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Racconti di Natale Carlo Collodi, Luigi Pirandello & Luciano De Crescenzo digita! Publishing

Rac Conti

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Page 1: Rac Conti

Racconti di NataleCarlo Collodi, Luigi Pirandello & Luciano De Crescenzo

digita! Publishing

Page 2: Rac Conti

Indice

1 Luciano de Crescenzo: Il professore.......................................... 5

2 Luigi Pirandello: Sogno di Natale................................................ 17

3 Luigi Pirandello: Natale sul Reno................................................ 23

4 Carlo Collodi: La festa di N ata le ................................................ 33

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i II professore

Viene suonno1 da lo2 cielo viene e addorme sto Nennillo3 pe pietà ca è piccirillo4 viene suonno e non tarda5.

Gioia bella de sto core6 vorria suonno addeventare7 doce doce pe te fare st’uocchie belle addormenta8.

s. a l f o n s o d e ’ L i g u o r i , Pastorale

«Eccoci qua professò, come state?» dice Salvatore entrando in casa Bellavista. «Vi abbiamo portato l’ingegner De Crescenzo che è un grande scienziato napoletano: pare

1 ’o su o n n o = il son n o : S c h la f

2 da lo = d a l: vo m

3 ad d o rm e sto N e n n illo = ad d o rm en ta qu esto b am b in o : lässt dieses

K in d ein sch la fen

4 pe p ie tà ca è p ic c ir illo = per p ie tà che è p ic co lin o : aus M itle id , w eil

es n o ch so k le in ist

5 ta rd à = ta rd a re : zu sp ät sein

6 de sto co re = di qu esto cu ore: d ieses H erzen s

7 v o rr ia su o n n o ad d eve n tare = v o rre i d ive n tare son n o : ich m öch te

S c h la f w erd en

8 d o ce d o ce pe te fa re s t ’ u o cch ie b elle a d d o rm en tà = d o lce d o lce per

fa re ad d o rm en ta re qu esti occh i b elli: um d iese schön en A u gen san ft

e in sch la fen zu lassen

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che sia quello che ha inventato i cervelli elettronici americani.»

«Ma quando mai?» dico io cercando d’interrompere la presentazione di Salvatore. «Non sono uno scienziato e non ho inventato proprio niente.»

«Non lo state a sentire professò» dice imperterrito1 Saverio.

«Che quello l’ingegnere è modesto: pare che quando si è preso la laurea2 è arrivato un ordine categorico dall’America di assumerlo3 a qualsiasi prezzo prima che se Io potesse pigliare4 qualche nazione nemica.»

«Ma santo Iddio!» protesto. «Ma come fate ad inventarvi tutte queste fesserie5 e tutte in una volta?»

«Ma lasciateli dire ingegnè» mi dice sorridendo il professor Bellavista stringendomi la mano6. «Lasciateli dire. Le vogliono bene7 ed hanno bisogno di dimostrarglielo. Lei poi tutto sommato ha anche la sua parte di colpa. E già, perché se si fosse limitato a diventare solo geometra, l’avrebbero chiamata ingegnere e sarebbero stati tutti contenti, ma, dal momento che lei ingegnere Io è veramente, un poveretto che vuole dimostrarle stima8 e simpatia come la deve chiamare? Almeno scienziato.»

«Professò, mentre voi vi accomodate9 posso andare a prendere il vino?»

1 im p erterrito : un ersch rock en

2 p rend ere la lau rea : H o ch sch u lab sch lu ss m achen

3 a ssum ere q c .: jm dn . einstellen

4 p ig liare : sich schn appen

5 la fe sseria : B lö d sin n

6 strin gere la m ano : die H a n d d rücken

7 v o le r bene a q c .: jm dn . gern h ab en

8 la stim a: A ch tu n g

9 a cco m o d a rsi: P latz nehm en

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«Bravo Saverio tu sai dove sta. Vallo a prendere e fatti dare pure i bicchieri dalla signora. Ma aspetta un momento perché forse l’ingegnere qua preferisce un caffè.»

«No grazie, veramente prenderei anch’io il vino di Lettere di cui mi ha parlato tanto bene Saverio.»

«E fa bene, perché a dire la verità il caffè della signora non è mai stato una cosa importante.»

«Bè si sa, il caffè fatto in casa non è mai come quello che si prende al bar.»

«No, questo non è sempre vero» ribatte1 il professore. «Se viene fatto con amore il caffè può diventare buonissimo. Veda: quello il caffè da dentro alla caffettiera lo sente se c’è simpatia tra chi lo sta facendo e chi se lo deve bere.»

«Assuntina mia lo fa una schifezza2!» dice Saverio entrando con le bottiglie di vino e con i bicchieri.

«Lei deve sapere, carissimo ingegnere, che il caffè non è propriamente un liquido, ma è come dire una cosa di mezzo tra un liquido ed un aeriforme3, insomma una cosa che non appena entra a contatto con il palato4 sublima, ed invece di scendere sale, sale, vi entra nel cervello e là resta quasi a tenervi compagnia, e così succede che uno per ore ed ore lavora e pensa: ma che bellu’ cafe ca me so pigliato stammatina!5»

«Noi invece,» dico io «nei nostri uffici non andiamo quasi più al bar, abbiamo su ogni piano dell’ufficio delle macchine distributrici automatiche dove mettendo cento lire

1 rib attere : an tw o rten

2 la sch ifezza : W id erlich k eit

3 l ’ a erifo rm e: G a s

4 il p a la to : G au m en

5 che b e llu ’ ca fe ca m e so p ig lia to stam m atin a = che b ello il ca ffè che

m i son o p reso qu esta m attin a : D e r K a ffe e , den ich heute M o rg e n

getrun ken h ab e, w a r w irk lich gut.

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e premendo un bottone1 si può avere a piacere il caffè oppure il cappuccino, con o senza zucchero.»

«Macchine americane, è vero ingegnò?» chiede Salvatore.«No,» rispondo io ridendo «al massimo milanesi.»«Milanesi o americane,» ribatte il professore

«appartengono alla stessa razza, alla razza cioè di quelli che credono che il caffè sia una bevanda che si beve. Gesù, ma vi rendete conto2 che questa faccenda della macchinetta automatica del caffè e una cosa molto grave!? E un’offesa3 ai sentimenti dell’individuo, robba da fare appello alla commissione per i diritti dell’uomo4.»

«Va bene ma adesso non esageriamo5.»«E chi esagera. Egregio ingegnere lei ha il dovere di

protestare e di spiegare ai suoi superiori che quando un cristiano6 sente il desiderio di prendere un caffè, non è perché vuole bere un caffè, ma perché ha avvertito il bisogno di entrare di nuovo in contatto con l’umanità, e quindi deve interrompere il lavoro che sta facendo, invitare uno o più colleghi ad andare a prendersi il caffè insieme, camminare al sole fino al bar preferito, vincere una piccola gara7 con annessa8 colluttazione9 per chi offre i suddetti caffè, fare un

1 il botton e: K n o p f

2 ren dersi co n to di q .c .: sich etw . b ew u sst sein

3 l ’o ffe sa : B e le id igu n g

4 ro b b a (= rob a) da fa re a p p ello a lla co m m issio n e per i d iritti

d e ll ’ u o m o: d am it kö n n te m an sich an die

M en sch en rech tsk o m m issio n w en den

5 esagerare : üb ertreib en

6 il cristian o : (hier) M en sch

7 la g ara : W ettstre it

8 ann esso : d azu g eh ö rig

9 la co llu ttaz io n e: A u sein an d ersetzu n g

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complimento alla cassiera, due chiacchiere1 sportive con il barista ed il tutto senza dare alcuna istruzione sul tipo di caffè preferito, dal momento che un vero barista deve già conoscere il gusto del suo cliente. Tutto ciò è rito, è religione, e lei non me lo può sostituire con una macchinetta che da una parte si ingoia2 le cento lire e dall’altra mi versa un liquido anonimo e inodore3! Ma s’immagina lei se adesso per farsi la comunione, invece di andare in chiesa, il Vaticano avesse messo in tutti gli uffici una macchinetta automatica? II fedele4 si avvicina, s’inginocchia5, mette cento lire e si confessa con un registratore, poi si alza, si inginocchia dall’altra parte, mette un’altra cento lire, ed una mano meccanica gli mette l’ostia in bocca, il tutto dopo aver scelto su di un juke-box incorporato un canto gregoriano o l’Avemaria di Schubert.»

