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LA TUTELA DELLA SALUTE DEL MINORE SOTTOPOSTO A MISURA PRIVATIVA DELLA LIBERTÀ UFFICIO CENTRALE per la Giustizia Minorile

RAGIONI DI UN PROGETTO DI STUDIO SULLA TUTELA DELLA SALUTE ... · 2 EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI SALUTE (A. DE IACOBIS) ... 9 CONCLUSIONI SULLA TUTELA DELLA SALUTE NEGLI ISTITUTI

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LA TUTELA DELLA SALUTE DEL MINORE

SOTTOPOSTO A MISURA PRIVATIVA DELLA LIBERTÀ

UFFICIO CENTRALE

per la Giustizia Minorile

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INDICE GENERALE

INTRODUZIONE....................................................................................................................................................... 4

1. PREMESSA:RAGIONI ED OBBIETTIVI DELLO STUDIO (A. DE IACOBIS) ........................................... 7

2 EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI SALUTE (A. DE IACOBIS) ............................................... 13

2.1 IL CONCETTO DI SALUTE DI MATRICE POSITIVISTA ......................................................................... 13 2.2 IL MODELLO SISTEMICO DELLA SALUTE NEL XX° SECOLO............................................................ 16 2.3 ORIENTAMENTI RECENTI IN MATERIA DI TUTELA DELLA SALUTE.............................................. 19

3 ANALISI DEL QUADRO NORMATIVO INTERNAZIONALE (F. BRAUZZI) ........................................... 28

3.1 LE REGOLE MINIME PER L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA MINORILE........................... 28 3.2 NORME PENITENZIARIE EUROPEE.......................................................................................................... 35 3.3 LA GIUSTIZIA MINORILE IN EUROPA: MODELLI DI INTERVENTO .................................................. 43 3.4 ANALISI COMPARATIVA DELLA LEGISLAZIONE EUROPEA. RAPPORTO TRA LA TUTELA DELLA SALUTE E LA DETENZIONE............................................................................................................... 50 3.5 ASPETTI ETICI ED ORGANIZZATIVI DELLE CURE SANITARIE IN AMBIENTE PENITENZIARIO (RACCOMANDAZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA N. R (98)7 ................................................................................. 63

4 ANALISI DEL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE (O. LA GRECA)....................................................... 65

4.1 NORMATIVA NAZIONALE E CIRCOLARI DEL DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA,................................................................................................................................................. 65 4.2 ANALISI DEL SISTEMA DI TUTELA DELLA SALUTE NEGLI IPM - ASPETTI SANITARI................ 71 4.3 LA TUTELA DELLA SALUTE NEGLI ISTITUTI PENALI MINORILI ORGANIZZAZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO ....................................................................................................................................... 72 4.4 LA RIFORMA DELLA SANITA’ PENITENZIARIA (A. DE IACOBIS).......................................................... 75 4.5 ANALISI DELLE CIRCOLARI DEL MINISTERO DELLA SANITA’ E DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA RIGUARDANTI LA RIFORMA SANITARIA PENITENZIARIA................................................. 79

5 LA TUTELA DELLA SALUTE DEL MINORE IN I.P.M.. L’INFLUENZA DELLA STRUTTURA EDILIZIA SULLO STATO PSICOFISICO DEI MINORI (P. GRASSO) ........................................................... 82

6 CARATTERISTICHE GENERALI DI UNA ALIMENTAZIONE ADEGUATA ED EQUILIBRATA (B. LANCIA) .................................................................................................................................................................... 96

7 SPORT E SALUTE (P. TISOT) ......................................................................................................................... 103

8 LA TUTELA DELLA SALUTE NEGLI ISTITUTI PENALI PER MINORENNI. ASPETTI SOCIO-PSICOLOGICI (F. BRAUZZI, A. DE IACOBIS) .................................................................................................... 121

8.1 PREMESSA METODOLOGICA .................................................................................................................. 121 8.2 INTERVENTI SUL DISAGIO MINORILE ASPETTI GENERALI ............................................................ 123 8.3 LA GESTIONE DEL MINORE CON DISAGIO PSICOLOGICO............................................................... 127 8.4 INIZIATIVE IN MATERIA DI EDUCAZIONE ALLA SALUTE............................................................... 138 8.5 CARATTERISTICHE IGIENICO-STRUTTURALI .................................................................................... 151 8.6 INCIDENZA DEGLI ATTI AUTOLESIONISTICI...................................................................................... 157 GRIGLIA SULLA PROGRAMMAZIONE PER L’ANNO 1998 IN MATERIA DI EDUCAZIONE ALLA SALUTE. ............................................................................................................................................................. 160

9 CONCLUSIONI SULLA TUTELA DELLA SALUTE NEGLI ISTITUTI PENALI PER MINORENNI DAL PUNTO DI VISTA SOCIO-PSICOLOGICO. (F. BRAUZZI, A. DE IACOBIS) ........................................ 164

10 INDICAZIONI E LINEE DI INDIRIZZO IN MATERIA DI TUTELA DELLA SALUTE DEL MINORE RECLUSO. .............................................................................................................................................................. 175

10.1 INDICAZIONI GENERALI E PROPOSTE EMERGENTI DAL LAVORO. ASPETTI MEDICI (O. LA GRECA) ................................................................................................................................................................. 175

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10.2 INDICAZIONI GENERALI E PROPOSTE EMERGENTI DAL LAVORO. ASPETTI SOCIO-PSICOLOGICI (F. BRAUZZI, A. DE IACOBIS) ....................................................................................................... 179

APPENDICE A - TABELLE SERVIZIO MEDICO SANITARIO.................................................................... 188

APPENDICE B - RIEPILOGO DELLA NORMATIVA RILEVANTE IN MATERIA .................................. 192

BIBLIOGRAFIA..................................................................................................................................................... 200

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INTRODUZIONE

Questo studio si propone l’obiettivo di delineare un quadro di insieme sul livello di

attenzione che attualmente viene prestato, negli Istituti Penali Minorili, alla tutela della salute del

minore recluso. Il concetto di salute è qui inteso secondo la definizione che l’Organizzazione

Mondiale della Sanità ha dato nel 1943 come “stato di completo benessere fisico, mentale e

sociale”.

Il modello teorico di riferimento è quello ecologico che integra ed amplia la definizione

dell’OMS, ridefinendo la salute più come processo dinamico che richiede l’attivazione della

persona che come condizione statica. Secondo il modello ecologico infatti la salute coincide con

la capacità di fare fronte (ability to cope) alle complesse problematiche che emergono nel

rapporto tra individuo ed ambiente; salute quindi come capacità di far fronte e risolvere problemi

che appartengono a livelli differenti, fisico-somatico, mentale-psicologico, ambientale-sociale.

Per una lettura più agevole del testo verrà descritta qui di seguito l’organizzazione del

lavoro in capitoli e il loro contenuto.

I capitoli 1 e 2 sono stati curati dal Dott. De Iacobis. Nel capitolo primo sono state

illustrate le ragioni che hanno portato alla progettazione dello studio e gli obiettivi che esso si

propone.

Nel capitolo secondo viene tracciato un quadro storico dell’evoluzione del concetto di

salute dal positivismo agli attuali orientamenti in materia di tutela della salute.

I capitoli 3 e 4 sono dedicati ad un’analisi del quadro normativo in materia di tutela della

salute.

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In particolare nel capitolo 3 il Dott. Brauzzi ha condotto uno studio sulla normativa

europea e internazionale, portando avanti un’analisi comparata del diritto minorile in alcuni stati

europei e dei relativi sistemi di intervento.

Nel capitolo 4, curato dalla Dott.ssa Onorina La Greca, viene analizzata la normativa

nazionale e le circolari emanate dal Ministero di Grazia e Giustizia. Nello stesso capitolo è stat

condotta una riflessione dal punto di vista medico-sanitario, sull’attuale sistema di tutela della

salute negli Istituti Penali per Minorenni riportando contestualmente le conclusioni dello studio

realizzato.

Il commento alla Legge del 30 novembre 1998, n. 419, e successivi decreti di attuazione,

è stato realizzato dal Dott. Alessandro de Iacobis.

Nel Capitolo 5 il Dott. Piergiuseppe Grasso ha trattato l’influenza delle variabili legate

alla struttura edilizia sul benessere psicofisico con specifico riferimento alle strutture detentive.

I capitoli 6 e 7 raccolgono contributi di enti esterni che hanno una collaborazione

significativa con l’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile.

In particolare il capitolo 6 è stato realizzato dalla Dott.ssa Bruna Lancia, dirigente

tecnologo dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, e riguarda

l’importanza dei fattori nutrizionali nel mantenimento dello stato di salute in particolar modo

nella fascia adolescenziale, tipica dell’utenza penale minorile, impegnata in compiti di sviluppo

psicofisico. Questo lavoro fa parte di una collaborazione più ampia con questo Ufficio che ha

dato luogo ad una convenzione per la revisione delle tabelle vittuarie da adottare negli Istituti

Penali per Minorenni, nei Centri di Prima Accoglienza e nelle Comunità.

Il capitolo 7, realizzato dal Dott. Paolo Tisot del Comitato Scientifico dell’Unione

Italiana Sport per Tutti, mette in evidenza il valore formativo dell’attività sportiva per i ragazzi

in età evolutiva e lo stretto rapporto tra sport e salute. Anche questo lavoro fa parte di una

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collaborazione più ampia con la Giustizia Minorile nell’ambito della quale ormai da anni la

UISP realizza attività sportive, reicreative e culturali con i minori dell’area penale interna ed

esterna.

I capitoli 8, 9 e 10 costituiscono la parte centrale dello studio realizzato attraverso la

somministrazione di questionari alle équipe degli Istituti Penali per Minorenni presenti sul

territorio italiano e tramite la raccolta di documentazione relativa all’organizzazione del servizio

sanitario negli IPM. Il questionario è volto da una parte a sondare il livello di attenzione che

viene prestato al problema del diritto alla salute del minore in stato di detenzione, dall’altra a

rilevare le dimensioni maggiormente problematiche che richiedono di essere affrontate.

Nello specifico nel capitolo 8 e 9, il Dott. Brauzzi e il Dott. De Iacobis, hanno

approfondito lo studio sugli aspetti psico-sociali della tutela della salute e le conclusioni generali

della ricerca.

Nel capitolo 10 sono riportate le indicazioni e le proposte operative emerse dallo studio,

sia da un punto di vista medico-sanitario che psico-sociale realizzate dall’intero gruppo di studio.

La Dott.ssa Masiello ha apportato un contributo fondamentale durante le fasi di raccolta

della bibliografia e progettazione dello studio.

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CAPITOLO 1

1. PREMESSA:RAGIONI ED OBBIETTIVI DELLO STUDIO (A. De Iacobis) 1

Con la dichiarazione di Alma Ata dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1983

Salute per tutti negli anni 2000) recepita dalla maggior parte degli stati membri, la promozione e

la tutela della salute divengono aspetti fondamentali dello sviluppo delle nazioni. I governi

debbono prestare un’attenzione privilegiata alla tutela della salute della collettività e dei singoli

individui, in tutti i suoi aspetti di benessere fisico, psichico e sociale, secondo la definizione che

lo stesso OMS aveva dato al concetto di salute nel 1946. Nella nostra Costituzione l’attenzione al

problema della tutela della salute si traduce in un diritto fondamentale; infatti, per l’art. 32: “La

Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività,

e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

La tutela della salute acquisisce poi particolare importanza per i minori di 18 anni, dal

momento che l’art. 31 specifica che la Repubblica “Protegge l’infanzia, la maternità e la

gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Inoltre, come tutti i diritti fondamentali ed

inviolabili, la salute, per l’art. 2 della Costituzione, deve essere riconosciuta e garantita “sia al

singolo individuo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità”. Nel caso

dell’infanzia e dell’adolescenza, la necessità di riconoscere e garantire il diritto alla tutela della

salute all’interno delle formazioni sociali assume particolare rilievo dal momento che esse

costituiscono i contesti ecologici all’interno dei quali, la personalità dei minori non solo si

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“svolge”, ma si costruisce, nel gioco dinamico e circolare delle interazioni, assimilando i principi

organizzativi e le culture che attraversano tali istituzioni.

Riconoscere e garantire la tutela della salute, come diritto fondamentale e inviolabile, a

livello delle formazioni sociali e della collettività, oltre che come diritto del singolo individuo,

assume un significato eminentemente preventivo e di promozione, vincolando le agenzie sociali,

qualsiasi esse siano, a svolgere una funzione preventiva in particolare modo per la fascia di età

che va dall’infanzia all’adolescenza.

Negli anni la produzione legislativa nazionale e internazionale è andata sempre più

sottolineando la necessità inderogabile che il minore venga tutelato in tutti i contesti e le

situazioni sociali che lo vedono coinvolto. L’art. 3 della Convenzione di New York del 1989,

ratificata e resa esecutiva, nel nostro Paese, dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, sancisce che “In

tutte le azioni riguardanti i bambini2, se avviate da istituzioni di assistenza sociale, private o

pubbliche, tribunali, autorità amministrative o corpi legislativi, i maggiori interessi del

bambino/a devono costituire oggetto di primaria considerazione”.

Dunque la tutela del minore è da intendersi nel senso più ampio possibile, secondo il

dettato Costituzionale, come tutela del diritto ad un sano sviluppo, che deve essere finalità

preminente di qualsiasi istituzione sociale si occupi di minori e, come tale, non può non esserlo

anche per i Servizi della Giustizia Minorile.

L’Istituto Penale per Minorenni costituisce una formazione sociale che l’adolescente, in

una particolare fase della sua vita, può trovarsi ad incontrare. L’esperienza della detenzione,

seppur drammatica in qualsiasi fase del ciclo vitale della persona, in adolescenza può

rappresentare un momento fortemente destabilizzante il percorso di formazione identitaria del

minore. Essa può rappresentare un delicato bivio nella storia del soggetto di minore età, che può

1 Psicologo Ufficio Centrale Giustizia Minorile 2 Secondo tale Convenzione si intende per bambino il minore di anni 18.

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portare verso la definizione di un processo di adattamento in direzione deviante o può, al

contrario, costituire una preziosa opportunità per ripensare alle proprie responsabilità e acquisire

un nuovo senso di autoefficacia soggettiva nella realizzazione delle proprie scelte.

Questa seconda opzione è proprio quanto previsto dalla stessa filosofia che sottende il

D.P.R. n°448 DEL 23/9/1988, la quale predispone un meccanismo processuale che pone in

secondo piano l’esigenza punitiva dello Stato in favore di una esigenza di recupero e tutela del

minore, al fine di erogare una risposta-sanzione che possa essere anche occasione educativa e

responsabilizzante. Come mette bene in evidenza Palomba ( F. Palomba, 1991), l’imputato del

processo penale minorile non cessa di essere minore e come tale soggetto particolarmente

protetto dalla Costituzione. A tale riguardo già la Corte Costituzionale nella sentenza n. 49/1973

chiariva come finalità prioritaria il “peculiare interesse-dovere dello Stato al recupero del

minore”. Recupero del minore e “reinserimento sociale”, altra finalità prevista dal processo

penale minorile sent. n. 46/1948 della Corte Costituzionale, comportano un’attenzione

privilegiata alle dimensioni “mentale” e “sociale” della salute del minore

E’ evidente come a fondamento nelle nuove disposizioni del processo penale minorile sia

contenuta una rappresentazione del minore come soggetto da tutelare, in evoluzione e in rapporto

evolutivo con i suoi contesti vitali. E’ proprio tale rappresentazione ad imprimere una forte

progettualità a tutto l’impianto legislativo; la legge prevede, infatti, che, fin dall’entrata del

ragazzo nel sistema giustizia, si predispongano le condizioni per la realizzazione di un progetto

di trattamento la cui finalità è essenzialmente la fuoriuscita dello stesso dal sistema penale e il

suo reinserimento nel contesto sociale. L’art. 9 del citato D.P.R. 448/88 prevede che fin dalle

prime fasi giudiziarie vengano acquisite informazioni “sulle condizioni e le risorse personali,

familiari, sociali e ambientali” del minore, sia per accertarne l’imputabilità e la responsabilità

che per disporre misure penali adeguate alle caratteristiche della sua personalità. E’ evidente

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come l’accento posto sulle condizioni e le risorse del minore, a vari livelli, costituisca di fatto

una valutazione dello stato di salute psichico, sociale e ambientale molto simile a quanto

delineato dall’OMS. Possiamo quindi intendere quanto previsto dal nuovo codice minorile come

una vera e propria valutazione prognostica e progettuale verso la realizzazione di un percorso

che sia sì sanzione, ma prima di tutto nuova occasione per ricostituire, e tal volta costruire da

nuovo, un equilibrio salutare tra contesto sociale e minore.

Del resto i principi fondamentali del DPR 448/88, in linea con quanto indicato dalle

Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile approvate dalle Nazioni Unite3,

costituiscono una forte garanzia a tutela dei maggiori interessi del giovane di minore età, ed in

particolare rappresentano una garanzia a tutela della sua salute psichica e sociale. A tale

proposito è rilevante l’articolo 27 del suddetto decreto, che prevede che la possibilità di

pronunciare sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto “quando l’ulteriore

corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne”.

Dunque, sebbene la dizione salute non figuri esplicitamente nel testo del DPR 448/88,

essa sembra rappresentare una preoccupazione rilevante del legislatore, il quale intende garantire

la tutela di tutti quegli aspetti che, come le esigenze educative, affettive e psicologico-sociali del

minore, fanno riferimento ad un concetto di salute non strettamente bio-medico, ma assai più

ampio, secondo quanto espresso dall’OMS come “stato di completo benessere fisico, mentale e

sociale”.

In un’accezione così ampia, il problema della salute include, quindi, quello della

devianza. La devianza, in questo senso, può essere letta come una disfunzionalità

dell’interazione sociale, una rottura dell’equilibrio del sistema che norma i rapporti individuo-

3 I principi inderogabili stabiliti dalle Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile sono: il principio dell’adeguatezza della pena, di minima offensività del processo, di destigmatizzazione, di selettività, di indisponibilità del rito, di residualità della pena.

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contesto e i rapporti microcontesti-sistema sociale, segnalando uno stato di “malessere” nel

tessuto sociale.

La definizione data dall’OMS del concetto di salute, pur essendo stata spesso criticata

perché utopica, vaga ed astratta, delinea d’altro canto tre dimensioni imprescindibili a cui è utile

fare riferimento per la valutazione dello stato di salute di un soggetto o di una popolazione.

E’ evidente quanto sia paradossale e utopico parlare di una condizione di “completo

benessere fisico, mentale e sociale” per il minore sottoposto a misura penale, ma lo spirito

garantista del legislatore nasce proprio dalla consapevolezza di quanto possa essere

destrutturante l’impatto con il sistema giudiziario penale per l’adolescente, di quanto siano a

rischio la sua salute psichica e sociale, di quanto una risposta meramente sanzionatoria ad un atto

che la legge definisce come reato possa essere percepita dal minore come un messaggio di rifiuto

da parte del consorzio sociale, in grado di rafforzarne e cristallizzarne l’identità in direzione

deviante.

Proprio per tali ragioni occorre tenere alta l’attenzione verso il tema della tutela della

salute nell’ambito della Giustizia Minorile, con l’obiettivo di ricercarne una definizione

contestualizzabile, ovvero capire cosa si intende per tutela della salute in questo ambito, perché

soltanto da una corretta impostazione del problema possono nascere utili indicazioni e

progettualità di intervento percorribili e rispondenti alle specifiche situazioni.

L’obiettivo di questo studio, pertanto, è quello di delineare un quadro d’insieme sul

livello di attenzione che attualmente viene prestato alla tutela della salute negli Istituti Penali

Minorili in tutte le sue dimensioni: fisica, psichica e sociale. Sulla base di quanto emerso,

verranno fornite alcune indicazioni e proposte per una organizzazione del servizio sanitario più

rispondente alle esigenze dei minori e per garantire che le condizioni di vita del ragazzo

nell’Istituto Penale Minorile tutelino il diritto fondamentale alla salute.

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E’ utile ai fini del nostro discorso, prima di addentrarci nello specifico, descrivere i

l’evoluzione del concetto di salute nell’ambito delle neuroscienze, delle scienze umane e delle

discipline biomediche, con l’obiettivo di approfondirne successivamente le tematiche relative ai

Servizi della Giustizia Minorile ed in particolare agli Istituti Penali per Minorenni.

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CAPITOLO 2

2 EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI SALUTE (A. De Iacobis)

2.1 IL CONCETTO DI SALUTE DI MATRICE POSITIVISTA

Nell’ultimo secolo il concetto di salute si è progressivamente modificato alla luce del

mutamento di paradigma4 scientifico che ha attraversato il XX° secolo, ridefinendo le

fondamenta stesse del concetto di scienza.

Prima di trattare gli orientamenti più recenti in materia di tutela e promozione della

salute è utile tracciare una breve panoramica storica sul tema, in particolare approfondendo il

cambiamento del modo di intendere la salute nel passaggio dal paradigma positivista agli attuali

orientamenti.

Il paradigma positivista, che ha dominato il secolo scorso, identificava nel livello bio-

fisico l’unico punto di vista possibile per avere accesso alle realtà della salute e della malattia. La

forte distinzione che permeava il clima scientifico del secolo scorso, tra scienze della natura e

scienze dello spirito, delimitava fortemente i domini di indagine delle varie discipline. Le scienze

della natura, o scienze esatte, presupponevano un criterio di accesso diretto alla realtà da parte

dell’osservatore-scienziato che, da una posizione esterna all’oggetto osservato, poteva

4 Thomas Kuhn, celebre epistemologo della seconda metà del XX° secolo, ha coniato il termine paradigma scientifico per intendere "l'ideale di scienza" condiviso dalla comunità scientifica in un determinato periodo storico. Tale ideale di scienza si costruisce intorno ad alcuni contributi esemplari (per esempio il De Revolutionibus di Copernico o i Principia di Newton ) "ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costruire il fondamento della sua prassi ulteriore" ( D. Gillies, G. Giorello, 1993). La scienza, secondo Kuhn, passa attraverso fasi "normali", durante le quali il consenso rispetto al paradigma è pieno, e fasi "straordinarie", nelle quali una serie di nuovi contributi scientifici pongono in crisi le fondamenta del vecchio paradigma fino a portare a uno nuovo.

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comprenderne le leggi del suo funzionamento, attraverso l’indagine delle cause che determinano

il verificarsi dei fenomeni naturali. Ciò che veniva ricercato era una realtà oggettiva e tangibile

che doveva soltanto essere scoperta. La stessa dizione “scoperta scientifica” è una metafora utile

alla comprensione del paradigma positivista; scoprire significa togliere il velo che cela una

realtà, il cui senso e significato è ad essa immanente.

Un altro aspetto non meno importante del positivismo è stato l’atteggiamento fisicalista

riduzionista. Emblematico, a tal proposito, è stato il cosiddetto giuramento fisicalista tra i tre più

famosi fisiologi dell'800 che lavoravano nella celebre Berliner Gesellshaft: Helmholtz, Brucke e

Du Bois-Reymond. Tale giuramento fisicalista, formulato esplicitamente da Du Bois-Reymond

nel 1842, rifiutava qualsiasi tipo di spiegazione che non si fondasse sulle leggi fisico-chimico

della materia (P.L. Assoun 1981).

D’altro canto tutto ciò che non era possibile oggettivare, misurare, quantificare era

dominio delle scienze dello spirito. La tradizione positivista riprende fortemente la lezione

cartesiana, sancendo e rafforzando la scissione tra res exstensa e res cogitans, dove per altro,

almeno, spirito e materia si incontravano in una piccola ghiandola chiamata pineale.

Questo modello di scienza si è rilevato estremamente produttivo in ambito scientifico e,

in particolare, ha influenzato per lungo tempo le discipline bio-mediche e tuttora, talvolta, ne

informa le prassi. Secondo tale punto di vista, ciò che poteva essere studiato, con il metodo

scientifico, era soltanto il corpo, dal momento che esso rispondeva ai requisiti richiesti; infatti,

come realtà naturale, era tangibile, oggettivabile, poteva essere “ridotto”, scomposto nei suoi

apparati ed organi, scendendo fino al livello “micro” delle leggi biomolecolari che ne

determinano il funzionamento. La salute che poteva essere indagata era dunque quella

“oggettiva” del corpo, dei suoi apparati, dei suoi organi. In realtà, al centro dell’interesse

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scientifico non era la ricerca delle cause dello stato di salute quanto quelle che determinano lo

stato di malattia.

Per lungo tempo l’indagine medica ha focalizzato la propria attenzione sulle forme

patologiche. La medicina era soprattutto medicina di urgenza. Le scarse condizioni igienico-

sanitarie, in cui versava la gran parte della popolazione, costituivano il terreno privilegiato per

alcuni tipi di malattie infettive. Il grande dispiego di energie era rivolto a far fronte alle grandi

epidemie, come la tubercolosi o la sifilide. Tutto questo, unito all’assenza di una vera e propria

politica sanitaria e di una filosofia preventiva, portavano il medico ad orientare l’intervento

medico-sanitario sull’individuo, prima che sulla popolazione, e ad operare laddove lo stato di

malattia era già conclamato.

La salute, d’altro canto, veniva definita tautologicamente in negativo: l’unica causa

riconosciuta per il verificarsi dello stato di salute era il perfetto funzionamento del corpo, ovvero

l’assenza di malattie. L’interesse per lo studio delle pratiche salutogenetiche è storia recente, che

si approfondirà in seguito, mentre l’interesse per lo stato di malattia ha prodotto immensa

letteratura. Nel periodo che stiamo trattando gran parte delle ricerche erano volte all’indagine

eziologica delle patologie, attraverso la ricerca delle cause determinanti o degli agenti patogeni.

Tale modello di medicina, definito modello bio-medico, è stato ben descritto da Engel

che sottolinea come “il modello biomedico non solo richiede che la malattia sia trattata come

un’entità indipendente dal comportamento sociale, ma pretende anche che le deviazioni

comportamentali siano spiegate sulla base di processi somatici (bio-chimici o neurofisiologici)

disturbati. Così il modello biomedico abbraccia sia il riduzionismo - la prospettiva filosofica,

dogmatica, in base alla quale i fenomeni complessi derivano in definitiva da un singolo principio

primario - sia il dualismo mente corpo, la dottrina che separa il mentale dal somatico” (Cit. in M.

Bertini 1993, pag. 62).

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Paradossalmente, questo ideale di scienza è stato messo in crisi nel XX secolo, proprio

dai contributi provenienti dalle scienze definite più “hard”, come la fisica, la chimica, la

cibernetica, mentre le scienze sociali percorrevano il cammino inverso, assumendo al proprio

interno i criteri delle scienze dure per ottenere nella comunità scientifica una maggiore credibilità

e attendibilità.

2.2 IL MODELLO SISTEMICO DELLA SALUTE NEL XX° SECOLO

Il XX secolo si è caratterizzato per un’accelerazione dello sviluppo scientifico mai

osservata in precedenza. Il fiorire e l’affermarsi di nuove discipline hanno moltiplicato i domini

di conoscenza, generando in alcuni casi sovrapposizioni di indagini scientifiche su medesimi

oggetti di studio. Le verità si sono moltiplicate e sono spesso entrate in contraddizione tra loro.

L’idea dell’esistenza di un punto di vista privilegiato dal quale poter conoscere la “realtà-verità”

si è dimostrata nel tempo fallace. Si è aperta così la crisi dell’assunto positivista in base al quale

si presumeva di osservare una realtà il cui senso e significato è indipendente dalle lenti teoriche

dell’osservatore e che, dunque, considerava la conoscenza come pura rappresentazione

fotografica del reale.

Molti studi e ricerche, nei più diversi campi di applicazione, hanno messo in luce

l’importanza di comprendere il punto di vista dal quale si osserva la realtà. E’ stato evidenziato

come ogni branca del sapere rappresenti un punto di osservazione che cambia la prospettiva dei

fenomeni osservati e come le teorie funzionino da lenti senza le quali la realtà non è leggibile. Se

per il paradigma positivista sono i fatti reali che contano veramente, gli sviluppi recenti hanno

messo in luce come i fatti stessi cambiano la loro natura a secondo delle lenti teoriche con le

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quali li si osserva o, talvolta, non esistono affatto per l’osservatore che non ha lenti per

osservarli.

Già negli anni Quaranta un fiorire di ricerche hanno mosso le loro osservazioni da un

versante psico-fisiologico, tracciando un collegamento tra mente e corpo nella comprensione

della genesi di alcune malattie. Tali studi sperimentali hanno ri-significato alcuni eventi

patologici (come l’ulcera), che fino a poco tempo prima venivano definiti come eminentemente

organici, come eventi psicosomatici. Esemplare a questo proposito è stato lo studio di Harolf

Wolf e Steward Wolf riguardo alle influenze degli eventi stressanti sul verificarsi di stati

morbosi. Gli autori, attraverso un’accurata documentazione fotografica, mostrarono come in

persone sottoposte a forti eventi stressanti si verificavano fistole gastriche (in Bertini, 1993, pag.

39). Nell’ambito della psicosomatica, dopo una prima produzione di studi di tipo descrittivo,

quanto dimostrato dai Wolf ha rappresentato uno dei primi tentativi di provare scientificamente

l’interazione corpo-mente nella produzione di disturbi patologici.

Le fondamenta per questo tipo di studio sono da rintracciare nei contributi della

psicologia sperimentale e la psico-fisiologia. Pavlov pose le basi per la teoria behaviorista

sperimentale, che ebbe uno sviluppo prodigioso negli Stati Uniti per almeno un quarantennio,

attraverso una serie di esperimenti di condizionamento del comportamento di animali in

laboratorio. Gli esperimenti mettevano in luce come nei cani, attraverso un’associazione di

stimoli (per es. stimolo sonoro seguito da somministrazione di cibo), si era in grado di provocare

un evento fisiologico come la salivazione, normalmente presente alla visione del cibo, con la

sola presentazione di uno stimolo artificiale (stimolo sonoro).

L’implicazione rilevante dell’esperimento era rappresentata dal fatto che una serie di

stimoli esterni potevano condizionare la fisiologia interna dell’organismo fino a modificare

l’arco riflesso nervoso. Il comportamentismo, in effetti, non faceva che enfatizzare il ruolo

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dell’ambiente nell’influenzare i comportamenti. Pavlov, in questi esperimenti, riuscì anche a

provocare delle vere e proprie nevrosi sperimentali nei cani in laboratorio attraverso la

presentazione di stimoli contraddittori e paradossali. Gli animali, così trattati, apparivano

instabili e aggressivi, fino a presentare vere e proprie patologie del comportamento.

Hans Selye, un medico della fine degli anni Trenta, descrisse una sindrome da

esaurimento denominata “G.A.S.” general adaptament sindrom, delineando una sequenza di fasi

che caratterizzano la risposta ad eventi stressanti ripetuti nel tempo. Da una prima risposta

adattiva, caratterizzata da un innalzamento dell’arousal (attivazione) finalizzata a far fronte

all’evento stressante, si va fino a uno stato di esaurimento caratterizzato da senso di fatica,

incapacità ad affrontare il ripetersi degli eventi stressanti, spiccata predisposizione ad ammalarsi.

Questi studi inaugurarono una nuova concezione della medicina bio-psico-sociale, che

guarda alla salute come alla malattia da un punto di vista sistemico. Essa considera l’organismo

nella sua interezza, non ricercando più la causa eziologica soltanto in agenti patogeni come

batteri o altri eventi bio-molecolari, ma nell’interazione di una pluralità di fattori. A determinare

l’esito patologico non è soltanto il singolo fattore patogeno, ma l’incontro di quest’ultimo con un

particolare organismo caratterizzato dal suo patrimonio genetico e con la storia passata e recente

delle sue esperienze stressanti.

Nel 1946 l’Organizzazione della Sanità sembra recepire le tendenze più attuali in tema di

tutela della salute, definendo la stessa come “stato di completo benessere fisico, mentale e

sociale”. Il paradigma bio-medico, nella sua accezione riduzionista, sembra definitivamente in

crisi. La definizione dell’OMS ha rappresentato un passo di particolare importanza nel

promuovere il nuovo modello di salute secondo una concezione bio-psico-sociale. Nella

definizione stessa è presente una visione complessa delle problematiche legate alla salute. Essa

propone un superamento della prospettiva riduzionista, togliendo all’ambito bio-medico

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l’esclusiva competenza in materia e sottolineando, invece, la natura interdisciplinare delle

problematiche legate alla salute. Il riconoscimento della natura interdisciplinare di tale problema

nasce dalla necessità di restituire, attraverso un approccio olistico, un’attenzione all’individuo

nella sua interezza: un individuo considerato non come sistema isolato, ma in relazione con il

suo contesto sociale. Dunque le dimensioni biologiche, psicologiche e sociali della salute sono

dimensioni imprescindibili e tra loro interrelate.

2.3 ORIENTAMENTI RECENTI IN MATERIA DI TUTELA DELLA SALUTE

Negli ultimi venti anni si è venuto affermando ciò che in termini kuhniani (vedi nota n. 3

pag. 4) alcuni autorevoli epistemologi ( il chimico I. Prigogine, il sociologo E. Morin, i filosofi

G.Bocchi e M. Ceruti) hanno definito un nuovo paradigma scientifico: il costruttivismo. Esso ha

definitivamente sancito il superamento di un modello di scienza positivista-riduzionista. Tale

paradigma riconosce la natura complessa dei fenomeni naturali, che come tali non possono

essere studiati se non da un punto di vista interdisciplinare. Si definisce costruttivismo in quanto

presuppone che la conoscenza sia una costruzione, ovvero che la realtà in quanto tale sia

inaccessibile e priva di significato. Già un eminente epistemologo, K.R.Popper, negli anni

settanta, aveva paragonato l’edificio scientifico ad una palafitta, volendo significare l’estrema

difficoltà per la scienza di porre le fondamenta su un terreno di solide certezze. Il costruttivismo,

in questo senso, fa un passo più avanti rinunciando all’idea di fondamento e affermando che ciò

che è possibile conoscere non è una realtà esterna, fotografabile, inequivocabilmente data, ma

ciò che emerge nell’interazione tra un sistema che osserva e un sistema osservato. Il concetto di

interazione è un assunto centrale in questo modello che ridefinisce l’atto stesso

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dell’osservazione. L’osservatore non è mai esterno al dominio che intende osservare, ma

piuttosto ne fa parte, lo influenza e lo co-determina.

Se la posizione costruttivista può sembrare, ad una prima lettura, eccessivamente

radicale, essa intende rompere con una tradizione scientifica totalizzante e dogmatica.

L’implicazione più forte è l’accentuazione della rilevanza nel processo di conoscenza scientifica

delle pre-assunzioni teoriche che sono sempre presenti in ogni osservazione. Per il pensiero

costruttivista tali pre-assunzioni sono sempre presenti nell’osservatore, o a livello esplicito o a

livello implicito, dal momento che la realtà non è osservabile senza almeno un’ipotesi su ciò che

si intende osservare. Il cardine del pensiero costruttivista è rappresentato dalla consapevolezza

che quando si descrive un fenomeno lo si descrive sempre da un determinato punto di vista e

quest’ultimo non può che inquadrare l’oggetto osservato da una determinata prospettiva. Il

riconoscimento del proprio punto di vista da parte dello scienziato costituisce il superamento

stesso della posizione riduzionista. Il problema della conoscenza non sembra più quello di

trovare il principio primario (l’attrazione delle particelle atomiche, o le leggi biomolecolari)

immanente alla realtà, in base al quale ogni spiegazione deve essere subordinata, ma di

riconoscere l’autonomia e l’indipendenza delle fondamenta che ogni disciplina ha costruito,

avendo esplicitato il proprio vertice (livello) di osservazione sul mondo.

In altri termini la domanda fondamentale che la scienza deve porsi non è: “Quale è il

livello dal quale è possibile vedere la realtà-verità”, ma : “Quale è il livello più pertinente per

poter interrogare una “realtà”.

Per fare un esempio di cosa questo possa significare nella materia che stiamo trattando, se

volessimo spiegarci la sofferenza di una persona colpita da una grave malattia come il cancro

potremmo, secondo il paradigma positivista, spiegarla ricorrendo ad una “riduzione” al livello

più basso possibile. Ovvero potremmo ricercare la causa della sofferenza psichica

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nell’alterazione di determinati meccanismi biochimici (come nella produzione di neuromediatori,

sostanze che regolano la conduzione nervosa, prodotte da alcune ghiandole endocrine e dallo

stesso sistema nervoso), e potremmo, sulla base di questo, intervenire anche farmacologicamente

al fine di ripristinare un equilibrio alterato. Ma la domanda che a questo punto si pone è:

”Abbiamo realmente capito qualcosa della sofferenza di quella persona?”. Evidentemente la

risposta è no, perché abbiamo sbagliato il livello al quale interrogare il fenomeno sofferenza

psicologica in un malato di cancro. Si è trascurato il fatto che la sofferenza appartiene ad un

individuo e non alle molecole chimiche o ad un organo, che ha a che fare con i significati della

vita e della morte, coinvolge chi è intorno a lui, il suo contesto sociale, il suo sistema di

relazioni. Dunque il livello biologico può dirci poco in merito a tutto questo. Sarebbe come

tentare di comprendere un libro fermandosi al significato di ogni parola, senza comprendere il

senso complessivo che emerge dall’organizzazione del testo, ovvero la sua trama narrativa.

Tutto questo non significa negare che la sofferenza psichica abbia anche un suo correlato

al livello organico. L’operazione sbagliata, che molte ricerche psico-biologiche hanno

evidenziato, è stabilire un nesso causale unidirezionale che va dal basso verso l’alto, dal

biologico allo psichico al sociale. A tal proposito G. Edelman, premio Nobel per la medicina,

nelle sue ricerche sulla memoria, (G. M. Edelman, 1992 libro “Sulla materia della mente”) ha

dimostrato come l’esperienza modifichi le strutture sinaptiche neurali (ovvero modifichi i

collegamenti tra neuroni), e come l’atto stesso del ricordare determini una riscrittura dei ricordi

con il medesimo effetto sull’organizzazione del tessuto neurale.

Queste ricerche hanno posto fine ad una visione dualistica del problema mente-corpo.

Mente e corpo non sono sostanze diverse, ma rappresentano fenomeni diversi che emergono da

diversi livelli di organizzazione del vivente. Sono in rapporto tra loro come le singole parole di

un testo lo sono con il suo significato complessivo.

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Negli ultimi venti anni un contributo specifico in questo senso è stato dato da nuove

discipline, come le neuroscienze, la psicologia e la sociologia della salute, che hanno affondato

le radici in questo nuovo clima scientifico-culturale. A queste discipline si è andato così sempre

più riconoscendo la dignità scientifica. La consapevolezza della complessità dei fenomeni

naturali ha portato al riconoscimento che ogni verità è parziale, perché nasce da un punto di vista

che coglie un determinato livello di organizzazione, e ogni livello di organizzazione è pertinente

per la spiegazione di un certo dominio di fenomeni.

