era stata innescata dalla Germa-nia e dal suo regime nazista, segnato in modo ter-ribile dall’estrema destra. Nell’opinione pubblica

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tedesca, la destra è rimasta marchiata, bloccatadalla zavorra del passato, poiché a differenza diquanto accadde ad esempio in Francia essa lasciòfare, nella migliore delle ipotesi, l’estrema destra.Si dirà che il fascismo mussoliniano ha svolto unruolo analogo; ma solamente analogo, perché cifurono delle differenze, per quanto tenui, tra ilfascismo italiano e il nazismo tedesco. Una diffe-renza netta in quanto a brutalità, per dirlo in po-che parole, e non è un dettaglio da nulla nellamemoria dei popoli e quindi nelle loro successivereazioni elettorali.Resta il fatto che, per quanto riguarda il regio-

nalismo tedesco e il regionalismo italiano, in Ger-mania il federalismo ha permesso una regolarealternanza da destra a sinistra nella gestione deiLänders, Stati Federati ai sensi della Costituzione.L’Italia non è federale, a causa della cultura anti-centralizzatrice che ha ereditato dalla Storia.Questo ci conduce direttamente al fenomeno

che ha dominato la storia recente del Belpaese:l’arrivo e la singolarmente lunga permanenza alpotere di Silvio Berlusconi – ne troverete un’anali-si più avanti, nel libro, parallelamente ai casi ame-ricani e francesi. Silvio Berlusconi ha incarnato,alla testa dello Stato, l’uno contro tutti che la cul-tura politica italiana reca in sé. A cominciare dallanascita ex nihilo del suo partito, inizialmente bat-tezzato Forza Italia, slogan di ispirazione marzialee sportiva. Sicuramente tale creazione politicanon sarebbe stata possibile senza il periodo prece-

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dente, quell’eraMani Pulite durante la quale il po-tere giudiziario aveva portato allo scoperto, sotto-ponendolo alla luce crudele dell’informazionepubblica, la logica di collusione corruttrice chederiva necessariamente dai legami di stretta vici-nanza (versione modernizzata delle feudalità) frala popolazione e gli uomini politici. Ne derivòuna destabilizzazione dei partiti politici, unita alloro sfaldamento in minipartiti ad alleanza varia-bile, anche questo dovuto a un tratto caratteristi-co della cultura italiana. Tutto ciò non poteva chefavorire l’invocazione a fare pulizia, e al tempostesso l’invocazione d’aiuto rivolta al leader sal-vatore – una cosa che, lo sappiamo bene, non èmai favorevole né alla democrazia né alla sini-stra. Inoltre, in linea con l’ideologia dominantedell’epoca, il suddetto leader salvatore era un im-prenditore, l’uomo più ricco d’Italia. La fine deglianni Settanta e tutti gli anni Ottanta segnarono ilperiodo di un liberismo imperante che possiamodefinire ultra nella misura in cui – supportatodalla filosofia economica del monetarismo chepredicava la fine dello Stato assistenziale e incar-nato da leader forti come Ronald Reagan negliStati Uniti e Margaret Thatcher in Gran Bretagna– in tutto il mondo prevaleva il cosiddetto econo-mismo. La sua idea di fondo consiste nella volon-tà di nascondere che qualsiasi economia è ancheuna politica, poiché implica delle scelte. Questoha condotto a una fallace contrapposizione, in re-altà estremamente ideologica, fra politica ed eco-

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nomia, vale a dire fra ideologia e ideologia, datoche anche la più piccola organizzazione d’impre-sa è un sistema che pensa e organizza i rapportiumani, quindi un’ideologia. All’interno di talecontesto in piena espansione, Silvio Berlusconi,che aveva fatto fortuna nella promozione immo-biliare, si buttò in politica e riuscì a farsi eleggerepromettendo di “guidare il paese come fosseun’impresa”. In questo modo, blandiva l’italianomedio con un discorso del tipo «a ognuno il suomestiere, che ci lascino fare». Quanto al resto,cioè le ricadute collettive e l’azione di federazio-ne delle forze sociali, sarebbe stata sufficientel’ipotetica “Mano invisibile” del mercato. Ipoteticaparticolarmente in Italia, dove d’altronde nonvenne neanche invocata, anche in questo caso pertradizione culturale, a differenza dei paesi anglo-sassoni che vi aderivano sin dai tempi di AdamSmith. In ogni caso, i risultati economici furonomiseri, molto lontani dalle promesse elettorali didinamismo. Il grande patronato italiano espresseforte e chiara la propria delusione; i proprietaridelle piccole e medie industrie invece non abban-donarono Berlusconi, ma in fondo il loro soste-gno era essenzialmente partigiano, nutrito dallasoddisfazione retorica che procurava loro un pa-gliaccio disinibito, dato che invece fatturati e pro-duttività non furono né inferiori né superiori aquelli degli anni precedenti il largo sorriso berlu-sconiano. Quanto alle rigorose riforme contro ilcosiddetto “assistenzialismo”, i privilegi dei fun-

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zionari e non si sa bene quali vestigia del “comu-nismo”, che il Cavaliere ritirava fuori in conti-nuazione come in un discorso preso da un’altraepoca, il suo bilancio fu ben misero in confrontoalle riforme realizzate da Romano Prodi nei suoidue mandati, peraltro abbreviati.Analizzando le speranze suscitate dall’appari-

zione del fenomeno Berlusconi, vediamo che nelmomento in cui il paese si stava teoricamente pu-lendo le mani dalla corruzione all’interno deipartiti e delle imprese, il popolo invece appoggiòfino alla nausea, senza curarsi di tutti i suoi tra-scorsi e dei suoi comportamenti, un uomo che in-frangeva l’elementare principio democraticodella separazione dei poteri, in quanto oltre alsuo potere economico iniziale deteneva anche ilpotere esecutivo, il potere legislativo alla Came-ra, e il potere giudiziario manipolato a suo piaci-mento attraverso tutte le leggi sull’immunità chenon esitò a far votare, forte della sua maggioran-za parlamentare.Certo, durante tutti quegli anni fu attiva

un’opposizione civile e culturale, addirittura pie-na di inventiva, ma ciò non toglie che “tutti que-gli anni” di Berlusconi abbiano rappresentatouna vera e propria era nel contesto dell’instabilitàparlamentare caratteristica dell’Italia. E non pos-siamo fare a meno di constatare che la sinistranon ha mai saputo approfittarne per sostituirequel leader carismatico. Dobbiamo dirlo, e senzapaura di ribadire l’evidenza: gli italiani hanno

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