«Ha ragione il professore» dice Salvatore. «Quello il caffè si deve bere con rispetto, con devozione: io mi ricordo che una volta il mio barista di Materdei mi fece una cancheriata6 solo perché io mentre bevevo il caffè mi stavo leggendo Sport Sud. Mi disse: “ Ma che fate, vi distraete7?” »

«La porta» dice Saverio sentendo un campanello squillare8.

«Questo sarà Luigino, vado ad aprire.»

1 fa re due ch iacch iere : p lau d ern

2 in go iarsi: versch lin gen

3 in o d ore: geru ch lo s

4 il fedele: F ro m m er

5 in g in occh iarsi: sich h inknien

6 la can ch eria ta = la sg rid ata : Schelte

7 d istra rsi: sich ab len k en

8 sq u illare : k lin geln

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Entra Luigino. Presentazione e saluti. Saverio va a prendere una poltroncina per Luigino ed un bicchiere di vino per sé.

«Luigino bello, Come stai?» dice il professore. «E tutta la settimana che non ti sei fatto vedere.»

«E già perché questa settimana abbiamo avuto molto da fare, martedì ci è venuto a trovare il professor Buonanno, quello del Conservatorio che suona il violino. II professore Buonanno è tanto amico del barone e di tanto in tanto ci viene a suonare qualcosa, ma vi dico a voi, questa volta ha superato se stesso; ad un certo momento ha suonato una cosa di Bach, che io adesso non ricordo propriamente che cosa fosse, ma quello che è certo e che era una cosa bella... proprio bella. II fatto è che poi la casa del barone, da quando ci siamo venduti quasi tutti i mobili, è diventata, come dire, più grande, sempre più grande e sempre più eguale a una chiesa, tanto che il suono del violino si sentiva benissimo. Certe volte riempiva1 di armonia tutta la casa e certe volte invece diventava sottile sottile2 che noi non respiravamo nemmeno per paura di spezzarlo e così ci sono venuti i brividi3 pure dentro ai capelli.» «Luigino,» chiede Saverio «ma questo professore non potrebbe venire qualche volta qua per farci sentire qualcosa?»

«Bè, ce lo potrei chiedere.»«Sì però bisogna fare presto perché il nostro ingegnere si

trattiene a Napoli solo per le feste di Natale.»«A proposito di Natale, io e il barone abbiamo

cominciato a fare il presepe4 come tutti gli anni e ci sono voluti due giorni solo per aprire tutte le scatole dei pastori,

1 riem p ire: erfü llen

2 sottile sottile: sehr fe in , sehr leise

3 ci ven go n o i b riv id i: es ü b e rlä u ft uns e isk a lt

4 il presepe: K rip p e

io

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levare la polvere ed incollare con la colla di pesce1 braccia e gambe spezzate.»

«II presepe» dice il professore «per noi napoletani è una cosa veramente importante, lei ingegnere scusi preferisce il presepe o l’albero di Natale?»

«II presepe, ovviamente.»«E ne sono contento per lei» mi dice il professore

stringendomi la mano. «Veda, gli esseri umani si dividono in presepisti2 ed alberisti3 e questa è una conseguenza della suddivisione del mondo in mondo d’amore e mondo di libertà, ma questo è un discorso lungo che potremo fare un’altra volta, oggi invece vi vorrei parlare del presepe e dei presepisti.»

«Forza professò» dice Salvatore. «Parlateci del presepe che qua stanno i ragazzi vostri!»

«Dunque4, come vi dicevo, la suddivisione in presepisti ed alberisti e tanto importante che, secondo me, dovrebbe comparire sui documenti d’identità come il sesso ed il gruppo sanguigno5. E già per forza, perché altrimenti un povero dio rischierebbe di scoprire solo a matrimonio avvenuto di essersi unito con un cristiano di tendenze natalizie diverse. Adesso sembra che io esageri, eppure e così: l’alberista si serve per vivere di una scala di valori completamente diversa da quella del presepista. Il primo tiene in gran conto la Forma, il Denaro e il Potere; il secondo invece pone ai primi posti l’Amore e la Poesia.»

«Noi qua in questa casa» dice Saverio, «siamo tutti presepisti, è vero professò?»

1 la co lla di pesce: F isch leim

2 il p resep ista = am an te del presepe: K rip p e n fan

3 l ’ a lb erista = am an te d e ll ’a lb ero di N ata le : W e ih n ach tsb au m fan

4 d un q ue: a lso

5 il g ru p p o san gu ign o : B lu tg ru p p e

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«No, non tutti. Mia moglie e mia figlia, ad esempio, come quasi tutte le donne, sono alberiste.»

«Ad Assuntina piace l’albero di Natale» dice sottovoce1 Saverio.

«Tra le due categorie non ci può essere colloquio, uno parla e l’altro non capisce. La moglie vede che il marito fa il presepe e dice: “Ma perché invece di appuzzolentire2 tutta la casa con la colla di pesce, il presepe non lo vai a comprare già bello e fatto all’UPIM3?” . II marito non risponde. E già perché all’UPIM si può comprare l’albero di Natale che è bello solo quando è finito e quando si possono accendere le luci, il presepe invece no, il presepe è bello quando lo fai o addirittura quando lo pensi: “Adesso viene Natale e facciamo il presepe” . Quelli a cui piace l’albero di Natale sono solo dei consumisti, il presepista invece, bravo o non bravo, diventa creatore ed il suo vangelo è “ Natale in casa Cupiello4” .»

«Io l’ho visto professò e mi ricordo di quando Eduardo dice: “ II presebbio5 l’ho fatto tutto da solo e contrastato6 dalla famiglia” .»

«I pastori» continua Bellavista. «Debbono essere quelli di creta7, fatti a mano, un poco brutti e soprattutto nati a San Gregorio Armeno, nel cuore di Napoli, e non quelli di plastica che si vendono all’UPIM, e che sembrano finti; i pastori debbono essere quelli degli anni precedenti e non fa

1 sotto vo ce : leise

2 a p p u zzo len tire : G e stan k verb re iten

3 U P IM : S u p erm arktkette in Italien

4 N a ta le in casa C u p ie llo = W eihn ach ten bei den C u p ie llo s : T ite l

eines T h e aterstü ck s von E d u a rd o D e F ilip p o

5 il p reseb b io = il presepe: K rip p e

6 co n tra sta to da: gegen den W illen von

7 la creta : T o n

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niente se sono quasi tutti un poco scassati1, l’importante è che il capofamiglia li conosca per nome uno per uno, e sappia raccontare per ogni pastore nu bello fattarello2: “ Questo è Benito che non teneva voglia di lavorare e che dormiva sempre, questo è il padre di Benito che pascolava le pecore sopra alla montagna e questo è il pastore della meraviglia” e a mano a mano che i pastori escono dalla scatola, c’è la presentazione. Il padre presenta i pastori ai figli più piccoli, che così ogni anno, quando viene Natale, li possono riconoscere e li possono voler bene come a persone di famiglia. Personaggi della vita, anche se storicamente inaccettabili come ’O monaco3 e ’O cacciatore c’o fucile4.»