Così, le ricerche recenti hanno evidenziato diversi livelli per i quali è pertinente parlare di

salute. La salute può essere anche un fenomeno sociale. Ogni livello è strettamente relato agli

altri, ne è influenzato e li influenza a sua volta. L’evento malattia “organica”, modifica lo stato

dell’umore, altera l’organizzazione dei microcontesti sociali (famiglia, contesto amicale, scuola),

ma allo stesso tempo influisce sui macro contesti sociali (aumento della spesa sanitaria,

mutamento delle politiche sanitarie). In tal senso, un fenomeno sociale come la disoccupazione,

che possiamo definire come un cattivo stato di salute sociale, può influire sullo stato psichico e

fisico degli individui.

Il convergere da più parti della comunità scientifica di contributi in questa direzione ha

portato ad inquadrare il problema della salute da parte di discipline come la psicologia e la

sociologia, in senso ecologico. La salute, in questo recentissimo sviluppo, è stata definita come

un problema che riguarda il rapporto uomo-ambiente.

Bernhard Badura, epidemiologo e sociologo, analizzando la definizione di salute

dell’O.M.S., pur riconoscendo che le dimensioni fisica, mentale e sociale rappresentano

dimensioni imprescindibili per la valutazione della salute di un individuo o di una popolazione,

avanza una critica condivisibile, segnalando che il concetto di “stato” di salute non rispecchia

l’aspetto dinamico del fenomeno. Per Badura, più che uno “stato”, la salute è “una capacità di far

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fronte (ability to cope)”; l’autore chiarisce ancora che “ la definizione della salute come capacità

di coping sposta la nostra attenzione sull’interfaccia uomo-ambiente. La salute dipende dalla

misura in cui il sistema personale e quello sociale si adattano reciprocamente. La salute non è

solo un fenomeno a più dimensioni, ma anche un fenomeno a più livelli. L’interfaccia uomo-

ambiente è modellata dalla struttura sociale e culturale. Per comprendere i fattori determinanti

della salute, bisogna capire in che modo il mondo fisico, sociale e psicologico si determinano

reciprocamente. Le persone devono affrontare richieste, vincoli e rischi che sono prodotti da

forze sociali, economiche e politiche sulle quali esse hanno solo un controllo limitato” (B.

Badura in M. Ingrosso, a cura di 1994, pag. 128). Ciò che è interessante in questa definizione è

che la salute non è concepita come il raggiungimento di uno stato, che può essere minacciato da

eventi casuali (incontro con agenti patogeni, eventi stressanti), ma come un processo che richiede

la continua attivazione dell’individuo volta alla conquista, al mantenimento e anche

all’incremento della stessa. Avere capacità di coping significa acquisire competenze che

consentano di risolvere una serie di problemi che il vivere comporta: competenze fisiche,

cognitive, relazionali, sociali in senso lato. In altri termini si fa qui riferimento alla capacità di

adattamento all’ambiente. Un concetto di adattamento che deriva dalle nuove teorie

evoluzionistiche (R.C. Lewontin 1991; S.J. Gould, 1996; H. Maturana e F.Varela, 1984), che

definiscono il processo di adattamento dell’organismo all’ambiente non come processo passivo,

attuato primariamente dalla selezione naturale che elimina il meno adatto, ma come processo

attivo in cui è lo stesso organismo che, attraverso la propria attività, modifica l’ambiente in cui

vive ed a sua volta lo seleziona. Il rapporto è evidentemente circolare e ricorsivo. E’ impossibile

cogliere il punto iniziale, l’origine causale di tale processualità, è possibile d’altro canto

affermare che organismo e ambiente si co-determinano.

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Se si esaminano le implicazioni di un tale punto di vista, è evidente che se la salute deriva

da una capacità-competenza di fare fronte alle perturbazioni dell’ambiente, e richiede dunque

l’attivazione dell’individuo; questa visione permette di indagare non soltanto i processi pato-

genetici, ma anche i processi saluto-genetici, dal momento che la malattia non è più soltanto un

evento incontrollabile. Non soltanto la probabilità di ammalarsi può essere allontanata, il rischio

ridotto, ma la salute può essere incrementata attraverso l’acquisizione di nuovi strumenti e

competenze.

A questo proposito è interessante notare quanto dice Bateson, uno dei pionieri della teoria

sistemica in psicologia, che sostiene che la malattia non è il contrario della salute, ma: “..... per

converso, se l’esteticamente mostruoso è sintomatico della patologia sociale, allora dobbiamo

ricordarci che in tutti questi casi, il sintomo è il tentativo del sistema di curarsi. La creazione di

appropriate mostruosità può pertanto essere una componente dell’azione correttiva” (Bateson,

1991 pag. 257). Il passo di Bateson è estremamente importante perché ribalta la visione

tradizionale del concetto di patologia, non più vista come semplice deviazione dalla norma

(salute), ma come tentativo, anche se disfunzionale, di “far fronte” ad un problema di

adattamento all’ambiente. In ambito psicologico e sociale la prospettiva di Bateson ha un

rilevante valore euristico, dal momento che consente di valorizzare la “fase patologica”, di

vedere in essa non soltanto l’aspetto involutivo, ma una strategia attiva che, se ridefinita e

riorientata, può portare l’individuo ad acquisire nuove competenze.

Questi contributi hanno portato ad una ridefinizione degli interventi in materia di tutela

della salute. Più specificamente si è passati da un modello di prevenzione della malattia ad un

modello di promozione della salute. Il punto di vista che informava l’approccio di prevenzione

della malattia definiva in negativo gli obiettivi di un intervento, identificando nella malattia un

nemico da combattere. Come sottolinea con grande lucidità Ilona Kickbusch (cit. in M. Ingrosso

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a cura di, 1987 pag. 80): “mentre l’approccio preventivo basato sui fattori di rischio è volto a

stabilire relazioni causali fra isolati fattori e i comportamenti, l’approccio ecologico-

promozionale mira ad identificare patterns di interazione fra fattori personali e ambientali”. M .

Ingrosso commenta che: “ In questo senso non si dovrebbero isolare comportamenti a rischio

come il fumare, l’assumere alcool, il mangiare disordinatamente dal contesto dei patterns della

vita quotidiana (stili di vita, strategie), così come dall’insieme dell’unità composita della

persona. Infatti il comportamento a rischio è spesso paradossalmente una forma di coping, una

modalità di relazione con l’ambiente volta a mantenere un particolare equilibrio con esso”

(ibidem).

Da questo punto di vista, porre l’accento sulla gestione della salute come competenza ad

adattarsi in maniera attiva al proprio ambiente significa sottolineare l’importanza della

responsabilità personale e sociale nel mantenimento della stessa. Dunque, responsabilità

personale nella gestione della propria salute come scelta di stili e strategie vitali, ma anche

responsabilità sociale perché il problema del singolo non può essere scisso da quello del contesto

sociale in cui vive. La salute del singolo è strettamente relata a quella della collettività così

come, inversamente, la società è responsabile della salute degli individui attraverso la

programmazione delle politiche sanitarie e la qualità della vita che è in grado di garantire

attraverso le sue istituzioni.

L’OMS nel 1983, nell’ambito del programma di “Salute per tutti negli anni 2.000”,

accoglie la prospettiva ecologica accanto a quella tecnologica legata allo sviluppo di nuove

strumentazioni e metodologie che consentono di far fronte efficacemente a un numero sempre

più elevato di patologie. Ingrosso ben delinea la prospettiva ecologica abbracciata dall’OMS,

scrivendo che: “Lo scenario ecologico è invece fondato sulla responsabilità personale e sociale e

su una concezione positiva della salute. Le persone si responsabilizzano per il mantenimento

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della propria salute attivando modalità di auto-aiuto e self-help. La società provvede ad un

ambiente che favorisce e promuove la salute. Tecnologie distribuite e su piccola scala vengono

utilizzate per favorire l’utilizzo di consulenze professionali e forme di aiuto. La ricerca e la

pratica medica fungono da supporto della promozione della salute sul piano individuale e su

quello collettivo” (Ingrosso M., 1983, pag.68).

Questa prospettiva si annuncia particolarmente proficua in ambito adolescenziale. La

letteratura recente sottolinea sempre di più l’importanza della qualità dei contesti sociali nel

promuovere un sano sviluppo psico-emotivo nell’adolescente. In questa particolare fase del ciclo

vitale, il percorso identitario si organizza nell’interazione con il gruppo dei pari, la cui cultura

esercita un potere di attrazione sul ragazzo che prevale su quello del gruppo familiare. Il gruppo

dei pari, infatti, ha la funzione di porsi quale dimensione sociale alternativa, che consente

all’adolescente di svincolarsi dalla famiglia per incamminarsi verso la costituzione di un nuovo

fronte generazionale. In questo scenario, intervenire per promuovere la salute del minore

significa poter garantire la presenza, nel tessuto sociale, di quelle istituzioni all’interno delle

quali tale processo si svolge in maniera tutelata e protetta (scuola, centri sportivi e ricreativi,

servizi specialistici per l’adolescenza, ecc.). In altre parole significa fornire all’adolescente una

rete sociale, degli strumenti di navigazione che lo aiutino ad orientarsi attraverso di essa e delle

concrete opportunità per poter dare corpo al proprio progetto di vita.

E’ in questa prospettiva che esamineremo il problema della tutela della salute nell’ambito

dei Servizi della Giustizia Minorile, con particolare attenzione all’aspetto della condizione

detentiva. Riteniamo, infatti, che lo stesso D.P.R. 448/88 si ispiri ad un approccio ecologico,

fondando la sua ragion d’essere sul processo di responsabilizzazione del minore deviante;

processo che avviene attraverso l’attivazione di una pluralità di soggetti e di agenzie sociali volte

a promuovere, attraverso la valorizzazione delle risorse personali, sociali e ambientali del

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minore, la fuoriuscita dal sistema penale. La finalità di tutto l’impianto legislativo è, dunque,

quella di predisporre le condizioni affinché la risposta sanzionatoria possa assumere una

funzione responsabilizzante, attivando e aiutando il minore a costituire una nuova relazionalità

tra sé e il proprio contesto vitale. Come abbiamo già detto in precedenza, da un punto di vista

ecologico il problema della devianza ha strettamente a che fare con quello della salute. L’atto

deviante del minore è espressione di una strategia di coping, rappresenta spesso una modalità di

far fronte alle problematiche che emergono nel processo di adattamento ai vari contesti che lo

vedono coinvolto. Il problema della devianza, se osservato anche come fenomeno legato alla

dimensione della salute intesa come capacità di “far fronte” ai compiti di adattamento, può aprire

nuove opportunità di riflessione e di intervento.

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3 ANALISI DEL QUADRO NORMATIVO INTERNAZIONALE 5 (F. Brauzzi) 6

3.1 LE REGOLE MINIME PER L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA MINORILE.

Le Regole Minime per l’Amministrazione della Giustizia Minorile (Approvate

dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 29 novembre 1985 dette “Regole di Pechino”)

integrano le “Regole minime delle Nazioni Unite per il trattamento dei minorenni detenuti”,

dando indicazioni specifiche, come previsto dall’art. 9. La visione generale della delinquenza

minorile che è sottesa alle Regole è evidentemente quella di considerare il fenomeno come parte

di un processo sociale generale, di non scindere la società dalla devianza ma di cogliere la

circolarità di causa-effetto tra tali dimensioni. Da questo approccio discendono indicazioni che

non sono esclusivamente mirate al “trattamento” del minore, ma forniscono elementi utili ad una

ricollocazione del minore nella società e ad un cambiamento di atteggiamento della società nei

confronti del minore.

Alcuni esempi sostanziano le suindicate affermazioni. Nelle Prospettive Fondamentali

delle “Regole Minime” si afferma: (art. 1.2.) “Gli Stati membri si sforzano di creare le

condizioni per assicurare al minore una vita proficua all’interno della comunità, che incoraggi

un processo di maturazione capace di tenerlo lontano il più possibile dalla criminalità e dalla

5 L’impostazione della presente analisi segue i principi indicati nella parte introduttiva del lavoro secondo la

quale la salute non è relativa agli aspetti organici della persona ma anche agli aspetti psicologici e sociali.

6 Psicologo Ufficio Centrale Giustizia Minorile

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delinquenza, durante il periodo di vita in cui è più esposto ad un comportamento deviante”. Da

questa affermazione risulta evidente che sono importanti sia le “condizioni sociali” che la

“maturazione” individuale per interrompere il processo circolare che favorisce la devianza.

Tale impostazione risulta centrale per impostare il tema della salute nei termini

dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “benessere fisico, psicologico e

sociale”. Non può esistere, negli Istituti Penali Minorili (IPM) come nelle altre istituzioni,

un’attenzione alla salute che non prenda in considerazione tutte le dimensioni su indicate.

Scendendo nella concretezza dell’operare, all’interno degli Istituti, si può proporre il trattamento

più avanzato ma, se non viene curato il reinserimento del minore, è probabile che tutti gli sforzi

prodotti saranno annullati dal contesto esterno. E’ dunque importante che anche la comunità

esterna sia attivata in tale direzione: (art. 1.3.) “Occorre prendere misure concrete che

comportano la piena mobilitazione di tutte le possibili risorse, inclusa la famiglia, i volontari e

gli altri gruppi comunitari, così come la scuola e le altre istituzioni, al fine di promuovere la

tutela del minore per ridurre le necessità di un intervento della legge e di trattare efficacemente,

equamente e umanamente il minore quando venga in conflitto con la legge.” In tale direzione

appare interessante lo sforzo che sta producendo l’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile

italiana nel proporre un apertura della Giustizia Minorile all’esterno (c.f.r. Progetto ‘98 - Nuovi

programmi per la giustizia minorile7). Si intende infatti integrare, all’interno della progettualità

complessiva, gli enti locali, il volontariato, il privato sociale, l’università e le altre istituzioni che

possano essere interessate. In linea con quanto affermato relativamente all’attenzione al

“benessere sociale”, come obbiettivo del lavoro sui minori è necessario far riferimento all’art.

26.1. relativo agli Obbiettivi del trattamento in istituzione. Viene specificato infatti che: La

formazione ed il trattamento dei minori collocati in istituzioni hanno l’obbiettivo di assicurare

7 UCGM “Progetto ‘98”, Documento interno. 1998.

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loro assistenza, protezione, educazione e competenza professionale affinché siano posti in grado

di avere un ruolo costruttivo e produttivo nella società. Ogni serio processo educativo realizzato

all’interno di una qual si voglia istituzione pone la base della sua efficacia nel reinserimento

sociale. Grande attenzione deve essere posta su questa fase del percorso del singolo minore. Se

ciò non avviene gli sforzi prodotti rischiano di essere inutili. Il contesto sociale di provenienza ha

una grande forza attrattiva, specialmente se il minore non possiede alternative, se non ha

individuato strategie per trovare una nuova collocazione all’interno della società. Fornire gli

strumenti per reinserirsi in maniera differente diventa centrale e la possibilità di trovare

un’occupazione lavorativa è, senza dubbio, uno strumento di grande importanza.

L’attenzione alla salute dal punto di vista fisico e psicologico non riveste un’importanza

minore. E’ infatti necessario che (art. 26.2) I giovani collocati in un’istituzione ricevano aiuto,

protezione e tutta l’assistenza sul piano educativo, psicologico, sanitario, e fisico necessari

riguardo all’età, al sesso, alla personalità e nell’interesse di una loro crescita armonica.

La Risoluzione (art. 1.6.) dunque esige che la Giustizia Minorile sia sistematicamente

in evoluzione per migliorare e perfezionare la competenza, i metodi, gli approcci e le attitudini

complessive, in considerazione dell’alto mandato sociale ad essa conferito. In tale direzione il

coordinamento tra i vari paesi - tra l’altro in un tempo in cui la globalizzazione è una realtà -

risulta centrale per l’ottimizzazione dei risultati.

Una norma importante risulta essere quella che sancisce il diritto alla tutela della vita

privata (art 8) e la riservatezza degli atti (art. 21: Gli atti riguardanti i giovani che delinquono

devono essere considerati strettamente riservati e non disponibili per terzi. L’accesso a tali atti è

consentito alle persone direttamente interessate al caso in questione o ad altre persone

debitamente autorizzate.). Ciò risulta centrale e dà indicazioni per la specifica materia sanitaria e

trattamentale, nella direzione di mantenere, di regola, riserbo sui risultati delle analisi mediche

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(si fa riferimento, ad es., alla segretezza relativa alle condizioni della sieropositività) e sulle

confidenze che possono emergere dai colloqui. Quest’ultimo tema risulta particolarmente

complesso in quanto le “confidenze” espresse durante i colloqui possono talvolta tendere a

rendere l’operatore complice del minore reo e produrre un sistema ricattatorio disfunzionale per

il processo di crescita. Alcune tendenze di pensiero propongono lo strumento del “segreto

d’ufficio”; si intende con ciò impostare col minore una relazione di estrema chiarezza - elemento

fondamentale di ogni alleanza - in cui viene chiarito che eventuali “segreti” saranno mantenuti

tali all’interno dell’équipe di trattamento. Ciò risulta fondamentale per il rispetto della tutela

della vita privata senza che ciò infici un serio lavoro educativo. In tale direzione risulta

importante, inoltre, prestare particolare attenzione nell’autorizzare la raccolta di informazioni

spesso richieste dalle agenzie di ricerca.

Ma la tutela della vita privata è importante anche per evitare processi di etichettamento

sociale, infatti le teorie criminologiche - ad esempio la labeling theory - confermano quanto

affermato nell’art. 8: deve essere rispettato il diritto del giovane alla vita privata per evitare che

inutili danni gli siano causati da una pubblicità inutile e denigratoria. Di regola non dovrà

essere pubblicata alcuna informazione che possa contribuire ad identificare un giovane autore

di reato. Le ricerche criminologiche dimostrano gli effetti perniciosi risultanti dalla

classificazione dei minori come “delinquenti” o “criminali”, come ciò possa stimolarli a

proseguire nel comportamento deviante.

Risulta interessante l’art. 11 (Ricorso a misure extragiudiziarie) in quanto propone un

lavoro sul minore che sia finalizzato a favorire - in linea con la già citata definizione di salute

dell’OMS - il benessere sociale, nell’ottica di promuovere questa dimensione che è quella che

maggiormente permette la soluzione di dinamiche legate all’etichettamento, e consente di trovare

strategie alternative a quelle devianti, trovando una nuova collocazione all’interno della

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comunità. Questo percorso risulta già avviato dalla Giustizia Minorile Italiana, che da tempo

ricerca collegamenti ed aperture all’esterno e che con il “Progetto ‘98 – (Nuovi programmi per la

giustizia minorile”) 8 intende intensificare le proprie iniziative in tale direzione. Tra le misure

extragiudiziarie viene ad esempio proposto (art. 11.4) di compiere sforzi per organizzare

programmi per la restituzione dei beni e il risarcimento delle vittime. E’ infatti all’attenzione

dell’UCGM favorire e meglio regolamentare la “messa alla prova” e la “mediazione penale” (art.

28 del D.P.R. 448/88). Questi strumenti si pongono nell’ottica della “giustizia riparativa”

(Palomba, 1991), attraverso strategie che realmente permettano la riparazione del danno

prodotto. Un tale atto è fondamentale per la psicologia umana, come ampiamente dimostrato da

Melanie Klein (1978), la quale afferma che se ciò non avviene l’atteggiamento nei confronti

dell’esterno rimane quello di aggredire e di essere, o sentirsi, continuamente perseguitato.

Necessario per operare positivamente sul minore è - con i termini delle “Regole” - la

Specializzazione dei servizi di Polizia (art. 12); essi infatti devono ricevere un’istruzione e una

formazione speciale. La formazione permanente del Corpo di Polizia Penitenziaria deve avere

un’importanza centrale, in quanto gli agenti operano continuamente a contatto con il minore, la

cui salute perciò è strettamente legata alla professionalità della Polizia. La possibilità di produrre

cambiamenti è forte per gli agenti per diversi fattori:

• il primo, già citato, è quello della quantità di tempo che il minore e la polizia trascorrrono

fianco a fianco. Si presentano così molteplici contesti e situazioni diverse, in cui il poliziotto

riveste il ruolo dell’adulto ed ha quindi un’importanza centrale dal punto di vista educativo.

• La polizia rappresenta inoltre per il minore un modello in quanto figura forte, detentori di un

potere di controllo a cui può porsi in contrapposizione ma che comunque risulta per lui

importante.

8 UCGM “Progetto ‘98”, Documento interno. 1998.

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• I giovani che entrano nel circuito penale hanno di frequente un rapporto complesso e

conflittuale con l’autorità, la polizia rappresenta appunto l’autorità. Sarebbe di importanza

centrale offrire la possibilità di impostare una nuova relazione con la figura dell’agente e con

ciò che essa rappresenta. Pur rimanendo nell’ambito delle possibilità offerte da un contesto

carcerario, realizzare quanto affermato rappresenterebbe un risultato di grandissima

importanza dal punto di vista della dinamica intrapsichica; elaborare, infatti, un nuovo

modello di autorità rappresenta un passo fondamentale nell’evoluzione psichica. Inoltre ciò

implicherebbe un cambiamento dell’approccio interpersonale, del rapporto del minore con chi

lo circonda e si rivelerebbe di grande utilità per il reinserimento nella società. Per realizzare

ciò non sono necessarie particolari competenze psicologiche, ma l’impostazione di una

corretta relazione interpersonale.

La formazione e l’aggiornamento sono centrali non solamente per la polizia ma per

tutto il personale, come viene affermato dall’art. 22.1: La formazione professionale ,

l’aggiornamento, i corsi di riqualificazione e altre iniziative appropriate di insegnamento

tenderanno a fornire e a sostenere la necessaria competenza del personale che si occupa di

minori. Si deve tendere verso un modello di “formazione permanente”, intendendo con questo

termine non tanto una ripetizione di corsi che, proposti dall’alto, forniscano informazioni al

personale, poiché il rischio di questa impostazione - pur sempre utile - è che i contenuti non

vengano elaborati dagli operatori e, quindi, non calati nella prassi operativa. Si deve piuttosto

intendere la formazione come stimolare “l’organizzazione ad apprendere da se stessa”. Questa

impostazione - attualmente molto utilizzata dalle organizzazioni - spinge a riflettere sul proprio

agire. Consiste di alcune fasi distinte anche se strettamente connesse tra loro:

1. progettazione ed attuazione dei vari aspetti della prassi operativa: interventi, trattamento, etc.;

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2. monitorizzazione e valutazione dei risultati;

3. impostazione della prassi in base ai risultati ottenuti;

tale percorso (punti 1, 2 e 3) viene reiterato continuamente.

La formazione permanente rende attivi gli operatori, permette di far riferimento alla grande

esperienza posseduta dall’organizzazione, favorisce l’individuazione di strategie adeguate al

contesto in cui vengono attuate. Una prima esperienza di lavoro in questa direzione è stata messa

in atto, all’interno della giustizia minorile italiana, dalla Scuola di Formazione della Personale

Minorile di Castiglione delle Stiviere.

Un altro aspetto del contesto di centrale importanza è quello della presenza di

ultradiciottenni all’interno degli Istituti Penali Minorili. L’alto numero di maggiorenni, infatti,

comporta notevoli difficoltà nell’impostazione di un trattamento specifico per i minori e produce

inoltre l’inserimento di dinamiche interpersonali legate al sistema di valori dei devianti adulti;

ciò risulta estremamente dannoso e diseducativo per i ragazzi, che con facilità imitano

determinati modelli. Va tuttavia considerato che potrebbe essere altrettanto negativo per un

minore il doversi trasferire in un istituto per adulti al compimento del diciottesimo anno di età. In

Italia l’art. 24 del D.P.R. 272/89 regolamenta la presenza delle persone tra i diciotto e ventuno

anni all’interno degli IPM, provocando una forte presenza di questi soggetti (44.2%, dati UCGM

indicanti la media delle presenze del 1997). E’ intenzione dell’Ufficio Centrale per la Giustizia

Minorile proporre modifiche legislative che evitino l’automatismo che consenta la permanenza

degli ultradiciottenni negli IPM e permetta, invece, una valutazione ad personam , per stabilire

quale sia, nel singolo caso, la scelta più opportuna da effettuare.

In sintesi, per quanto riguarda la specificità del servizio medico, le Regole di Pechino

affermano che il minore detenuto ha diritto ad un’assistenza sanitaria impostata secondo la

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specificità individuale della persona e, quindi, congruo alle sue esigenze. È necessario che si

investa adeguatamente in questo fondamentale settore o che si realizzi un serio lavoro di

collaborazione con la sanità pubblica, nel caso in cui non sia possibile raggiungere adeguati

standard come avviene in alcuni stati europei e come viene esplicitato nella seguente parte del

capitolo.

Da queste riflessioni si evidenzia in oltre che per lavorare correttamente sulla salute

dei minori negli istituti penali è necessario creare un contesto che favorisca la crescita sana

dal punto di vista fisico, psicologico e sociale del minore. I corsi specifici, i programmi di

educazione sanitari e di educazione alla salute sono importanti solamente se inseriti all’interno di

tale contesto, altrimenti rischiano di essere inutili se non controproducenti, in quanto portatori di

messaggi contraddittori: se da un lato si “parla” di salute e dall’altro si “agisce”, si creano

relazioni e contesti non sani. La normativa internazionale ed in particolare le Regole minime per

l’amministrazione della giustizia minorile sostengono questa tesi riservando grande attenzione al

contesto in cui viene inserito il giovane.

3.2 NORME PENITENZIARIE EUROPEE

(Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° R(87)3 del 12 febbraio 1987)

Nell’ambito della normativa Europea particolare attenzione deve essere riservata alle

Regole penitenziarie europee che, oltre a dedicare alcune regole specifiche al tema della salute

negli Istituti Penitenziari, fanno riferimento a una visione globale del problema, in termini di

qualità del trattamento del detenuto. La garanzia di un adeguato livello di qualità del trattamento

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nell’istituto penitenziario dipende da una buona gestione dello stesso. A questo proposito

riteniamo pregnanti le parole di Daga (Comucci Presutti, 1989, Giuffrè) quando scrive: “Il

benessere dei detenuti dipende in maniera decisiva dal benessere del personale penitenziario”;

secondo un punto di vista che considera il benessere non come uno stato ascrivibile all’individuo

in quanto entità isolata, ma come qualità del rapporto tra individuo e contesto, qualità delle

interazioni, qualità dell’essere con l’altro.

Una breve introduzione ci permetterà di comprendere le origini e la storia del testo

normativo.

Le “Regole penitenziarie europee” sono contenute nella raccomandazione N° R(87)3

approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 12 febbraio 1987. La stesura del

testo normativo è opera del Comitato di Cooperazione Penitenziaria, composto da cinque esperti

eletti dal plenum del Comitato Europeo dei Problemi Criminali di Strasburgo. La

raccomandazione R(87)3 del 1987 costituisce un aggiornamento delle “Regole minime per il

trattamento dei detenuti” Ris. (73)5 del 1973. La revisione di tali Regole è nata dall’attenzione

che il Consiglio d’Europa ha sempre riservato al problema della devianza nell’ambito della sua

attività rivolta alla promozione del progresso sociale. La Risoluzione N°(56)3 del Comitato dei

Ministri, ha l’obiettivo di conferire autorità ufficiale al Consiglio d’Europa e di promuovere al

tempo stesso una collaborazione tra quest’ultimo e le Nazioni Unite. La diretta conseguenza di

tale risoluzione è la creazione nel 1957, del Comitato direttivo per i problemi criminali,

successivamente denominato Comitato europeo per i problemi criminali, al quale è affidata la

responsabilità di gestire la materia criminologica e penitenziaria nell’ambito delle attività del

Consiglio d’Europa.

La revisione, avvenuta nel 1987, delle Regole penitenziarie europee risponde all’esigenza

recepita dal Consiglio d’Europa di rivedere tale normativa alla luce dei mutamenti storico-sociali

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che hanno influito sull’andamento della devianza nei paesi europei, dei più recenti sviluppi delle

scienze umane e dei cambiamenti che hanno interessato la filosofia a fondamento del trattamento

penitenziario. Le Regole nascono, dunque, dalla necessità di garantire uno standard minimo

di qualità della gestione degli istituti penitenziari, affinché garantito un trattamento

penitenziario che ispirato a principi umanitari, nel rispetto della dignità della persona.

Come afferma Comucci, Presutti (1989, Giuffrè) “ Benché prive di efficacia vincolante

sul piano del diritto internazionale, le regole hanno valore di codice deontologico per

l’amministrazione penitenziaria ed il trattamento”. Esse devono costituire, dunque, una guida

e un codice deontologico per le amministrazioni penitenziarie degli Stati membri che vi hanno

aderito; nell’ultima versione, oltretutto il loro valore di vincolo è stato rafforzato facendo obbligo

alle amministrazioni di rispettare tali norme. Inoltre il Comitato di cooperazione penitenziaria

svolge svolta anche una funzione di verifica e di controllo sul grado di adeguamento delle varie

amministrazioni penitenziarie. Nel 1978 è stata avviata una prima inchiesta tesa a rilevare il

grado di attuazione delle regole penitenziarie nei paesi europei; tutto ciò ha avviato un processo

di collaborazione con le varie amministrazioni penitenziarie dei paesi membri, che ha favorito

una maggiore attenzione ai principi sanciti dalle regole.

La parte iniziale del testo normativo è rappresentata da sei regole fondamentali, che ne

costituiscono il preambolo. In esso sono sanciti i principi fondamentali, inderogabili, che

ispirano la filosofia del trattamento penitenziario, ai quali ogni Amministrazione dovrebbe fare

riferimento. Le sei regole del preambolo rappresentano i criteri superiori a cui tutte le altre regole

devono conformarsi. Essi sono, come riassume Daga (Comucci, Presutti, 1989, Giuffrè): “il

rispetto della dignità umana, il rifiuto di ogni discriminazione, la definizione di trattamento, la

necessità di controlli imparziali sull’operato dell’Amministrazione, il ruolo dell’autorità

giudiziaria nell’assicurare il rispetto della legalità dell’esecuzione delle pene”.

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Tali principi danno grande rilevanza al tema della salute come qualità della vita nel

contesto di detenzione secondo una prospettiva non strettamente medica, ma di prevenzione e

promozione della salute nei suoi diversi aspetti fisica, psichica e sociale. La stessa Daga

evidenzia nell’introduzione alle Regole (Comucci, Presutti, 1989, Giuffrè), come il testo

sottolinei “indirettamente la dannosità intrinseca del Carcere, indicando tra gli obiettivi del

trattamento quello di ridurre al minimo gli effetti pregiudizievoli della detenzione”. A questo

proposito risulta fondamentale il concetto di buona organizzazione e gestione dell’Istituto

Penitenziario, perché la qualità della detenzione è una proprietà e un prodotto della sua stessa

organizzazione. Non vi sono dunque figure preminenti a cui è deputato il compito di tutelare il

benessere del detenuto; esso deve essere l’obiettivo di ogni prassi, alla realizzazione del quale

concorre tutto il personale penitenziario.

La prima regola costituisce una vera e propria meta-regola, chiarendo che “la privazione

della libertà deve essere attuata in condizioni materiali e morali che assicurino quale rispetto

della dignità umana conformemente alle presenti regole”. Questa prima regola oltre a sancire un

principio etico-morale fondamentale, quale rispetto della dignità umana, rafforza il valore di

vincolo, per le amministrazioni penitenziarie dei paesi membri, di tutte le altre regole. Inoltre

essa evidenzia il valore sistemico del testo normativo, intendendo che il rispetto della dignità

umana è ciò che emerge dall’insieme delle regole.

Dello stesso tenore appare la seconda regola, che sancisce l’equità e l’imparzialità con

la quale devono essere applicate le regole. Tenendo conto della riduzione della libertà

fondamentale della persona avvenuta, così come scritto nella prima regola, con la “privazione

della libertà”, la seconda intende porre un argine di tutela degli altri diritti fondamentali degli

individui quali: la libertà di idee, di culto, e il diritto di essere considerati con equità di fronte alla

legge oltre ogni appartenenza di razza, religione, politica o di estrazione sociale.

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Estremamente importante è la terza regola, che fa riferimento esplicito alla tutela della

salute dei detenuti: “Il trattamento dei detenuti deve essere indirizzato a tutelarne la salute, a

salvaguardarne la dignità e, nei limiti consentiti dalla durata della pena, deve sviluppare il loro

senso di responsabilità, metterli in grado di reinserirsi socialmente, di vivere nel rispetto della

legge nonché di provvedere alle loro necessità una volta tornati liberi”.

In questa regola, accanto alla necessità di tutelare la salute e la dignità dei detenuti, si

evidenzia l’importanza che il trattamento sia volto a svilupparne il senso di responsabilità e a

favorirne il reinserimento sociale. Anche se non esplicitamente, questa regola inquadra il

problema della salute nella sua accezione più recente. Responsabilità e inserimento sociale sono

due importanti condizioni del benessere sociale: essere responsabili, ovvero essere in grado di

rispondere al contesto sociale delle conseguenze delle proprie azioni, significa assumere un ruolo

attivo, considerare che le proprie azioni modificano il proprio ambiente vitale e che questo, a sua

volta, genererà delle risposte. Essere responsabili e inserirsi socialmente significa comprendere

che l’adattamento è un processo dinamico e circolare che innesca un cambiamento della qualità

delle interazioni individuo-contesto. Tutto ciò evidenzia un mutamento della filosofia di fondo in

ambito penitenziario che è ben espressa in Comucci, Presutti (1989): “Il modo di intendere il

trattamento si è profondamente modificato: si è passati da sistemi specificamente preordinati ad

influire sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei detenuti a modelli basati sull’incitamento a

sviluppare attitudini sociali e risorse personali che migliorino le possibilità di riuscita del

reinserimento sociale”. Si è passati, dunque, da un modello ortopedico della correzione degli

atteggiamenti e dei comportamenti scorretti, ad un modello ecologico, che si fonda sullo

sviluppare le competenze sociali degli individui per entrare in relazione con il proprio ambiente

ed aumentare il senso di autoefficacia soggettiva. Dunque nel testo della terza regola i concetti di

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responsabilità e di reinserimento sociale accrescono il senso di tutela della salute

comprendendone anche la sfera del benessere sociale e psicologico.

Dalla regola 14 alla regola 19 l’attenzione viene posta sulla qualità dei locali di

detenzione, che essi devono rispondere anzitutto “alle esigenze della salute e dell’igiene” (regola

n.15). In questa parte, si sottolinea l’importanza che le caratteristiche fisico-strutturali degli

Istituti Penitenziari, hanno sulla vivibilità della condizione detentiva. Daga si spinge oltre,

affermando che la filosofia ispiratrici di queste regole è individuabile nell’idea che le condizioni

fisico-ambientali condizionino il comportamento degli individui. Un ambiente che risponde a

determinati criteri di igiene, funzionalità e gradevolezza può costituire una condizione

fondamentale alla percezione di un contesto sano sia dalla parte della popolazione in stato di

detenzione che di tutto il personale in essa operante. Ancora una volta viene ribadito il concetto

di interconnessione della qualità della vita dei detenuti a quella degli operatori. Nella regola

19, si sottolinea ancora l’importanza che “tutti i locali di ogni istituto siano mantenuti in perfetto

stato di conservazione e pulizia”.

Dalla regola 20 alla regola 25 vengono dettate norme relative all’igiene personale, al

vestiario e all’alimentazione. Sviluppare la massima attenzione a questi aspetti è basilare per non

contravvenire alle norme internazionali e nazionali, inoltre, costituire un contesto basato sulle

fondamentali norme igieniche, ha una forte valenza educativa. Ciò è confermato dal fatto che,

come risulta dal capitolo relativo alla “Analisi del sistema di tutela della salute negli IPM” (c.f.r.

cap. 5), i minori necessitano sia di formazione che di informazione circa l’igiene, in quanto sono

spesso privi di conoscenza delle pratiche più basilari.

La regola 25 specifica che devono essere rispettate le norme alimentari dettate dalle

differenti pratiche di culto, garantendo ad ogni detenuto la possibilità di non contravvenire al

statistica
cap e par
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proprio credo, a questo proposito, dalla nostra ricerca (c.f.r. cap. 5) risulta che negli Istituti

italiani c’è un convinto rispetto delle norme religiose.

Dalla regola 26 alla regola 32 vengono dettate norme relative ai servizi sanitari. Si

specifica che ogni stabilimento deve fornire un servizio sanitario ai detenuti secondo criteri

qualitativi paragonabili a quelli della collettività. Esso “dovrebbe essere realizzato anche in

stretta relazione con l’amministrazione generale del servizio sanitario della comunità o della

nazione” affermando, comunque, che “ogni stabilimento deve disporre di almeno un medico

generico” (regola 26). Deve, inoltre, essere garantito il diritto alla maternità per le detenute, la

possibilità cioè, di tenere con sè i figli, in modo da permettere loro di nutrire il bambino, di

accudirlo e sviluppare con lui legami personali, ciò che Bowlby (1969) definisce fase

dell’attaccamento. Devono, inoltre, essere organizzati degli asili-nido, con personale qualificato,

per garantire un ambiente corrispondente al livello qualitativo dell’esterno sia per la madre sia

per il bambino. Le visite mediche devono essere tra l’altro finalizzate sia alla valutazione dello

stato di salute all’ingresso in istituto, sia a “rilevare le deficienze fisiche o mentali che

potrebbero essere di ostacolo al reinserimento dopo la liberazione” (regola 29). Esiste, dunque,

grande attenzione al reinserimento che non deve essere seguito solamente dal punto di vista

psicologico e sociale, come indicato nel precedente paragrafo, ma anche dal punto di vista fisico.

In oltre le visite mediche hanno anche la funzione di monitorare continuamente lo stato di salute

fisica e mentale del detenuto con la frequenza imposta dalle regole ospedaliere. Il medico ha

rilevanti responsabilità, in quanto deve fare rapporto al direttore dell’istituto in diversi casi:

• se ritiene che la salute fisica e mentale del detenuto sia stata o sarà pregiudicata dalla

detenzione (regola 30),

• in seguito alle ispezioni che effettua regolarmente in relazione a: (regola 31)

◊ qualità e quantità del cibo e dell’acqua,

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◊ igiene e pulizia dello stabilimento e dei detenuti,

◊ impianti tecnici dell’istituto,

◊ qualità e pulizia degli indumenti e della biancheria da letto dei detenuti.

Il direttore deve prendere in considerazione le relazioni ed i suggerimenti del medico adottare

immediatamente le misure idonee, nel caso in cui ciò non sia di sua competenza, trasmettere le

sue osservazioni e la relazione medica all’autorità superiore.

Le regole successive sviluppano per altri aspetti del trattamento – interessanti, ma la cui

analisi richiederebbe uno spazio non disponibile nel presente lavoro - quali la disciplina e le

punizioni, i mezzi di coercizione, i contatti col mondo esterno, l’assistenza religiosa e morale. In

oltre considerati altri fattori di grande importanza, come quelli relativi al personale, alla sua

funzione ed al suo ruolo educativo, alla necessità della collaborazione ed integrazione tra figure

differenti e affrontano i temi dell’educazione, del lavoro, dell’istruzione, dello sport e del

reinserimento.

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3.3 LA GIUSTIZIA MINORILE IN EUROPA: MODELLI DI INTERVENTO

E’ utile sviluppare un confronto tra le diverse istituzioni nazionali come indicato

espressamente dalle norme di Pechino; ciò può essere utile per raccogliere suggerimenti ed

indicazioni che potrebbero rivelarsi utili per il sistema italiano o per valutare gli aspetti più

innovativi del nostro sistema.

Francia

La direzione della Protection Judiciaire de la Jeunesse (precedentemente direzione

dell’education surveillée) del Ministero della Giustizia francese ha come obiettivo la presa in

carico educativa dei minori e dei giovani adulti sottoposti a decisione giudiziaria.

Fino al 1945 la reclusione ha costituito la risposta principale alla delinquenza giovanile;

Successivamente, la legge e la prassi operativa hanno inserito altri approcci di tipo educativo. Il

sistema della Protection Judiciaire de la Jeunesse è basato su una stretta collaborazione tra

l’autorità giudiziaria ed il settore educativo. L’originalità della protezione giudiziaria in Francia è

basata sulla volontà di creare un diritto minorile unitario, la cui specificità è basata sulla

comprensione della personalità del giovane. Questo concetto è di grande importanza in quanto

l’individualizzazione del trattamento risulta essere di centrale importanza - come specificato

anche dall’art. 1 dell’Ordinamento Penitenziario italiano (L. 354/75) - anche se di difficile

attuazione. I Centri Polifunzionali previsti dal “Progetto ‘98”9dell’Ufficio Centrale per la

Giustizia Minorile sembrano andare anch’essi in questa direzione, in quanto rendono flessibile il

9 Op. cit.

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trattamento, dando la possibilità di utilizzare differenti tipi di strutture in base alle caratteristiche

del singolo minore ed in base alle fasi esistenziali del singolo minore.

La Protection Judiciaire de la Jeunesse è regolata da una legislazione specializzata che

da il mandato per l’assistenza a tre categorie di minori:

1. I minori delinquenti. L’Ordinanza del 2 febbraio 1945 sull’infanzia delinquente fissa un

principio di responsabilità attenuata per i minori, simile a quello italiano, e privilegia le

misure di protezione, d’assistenza, di sorveglianza e educative rispetto alla sanzione penale.

2. I minori in pericolo. L’Ordinanza del 23 dicembre 1958 ha esteso le competenze dei

tribunali minorili anche ai minori in pericolo. La legge del 4 giugno 1970 integrata negli artt.

375 e seguenti del Codice Civile insiste sulla necessità di mantenere il minore, ogni volta che

sia possibile, all’interno della propria famiglia, e stimola il giudice minorile a favorire

l’adesione dei genitori alle misure educative stabilite.

In effetti il lavoro che tende a coinvolgere il sistema familiare del minore è di centrale

importanza poiché, se non si affronta questa dimensione, si rischia di inficiare i risultati sia

delle misure alternative che del trattamento penitenziario.

3. Giovani adulti. I giovani tra i 18 e i 21 anni che trovano difficoltà nell’inserimento sociale, e

dunque a rischio, possono essere sostenuti dalla Protection Judiciaire de la Jeunesse e quindi

dal giudice minorile tramite misure giudiziarie.

Tali misure non costituiscono una forma di controllo - in quanto sarebbero sicuramente

rifiutate e fatte fallire dall’adolescente - ma un reale sostegno, realizzando una forma di

prevenzione secondaria. La prevenzione ha una grandissima importanza, in quanto è ben noto

che il recupero di un delinquente è particolarmente complesso mentre intervenire in tempo

produce grandi risultati sia per l’individuo che per la collettività.

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La Protection Judiciaire de la Jeunesse ha in carico 270.000 giovani, affidati dai tribunali

minorili (137 tribunali, 305 giudici). Nel 1995 la suddivisione era la seguente:

• 205.815 minori in pericolo,

• 51.933 minori delinquenti,

• 9.164 giovani adulti.

L’insieme di questi giovani può essere oggetto sia di misure civili che penali.

La Direzione della Protection Judiciaire de la Jeunesse dispone di:

• un settore pubblico (6083 funzionari) che comprende un’amministrazione centrale, 15

direzioni regionali e 100 direzioni dipartimentali dislocate in: 443 luoghi di lavoro, 369 stabili

e servizi di cui:

◊ 98 servizi educativi presso i tribunali minorili,

◊ 36 focolari d’azione educativa,

◊ 235 centri d’azione educativa, unità di controllo educativo rafforzato.

• un settore associativo, composto di 449 associazioni, 1009 stabili e servizi che impiegano

24.000 persone.

La collaborazione tra l’autorità giudiziaria ed il settore educativo si esplicita in campi

diversi:

• Le misure d’indagine, ordinate dai magistrati ed eseguite dai servizi della Protection

Judiciaire de la Jeunesse sono:

◊ le inchieste sociali,

◊ le indagini e gli orientamenti educativi,

◊ il ricorso ad esperti psicologi e psichiatri,

◊ le inchieste rapide.

• Le diverse prese in carico per l’assistenza educativa, che e sono:

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◊ le misure di presa in carico quando il minore dimora nel proprio ambito naturale,

◊ le misure di presa in carico quando il minore dimora in un centro (focolari, centri di

formazione professionale, famiglie di accoglienza).

• La materia penale, nella quale si annoverano:

◊ le azioni di riparazione,

◊ le misure di libertà sorvegliata,

◊ le misure di collocamento in un centro appropriato (focolari, famiglie di accoglienza ...),

◊ la preparazione del “rientro” per i minori incarcerati.

ed inoltre:

◊ l’orientamento ed assistenza ai minori all’interno dei Tribunali Minorili,

◊ la permanenza e il sostegno educativo precedente all’eventuale carcerazione,

◊ la sospensione del processo con messa alla prova,

◊ i lavori socialmente utili,

◊ la libertà sorvegliata.

Tuttavia, la Protection Judiciaire de la Jeunesse non può rispondere all’insieme delle

problematiche dei minori presi in carico, per cui si sforza di utilizzare le risorse di altre

Amministrazioni e degli Enti Locali, lavorando di concerto si con il Ministero dell’educazione,

per la lotta all’abbandono scolastico che con il Ministero del Lavoro e della Solidarietà, per

favorire l’ingresso nel mondo del lavoro.

Le figure professionali impiegate sono:

◊ educatori,

◊ assistenti sociali,

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◊ insegnanti tecnici,

◊ psicologi,

◊ infermieri,

◊ medici psichiatri (a parcella),

◊ personale amministrativo.

Budget per il 1998 è di 2.6 miliardi di franchi.

Inghilterra

La legge sull’infanzia del 1989 è stata considerata in Inghilterra come il testo legislativo

più radicale che sia stato promulgato in tema di infanzia. L’interesse del minore diviene

prioritario per tutte le amministrazioni, tribunali inclusi.

• I principi seguenti fissano il quadro legislativo:

◊ Art. 44 e Art. 1(1) Legge sui fanciulli e sui giovani (1933): dovere di ogni tribunale di

considerare prioritario l’interesse del minore.

◊ Art. 19(1): La maggior parte dei minori delinquenti devono essere considerati minori in stato

di bisogno.

◊ Annesso 2, par. 7: Tutte le autorità locali devono prendere misure destinate ad incoraggiare i

giovani a non commettere delitti e a ridurre la necessità di avviare procedure penali nei

confronti dei giovani; la prevenzione risulta avere, dunque, un’importanza centrale.

I Tribunali per minorenni sono costituiti da giudici non togati che hanno esperienza e

training per portare avanti il ruolo all’interno dei tribunali minorili. La responsabilità della

sorveglianza appartiene all’équipe giudiziaria territoriale, la quale propone l’adozione di misure

al Tribunale, insieme ad un approfondita scheda di valutazione individuale. Dunque il ruolo delle

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équipe è centrale nell’impostazione delle misure; ciò avviene, parzialmente, anche in Italia.

Tuttavia, appare importante rafforzare il ruolo dei Servizi della Giustizia, come risulta dagli studi

realizzati dall’UCGM sull’applicazione del DPR 448/88.

Sempre maggiore spazio viene riservato in Inghilterra alla prevenzione della criminalità,

in quanto si è stimato che ciò riduce il tasso di recidiva e favorisce il sentimento di tranquillità

nella popolazione. Vengono, inoltre, proposti programmi di formazione professionale utili per

l’inserimento sociale dei minori.

Spagna

Questa presentazione riguarda il dipartimento di giustizia della Catalogna - Direzione

generale per la giustizia minorile. Le procedure applicabili ai giovani delinquenti si basano sulla

legge costituzionale n. 4/1992, relativa alla riforma del Tribunale per Minorenni. I tribunali per i

minori sono competenti per i reati commessi, secondo le leggi penali vigenti, dalle persone con

più di 12 anni e meno di 16.

I principi generali della legge sono:

• Una struttura flessibile per valutare la responsabilità giuridica del minore e, dunque, la sua

punibilità.

• La direzione delle investigazioni è nelle mani di un magistrato, che ha ampie facoltà circa

l’impostazione del processo.

• Un limite temporale per la detenzione, possibilità di sospendere la decisione e la revisione

delle misure adottate in accordo con le condizioni del minore.

Devono essere rispettate le garanzie procedurali stabilite dalla costituzione spagnola. Le

leggi dello stato spagnolo sono state elaborate in accordo con le direttrici della convenzione del

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diritto del bambino dell’ONU e con le raccomandazioni internazionali promulgate in questo

campo.

Procedure della legge costituzionale n. 4/1992 relativa alla riforma del Tribunale per

Minorenni.

• Il responsabile delle indagini può richiedere tutti i tipi di referti tecnici e l’applicazione di

misure alternative.

• Se il minore accetta la riparazione alla vittima il procedimento può essere archiviato.

• Le pene non possono superare i due anni.

• Le misure possono essere ridotte o cancellate se le relazioni sullo sviluppo del minore sono

positive.

• Misure:

◊ reclusione da una a tre settimane – week end,

◊ messa alla prova,

◊ collocamento in un altro nucleo famigliare,

◊ inserimento in comunità,

◊ trattamento diurno o in un centro terapeutico,

◊ inserimento in un centro aperto, semiaperto o chiuso.

Presentazione dei programmi di trattamento:

• L’obiettivo è l’integrazione sociale del reo; ciò viene realizzato attraverso misure educative e

terapeutiche, di formazione, di orientamento ed inserimento lavorativo,

• Vengono potenziati tutti quegli aspetti personali che potranno aiutarlo a reinserirsi nella

società.

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• Tutto ciò avviene sia per chi è recluso sia per chi gode di misure alternative.

Risulta particolarmente interessante l’attenzione del sistema spagnolo al reinserimento

lavorativo in quanto, come da loro dimostrato con specifiche indagini, è questo un percorso

basilare per favorire l’integrazione sociale.

3.4 ANALISI COMPARATIVA DELLA LEGISLAZIONE EUROPEA. RAPPORTO TRA

LA TUTELA DELLA SALUTE E LA DETENZIONE

3.4.1 Premessa

Risulta importante possedere un quadro della situazione giuridica nei vari paesi europei

riguardo alla relazione tra salute e detenzione. La normativa specifica per i minori in questo

campo, in Italia ad esempio, non è ancora stato emanato un Ordinamento Penitenziario come era

previsto dalla legge 354 del 1975. Su tale questione il diritto nei vari stati, dal punto di vista in

questione, risulta avere punti comuni insieme a notevoli differenze.

Un detenuto su cinque è recluso per problemi di tossicodipendenza, uno su quattro è

originario del continente africano, 7.000-10.000 detenuti soffrono di patologia mentale ed i

tossicodipendenti reclusi dichiarano, una volta su due, di aver avuto degli antecedenti

psichiatrici10, la proporzione di detenuti HIV positivi cresce regolarmente come il numero di

suicidi. Tutte queste cifre sulla situazione della salute in Europa e le altre disponibili hanno un

10 Citato in J.-P.Jean, L’inflation carcérale in La prison à la dérive, Esprit, oct. 1995, p. 20.

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punto in comune: la questione dello stato di salute della popolazione penale all’inizio della

detenzione, come durante l’esecuzione della pena si profila come un problema essenziale degli

anni futuri per il mondo carcerario.

Per lungo tempo, nei diversi Stati europei, la questione della salute negli istituti

penitenziari è stata considerata una questione interna al mondo carcerario, che non concerneva il

procedimento penale e la legislazione. Allo stesso modo il campo della salute mentale è stato

considerato di stretta competenza della psichiatria, la quale ha spesso - più che la giustizia -

legittimato il trattamento penale. La giurisdizionalizzazione dell’esecuzione penale, la

legislazione sugli stupefacenti, l’apertura del mondo carcerario ad altre logiche avevano, però,

già modificato quelle concezioni della salute nel mondo carcerario.

L’AIDS e la riforma della medicina carceraria hanno contribuito a modificare il

paesaggio. Dunque, la questione dello stato di salute dei detenuti merita di essere considerata

come un aspetto della procedura penale e considerata sotto due differenti luci:

• Lo stato di salute durante la detenzione, come l’integrità fisica e mentale, è assicurata dal

diritto?

• Lo stato di salute è un ostacolo alla detenzione? Come il diritto organizza la riflessione circa

tale questione?

3.4.2 Il diritto alla cura durante la detenzione

Il rapporto del 1993 dell’Alto Comitato della Salute Pubblica francese11 sulla salute in

ambiente carcerario, mette l’accento sull’insufficienza e l’inadeguatezza dei mezzi a

disposizione del servizio sanitario carcerario. Dopo il 1984, data della presa in carico dei

11 G. Chédorge, Santé en milieu Carcéral: rapport sur l’ameloration de la prise en charge sanitaire du détenu, Paris, HCSP, 1993.

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detenuti da parte del Ministero della Sanità, i rapporti dell’Ispettorato generale degli Affari

sociali proseguono nella stessa direzione.

In seguito ai risultati ottenuti da quando il servizio ospedaliero pubblico ha preso in

carico le cure per problematiche specialistiche (per es. psichiatria, AIDS), il legislatore francese

(legge 94-43 del 18 gennaio 1994, decreto n.° 94-929 del 27 ottobre 1994) ha preso la decisione

di affidare al servizio ospedaliero pubblico il compito di presa in carico globale della salute in

ambito pubblico, nelle dimensioni di cura e di prevenzione degli aspetti sia medici che

psicologici. Questa presa in carico si effettua attraverso la formalizzazione di protocolli d’intesa

tra l’istituzione carceraria e quella ospedaliera. Gli obiettivi assegnati alla sanità pubblica sono di

presa in carico globale riguardo alla prevenzione e alla cura, sia nel periodo di detenzione, sia in

quello successivo.

I compiti istituzionali della sanità pubblica si organizzano in quattro grandi aree:

1. le visite mediche di primo ingresso, con la finalità di realizzare una valutazione obbiettiva

della salute del singolo detenuto ed avere un quadro generale sulla salute all’interno degli

istituti penali;

2. le visite e gli esami, che necessitano di strutture specializzate, realizzate in ambito

ospedaliero;

3. l’organizzazione di un piano di intervento da realizzare successivamente alla liberazione,

realizzato in accordo con i servizi dell’amministrazione penitenziaria coinvolti nel

reinserimento;

4. il coordinamento di interventi di presentazione delle strutture sanitarie disponibili e di

programmi di educazione alla salute.

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I responsabili, per il Ministero della Sanità, della realizzazione della riforma12 insistono

sul fatto che la popolazione penale è caratterizzata da percorsi personali caotici e da uno scarso

accesso alle cure nel periodo precedente alla carcerazione; ritengono perciò fondamentale l’opera

di prevenzione ed il ricorso all’educazione alla salute. Essi arrivano alla conclusione - non

certamente nuova - che “problematiche psicologiche e relazionali, disturbi organici e tendenze

devianti si articolano e si rinforzano vicendevolmente”. Quindi, la riforma necessita di una

visione globale della salute e di alcuni fattori fondamentali:

1. la stretta collaborazione tra chi si occupa di salute all’interno e chi se ne occupa all’esterno

dell’istituzione penitenziaria;

2. un progetto globale di salute che tenga in considerazione la persona detenuta in tutte le sue

dimensioni;

3. la durata della presa in carico, affinché si instauri una relazione di fiducia, in modo che le

azioni iniziate all’interno dell’istituzione penale possano seguire all’esterno.

La problematica dell’AIDS ha senza dubbio avuto un ruolo propulsivo in ambito

sanitario penitenziario per stimolare alla realizzazione della riforma. Il Consiglio d’Europa,

infatti, nella raccomandazione R 93-6 sulla lotta all’AIDS in ambito penitenziario, afferma che a

tali detenuti bisogna assicurare le stesse cure offerte all’esterno.

Un’altra questione è relativa alla realizzazione dello screening per l’individuazione del

virus HIV, con il conseguente problema del rispetto dell’anonimato. Infatti, l’articolo D 378 cpp

francese fa obbligo al medico dell’Istituto di scrivere relazioni sullo stato di salute del detenuto,

utili al trattamento penitenziario e post penitenziario. Il Portogallo ha optato per lo screening

obbligatorio per tutti i detenuti; l’obbligo di segnalare all’amministrazione penitenziaria tutti i

12 Pré vention et éducation pour la santé dans le cadre de la réforme in La santé de l’Homme, n° 315, Santé in milieu carceral, Rev. du comité français d’education pour la santé.

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detenuti malati, sieropositivi sintomatici, non è raro (Belgio, Grecia, Irlanda, Lussemburgo,

Portogallo, Germania). La raccomandazione R 93-6 si è pronunciata a favore dello screening

libero, ritenendo che lo stato sierologico non è un’informazione necessaria e sta al medico,

secondo la propria deontologia, il compito di valutare se informare l’équipe e l’amministrazione

penitenziaria.

La prevenzione dell’HIV, con l’accesso dei detenuti ai preservativi ha sollevato delle

questioni fondamentali sulla sessualità in prigione. La raccomandazione 93-6 invita gli Stati

europei a rendere effettiva questo mezzo di prevenzione durante la detenzione, e lascia ad ogni

stato “la cura di scegliere la via più appropriata per la distribuzione, in funzione dell’evoluzione

della mentalità, del tipo di popolazione carceraria e del funzionamento di ogni proprio istituto”.

Una questione dibattuta è quella relativa all’isolamento, se quest’ultimo possa produrre

dei danni alla salute e se possa contravvenire all’art. 3 della “Convenzione europea sulla

salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Roma, 4 novembre 1950) il

quale afferma che nessuno può essere sottomesso a trattamenti inumani o degradanti.

L’isolamento non è considerato di per se stesso una violazione del citato art. 3; il

Consiglio d’Europa ha precisato che, per valutare se una misura di isolamento può essere

contraria all’art. 3, c’è bisogno di fare attenzione ad alcune condizioni particolari riguardanti la

misura: la durata, l’obiettivo perseguito, gli effetti sulla persona. Senza dubbio un isolamento

sensoriale, aggiunto ad un isolamento sociale assoluto, possono provocare una destrutturazione

della personalità e costituire una forma di trattamento inumano”13. Comunque nessuno dei ricorsi

relativi all’isolamento presentati alla Corte e alla Commissione europea è stato trovato in

violazione dell’art. 3.

13 cfr.Les conidtions deètention de la Convention européenne: Dossier sur les droits de l’homme, Conseil de l’Europe, Strasbourg, 1981, n°5.

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cfr.Les conidtions deètention de la Convention européenne: Dossier sur les droits de l’homme, Conseil de l’Europe, Strasbourg, 1981, n°5.
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L’obbligatorietà della cura è un tema fortemente dibattuto sia dal punto di vista

giuridico che trattamentale. La questione rimane aperta specialmente per quanto riguarda le cure

psicologiche e psichiatriche; queste, infatti, hanno successo esclusivamente se richieste

dall’utente, in quanto è necessaria la volontà dell’interessato a produrre il cambiamento. In

questa direzione si pone il Consiglio di Stato del Belgio il quale stabilisce che non si può

procedere alle cure se non con l’accordo del detenuto. Un’altra scuola di pensiero ritiene che

delle persone che non sono mai ricorse a delle cure potrebbero trovare stimolo nella offerta di

cura. Potrebbero, in un secondo tempo rendere propri gli obbiettivi terapeutici e promuovere così

un vero cambiamento. Ciò può essere valido particolarmente per i tossicodipendenti e gli

alcolisti.

Il reinserimento appare un aspetto fondamentale del trattamento, affinché il detenuto

ritrovi un minimo di stima in sé e di attenzione alla propria salute. Generalmente prima

dell’incarcerazione, egli non accedeva alle cure per ignoranza, negligenza o per un

comportamento autodistruttivo. Si potrebbe dunque considerare che i criteri di riduzione delle

pene potrebbero tenere conto degli sforzi del detenuto per superare sia i propri problemi di

dipendenza o da alcool, da sostanze psicotrope che i disturbi psichici. Questi elementi non sono

tuttavia considerati dagli artt. 720 e seguenti del c.p.p. francese e dai codici di procedura penale

di altri paesi europei.

3.4.3 Lo stato di salute come ostacolo alla detenzione

Può influire lo stato di salute sul collocamento e mantenimento in stato di detenzione?

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Il problema è reale; la detenzione, l’arresto e la custodia cautelare possono essere influenzati in

maniera diversa dallo stato di salute. Segue, dunque, un’analisi delle diverse misure.

Il fermo

Le condizioni di salute possono condizionare lo stato di fermo in maniera differente nei

diversi paesi europei. Diverse sono le modalità di espletamento della visita medica valutativa. In

Francia, prima della legge del 4/01/93, la visita medica, tesa all’per accertamento delle

condizioni per il mantenimento in stato di fermo poteva essere richiesta entro le 24 ore

esclusivamente dal procuratore. Dopo le 24 ore diventava un diritto del fermato richiedere la

visita medica. La nuova legge sancisce il diritto dell’interessato a farne richiesta anche nelle

prime 24 ore. In ogni caso, il medico è indicato dal procuratore e la visita medica mira a

verificare la presenza delle condizioni per la detenzione e per l’interrogatorio.

La legislazione sugli stupefacenti considera lo stato di salute del tossicodipendente

particolarmente precario, per cui ci sono maggiori garanzie e vengono favorite ulteriormente le

valutazioni mediche.

Nei vari paesi la visita è considerata un diritto libero del privato. In Germania non è

prevista la visita, ma sono la presenza dell’avvocato e la breve durata del fermo a garantire i

diritti. L’amministrazione penitenziaria, comunque, ha l’obbligo di garantire lo stato di salute,

poiché l’assenza di assistenza equivale alla realizzazione di maltrattamenti. In Gran Bretagna,

secondo il Police and Criminal Evidence Act del 1984 e secondo il codice amministrativo, deve

essere chiamato l’ufficiale di polizia se ci sono dubbi sulla salute fisica e mentale del fermato;

inoltre, se c’è maltrattamento fisico o psicologico non si tiene conto del contenuto della

confessione. In Spagna è l’avvocato a poter chiedere l’intervento del medico ma, quest’ultimo,

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non è di sua scelta. In Italia non è previsto il diritto alla visita ma viene concessa nel momento in

cui viene richiesta.

In sintesi, gli stati europei possono essere raggruppati in tre grandi categorie: quelli in cui

il controllo dello stato di salute viene offerto ed il fermato può scegliere se accettarlo (Danimarca

Finlandia), altri in cui esso avviene su richiesta (Germania, Belgio, Francia, Lussemburgo, Gran

Bretagna), altri ancora in cui viene attuato in caso di necessità (Malta, Portogallo, Svizzera).

La custodia cautelare

Lo stato di salute non è mai stato uno dei criteri giuridici che hanno condizionato la

durata o l’esecuzione della custodia cautelare, lo stato di salute del singolo detenuto e dei carceri

in generale sono problemi disconosciuti dal diritto e dalla procedura penale francese per due

ragioni:

1. si presuppone che l’amministrazione penitenziaria si prenda cura dello stato di salute dei

singoli e delle condizioni delle strutture;

2. in diritto la libertà è la norma, la detenzione l’eccezione. Dunque lo stato di salute passa in

secondo piano nelle strutture penitenziarie, deve essere valutato caso per caso (artt. 137-144

cpp.). Infatti la decisione di rimessa in libertà per motivi di salute rientra nella decisione

superiore ed autonoma del giudice di merito; può essere presa in considerazione la richiesta di

perizia medica della procura o della difesa, ma la valutazione ultima rimane al giudice, il

quale valuta in base alla specificità del caso.

In Germania devono esistere alcune condizioni perché venga attuata la custodia cautelare:

1. forte sospetto di reato;

2. pericolo di recidiva, di inquinamento delle prova etc;

3. proporzionalità tra gravità del reato ed entità della custodia cautelare (art. 112 StPO).

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Lo stato di salute può costituire uno degli elementi che vengono proposti al giudice per valutare

le condizioni di proporzionalità (art. 455 StPO). Tuttavia la giurisprudenza raramente limita per

motivi di salute la custodia cautelare.

Il diritto spagnolo, al contrario di quello francese, non ritiene che la prigione sia un luogo

neutro rispetto allo stato di salute. L’art. 505 della Lej de enjuiciamiento criminal dispone che “il

giudice possa accordare la prigione attenuata (è la misura corrispondente alla custodia

domiciliare italiana) quando, a causa di una malattia dell’accusato, l’incarcerazione può

costituire un grave pericolo per la sua salute.

Anche il diritto Italiano riconosce la possibilità di concedere gli arresti domiciliari per

motivi di salute particolarmente gravi (artt. 254 e 255 bis cpp). La giurisprudenza relativa a

questa norma ed il controllo della Corte di Cassazione14 testimoniano la volontà di ricercare un

equilibrio tra difesa sociale e stato di salute.

In Gran Bretagna si verifica una situazione simile a quella italiana in quanto è presente la

garanzia della visita medica di parte; tale visita deve essere realizzata in presenza del medico

dell’amministrazione penitenziaria.

In sintesi, i differenti diritti nazionali presentano notevoli differenze circa l’approccio

alla problematica dello stato di salute e gli effetti di questo sulla custodia cautelare.

Nell’ultimo decennio la diffusione dell’AIDS ha posto nuove problematiche, negli Istituti

Penali come in altre istituzioni. Il tasso di sieropositivi è molto alto e la carenza delle

infrastrutture medico-penitenziarie pone, in Europa, il problema della compatibilità tra

detenzione e AIDS. Il Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa ha adottato, il 12 febbraio

1987, la raccomandazione n° R(87)3 (“Regole penitenziarie europee”). Si tratta di

14 Confronta la giurisprudenza citata in Cassazione Penale: 969/85, 269/86, 1503/86, 593/86, 1471/87, 777/87, 1808/87, 1570/89, 157/90, 1056/91, 366/91, 1566/92, 1567/92

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raccomandazioni, non di norme legislative, agli Stati membri, per la definizione di politiche

comuni. La regola 26 afferma: “Per i detenuti malati che hanno bisogno di cure specializzate,

bisogna prevedere il trasferimento ad istituti specializzati o ad ospedali civili.” La formulazione

non implica la concessione di misure specifiche; infatti il trasferimento non equivale ad una

remissione in libertà, ma invita a non ricercare sistematicamente la soluzione dei problemi

sanitari all’interno dell’istituto penitenziario. La raccomandazione n°1080 del 1988 riprende lo

stesso concetto aggiungendo che “la liberazione, dei detenuti condannati, deve essere prevista

per ragioni umanitarie”.

L’AIDS ha evidenziato il limite delle strutture sanitarie carcerarie ed ha contribuito in

maniera determinante in Francia, come altrove, al “declassamento” della medicina penitenziaria

ad una funzione di miglioramento delle condizioni di cura all’interno negli Istituti penali. In

questa direzione è l’orientamento generale della raccomandazione n° R93-6 del Consiglio

d’Europa che si ispira al principio di fornire misure preventive e terapeutiche in maniera

equivalente ai detenuti ed alle persone esterne che usufruiscono del sistema sanitario generale.

Esiste, inoltre, un dibattito estremamente ampio, circa la compatibilità della detenzione

con gli stati avanzati della Sindrome di Immunodeficienza Acquisita. Si osserva che la

giurisprudenza francese, sebbene abbiano un approccio giuridico radicalmente differente e

sebbene il quadro sia in evoluzione, mantengono una filosofia di incompatibilità tra custodia

cautelare e quadro clinico dell’AIDS conclamato.

La condanna e l’esecuzione della pena

In Francia l’apertura di un procedimento penale obbliga ad avviare un’indagine di

personalità e una perizia psichiatrica; tuttavia l’esame medico-psicologico rimane facoltativo ed

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è la natura criminale dell’atto che da avvio alle indagini. La pena viene pronunciata senza tener

conto degli elementi di personalità, ma è nel corso dell’esecuzione della pena che riemerge il

problema dell’eventuale incompatibilità tra la pena e lo stato di salute. Lo stato di salute non

influisce quindi sulla condanna ma esclusivamente sull’esecuzione penale.

La giurisprudenza della Germania, invece, fissa la pena tenendo conto dello stato di

salute dell’imputato, dell’AIDS e delle speranze di vita limitate. Ciò è fondato sull’art. 46 StGB

che definisce i criteri per la definizione della pena e permette la valutazione della situazione

personale dell’imputato. Di seguito vengono analizzate le procedure e le decisioni che - dopo la

pronuncia della pena - possono condizionarne l’esecuzione in virtù dello stato di salute del

condannato.

Si può intanto ricordare la grazia, eredità del potere regale, che sopravvive nei vari Stati

europei sotto varie forme, tra loro molto simili. In Francia l’art. 17 della Costituzione assegna al

Presidente della Repubblica il potere di concedere grazia collettiva o individuale. Essa viene

concessa per motivi umanitari; a causa dei tempi procedurali, infatti la grazia è una misura che

può essere concessa per impedire ai condannati di morire in carcere. Esiste anche la grazia

condizionale, che sospende immediatamente l’esecuzione della pena. Negli altri paesi europei la

grazia conosce forme diverse. Nei Paesi Bassi può essere concessa col beneficio della

condizionale, in Germania può essere revocata. In Spagna può essere totale o parziale ma

comunque solo individuale, e può essere, inoltre, condizionale. In Gran Bretagna la grazia

dipende dall’Home Office, le giurisdizioni inviano i rapporti medici come appendice delle

proprie domande, che possono essere sollecitate dalle amministrazioni penitenziarie. In

Germania la grazia, pronunciata dalle autorità federali (art. 452 StPO), può essere concessa ai

condannati malati.

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La liberazione condizionale è un’altra norma connessa, talvolta, allo stato di salute del

condannato. In Francia, paese in cui è stata introdotta nel 1885, integra la nozione di stato di

salute del condannato tanto dal punto di vista processuale che nelle sue condizioni di fondo. E’

necessario un “progetto di intervento”, per quanto riguarda l’uscita dall’istituto penitenziario, che

può essere, ad esempio, un piano di disintossicazione dall’alcool (art 132-45-11° del codice

penale) o il regime di ospedalizzazione (art. 132-45-3°). Bisogna constatare che l’Istituzione

competente (il giudice per l’applicazione delle pene o il Ministero della Giustizia) dispone, per

legge, di informazioni sulla salute del condannato necessarie per valutare la domanda di

liberazione condizionale. Il giudice per l’applicazione delle pene dispone, secondo l’art. D 78

cpp, di un dossier sugli esami medici richiesti in virtù di una decisione giudiziaria; la

commissione per l’applicazione delle pene, che fornisce al giudice suddetto un parere sulla

liberazione condizionale, è costituita dal medico dell’Istituto e dallo psichiatra (D 117-1, cpp).

Con la legge n 89 del 1994 e con il decreto n. 886 del 95 viene resa obbligatoria la perizia

psichiatrica per valutare la pericolosità sociale del reo al fine della concessione della liberazione.

Con la raccolta di informazioni, presso il medico, la nozione di stato di salute irrompe con forza

nell’istruttoria di una decisione relativa allo stato di detenzione.

Esiste una notevole differenziazione tra le legislazioni degli altri paesi europei, riguardo

alla relazione tra liberazione condizionale e stato di salute. In Spagna, sebbene la liberazione

condizionale non possa essere concessa prima di aver scontato tre quarti della pena, ne possono

beneficiare i condannati affetti da malattie incurabili, secondo gli articoli 60 e 256 del

Regolamento penitenziario. Inoltre, il Ministero della Giustizia propone di interpretare i suddetti

articoli in senso ampio, in quanto il servizio sanitario penitenziario non è in grado di fornire cure

appropriate ai propri malati. Ad esempio, si è osservato che nel 1988 sono state accettate 34

domande sulle 75 proposte da malati di AIDS.

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Il nuovo codice penale francese e la legge del 16 dicembre 1992 hanno introdotto due

nuovi istituti giuridici: il frazionamento e la sospensione dell’esecuzione penale che possono

essere utilizzati, secondo il testo, in caso di grave motivo d’ordine medico. La giurisdizione può

decidere che una pena uguale o inferiore ad un anno può essere erogata in esecuzione frazionata

in un periodo di tre anni (art.132-27) oppure sospesa in base ad una decisione del giudice

dell’applicazione delle pene. Il diritto belga riprende tali innovazioni e le integra nel proprio

nuovo codice penale. Nel diritto spagnolo può essere utilizzato l’istituto della sospensione

dell’esecuzione penale in caso di gravi problematiche mentali del detenuto. In Germania la pena

può ugualmente essere sospesa (art. 57 e 57a StGB et 455 StPO) dal tribunale ed in questa

decisione si può tener conto dello stato di salute del condannato. La sospensione dell’esecuzione

penale è stata utilizzata per detenuti affetti da AIDS; in questo caso è l’istituzione penitenziaria

stessa che favorisce la sospensione, sia nel caso in cui sia presente uno stato depressivo, sia in

quello in cui il detenuto sia in grado di sopportare psicologicamente la detenzione. La

sospensione dell’esecuzione penale è presente anche in Italia sia nel codice penale (art. 146) che

quello di procedura penale in caso di grave patologia mentale (art. 684); la sospensione diventa

inoltreobbligatoria, dopo il decreto del 14 marzo 1993, per i malati di AIDS. In Gran Bretagna il

Segretariato di Stato ha il potere di sospendere la pena per motivi di salute (Prison Act 1952 §

28).

In sintesi, la relazione tra termine dell’esecuzione penale e stato di salute si è

complessificata. Essa non può essere solamente abbreviata o estinta in funzione della malattia,

ma può anche essere sospesa, frazionata o eliminata in maniera condizionale. Le problematiche

mentali possono giustificare il mantenimento in stato di detenzione, così come risolverlo.

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3.5 ASPETTI ETICI ED ORGANIZZATIVI DELLE CURE SANITARIE IN AMBIENTE PENITENZIARIO (Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. R (98)7

adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa l’8 aprile 1998)

La raccomandazione può essere riassunta in relazione ai due temi cui essa fa

principalmente riferimento: l’organizzazione del servizio sanitario carcerario e la tipologia del

trattamento sanitario.

In merito all’organizzazione del servizio sanitario carcerario la raccomandazione

invita gli stati ad assimilare tale organizzazione a quella dei rispettivi servizi sanitari nazionali.

Si afferma infatti che l’obbiettivo è quello che “le prestazioni sanitarie siano equivalenti a quelle

della comunità in generale”. Per raggiungere tale obbiettivo si afferma che “il ruolo del

ministero della Sanità dovrebbe essere rafforzato in materia di controllo dell’igiene, della

qualità delle cure e dell’organizzazione dei servizi sanitari” (art.12.). Infatti la “politica

sanitaria in ambiente carcerario deve essere coordinata con la politica nazionale sanitaria”

(art.10.). In questa direzione devono essere intensificate le collaborazioni con l’esterno nella

direzione di territorializzare l’intervento sanitario (art.3. e art.7.).

Quanto affermato in merito all’organizzazione del servizio sanitario carcerario è

espressione e rafforzamento delle linee di politica sanitaria già intraprese da alcuni stati europei

di cui la Francia è capofila. Questo tema è stato ampiamente affrontato nel capitolo relativo alla

normativa internazionale.

La tipologia del trattamento sanitario sottintende chiaramente un approccio alla salute

ed alla sua promozione in linea con quanto affermato dall’OMS, ovvero come approccio globale

alla persona sia negli aspetti fisici che in quelli psicologici e sociali. Nell’art.1 si afferma che

bisognerebbe porre l’accento sull’individuazione di disturbi psichici, l’adattamento psicologico

alla prigione, i sintomi di astinenza da droghe, medicine o alcool e le affezioni contagiose e

croniche . Devono poi essere garantite delle cure che per il sistema italiano sono ovvie come

quelle dentistiche (art.6) e degli altri specialisti. Viene posta molta attenzione alla salvaguardia

della donna e della maternità (art.8). Le sindromi particolarmente diffuse in ambiente carcerario

(AIDS, TBC, epatiti, tossicodipendenza, alcolismo, malattie mentali, etc.) devono essere

prevenute e curate in maniera specifica con particolare attenzione (artt.36-59). L’approccio alla

prevenzione ed all’educazione alla salute è particolarmente interessante (artt.26-29); come viene

proposto nel presente studio l’intervento in questo campo non deve essere costituito puramente

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da informazioni sulle problematiche in oggetto ma alo contrario “dovrebbe avere lo scopo di

incoraggiare lo sviluppo di stili di vita sani e permettere ai detenuti di prendere decisioni

opportune in merito alla loro salute e a quella della loro famiglia, di preservare e proteggere la

loro integrità personale, di diminuire i rischi di dipendenza e di ricaduta”. Il presente lavoro è

in linea con la risoluzione anche in merito all’attenzione posta nel reinserimento sociale, si

dovrebbe incoraggiare il detenuto a far uso di tutti gli strumenti esistenti per evitare una

ricaduta, sia durante la sua detenzione che dopo essere uscito dall’istituto penitenziario (art.

46), il trattamento sanitario del detenuto deve essere in continuità con quello della stessa persona

nel momento in cui si reinserisce nella società.

Infine grande attenzione viene posta alla formazione delle varie figure operanti negli

istituti penitenziari. Il personale sanitario deve sviluppare una specifica competenza rispetto

all’utenza in carico. Le altre figure professionali presenti nel carcere devono essere supportate da

formazione che riguardi la promozione della salute dei detenuti. Questa attenzione, che si sta

diffondendo nella Giustizia Minorile italiana, è assolutamente necessaria se si vogliono creare le

condizioni che favoriscano il recupero ed il benessere fisico, psicologico e sociale del detenuto.

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CAPITOLO 4

4 ANALISI DEL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE (O. La Greca)

4.1 NORMATIVA NAZIONALE E CIRCOLARI DEL DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA,

Il concetto di salute, nel solco della linea di pensiero tradizionale che lo qualificava come

uno “stato di equilibrio organico che traduce la normalità strutturale e funzionale dell’intero

organismo” (esente quindi da patologie) è rafforzato nell’Art. 32 della Costituzione Italiana,

nella quale la salute è intesa come un diritto fondamentale dell’individo ,da tutelare anche

nell’interesse della collettività.

, Una diversa ed integrativa interpretazione del concetto di salute è desumibile dalla legge

833/78, che prevede l’istituzione del S.S.N.,ove all’art. 1,che enuncia i principi e gli obiettivi, si

precisa… “Il S.S.N. è costituito da funzioni, strutture, servizi ed attività destinati alla

promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica...”

Più specificamente all’art. 2, gli obiettivi:vengono individuati nel modo seguente:

a) la formazione di una coscienza sanitaria;

b) la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene ambientale;

c) il perseguire la tutela della maternità e dell’infanzia;

d) la promozione della salute nell’età evolutiva.