«Professò, po’ ce sta ‘o cuoco5, ’a tavulella cu’ e’ ddoie coppie assettate6, ’o mellunaro7, o’ verdummaro8, chille ca venne ’e castagne9, ’o canteniere10, ’o chianchiere11.»

«Ebbè,» dice Salvatore «pure a quell’epoca si doveva faticare12 fino a notte tarda per poter campare13.»

1 scassato : k ap u tt

2 nu bello fa tte rie llo = una b ella sto ria : eine schön e G esch ich te

3 ’o m on aco = il m o n aco : M ö n c h

4 ’ o cacc ia to re c ’o fu c ile = il cacc ia to re con il fuc ile : Jä g e r m it

G e w e h r

5 p o ’ ce sta ’o cu oco = po i c ’è il cu oco : dan n ist da der K o ch

6 ’ a tavu le lla c u ’ e ’ d d o ie co p p ie assettate = un ta v o lin o con due

cop p ie sedute: ein T isc h , an dem zw ei P aa re sitzen

7 ’ o m ellu n aro = il ven d itore di m elon i: W asse rm elo n e n v erk ä u fe r

8 o ’ verd u m m aro = l ’o rto lan o : G e m ü se verk ä u fer

9 ch ille ca venne ’e castagn e = q u ello che ven de le castagn e:

M a ro n iv e rk ä u fe r

10 ’o can ten iere = l ’oste: W irt , W e in verk ä u fe r

11 ’ o ch ian ch iere = il m acella io : M etz g er

12 fa ticare : arbeiten

13 cam p are : leben

13

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«E poi ci sta ’a lavannara1,» continua Saverio «’o pastore che porta ’e pullastre2, ’o piscatore che pesca overamente nell’acqua vera3 che scende da dentro all’enteroclisma4 messo dietro al presepe.»

«Papà mio,» dice Luigino, «quelli un poco scassati li riusciva sempre a mettere in maniera tale che poi nessuno si accorgeva se tenevano un braccio o una gamba di meno; mi diceva: “ Luigi, adesso papà trova una posizione strategica per questo povero pastoriello5 che ha perduto una coscia6” , e lo piazzava dietro a una siepe o dietro a un muretto, e poi mi ricordo che avevamo un pastore che ogni anno si perdeva qualche pezzo, tanto che alla fine ci rimase solo la testa e papà la piazzò dietro a una finestrella di una casetta. Papà le casette le faceva con le scatole delle medicine e poi dentro ci metteva la luce, e quando, durante l’anno, io mi dovevo prendere una medicina, per esempio uno sciroppo che non mi piaceva, allora lui prendeva lo scatolino e mi diceva: “ Luigi, questo scatolo ce lo conserviamo per quando viene Natale, che così ne facciamo una bella casetta per il presepio, tu però bell’ ’e papà7 devi finire prima la medicina che ci sta dentro, se no papà la casarella8 come la fa? ” »

1 ’ a lav a n n ara = la lav a n d a ia : W äsch erin

2 ’ o p a sto re che p o rta ’e p u llastre = il p a sto re che p o rta le po llastre :

der H irte , der d ie H ü h n er trägt

3 ’ o p isca to re che pesca o veram en te n e ll’ acq u a vera = il p escatore

che pesca d a vvero n ell’ acq u a vera : der F isch er, der ta tsäch lich im

echten W asser fisch t

4 l ’ en tero clism a: E in la u f

5 il p a sto rie llo = il p a sto re llo : H irten ju n ge

6 la co scia : O berschen kel

7 b e ll’ ’e p a p à = b ello di p a p à: P ap as L ieb lin g

8 la ca sare lla = la casetta : H äu sch en

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«E poi, quando veniva la mezzanotte,» continua Salvatore «ci mettevamo tutti in processione e giravamo per tutta la casa cantando “ Tu scendi dalle stelle” . II più piccolo della famiglia avanti con il bambino Gesù, e tutti quanti dietro con una candela accesa tra le mani.»

«O’ presepe! L ’addore d’a colla ’e pesce1, ’o suvero pe fa ’e muntagne2, ’a farina pe fa ’a neve3...»

1 l ’ ad d o re d ’a co lla ’e pesce = l ’o d o re d e lla co lla di pesce: der G eru ch

vo n F isch leim

2 ’o su vero pe fa ‘e m un tagn e = il sughero per fa re le m on tagne: der

K o rk , m it dem die B erge gem ach t w erden

3 ’ a fa rin a pe fa ’a n eve = la fa rin a per fa re la neve: das M e h l, m it

dem der Schnee gem ach t w ird

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2 Sogno di Natale

Sentivo da un pezzo sul capo inchinato1 tra le braccia come l’impressione d’una mano lieve, in atto tra di carezza2 e di protezione. Ma l’anima mia era lontana, errante3 pei4 luoghi veduti fin dalla fanciullezza5, dei quali mi spirava6 ancor dentro il sentimento, non tanto però che bastasse al bisogno che provavo di rivivere, fors’anche per un minuto, la vita come immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi.

Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa: intorno al ceppo7, lassù; innanzi a un Presepe, laggiù; noti volti tra ignoti8 riuniti in una cena; eran canti sacri, suoni di zampogne9, gridi di fanciulli esultanti10, contese11 di giocatori... E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi, dei borghi alpestri o marini, eran deserte nella rigida notte. E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie, da questa casa a quella, per godere della raccolta12 festa degli altri; mi trattenevo13 un poco in ognuna, poi auguravo

1 in ch in ato : gesen kt

2 la carezza: L ieb k o su n g

3 erran te : um h erirren d

4 pei = per i: durch die

5 la fan ciu llezza : K in d h eit

6 sp irare : ausströ m en

7 il ceppo : W eih n ach tsfeu er

8 l ’ ign o to : U n b ek an n ter

9 la zam p o gn a : D u d elsack

10 esu ltan te: ü b erg lü ck lich

11 la con tesa : Sp ie l, W ettb ew erb

12 ra cco lto : ru h ig , w ü rd e v o ll

13 tratten ersi: sich au fh alten

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Buon Natale - e sparivo...

Ero già entrato così, inavvertitamente1, nel sonno e sognavo. E nel sogno, per quelle vie deserte, mi parve a un tratto d’incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in cui il mondo per uso festeggia ancora il suo Natale. Egli andava quasi furtivo2, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno d’un cordoglio3 intenso, in preda a4 una tristezza infinita.

Mi misi per la stessa via; ma a poco a poco l’immagine di lui m’attrasse5 così, da assorbirmi in sé; e allora mi parve di far con lui una persona sola. A un certo punto però ebbi sgomento6 della leggerezza con cui erravo per quelle vie, quasi sorvolando, e istintivamente m’arrestai. Subito allora Gesù si sdoppiò7 da me, e proseguì da solo anche più leggero di prima, quasi una piuma8 spinta da un soffio; ed io, rimasto per terra come una macchia nera, divenni la sua ombra9 e lo seguii.

Sparirono a un tratto le vie della città: Gesù, come un fantasma bianco splendente d’una luce interiore, sorvolava

1 in n avertitam en te: p lötz lich

2 fu rtivo : verstoh len

3 il co rd o g lio : B eileid

4 in pred a a: erfü llt von

5 a ttra rre : fasz in ieren

6 avere sgom en to : sich ersch recken

7 sd o p p iarsi: sich lösen

8 la p iu m a: F eder

9 l ’ o m b ra : Schatten

Page 17: Rac Conti

su un’alta siepe di rovi1, che s’allungava dritta infinitamente, in mezzo a una nera, sterminata pianura. E dietro, su la siepe, egli si portava agevolmente me disteso per lungo quant’egli era alto, via via tra le spine2 che mi trapungevano3 tutto, pur senza darmi uno strappo4.