A livello internazionale viene definito in maniera più precisa ed attenta un altro aspetto

del concetto di salute, espressamente annunciato nella dichiarazione dell’Organizzazione

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Mondiale della Sanità (OMS), nella quale la salute è definita come lo stato di completo

benessere fisico, psichico e sociale dell’individuo.

E’ evidente, nel tempo, l’apporto delle discipline psicologiche e sociologiche che

correlano il sociale all’individuale inserendo elementi innovativi di pensiero all’ambito

strettamente sanitario

In tale linea le leggi a carattere sociale sono state applicate anche all’ambito sanitario

penitenziario con opportuni elementi integrativi legati al peculiare contesto ambientale, nelle

“norme sull’Ordinamento Penitenziario” ( l.- 354/75). In particolare all’art. 11 il Regolamento

di Esecuzione prescrive la presenza in ogni istituto penitenziario di un servizio medico e

farmaceutico, rispondente alle esigenze sia di profilassi sia di cura dei detenuti e degli internati.

Il Ministero della Giustizia sulle norme dell’organizzazione del Servizio Sanitario,

stabilite dalla L. 354/75 e successivo D.P.R. n. 431/76 ha emanato diverse circolari riguardanti

la tutela della salute degli internati come integrazione operativa - amministrativa delle norme

sull’organizzazione del Servizio Sanitario contenute nella L.354/75 e sul successivo DPR

n.431/76 (Circ. n. 2931/5381 del 21.2.83 “ Compiti ed attribuzioni dei medici incaricati dei

Servizi sanitari dell’Istituto”, Lettera circolare del 10.08.85, circolare n. 3132/5582 del 12.09.85,

circolare n. 3182/5632 del 21.07.86, circolare n. 3154/5604 del 02.01.86, circolare n. 2630/5083

del 1979, circolare n. 2931/5381 del 21.02.83, circolare n. 3024/5474 del 24.02.84).

L’Amministrazione penitenziaria ha infatti integrato le norme nazionali sia sanitarie sia

specifiche sull’O.P. in rapporto al peculiare contesto ambientale ed alle caratteristiche sanitarie,

psicologiche e sociali del soggetto da curare ed in rapporto alla continua evoluzione delle

problematiche emergenti nello specifico contesto. Inizialmente è stato dato ampio risalto alle

problematiche psichiatriche che possono, in ambiente carcerario esprimersi sostanzialmente in

comportamenti a rischio di autoaggressività ed eteroaggressività; comportamenti valutati sia

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come portato del vissuto individuale di ogni detenuto, e quindi soggettivi, sia come elementi

oggettivi scaturiti dallo stato di carcerazione (Circ. n. 3182/5632 del 21.07.86, 3211/5661 del

21.07.87, 3209/5659 del 08.07.87).

Dall’iniziale provvedimento di inserimento nell’organico del medico di guardia, legge

(740/70), e dello specialista psichiatra,( legge 354/75), l’Amministrazione penitenziaria, a

seguito di reiterati atti di autoaggressività culminati nel suicidio ed atti di eteroaggressività, ha

istituito il Servizio Nuovi Giunti (Circ. n. 3233/5683 del 30.12.87 e succ. Circ. esplicativa n.

3246/5695 del 16.05.88).

Tale Servizio ha il compito di garantire ulteriormente l’integrità fisico - psichica di quanti

entrano per la prima volta nell’ambiente carcerario; esso è costituito dall’attività congiunta di tre

figure professionali : il medico di guardia, lo psicologo del presidio psicologico ed il direttore

dell’istituto o un suo delegato (educatore) che effettuano rispettivamente la visita medica, il

colloquio psicologico ed il colloquio di primo ingresso nelle prime ore di carcerazione. In

seguito alla valutazione medica, psicologica e comportamentale, attuata mediante la

compilazione di apposite schede, scaturisce la formulazione finale di un giudizio globale

presuntivo sul livello di rischio indicato come: minimo, basso, medio, alto, altissimo; in base a

tale giudizio,vengono fornite indicazioni immediate al sottufficiale responsabile

dell’assegnazione del detenuto, il quale a seconda del livello di rischio, viene posto in cella

singola o in compagnia, in infermeria, con o senza vigilanza, con assistenza particolare e idonea

terapia, oppure in regime di grande sorveglianza per altissimo rischio (nell’ultimo caso oltre alla

massima sorveglianza effettuata costantemente dalla custodia sono frequenti i riscontri medici e

psicologici).

Parallelamente a questo tipo di attività preventiva e tutelativa dell’integrità fisico-psichica

del detenuto, si è andata delineando la necessità di operare più compiutamente, nell’ambito delle

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malattie infettive, in relazione all’emergere di nuovi concetti infettivologici sia nell’ambito

dell’epidemiologia che in quello della prevenzione e terapia, determinati dall’individuazione di

ulteriori ed innovativi elementi riguardanti le epatiti virali, nonché dalla comparsa della sindrome

da immuno-deficienza acquisita HIV correlata. Le disposizioni emanate in materia dal Ministero

della Sanità sono state recepite e rese operative dall’Amministrazione Penitenziaria (Circ. n.

3127/5577 del 27.06.85 e lettera circolare del 09.09.89, lettera circolare del 10.06.91). Al fine di

fronteggiare le problematiche emergenti a livello infettivologico sono stati anche predisposti

servizi più strutturati e qualificati con l’ausilio operativo di esperti infettivologi e con

l’attivazione presso le ASL, competenti territorialmente, dei servizi e reparti ospedalieri

infettivologici (D.L. 187 del 14-06.93 e D.L. 222 del 14.07.93).

Nel contesto appena delineato, la sindrome da immuno deficienza acquisita (AIDS), ha

posto in evidenza problematiche operative divise tra la necessità di eseguire screening

ematologici di massa per la determinazione dei sieropositivi e la non obbligatorietà

dell’accertamento ematologico (ricerca di anticorpi antiHTVL-III). La L. 135 del 05.06.90,

all’Art. 5 comma 3 stabilisce che “ nessuno può essere sottoposto senza il suo consenso ad

analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV se non per motivi di necessità clinica nel suo

interesse...”. Questa normativa, quindi, impedisce di quantificare sulla reale entità del fenomeno

di diffusione del virus; nell’ambiente carcerario, peraltro, fortemente a rischio per tipologia della

popolazione e per il sovraffollamento, tale screening sarebbe importantissimo. Infatti

l’Amministrazione penitenziaria ha evidenziato più volte l’opportunità di sottoporre i detenuti,

previo consenso, al test di rilevamento degli anticorpi anti HTVL-III ( Circ. 3127/5577 del

27.06.75). Nella circolare n. 581170/2 del 19.09.86 veniva segnalato il diffondersi del panico

all’interno degli istituti e il direttore generale della stessa Amministrazione ribadiva la esigenza

che venissero praticate le relative analisi con la collaborazione delle USL nel rispetto della

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normativa. Per quanto riguarda le attività di informazione e prevenzione in rapporto alle

infezioni da HIV, veniva, evidenziata con il decreto interministeriale dell’08.06.91, la necessità

di rapporti di collaborazione tra Ministero della Giustizia, Ministero della Sanità. Commissione

Nazionale per la lotta contro l’AIDS, Università, Istituti di ricerca, Reparti di malattie infettive

dei Presidi ospedalieri per realizzare a favore dei detenuti e del personale penitenziario

programmi di informazione e di conoscenza onde prevenire il contagio. Nella successiva Lettera

Circolare del 10.06.91 viene ribadita la necessità di test per la ricerca degli Anticorpi contro

l’HIV; l’effettuazione del test senza il consenso del detenuto è consentita solo nel caso in cui la

condizione clinica sia tale da richiedere l’accertamento della sieropositività per attuare interventi

terapeutici e di profilassi; inoltre, un significativo elemento innovativo rispetto alle precedenti

circolari è rappresentato dalla obbligatorietà del test qualora il detenuto lo rifiuti mediante il

ricorso al T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio) di cui all’art. 32 Legge 833/78. Risultando

sempre più pressante e sentita la necessità di effettuare uno screening di massa nell’ambito

carcerario, tale aspetto veniva colto dal legislatore che, nell’interesse della collettività ed a tutela

del singolo, apportava specifiche modifiche come appare nel D.L. n. 60 del 13.03.93 che all’art.

4 stabilisce: 1) a tutti i detenuti ed internati è richiesto il consenso per essere sottoposti

all’accertamento dell’infezione da HIV; 2) al di fuori di quanto previsto dal comma 1, si può

procedere ai detti accertamenti sia qualora esistano motivi di necessità clinica certificati dal

Sanitario dell’istituto ovvero nel caso che il comportamento del detenuto o dell’internato

evidenzi, nel corso del trattamento penitenziario, un pericolo per l’incolumità del personale o

degli altri detenuti. La necessità di procedere agli accertamenti onde accertare uno stato di

sieropositività, viene ulteriormente ribadito nel D.L. 139 del 14.05.93 convertito in L. 222/93

dove all’art. 4 si legge “ ... è regolata la sperimentazione di un programma di screening per HIV,

in forma anonima negli istituti penitenziari”. E’ probabile che l’accettazione e l’applicazione di

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tutto quanto disposto nelle precedenti leggi abbia determinato l’instaurarsi di una prassi che non

è stata modificata dalle più recenti normative; infatti si evidenzia una notevole riduzione sui

detenuti nuovi giunti testati dei programmi di screening dal 1990 al 1996 nonostante

l’incremento numerico degli stessi (v. tabella “Accertamento dell’infezione da HIV sui detenuti

provenienti dalla libertà” nell’indagine nazionale sui soggetti tossicodipendenti e affetti da XIV

negli istituti penitenziari - rilevamento al 31.12.96 - DAP ). L’infezione da HIV negli istituti

penitenziari ha posto anche notevoli problemi per il trattamento e la terapia dei detenuti e degli

internati in rapporto alla peculiarità di tale patologia ( stato di immunodeficienza con labilità

estrema alle noxae patogene) ed alle carenze delle strutture ( esiguità delle infermerie e dei

Centri diagnostici terapeutici in rapporto all’utenza). Viene quindi indicata nel D.L. del 22.04.96

(“ individuazione degli ospedali presso i quali devono essere avviati i detenuti e gli internati

affetti da infezioni HIV per i quali la competente Autorità abbia disposto il piantonamento”), la

possibilità di ricovero in ambiente ospedaliero specializzato ai fini clinico-diagnostico-

terapeutici della Sindrome da Immunodeficienza Acquisita-HIV correlata. Tale decreto ha fatto

seguito alla sentenza della Corte Costituzionale N.439/1995 nella quale viene sancita la

incostituzionalità dell’Art.286-bis del CPP introdotto dal precedente D.L.335792 recante

disposizioni urgenti concernenti il trattamento di persone detenute affette da infezione HIV.

Quanto sin qui esposto è rappresentativo della gestione organizzativa del sistema sanitario

penitenziario per adulti consente di formulare una considerazione finale: l’attività sanitaria è

principalmente trattamentale salvo alcune eccezioni nelle quali assume caratteristiche di

prevenzione.

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4.2 ANALISI DEL SISTEMA DI TUTELA DELLA SALUTE NEGLI IPM - ASPETTI SANITARI

Quanto finora rappresentato, nell’ambito della gestione organizzativa del sistema sanitario

penitenziario per adulti, è solo in parte sovrapponibile a quanto è stato fatto per il settore

minorile. Infatti, da una revisione analitica della documentazione riscontrabile agli atti, emerge

come l’ambito sanitario per i minori fino alla prima metà degli anni ’50, è stato sempre

considerato e trattato unitamente al settore per adulti. Inoltre, tale ambito aveva un ordinamento

ed una organizzazione dei servizi che apparivano modellati e disciplinati in maniera conforme a

quello degli adulti; ciò è dovuto al fatto che i due settori, penitenziario per adulti e per minori,

erano gestiti dalla medesima Direzione Generale (in particolare : Ufficio III) come si evidenzia

dalle Circolari N 3118/1714 del 29/11/1945, N. 3655/2152 dell’8/4/1949, N.3851/2325 del

5/7/1950, N.3935/2405 del 8/2/1951, N.3967/2429 del 17/4/1951, N200/2691 del 30/5/1953.

Successivamente, nel periodo corrispondente alla metà degli anni 50, l’Ufficio IV raccolse tutte

le competenze riguardanti i minori (Circ. Nm. 362/2851 del 10 /06/1954); questo fu l’inizio di

uno sviluppo specifico che portò il settore minorile a differenziarsi nettamente da quello degli

adulti nell’ambito dei servizi pedagogici, psicologici, dell’attività scolastica e dell’attività

lavorativa per i minori. La minore specificità dell’area sanitaria è probabilmente da ascriversi a

due fattori: il primo è determinato dalla scelta di inserire nell’organico i medici incaricati,

assunti secondo le direttive impartite dall’Ufficio III (Successivamente diventerà DAP), medici

non specificatamente qualificati per le peculiari esigenze dell’utente; il secondo è dovuto ad un

mancato sviluppo di una adeguata sensibilità nei vari livelli polifunzionali centrali.

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Si è così determinato, nel tempo, un impoverimento di aspetti multidisciplinari che

parallelamente, a livello sociale, presentavano uno sviluppo più attento alle istanze emergenti;

se, infatti, a partire dagli anni 60, veniva data importanza alla prevenzione intesa globalmente e

si poneva in rilievo la nutrizione, la valutazione dei parametri età peso corporeo-altezza per

evidenziare eventuali patologie endocrino-dismetaboliche nonché l’accrescimento, l’attività

sportiva e ludica, come fattori di una crescita fisica armonica, nell’ambito delle discipline

mediche specifiche, nel contesto sanitario minorile, non si osserva un corrispettivo sviluppo di

queste tematiche.

4.3 LA TUTELA DELLA SALUTE NEGLI ISTITUTI PENALI MINORILI ORGANIZZAZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO

Al fine di conoscere lo stato di salute dei minori che fanno ingresso negli IPM è stato

elaborato un questionario a risposta multipla, rivolto ai medici degli Istituti Penali Minorili,

riguardo all’organizzazione medica ed igienico-sanitaria.

Sono stati analizzati i dati sul minore relativamente all’iter seguito dal momento del suo

primo ingresso in Istituto e nel prosieguo, caratterizzati da provvedimenti di routine e, in

rapporto alla assistenza specialistica fornita, è stata esaminata la tipologia ed il tipo di

convenzione stipulata (esterna, con specialisti della ASL territorialmente competente, o interna).

Nei 17 Istituti Minorili presenti sul territorio nazionale le prestazioni sanitarie sono

assicurate dalla presenza del medico incaricato che garantisce un servizio di assistenza per circa

tre ore al giorno. L’attività medica nei vari Istituti è comparativamente assimilabile ad uno

standard che salvaguarda livelli di prestazioni ottimali per i minori; le eventuali differenziazioni,

che emergono dall’analisi dei dati forniti, sono determinate dalla presenza di alcune variabili

relative al territorio ed alla organizzazione delle strutture, che possono così classificarsi::

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1) localizzazione dell’Istituto nell’area urbana;

2) 2) localizzazione dell’Istituto in aree decentrate e lontane dai servizi sanitari territoriali

competenti (quali, ad es., Quartucciu, Airola, Nisida);

3) presenza di apparecchiature sanitarie nell’Istituto ;

4) presenza o meno dei locali adibiti all’area sanitaria e loro organizzazione.

In tutti gli Istituti è presente inoltre il servizio parasanitario, complessivamente potenziato

negli ultimi anni, che, affiancandosi e collaborando con il servizio sanitario, ha determinato nel

complesso un miglioramento della prestazione sanitaria globale nei confronti del minore.

Negli Istituti, il minore è sottoposto all’atto dell’ingresso, a una visita medica con

elaborazione di una cartella clinica personale integrata dai risultati delle analisi ematochimiche

che il medico incaricato ritiene opportuno richiedere. In ogni struttura detentiva (fatta eccezione

per Quartucciu), vengono richieste analisi di routine volte a determinare lo stato di salute del

minore durante la permanenza in Istituto e che, tra l’altro, permettono di valutare la presenza

eventuale di portatori sani per malattie infettive e contagiose, sia per il singolo che per la

collettività. L’analisi delle cartelle cliniche ha permesso di affermare che, attualmente, negli IPM

non vi sono portatori del virus HTVL III, mentre per quanto riguarda la positività all’epatite B e

C, la risultante che emerge appare estremamente variabile a seconda degli Istituti (dal singolo

caso registrato negli Istituti di Potenza, Firenze, Catania, Torino, ai 70 casi di Milano).

Per quanto attiene lo screening della Tubercolosi, eseguito nella maggior parte degli Istituti (fatta

eccezione per: Airola, Catania, Caltanissetta), sono stati evidenziati dei casi negli Istituti di

Firenze, Milano (3 casi di positività al tine-test) e Potenza (2 casi). Peraltro il test eseguito non è

da considerare molto attendibile, come evidenziato dalla Circ.N.3437/5887 del 12/9/

96,(“Modalità di intervento per la gestione del fenomeno TBC negli Istituti Penitenziari“) nella

quale viene indicato nel protocollo epidemiologico l’intradermoreazione di Mantoux.

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Dallo screening per le malattie veneree eseguito nella totalità degli Istituti, mediante

prelievo ematico, sono stati evidenziati complessivamente 4 casi, di cui 1 a Bologna ed Airola e

2 a Roma.

La presenza di casi di pediculosi (che si evidenzia mediante visione diretta del cuoio

capelluto alla base del collo e all’attaccatura delle orecchie,) è costante soprattutto negli Istituti

aventi una utenza consistente (15 casi a Milano e 38 casi a Roma) e nei quali la componente

extracomunitaria e nomade è più rilevante.

I casi di scabbia segnalati nel 1997 sono anch’essi maggiormente presenti negli Istituti di

Milano (8 casi ) e Roma (13 casi).

Per quanto riguarda l’assistenza specialistica effettuata sui minori, si evidenzia come,

negli Istituti che hanno risposto al questionario, la totalità di questi utilizza le prestazioni

specialistiche esterne con le ASL competenti territorialmente, mentre in alcuni Istituti sono

assicurate prestazioni specialistiche interne . La maggiore rappresentazione di tali prestazioni si

sono registrate nell’IPM di Palermo nel quale operano, a chiamata, 6 specialisti (Oculista,

Medicina interna, Ortopedia, Otorinolaringoiatria, Dermatologia, Chirurgia).

I dati acquisiti al riguardo, se sovrapposti a quelli ottenuti da un test analogo, fanno

evidenziare un dato interessante: le prestazioni specialistiche esterne sono diminuite a favore

delle prestazioni a convenzione interna. Per quanto riguarda, poi, il trattamento sanitario

effettuato sui minori assuntori di droga, è stato registrato che gli Istituti i quali si sono serviti dei

SERT sono 12 con esclusione di CZ, FI, NA, MI, PA.

Non sono risultate attivate le convenzioni specialistiche con i centri di igiene mentale (CIM),

anche se alcuni Istituti, come quello di Roma e di Quartucciu, hanno una convenzione con lo

specialista psichiatra.

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4.4 LA RIFORMA DELLA SANITA’ PENITENZIARIA (A. De Iacobis) LEGGE 30 NOVEMBRE 1998, N. 419 Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. DECRETO LEGISLATIVO DEL 19 GIUGNO 1999, N.229 Norme per la realizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419 DECRETO LEGISLATIVO 22 GIUGNO 1999, N. 230. Riordino della medicina penitenziaria, a norma dell’art. 5, della legge 30 novembre 1998, n. 419. I presenti decreti sono parte di una serie di atti legislativi previsti dalla legge 30

novembre 1998, n. 419, sulla “Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario

nazionale e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazioni e funzionamento del

Servizio sanitario nazionale” all’interno della quale l’art. 5 prevede la specifica delega al

Governo volta a riordinare l’intera materia della medicina penitenziaria.

Con tale normativa si apre un nuovo capitolo della medicina penitenziaria. La legge

infatti prevede il passaggio al Servizio sanitario nazionale di tutta la gestione della materia

sanitaria. In questo contesto si vuole soprattutto sottolineare l’importanza culturale di una legge

che si pone come una vera e propria riforma della sanità all’interno degli istituti di detenzione.

L’inadeguatezza del sistema sanitario penitenziario è da tempo nota. Già nel 1993-94 la

Commissione del Senato della Repubblica in una “Indagine conoscitiva sulla situazione sanitaria

nelle carceri” aveva concluso i lavori rilevando una lacunosa ed insufficiente politica di tutela

della salute in ambito penitenziario.

L’importanza culturale della riforma è da individuare nella restituzione al detenuto del

diritto ad usufruire della medesima assistenza sanitaria di ogni libero cittadino.

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L’art. 1, 1° comma del D.L.vo del 22 giugno 1999, n. 230 così recita:

“I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla

erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed

appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e

uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in

quelli locali”.

In questo modo il legislatore ha voluto sottolineare la parità di diritto del detenuto rispetto

a quello di ogni libero cittadino e, al tempo stesso, ribadire l’unicità del sistema sanitario

nazionale. In effetti la permanenza di un sistema sanitario a latere di quello nazionale confligge

con i principi stabiliti dall’art. 1 della legge n. 833 del 1978 che riconosce nel Servizio sanitario

nazionale l’istituzione deputata alla “promozione, al mantenimento, ed al recupero della salute

fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e

secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”.

Allo stato attuale, invece, fin dall’ingresso in carcere, il detenuto è automaticamente

cancellato dal sistema sanitario nazionale, mentre può beneficiare delle prestazioni della sanità

penitenziaria. Di fatto questa situazione determina un sistema di tutela della salute che

discrimina i cittadini in base alla loro condizione.

Dal momento, invece, che secondo il comma 4° dell’art. 1 del succitato decreto “I

detenuti e gli internati conservano l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale per tutte le forme di

assistenza, ivi compresa quella medico-generica” all’individuo che entra in carcere viene

garantita la continuità del diritto alla tutela della salute, continuità che affievolisce quella

drammatica cesura che l’evento detentivo rappresenta nella vita di un individuo. In tal modo i

cancelli del carcere rimangono aperti all’assistenza del Servizio sanitario nazionale, operazione

che va in direzione del superamento del modello dell’istituzione totale che vede nel carcere un

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mondo entro il quale, in modo autoreferenziale, non solo vigono regole diverse dal fuori, ma

ogni diritto dell’individuo decade o viene sottoposto a reinterpretazione.

Un altro aspetto di rilevante importanza, che è a fondamento dello spirito della legge, è il

riconoscimento che materie così profondamente differenti, come sanità e sicurezza, debbano

essere gestite da Amministrazioni che hanno competenze specifiche nei rispettivi settori. La

riforma parte dall’assunto che la gestione del problema salute non possa essere demandata ad

altra Amministrazione se non a quella della Sanità, mentre la gestione del problema sicurezza

pertiene all’Amministrazione della Giustizia.

L’entrata di un’altra Amministrazione nella gestione della materia sanitaria penitenziaria

è di notevole portata innovativa poiché apre la strada ad un nuovo modo di amministrare la “cosa

pubblica”. L’ottica della macchina statale compie una rivoluzione di 180°. Le Amministrazioni

non amministrano più territori da difendere come la scuola, l’ospedale, il carcere ecc..., ma

problemi da risolvere come l’istruzione, la sanità e la giustizia, per la risoluzione dei quali

occorrono competenze specialistiche interistituzionali.

In tal guisa, secondo quanto prevede la nuova legge, sebbene l’Istituto di Pena abbia

come mandato sociale il compito di assicurare la sicurezza sociale e il recupero del condannato,

non può, comunque, esimersi dall’assicurare una serie di servizi, come quello sanitario, che

richiedono competenze professionali e una gestione tecnica ed amministrativa specifica.

Da questo punto di vista, le istituzioni sociali come il carcere, svolgono funzioni

complesse che necessitano del contributo di varie figure professionali e delle relative istituzioni

competenti per quel determinato ambito di intervento.

Un esempio può aiutarci a comprendere l’ottica della legge. Attualmente possiamo

rintracciare un interessante esempio di collaborazione interistituzionale nell’organizzazione

scolastica carceraria. Sia nei Carceri per adulti, che negli Istituti Penali per Minorenni, gli

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insegnanti che lavorano a contatto con i detenuti sono dipendenti dal Ministero di Pubblica

Istruzione e non, come in un’ottica di istituzione totale, dalla stessa Amministrazione che

gestisce la sicurezza.

La specificità della competenza in questo caso è ampiamente riconosciuta e in effetti

soltanto l’idea di un contingente di insegnanti come dipendenti del Ministero della Giustizia

apparirebbe incongruente e disfunzionale.

Inoltre la collaborazione interministeriale apre la via ad un’attività di verifica e controllo

reciproco che scardina meccanismi di collusione che inevitabilmente si stabiliscono nelle

istituzioni con un funzionamento autoreferente, con scarso collegamento verso l’esterno.

La legge si presenta invece piuttosto ambigua sul piano della definizione delle materie

sanitarie specifiche che devono passare alle AA.SS.LL. Mentre l’art. 5 della 419 del 30

novembre 1998, e il successivo D.L.vo del 22 giugno 1999, n. 230, fanno riferimento esplicito

alla sola “medicina” penitenziaria e quindi limitatamente al campo medico, di fatto nell’art. 1 ai

punti b) e d) del comma 2, del suddetto decreto n. 230 così si legge:

Il Servizio sanitario nazionale assicura, in particolare, ai detenuti e agli internati:

b) azioni di protezione, di informazione e di educazione ai fini dello sviluppo della

responsabilità individuale e collettiva in materia di salute;

d) interventi di prevenzione, cura e sostegno del disagio psichico e sociale;

E’ evidente come la complessa materia sanitaria rappresentata nei punti sopra citati, non

sia una materia di competenza soltanto medica. L’educazione alla salute così come la

prevenzione, la cura e il sostegno del disagio psichico sono materie di stretta competenza dello

psicologo clinico oltre che del medico.

E’ auspicabile che nei prossimi decreti legislativi si faccia chiarezza in merito

all’ampiezza della riforma, poiché un passaggio al Servizio sanitario nazionale soltanto della

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“medicina” penitenziaria, lascerebbe incompiuta la riforma, poiché parte dell’intervento sanitario

continuerebbe ad essere gestito dalla Giustizia. In tal caso non si può non intravedere il rischio

che l’intera materia sanitaria venga ancora una volta frammentata e gestita da diverse

Amministrazioni, portatrici di culture differenti e dunque non in grado di assicurare

un’omogeneità nella politica degli interventi.

Infine, una mancanza del legislatore è stata quella di non aver menzionato la specificità

della Giustizia Minorile. La legge infatti in più parti fa riferimento all’Amministrazione

Penitenziaria e non menziona l’ambito minorile. Sebbene il problema sanitario in tale ambito dal

punto di vista medico sia di minore complessità rispetto al settore degli adulti, non deve essere

trascurata, invece, la complessità del tema della tutela della salute psico-sociale nella fascia d’età

adolescenza come è stato più volte affermato in questo studio.

4.5 ANALISI DELLE CIRCOLARI DEL MINISTERO DELLA SANITA’ E DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA RIGUARDANTI LA RIFORMA SANITARIA

PENITENZIARIA

Nel progetto di riforma della sanità penitenziaria il Ministero della Sanità con la Circolare

n. AA 01.3820 del 28/12/1999, fornisce indicazioni in merito al trasferimento delle funzioni

sanitarie, a livello nazionale, limitatamente ai settori della prevenzione e del trattamento della

tossico-dipendenza in ottemperanza a quanto disposto dall’art.8/1 del D.Lg.vo del 22/06/99 n.

230.

In rapporto alle problematiche specifiche dell’utenza sono considerati prioritari gli interventi

riguardanti la prevenzione primaria (igiene dell’ambiente, stato delle strutture carcerarie, regime

alimentare) ed il trattamento della tossicodipendenza che riguarda il 30% circa della popolazione

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detenuta e al riguardo, il Ministero della Sanità fornisce indicazioni tecniche applicabili sul

territorio nazionale per garantire una globalità di intervento.

In relazione al contesto ambientale è stabilita anche la necessità di operare una ricognizione dei

rischi per la tutela della salute riguardante sia i detenuti che gli operatori penitenziari secondi i

principi del Decreto Legislativo N.626/94.

In relazione ai provvedimenti da adottare e al coinvolgimento di più settori amministrativi, nel

trasferimento delle funzioni sanitarie sin qui svolte dall’Amministrazione Penitenziaria si

determina un ritardo nell’emanazione dei Decreti interministeriali anche per quanto riguarda il

progetto pilota che prevede il passaggio, limitatamente a tre Regioni, di tutte le funzioni sanitarie

(prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione) secondo quanto previsto dal comma 2 dell’art. 8

del Decreto Legislativo.

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con la circolare n. 3510/59/60 del 29/12/99

interpreta, per i settori di sua competenza, quanto indicato dalla precendente circolare del

Ministero della Sanità.

Predispone linee guida con particolari disposizioni per le Direzioni degli Istituti al fine di

agevolare le attività preposte al sistema Sanitario Nazionale; sono inoltre stabilite le competenze

delle Direzioni per quanto concerne le autorizzazioni e le modalità di accesso degli operatori

sanitari delle ASL, in maniera conforme a quanto espresso nell’art. 3 del D.P.R. 29/04/76 n. 431;

infine impartisce direttive, a carattere generale, in attesa dell’emanazione dei Decreti attuativi,

riguardanti in particolare quanto previsto dall’art. 4/2 e dall’art. 8/1 del Dec. Lg.vo.

Per quanto attiene al trasferimento delle funzioni sanitarie e delle risorse ad esse connesse,

chiarisce che il trasferimento delle risorse (umane, logistiche, strumentali e finanziarie) non è

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contestuale a quello delle funzioni sanitarie; a questo riguardo, è importante la precisazione sulla

permanenza nel ruolo organico dell’Amministrazione Penitenziaria, sia del personale di ruolo,

sia del personale non di ruolo relativamente al servizio del presidio per le tossicodipendenze

(personale medico e paramedico).

Ribadisce ulteriormente quali sono i compiti assunti dal Sistema Sanitario Nazionale:

1. Disponibilità di risorse,

2. Responsabilità gestionale, organizzativa e di coordinamento delle funzioni trasferite.

Stabilisce i compiti dell’Amministrazione Penitenziaria in riferimento al controllo delle attività

sanitarie trasferite, alla segnalazione di eventuali disfunzioni delle stesse come indicato dall’art.

3 / 4 del Dec. Lg.vo.

Nella circolare in oggetto doveva essere inoltre allegato un estratto del progetto obiettivo per la

salute (come citato nella circolare del Ministero della Sanità), che tuttavia non è stato inoltrato ai

Servizi periferici, in quanto si trattava di una bozza di progetto e non di atto ufficiale, come si

evince dalla nota del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria prot. N.

578455/14Toss.Gen. del 21/01/2000.

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CAPITOLO 5

5 LA TUTELA DELLA SALUTE DEL MINORE IN I.P.M.. L’INFLUENZA

DELLA STRUTTURA EDILIZIA SULLO STATO PSICOFISICO DEI

MINORI (P. Grasso)

Nel presente capitolo si procederà ad esaminare quali sono i fattori che intervengono nel

rendere un ambiente confinato, sia fisicamente sia psicologicamente, confortevole per i fruitori.

Premessa la rispondenza alla normativa vigente per tutto ciò che riguarda la sicurezza, la

salute e l’igiene degli ambienti, sia sotto l’aspetto edilizio sia sotto quello impiantistico (vedi L.

n° 547/55, L. n° 303/56, L. n° 46/90, L. n° 626/94), si approfondiranno quegli argomenti che

interessano più strettamente i risvolti psicofisici di chi fruisce quotidianamente della struttura

edilizia.

IL BENESSERE MICROAMBIENTALE

La temperatura, la velocità dell’aria, l’umidità, la luminosità, il rumore, sono tutti fattori

che condizionano il benessere microambientale, dato che la giusta combinazione di essi,

all’interno di parametri prestabiliti, crea il comfort ideale per la vivibilità dello spazio interno dei

nostri edifici.

Il microclima è l’insieme dei componenti chimico-fisici che caratterizzano l’aria degli

interni in cui viviamo.

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Quelli chimici sono il tipo e le quantità di gas che naturalmente compongono l’atmosfera;

fattori nocivi si presentano nei casi in cui ci sia dispersione di gas o fumi o polveri estranei,

derivanti da attività, lavorazioni, cattiva pulizia e manutenzione di macchine, ecc.

In quelli fisici possiamo elencare: la temperatura, l’umidità, la ventilazione.

Temperatura - Essa dipende dalla temperatura dell’aria atmosferica, riscaldata dalle

radiazioni solari, dalla presenza di macchinari che generano o sottraggono calore, oltreché dagli

specifici impianti di riscaldamento o raffreddamento degli edifici. Per l’adattamento

dell’individuo subentrano anche fattori individuali quali: l’età, il sesso, il vestiario, le abitudini

alimentari, il tipo di attività che si svolge in un determinato ambiente. La termoregolazione, cioè

lo scambio di calore tra la persona e l’ambiente circostante, avviene attraverso tre modalità: la

conduzione, contatto diretto tra due corpi, la convezione, attraverso le molecole dall’aria, e

l’irraggiamento, propagazione attraverso onde elettromagnetiche.

Umidità - È la quantità di vapore acqueo presente nell’aria; essa condiziona notevolmente

il microclima, in quanto, se presente in percentuale elevata, aumenta gli scambi di calore e

comunque, sia nel caso di alta concentrazione sia di bassa concentrazione, favorisce il proliferare

di microrganismi potenzialmente dannosi alla salute dell’uomo.

Ventilazione - È il movimento dell’aria negli spazi confinati. In genere è molto ridotto,

sempreché non ci si trovi in situazioni in cui la conformazione degli ambienti e la dislocazione

delle superfici apribili, unita ad un cattivo stato di manutenzione degli infissi, possano generare

fastidiose correnti d’aria.

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Il “benessere termico”, che è l’obiettivo da raggiungere, si stabilisce quando le necessità

caloriche da parte del corpo umano sono in equilibrio con l’ambiente che lo circonda; questo si

ottiene, solitamente, con temperature oscillanti tra i °C 23-25 in estate e i °C 18-21 in inverno,

con un’umidità tra il 30 ed il 70 %, ed una velocità dell’aria entro i 15 cm/sec in inverno e i 25

cm/sec in estate. Tutti questi valori sono facilmente controllabili e misurabili; si può, di

conseguenza, provvedere a monitorare gli ambienti al fine di renderli il più possibile rispondenti

alle necessità dell’individuo.

L’illuminazione è fondamentale per l’esecuzione delle attività umane; il 40% di tutte le

informazioni sensoriali di un individuo derivano dalla vista.

Il livello di illuminamento fornisce l’indicazione della quantità di luce incidente sul piano

di lavoro; esso si misura in lux. Si consideri che la luce solare assicura un valore oscillante tra i

1.000 e i 100.000 lux (a seconda della condizioni meteorologiche). Tali livelli non sono

raggiungibili, per utilizzazioni normali, negli ambienti che viviamo, ma si può illuminare

sufficientemente un locale nel suo insieme e aggiungere delle fonti luminose localizzate per i

posti di lavoro, dove è richiesta una maggiore quantità di luce.

Studiare scientificamente l’illuminazione artificiale di un locale risulta essere di

conseguenza un problema molto complesso, in quanto si dovrebbero valutare fattori come: la

composizione spettrale della luce prodotta dalla sorgente luminosa che si intende utilizzare

(dovrebbe essere simile alla luce naturale), la produzione di calore, la posizione delle sorgenti

luminose per dare ai vari punti del locale la giusta quantità di luce e assicurare una luce fissa,

evitare fenomeni di abbagliamento.

Va ricordato che la quantità di luce naturale presente in un ambiente è strettamente legata

alla dimensione, forma e posizione delle superfici trasparenti. Un semplice metro di giudizio, di

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facile valutazione, è dato dal rapporto tra superficie finestrata e superficie del locale; tale

rapporto deve essere al minimo pari ad 1/8 (cioè, per un locale di mq 80 sono necessari 10 mq

minimo di finestre); tale rapporto è stabilito dalla normativa vigente.

Il rumore ormai da diversi anni ha assunto un ruolo di primo piano tra gli agenti inquinanti

della società moderna. Gli effetti sulla salute sono rilevanti non solo per l’apparato uditivo ma

anche per altre parti del nostro organismo, causando cefalea, insonnia, irritabilità, ecc.

Il rumore viene misurato in base al livello di pressione sonora e si esprime in decibel (dB);

si consideri che la soglia di udibilità varia dai 10 dB ai 120 dB, oltre i quali si raggiunge la soglia

del dolore.

L’intensità sonora è facilmente misurabile attraverso specifici strumenti e, individuate le

sorgenti di rumore, si deve intervenire cercando di isolarle, riducendo così alla fonte il problema.

I modi per operare sono diversi; in caso di rumori prodotti da macchinari si può provvedere con:

adozione di supporti antivibranti, copertura, schermi, barriere, silenziatori; oppure, per chi opera

a diretto contatto con macchinari rumorosi, adozione di dispositivi di protezione individuali,

quali cuffie o tappi auricolari.

Si riporta di seguito una tabella esemplificativa, che compara il livello sonoro prodotto da

diverse sorgenti sonore.

DB industrie e aeroporti zone residenziali abitazioni 140 aereo a reazione

sirena

130 martellamento di lamine d’acciaio - aereo ad elica

120

martello pneumatico a m 1

110 aereo a reazione a m 100, sega circolare, pialla elettrica

100 telaio per tessitura martello pneumatico a m 10, clacson d’automobile a m 5

90 macchina tipografica, tornio automatico

motocicletta omogeneizzatore di cibi

80 vettura sportiva lavastoviglie,

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aspirapolvere, sveglia 70 strada a traffico intenso televisore ad alto volume,

aspirapolvere a m 3 60 automobile a m 10 conversazione ad alta

voce, televisore a medio volume 50 strada a scarso traffico

40 strada senza traffico conversazione a bassa voce

30 giardino tranquillo orologio a m 1 di distanza

20 voce sussurrata

10 fruscio di foglie

Un altro parametro da tenere in considerazione è il tempo di esposizione dell’individuo alla

sorgente sonora; ciò è importante per stabilire dei margini di sicurezza entro i quali rimanere per

evitare all’organismo i danni precedentemente indicati.

Si riporta di seguito una tabella rispondente alle norme dell’“American National Standard

Specification for Sound Level Meters”.

Durata di esposizione giornaliera concessa in ore

livello sonoro in dBA (misurato con scala A di fonometro)

16 80 8 85 4 90 2 95 1 100

1/2 105 1/4 110 1/8 115

IL COMFORT PSICOLOGICO

Tutto quanto sopra descritto influenza lo stato di benessere fisico della persona ma, in

maniera identica ed interagendo con altri fattori, interviene a condizionare lo stato psicologico, in

quanto questi due stati sono strettamente correlati all’interno dell’individuo uomo.

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Un edificio in cui gli ambienti interni sono scarsamente illuminati, stretti, difficilmente

identificabili nella loro distribuzione, anonimi e ripetitivi, crea inevitabilmente nel fruitore uno

stato di disagio, che porta nel tempo al manifestarsi di fenomeni negativi nel suo

comportamento.