Dall’irta siepe saltai alla fine per poco su la morbida sabbia d’una stretta spiaggia: innanzi era il mare; e, su le nere acque palpitanti5, una via luminosa, che correva restringendosi fino a un punto nell’immenso arco dell’orizzonte. Si mise Gesù per quella via tracciata dal riflesso lunare, e io dietro a lui, come un barchetto nero tra i guizzi di luce6 su le acque gelide.

A un tratto, la luce interiore di Gesù si spense: traversavamo di nuovo le vie deserte d’una grande città. Egli adesso a quando a quando sostava a origliare7 alle porte delle case più umili8, ove il Natale, non per sincera divozione9, ma per manco di denari non dava pretesto a10 gozzoviglie11.

1 la siepe di ro vi: do rn iges G eb ü sch

2 la sp in a: D o rn

3 trap u n gere: durch b oh ren

4 lo strap p o : R iss

5 p a lp itan te : zuckend

6 il gu izzo di luce: L ich tflec k , G lan z

7 o rig lia re : horchen

8 um ile: ärm lich

9 la d ivo zio n e = la d evozion e: F rö m m ig k eit

10 d are p retesto a: V o rw a n d geben

11 la g o zz o v ig lia : P rasserei

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Page 18: Rac Conti

- Non dormono... - mormorava Gesù, e sorprendendo alcune rauche1 parole d’odio e d’invidia pronunziate nell’interno, si stringeva in sé come per acuto spasimo2, e mentre l’impronta delle unghie restavagli sul dorso delle pure mani intrecciate, gemeva3: - Anche per costoro io sono morto...

Adammo così, fermandoci di tanto in tanto, per un lungo tratto, finché Gesù innanzi a una chiesa, rivolto a me, ch’ero la sua ombra per terra, non mi disse:

- Alzati, e accoglimi in te4. Voglio entrare in questa chiesa e vedere.

Era una chiesa magnifica, un’immensa basilica a tre navate5, ricca di splendidi marmi e d’oro alla volta, piena d’una turba6 di fedeli intenti alla funzione7, che si rappresentava su l’altar maggiore pomposamente parato8, con gli officianti tra una nuvola d’incenso. Al caldo lume dei cento candelieri d’argento splendevano a ogni gesto le brusche d’oro delle pianete9 tra la spuma dei preziosi merletti10 del mensale11.

1 rau co : heiser

2 lo sp asim o : K ra m p f

3 gem ere: stöhnen

4 a cco lg im i in te: n im m m ich in d ir a u f

5 la n ava ta : K irch en sch iff

6 la tu rb a: M en g e

7 la fun zio n e: G o ttesd ien st

8 p a ra to : gesch m ückt

9 la p ian eta : M essg e w an d

10 il m erletto : Spitze

11 il m en sale = la m ensa: M en sa

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Page 19: Rac Conti

- E per costoro - disse Gesù entro di me - sarei contento, se per la prima volta io nascessi veramente questa notte.

Uscimmo dalla chiesa, e Gesù, ritornato innanzi a me come prima posandomi una mano sul petto riprese:

- Cerco un’anima, in cui rivivere. Tu vedi ch’io son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta1 per me l’anima tua, se non fosse ingombra2 di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti3 da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare4 il tuo stolto5 soffrire per il mondo... Cerco un’anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d’ogn’altro di buona volontà.

- La città, Gesù? - io risposi sgomento. - E la casa e i miei cari e i miei sogni?

- Otterresti da me cento volte quel che perderai - ripetè Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari.

an gu sto : en gh erzig

in go m b ro : üb erladen

otten ere: b ekom m en

allettare : lindern

sto lto : dum m

z i

Page 20: Rac Conti

- Ah! io non posso, Gesù... - feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso1 e avvilito2, lasciandomi cader le braccia sulla persona.

Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l’impressione sul mio capo inchinato, m’avesse dato una forte spinta contro il duro legno3 del tavolino, mi destai4 in quella di balzo, stropicciandomi5 la fronte indolenzita. E qui, è qui, Gesù, il mio tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa6.

1 verg o g n o so : b esch äm t

2 a vv ilito : verzagt

3 il legn o: H o lz

4 d estarsi: erw ach en

5 s tro p p icc iare : reiben

6 ro m p ersi la testa: sich den K o p f zerbrechen

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Page 21: Rac Conti

3 Natale sul Reno

Roma, fine del 1914.

- La mamma, - gridò Jenny entrando esultante nella mia camera e battendo le mani, - la mamma acconsente1 per te!

Mi voltai a guardarla con aria stupita2 dal canto del fuoco, in cui stavo da circa un’ora tutto ristretto in me3 dal freddo, con le mani e i piedi al caldo alito4 del camino, e l’anima... oh, l’anima, chi sa dir dove se ne vada in certi momenti, quasi alienata dai sensi, inerti5, mentre gli occhi par che guardino e pur non vedono?

- Uh! - riprese tosto6 Jenny, come assiderata7 dal mio freddo. - Mi sembri un vecchio! Figuriamoci, se la neve fosse davvero caduta qui!

E così dicendo, mi scompigliò8 su la testa i capelli. Io le presi ambo le mani bellissime, e le tenni a lungo tra le mie:

- Te le riscaldo, aspetta! A che acconsente la mamma?- A festeggiare il Santo Natale! - esclamò Jenny,

riprendendo la vivacità, con cui era entrata in camera mia, e nascondendo in quella la confusione che provava nel sentirsi stringere le mani da me.

- Compreremo un bell’abetino, alto... alto... lasciami dir come...

1 acco n sen tire : erlaub en

2 stup ito : üb errasch t

3 r istretto in m e: zu sam m en gekau ert

4 l ’ a lito : A tem

5 inerte: sch w a ch , träge

6 to sto : frech

7 a ss id erato : erfroren

8 sco m p ig liare : zerzausen

23

Page 22: Rac Conti

- Come? - le domandai io sorridendo, tenendole vieppiù1 strette le mani.

Ma ella ne svincolò2 una, e fece tosto:- Alto così!- Oh brava! Sarà bello...- Quanto tu sei brutto... Non si scherza, sai, su queste

cose... Lasciami quest’altra mano... A che pensavi?Chiusi gli occhi e alzai le spalle, traendo un lungo sospiro

per le nari.Zufolava3 il vento attraverso la gola4 arsa5 del camino, o

sentivo io veramente, lontano lontano, il suono lento nasale cadenzato d’una zampogna? Veniva quel suono dalle parole di pianto che avevo dentro di me, e che certo, per il groppo6 che mi stringeva la gola, prima che la via delle labbra, avrebbero trovato quella degli occhi? Era gonfia quella zampogna lontana dei profondi sospiri della mia intensa malinconia? E quel fuoco innanzi a me non era la gregal7 fiammata di fasci8 d’avena9 innanzi a un rustico altarino in una piazza della mia lontanissima città natale, nelle rigide sere della pia10 novena? Tintinnava11 l’acciarino12? Sonava davvero, lontano lontano, la zampogna?

1 v iep p iù = v iep iù : (lit.) im m er m ehr

2 sv in co lare : befreien

3 z u fo lare : p fe ifen

4 la go la : Sch lu n d , H a ls

5 a rso : a u sged ö rrt

6 il g ro p p o : K lo ß

7 g rega l = gregale : gew öh n lich

8 il fa sc io : Strauß

9 l ’ aven a: H a fe r

10 p io : b arm h erz ig

11 tin tin n are: k lin geln

12 l ’ accia rin o : F euerstein

24

Page 23: Rac Conti

Come talvolta, anzi spesso, in questa società arriviamo finanche1 a vergognarci della dignità dell’anima nostra, così un certo pudore2, falso pudore, ci vieta di rivelare3 anche a una gentile persona, intima nostra, certi sentimenti che, sembrandoci troppo squisiti e quasi puerili4 per la delicata loro innocenza, sospettiamo potrebbero essere accolti con dileggio5 o, nella migliore ipotesi, non apprezzati, essendo nati in noi da specialissime condizioni di spirito. Per ciò non dissi a Jenny quel che pensavo.