Nel nostro caso, è da considerare che tali fenomeni condizionano sia i minori ristretti sia

gli operatori impegnati nel loro lavoro quotidiano. Appare chiara, quindi, l’importanza della

qualità dell’ambiente edilizio nell’opera di riabilitazione dei minori ristretti.

Fig. 1 Leonardo da Vinci e Le Corbusier - studi per definire un modulo atto a dimensionare lo

spazio dell’uomo.

Si dovrebbe a questo punto codificare, in maniera chiara, le caratteristiche fondamentali

delle strutture edilizie della Giustizia Minorile, in modo da operare nel tempo per rendere tali

ambienti idonei alle attività che in essi debbono svolgersi, ma appare difficilmente utilizzabile un

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qualsiasi parametro di valutazione, in quanto trattasi di fattori di ardua quantificazione, spesso

soggettivamente variabili, a differenza di quelli trattati nel precedente paragrafo.

Punto fondamentale è la chiara identificazione dei vari spazi funzionali esistenti all’interno

della struttura edilizia. Tale obiettivo può essere raggiunto utilizzando congiuntamente diversi

sistemi; dalla segnalazione visiva tramite cartellonistica, all’utilizzo di colori di finitura differenti

nelle tinteggiature delle pareti e nell’uso di pavimentazioni varie, per materiale - coloritura -

finitura superficiale, rispondenti alle particolari caratteristiche dell’ambiente o della zona

funzionale in cui sono poste in opera; a ciò si aggiungerebbe quella che dovrebbe essere una

logica differenziazione degli spazi dovuta alla forma, alla dimensione, all’ampiezza delle

superfici trasparenti e, quindi, alla luminosità, agli orari in cui tali spazi sono vissuti. Si possono

così ottenere degli edifici “vivi”, in cui sia gli operatori sia i minori riescano a ritrovare un

ambiente vario, che possa in breve tempo essere assimilato e riconosciuto, e, di conseguenza,

“familiarizzato”.

Si pensi ai minori che accedono per la prima volta in un I.P.M.; l’impatto con la nuova

realtà fisica potrebbe risultare più facile ed i tempi di ambientamento potrebbero essere ridotti,

rispetto all’inserimento in una struttura anonima e disorientante, contorta nell’articolazione dei

suoi spazi e di difficile comprensione.

Un altro passo dovrebbe riguardare la possibilità di prevedere la flessibilità degli spazi e la

loro modificazione nell’aspetto organizzativo ed estetico, per rispondere immediatamente alle

esigenze sopravvenute nel tempo. Oltre alla particolare attenzione da avere in fase progettuale,

per creare degli ambienti polifunzionali, sono di fondamentale importanza gli arredi interni e la

facilità della loro riorganizzazione e dislocazione, in modo che si possa realizzare, di volta in

volta, uno spazio ad hoc. Ciò dovrebbe essere maggiormente possibile nei laboratori ed in tutti

quegli spazi ove si svolgono attività formative, che possono variare nel tempo per motivi sia

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operativi sia tecnologici, in cui il minore interviene fattivamente con il proprio contributo

intellettuale.

Per quanto riguarda il connettivo (disimpegni, corridoi, scale), se ne dovrebbe prevedere

l’arredabilità con l’inserimento di oggetti, anche realizzati dai minori durante le attività interne, o

con l’identificazione di parti modificabili esteticamente tramite l’intervento diretto sulle strutture

(es. murales).

Tutto ciò contribuisce a rendere “proprio” l’ambiente in cui si vive o si lavora, con

possibili effetti positivi sotto il profilo dell’inserimento dell’individuo nel contesto sociale

dell’I.P.M..

Particolare cura va posta nella scelta dei materiali di finitura, non solo perché possano

rispondere alle esigenze sopra scritte oltre che alla rispondenza delle sollecitazioni cui saranno

sottoposti all’interno dei vari spazi funzionali, ma anche alle interazioni con l’uomo, attraverso il

senso del tatto, derivanti dalla diversa finitura superficiale.

Infatti sono da preferirsi, ad esempio, superfici lisce e levigate per tutti quei manufatti che

obbligano ad un contatto diretto frequente per la loro specifica funzione, ad es. corrimani,

maniglie, davanzali, ecc.. Anche le pavimentazioni determinano delle sensazioni, nonostante il

contatto sia mediato dalla calzatura indossata, a seconda della finitura; si pensi alla tendenza a

camminare con un passo radente quando si percorre un pavimento in marmo lucido e ben

levigato, oppure la sicurezza derivante dall’attraversare una superficie ruvida e scabrosa di una

pavimentazione esterna (terrazzi, balconi), soggetta a garantire una resistenza al possibile

scivolamento, causato dal ristagno di acqua di origine meteorica.

L’ORIENTAMENTO DELL’EDIFICIO E LA DISPOSIZIONE DEGLI AMBIENTI

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Di grande importanza per la realizzazione di strutture ottimali, rispondenti alle esigenze di

comfort microambientale, è l’attenzione, in sede progettuale, alle caratteristiche climatiche

dell’area geografica in cui è o sarà situata la struttura edilizia. Tale cura va riservata anche nello

studio del sito circostante l’edificio, si intende quindi sottolineare l’attenzione da prestare alla

morfologia del terreno, alla presenza di zone con venti dominanti, ai possibili orientamenti per

meglio difendere o recepire le radiazioni solari, al posizionamento di elementi di vegetazione per

poter sfruttare i vantaggi derivanti dall’ombreggiamento nelle stagioni calde, ecc.. Tutto ciò è

ormai presente da molti anni nel dibattito architettonico e le codificazioni della “Bioarchitettura”

o dell’“Architettura solare” sono ormai patrimonio culturale di molti progettisti.

Riprendere questi concetti è sicuramente necessario per raggiungere obiettivi di

riorganizzazione tesi al miglioramento della qualità della vita negli ambienti confinati.

Va sempre considerato, come detto in precedenza, che per ogni situazione esistono

soluzioni specifiche da adottare, ma comunque si possono dare, in questa sede, alcuni consigli

per accorgimenti pratici da utilizzare in generale.

Valutiamo principalmente l’importanza dell’esposizione alla luce solare e di conseguenza

ai vantaggi da ottenere con un giusto orientamento e disposizione degli ambienti.

Il guadagno energetico ottenibile con una corretta disposizione delle superfici vetrate è

cosa nota, ma bisogna ricordare che forma e disposizione di tali vetrate devono essere correlate

con le funzioni che si svolgono all’interno. In linea di massima possiamo dire che conviene

disporre orientati verso nord gli ambienti di servizio o, comunque, quelli che non necessitano di

un grande apporto luminoso, che possono essere illuminati con finestre relativamente piccole,

facilmente oscurabili e isolabili termicamente. Di conseguenza gli ambienti più grandi in cui si

svolgono attività diurne che richiedono luce, calore e trasparenza, vanno orientati verso sud.

Queste semplici valutazioni sono spesso disattese nel modus operandi del costruire odierno, ove

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sono altre considerazioni a direzionare le scelte progettuali. La tradizione costruttiva dovrebbe

insegnare qualcosa al riguardo; si pensi a strutture tipiche ed insolite, caratteristiche di varie

regioni italiane come: i trulli pugliesi, i masi trentini, i casali toscani. In ciascuno di questi

esempi grande attenzione era prestata alle esigenze dettate dal clima locale.

Fig. 2 Il Trullo - I muri spessi e la cisterna sono accorgimenti per mantenere il microclima

fresco, con la giusta umidità oltre ad avere una importante riserva d’acqua.

A seconda della latitudine in cui si interviene vanno studiati i modi per far sì che l’edificio

interagisca positivamente con l’ambiente. In queste valutazioni grande importanza rivestono le

alberature e quegli elementi architettonici (aggetti, balconi, brise-soleil, avvolgibili, ecc.) che

possono regolare termicamente il benessere sia interno sia esterno all’edificio. Ad esempio, va

tenuto conto del duplice effetto provocato da un albero a foglia caduca posto nelle vicinanze di

un edificio, ombreggiatura estiva e trasparenza invernale.

Notevole sviluppo ha avuto, inoltre, la tecnologia costruttiva, specialmente nello studiare

nuovi materiali e sistemi per la coibentazione termica, sia per edifici di nuova costruzione sia per

quelli oggetto di ristrutturazione.

In conclusione, varie sono le possibilità operative e notevoli sono i risultati ottenibili con

una progettazione accurata ed attenta.

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GLI AMBIENTI DI UN ISTITUTO PENALE TIPO

Un IPM tipo deve contenere una serie di aree che si possono semplificare con il seguente

diagramma funzionale:

AMMINISTRAZIONE

SERVIZI ATTIVITÀ

DORMITORIO

Le linee che uniscono le varie zone ne indicano il diretto rapporto, dovuto alle esigenze

delle figure che vi operano o vi risiedono forzatamente.

Si prenderà in esame, più dettagliatamente, solo una di queste aree funzionali, per motivi di

snellezza della trattazione, ma le considerazioni che si effettueranno possono essere riproposte

nelle varie parti della struttura I.P.M..

La zona dormitorio è forse la più semplice sotto il profilo degli spazi e della loro

organizzazione, ma può essere presa d’esempio per i nostri scopi.

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Gli ambienti fondamentali che la compongono sono: la stanza dei minori, il relativo

servizio igienico, la stanza dell’agente di polizia penitenziaria con l’annesso servizio igienico ed

il corridoio di distribuzione dei vari ambienti, organizzato non solo per la funzione connettiva,

ma anche per la necessità di controllo delle stanze da esso accessibili.

Quindi il diagramma relativo è il seguente:

STANZA AGENTE S.I. STANZA MINORI S.I.

CORRIDOIO

Approfondendo il dettaglio dello studio, si esamina il sistema stanza - servizio igienico.

Le aree che compongono tali ambienti sono anch’esse ben differenziate e devono

rispondere ad esigenze diverse quali: il riposo notturno, il relax diurno che comporta l’uso della

stanza per parlare, leggere, scrivere, le normali attività che rispondono alle esigenze igieniche

della persona. Di conseguenza si deve pensare ad una suddivisione dello spazio dovuto alla

presenza degli elementi di arredo: letto, comodino, tavolo, sedia, armadio, apparecchi igienico -

sanitari (lavabo, bidet, wc, doccia); il tutto organizzato dentro la scatola contenitrice, formata

dalle pareti.

Lo schema grafico descrive in modo sintetico una stanza tipo con gli arredi, la loro

disposizione, gli spazi di movimento, il servizio igienico.

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A tutto ciò vanno aggiunte le valutazioni di carattere tecnologico - impiantistico e di

sicurezza, che condizionano fortemente la conformazione dell’ambiente.

La sicurezza va intesa sia con l’ottica dell’avere un ambiente con caratteristiche tali da

impedire il verificarsi di incidenti, quindi: impianto elettrico a norma, mobilio integro, strutture

integre (intonaci, pavimenti, rivestimenti vari, ecc.), sia con l’ottica di impedire la fuga del

minore ristretto, di facilitare il controllo da parte del personale preposto.

Le ultime necessità, certamente, mal si sposano con tutto quanto si è sopra descritto:

infatti, i normali sistemi di prevenzione, quali inferriate alle finestre, porte blindate con

spioncino di sorveglianza, non contribuiscono a dare la sensazione di un ambiente confortevole e

familiare.

Certo, oggi si potrebbero prevedere delle soluzioni tali da ottenere un risultato più

rispondente alle caratteristiche di comfort psicofisico ideale.

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Ad esempio, si potrebbero eliminare le inferriate utilizzando degli infissi antiscasso e vetri

antisfondamento con apertura limitata (tipo vasistas) per il ricircolo dell’aria dell’ambiente, e dei

sistemi di oscuramento come serrande o persiane esterne o tendine scorrevoli e orientabili

inserite all’interno dello spazio dei doppi vetri, il tutto con comando centralizzato elettrico. Tale

scelta dovrebbe, inoltre, comprendere un sistema di condizionamento estate - inverno, in quanto

la limitata apertura degli infissi non consentirebbe il raggiungimento delle ottimali condizioni

microambientali.

Una stanza realizzata con una dotazione tecnologica come quella descritta, avrebbe un

aspetto “normale”, con ampie vetrate e caratteristiche di benessere termico costantemente sotto

controllo.

Il servizio igienico annesso, con semplici accorgimenti, nella scelta dei materiali e nella

realizzazione dei dettagli, potrebbe rispondere più facilmente alle necessità di pulizia ed igiene

che si richiedono. I bordi arrotondati nei punti di raccordo tra superfici orizzontali e verticali

(pavimento - parete), l’utilizzo di sanitari sospesi, materiali di finitura continui ed omogenei,

sono tutti modi per aumentare la facilità di pulizia dell’ambiente, eliminando angoli e punti

nascosti in cui si accumulano detriti e sporcizia.

Come si vede, una chiara visione degli obiettivi da raggiungere e un’analisi costi - benefici

che giustifichi una dotazione tecnologica avanzata potrebbero modificare sostanzialmente

l’aspetto dell’I.P.M., in tutte le sue parti.

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CAPITOLO 6

6 CARATTERISTICHE GENERALI DI UNA ALIMENTAZIONE ADEGUATA ED EQUILIBRATA (B. Lancia)15

Indicazioni dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

L’importanza di una corretta alimentazione, come fattore determinante per un

equilibrato sviluppo e come specifico elemento di prevenzione di molte patologie dell’età

adulta, è ormai ampiamente riconosciuta da parte di chi opera a livello scientifico e

professionale nel campo della salute.

Ma cosa si intende per salute? Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità

(OMS), “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto

l’assenza di malattie”. La salute è un diritto dell’uomo, che tuttavia l’uomo deve conquistarsi

attraverso la conoscenza delle regole di una corretta alimentazione, conoscenza che gli deve

essere fornita mediante l’educazione alimentare.

Da tempo è concetto acquisito che una buona alimentazione è indispensabile per

mantenere un buono stato di salute, ma quello che è diventato necessario imparare e

diffondere come informazione è che “buona alimentazione” significa soprattutto un apporto

adeguato ed equilibrato di energia e nutrienti, in proporzione alle necessità di ciascun

individuo.

L’uomo, come del resto tutti gli esseri viventi, per crescere e mantenere la propria

struttura, per riprodursi, in una parola per vivere, ha bisogno di assumere dall’ambiente

esterno determinate sostanze organiche ed inorganiche, i principi nutritivi o nutrienti, i quali,

15 Dirigente tecnologo dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione

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dal punto di vista chimico sono rappresentati da proteine, grassi, carboidrati, sali minerali,

vitamine ed acqua.

Quantità e qualità dei nutrienti da assumere variano in funzione dei bisogni, che sono

diversi a seconda del sesso, dell’età, dell’attività fisica, delle condizioni fisiologiche.

L’organismo assume i nutrienti necessari attraverso gli alimenti che li contengono e li

veicolano e che sono costituiti da altri organismi animali e vegetali, o da parte di essi o da loro

prodotti biologici, utilizzati così come tali o dopo manipolazione e trasformazione.

Tali nutrienti, si dividono in calorici e non calorici; tra i primi (calorici) annoveriamo

le proteine, sia animali che vegetali, le quali sviluppano 4 Kcal per grammo, i grassi sia

animali che vegetali i quali sviluppano 9 Kcal per grammo ed infine i carboidrati o glucidi o

idrati di carbonio o zuccheri (che sono la stessa cosa) i quali sviluppano ugualmente 4 Kcal

per grammo. Tale energia si libera sotto forma di calore e viene utilizzata dall’organismo per

svolgere le sue funzioni.

I nutrienti non calorici invece sono costituiti dai sali minerali e le vitamine.

Fra le sostanze introdotte con l’alimentazione non va dimenticata l’acqua e la fibra

alimentare.

L’acqua viene assunta sia con gli alimenti che con le bevande ed è considerata un

nutriente essenziale, poiché la quantità prodotta con il metabolismo non è sufficiente a coprire

il fabbisogno giornaliero dell’organismo. Quella utilizzata come bevanda favorisce i processi

digestivi, è fonte di sali minerali e svolge un ruolo importante anche come diluente delle

sostanze ingerite oralmente, inclusi i medicinali.

La fibra alimentare, pur non potendosi considerare un nutriente, esercita effetti di tipo

funzionale e metabolico che la fanno ritenere una importante componente della dieta umana.

Oltre che all’aumento del senso di sazietà e al miglioramento della funzionalità intestinale e

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dei disturbi ad essa associati (stipsi, diverticolosi), l’introduzione di fibra con gli alimenti è

stata messa in relazione alla riduzione del rischio per importanti malattie cronico-

degenerative, in particolare i tumori al colon-retto (in parte spiegata dalla diluizione di

eventuali sostanze cancerogene e dalla riduzione del loro tempo di contatto con la mucosa), il

diabete e le malattie cardiovascolari (in parte per una riduzione dei livelli ematici di

colesterolo).

Una premessa importante da fare è che non esiste alimento completo che possa far

fronte, da solo, a tutte le esigenze dell’organismo, poiché non c’è alimento che contenga tutti i

nutrienti e che li contenga inoltre in quantità ottimale. Persino il latte materno, ritenuto

alimento completo, lo è per il neonato solo nei primi mesi di vita.

Di conseguenza, il modo più semplice e sicuro per garantire, in misura adeguata,

l’apporto di tutti i principi nutritivi indispensabili, è quello di variare il più possibile le scelte e

di combinare opportunamente i diversi alimenti.

Comportarsi in questo modo significa non solo soddisfare maggiormente il gusto e

combattere la monotonia dei sapori, ma anche evitare il pericolo di squilibri nutrizionali e di

possibili conseguenti squilibri metabolici.

I nutrizionisti di molti Paesi hanno semplificato il problema proponendo la

suddivisione della vasta gamma di alimenti disponibili sul mercato in gruppi, caratterizzati dal

contenere alimenti equivalenti (non uguali) per il loro patrimonio in nutrienti: ciò che varia è

la quantità di alimento che è necessario assumere per assicurarsi una quota sostanziale del

nutriente o dei nutrienti precipui del gruppo.

Saranno le preferenze individuali, le abitudini alimentari, il costo, la disponibilità sul mercato,

tutti fattori non nutrizionali quindi, ma di carattere pratico, a guidare la scelta degli alimenti

nell’ambito di ogni gruppo.

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Le “Linee guida” per una sana alimentazione italiana, nell’ultima revisione del 1997,

edita dall’Istituto Nazionale della Nutrizione, suddividono gli alimenti in 5 gruppi:

• Il gruppo cereali e tuberi che comprende: pane, pasta, riso, altri cereali minori quali mais,

avena, orzo, farro, oltre alle patate.

• Il gruppo costituito da frutta e ortaggi comprendente anche legumi freschi.

• Il gruppo latte e derivati che comprende il latte, lo yogurt, i latticini ed i formaggi.

• Il gruppo carne, pesce e uova. Da un punto di vista nutrizionale si possono includere in

questo gruppo anche i legumi secchi.

• Il gruppo dei grassi da condimento che comprende tanto i grassi di origine vegetale quanto

quelli di origine animale.

Pianificare una razione alimentare in modo tale che risulti equilibrata ed adeguata è

facilmente realizzabile sulla base di quanto detto.

Basta tener presente una regola fondamentale: ogni giorno dobbiamo consumare almeno uno

degli alimenti contenuti in ciascun gruppo, il che, in ultima analisi, significa variare il più

possibile i pasti, tenendo sempre presente la funzione che ogni alimento è in grado di

svolgere.

Una dieta sarà equilibrata e salutare se riuscirà a soddisfare i bisogni nutritivi di colui

cui è destinata e se ridurrà i rischi di insorgenza delle malattie da sovraconsumo.

Una dieta equilibrata non si esaurisce solo nella giusta introduzione energetica globale e

nemmeno nel giusto rapporto tra i nutrienti, ma prevede anche una corretta distribuzione

nell’arco delle 24 ore.

E’ infatti opportuno suddividere l’assunzione di cibo in più piccoli pasti anziché

concentrarla in 2-3 pasti abbondanti. In tal modo l’apparato digerente ne trarrà sicuri vantaggi,

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poiché non verrà sottoposto a periodi di intenso lavoro, alternati a periodi di inattività,

conseguenti ai lunghi intervalli tra un pasto e l’altro.

Il concetto di una corretta alimentazione interessa sempre di più gli italiani tanto che si

riscontra un crescente e responsabile desiderio di informazione nel campo alimentare.

Tale esigenza ha subito trovato un riscontro sia nel notevole spazio riservato dai

“mass-media” alla questione alimentare, sia nell’importante sviluppo dell’educazione

alimentare promosso da alcune istituzioni pubbliche.

Tuttavia questi fenomeni di consapevolezza e di sensibilizzazione presentano ancora

forti aspetti di contraddittorietà, soprattutto tra gli adolescenti, dovuti in parte alla pressione

costante dei messaggi pubblicitari più diversi, ma sostanzialmente alla ancora scarsa

conoscenza dei principi-guida dell’alimentazione.

L’adolescenza è una fase delicata della vita, tra l’infanzia e l’età adulta, caratterizzata

da profondi mutamenti fisiologici perché l’organismo deve affrontare il massimo scatto di

crescita, che precede la maturazione sessuale, e necessita, pertanto, di una quantità di energia

e di nutrienti maggiore rispetto a qualunque altro periodo della vita (ad eccezione della

gravidanza e dell’allattamento).

In particolare è richiesta una maggiore introduzione di calorie in relazione all’aumento

dei bisogni energetici legati alla crescita, ma una grande attenzione va posta anche all’apporto

di proteine e di ferro, necessari ai ragazzi per la costruzione delle masse muscolari e alle

ragazze, per supplire agli squilibri dovuti alle perdite che si verificano con le prime

mestruazioni.

L’alimentazione dell’adolescente dovrebbe perciò essere ricca di alimenti fonte di

amido (pane, pasta, patate, legumi), di proteine di alto valore biologico (pesce, carne, uova)

ma anche di latte e formaggi, per il contenuto in calcio, di verdure, per la vitamina A, e di

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frutta e verdura a foglie fresche di stagione, per la vitamina C. Insomma un’alimentazione

variata che prenda in considerazione tutti gli alimenti.

In realtà, a causa delle condizioni emotive caratteristiche di questa età, sono propri

dell’adolescente gli strani comportamenti alimentari. C’è da considerare anche che questa è

l’età in cui si scartano le vecchie abitudini per sperimentare nuove identità, si rifiutano i

consigli degli adulti, specialmente dei genitori, convinti di affermare, in tal modo, la propria

personalità.

Come se non bastasse l’adolescente si lascia facilmente suggestionare dalle mode che

portano in auge diete vegetariane, macrobiotiche, naturalistiche. Inoltre i giovani sono sempre

più coinvolti dall’esigenza di identificarsi in modelli estetici proposti dai mass media, che

vogliono l’uomo e la donna di successo del momento e del futuro sempre più longilinei,

scattanti e attraenti. Ecco perché i giovani sono disposti a qualsiasi sacrificio pur di

conquistare quello che loro credono sia il peso forma o il peso ideale. E’ per questo che

ciclicamente, con l’arrivo dell’estate, rispunta l’esigenza di perdere qualche chilo di troppo

per fare bella figura in spiaggia. Ecco, perciò, le mode della dieta punti, la dieta dissociata, la

Scarsdale, diete senza alcun fondamento scientifico, sconsiderate, apprese dalle riviste

femminili o suggerite dall’amica che le garantisce “miracolose”, in ultima analisi,

diseducative.

L’aspetto più preoccupante è che si tratta sempre di diete squilibrate le quali, anche se

fanno perdere velocemente qualche chilo, non modificano le abitudini alimentari errate per

cui, a breve termine, il problema del sovrappeso si ripropone.

Si ricomincia allora con una dieta magari più rigida e si dimagrisce di nuovo dando così luogo

al fenomeno dello yo-yo (e cioè dell’andare su e giù del peso corporeo) con tutte le dannose

conseguenze che possono instaurarsi per l’organismo. Infatti vengono addebitati ad errori

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alimentari, commessi in questa età, conseguenze negative sulla salute che si evidenzieranno in

età adulta. Di solito l’ossessione della linea ad ogni costo riguarda soprattutto le ragazze

mentre, per il corrispondente maschile, c’è l’esigenza della massa muscolare super sviluppata;

ed ecco allora l’altra moda: gli integratori alimentari di cui fanno uso i frequentatori delle

palestre.

Nel caso specifico di adolescenti privati della libertà a causa di reati commessi,

eventuali desideri di linea o di prestanza fisica non trovano l’ambiente adatto per essere

realizzati.

Rimane tuttavia il doveroso compito da parte dei responsabili, cui i ragazzi ospiti degli

Istituti Penali Minorili, dei Centri di Prima Accoglienza e delle Comunità vengono affidati, di

tutelarne la salute, in tutti i modi, attraverso una adeguata alimentazione oltre che la

possibilità di svolgere attività fisica.

A tale scopo si è stabilita una collaborazione tra l’Istituto Nazionale della Nutrizione e

l’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile per procedere alla stesura di tabelle vittuarie

equilibrate ed adeguate nel rispetto delle esigenze nutrizionali proprie della fascia di età

compresa tra i 15 e i 21 anni cui appartengono i soggetti dei quali trattasi.

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7 SPORT E SALUTE (P. Tisot) 16 Contributo dell’Unione Italiana Sport per Tutti

LA VALENZA FORMATIVA DELLO SPORT Il fenomeno sportivo, nelle sue molteplici sfumature, ha oramai assunto un ruolo primario nella

vita quotidiana di milioni di cittadini, nell'organizzazione della società, nel sistema delle

comunicazioni di massa, nel ciclo economico, nel rapporto tra cittadino ed istituzioni.

Motivazioni e soggetti nuovi, determinanti per lo sviluppo del movimento sportivo, si vanno

sempre più intrecciando con quelli tradizionali.

Si afferma un nuovo, autonomo valore della corporeità; le attività motorie e sportive

rappresentano una delle forme culturali più diffuse in cui si esprimono i bisogni di

valorizzazione, liberazione ed arricchimento della personalità.

Vecchie separazioni, fra mente e corpo, fra sport e società, fra varie forme di attività sportiva,

ecc., si vanno ormai superando nella coscienza comune, sempre più moderna ed esigente anche

in questo campo.

Cresce la voglia di protagonismo espressa da praticanti, operatori e dirigenti; cresce, anche se in

maniera ancora oggettivamente insufficiente, l'attenzione dei poteri pubblici ed in particolare

delle amministrazioni locali.

L'affermarsi dello sport per tutti, del rispetto di tutte le motivazioni che inducono alla pratica

motoria e sportiva, della cultura del corpo come cultura delle differenze, impone analisi culturali

e scientifiche sempre più approfondite ed un adeguamento attento e programmato degl'interventi

in tema di attività, strutture, impianti, operatori, ecc., con particolare attenzione alla promozione

ed al consolidamento dell'associazionismo sportivo.

16 Comitato Scientifico Uisp

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E' ormai acquisizione comune che una corretta ed adeguata attività motoria costituisca un

elemento fondamentale per lo sviluppo equilibrato ed unitario dell'individuo, a tutte le età della

vita. Questo vale soprattutto per quanto riguarda i giovani: i settori attenti alle dinamiche

educative da tempo valorizzano le notevoli potenzialità formative del movimento e dello sport,

specie se opportunamente sostenute da metodologie che privilegino la pista ludica.

Sul piano dei contenuti però è ancora necessario superare una soluzione legata esclusivamente

alla logica avviamento-selezione, per ridisegnare invece le linee di un intervento che riconosca

nell'alfabetizzazione e nell'educazione motoria, nella continuità sportiva e nella valenza

associativa gli obiettivi primari e di base, anche per una successiva valorizzazione delle

potenzialità specifiche.

Su queste basi si fondano le più avanzate teorie relative al Sistema formativo integrato che,

attraverso il coordinamento degl'interventi della scuola, delle amministrazioni locali,

dell'associazionismo e del privato, garantisce il dispiegarsi di tutte le potenzialità proprie delle

diverse agenzie formative. Anche nello specifico motorio e sportivo una tale integrazione, senza

pretese di omogeneizzazioni radicali (cultura del corpo significa infatti cultura delle differenze),

consentirebbe d'identificare criteri epistemologici e piste metodologiche omogenee, ruoli diversi,

ma coordinati dei diversi protagonisti (es. una scuola più attenta all'alfabetizzazione motoria e

l'extrascuola indirizzata verso una maggiore specificità, non specializzazione, sportiva), in

definitiva denominatori pedagogici comuni e funzionali ad un'ulteriore valorizzazione dei singoli

interventi.

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SCHEMA

Ipotesi di modello di partecipazione sportiva (M. Baldacci):

le quattro grandi variabili che incidono sulla partecipazione sportiva

1) OPPORTUNITA' DI PRATICA (possibilità di fare sport) tempi dell'offerta •

• spazi dell'offerta

2) DISPONIBILITA' ALLA PRATICA (desiderio di fare sport) tempo libero disponibile •

• atteggiamento affettivo - verso lo sport in generale - verso la disciplina sportiva - concetto di sé sportivo - storia sportiva del soggetto

3) ATTITUDINE ALLA PRATICA (saperi motori) capacità motorie di base •

- coordinative (psicomotorie) - tattiche (sociomotorie)

attività motorie specifiche

4) QUALITA' DELLA PRATICA (ciò che si deve fare) curricolo •

• didattica sua individualizzazione - livello di partenza - ritmi di apprendimento - stili di apprendimento

Punto 1) e punto 4) = esterne o di sistema Punto 2) e punto 3) = interne o relative all'individuo

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In un'ottica di sistema si affermano i concetti chiave di integrazione e continuità.

A) INTEGRAZIONE

1) nei processi di crescita e sviluppo dell'unità psicofisica del bambino;

2) fra discipline all'interno dell'istituzione scolastica (la cultura del corpo è tipicamente

interdisciplinare);

3) di sistema (Sistema Formativo Integrato) fra le diverse agenzie formative sulla base di

un comune progetto pedagogico.

B) CONTINUITA'

1) didattica:

1a) verticale, vale a dire fra le diverse esperienze educative precedenti e successive, per la

scuola dell'obbligo rappresentate dalla scuola dell'infanzia e dalla scuola media superiore;

1b) orizzontale, realizzabile nella capacità di apertura, d'interazione con le istituzioni, le

agenzie formative e il contesto sociale;

2) sportiva, che rappresenta, insieme con la personalizzazione e con la progressività una

componente essenziale di ogni pratica corretta.

CHE COSA SIGNIFICA SPORT PER TUTTI

a) Sport per tutti significa innanzitutto "nessuno escluso".

Avvicinare all'attività soggetti ancora emarginati deve rimanere (o diventare) un punto

centrale del programma. Non solo solidarietà, ma progetti d'inserimento e d'integrazione. I

contenuti del lavoro svolto in questa direzione, proprio perché particolarmente attinenti alla

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sfera dei valori e dell'identità, devono incidere e modificare i presupposti tecnici ed

organizzativi dell'intera proposta sportiva.

La nuova centralità del soggetto, che sostituisce quella della regola immodificabile, impone

l'articolazione della proposta per renderla effettivamente adeguata alla esigenze diversificate

del cittadino. I parametri di riferimento non possono più essere soltanto quelli di "accesso al

campo di gioco" (rigore regolamentare, disponibilità impiantistica, tutela sanitaria generica,

ecc.); la complicazione del sistema deve prevedere un intreccio altrettanto complesso tra

numerose variabili, a cominciare:

• dal sesso;

• dall'età;

• dalla condizione fisica (potenziale prestazione assoluta o relativa);

• dalla condizione atletica (praticanti abituali, neopraticanti, ripresa o diversificazione

dell'attività);

• dalla motivazione (alla competizione, assoluta o relativa, alla socializzazione, alla

ricreazione).

b) L'obiettivo di fondo resta quello di facilitare e garantire la partecipazione del cittadino

all'attività

sportiva:

facilitare attraverso la più ampia corrispondenza fra bisogni dei soggetti e contenuti

dell'offerta;

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garantire, attraverso la tutela della bio-individualità, la sicurezza e la qualità della pratica, lo

sviluppo della cultura fisica e la definizione di una regolamentazione adeguata alle

condizioni dei praticanti.

Non è più pensabile che anche le proposte di sport per tutti siano in parte mutuate da un

modello professionistico, per adulti, maschi, in buone condizioni fisico-atletiche e con

obiettivi di prestazione assoluta. La diversificazione della domanda di sport mette in

discussione la centralità della regola, il modello unico ed immodificabile.

Lo sport per tutti, che significa soprattutto "diritto ad una pratica permanente modellata sul

soggetto", si deve concretizzare in proposte diversificate a misura di ognuno ed in

progressivi adeguamenti regolamentari ed organizzativi che non rivoluzionino senza

necessità le convenzioni, ma nello stesso tempo non assumano come intoccabili le regole del

gioco.

Queste scelte determinano inevitabilmente delle aree critiche:

• da quelle normative (adeguamento delle regole)

• a quelle organizzative (funzioni e compiti delle strutture e degli operatori)

• e formative (ruoli e competenze delle diverse figure coinvolte).

Per risolverle occorrono, oltre che impegno e integrazioni funzionali, soprattutto un

approfondito lavoro di studio e ricerca.

L'ABBANDONO PRECOCE

Sulla base delle purtroppo rare ricerche specifiche (inversamente proporzionali alla quantità di

dibattiti sul tema), possiamo tentare di delineare alcuni contorni del fenomeno abbandono

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precoce. Sembra si possa a buona ragione sostenere che anche lo sportivo giovane è entrato in

mobilità; una mobilità che sempre più spesso però non rappresenta il primo passo verso

l'espulsione e neppure l'anticamera del sedentarismo, ma piuttosto un inizio di diversificazione

dell'attività. E' orami di dominio comune la contrazione del tesseramento alla discipline sportive

codificate, specie per quanto riguarda la fascia giovanile.

Questa contrazione non è più attribuibile però soltanto al calo demografico. Infatti dalla

correlazione di Mussino, dei dati relativi al "malessere demografico" della popolazione italiana,

con quelli dei praticanti un'attività sportiva regolare, emerge con chiarezza il fatto che il

campanello di allarme è già suonato da tempo e più volte, ma il richiamo è stato trascurato, sia

perché si dormiva sugli allori dell'espansione, sia perché carenti erano le informazioni rigorose e

scientifiche. Infatti l'incremento del numero degli sportivi è evidente e significativo fino ai

quindicenni del 1988. La base di reclutamento molto ampia consentiva compensazioni e

reintegrazioni della quota degli abbandoni. Successivamente la decelerazione dello sviluppo o i

primi segnali di decremento trovano ampia giustificazione nel calo demografico delle classi di

età di riferimento. Ma a partire dalla classe dei ventenni nel 1988 la contrazione del numero di

praticanti le discipline assume carattere assoluto e non più solo relativo. Non si può più dare la

colpa ai genitori; almeno non perché "fanno meno figli". Di contro però è decisamente in

aumento un'attività deregolamentata, ludica e socializzante, come testimonia, ad esempio, il

successo delle iniziative rivolte alla prevenzione del disagio o al recupero della devianza

giovanile, nei quartieri a rischio, come nelle carceri, ma soprattutto di progetti originali e

innovativi, che esaltano dello sport i connotati di gioco e avventura.

Resta il fatto che i dati ufficiali segnalano un decremento della pratica sportiva nell'adolescenza.

Si tratta di un fenomeno fisiologico o di una crisi dovuta alla mancata corrispondenza tra bisogni

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ed opportunità. Quanto un modello di sport disciplinare dalle regole immutabili e con la

tentazione della selezione precoce, determina il distacco?

Lo sport può rappresentare uno strumento di prevenzione nelle situazioni a rischio e di recupero

delle devianze: ma quale sport?

Come visto, grado di competitività, livello d'istituzionalizzazione e di organizzazione e tempo

impegnato segmentano l'attività in un "continuum" che va dal sedentarismo al professionismo

sportivo. Su queste basi le ricerche di Roma, Prato ed i primi dati grezzi di Pontedera

concordano sorprendentemente, come rilevato, quasi all'unità percentuale. Infatti nella fascia 10-

14 anni, i praticanti "regolari" sono 6 su 10 (58.6% Roma, 55% Prato, 56.86% Pontedera),

suddivisi fra agonisti (circa 19%) ed amatori (circa 39%). Un 10% circa sembra il dato quasi

fisiologico di giovani che non hanno mai avuto esperienze sportive, mentre il restante 32% circa

è rappresentato da coloro che attualmente non praticano, ma hanno avuto un'esperienza sportiva

in passato e per i quali quindi si può parlare di abbandono precoce. Una percentuale molto alta

(circa un terzo), ma che per fortuna non sempre è relativa ad "abbandoni del sistema sportivo",

quanto piuttosto ad "abbandoni della disciplina". Si va infatti diffondendo il fenomeno dei rientri

nella stessa attività, anche se a livelli, con ruoli e motivazioni diversi, ma soprattutto la già citata

mobilità verso altre pratiche. E' plausibile però, anche se poco canonico rispetto alla letteratura

scientifica, incominciare a parlare, come fa Mussino, non solo di abbandono, ma anche di una

forte mobilità fra discipline.

Alla base degli abbandoni, ma anche della verginità sportiva, sta una costellazione di variabili,

una difficoltà particolare, anche ad iniziare, che è data da filtri di natura strutturale (demografici,

socio-economici, culturali), filtri a monte di carattere sociale, prima che motivazionale. Se si

pensa a quanto parametri come, ad esempio, il numero dei fratelli o il grado di istruzione o la

professione dei genitori incidano sulla diffusione della pratica, non si può che concordare con

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Baldacci, quanto sostiene che nei tempi medio-lunghi i fattori esterni, di sistema del modello di

partecipazione sportiva prevalgono su quelli interni o relativi all'individuo, anche perché la

perdita di ludicità di un contesto sempre più strutturato finisce con l'incidere sulla disponibilità e

l'attitudine allo sport.

Forse la miglior forma di prevenzione del drop-out è rappresentata proprio da un adeguato

orientamento fin dagli inizi, che favorisca la scelta dell'attività più confacente alle caratteristiche

individuali, fisico-atletiche e psicomotivazionali.

Curiosità, flessibilità, superamento del modello unico, atleta soggetto e non oggetto di

formazione, sono riferimenti essenziali per tutto lo sport, ma tanto più per lo sport per tutti. Sport

per tutti significa infatti non solo diritto di accesso al campo di gioco (peraltro non sempre evaso

e, di recente, pesantemente rimesso in discussione), ma soprattutto diritto ad avere una risposta

adeguata, a misura, compatibile con l'ambiente e la società, sostenibile (ecologia della persona).

Non ci si può fermare allo sport com'è oggi, come sola organizzazione sociale dei saperi motori.

Lo sport per tutti è diritto ad una pratica sportiva permanente disegnata sul soggetto e quindi

nello sport per tutti l'abbandono è una contraddizione in termini, un segnale della non sufficiente

diversificazione dell'offerta.

UNO STILE DI VITA ATTIVO PER PREVENIRE LE MALATTIE

Dalla seconda "Consensus Conference Italiana" giunge la conferma che uno stile di vita attivo

rappresenta un indispensabile strumento di prevenzione delle malattie da sedentarismo.