- Questo vento mi opprime! - dissi invece. - Non posso più sentirlo... Tutto il giorno così, a lamentarsi entro la mia stanza per la gola del camino... Di sera poi, tu intendi, nel silenzio, nella solitudine, riesce proprio intollerabile...

- Ho capito! - fece allora Jenny, prendendo una seggiola. - Eccomi accanto a te, brontolone6! Via, via, un altro tizzo7 per me, nel camino! Aspetta!... Lo piglio io: tu sei tutto imbacuccato8... Ecco fatto! Dunque la mamma acconsente, hai inteso! E acconsente per te! Son due anni, te l’ho detto, che non si festeggia più il Natale in casa nostra. Quest’anno vogliamo compensarcene: figurati come saranno liete le bambine!...

- Le tre bambine, a cui Jenny alludeva, erano sue sorelle uterine9. Il Natale non si festeggiava da due anni in casa L*** in segno di lutto per la violenta morte del secondo marito

1 fin an ch e: so g a r

2 il p u d ore : Scham

3 r ive lare : p re isgeben

4 puerile : k in d isch

5 il d ilegg io : H o h n

6 il b ro n to lo n e : B ru m m b är

7 il tizzo: K o h le stü ck

8 im b acu ccato : verm u m m t

9 u terin o : m ü tterlicherse its

2-5

Page 24: Rac Conti

della signora Alvina, madre di Jenny. Il signor Fritz L***, dopo una vita disordinatissima, s’era ucciso con un colpo di rivoltella alla tempia, in Neuwied su la riva destra del Reno. Jenny mi aveva narrato più volte i truci1 particolari di questo suicidio, seguito a una serie di orribili scene in famiglia, e mi aveva rappresentato con tanta evidenza la figura e i modi del patrigno, che a me sembrava quasi di averlo conosciuto. Avevo letto la sua ultima lettera alla moglie, da Neuwied, ove erasi recato2 per porre in effetto l’orrendo proposito3; e non ricordavo d’aver letto mai parole d’addio e di pentimento4 più belle e più sincere. E fama che da Neuwied si goda, meglio che da ogni altro punto delle contrade del Reno, il levar del sole. «Ho veduto tutto e tutto provato, - scriveva alla moglie il marito - tranne una cosa sola: in quarantanni di vita non ho mai veduto nascere il sole. Assisterò5 domani dalla riva a questo spettacolo, che la notte serenissima mi promette incantevole. Vedrò nascere il sole, e sotto il bacio del suo primo raggio chiuderò la mia vita».

- Domani compreremo l’albero... - continuò Jenny. - II tino6 c’è, è su nell’abbaino7, e debbono esserci dentro i lumicini8 colorati, i festelli9 variopinti, come li ha lasciati lui l’ultima volta. Perché, sai, l’albero ogni vigilia10, lo

1 tru ce: g rau sam

2 recarsi: sich (an einen O rt) begeben

3 il p ro p o sito : V orh a b e n

4 il pentim en to : R eu e

5 assistere a q .c .: etw . erleben

6 il tin o : B ottich

7 l ’ a b b a in o : D ach g au b e

8 il lum icin o : L äm p ch en

9 il fe stello : H än g esch m u ck

10 la v ig ilia : H e iligab en d

16

Page 25: Rac Conti

adornava1 lui, di nascosto, nella sala giù, accanto a quella da pranzo; e come sapeva adornarlo bene per le sue bambine! Diventava buono una volta all’anno, di queste sere qui.

Jenny, turbata2 dal ricordo, volle nascondere il volto appoggiando3 la fronte sul bracciuolo4 della mia poltrona, e certo, in silenzio, pregò.

- Cara Jenny! - feci io, intenerito5, posando una mano sul suo capo biondo.

Quando ella si rialzò dalla preghiera, aveva gli occhi pieni di lacrime; e, sedendo novamente accanto a me, disse:

- Diventiamo buoni tutti, quando è prossima la Santa Notte, e perdoniamo! Divento buona anch’io che pur dico sempre di non sapergli perdonare lo stato in cui ci ha ridotte... Non ne parliamo! Domani, dunque, senti; andrò prima da Frau R***; qui accanto, per una grembiata6 d’arena nel suo giardino: ne riempiremo il tino e v’infiggeremo7 l’abete, che ci porteranno domattina per tempo, prima che le bambine si sian levate da letto. Non debbono accorgersi di nulla loro! Poi usciremo insieme per comprare i dolci e i regalucci da appendere ai rami, e pomi e noci: i fiori ce li darà Frau R*** dalla sua serra8... Vedrai, vedrai, come sarà bello il nostro albero... Sei contento? Io feci più volte cenno di sì col capo. E Jenny sorse in piedi.

1 ad o rn a re : schm ücken

2 tu rb ato : ersch ü ttert, b eu n ru higt

3 ap p o g g iare : anlehnen

4 il b racc io lo : A rm leh n e

5 in ten erito : gerü hrt

6 la g rem b iata : H a u fen

7 in figgere : h inein stecken

8 la serra : G e w ä ch sh a u s

2 7

Page 26: Rac Conti

- Lasciami andar via, adesso... A domani! Altrimenti il tuo vicino farà cattivi pensieri sul mio conto. E li, sai, in camera sua, e avrà certo udito, che sono entrata da te...

- Ci sarà anche lui per la festa? - domandai io contrariato1.

- Oh no! Vedrai, egli se n’andrà a far baldoria2 co’ suoi degni socii... Addio; a domani!

Jenny scappò via in punta di piedi, richiudendo pian piano l’uscio3. E io ricaddi in preda ai miei tristi pensieri, finché il grido lamentoso intollerabile del vento non mi cacciò dal canto del fuoco. Andai presso la finestra, e schiarendo con un dito il vetro appannato4, mi misi a guardar fuori: nevicava, nevicava ancora, turbinosamente.

Quel guardar fuori attraverso il tratto lucido nell’appannatura mi ridestò5 d’improvviso un ricordo degli anni miei primi, quand’io, credulo fanciullo, la notte della vigilia, non pago6 del grande presepe illuminato entro la stanza, spiavo così, se in quel cielo pieno di mistero apparisse veramente la nunzia cometa favoleggiata...

Comprammo il domani l’albero sacro alla festa; poi salimmo nell’abbaino per veder quanta parte degli ornamenti rimasti lassù potesse ancora servirci, prima d’uscire a comprarne di nuovi.

Era in un canto buio il vecchio abetino di tre anni addietro, tutto stecchito7, come uno scheletro. - Ecco, - disse Jenny, - questo è l’ultimo albero, ch’egli adornò. Lasciamolo

1 co n tra ria to : v erärgert

2 far(e) b a ld o ria : R em m id em m i m achen

3 l ’ uscio : T ü r

4 ap p an n a to : b esch lagen

5 r idestare : w ied er w ach ru fen

6 p ago : zu frieden

7 s tecch ito : verd orrt

28

Page 27: Rac Conti

li, dove lui l’ha lasciato; così non avrà in tutto la sorte dell’abetino di Giovan Cristiano Andersen, che finì tagliuzzato1 sotto una caldaia2. Ecco qui il tino. Vedi: è pieno; speriamo che l’umido non abbia tolto il lucido e il colore ai globetti di vetro3, ai lumicini.

Era ogni cosa in buono stato.Più tardi, io e Jenny uscimmo insieme a comprare i

giocattoli e i dolci.Chi sa quanto contribuiscano, pensavo andando, il

freddo intenso, la nebbia, la neve, il vento, lo squallore4 della natura a render la festa del Natale in questi paesi più raccolta e profonda, più soavemente malinconica e poetica e religiosa, che da noi!