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L’autorevole forum scientifico sottolinea la grande importanza strategica di un’adeguata attività

motoria nella prevenzione, terapia e riabilitazione della cardiopatia coronarica, la conseguenza

più eclatante, anche del sedentarismo.

“Abbassare la colesterolemia, per ridurre la cardiopatia coronarica” è il tema dibattuto dai

massimi ricercatori italiani.

La comunità scientifica italiana, su proposta della direzione del progetto finalizzato Cnr

“Prevenzione e controllo dei fattori di malattia - FATMA” e d’intesa con l’Istituto superiore di

sanità, l’Istituto nazionale della nutrizione, la Società italiana per lo studio dell’arteriosclerosi e il

Gruppo di studio delle malattie dismetaboliche e dell’arteriosclerosi, ha ritenuto utile

riesaminare, ad alcuni anni di distanza dalla Ia Consensus conference italiana, le documentazioni

riguardanti i rapporti tra colesterolemia e cardiopatia coronarica in modo da aggiornare le

conoscenze in questo settore, favorirne la diffusione e promuovere opportuni programmi di

intervento.

La conferenza ha confermato i principi generali del precedente documento, riguardo alle

relazioni causali tra colesterolemia e cardiopatia coronarica. La revisione critica delle ricerche

internazionali nell’ambito di molteplici discipline e l’analisi delle campagne di prevenzione

promosse da diversi soggetti scientifici e istituzionali hanno rafforzato la convinzione che:

• esiste una relazione causale tra colesterolemia e cardiopatia coronarica;

• l’intervento sulla colesterolemia sia efficace ai fini della riduzione del rischio di cardiopatia

coronarica;

• sia necessario definire le circostanze e le misure da adottare per eseguire interventi dietetici

e/o farmacologici;

• sia necessario abbassare la colesterolemia nell’intera popolazione;

• occorra definire linee guida aggiornate per la ricerca nel settore.

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Il documento finale della conferenza, suggerisce alcune raccomandazioni, fra le quali la n. 14

(vedi box) introduce per la prima volta un’attenzione specifica per l’attività motoria e propone

strategie d’intervento sulla popolazione e sugli individui. La prima in particolare associa al

regime nutrizionale l’attività fisica.

Una strategia di popolazione (rivolta cioè all’intera popolazione, che contiene individui sani,

malati e predisposti) mira a ridurre la colesterolemia media a 180-200 mg/dl; essa suggerisce, a

tutti gli individui di età superiore a 2 anni, di:

• adottare abitudini alimentari in cui la quota di grassi non superi il 30 % delle calorie totali;

quella dei grassi saturi sia inferiore al 10 %; quella dei poliinsaturi ammonti al 5-6 %,

tenendo presente che un’importante proporzione di questi può derivare dalle carni di pesce;

la restante parte della quota lipidica sia rappresentata da grassi monoinsaturi (ad esempio,

dall’olio extravergine di oliva); la assunzione giornaliera di colesterolo con gli alimenti non

superi i 300 mg negli adulti e i 100 mg per 1.000 calorie nei bambini;

• ridurre il peso corporeo eventualmente in eccesso, diminuendo l’apporto calorico e

incrementando l’attività fisica;

• prendere iniziative concrete per identificare e controllare gli altri fattori di rischio coronarico,

quali ipertensione arteriosa, obesità viscerale, diabete e ridotta tolleranza al glucosio.

Eliminare l’abitudine al fumo di sigarette e scegliere uno stile di vita in cui l’attività motoria

sia adeguatamente rappresentata.

Raccomandazione numero 14

Favorire l’adozione di uno stile di vita attivo attraverso la pratica di una regolare e adeguata

attività fisica di tipo prevalentemente aerobico, in forma sia spontanea che organizzata, tenuto

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conto anche del suo comprovato effetto positivo nella prevenzione e/o correzione di altri fattori

di rischio, quali il sovrappeso corporeo, la ridotta tolleranza al glucosio, l’ipertrigliceridemia e

l’ipertensione arteriosa.

Recenti ricerche relative a controlli dello stato di salute e del grado di efficienza fisica e psichica

della popolazione scolastica sottolineano con evidenza la riduzione delle capacità funzionali,

come conseguenza di stili di vita sempre più sedentari. Sovrappeso e perfino obesità diventano

sempre più un'allarmante caratteristica della popolazione italiana in età evolutiva.

L'istituto di medicina dello sport di Torino e della Regione Piemonte, presentando i risultati di

studi originali incominciati nel '93 e che hanno coinvolto alcune decine di migliaia di studenti

della prima media, ha evidenziato alcuni parametri sostanziali rispetto allo stato di salute.

"Dall'insieme dei dati raccolti si è potuto evidenziare come i soggetti godano complessivamente

di buona salute per migliori condizioni di vita e di prevenzione. Ma se alcune malattie infettive

appaiono in continua diminuzione come il morbillo, la malattia reumatica e l'epatite A, altre

come la varicella e l'epatite B tendono ad aumentare.

Ulteriormente in aumento i deficit visivi (il 20% di M ed il 23% di F hanno un virus inferiore a

8/10). Per quanto concerne il rachide risultano in riduzione le modificazioni di tipo scoliotico

(scoliosi evidenti nello 0,17% di M e 0,35% di F) mentre appaiono in aumento le cifosi e le

lordosi.

Dai dati antropometrici si evidenzia dagli anni '80 una tendenza all'incremento della statura e del

peso con un aumento dell'indice di massa corporea e del numero di soggetti in sovrappeso la cui

causa appare legata allo squilibrio energetico fra calorie apportate con l'alimentazione e quelle

spese con l'attività motoria giornaliera.

Questo effetto non compensato dalla pratica di poche ore di sport influisce sul massimo consumo

di ossigeno relativo al peso corporeo che risulta diminuire progressivamente dal '82-83 al '96-97.

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Il sovrappeso incide inoltre già negativamente a questa età sugli adattamenti organici,

determinando un aumento della pressione arteriosa a riposo ed una riduzione della funzionalità

respiratoria (rapporto VEMS/CVF).

I problemi più importanti individuati appaiono connessi all'attività motoria e all'alimentazione

che si influenzano reciprocamente. L'attività motoria così come viene svolta non appare da sola

sufficiente per migliorare il controllo del peso e prevenire e combattere l'obesità. Maggiori sforzi

devono essere fatti per ottimizzare l'alimentazione che reca danni non solo quando è insufficiente

ma anche quando risulta qualitativamente e quantitativamente eccessiva" (Mediana dello Sport,

ed. Minerva Medica, n.4/1999, pagine 291/292).

LO SPORT E’ SALUTE?

Se si verificano accuratamente l’efficienza fisica ed il giusto dosaggio dell’attività (visita medica

almeno annuale).

Se è praticato in forma motivante, individualizzata, progressiva e costante (allenamento adeguato

alle condizioni psicofisiche di partenza, carico dosato per volume, intensità e ritmo, praticato per

almeno tre volte alla settimana e controllato tramite test ripetuti nel tempo).

Se è svolto in impianti igienicamente adeguati, nel rispetto delle norme di sicurezza e con

garanzia dell’intervento di primo soccorso, in condizioni ambientali idonee (stato del terreno,

temperatura, umidità, ventilazione, visibilità e luminosità).

Se è affrontato con attrezzature ed abbigliamento adeguati, ispirati alla funzionalità ed alla

praticità più che alle mode.

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Se è associato ad una dieta equilibrata, appetitosa e variata, che escluda l’assunzione di un pasto

importante nelle tre ore precedenti e nelle due successive alla prestazione e preveda di bere

frequentemente, privilegiando reintegratori naturali.

Se la prestazione è preparata da un opportuno riscaldamento, tiene conto delle necessità di

recupero durante e dopo lo sforzo, si conclude con una doccia tonificante dopo una fase di

defaticamento attivo.

Se è rispettoso dei regolamenti, garanzia di lealtà nella competizione, ma anche di prevenzione

degli infortuni.

Se induce al rispetto di più generali norme igieniche e di comportamento (ritmi regolari, non

fumo, non abuso di alcool).

Se lo sforzo è calibrato sui vincoli dettati dall’età, dal tipo di attività e sulle precedenti esperienze

sportive, è affrontato con serenità ed equilibrio, come componente importante di un’esperienza,

senza che assuma caratteri di fuga dal quotidiano o di esasperazione.

Sport è salute se fatto a misura di ognuno, a misura di ragione e di cuore.

IL CORPO NELL'ISTITUZIONE TOTALE

Nell'istituzione totale, come ad esempio in carcere, in modo pesante ed aggressivo, si tende a

sviluppare in maniera distorta l'uso e il sopruso del corpo, passando dalla violenza verso gli altri

a quella verso se stessi.

Col venir meno delle libertà va affievolendosi il senso della propria identità, del proprio passato

e soprattutto del futuro ed "il corpo si adagia, viene dimenticato, disprezzato, viene odiato come

conseguenza dell'impossibilità di vivere globalmente". Quasi per assurdo però, come afferma

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Slavich, "quello che più immediatamente si può fare per salvaguardare se stessi dal crollo e

dall'abbandono, è sentire il corpo come proprio.

Anche in spazi ristretti è possibile vivere il proprio corpo come esistente; è molto più facile, tra

l'altro, non solo per possibilità di concettualizzazione personale, ma proprio per il vissuto

quotidiano, sentire come appartenere a se stessi il proprio corpo, piuttosto che non la propria

vita".

La definizione di programmi adeguati sembra quindi essenziale in funzione del domani e non

solo dell'oggi e dovrebbe essere condivisa dall'istituzione carceraria in quanto coerente con

l'obiettivo della pena come rieducazione e non più come "afflizione". Anche le esperienze più

avanzate e scientificamente valide (e di molte siamo a conoscenza) potrebbero risultare però

come la classica razionalizzazione dell'esistente, il contributo all'umanizzazione di un'istituzione

alienante, se non fossero collegate ad un progetto più ampio, che, ancora una volta, tenga conto

da un lato delle motivazioni dell'utente e dall'altro delle esigenze di socializzazione.

L'offerta ammirata ed appropriata di "tempo libero" come vuole la paradossale terminologia

burocratica, deve dunque da un lato favorire la socializzazione, la conoscenza, la partecipazione

all'esperienza di gruppo e dall'altro tentare di spezzare la separatezza del carcere e di indurre la

società di farsi carico, sia pure parzialmente, dei problemi che esso propone.

In questa prospettiva di comunicazione, di conoscenza e non di rifiuto del diverso, le esperienze

maggiormente significative sono quelle che, anche attraverso lo sport, hanno cercato di collegare

l'istituzione al territorio, nel tentativo, spesso riuscito, di agganciare, attraverso l'intervento delle

società sportive, il recluso tramite l'attività, per poi ritrovarlo all'esterno dell'istituto e riuscire ad

inserirlo, creandogli situazioni in cui possa risocializzare, canali di inserimento che si

concretizzano in opportunità diversificate. Ancora utopia? Certo il sottoscritto ha ancora negli

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occhi l'incontro di calcio svoltosi presso il CTN di Coverciano fra una rappresentativa di

carcerati e una di incensurati.

Sarà stata la presenza dei magistrati e di molti agenti di custodia, ma l'atmosfera era quasi

surreale. Mai arbitro fu più inutile; nessun accenno di protesta neppure da parte del più maledetto

toscano; applausi per gli avversari.

Credo che lo stesso De Coubertin non arrivasse a concepire un così irreale fair-play.

Vero era però lo striscione ideato dai reclusi che sosteneva "Insieme con simpatia attraverso lo

sport, dentro e fuori", così come reali sono le molteplici esperienze di reinserimento che molte

società sportive stanno programmando.

GIOVANI E PRATICA SPORTIVA

L'unità di ricerca interdipartimentale "Sport e Loisir" dell'Università "La Sapienza" di Roma ha

condotto un'indagine sulla pratica sportiva dei giovani delle scuole medie di Roma. La specificità

della ricerca risiede nella possibilità, per la prima volta in Italia, di comparare due studi

equivalenti, realizzati in tempi diversi. Nel 1990 e nel 1996 sono state infatti testate le abitudini

sportive degli alunni delle scuole medie inferiori romane, di età compresa fra i 10 e i 14 anni. Le

interviste degli studenti universitari hanno coinvolto un campione rappresentativo di ben 1194

alunni e l'elaborazione delle numerose variabili indagate fornirà una mappa molto dettagliata del

sistema sportivo giovanile metropolitano.

La confrontabilità dei dati 90/96 consente però di cogliere qualche specificità significativa.

La prima connette il "malessere demografico" (popolazione dai 10 ai 14 anni nel 1990: 107.000;

nel 1996: 77.000), con una pratica regolare comunque in crescita percentuale: si passa infatti da

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62.600 (65,3%) a 50.500 (58,6%) di sportivi, mentre i non praticanti calano da 44.300 (41,4%) a

26.800 (37,7%). In termini relativi quindi la situazione è confortante e registra una crescita del

6,7% (tab. 1). Il sesso rimane un fattore discriminante, anche se si manifestano alcuni segni di

riequilibrio. Le sportive sono il 57,1%, con un aumento del 7% ed il confronto con le altre

indagini omogenee (tab. 2), conferma le difficoltà che le donne hanno ancora nell'inserirsi nei

percorsi di formazione sportiva. Di particolare interesse infine sono alcuni dati relativi

all'abbandono sportivo precoce. Lo studio rappresenta, oggettivamente o soggettivamente vissuto

come tale, la principale motivazione all'abbandono, mentre la noia lo segue a ruota (tab. 3).

Singolare il confronto fra gli ultimi sport praticati da chi abbandona: "vince" il nuoto (34,6%) e

"perde" il tennis (tab. 4). Una classifica confermata a rovescio dalla soddisfazione relativa alla

disciplina praticata: il 77,1% sono soddisfatti e solo il 22,9% insoddisfatti del proprio essere

tennisti, mentre sono insoddisfatti il 55,7% dei praticanti atletica leggera e il 55,1% dei nuotatori

(tab. 5). Su questi e moltissimi altri dati devono riflettere a fondo il mondo dello sport ed anche

quello della scuola.

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CAPITOLO 8

8 LA TUTELA DELLA SALUTE NEGLI ISTITUTI PENALI PER

MINORENNI. ASPETTI SOCIO-PSICOLOGICI (F. Brauzzi, A. De Iacobis)

8.1 PREMESSA METODOLOGICA

In questo capitolo verranno illustrati i risultati dello studio sulla tutela della salute del

minore in stato di detenzione. Tale studio si propone l’obiettivo di fornire una visione d’insieme

che possa essere indicativa del livello di attenzione che attualmente si riserva negli Istituti Penali

Minorili alla complessa gestione di tale problematica.

Saranno qui affrontate, nello specifico, le dimensioni psichiche e sociali della salute, a

differenza del capitolo precedente, che ha affrontato questioni di carattere più strettamente

medico. Questa divisione del lavoro nasce, oltre che da un'esigenza esplicativa, anche

dall'esigenza di preservare la specificità delle competenze professionali che qualsiasi approccio,

pur se interdisciplinare, non può non tenere in considerazione.

I dati e le informazioni sono state raccolte in due momenti differenti. In un primo

momento è stata richiesta agli IPM una documentazione generale relativa all'organizzazione del

servizio sanitario e alle eventuali iniziative realizzate in ambito preventivo. In un secondo tempo

è stato proposto all'équipe psico-pedagogica degli IPM un questionario rivolto a raccogliere

informazioni sulle modalità attraverso le quali gli stessi Istituti fanno fronte al problema della

tutela della salute e, contemporaneamente, a rilevare gli aspetti più problematici o eventuali

carenze che richiedono al più presto una risposta.

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La scelta di proporre il questionario agli operatori è stata determinata dalla convinzione

che l'opinione degli operatori fosse meno soggetta a motivazioni strumentali rispetto a quelle che

avrebbero potuto determinare le risposte degli stessi utenti. Non secondariamente, poi, si è

ritenuto che fosse indispensabile partire dal patrimonio di esperienze e conoscenze che possiede

chi lavora a diretto contatto con l'utenza penale minorile.

Il questionario contiene domande finalizzate ad ottenere dati sia qualitativi che

quantitativi. Hanno risposto 16 su 17 Istituti Penali Minorili attualmente operativi sul territorio

nazionale.

Il questionario è volto ad approfondire le seguenti aree:

1. modalità attraverso cui viene gestito il disagio minorile,

2. spazio della dimensione socio-affettiva,

3. assistenza religiosa e pratiche di culto,

4. educazione alla salute,

5. incidenza statistica degli atti autolesionistici,

6. caratteristiche igienico-sanitarie delle strutture.

Prima di esaminare le aree specifiche è opportuna una considerazione generale. Ciò che

emerge dai dati raccolti pone in evidenza come la realtà degli Istituti Penali attualmente operativi

sul territorio nazionale sia varia ed eterogenea. Una realtà che è strettamente correlata alla

variabilità geografica del bacino di utenza, alla difformità delle risorse presenti sul territorio, alla

qualità delle politiche locali istituzionali.

All'interno di essa è, comunque, possibile cogliere anche delle costanti che sono

individuabili nelle problematiche, inerenti alla salute, che sono fasi specifiche, ovvero che

caratterizzano la particolare fase del ciclo vitale dell'adolescenza. Torneremo su questo in

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seguito, perché una politica della promozione della salute non può che giocarsi nella continua

oscillazione tra una ricerca di dimensioni trasversali, come le problematiche legate al ciclo di

vita dell'adolescenza, e una ricerca che individui e focalizzi tematiche invece legate alla

specificità dei contesti (provenienza socio economica, condizione detentiva).

8.2 INTERVENTI SUL DISAGIO MINORILE ASPETTI GENERALI

Un primo aspetto che è stato esaminato riguarda la valutazione delle condizioni di salute

del minore nel momento del suo primo ingresso in IPM. L'articolo 11 della 354 del 1975 prevede

l'istituzione di un servizio sanitario all'interno degli Istituti penitenziari dotati di personale

medico e infermieristico. Tra i compiti assegnati a questo servizio è prevista la visita di primo

ingresso volta ad accertare lo stato di salute del detenuto. Dunque la valutazione da parte del

personale medico era un dato altamente prevedibile se non scontato. La domanda del

questionario intendeva invece rilevare se esiste un'attenzione al problema anche da parte delle

altre figure professionali che lavorano con il minore. Il grafico17 1 mette in evidenzia come

anche altre figure professionali oltre al medico danno il loro contributo in tale processo di

valutazione. Emerge una rappresentazione della salute non riferita ai soli aspetti medici, ma che

17 La domanda era così formulata: Chi si occupa di valutare lo stato generale di salute del minore che entra in IPM? A tale domanda ogni équipe di Istituto era chiamata ad esprimersi secondo una scala nominale: Sempre, frequentemente, raramente, mai. Per avere una rappresentazione grafica generale, su come mediamente le équipe degli IPM si sono espresse riguardo alla frequenza con cui ogni operatore interviene nella valutazione delle condizioni di salute del minore, si è operata una trasposizione numerica della scala nominale attribuendo un differente peso alle varie opzioni. Se per esempio, per quanto riguarda l'educatore, si sono rilevati nei sedici questionari pervenuti (dai 16 su 17 IPM operativi che hanno risposto) 6 "sempre", 9 "frequentemente", 0 "raramente", 1 "mai", per avere un valore medio sulla frequenza dichiarata si è moltiplicato l'opzione "sempre" per 1, l'opzione "frequentemente" per 0,66, l'opzione "raramente" per 0,33 e "mai" per 0, sommando poi i risultati dei prodotti secondo la formula seguente: 6x1 + 9x0,66 + 0x0,33 + 1x0 = 11,64. In questo modo nella somma il numero di opzioni sempre ha avuto un peso del 100%, l'opzione frequentemente del 66%, l'opzione raramente solo nella misura del 33%, mentre mai non doveva risultare affatto. In tal modo si è giunti ad una rappresentazione grafica complessiva aderente all'andamento dei risultati tenendo conto però che i numeri riportati sull'asse delle x sono soltanto una traduzione numerica di una scala nominale. La medesima metodologia è stata seguita in tutte le domande che comportano risposte su scala qualitativa graduata.

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coinvolge anche altre professionalità quale quella dell'educatore e dello psicologo. Le risposte

riferite dagli operatori mettono in luce un approccio interdisciplinare alla salute riconoscendo ad

essa la natura di fenomeno complesso. La figura del medico e dell'infermiere sono ancora le

figure che più frequentemente si occupano di valutare le condizioni generali di salute del ragazzo

che entro in Istituto. Educatore e psicologo vengono subito dopo a significare la presa in carico

anche degli aspetti psicologico sociali della vita del minore.

MEDICO

EQUIPE

INFERMIERE

EDUCATORE

PSICOLOGO

Agenti P.P.

ALTRO:

0 2 4 6 8 10 12 14 16

0 mai, 1-5 raramente , 5-10 frequentemente , 10-15 spesso, 16 sempre.

MEDICO

EQUIPE

INFERMIERE

EDUCATORE

PSICOLOGO

Agenti P.P.

ALTRO:

Grafico 1 Frequenza con la quale gli opera tori si occupano di

va lutare lo sta to di sa lute de l minore che entra in IPM.

Se si osserva però il dato relativo all'équipe è possibile notare che, pur svolgendo questo

compito abbastanza frequentemente, esso si discosta nettamente dai dati che riguardano medico,

infermiere ed educatore. Questo potrebbe essere un indice del fatto che non in tutti i casi tale tipo

di valutazione entra a far parte del lavoro d'équipe. Del resto per il medico e l'infermiere la visita

di primo ingresso è una prassi ormai consolidata, perché prevista dallo stesso Ordinamento

Penitenziario. Per l'educatore il dato riportato è indice anche del fatto, come sottolineato in

precedenza, che questa figura ha un rapporto privilegiato con il minore che lo porta a farsi

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costantemente carico delle problematiche inerenti la sfera sociale e relazionale. Il suo intervento

non è un intervento limitato nel tempo, ma un lavoro che si svolge quotidianamente oltre il

tempo del lavoro d'équipe.

Il dato dello psicologo è invece sovrapponibile a quello dell'équipe. In molte realtà lo

psicologo è presente come consulente con una disponibilità di tempo limitata, che lo porta ad

intervenire soltanto in alcuni casi e comunque non oltre il tempo che la stessa équipe può

dedicare. Inoltre, a differenza dell'educatore, lo psicologo ha un setting spazio temporale più

fondato sulla consultazione, che sulla condivisione quotidiana della vita nel reparto.

Interessante si presenta il dato relativo alla Polizia Penitenziaria che, anche se raramente,

sembra svolgere una funzione fondata sul "prendersi cura" del ragazzo. Una funzione che

potrebbe essere incrementata, dal momento che il suo rapporto continuativo con quest'ultimo, in

momenti della vita spesso preclusi ad altri operatori, come la notte, può permettergli di apportare

una serie di contributi talvolta rilevanti nel segnalare precocemente una situazione di rischio per

la salute del minore.

Non diversa si presenta la situazione per quanto riguarda la continuità dell'intervento.

Una volta entrato in Istituto Penale il minore continua ad essere seguito con la medesima

attenzione da parte di tutti gli operatori. Come visibile nel grafico 2 l'attenzione verso la

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dimensione della salute non decade. Si può osservare altresì un incremento del

MEDICO

EQUIPE

INFERMIERE

EDUCATORE

PSICOLOGO

ALTRO:

Agente di P.P

0 2 4 6 8 10 12 14 16

0 mai, 1-5 raramente, 5-10 frequentemete, 10-15 spesso, 16 sempre.

MEDICO

EQUIPE

INFERMIERE

EDUCATORE

PSICOLOGO

ALTRO:

Agente di P.P

Grafico 2FREQUENZA CON LA QUALE LE VARIE FIGURE PROFESSIONALI SEGUONO

L'EVOLUZIONE DELLO STATO DI SALUTE DEL MINORE.

contributo apportato dall'infermiere, dall'équipe psicopedagogica e dagli agenti di Polizia

Penitenziaria.

I dati fin qui rappresentati fanno emergere un quadro generale caratterizzato da

un'attenzione diffusa al problema della salute che investe, anche se in misura diversa, tutti gli

operatori. Un aspetto che potrebbe essere approfondito, è quello dell'integrazione tra i vari

contributi. Il dato dell'équipe è, già in questo senso, rilevante, mentre rimane in ombra il grado di

integrazione tra l'operatività di quest'ultima e quella dell'area medica-paramedica.

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8.3 LA GESTIONE DEL MINORE CON DISAGIO PSICOLOGICO

Nel grafico 3 sono riportati i disturbi psicopatologici più frequentemente riscontrati nei

minori utenti degli Istituti Penali Minorili.

Dal momento che non sempre viene effettuata una vera e propria diagnosi psichiatrica,

perché non rispondente alle esigenze operative degli Istituti, al fine di avere comunque una

panoramica sul problema, è stato chiesto agli operatori di indicare in ordine di priorità, dal più

frequente al meno frequente per un massimo di cinque, i disturbi che secondo la loro esperienza

si riscontrano più frequentemente. La domanda era aperta, ovvero non presupponeva

D. d'ansia

D. umore

D. personalità

D. psicosomatici

D. comportamento

D. d'ansia

D. umore

D. personalità

D. psicosomatici

D. comportamento

Tipo

logi

a de

i dis

turb

i.

Grafico 3 Categorie psicopatologiche più frequentemente rilevate negli

I.P.M. dall'equipe educativa.

la scelta di categorie predefinite. E' stato interessante rilevare come tutte le risposte si siano

raggruppate in cinque grandi categorie, mentre la categoria "altro", che raccoglie un ventaglio di

sintomatologie difficilmente raggruppabili, è esigua. Esse pur non rappresentando sempre

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categorie diagnostiche ben definite, danno un'idea generale del tipo di disagio psicologico al

quale si cerca di dare una risposta.

E' subito evidente come la sintomatologia ansiosa rappresenti la categoria segnalata con

maggiore frequenza. Espressa in termini di sintomatologia, essa più che rappresentare una grave

psicopatologia strutturata della personalità del minore, rappresenta piuttosto l'espressione di

vissuti legati al contesto, alla difficoltà della situazione detentiva. Essa può essere letta come una

comunicazione del ragazzo della sua difficoltà a vivere l'esperienza della reclusione. Un'uguale

considerazione può essere fatta per quanto riguarda la sintomatologia depressiva, anche se essa

può rappresentare un fattore di rischio per eventuali atti autolesionistici, se non addirittura per

veri e propri tentativi di suicidio.

Ben diversa è la situazione dei disturbi di personalità, che pur essendo segnalati con

minore frequenza, rappresentano, appunto, più che un sintomo, un disturbo grave che riguarda

l'organizzazione della personalità nel suo complesso. I soggetti con disturbi di personalità

presentano notevoli difficoltà nei processi di adattamento. Le loro strategie si rilevano spesso

rigide ed infruttuose. L'incontro con un contesto detentivo può essere imprevedibile. Esso

potrebbe avere una funzione contenitiva e rassicurante per tutti quei soggetti caratterizzati da

un'assenza della capacità di rispettare i limiti e le regole che normano qualsiasi rapporto sociale,

mentre potrebbe essere addirittura disorganizzante, per soggetti con disturbo paranoide di

personalità. Dunque la sola diagnosi di disturbo di personalità non è un'indicazione con un

sufficiente valore prognostico, ma sicuramente deve rappresentare un elemento che richiede una

maggiore attenzione alla gestione del caso.

Aspetto interessante è che, come nel caso della valutazione delle condizioni generali dello

stato di salute del minore, anche per quanto riguarda la diagnosi psicologica (grafico 4), essa si

costituisce attraverso il contributo interdisciplinare di più operatori. Il modello interdisciplinare

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consente di raccogliere osservazioni sul minore in ambiti diversi, in diverse situazioni relazionali

e sociali che permettono di avere una conoscenza più articolata e dinamica del soggetto.

Un dato di questo grafico permetterà di affrontare un argomento nodale, che affronteremo

più approfonditamente in seguito, che è quello del coinvolgimento dei servizi sanitari nella

gestione del disagio psicologico e nell'assistenza sanitaria più in generale. Come si evidenzia

nello stesso grafico, la consulenza dei servizi specialistici dell'ASL viene richiesta per

l'effettuazione della diagnosi psicologica soprattutto per i casi di difficile gestione: i cosiddetti

casi psichiatrici. In realtà, spesso, non è tanto la gravità del caso a determinare l’ambito di

competenza psichiatrico, quanto invece la necessità di un intervento farmacologico.

EDUCATORE

MEDICO

PSICOLOGO

EQUIPE

ASL

ALTRO:

Agenti P. P.

0 2 4 6 8 10 12 14

Frequenza stimata: 0 mai, 1-5 raramente, 5-10 frequentemente, 10-15 spesso.

EDUCATORE

MEDICO

PSICOLOGO

EQUIPE

ASL

ALTRO:

Agenti P. P.

Figu

re p

rofe

ssio

nali.

Grafico 4Frequenza con la quale le varie figure professionali contribuiscono alla valutazione diagnostica dei minori con disturbi psicopatologici.

Tutti gli Istituti, comunque, hanno risposto di prevedere interventi specifici per minori

con disagio psicologico.

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Nel grafico 5 sono riportati gli interventi che vengono attuati più frequentemente. Come

si può notare al disagio psicologico viene data una risposta su più fronti. Essa infatti coinvolge

più professionalità ed è diretta non

Sos

tegn

ofa

rmac

olog

ico

Sos

tegn

ops

icol

ogic

o

Ass

iste

nza

educ

ativ

a

Sos

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milia

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rven

tode

ll'AS

L

Invi

o in

com

unità

Altr

o

0

2

4

6

8

10

12

14

16

0 mai, 1-5 raramente, 5-10 frequentemente,

10-15 spesso, 16 sempre.

Sos

tegn

ofa

rmac

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ico

Sos

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tode

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L

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o in

com

unità

Altr

o

Grafico 5Frequenza del tipo di interventi che vengono attuati con i minori che presentano

problematiche psicopatologiche.

soltanto al minore. Il sostegno educativo viene intensificato, così come quello psicologico.

Abbastanza frequentemente la famiglia viene coinvolta. Si ricerca altrettanto spesso l'intervento

dei servizi sul territorio, quali comunità e servizi dell'ASL. Non di rado in oltre si avvia un

progetto di rete sul territorio.

Per comprendere la varietà degli interventi che vengono posti in essere bisogna tenere in

considerazione che spesso i minori con disagio psicologico-sociale appartengono a contesti

sociali multiproblematici. Un intervento che tenga conto di questo, non solo deve coinvolgere

più professionalità, ma deve essere anche un intervento interistituzionale.

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Il medesimo scenario si profila con i minori con problematiche legate all'abuso di

sostanze stupefacenti. Se si osserva il grafico 6 si può vedere come anche in questo caso gli

interventi che vengono adottati sono su più fronti. Anche qui si intensifica il sostegno educativo

e quello psicologico. Il ricorso ad un intervento farmacologico

Altro

Invio in strutturespecializzate

Intervento di rete sulterritorio

Invio in comunità

Intervento con la famiglia

Sostegno farmacologico

Intervento SERT

Sostegno psicologicoindividuale

Assistenza educativa

0 2 4 6 8 10 12 14 16

0 mai, 1-5 raramente, 6-10 frequentemente, 10-15 spesso, 16 sempre.

Altro

Invio in strutturespecializzate

Intervento di rete sulterritorio

Invio in comunità

Intervento con la famiglia

Sostegno farmacologico

Intervento SERT

Sostegno psicologicoindividuale

Assistenza educativa

Tipo

logi

a de

ll'in

terv

ento

.

Grafico 6 Frequenza del tipo di interventi che vengono attuati con minori consumatori di sostanze

stupefacenti.

è nettamente superiore a quello attuato nel caso di disturbi psicologici. Rimangono pressoché

invariati il ricorso all'intervento di rete sul territorio, il coinvolgimento delle famiglie e l'invio in

comunità. Frequente invece il ricorso a strutture specializzate ovvero in comunità per

tossicodipendenti.

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Interessante è invece il dato relativo al SERT. L'intervento di questo servizio è

nettamente superiore rispetto al ricorso ai servizi di igiene mentale dell'ASL nel caso di disagio

psicologico.

La tabella n. 1, che fornisce indicazioni di insieme riguardo al raccordo che si è andato

Tabella 1

Convenzioni tra Istituti Penali, Centri di Prima Accoglienza e servizi sanitari del territorio.

SEDI C. SERT C. D.S.M. C. Neur.I. Privato SocialeAcireale Airola IPM Bari * Bologna Cagliari IPM IPM Catania Catanzaro IPM IPM Firenze * Genova CPA L'Aquila IPM Lecce IPM e CPA Milano Nisida Palermo CPA Potenza Roma IPM IPM IPM Torino * IPM Treviso IPM e CPA TOTALE 7 2 1 4

LEGENDA: C. SERT: convenzione con il Servizio Tossicodipendenze, C. DSM: convenzione con il Dipartimento di Salute Mentale, C. Neur. I.: convenzione con l’Istituto di Neuropsichiatria Infantile, P.I. Regione: protocollo d’intesa con la regione, Prevenzione: attività di prevenzione svolta negli ultimi cinque anni, Privato Sociale: convenzione con il privato sociale. Le caselle con (*): Indicano la presenza di una collaborazione continuativa con il servizio in attesa di stipulare apposita convenzione.

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istituendo tra Istituti Penali, Centri di Prima Accoglienza e servizi sanitari del territorio, può

aiutare ad avere una comprensione maggiore di questo fenomeno. In tale tabella sono riportate

per ogni sede le convenzioni attuate dai singoli IPM e CPA e i rispettivi servizi del territorio. E'

subito evidente a un primo sguardo come il Servizio per le Tossicodipendenze dell'ASL sia il più

coinvolto. Questo anche sulla base dell'art. 96 del Testo unico delle leggi in materia di

tossicodipendenze 309/90 che disciplina le prestazioni sociosanitarie per tossicodipendenti

detenuti prevedendo che a questi ultimi sia riservato il medesimo trattamento dovuto a qualsiasi

libero cittadino. In particolare il comma 3 dispone che "Le Unità Sanitarie Locali di intesa con

gli Istituti di Prevenzione e Pena ed in collaborazione con i servizi sanitari interni dei medesimi

Istituti, provvedono alla cura e alla riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti o alcolisti".

Dunque sebbene soltanto 7 Istituti Penali Minorili su 17 abbiano stipulato delle vere e

proprie convenzioni, in molte realtà, come Bari Firenze e Torino, indicate nella tabella con un

asterisco, si è in procinto definire dei veri e propri protocolli d'intesa. In altre ancora esiste un

accordo informale di collaborazione.

La presenza o meno di una convenzione non influisce, nella maggior parte delle realtà,

sulla qualità delle collaborazioni, mentre la presenza di un vincolo normativo costituisce, invece,

un importante premessa al fine di creare le condizioni per istituire prassi soddisfacenti.

Diversa invece si presenta la situazione per quanto riguarda la collaborazione con i

Dipartimenti di Salute Mentale o gli Istituti di Neuropsichiatria Infantile universitari. A parte

alcune situazioni, come gli IPM di Roma e Catanzaro, che hanno formalizzato protocolli di

intesa con i Centri di Salute Mentale delle ASL di zona, e il CPA di Palermo, che ha

recentemente stipulato un protocollo di intesa con l'Istituto di Neuropsichiatria di Palermo, non

esistono altre convenzioni formalizzate. Le considerazioni che si possono fare in ordine a tale

fenomeno sono di natura diversa.

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Un fattore di non poco rilievo è che spesso il disagio psicologico si presenta come

espressione della difficoltà del minore a vivere la stessa condizione detentiva, che trova una

risposta qualificata nelle professionalità dell'educatore e dello psicologo che operano all'interno

dell'IPM. E' infatti l'équipe psicopedagogica che, come si è evidenziato, interviene in questi casi

intensificando la presa in carico del minore per favorire l'elaborazione dei vissuti strettamente

legati alla difficile condizione detentiva.

Un secondo aspetto riguarda la difficoltà dei servizi degli Enti Locali a prendere in carico

quei ragazzi del penale che presentano gravi disturbi di personalità, il cui disagio come si è

precedentemente argomentato, non è imputabile interamente alla difficile condizione detentiva,

ma è sintomo di un’organizzazione di personalità patologica.

Probabilmente la miscela tra devianza e psicopatologia rende questi casi, nella percezione

degli operatori, talmente esplosivi da determinare un continuo passaggio della responsabilità

dell’intervento da un contesto ad un altro, senza che si realizzi nessun progetto terapeutico

intorno ai ragazzi. Spesso infatti l’intervento dell’ASL si risolve in un intervento farmacologico

sulla crisi senza una reale presa in carico.

L’unica convenzione segnalata con il consultorio famigliare è quella di Roma.

Sicuramente essa rappresenta una iniziativa importante da incoraggiare in molte altre realtà,

poichè nella fase adolescenziale il definirsi dei ruoli sessuali costituisce un delicato compito da

affrontare. Nel caso poi dell’utenza femminile nomade, la maternità durante la minore età, è la

norma piuttosto che l’eccezione e il consultorio può essere un punto di riferimento necessario.

Inoltre nel caso dell’IPM di Roma, attraverso la convenzione con il consultorio, sono stati

realizzati programmi di educazione alla sessualità per i minori detenuti.

Di notevole interesse è il protocollo d’intesa, recentemente formalizzato, tra il CPA di

Palermo e l’Istituto di Neuropsichiatria Infantile. Il CPA è il luogo dove si realizza l’incontro tra

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minore e sistema penale. In tale incontro la collaborazione con una struttura specializzata

nell’intervento sul disagio mentale può avere importanti e precoci funzioni diagnostiche e

prognostiche finalizzate a impedire che casi di competenza dei servizi di salute mentale passino

al penale.

La quantità e la varietà degli interventi non sono comunque elementi sufficienti a

garantire la qualità della risposta attuata. I grafici 7 e 8 forniscono una rappresentazione visiva

del giudizio degli operatori in merito al livello di integrazione tra interventi specifici attuati nei

casi di disagio psicologico e nei casi di comportamenti tossicomanici.

Sostegno educativo

Sostegno psicologico

Sostegno familiare

Invio in comunità

Sostegno farmacologico

Intervento di rete sulterritorio

Intervento dell' ASL

-15 -10 -5 0 5 10 15 20

Grado di integrazione: -15 -5 basso, -5 + 0 medio basso, 0 + 5 medio alto, + 5 + 15 alto.

Sostegno educativo

Sostegno psicologico

Sostegno familiare

Invio in comunità

Sostegno farmacologico

Intervento di rete sulterritorio

Intervento dell' ASL

Grafico 7Grado di integrazione di ogni singolo intervento specifico attuato con minori con

disagio psicologico e progetto educativo

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Intervento di rete sul territorio

Invio in comunità

Invio in strutture specializzate

Sostegno farmacologico

Intervento con la famiglia

Altro

Intervento SERT

Sostegno psicologicoindividuale

Assistenza educativa

-15 -10 -5 0 5 10 15

Punteggio medio stimato del livello di integrazione:-15-5 basso, -5 - 0 medio basso, 0+5 medio alto, +5+15 alto.

Intervento di rete sul territorio

Invio in comunità

Invio in strutture specializzate

Sostegno farmacologico

Intervento con la famiglia

Altro

Intervento SERT

Sostegno psicologicoindividuale

Assistenza educativa

Tipo

logi

a de

ll'in

terv

ento

.