La sera appena le bambine furono a letto, sgombrata5 la stanza accanto alla sala da pranzo, io e Jenny facemmo portar giù dalla serva il tino; lo collocammo presso un angolo e lo riempimmo d’arena intorno al fusto dell’albero.

Lavorammo fino a tarda notte a parar l’abetino, che pareva contento in tutti quegli ornamenti, e che si prestasse riconoscente6 alle nostre cure amorose, protendendo7 i rami per regger le collane di carta dorata e argentata, i festelli, i globetti, i lumicini, i panierini di dolci, i giocattoli, le noci.

«No, queste noci, no! - pensava forse l’abetino. - Queste noci non m’appartengono: sono frutti d’un altr’albero».

1 tag liu zzato : zerh ackt

2 la ca ld a ia : H eizkessel

3 il g lob etto di vetro : G lask u g e l

4 lo sq u a llo re : T ro s tlo s ig k e it

5 sgo m b rare : fre iräu m en

6 p restarsi rico n oscen te a q .c .: fü r etw . d a n k b a r sein

7 p ro ten d ere : ausstrecken

29

Page 28: Rac Conti

Ingenuo1 abetino! Tu non sai ch’è l’arte nostra più comune, questa di farci belli di quel che non ci appartiene, e che noi non abbiamo scrupolo, troppo spesso, d’appropriarci2 il frutto dei sudori altrui...

- Aspetta: la cometa! - esclamò Jenny, quando l’albero fu tutto parato.

— Dimenticavamo la cometa!E in cima all’albero io appiccicai3, con l’aiuto della

scaletta, una stella di carta dorata.Ammirammo a lungo l’opera nostra; poi chiudemmo a

chiave l’uscio della stanza, perché nessuno il domani vedesse prima di sera l’albero adorno, e andammo a letto ripromettendoci4 pel domani in compenso del freddo, della veglia e della fatica, le lodi della madre e la gioia delle bambine.

Invece... Oh no, no, per Jenny che aveva tanto lavorato, per le sue povere bambine, non doveva la sera dopo mettersi a piangere, come fece, quella buona signora Alvina alla vista dello splendido albero illuminato su quel tappeto di fiori!

Era andato così bene, fino all’ultimo servito, il pranzetto della vigilia con quella torta di prugne e l’oca infarcita5 di ballotte6! Poi le bambine s’eran messe dietro l’uscio della stanza, ove sorgeva l’albero, e con le manine diacce7 congiunte in atto di preghiera avevano intonato il coro dolcissimo e malinconico:

Stille Nacht, heilige Nacht...

1 in gen uo: un sch uld ig

2 a p p ro p ria rs i q .c .: sich etw . zu eigen m achen

3 a p p icc icare : befestigen

4 r ip ro m ettersi: sich erh o ffen

5 in fa rc ito : gefü llt

6 la b allo tta : gesotten e K a stan ie

7 d ia c c io = gh iacc iato : e isk a lt

30

Page 29: Rac Conti

Non dimenticherò mai più quell’albero di Natale, ch’io adornai per altri più che per me, e quella festa terminata in pianto; né mai, mai si cancellerà dagli occhi miei il gruppo di quelle tre bambine orfane1 aggrappate2 alla veste della madre e imploranti3 il babbo4! il babbo! mentre l’albero sacro, carico di giocattoli, illuminava di luce misteriosa quella stanza cosparsa5 di fiori.

1 la b am b in a o rfa n a : W aisen m äd ch en

2 a g gra p p a rs i a q .c .: sich an etw . k lam m ern

3 im p lo rare : herbeisehnen

4 il b ab b o : V ate r

5 co sp a rso : ü b ersät

3 i

Page 30: Rac Conti
Page 31: Rac Conti

4 La festa di Natale

La storia che vi racconto oggi, non è una di quelle novelle, come se ne raccontano tante, ma è una storia vera, vera, vera.

Dovete dunque sapere che la Contessa Maria (una brava donna che io ho conosciuta benissimo, come conosco voi) era rimasta vedova1 con tre figli: due maschi e una bambina.

Il maggiore, di nome Luigino, poteva avere fra gli otto e i nove anni: Alberto, il secondo, ne finiva sette, e l’Ada, la minore di tutti, era entrata appena ne’ sei anni, sebbene a occhio ne dimostrasse di più2, a causa della sua personcina alta, sottile e veramente aggraziata3.

La contessa passava molti mesi all’anno in una sua villa: e non lo faceva già per divertimento, ma per amore de’ suoi figlioletti, che erano gracilissimi e di una salute molto delicata.

Finita l’ora della lezione, il più gran divertimento di Luigino era quello di cavalcare un magnifico cavallo sauro4; un animale pieno di vita e di sentimento, che sarebbe stato capace di fare cento chilometri in un giorno se non avesse avuto fin dalla nascita un piccolo difetto: il difetto, cioè, di essere un cavallo di legno!

Ma Luigino gli voleva lo stesso bene, come se fosse stato un cavallo vero. Basta dire, che non passava sera che non lo strigliasse con una bella spazzola da panni5: e dopo averlo

1 la ved o va : W itw e

2 d im o strarn e di p iù : ä lter aussehen

3 ag g ra z ia to : an m u tig

4 il ca v a llo sau ro : Fuch s (Pferd)

5 la sp azzola da pan n i: K le id erb ü rste

33

Page 32: Rac Conti

strigliato, invece di fieno1 o di gramigna2, gli metteva davanti una manciata3 di lupini salati. E se per caso il cavallo si ostinava4 a non voler mangiare, allora Luigino gli diceva accarezzandolo5:

«Vedo bene che questa sera non hai fame. Pazienza: i lupini li mangerò io. Addio a domani, e dormi bene».

E perché il cavallo dormisse davvero, lo metteva a giacere sopra una materassina ripiena d’ovatta6: e se la stagione era molto rigida e fredda, non si dimenticava mai di coprirlo con un piccolo pastrano7, tutto foderato di lana e fatto cucire apposta dal tappezziere8 di casa.

Alberto, il fratello minore, aveva un’altra passione. La sua passione era tutta per un bellissimo Pulcinella, che, tirando certi fili, moveva con molta sveltezza9 gli occhi, la bocca, le braccia e le gambe, tale e quale come potrebbe fare un uomo vero: e per essere un uomo vero, non gli mancava che una sola cosa: il parlare.

Figuratevi la bizza10 di Alberto! Quel buon figliuolo non sapeva rendersi una ragione del perché il suo Pulcinella, ubbidientissimo11 a fare ogni sorta di movimenti, avesse preso la cocciutaggine12 di non voler discorrere a modo e

1 il fien o : H eu

2 la g ram ign a : U n k rau t

3 la m an ciata : eine H a n d vo ll

4 o stin arsi a q .c .: sich a u f etw . verste ifen

5 accarezzare : streicheln

6 l ’o vatta : W atte

7 il p a stran o : M an te l

8 il tappezziere : P o lsterer

9 la sveltezza: Schn elligkeit

10 la b izza: E igen sin n

11 u b b id ien tiss im o : sehr geh orsam

12 la co cciu tagg in e: D ick k ö p fig k e it

34

Page 33: Rac Conti

verso1, come discorrono tutte le persone per bene, che hanno la bocca e la lingua.

E fra lui e Pulcinella accadevano2 spesso dei dialoghi e dei battibecchi3 un tantino risentiti, sul genere di questi:

«Buon giorno, Pulcinella», gli diceva Alberto, andando ogni mattina a tirarlo fuori dal piccolo armadio dove stava riposto. «Buon giorno, Pulcinella.»