Grafico 8 Grado di integrazione tra intervento specifico attuato con minori consumatori

di sostanze stupefacenti e progetto educativo.

Ciò che emerge da entrambi i grafici è la bassa integrazione con il progetto educativo di

tutti gli interventi che coinvolgono la partecipazione di componenti esterne agli IPM, siano essi

servizi del territorio o famiglie. Ciò riguarda anche l'intervento farmacologico che è spesso

prescritto dallo specialista dell'Asl. Unico dato che fa eccezione è il Servizio per le

Tossicodipendenze. Emerge dal giudizio degli operatori una struttura penale che fa ancora fatica

a integrarsi con il territorio, a dialogare con esso a trovare percorsi integrati che vadano verso

l'esterno. Soltanto nel caso del Sert è possibile individuare una buona prassi fondata sulla

collaborazione tra progetto educativo dentro l'IPM e progetto di "cura" che si svolge all'esterno.

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Probabilmente il vincolo legislativo, di cui si è parlato in precedenza ha avuto una

funzione rilevante, non solo nel garantire delle procedure, ma anche nel far si che queste si

sostanziassero in una cultura dell'intervento integrato. Il summenzionato art. 96 del Testo unico

delle leggi in materia di tossicodipendenze 309/90 pone fortemente l'accento sui termini "cura e

riabilitazione" del soggetto che fa abuso di sostanze psicotrope accentuando l'aspetto di "presa in

carico" dell'intervento. Ciò che sembra caratterizzare l'intervento dei servizi di salute mentale del

territorio è, invece, un intervento occasionale e dunque scarsamente integrabile con quanto viene

realizzato all'interno dell'IPM.

Di fatto questa difficoltà a realizzare progetti terapeutici con i minori con disagio

psicologico rende poco tutelato il diritto del soggetto detenuto ad avere il medesimo trattamento

di ogni libero cittadino (art. 32 della Costituzione, art. 1 legge 833/78). Nell'ambito minorile

assume poi un'importante valenza il collegamento con i servizi sanitari del territorio, se si

considera che obiettivo prioritario del sistema penale minorile è riconsegnare il minore al

sociale. Dunque la struttura penale deve anche in questo caso essere una struttura in continua

comunicazione con l'esterno.

A questo proposito è pregnante riprendere quanto sottolinea Palomba (F. Palomba, 1991)

rispetto alla distinzione tra Servizi della Giustizia Minorile e Servizi territoriali, affermando che i

primi esplicano un ruolo di mediazione giudiziaria (assistenza del minore durante l'iter

processuale), mentre i secondi svolgono un ruolo di mediazione sociale intendendo per questa

un'azione volta a riconnettere il minore con l'ambiente extra-processuale e penale. Lo stesso

autore sottolinea come tale modello di intervento sia basato su una metodologia intersistemica

che vede operare più sistemi in autonomia tra di loro. Autonomia necessaria al fine di evitare

dannose commistioni tra sociale e penale e perché nessuno dei sistemi sia subordinato all'altro. In

questa ottica "il progetto di cura" vera e propria dovrebbe essere di competenza del sociale, pur

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in collaborazione del penale, se si vuole garantire che tale progetto avvenga in una cornice più

chiara. Una cura, dunque, non paradossalmente coatta, come parte della sentenza da espiare, ma

come intervento che richiede motivazione, volto a sollecitare risorse e competenze che

consentano al minore di far fronte al difficile compito di riconnettersi al tessuto sociale.

Differenziare i luoghi dove avviene la "cura", da quelli dove si vive la risposta

sanzionatoria, anche se con obiettivi di recupero e responsabilizzazione, è un'azione che delimita

gli ambiti di competenza. La chiara delimitazione degli ambiti di competenza crea chiare cornici

di significato che consentono al minore di percepire fortemente il passaggio da un sistema ad un

altro, e dunque di percepire il momento della "cura" come anello di passaggio dal dentro al fuori,

ad un fuori che lo riconnette al proprio ambiente vitale. Compito del servizio del territorio,

infatti, dovrebbe essere anche quello di reperire risorse esterne per preparare la strada del post-

penale. Contrariamente una cura che avvenisse tutta dentro il sistema penale rimarrebbe una cura

"tra parentesi" difficilmente esportabile dal minore, costretto, una volta uscito, a ricollocarsi nel

medesimo ambiente.

8.4 INIZIATIVE IN MATERIA DI EDUCAZIONE ALLA SALUTE.

8.4.1 Progetti realizzati

Per avere uno sguardo di insieme sulle iniziative in materia di educazione alla salute è

stata richiesta agli Istituti Penali Minorili la documentazione relativa a quanto realizzato in tale

campo negli ultimi cinque anni (1992-97). Non tutti gli IPM hanno inviato una documentazione

completa, essa infatti per lo più fa riferimento ad un periodo non superiore ai due anni (1995-97)

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e non sempre entra nei dettagli di ogni singolo progetto realizzato. Tuttavia quanto pervenuto è

sufficiente a tracciare un quadro di insieme della situazione.

La totalità degli IPM ha realizzato negli ultimi due anni iniziative in materia di

prevenzione della malattia e promozione della salute. Il grafico 9 riportato nella pagina seguente

evidenzia come gli Istituti abbiano documentato un totale di 32 progetti realizzati negli ultimi

due anni. Se si esamina attentamente la tipologia dei progetti si può evidenziare come la maggior

parte di essi si occupi prevalentemente della prevenzione delle tossicodipendenze. E' evidente

quanto questo sia un sintomo della diffusione di tale fenomeno in ambito minorile. Inoltre in

molti contesti la stretta collaborazione con i Ser.T., evidenziata in precedenza, ha permesso oltre

che di avviare collaborazioni sui singoli casi, anche di promuovere iniziative in tema di

prevenzione.

Nella categoria educazione alla salute sono presenti iniziative che si fondano su un

approccio che fa riferimento alla filosofia della promozione della salute. Infatti secondo quanto

esposto nel primo capitolo di questo lavoro, il modello di promozione della salute più che

identificare fattori di rischio da combattere, è orientato a fornire strumenti per incrementare la

capacità di far fronte alle problematiche che emergono nel rapporto con il proprio ambiente

vitale. La stessa filosofia informa i progetti di educazione sessuale, educazione alimentare,

educazione ambientale ed educazione socio affettiva.

Diversa è la situazione per alcuni progetti come quelli di educazione igienico-sanitaria, di

informazione sulle malattie infettive e di alcuni progetti sulla prevenzione della

tossicodipendenza che si ispirano ancora al vecchio modello della prevenzione della malattia,

secondo il quale prevenire equivale ad informare sui fattori di rischio che predispongono alle

differenti patologie.

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EDUCAZIONE ALLEVACCINAZIONI

EDUCAZIONE SOCIO-AFFETTIVA

EDUCAZIONEAMBIENTALE

EDUCAZIONEALIMENTARE

INFORMAZIONEMALATTIE INFETTIVE

EDUCAZIONESESSUALE

EDUCAZIONEIGIENICO SANITARIA

EDUCAZIONE ALLASALUTE

PREVENZIONETOSSICODIPENDENZ

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Numero de i proge tti

EDUCAZIONE ALLEVACCINAZIONI

EDUCAZIONE SOCIO-AFFETTIVA

EDUCAZIONEAMBIENTALE

EDUCAZIONEALIMENTARE

INFORMAZIONEMALATTIE INFETTIVE

EDUCAZIONESESSUALE

EDUCAZIONEIGIENICO SANITARIA

EDUCAZIONE ALLASALUTE

PREVENZIONETOSSICODIPENDENZ

Grafico 9Progetti realizzati in materia di prevenzione della malattia e promozione della salute

nel biennio 1995-97

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La maggioranza dei progetti, tranne poche eccezioni, sono rivolte ai minori. Sarebbe

invece interessante prevedere più spazi per gli operatori che spesso sono sottoposti ad un lavoro

con un'utenza difficile e problematica. La letteratura scientifica abbonda di pubblicazioni relative

all'incidenza della sindrome del burn-out negli operatori sociali che lavorano con utenze

multiproblematiche. La qualità della vita del minore detenuto non può infatti essere scissa dalla

qualità della vita che caratterizza l'ambiente di lavoro dell'operatore. Le tensioni, i conflitti nel

personale possono avere pesanti ripercussione sulla gestione stessa dei ragazzi. La psicologia

delle organizzazione ha messo in luce come le tensioni e i conflitti tra gli operatori che svolgono

una funzione psico-socio-pedagogica talvolta possono rappresentare la messa in scena

inconsapevole di dinamiche che hanno a che vedere con il rapporto con l'utenza. Aprire spazi di

riflessione per l'elaborazione di tali vissuti può trasformare il disagio dell'operatore in utile

risorsa per comprendere ciò che accade nel rapporto con i minori. Inoltre l'abbassarsi della

conflittualità all'interno dell'istituzione può liberare preziose energie per il raggiungimento degli

obiettivi preposti, quelle stesse energie che venivano impegnate nella gestione dei difficili

rapporti con i colleghi.

Informazioni più dettagliate possono invece essere ricavate dalla tabella in fondo al

capitolo. I dati riportati sono stati ottenuti esaminando le proposte relative all'educazione alla

salute presenti nei documenti di programmazione per il 1998. E' importante premettere che in tali

documenti vengono riportate soltanto le iniziative che comportano un onere per

l'Amministrazione. Pertanto non figurano tutte quelle attività che vengono realizzate attraverso il

volontariato o che comunque non richiedono una spesa aggiuntiva. Inoltre in questa tabella sono

riportati non soltanto i progetti attuati all'interno degli Istituti Penali Minorili, ma anche quelli

realizzati negli altri Servizi della Giustizia Minorile.

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Emerge un quadro composito delle iniziative, che vanno dalle attività sportive di cui

parleremo in seguito, ad attività di educazione alla salute, alla corporeità, alle attività di

formazione lavoro in convenzione con enti esterni. Il coinvolgimento degli enti esterni

rappresenta un elemento molto importante perché consente di realizzare quella rete territoriale

che potrà accogliere il minore una volta uscito dal sistema penale.

La maggior parte delle attività presenta un approccio ecologico che imposta

metodologicamente il progetto in termini di acquisizione di conoscenze e competenze finalizzate

ad entrare in relazione con il proprio ambiente fisico ed umano.

L'elemento di novità di queste iniziative sta nell'abbandonare una filosofia preventiva

basata essenzialmente sull'informazione, secondo l'assunto in base al quale per combattere

alcune malattie è sufficiente informare sui fattori di rischio che predispongono ad esse. I nuovi

orientamenti hanno messo in luce che i comportamenti scorretti non sono isolabili, ma fanno

parte di stili di vita più ampi, veri e propri modi di vedere la realtà. Per mettere in moto un

cambiamento nello stile di vita bisogna ricorrere ad un livello diverso della conoscenza. Tale

livello è il livello dell'esperienza relazionale, del sapere come ci si predispone nei confronti del

mondo esterno.

Per esempio un soggetto fumatore può benissimo essere a conoscenza che il proprio vizio

del fumo è dannoso anche agli altri. Questa consapevolezza astratta può però benissimo essere

scissa dal comportamento di tutti i giorni. Probabilmente questo ha poco a che fare con il fumo e

molto con la consapevolezza che il vivere sociale è normato da un sistema di regole che non

rappresentano un divieto repressivo della libertà personale, quanto una tutela

dell'interdipendenza delle libertà soggettive. Tale consapevolezza più che fondarsi su una

conoscenza astratta affonda le sue radici in un'etica relazionale-emotiva. Dunque per completare

l'esempio non basta informare i fumatori, che già lo sanno, sul danno del fumo passivo. Occorre

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invece considerare il problema secondo una diversa ottica, quella del gioco delle dinamiche

emotive che scaturiscono quando si deve gestire il rapporto con altri diversi da noi, dove le

diverse esigenze e i diversi bisogni dell'altro possono essere percepiti come limiti alla nostra

libertà.

Se si prende, per esempio, in considerazione il progetto UISP di Educazione allo sport

realizzato a Nisida, si evince come la finalità di quest'ultimo sia far sperimentare ai minori che

l'attività sportiva oltre ad avere un effetto benefico sul corpo, può essere una palestra per

apprendere il significato delle regole in un gruppo sociale. Seguire le regole del gioco significa

poter sperimentare la possibilità di essere allo stesso tempo un "gruppo-squadra", fondato su un

legame di cooperazione, e un "gruppo competitivo" verso l'esterno, senza che questa

competizione esiti in dinamiche violente e di sopraffazione.

8.4.2 Attività sportive.

Per le ragioni di cui sopra è importante dedicare uno spazio alle attività sportive che i

minori svolgono sia all'interno che all'esterno degli IPM, argomento che sarà ulteriormente

approfondito nell’articolo realizzato dalla UISP.

L'Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile ha dato un forte impulso alla realizzazione di

convenzioni, a livello nazionale, con associazioni quali la UISP (Unione Italiana Sport Per tutti)

e l’AICS (Associazione Italiana Cultura e Sport), per la promozione di attività sportive,

ricreative e culturali all'interno degli Istituti Penali Minorili.

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Nella tabella 2 è riportata la distribuzione sul territorio nazionale del tipo di attività

effettuate dalla UISP.

Tabella 2 Attività UISP

Acireale attività sportiva, artigianale, Bari culturale, sportiva e ricreativa Bologna sport Catania sport Catanzaro sport, attività espressiva, musicale, biblioteca, cineforum, giornalino Lecce sport calcetto, pallavolo, tennis-tavolo, Body-bilding, giochi Milano sport Nisida sport Palermo sport Pesaro attività di animazione, ludico-sportiva Quartucciu attività sportive interamente gestite dalla

U.I.S.P.

Roma sport pallavolo, calcio, palestra Torino danza (femm) volley (femm) Calcetto (masch) Basket Volley (masch) Come si può osservare la UISP svolge non soltanto attività sportive, ma anche attività

ricreative, educative e laboratori di artigianato.

L’attività L’AICS è invece presente in otto istituti (Airola, Catania, Firenze, L’Aquila,

Palermo, Potenza, Torino e Treviso), e svolge prevalentemente attività culturali e ricreative,

mentre l’attività sportiva è residuale.

Il grafico 10 mostra come l'associazione attualmente più attiva e presente sul territorio

nazionale sia la UISP. Il suo contributo è stato nel tempo molto significativo e qualificato.

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G ra fic o 1 0P e rc e n tu a le is titu ti c h e s i a v v a lg o n o d e lla U .I .S .P .

U .I.S .P .6 5 %

A ltr i re fe re n t i3 5 %

Entrambe le associazioni, comunque, propongono una visione dello sport non soltanto

come mera attività fisica, ma come gioco sociale con forti valenze educative e preventive.

La valenza educativa può essere a pieno diritto inquadrata nelle attività di promozione

della salute. Attraverso l'attività sportiva, infatti, gli adolescenti possono acquisire nuovi

strumenti relazionali.

In particolare, dette associazioni privilegiano gli sport di squadra. In essi la valenza

educativa è rafforzata, poiché il gruppo rappresenta un micro-contesto sociale, dove la

riproposizione delle dinamiche intersoggettive avviene nella dimensione rassicurante del gioco e

alla presenza di un adulto allenatore con competenze psicopedagogiche

I giochi sportivi, dunque, possono rappresentare contesti adeguati per comprendere che le

regole sociali assolvono il compito di tutelare le interazioni umane. Inoltre essi ripropongono il

gruppo, contesto evolutivo naturale per l'adolescente, in una condizione più protetta e tutelata.

Non si devono inoltre trascurare, ai fini del nostro discorso, l'importanza di tutte quelle

attività che il minore svolge internamente ed esternamente agli istituti (attività scolastiche,

laboratori artigianali, borse lavoro, ecc.) che pur non avendo un'attinenza specifica alle

tematiche della salute, rappresentano invece dal punto di vista ecologico un importanza rilevante.

Essi costituiscono contesti adatti a sollecitare le risorse del minore, ad incrementare quel

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patrimonio di capacità e competenze indispensabile per "poter scegliere" in modo responsabile

come reintrodursi nel consorzio sociale.

Da un punto di vista ecologico, questo tipo di attività assumono maggiore rilievo se

pensate anche come attività che favoriscono una migliore qualità della vita del minore in Istituto.

Si ritiene, infatti, che, anche se le iniziative specifiche hanno una loro importanza, la promozione

della salute è veicolata più che attraverso i contenuti, attraverso la qualità della vita e delle

relazioni che è possibile sperimentare in un determinato contesto.

8.4.3. Aree degli interventi di educazione alla salute

Per valutare gli orientamenti degli operatori in tema di educazione alla salute e alle

necessità dei minori in carico presso gli IPM è stata proposta una domanda agli operatori

relativamente alle aree in cui dovrebbero essere collocati gli interventi di educazione alla salute

(Grafico 11, nella pagina seguente)

La sessualità risulta essere il campo in cui maggiormente gli operatori percepiscono il

bisogno dei minori dell’area penale di essere informati, in quanto essi vivono questa dimensione

in maniera non responsabile se non autodistruttiva in linea con la loro impostazione di vita. Gli

operatori osservano infatti che gli utenti non prendono in considerazione i rischi di contagio delle

malattie a trasmissione sessuale. In tale ambito tuttavia la letteratura in materia dimostra che non

è necessario fornire solamente informazioni sul comportamento sessuale sicuro - che sono

generalmente conosciute anche se non seguite - ma è più utile stimolare l’utente a

responsabilizzare se stesso attraverso corsi e discussioni in tale ambito. Questa modalità di

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lavoro, dall’analisi dei progetti realizzati in qualche realtà risulta essere utilizzata sebbene non in

maniera diffusa. occorre dunque intensificare questo modo di lavoro.

Molte proposte di interventi di educazione alla salute riguardano l’area dell’educazione

sanitaria (igiene generale, malattie infettive educazione alimentare, igiene orale). I minori

presenti negli IPM sembra che abbiano scarsissime cognizioni in ambito sanitario ed una prassi

igienica assolutamente inadeguata pertanto la loro permanenza all’interno dell’istituto può essere

utilizzata per fornire informazioni a cui probabilmente i ragazzi non avrebbero avuto accesso

altrimenti.

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Grafico 11 Aree problematiche

segnalate dalle équipe che richiedono interventi di educazione alla salute

Altro

M e diaz trans cult

Orie nt. lavoro

Donazione s angue

Sport

Com unicazione inte rp -Affe ttività

Ige ne orale

Ed alim e ntare

M alattie infe ttive

Droga

Igie ne ge ne rale

Se s s ualità

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

Altro

M e diaz trans cult

Orie nt. lavoro

Donazione s angue

Sport

Com unicazione inte rp -Affe ttività

Ige ne orale

Ed alim e ntare

M alattie infe ttive

Droga

Igie ne ge ne rale

Se s s ualità

N° di IPM

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La droga è un ambito in cui dovrebbero essere realizzati interventi di prevenzione

primaria e secondaria, non sono presenti che sporadici casi di minori eroinomani, non perché il

problema droga non sia grave ma perché le modalità di uso delle sostanze psicoattive è cambiato

(uso di vari tipi di sostanze diverse, uso limitato al week-end, etc.). In questo ambito i corsi

puramente informativi sui tipi di sostanze e sui loro effetti rischiano di essere oltre che inutili

addirittura controproducenti in quanto producono interesse per le sostanze senza favorire

cambiamenti circa le cause che conducono all’abuso. Occorre dunque impostare il lavoro in base

ad un approccio olistico, che affronti le problematiche generali della persona e che aiuti ad

individuare alternative percorribili all’uso delle sostanze.

Le risposte alla questione in analisi sono interessanti ed utili in quanto individuano le aree

in cui devono essere sviluppati interventi di educazione sanitaria ed alla salute poiché sono

ambiti in cui in cui i minori hanno carenti competenze igienico-sanitarie. Tuttavia emergono

orientamenti differenziati nelle équipes tecniche, se da un lato è presente una tendenza ad

impostare i programmi in maniera puramente informativa circa determinate questioni rilevanti

per l’igiene delle persone che gravitano intorno al sistema giustizia (minori, operatori, famiglie,

etc.), dall’altro si coglie una tensione ad attivare la persona ed a renderla responsabile del proprio

benessere (c.f.r. paragrafo 8.4.1 relativo ai progetti realizzati). Risulta dunque importante

proporre ai vari Centri e alle strutture della Giustizia Minorile che i programmi siano più ampi,

non solo informativi ma anche formativi.

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8.4.4. Destinatari degli interventi di educazione alla salute

Direzione

Famiglie

Pol. Pen.

Operatori

Minori

0 2 4 6 8 10 12 14 16

Direzione

Famiglie

Pol. Pen.

Operatori

Minori

Grafico 12Destinatri a cui sarebbe opportuno rivolgere i prgrami

di educazione alla salute. Risposte dei singoli IPM

N° IPM

Sono interessanti le risposte al quesito relativo ai destinatari degli interventi di

educazione alla salute, rappresentate nel grafico 12, infatti non si ritiene che i minori siano gli

unici che ne debbano beneficiare. Si ritiene che al contrario gli operatori, la Polizia Penitenziaria,

le famiglie e addirittura la direzione siano da considerare destinatari degli interventi. Questo fatto

è importante poiché per favorire la salute all’interno degli IPM non sono tanto importanti dei

corsi specifici, quanto il clima generale all’interno del quale sono inseriti i minori. Questo clima

in realtà favorisce il benessere e l’educazione alla salute, solamente se ciò avviene hanno senso

degli interventi specifici di educazione alla salute che possono veicolare importanti informazioni

sanitarie come indicato nel precedente paragrafo.

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8.5 CARATTERISTICHE IGIENICO-STRUTTURALI

8.5.1. L’igiene negli IPM

0 1 2 3 4 5 6

grafico 13L'IGIENE NEGLI IPM

Ottima

Buona

Sufficiente

Insufficiente

N° IPM

La valutazione che l’équipe ed il medico danno dell’igiene negli Istituti è piuttosto

variegata, come risulta dal grafico 13. Viene considerata “buona” in 6 IPM ed “ottima” in 2 e

questo è un dato confortante. Quello che però deve destare una certa attenzione è che il restante

50 per cento degli Istituti non da una valutazione rosea delle condizioni igieniche, infatti 4 la

considerano solamente “sufficiente”, mentre gli altri quattro - ovvero un quarto degli IPM

italiani - la considerano “insufficiente”. Ciò indica che devono essere realizzate ulteriori

verifiche in loco per individuare eventuali problemi, ed eventualmente per porvi rimedio.

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8.5.2. La qualità degli spazi per le attività comuni negli IPM

Piscina

Sala cinema

Laboratorioartistico

Sala musica

Officine

Teatro

Biblioteca

Cortile

Scuola

Campo sportivo

Sala giochiricreativa

Palestra

0 2 4 6 8 10 12 14

Piscina

Sala cinema

Laboratorioartistico

Sala musica

Officine

Teatro

Biblioteca

Cortile

Scuola

Campo sportivo

Sala giochiricreativa

Palestra

Grafico 14QUALITA' DEGLI SPAZI

PER LE ATTIVITA' COMUNINEGLI IPM

decisamente adeguatosufficientemente adeguatonon adeguato

N° IPM

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Tabella 3 Non

adeguato Sufficientemente

adeguato Decisamente

adeguato Totale

Palestra 4 3 6 13 Campo sportivo 2 6 4 12 Sala giochi ricreativa

4 7 1 12

Scuola 1 6 1 8 Cortile 1 4 2 7 Biblioteca 2 3 1 6 Teatro 2 1 2 5 Officine 1 2 1 4 Laboratorio artistico 1 1 0 2 Sala musica 0 1 1 2 Piscina 1 0 0 1 Sala cinema 0 1 0 1

Totale (N - %) 18 - 24% 35 - 49% 19 - 27% 72

Il dato relativo agli spazi comuni (Grafico 14 e Tabella 3) da molte informazioni in

quanto è ad esso sotteso il ruolo che le diverse attività hanno nell’operatività e della prassi

trattamentale dei diversi IPM.

Un fatto che colpisce l’attenzione è quello che gli spazi dedicati alle attività ricreative e

soprattutto sportive sono quelli maggiormente diffusi, quasi tutti gli Istituti possiedono la

palestra, la sala giochi ricreativa ed il campo sportivo. La maggioranza delle suddette strutture

viene descritta come sufficientemente o decisamente adeguata, tuttavia esiste una discreta

percentuale di IPM che definiscono le proprie strutture come “non adeguate” (il 27% degli

Istituti rispetto alla palestra, alla sala giochi ricreativa ed al campo sportivo) ciò conferma i limiti

delle strutture come già affermato riguardo alle condizioni generali dell’igiene nel precedente

paragrafo ed indica la necessità operare delle verifiche.

Tuttavia il fatto che l’attività sportiva occupi uno spazio notevole è importante. La

letteratura dimostra la grande valenza educativa e socializzante dello sport sia in generale che

nella specifica situazione dei minori ristretti (c.f.r. la bibliografia del presente lavoro). Tuttavia è

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importante inquadrare lo sport all’interno di una progettualità trattamentale, e sotto l’attenta

supervisione degli operatori altrimenti il rischio è che attraverso lo sport vengano veicolati e

rinforzati i valori della subcultura criminale.

Gli spazi riservati alla scuola e alle biblioteche sono più limitati ma di un buon livello

qualitativo, fatto anche esso centrale in quanto la formazione è di grande importanza per il futuro

reinserimento sociale (c.f.r. par. 4.1 - Regole di Pechino sull’amministrazione della giustizia

minorile). Purtuttavia sembra che lo stesso spazio non sia destinato all’apprendimento di

competenze lavorative, infatti solamente il 25% degli Istituti afferma di avere spazi dedicati al

lavoro. L’apprendimento di un mestiere è tuttavia molto importante in quanto è ciò che può

fornire ai minori delle alternative nel reinserimento sociale rispetto alle attività criminali. In un

contesto sociale in cui la disoccupazione è una piaga sociale ed in cui esiste una forte domanda

di lavoro nell’artigianato, permettere al minore di utilizzare il tempo della detenzione per

l’acquisizione di competenze utili al suo reinserimento è un’occasione da non sottovalutare.

La valutazione della qualità complessiva degli spazi conferma le indicazioni precedenti,

ovvero che il 24% degli spazi non risulta adeguato, il che corrisponde ad una discreta

percentuale, va tuttavia sottolineato che il 76% dei locali viene definito “sufficientemente” o

“decisamente adeguato.

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8.5.3 La tipologia degli spazi per il pernottamento

1

2

3

4

5

0 50 100 150 200

N° posti disponibili per tipologia di stanza.

1

2

3

4

5

Tiploga delle stanze:Letti per stanza.

Grafico 15TIPOLOGIA DELLE STANZE PER IL PERNOTTAMENTO DEI MINORI

Tabella 4

TIPOLOGIA STANZA:

n° posti per stanza

N°STANZE POSTI DISPONIBILI per tipologia di

stanza 1 51 51 2 95 190 3 46 138 4 28 112 5 6 30

TOTALE 214 521

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Lo spazio per il pernottamento possiede grande importanza anche se in modo differente

da quella che rivestono gli spazi per le attività comuni. Risulta particolarmente importante che le

stanze non siano eccessivamente affollate, come noto, infatti, la violenza è proporzionale alla

densità cioè al rapporto tra il numero delle persone e lo spazio disponibile. La letteratura (c.f.r. la

bibliografia del presente lavoro) dimostra le gravi conseguenze del sovraffollamento all’interno

dei carceri. La situazione dei carceri minorili italiani, da questo punto di vista, è ottimale. La

tabella 4 ed il grafico 15 dimostrano che la maggioranza dei minori ha la possibilità di essere

collocata in celle a due letti, molti anche a tre o quattro, solamente 6 in tutta Italia sono le celle

con cinque posti letto e per lo più vengono utilizzate solo in casi d’emergenza.

I dati del Consiglio d’Europa (ricerca in via di pubblicazione realizzata dalla Sezione di

criminologia e affari penali - Divisione dei problemi criminali) dimostrano che la condizione

degli Istituti Penali Minorili del resto d’Europa è di maggiore affollamento rispetto all’Italia.

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8.6 INCIDENZA DEGLI ATTI AUTOLESIONISTICI

Altro

Tentati suicidi

Ingestione s. tossiche

Bruciature

Rifiuto di alimentarsi

colpi al muro

Tagli

Suicidi

0 10 20 30 40 50 60 70

Altro

Tentati suicidi

Ingestione s. tossiche

Bruciature

Rifiuto di alimentarsi

colpi al muro

Tagli

Suicidi

Graico 16Nmero dei suicidi e degli atti autolesionistici. 1997

Gli atti autolesionistici sono un fenomeno presente all’interno dell’istituzione carceraria,

N° Casi

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l’incidenza è di discreta intensità (Grafico 16). Questo genere di atti ha una natura fortemente

complesso, le motivazioni possono essere molto differenti, possono essere presenti fattori sia di

natura psicologica individuale, sia fattori relazionali e sociali. Non è possibile esprimere ipotesi

in quanto ciò necessita di uno specifico approfondimento.

Altro

Nessun prov.

Isolamento

Sazioni disciplinari

Esclusione da attvitàcomuni

Sost. psichiatrico

Interv. fam

Informativa AutoritàGiudiziaria

Sost psicol

Controllo sanit

Sost educativo

0 10 20 30 40 50 60 70

Altro

Nessun prov.

Isolamento

Sazioni disciplinari

Esclusione da attvitàcomuni

Sost. psichiatrico

Interv. fam

Informativa AutoritàGiudiziaria

Sost psicol

Controllo sanit

Sost educativo

Grafico 17Provvedimenti

presi per tentativi di suicidio e atti autolesionistici

N° provvedimenti

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Ciò che è possibile realizzare è l’analisi dei provvedimenti presi dagli operatori per i

tentativi di suicidio e gli atti autolesionistici (Grafico 17). Un fatto da osservare è che in ogni

caso viene fornita una risposta, ciò è importante in quanto ogni atto ha implicitamente od

esplicitamente un messaggio, il quale deve essere preso in considerazione ed a cui bisogna dare

le risposte opportune. Bisogna, in oltre, specificare che viene realizzato nella maggioranza dei

casi l’intervento educativo e/o psicologico insieme all’opportuno controllo medico. Esiste

un’ampia differenziazione degli interventi - informativa all’autorità giudiziaria, intervento

familiare, sostegno psichiatrico, sanzioni disciplinari, etc. - ciò è importante in quanto, come

affermato, la natura degli atti autolesionistici è complessa e necessita una risposta specifica in

base alle caratteristiche del singolo caso.

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GRIGLIA SULLA PROGRAMMAZIONE PER L’ANNO 1998 IN MATERIA DI EDUCAZIONE ALLA SALUTE. N° SEDE SERVIZIO DESCRIZIONE 1 BARI IPM • Progetto “PEACE” di Educazione Ambientale e Cultura Ecologica: animazione

culturale e di pre-orientamento al lavoro. Obiettivo: Far crescere nei partecipanti la “cultura ecologica” e il rispetto della natura. Crescita personale e sviluppo di abilità lavorative. Metodologia: lezioni teoriche, attività prassiche di giardinaggio, visite guidate i luoghi di interesse naturalistico e aziende agricole. Attività previste: attività inerente il verde ornamentale, studio e conoscenza della salvaguardia ambientale del territorio. Strumenti:attrezzi e materiali per il giardinaggio per l’esecuzione di interventi di conservazione e tutela dell’ambiente, visite guidate. Professionalità: 1 forestale tutor, staff pluridisciplinare (ecologo, criminologo, perito agrario). Verifica: numero degli iscritti e frequentanti, interesse riscosso, numero degli attestati di frequenza rilasciati.

2 BOLOGNA IPM • Pratello 2000: Programma sperimentale di educazione alla salute e di prevenzione delle tossicodipendenze. Obiettivi: Dare informazioni semplici, chiare e aggiornate su argomenti attinenti la prevenzione alle tossicodipendenze e sulla salute psico-fisica. La qualità educativa e formativa degli interventi debbono mirare a trasmettere ai ragazzi il vantaggio di saper negoziare, sulle opinioni e, attraverso l’impegno e il coinvolgimento personale, acquisire rispetto e solidarietà verso gli altri. Attività previste: conferenze, attività pratiche, uso di mezzi multimediali. Metodologia: Incontri teorici e lavoro in piccoli gruppi su tematiche relative alla salute, all’ambiente e all’ecologia della mente. Strumenti: Incontri teorico-pratici, conferenze, esperienze pratiche legate alla tutela della salute; audiovisivi, computer. Professionalità: 1 medico, 1 consulente, 2 operatori sanitari degli Enti Locali, volontari, operatori WWF, Lega Ambiente, C.R.I., insegnanti, operatori di circoli culturali e di cooperative.

• Protocollo d’intesa tra Il Ministero di Grazia e Giustizia e La Regione Emilia-

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Romagna. Obiettivi: favorire: A) territorializzazione degli interventi; B) Utilizzo delle strutture e degli spazi; C) Assistenza sanitaria; D) Scolarizzazione, alfabetizzazione e mediazione culturale. E) Assistenza sanitaria in carcere.

3 CATANZARO IPM • Corsi di educazione alla salute e alla sessualità. Obiettivo generale: accrescere la consapevolezza di sé, delle proprie modalità relazionali e comportamentali. Obiettivi operativi: acquisizione dei prerequisiti necessari per una migliore comunicazione intersoggettiva: A) Congruenza o trasparenza: riferita alla capacità di entrare in contatto con la propria esperienza e comunicarla; B) L’accettazione incondizionata: la capacità di accettare una realtà soggettiva diversa da sé per razza, cultura, idee, modo di essere etc.; C) L’ascolto empatico: la capacità di “mettersi nei panni” dell’altro e vedere e sentire le cose come le vede e le sente l’altro, senza per questo perdere il contatto con il proprio sentire. Metodologia: apprendimento in piccolo gruppo (5 persone) delle dinamiche in gioco nella comunicazione interpersonale e sociale. Successivamente apprendimento delle tecniche della comunicazione intersoggettiva. Strumenti: esercizi, simulate. Tempi: 3 mesi, 1 incontro a settimana di 2 ore. Incontri di gruppo per il raggiungimento degli obiettivi per un periodo di 12/24 mesi. Professionalità: Medico incaricato dell’Istituto, consulente psicologo, esperto collaboratore dell’ASL.

4 FIRENZE IPM • Laboratori artigianali: attività di formazione professionale in convenzione con l’ENAIP e con le locali associazioni di artigiani.

• Progetto “Colore e carcere” • “Educazione alla salute”

5 L’AQUILA IPM • Educazione alla Salute: in collaborazione con operatori dell’ASL. • Incontri con il WWF

6 LECCE IPM

• Educazione alla Salute: Percorso educativo interdisciplinare. Obiettivi: star bene con il proprio corpo, con gli altri e con l’ambiente. Attività previste: Interventi di esperti, mostre fotografiche, visione di filmati scientifici. Metodologia: Incontri di gruppo - lezioni guidate- attività di animazione. Strumenti: Indagini, interviste, riprese filmate, raccolta di stampa specialistica. Figure professionali: 1 educatore, 1 specialista medico in

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CPA COMUNITÀ’

convenzione, 3 medici specialisti in convenzione dell’Ente Locale, 1 operatore di comunità terapeutica privato sociale, associazione di volontariato, 1 rappresentante dei lavoratori. Tempi: 4 incontri di n. 2 ore settimanali. Verifica: griglia di osservazione e valutazione sull’attività realizzata.

• Progetto di educazione ambientale: corso di educazione ambientale. Obiettivi: Promuovere lo sviluppo di una coscienza ambientale e civile, indurre capacità di osservazione dei fenomeni naturali. Conoscenza delle tematiche ambientali. Favorire il rapporto tra sviluppo e ambiente. Attività previste: Didattiche, visioni di documentari, visite in zone di interesse naturalistico. Metodologia: lezioni, incontri di gruppo con esperti, escursioni, ricerche nell’ambiente, integrazione con scuola e tempo libero. Strumenti: videocassette, diapositive, coltivazione in vivaio.

• Corso di educazione corporea: lavoro con i minori sull’integrazione corpo/psiche.Obiettivi: modificare la percezione negativa del sé, aumentare il livello di tolleranza alle frustrazioni, sviluppare una comunicazione armonica, sviluppare fantasia e creatività. Attività previste: training corporeo. Metodologia: 1 stage a settimana della durata di due ore. Strumenti: Materiale Hi-Fi danza, ritmo, movimento. Tempi: 6 mesi. Verifica:mensile del livello di partecipazione, e coinvolgimento, feedback emotivo, strumenti e schede di verifica.

• Educazione alla salute: sensibilizzazione alla salute ed alla igiene personale. Obiettivi: acquisizione di elementi di conoscenza per l’igiene personale e rispetto del proprio corpo. Attività previste: ricerca. Metodologia: Incontri tematici periodici. Strumenti: audiovisivi e lavori di gruppo. Professionalità: 4 educatori di 6° e 7°, 2 operatori di 6°, esperti (sessuologo, infettivologo, tossicologo etc). Tempi: 3 mesi. Verifica: mensile con scheda di verifica.

7 MILANO IPM • Ippoterapia: Intervento terapeutico-riabilitativo per minori con disagio psicologico. Modalità di attuazione: sperimentazione semestrale, eventuale prosecuzione II° semestre. Intervento in convenzione con il Centro Ippoterapico della Caserma “Perrucchetti” di Milano. Professionalità: 1 educatore coordinatore, 1 istruttore in convenzione. Verifica: verifica mensile delle capacità acquisite dai minori in termini di autocontrollo, sviluppo

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equlibrato dell’emotività. 8 NAPOLI

NISIDA IPM • Educazione allo sport. Attività previste: calcio, pallavolo, basket, tennis, palestra con

attività sportive intramurarie. Extramurarie: ginnastica artistica e ritmica, pallavolo, basket, canottaggio e nuoto presso strutture UISP. Obiettivi: Sviluppo delle attività psicomotorie, della capacità di aggregazione in una attività positiva e del rispetto delle regole. Metodologia: Allenamenti intramurari quotidiani di due ore per 6 giorni alla settimana. Per le attività extramurarie, allenamenti per due ore pomeridiane, 2/3 volte la settimana.

9 PERUGIA USSM • Formazione professionale e attività di socializzazione in convenzione con l’ENAIP per l’inserimento dei minori nelle attività del progetto P.O.L.O. (Botteghe delle professionalità e centro di aggregazione di adolescenti).

• Prosegue collaborazione con gli Enti Locali e istituzioni di Perugia progetto P.O.P. (Osservatorio provinciale sul disagio giovanile e la tossicodipendenza).

• Accordi con l’USL n. 5, per il coinvolgimento dei ragazzi in art.28 in attività riabilitative. • Progetto di un protocollo di intesa con il comune di Terni per l’individuazione di percorsi

per i minori nell’area penale. 10 TORINO CPA • Educazione visiva: Completamento di un progetto in corso con l’obiettivo di creare un

ambiente in grado di stimolare la riflessione tramite segni e riferimenti visibili su argomenti quali la prevenzione sanitaria e la conoscenza delle culture e dei costumi e delle etnie di provenienza dei ragazzi.