E Pulcinella non rispondeva.«Buon giorno, Pulcinella», ripeteva Alberto. E Pulcinella,

zitto4! come se non dicessero a lui.«Su, via, finiscila di fare il sordo e rispondi: buon giorno,

Pulcinella.»E Pulcinella, duro!«Se non vuoi parlare con me, guardami almeno in viso»

diceva Alberto un po’ stizzito5.E Pulcinella, ubbidiente, girava subito gli occhi e lo

guardava.«Ma perché», gridava Alberto arrabbiandosi sempre di

più, «ma perché se ti dico »guardami» allora mi guardi; e se ti dico »buon giorno» non mi rispondi?»

E Pulcinella, zitto!«Brutto dispettoso6! Alza subito una gamba!»E Pulcinella alzava una gamba.«Dammi la mano!»E Pulcinella gli dava la mano.«Ora fammi una bella carezzina!»

1 a m o d o e verso : w ie üblich

2 accad ere: stattfin den

3 il b attib ecco : G e zä n k

4 z itto : stili

5 stizzito : verärg ert

6 d isp ettoso : b o sh aft

35

Page 34: Rac Conti

E Pulcinella allungava il braccio e prendeva Alberto per la punta del naso.

«Ora spalanca tutta la bocca!»E Pulcinella spalancava una bocca, che pareva un forno.«Di già che hai la bocca aperta, profittane almeno per

darmi il buon giorno.»Ma il Pulcinella, invece di rispondere, rimaneva lì a

bocca aperta, fermo e intontito1, come, generalmente parlando, è il vizio di tutti gli omini di legno.

Alla fine Alberto, con quel piccolo giudizino, che è proprio di molti ragazzi, cominciò a mettersi nella testa che il suo Pulcinella non volesse parlare né rispondergli, perché era indispettito con lui. Indispettito!... e di che cosa? Forse di vedersi mal vestito, con un cappellaccio in capo di lana bianca, una carnicina tutta sbrindellata2, e un paio di pantaloncini così corti e striminziti3, che gli arrivavano appena a mezza gamba.

«Povero Pulcinella!», disse un giorno Alberto, compiangendolo sinceramente, «se tu mi tieni il broncio4, non hai davvero tutti i torti. Io ti mando vestito peggio di un accattone5... ma lascia fare a me! Fra poco verranno le feste di Natale. Allora potrò rompere il mio salvadanaio6... e con quei quattrini, voglio farti una bella giubba7, mezza d’oro e mezza d’argento.»

Per intendere queste parole di Alberto, occorre avvertire che la Contessa aveva messo l’uso di regalare a’ suoi figli due

1 in ton tito : benom m en

2 sb rin d e lla to : zerlum pt

3 strim in zito : kn ap p

4 tenere il b ro n cio : e in gesch n appt sein

5 l ’ accatto n e: B ettler

6 il sa lv ad a n a io : Sp arb ü ch se

7 la g iu b b a : J a c k e

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Page 35: Rac Conti

o tre soldi la settimana, a seconda, s’intende bene, de’ loro buoni portamenti1. Questi soldi andavano in tre diversi salvadanai: il salvadanaio di Luigino, quello di Alberto e quello dell’Ada. Otto giorni avanti la pasqua di Natale, i salvadanai si rompevano, e coi danari che vi si trovavano dentro, tanto la bambina, come i due ragazzi erano padronissimi di comprarsi qualche cosa di loro genio.

Luigino, com’è naturale, aveva pensato di comprare per il suo cavallo una briglia2 di pelle lustra con le borchie3 di ottone4, e una bella gualdrappa5, da potergliela gettare addosso, quando era sudato.

L ’Ada, che aveva una bambola più grande di lei, non vedeva l’ora di farle un vestitino di seta, rialzato di dietro, secondo la moda, e un paio di scarpine scollate6 per andare alle feste da ballo.

In quanto al desiderio di Alberto, è facile immaginarselo. Il suo vivissimo desiderio era quello di rivestire il Pulcinella con tanto lusso, da doverlo scambiare per un signore di quelli buoni.

Intanto il Natale s’avvicinava, quand’ecco che una mattina, mentre i due fratelli con la loro sorellina, andavano a spasso7 per i dintorni della villa, si trovarono dinanzi a una casipola8 tutta rovinata, che pareva piuttosto una capanna da pastori. Seduto sulla porta c’era un povero bambino mezzo nudo, che dal freddo tremava come una foglia.

1 il p o rtam en to : V erh alten

2 la b rig lia : Z a u m

3 la b o rch ia : B esch lag

4 l ’o tton e: M essin g

5 la g u a ld rap p a : Satte ldecke

6 le scarp in e sco llate : k lein e P um ps

7 a n d are a sp asso : spazieren gehen

8 la ca s ip o la = ca su p o la : H ütte

37

Page 36: Rac Conti

«Zio Bernardo, ho fame», disse il bambino con una voce sottile, sottile, voltandosi appena con la testa verso l’interno della stanza terrena.

Nessuno rispose.In quella stanza terrena c’era accovacciato1 sul

pavimento un uomo con una barbaccia2 rossa, che teneva i gomiti appuntellati3 sulle ginocchia e la testa fra le mani.

«Zio Bernardo, ho fame!...», ripetè dopo pochi minuti il bambino, con un filo di voce che si sentiva appena.

«Insomma vuoi finirla?», gridò l’uomo dalla barbaccia rossa. «Lo sai che in casa non c’è un boccone4 di pane: e se tu hai fame, piglia questo zoccolo5 e mangialo!»

E nel dir così, quell’uomo bestiale si levò di piede uno zoccolo e glielo tirò. Forse non era sua intenzione di fargli del male; ma disgraziatamente6 lo colpì nel capo.

Allora Luigino, Alberto e l’Ada, commossi a quella scena, tirarono fuori alcuni pezzetti di pane trovati per caso nelle loro tasche, e andarono a offrirli a quel disgraziato figliolo.

Ma il bambino, prima si toccò con la mano la ferita del capo: poi guardandosi la manina tutta insanguinata, balbettò7 a mezza voce:

«Grazie... ora non ho più fame...».Quando i ragazzi furono tornati alla villa, raccontarono

il caso compassionevole alla loro mamma; e di quel caso se ne parlò due o tre giorni di seguito. Poi, come accade di tutte

1 essere a cco v a cc ia to : kauern

2 la b arb a cc ia : u n gep flegter B art

3 a p p u n te lla to : au fgeste llt

4 il boccon e: B issen

5 lo zocco lo : H o lzsch u h

6 d isg raz iatam en te : u n g lü ck lich erw eise

7 b a lb ettare : stam m eln

38

Page 37: Rac Conti

le cose di questo mondo, si finì per dimenticarlo e per non parlarne più.

Alberto, per altro1, non se l’era dimenticato: e tutte le sere andando a letto, e ripensando a quel povero bambino mezzo nudo e tremante dal freddo, diceva grogiolandosi2 fra il calduccio delle lenzuola:

«Oh come dev’essere cattivo il freddo! Brrr...».E dopo aver detto e ripetuto per due o tre volte «Oh

come dev’esser cattivo il freddo!» si addormentava saporitamente3 e faceva tutto un sonno fino alla mattina.

Pochi giorni dopo accadde che Alberto incontrò per le scale di cucina la Rosa: la quale era l’ortolana che veniva a vendere le uova fresche alla villa.

«Sor Albertino, buon giorno signoria», disse la Rosa: «quanto tempo è che non è passato dalla casa dell’Orco?»

«Chi è l’Orco?»«Noi si chiama con questo soprannome quell’uomo dalla

barbaccia rossa, che sta laggiù sulla via maestra.»«O il suo bambino che fa?»«Povera creatura, che vuol che faccia?... E rimasto senza

babbo e senza mamma, alle mani di quello zio Bernardo...»«Che dev’essere un uomo cattivo e di cuore duro come la

pietra, non è vero?», soggiunse Alberto.«Pur troppo! Meno male che domani parte per

l’America... e forse non ritornerà più.»«E il nipotino lo porta con sé?»«Nossignore: quel povero figliuolo l’ho preso con me, e

lo terrò come se fosse mio».«Brava Rosa.»

1 per a ltro : im Ü b rigen

2 g ro g io la rsi = c ro g io lars i: sich räkeln

3 sap o ritam en te : gen ü sslich

39

Page 38: Rac Conti

«A dir la verità, gli volevo fare un po’ di vestituccio, tanto da coprirlo dal freddo... ma ora sono corta a quattrini1. Se Dio mi dà vita, lo rivestirò alla meglio a primavera.»

Alberto stette un po’ soprappensiero2, poi disse:«Senti, Rosa, domani verso mezzogiorno ritorna qui, alla

villa: ho bisogno di vederti.»«Non dubiti3.»

Il giorno seguente, era il giorno tanto atteso, tanto desiderato, tanto rammentato4: il giorno, cioè, in cui celebravasi solennemente la rottura de’ tre salvadanai.

Luigino trovò nel suo salvadanaio dieci lire: l’Ada trovò nel suo undici lire, e Alberto vi trovò nove lire e mezzo.

«Il tuo salvadanaio», gli disse la mamma, «è stato più povero degli altri due: e sai perché? perché in quest’anno tu hai avuto poca voglia di studiare.»

«La voglia di studiare l’ho avuta», replicò Alberto, «ma bastava che mi mettessi a studiare, perché la voglia mi passasse subito.»

«Speriamo che quest’altr’anno non ti accada lo stesso» soggiunse5 la mamma: poi volgendosi a tutti e tre i figli, seguitò a dire: «Da oggi alla pasqua di Natale, come sapete, vi sono otto giorni precisi. In questi otto giorni, secondo i patti stabiliti6, ognuno di voi è padronissimo di fare quell’uso che vorrà, dei danari trovati nel proprio salvadanaio. Quello

1 essere co rto a q u attrin i = essere a corto di q u attrin i: k n ap p bei

K a sse sein

2 so p rap p en siero : in G ed an k en

3 non dub iti: a u f jeden F all

4 ram m en tato : erw ä h n t

5 sogg iu n gere: h inzufü gen

6 s tab ilito : festgesetzt

40

Page 39: Rac Conti

poi, di voialtri, che saprà farne l’uso migliore, avrà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio.»

«Il bacio tocca a me di certo!», disse dentro di sé Luigino, pensando ai ricchi finimenti1 e alla bella gualdrappa che aveva ordinato per il suo cavallo.

«Il bacio tocca a me di certo!», disse dentro di sé l’Ada, pensando alle belle scarpine da ballo che aveva ordinato al calzolaio per la sua bambola.

«Il bacio tocca a me di certo!», disse dentro di sé Alberto, pensando al bel vestito che voleva fare al suo Pulcinella.

Ma nel tempo che egli pensava al Pulcinella, sentì la voce della Rosa che, chiamandolo a voce alta dal prato della villa, gridava:

«Sor Alberto! sor Alberto!».Alberto scese subito. Che cosa dicesse alla Rosa non lo

so: ma so che quella buona donna, nell’andarsene, ripetè più volte:

«Sor Albertino, lo creda a me: lei ha fatto proprio una carità fiorita, e Dio manderà del bene anche a lei e a tutta la sua famiglia!».

Otto giorni passarono presto: e dopo otto giorni arrivò la festa di Natale o il Ceppo, come lo chiamano i fiorentini.

Finita appena la colazione, ecco che la Contessa disse sorridendo ai suoi tre figli:

«Oggi è Natale. Vediamo, dunque, come avete speso i quattrini dei vostri salvadanai. Ricordatevi intanto che, quello di voialtri che li avrà spesi meglio, riceverà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Su, Luigino! tu sei il maggiore e tocca a te a essere il primo».

Luigino uscì dalla sala e ritornò quasi subito, conducendo a mano il suo cavallo di legno, ornato di

1 il fin im en to : V erz ieru n g

4 i

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finimenti così ricchi, e d’una gualdrappa così sfavillante1, da fare invidia ai cavalli degli antichi imperatori romani.

«Non c’è che dire», osservò la mamma, sempre sorridente «quella gualdrappa e quei finimenti sono bellissimi, ma per me hanno un gran difetto... il difetto, cioè, di essere troppo belli per un povero cavallino di legno. Avanti, Alberto! Ora tocca a te.»

«No, no», gridò il ragazzetto, turbandosi leggermente, «prima di me, tocca all’Ada.»

E l’Ada, senza farsi pregare, uscì dalla sala, e dopo poco rientrò tenendo a braccetto una bambola alta quanto lei, e vestita elegantemente, secondo l’ultimo figurino.

«Guarda, mamma, che belle scarpine da ballo!», disse l’Ada compiacendosi2 di mettere in mostra la graziosa calzatura della sua bambola.

«Quelle scarpine sono un amore!», replicò la mamma. «Peccato però che debbano calzare i piedi d’una bambina fatta di cenci3 e di stucco4, e che non saprà mai ballare!»

«E ora, Alberto, vediamo un po’ come tu hai speso le nove lire e mezzo, che hai trovate nel tuo salvadanaio.»

«Ecco... io volevo... ossia, avevo pensato di fare... ossia, credevo... ma poi ho creduto meglio... e così oramai l’affare è fatto e non se ne parli più.»

«Ma che cosa hai fatto?»«Non ho fatto nulla.»«Sicché avrai sempre in tasca i danari?»«Ce li dovrei avere...»«Li hai forse perduti?»«No.»

1 sfav illan te : fun kelnd

2 co m p iacersi: sich freuen

3 il cen cio : L u m pen

4 lo stucco : K itt

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«E, allora, come li hai tu spesi?»«Non me ne ricordo più.»In questo mentre si sentì bussare leggermente alla porta

della sala, e una voce di fuori disse:«E permesso?»«Avanti.»Apertasi la porta, si presentò sulla soglia, indovinate chi!

Si presentò la Rosa ortolana, che teneva per la mano un bimbetto tutto rivestito di panno ordinario, ma nuovo, con un berrettino di panno, nuovo anche quello, e in piedi un paio di stivaletti di pelle bianca da campagnolo.

«E tuo, Rosa, codesto bambino?», domandò la Contessa.«Ora è lo stesso che sia mio, perché l’ho preso con me e

gli voglio bene, come a un figliolo. Povera creatura! Finora ha patito1 la fame e il freddo. Ora il freddo non lo patisce più, perché ha trovato un angiolo di benefattore2, che lo ha rivestito a sue spese da capo a piedi.»

«E chi è quest’angelo di benefattore?», chiese la Contessa.

L ’ortolana si voltò verso Alberto, e guardandolo in viso e accennandolo alla sua mamma, disse tutta contenta:

«Eccolo là.»Albertino diventò rosso come una ciliegia: poi

rivolgendosi impermalito3 alla Rosa, cominciò a gridare:«Chiacchierona4! Eppure ti avevo detto di non raccontar

nulla a nessuno!...»«La scusi: che c’è forse da vergognarsi per aver fatto una

bell’opera di carità come la sua?»

1 pa tire : leiden

2 il b en efattore: W o h ltäter

3 im p erm alito : g ek rän k t

4 la ch iacch iero n a : P lau d ertasch e

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«Chiacchierona! chiacchierona! chiacchierona!», ripetè Alberto, arrabbiandosi sempre più; e tutto stizzito fuggì via dalla sala. La sua mamma, che aveva capito ogni cosa, lo chiamò più volte: ma siccome Alberto non rispondeva, allora si alzò dalla poltrona e andò a cercarlo da per tutto. Trovatolo finalmente nascosto in guardaroba, lo abbracciò amorosamente, e invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per lo meno più di cento.

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