• Informazione sanitaria: bacheca delle informazioni e opuscolo di informazione sanitaria ( in lingua italiana e araba). Obiettivo: diffusione delle informazioni sulle risorse offerte dalla Città e dal privato sociale e sui presidi medico-ospedalieri che offrono assistenza agli stranieri privi di documenti.

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CAPITOLO 9

9 CONCLUSIONI SULLA TUTELA DELLA SALUTE NEGLI ISTITUTI

PENALI PER MINORENNI DAL PUNTO DI VISTA SOCIO-

PSICOLOGICO. (F. Brauzzi, A. De Iacobis)

Da quanto emerso dal lavoro sopra rappresentato si possono trarre alcune conclusioni.

Una prima considerazione generale riguarda la tutela della salute del minore da un punto di vista

normativo, mentre in un secondo momento si prenderà in considerazione quanto emerso nelle

aree specifiche sondate attraverso il questionario e la documentazione del servizio sanitario.

CONSIDERAZIONI GENERALI IN AMBITO NORMATIVO

Disposizioni sul Processo Penale a carico di imputati minorenni D.P.R. del 22

settembre 1988, n. 448) e Ordinamento Penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354)

Una considerazione generale che è possibile fare è che la stessa progettualità psico-socio-

educativa che informa il D.P.R. 448/88, è un elemento di forte garanzia per la tutela delle

dimensioni sociali e psicologiche della salute del minore. Nel suddetto decreto il legislatore si è

ispirato ai principi fondamentali di tutela del diritto minorile previsti dalle “Regole Minime per

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l’Amministrazione della Giustizia Minorile” delle Nazioni Unite del 29 novembre 1985, i quali

prevedono che durante tutto l’iter penale sia tutelata la personalità del minore.

Diversa invece si presenta la situazione per quanto riguarda la normativa che regola la

vita degli Istituti Penali Minorili. A tutt’oggi è ancora assente un ordinamento penitenziario o un

regolamento di esecuzione specificatamente minorile. Sebbene l’Ordinamento Penitenziario

(legge 26 luglio 1975 n. 354) e il rispettivo Regolamento di Esecuzione (D.P.R. 29 aprile 1976 n.

431) per gli adulti siano anch’essi in linea con quanto previsto dalla pur successiva normativa

europea (Regole penitenziarie europee del 12 febbraio 1987), tuttavia la specificità dell’ambito

minorile necessita di una propria normativa. E’ proprio tale assenza a generare molto spesso

poblemi di interpretazione, vuoti legislativi o problemi di adeguamento forzato della normativa

penitenziaria degli adulti al settore minorile.

Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile

• Sono importanti sia le “condizioni sociali” che la “maturazione” individuale per

interrompere il processo circolare che favorisce la devianza. Tale impostazione risulta

centrale per impostare il tema della salute nei termini dell’Organizzazione Mondiale della

Sanità (OMS) come “benessere fisico, psicologico e sociale”. Non può esistere, negli Istituti

Penali Minorili (IPM) come nelle altre istituzioni, un’attenzione alla salute che non prenda in

considerazione tutte le dimensioni su indicate.

• Se non viene curato il reinserimento del minore è probabile che tutti gli sforzi prodotti

saranno annullati dal contesto esterno.

• Il contesto sociale di provenienza, ha una grande forza attrattiva specialmente se il minore non

possiede alternative, se non ha individuato strategie per trovare una nuova collocazione

all’interno della società. Fornire gli strumenti per reinserirsi in maniera differente diventa

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centrale e chiaramente la possibilità di trovare un’occupazione lavorativa è senza dubbio uno

strumento di grande importanza. Infatti la formazione ed il trattamento dei minori collocati in

istituzioni hanno l’obbiettivo di assicurare loro assistenza, protezione, educazione e

competenza professionale affinché siano posti in grado di avere un ruolo costruttivo e

produttivo nella società.18

• L’attenzione alla salute dal punto di vista fisico e psicologico non riveste un’importanza

minore. E’ infatti necessario che I giovani collocati in un’istituzione ricevano aiuto,

protezione e tutta l’assistenza sul piano educativo, psicologico, sanitario, e fisico necessari

riguardo all’età, al sesso, alla personalità e nell’interesse di una loro crescita armonica.

Dunque è di centrale importanza che il minore detenuto abbia diritto ad un’assistenza sanitaria

impostata secondo la specificità individuale della persona e quindi congrua alle sue esigenze.

• Le regole minime esigono che la Giustizia Minorile sia sistematicamente in evoluzione per

migliorare e perfezionare la competenza, i metodi, gli approcci e le attitudini complessive,

ciò in considerazione dell’alto mandato sociale ad essa conferito.

• La formazione e l’aggiornamento dunque sono centrali per tutto il personale minorile, come

viene affermato dall’art. 22.1: La formazione professionale , l’aggiornamento, i corsi di

riqualificazione e altre iniziative appropriate di insegnamento tenderanno a fornire e a

sostenere la necessaria competenza del personale che si occupa di minori.

• Risulta centrale per l’ottimizzazione dei risultati il coordinamento tra le strutture della

giustizia minorile dei vari paesi.

• Una norma importante risulta essere quella che sancisce il diritto alla tutela della vita

privata e la riservatezza degli atti Ciò fornisce indicazioni per la specifica materia sanitaria e

trattamentale, nella direzione di mantenere, di regola, riservo sui risultati delle analisi

18 Il corsivo di questo paragrafo indica la citazione delle Regole minime per l’amministrazione della giustizia

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mediche (si fa riferimento ad es. alla segretezza relativa alle condizioni della sieropositività) e

delle confidenze che possono emergere dai colloqui. Ciò anche con il fine di evitare i processi

di etichettamento sociale e gli effetti perniciosi risultanti dal fatto che i minori siano

classificati come “delinquenti” o “criminali”.

• I minori devono essere separati dagli altri detenuti. Un altro aspetto del contesto di centrale

importanza è quello della presenza di ultradiciottenni all’interno degli Istituti penali minorili.

L’alto numero di maggiorenni infatti comporta notevoli difficoltà nell’impostazione di un

trattamento specifico per i minori.

Norme penitenziarie europee

• I servizi sanitari devono fornire un servizio ai detenuti secondo criteri qualitativi

paragonabili a quelli della collettività. Ciò “dovrebbe essere realizzato anche in stretta

relazione con l’amministrazione generale del servizio sanitario della comunità o della

nazione”. Tuttavia “ogni stabilimento deve disporre di almeno un medico generico” (regola

26).

• Deve essere garantito il diritto alla maternità per le detenute. Cioè di tenere con sé i figli.

Devono inoltre essere organizzati degli asili-nido, con personale qualificato. per il principio

di garantire un ambiente corrispondente al livello qualitativo dell’esterno sia per la madre che

per il bambino.

• Le visite mediche devono essere tra l’altro finalizzate sia alla valutazione dello stato di salute

all’ingresso in istituto, sia a “rilevare le deficienze fisiche o mentali che potrebbero essere di

ostacolo al reinserimento dopo la liberazione”. Esiste dunque grande attenzione al

reinserimento sociale che non deve essere seguito solamente dal punto di vista psicologico e

minorile

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sociale, ma anche dal punto di vista fisico. In oltre le visite mediche hanno anche la funzione

di monitorare continuamente lo stato di salute fisica e mentale del detenuto con la frequenza

imposta dalle regole ospedaliere.

• Il medico ha delle forti responsabilità, deve fare rapporto al direttore dell’istituto per il

costante monitoraggio delle condizioni igieniche dell’istituto. Il direttore deve prendere in

considerazione le relazioni ed i suggerimenti del medico e deve immediatamente adottare le

misure idonee, o in caso ciò non sia di sua competenza trasmettere le sue osservazioni e la

relazione medica all’autorità superiore.

SISTEMI DI INTERVENTO IN ALCUNI STATI EUROPEI

ANALISI COMPARATIVA DELLA LEGISLAZIONE EUROPEA SULLA NOZIONE DI

STATO DI SALUTE

• In seguito ai risultati ottenuti, da quando il servizio ospedaliero pubblico ha preso in carico le

cure in problematiche specializzate (per es. psichiatria, AIDS) il legislatore francese ha preso

la decisione di affidare al servizio ospedaliero pubblico il compito di presa in carico globale

della salute in ambito penitenziario, nelle dimensioni di cura e di prevenzione agli aspetti sia

medici che psicologici. Questa presa in carico si effettua attraverso la formalizzazione di

protocolli d’intesa tra l’istituzione carceraria e quella ospedaliera. Gli obbiettivi assegnati alla

sanità pubblica sono quelli di presa in carico globale relativa alla prevenzione e alla cura sia

nel periodo di detenzione che in quello successivo.

• I temi che sono stati analizzati trasversalmente mediante le diverse legislazioni nazionali sono

quelli de ruolo delle visite mediche, dello screening per l’individuazione del virus HIV e della

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prevenzione della sua diffusione, della misura dell’isolamento, dell’obbligatorietà della cura,

del reinserimento, delle limitazioni che lo stato di salute può comportare alla detenzione.

TUTELA DELLA DIMENSIONE PSICO-SOCIALE DEL MINORE.

In questo paragrafo verranno presentate in modo sintetico le considerazioni conclusive

per ogni area tematica che è stata oggetto di approfondimento di questo studio, al fine di poter

indicare nel prossimo capitolo possibili prospettive, indicazioni e suggerimenti per affrontare le

dimensioni più problematiche rilevate.

Modalità di intervento sul disagio minorile.

I dati emersi in tale area evidenziano:

• Un’attenzione interdisciplinare alla tutela della salute. Il modello di intervento prevede

che più figure professionali, ognuno dal suo punto di vista, contribuiscano a farsi carico della

tutela della salute del minore fin dalla prima entrata in IPM e durante tutta la sua permanenza

(vedi paragrafo 8.2);

• La realizzazione di interventi specifici con i minori che fanno abuso di sostanze

psicotrope. L’intervento avviene su più fronti cioè attraverso il coinvolgimento di più

soggetti istituzionali. Il coinvolgimento del Ser.T., previsto per legge, presenta, secondo

quanto segnalato dalla stessa équipe, un buon livello di integrazione con il progetto educativo.

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• La realizzazione di interventi specifici con i minori con disagio psicologico. L’intervento

prevede primariamente l’intensificazione del sostegno psico-socio-educativo dell’équipe al

ragazzo. Tuttavia, in tale progetto di intervento, si prevede anche il coinvolgimento di soggetti

istituzionali esterni all’IPM (ASL, comunità, rete del territorio ecc.), e delle risorse sociali del

minore (famiglia, territorio ecc.). Si evidenzia, tuttavia, una scarsa integrazione tra il

contributo da apportato dalle strutture territoriali e il progetto educativo realizzato dall’équipe.

L’insufficiente raccordo tra progetto educativo interno all’IPM e progetto dei servizi esterni

del territorio si rileva altamente disfunzionale.

• Una generale scarsa integrazione tra Istituto Penale Minorile e Servizi sul territorio

nella gestione del disagio psicologico. La difficile collaborazione con i servizi specialistici

dell’Ente Locale rappresenta un elemento di forte disfunzionalità dell’intervento sul disagio

mentale. Conseguenza di tale situazione è l’offuscarsi della distinzione tra i compiti dei

Servizi della Giustizia Minorile che svolgono una funzione di mediazione giudiziaria

(assistenza del minore al processo e durante tutto l’iter penale) e Servizi specialistici degli

Enti Locali che svolgono una funzione di mediazione sociale ( ricerca di una nuova

connessione tra minore e contesto sociale) (Palomba, 1991). L’intervento terapeutico sul

disagio mentale non può che essere inscritto in una funzione di mediazione sociale.

L’intervento dei Servizi della Giustizia minorile, nel settore del disagio mentale, deve

limitarsi ad una segnalazione precoce e ad un lavoro psico-socio-educativo preliminare, al

fine di motivare il minore ad un intervento specialistico che dovrà svolgersi nel territorio.

La promozione della salute. Gli operatori hanno sottolineato che:

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• La sessualità rappresenta il campo in cui maggiormente è presente il bisogno dei minori di

essere formati, in quanto essi vivono questa dimensione in maniera autodistruttiva in linea con

il loro stile di vita.

• E’ necessario realizzare interventi di educazione alla salute che riguardino l’area

dell’educazione sanitaria I minori presenti negli IPM hanno pessime pratiche igieniche nei

campi dell’igiene generale, delle malattie infettive, dell’alimentazione, dell’igiene orale.

• La droga è un ambito fortemente problematico non sono presenti che sporadici casi di minori

eroinomani, non perché il problema droga non sia grave ma perché le modalità di uso delle

sostanze psicoattive è cambiato (uso di vari tipi di sostanze diverse, uso limitato al week-end,

etc.).

Per quanto riguarda le iniziative in materia di promozione della salute è emerso che:

• Esse appaiono numerose ed eterogenee. Si rileva una diffusa e costante attenzione degli

Istituti attualmente operativi sul territorio nazionale alle problematiche della salute specifiche

dell’adolescenza. La filosofia che è spesso a fondamento di tali progetti è basata su un

approccio ecologico volto più che ad informare sui fattori di rischio delle specifiche patologie,

ad incrementare le competenze per far fronte ai compiti evolutivi fase specifici.

• Particolarmente significativa è l’attenzione riservata alle attività sportive con una valenza

fortemente educativa.

• Carente è invece sia lo spazio riservato alle iniziative formative rivolte al personale sulla

qualità della vita nell’ambiente lavorativo, sia le supervisioni rivolte ad elaborare i vissuti che

emergono nel rapporto con un’utenza altamente problematica, sia la formazione specifica

degli operatori sul tema della promozione della salute.

• A conferma di questo dato gli operatori hanno segnalato un forte bisogno di formazione per

tutto il personale (vedi paragrafo 8.4.4). Tale bisogno evidenzia una scarsa attenzione nella

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programmazione generale, sia livello centrale, sia negli Istituti Penali Minorili, a costruire

spazi che rispondano all’esigenza degli operatori di affrontare il tema della salute e del

benessere in ambito lavorativo (vedi paragrafo 8.4.1).

• Da un punto di vista ecologico, infatti, l’educazione alla salute si interiorizza sperimentando

un ambiente di vita salutare nel suo complesso (igienico-sanitario, adeguatezza delle strutture,

qualità delle relazioni).

• Inoltre da quanto emerso dal questionario (vedi paragrafo 8.4.3) e dall’analisi dei progetti

realizzati (vedi paragrafo 8.4.1) emergono orientamenti differenziati nelle équipe tecniche.

Infatti se da un lato è presente una tendenza, anche se minoritaria, ad impostare programmi in

maniera puramente informativa, dall’altro si coglie una tensione ad attivare la persona e

renderla responsabile del proprio benessere.

Dimensione socio-affettiva.

• Il bisogno maggiormente sperimentato dai minori è quello di essere compreso riconosciuto,

contenuto, bisogno tipico dell’adolescenza. E’ importante che esso emerga all’interno del

contesto carcerario in quanto la subcultura ivi esistente non ne permette l’espressione. Sembra

inoltre che sia data una certa risposta da parte degli operatori, ovvero che in molti casi sia

possibile comprendere e riconoscere i minori, dare loro ascolto e permettere dunque una

crescita interiore.

• L’esigenza di mantenere i rapporti con la famiglia è un fattore anch’esso di grande

importanza per il minore. Il lavoro in questa direzione sembra necessario in quanto - come

prevedibile - i minori ne sperimentano una forte necessità. Piuttosto forte è la difficoltà delle

strutture a dare risposta a ciò, tuttavia per il reinserimento del minore è fondamentale un serio

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lavoro con la famiglia, in quanto la sua influenza sul ragazzo è prevedibile e nel caso in cui

tale influenza risulti negativa gli eventuali successi del trattamento si rivelerebbero vanificati.

Assistenza religiosa e pratiche di culto

• Gli Istituti Penali Minorili italiani garantiscono il rispetto delle differenze religiose ed

etniche. Infatti nella grande maggioranza degli IPM è garantita ai minori la possibilità di

seguire le pratiche di culto e le norme alimentari della propria religione.

Caratteristiche igienico-strutturali

• Le condizioni di igiene negli istituti è piuttosto variegata, è infatti “buona” in 6 IPM ed

“ottima” in 2 e questo è un dato confortante. Quello che però deve destare una certa

attenzione è che il restante 50 per cento degli Istituti non da una valutazione rosea delle

condizioni igieniche, infatti 4 le considerano solamente “sufficiente”, mentre gli altri quattro -

ovvero un quarto degli IPM italiani - la considerano “insufficienti”.

• Gli spazi dedicati alle attività ricreative e soprattutto sportive sono quelli maggiormente

diffusi, quasi tutti gli Istituti possiedono la palestra, la sala giochi ricreativa ed il campo

sportivo. La maggioranza delle suddette strutture viene descritta come “adeguata” tuttavia

esiste una discreta percentuale di IPM che definiscono i propri locali come “non adeguati” ciò

conferma i limiti edilizi, come già affermato riguardo alle condizioni generali dell’igiene nel

precedente punto, ed indica la necessità operare delle verifiche.

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• Gli spazi riservati alla scuola e alle biblioteche sono più limitati ma di un buon livello

qualitativo, fatto anche esso importante in quanto la formazione è di grande importanza per il

futuro reinserimento.

• Sembra che la stessa attenzione non sia destinata all’apprendimento di competenze

lavorative, infatti solamente il 25% degli Istituti afferma di avere spazi a ciò dedicati.

L’apprendimento di un mestiere è tuttavia molto importante in quanto è ciò che può fornire ai

minori delle alternative nel reinserimento sociale.

• La valutazione delle qualità complessiva degli spazi conferma le indicazioni precedenti,

ovvero che il 24% degli ambienti non risulta adeguato, mentre il 76% dei locali viene definito

“sufficiente” o “decisamente adeguato.

• I locali per il pernottamento è ottimale. La maggioranza dei minori ha la possibilità di essere

collocata in celle a due letti.

Incidenza degli atti autolesionistici

• Gli atti autolesionistici sono un fenomeno presente all’interno dell’istituzione carceraria,

l’incidenza è di discreta intensità.

• Rispetto ai tentativi di suicidio e agli atti autolesionistici in ogni caso viene fornita una

risposta, ciò è importante in quanto ogni deve essere preso in considerazione ed a cui bisogna

dare le risposte opportune.

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CAPITOLO 10

10 INDICAZIONI E LINEE DI INDIRIZZO IN MATERIA DI TUTELA

DELLA SALUTE DEL MINORE RECLUSO.

10.1 INDICAZIONI GENERALI E PROPOSTE EMERGENTI DAL LAVORO.

ASPETTI MEDICI (O. La Greca)

Dall’evoluzione del pensiero medico, nell’ambito della pediatria rivisitata in chiave

psicologica e sociologica, si è pervenuti, come indicato anche dall’OMS, ad una innovativa

concezione del minore adolescente, secondo la quale l’adolescenza è quel periodo della vita di

un individuo il cui inizio coincide con la comparsa dei primi segni morfo-funzionali e/o

psicosociali di maturazione puberale ed il cui termine sopravanza la conclusione della pubertà

stessa, identificandosi con l’arresto dell’accrescimento somatico, vale a dire con la conclusione

di quella che comunemente viene definita “ età evolutiva”. La durata della fenomenologia

adolescenziale è, in termini cronologici, di circa otto anni, comprendenti il periodo dai dieci ai

diciotto anni nei soggetti di sesso femminile e dai dodici ai venti anni in quelli di sesso

maschile.

Considerato che, nell’età adolescenziale le modificazioni biologiche hanno un rapido turn

over (sono paragonabili per effetti e velocità solo a quelle che avvengono nel primo anno di

vita), riguardano prevalentemente la sfera neuroendocrina. -In stretta dipendenza con questa

vengono coinvolti altri organi ed apparati, per cui l’accrescimento che si realizza in questo

periodo sia a livello somatico che psichico costituisce per buona parte la base dell’essere adulto.

Peraltro si evidenzia come, in questa fase, sia importante l’operato medico nei confronti

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dell’adolescente, in quanto garantisce un regolare sviluppo psico-fisico, e tutela il diritto ad una

crescita armonica ed equilibrata. Proprio in tale prospettiva, appare necessario attuare programmi

di prevenzione, igiene e clinico-diagnostici volti a un duplice conseguimento: 1) rimuovere

elementi patologici preesistenti, 2) evitare che elementi ambientali ,sociali e comportamentali

possano produrre danni della crescita e dello sviluppo.

A questo riguardo, nella sanità penitenziaria minorile, va inserita l’attività di prevenzione

delle malattie e di promozione del benessere psico-fisico anche nell’ambito trattamentale della

salute. Per attuare una medicina specifica alla particolare utenza è necessaria una dicotomia

dalla medicina penitenziaria per adulti che ha effettuato, per ovvi e validi motivi ,un’azione

prettamente curativa delle noxae patogene che si sviluppano nel contesto carcerario .

La medicina penitenziaria minorile dovrebbe attuare programmi di intervento a monte

del problema diversificando sostanzialmente l’approccio al paziente. Sarebbe opportuno

sviluppare programmi di prevenzione nelle varie discipline mediche ( igiene ambientale, igiene

fisica e psichica del paziente,infettivologia) e programmi di trattamento medico rivolti in

particolare all’acquisizione di tutti gli elementi che favoriscono e promuovono un sano sviluppo:

l’apporto nutrizionale idoneo (in rapporto ad età, sesso, staus clinico, massa corporea);l’attività

sportiva con particolare indirizzi in caso di eventuali patologie dell’apparato osteo-muscolare, la

correzione di alterati valori che possono riscontrarsi nelle analisi ematochimiche e che sono

indice di iniziali stati carenziali multifattoriali.

Considerando inoltre l’aspetto epidemiologico ed infettivologico è importante valutare la

possibilità di eseguire programmi di screening di alcune tra le più frequenti patologie

(Tubercolosi, Epatiti A B C e Delta, Immunodeficienza acquisita da H T V L III).

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Peraltro con la sempre maggiore presenza di nomadi e, più genericamente di stranieri,

sarebbe opportuno considerare le più frequenti patologie di cui sono portatori (tubercolosi,

malattie parassitarie) per attuare anche idonei programmi di intervento essenzialmente

preventivo a favore della comunità. C’è inoltre da ipotizzare che avendo vissuto realtà di

emarginazione e subcultura non abbiano effettuato le vaccinazioni previste dalla legge

(antitetanica, antipolio, antiepatite B), per cui sarebbe opportuno promuovere un programma di

vaccinazioni.

Lo screening delle principali malattie infettive può essere di ausilio per una corretta

valutazione clinica globale del paziente ed inoltre è da considerarsi espressione di tutela della

salute del singolo e della collettività

La valutazione clinica globale che scaturisce dall’esame delle analisi ematochimiche e

da una accurata visita medica deve essere integrata da un esame neuropscichiatrico che non può,

, per ovvi motivi di specificità essere svolto dal medico incaricato. La valutazione

neuropsichiatrica per ogni minore, soprattutto all’ingresso in Istituto ,fornisce una valutazione

del paziente atta a limitare eventuali gesti di autolesionismo, e può essere determinante sia ai

fini del riconoscimento e del trattamento di una sindrome depressiva reattiva , sia al

riconoscimento di ogni eventuale patologia di pertinenza psichiatrica, inquadrabile nei disturbi di

sviluppo (disturbi affettivi, disturbi della identità corporea, disturbi ad estrinsecazione

comportamentale e disturbi espressione di una tendenza scissionale).

Sarebbe importante ,a questo proposito, la collaborazione multidisciplinare tra medico

incaricato, neuropsichiatra e psicologo ; da una visione integrata a più livelli scaturisce un

intervento più strutturato anche perché organizzato da figure diverse aventi un approccio e tempi

d’intervento differenziati l’uno rispetto all’altro ma parimenti incidenti e determinanti.

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Per quanto riguarda l’infettivologia, si assiste attualmente ad una discrepanza di

interventi tra i vari Istituti . Se infatti test ed esami ematochimici vengono richiesti in alcuni

Istituti per la totalità dei minori, in altri, invece , sono eseguiti saltuariamente ed in relazione a

particolari aspetti emersi dalla anamnesi del paziente. Sarebbe quindi opportuno attuare una

programmazione di test ed esami ematochimici di base validi per tutti i minori ed attuare una

ulteriore differenziazione di tali esami per i pazienti che risultano positivi per patologie latenti e

fortemente a rischio per la tutela del singolo e della collettività ( TBC ,Epatiti).

Considerando infine gli Istituti aventi la sezione femminile, ed in particolare quelli con

presenze di madri con bambini da 0 a 3 anni , va considerato come l’assistenza medica è in

questi casi svolta dai medici incaricati che con buona volontà curano i piccoli ospiti per

patologie emergenti ma non possono svolgere attività preventiva alla stregua di uno specialista

pediatra; a tale proposito andrebbe istituito un servizio di assistenza specialistica con l’ASL

territorialmente competente, che possa operare la prevenzione di eventuali stati iponutrizionali e

patologie latenti, onde garantire un miglior sviluppo del bambino.

Sull’organizzazione sanitaria negli IPM, secondo quanto valutato ed espresso nonchè in

relazione alle istanze emergenti a livello sociale, medico e legislativo, considerato quanto finora

è stato fatto ed in relazione alle carenze riscontrate, si ritiene auspicabile che venga adottata una

maggiore specificità sanitaria nel settore, stante l’apparato organizzativo ed operativo

attualmente presenti. Ma per rendere i programmi operativi, è necessaria l’integrazione costante

ed attenta tra organi centrali e periferici considerando i primi come espressi dall’U.C.G.M. e dai

Centri Interregionali ed i secondi dagli IPM.

Attraverso una fase propositiva scaturente dall’attività dell’U.C.G.M. integrata dalle proposte e

dalle attività periferiche, può realizzarsi una fase operativa che richiede peraltro una costante

collaborazione ed integrazione tra area direttiva e sanitaria.

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Appare fondamentale a questo proposito l’opportunità di ascoltare le diverse realtà

emergenti a livello periferico nonché il contesto operativo dei singoli operatori al fine di

integrare le proposte ed i programmi di intervento; a questo proposito sarebbe importante

promuovere degli incontri con gli operatori specifici del settore (medici e psicologi) presso la

sede della direzione generale oppure nelle sedi dei Centri Interregionali.

Per avere una migliore comprensione delle possibilità attuative reali sarebbe opportuno

contattare primariamente i medici incaricati e gli psicologi per far scaturire da questi incontri

proposte integrate sulla base delle realtà territoriali ed in una fase successiva attuare il

coinvolgimento dei livelli operativo - amministrativi.

10.2 INDICAZIONI GENERALI E PROPOSTE EMERGENTI DAL LAVORO. ASPETTI SOCIO-PSICOLOGICI (F. Brauzzi, A. De Iacobis)

In questo contesto si intende fornire alcune indicazioni e linee di indirizzo alla luce di

quanto emerso nello studio. Si riprende qui la distinzione operata da Regoliosi (Regoliosi L.,

1994) nell’ambito della prevenzione del disagio giovanile, riadattandola e contestualizzandola

all’ambito specifico della promozione della salute del minore recluso. Regoliosi individua da un

punto di vista metodologico tre livelli d’intervento distinti in materia di prevenzione, ognuno dei

quali presenta una sua pertinenza e pregnanza rispetto alle problematiche che si intendono

affrontare.

I tre livelli di intervento individuati sono:

Un intervento di primo livello è diretto nei confronti dell’utenza e svolto dagli operatori

che lavorano a diretto contatto con essa. Tale livello di intervento è proprio dei Servizi Minorili

della Giustizia.

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Si concretizza in attività di:

a) lavoro con l’utenza (ascolto, consulenza, iniziative di promozione della salute diretta

ai minori;

b) lavoro per l’utenza (consolidamento rete sociale, sensibilizzazione delle risorse);

c) lavoro per il servizio (attività di programmazione, progettazione e verifica degli

interventi diretti all’utenza);

Un intervento di secondo livello è diretto ai servizi che operano al primo livello ed è di

competenza di realtà che operano su aree sovracomunali.

Tale livello di intervento è di pertinenza dei Centri per la Giustizia Minorile, delle Scuole

di Formazione del Personale per i Minorenni e dell’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile.

Si sostanzia in attività di:

a) lavoro con gli operatori di primo livello come consulenza tecnica ai servizi,

supervisione e formazione agli operatori di primo livello;

b) gestione, programmazione, coordinamento dei servizi di primo livello;

c) reperimento e mobilitazione delle risorse sul territorio;

d) coordinamento interistituzionale tra Sevizi Minorili della Giustizia e Servizi degli Enti

Locali e del territorio.

Un intervento di terzo livello proprio di istituzioni che svolgono compiti di

programmazione generale, di indirizzo e di verifica nei confronti di realtà sovracomunali,

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interregionali o nazionali. Tale livello di intervento è proprio dell’Ufficio Centrale della

Giustizia Minorile.

Si concretizza in attività di:

a) studio ed elaborazione di linee di indirizzo e di modelli operativi in collaborazione

con i servizi di primo e secondo livello;

b) programmazione, organizzazione, coordinamento, e verifica delle attività dei servizi

di primo e secondo livello.

c) consulenza, supporto tecnico e promozione di iniziative culturali e formative.

Lo schema sopra rappresentato è un utile strumento per organizzare le proposte e le

indicazioni individuando fin dall’inizio i livelli istituzionali competenti per la gestione delle

singole problematiche. La complessità del tema della tutela della salute in ambito detentivo

richiede di essere affrontato attraverso la realizzazione di interventi e iniziative diversificati che

interessano tutti e tre i livelli sopra rappresentati.

Pertanto, seguendo tale impostazione si ritiene che la tutela della salute del minore in

stato di detenzione debba essere garantita attraverso:

interventi di promozione della salute di primo livello che consistano:

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• nell’incrementare la realizzazione di iniziative specifiche nel campo dell’educazione alla

salute da un punto di vista ecologico. Tali iniziative devono essere volte a favorire la

valorizzazione delle risorse dell’adolescente, nonché l’acquisizione di nuove capacità,

competenze e strumenti per far fronte al difficile compito di ricollocarsi nel contesto sociale.

E’ necessario a tal fine che siano fornite al minore concrete opportunità per mettere in gioco

quanto acquisito, attraverso l’utilizzazione delle risorse presenti sul territorio. Un intervento

che si svolga soltanto all’interno dell’Istituto Penale, sarebbe difficilmente fruibile da parte

del ragazzo;

• L’educazione alla sessualità, l’educazione sanitaria e la prevenzione dell’abuso di sostanze

psicotrope rappresentano gli ambiti nei quali privilegiare le iniziative di promozione alla

salute;

• In tali ambiti, tuttavia, la letteratura in materia dimostra che non è necessario fornire

solamente informazioni sul comportamento corretti o salutari - che generalmente sono

conosciuti, anche se non seguite,- ma è più utile stimolare l’utente a responsabilizzare sé

stesso attraverso corsi e discussioni in tale ambito.

• nel favorire l’acquisizione di nuove competenze professionali centrali per la ricollocazione nel

contesto sociale;

• nel garantire un ambiente salutare al minore sia dal punto di vista igienico-sanitario che da

quello affettivo-relazionale, dal momento che l’educazione alla salute passa più che attraverso

contenuti informativi, attraverso la qualità della vita che è possibile sperimentare in un

determinato contesto;

• nella realizzazione di progetti di studio volti ad approfondire la conoscenza dei bisogni e delle

esigenze dell’utenza extracomunitaria dal momento che i parametri di salute e malattia sono,

soprattutto da un punto di vista socio-psicologico, strettamente dipendenti dai valori culturali;

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• nella ricerca di modelli di intervento che tengano conto delle caratteristiche della nuova

utenza spesso sempre più caratterizzata da grave disagio psicologico. Tali modelli devono

fondarsi su una strategia di rete che preveda il coinvolgimento dei servizi specialistici degli

Enti Locali e del privato sociale.

• nel prevedere progetti psico-educativi che coinvolgano la famiglia. Il lavoro in questo ambito

tuttavia sembra necessario in quanto i minori ne sperimentano una forte necessità ed in quanto

ciò è fondamentale per il reinserimento. Piuttosto forte è la difficoltà delle strutture ad operare

in questa direzione come generalmente avviene nelle organizzazioni che si occupano del

trattamento di persone con problematiche antisociali. In considerazione di ciò alcune

organizzazioni che si occupano di tossicodipendenza creano équipe che lavorano in maniera

specifica con la famiglia.

• Interventi di promozione della salute di secondo livello che consistano:in

programmi di formazione e aggiornamento per tutto il personale.. Si può tendere alla

“formazione permanente”, con questo termine non ci si riferisce solamente ad una

ripetizione di corsi che, proposti dall’alto forniscono informazioni al personale, il rischio di

questa impostazione - pur sempre utile - è quello che non venga elaborata dagli operatori e

quindi che non venga calata nella prassi operativa. Si può anche intendere formazione

come stimolare “l’organizzazione ad apprendere da se stessa”. Questa impostazione -

attualmente molto utilizzata dalle organizzazioni - stimola a riflettere sul proprio agire.

Consiste in fasi distinte:

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∗ progettazione ed attuazione degli interventi, del trattamento, etc. dunque di vari aspetti

della prassi operativa;

∗ monitorizzazione e valutazione dei risultati;

∗ impostazione della prassi in base ai risultati ottenuti;

∗ il percorso indicato (punti 1, 2 e 3) viene reiterato continuamente.

• La formazione permanente rende attivi gli operatori, permette di far riferimento alla grande

esperienza posseduta dall’organizzazione, favorisce l’individuazione di strategie adeguate al

contesto in cui vengono attuate .

• nel promuovere programmi di intervento di educazione alla salute, non soltanto ai minori.

Si ritiene che al contrario sia gli operatori, sia la Polizia Penitenziaria, sia le famiglie siano da

considerare destinatari degli interventi. Questo fatto è importante poiché per favorire la salute

all’interno degli IPM non sono tanto importanti corsi specifici, quanto il clima generale

all’interno del quale sono inseriti i minori. Questo clima in realtà favorisce il benessere e

l’educazione alla salute. Solamente se ciò avviene hanno senso degli interventi specifici di

educazione alla salute che possono veicolare importanti informazioni

• nel garantire spazi di supervisione per il personale della Giustizia Minorile per l’elaborazione

dei vissuti che derivano dal confronto con un utenza altamente problematica. Tali interventi

hanno l’obiettivo di incrementare la qualità del lavoro con l’utenza, prevenendo il rischio di

burn-out, elevato in tutti gli operatori che svolgono funzioni di aiuto sociale;

• nel proporre interventi di consulenza psico-sociologica a livello organizzativo laddove si

presentino situazioni di elevata conflittualità del personale o episodi di gestione disfunzionale

dei servizi. Interventi di questo tipo facilitano la comprensione delle ragioni che hanno

generato lo stallo dell’organizzazione, mobilitando nuove strategie di problem-solving. Tale

modello di intervento sollecita l’organizzazione ad apprendere dai propri errori, mentre, al

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contrario, un modello prevalentemente orientato al controllo porta le organizzazione a

nascondere i propri aspetti disfunzionali, dietro una facciata di buon funzionamento,

sacrificando in questo modo qualsiasi possibilità di cambiamento;

• nella realizzazione di interventi di competenza specifica di secondo livello in materia di tutela

della salute attraverso l’attività di censimento, coordinamento, attivazione e mobilitazione

delle risorse presenti sul territorio, al fine di costruire una rete di servizi che estenda le proprie

maglie senza soluzione di continuità dal sistema penale al sistema sociale. Tale rete può

essere realizzata attraverso:

∗ la formalizzazione di protocolli di intesa tra servizi della Giustizia Minorile e Servizi

Sanitari e Sociali dell’Ente Locale. In particolar modo deve essere curata la collaborazione

con i Centri di Salute Mentale delle ASL, affinchè l’intervento terapeutico sul disagio

mentale rimanga di competenza dei servizi degli Enti Locali e avvenga in maniera

integrata con il progetto educativo con il minore.

∗ la formalizzazione di protocolli di intesa tra regioni e Centri per la Giustizia Minorile che,

come nei casi delle regioni Lazio, Abruzzo, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna e

Provincia Autonoma di Trento, prevedano al proprio interno attività di promozione della

salute una stretta collaborazione fra Servizi sanitari interni agli Istituti Penali e Servizi

Sanitari delle ASL;

• Favorire la collaborazione tra le strutture della giustizia minorile in maniera che l’intervento

sul medesimo minore sia coordinato nel momento in cui passa da un contesto all’altro.

Potrebbe ad esempio essere dannoso che un lavoro psicologico avviato con una determinata

modalità sia proseguito con una opposta.

Interventi di terzo livello di:

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• progettazione di modelli operativi che tengano in primo luogo conto della tutela della salute

del minore.

• predisposizione di proposte di legge che evitino l’automatismo che inserisce gli

ultradiciottenni negli IPM e permetta una valutazione ad personam , per stabilire quale sia nel

singolo caso la scelta più opportuna da effettuare.

• ricerca e individuazione dei livelli istituzionali da attivare per porre in essere le condizioni per

l’attuazione di interventi di rete attraverso strumenti atti a promuovere, facilitare, costruire

collegamenti e connessioni tra servizi. Tali condizioni possono essere infatti predisposte

tramite l’attivazione di più livelli:

∗ promuovendo, facilitando e dando impulso al lavoro di secondo livello di cui sopra, volto

formalizzazione di protocolli di intesa tra Servizi della Giustizia Minorile e servizi degli

Enti Locali.

∗ promuovendo, facilitando e dando impulso al lavoro di secondo livello di cui sopra, volto

formalizzazione di protocolli di intesa tra Regione e Centri per la Giustizia Minorile.

∗ prevedendo una collaborazione in materia sanitaria formalizzata a livello interministeriale

tra Ministero di Grazia e Giustizia e Ministero della Sanità.

∗ riattribuendo l’intera area dell’assistenza sanitaria alle Regioni secondo quanto previsto

dalla legge 833 del 1978 che prevede l’istituzione di un servizio sanitario nazionale che

deve erogare le proprie prestazioni indifferenziatamente a tutti i cittadini;

• individuazione di idonei strumenti di verifica per valutare il grado di applicazione di tali

protocolli d’intesa;

• promozione e diffusione delle “buone prassi” in ambito sanitario e nell’ambito della

promozione della salute;

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• verifica delle condizioni igienico-strutturali. Queste si presentano, infatti, piuttosto

variegate, alcuni aspetti risultano particolarmente positivi, altri meno, devono pertanto essere

realizzate ulteriori verifiche in loco per individuare i problemi, e per porvi rimedio.

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APPENDICE A - TABELLE SERVIZIO MEDICO SANITARIO

ISTITUTI Vis. medica

Analisi I ingr.

Analisi routine

HIV+ Epatiti B e C

Airola + + + - - Bari + + + - 5 HBV

1 HCV Bologna + + + - 8 HBV Cagliari + + - - 8 HBV Caltanissetta + + + - - Caserta + + + - 12 HBV

1 HCV Catania + + + - 1 HBV Catanzaro + + + - - Firenze + + + - 1 HBV

1 HCV L'Aquila + + + - 11 HBV

1 HCV Lecce + + + - - Milano + + + - 57 HBV

3 HCV Napoli + + + - - Palermo + + + - - Potenza + + + - 1 HBV Roma + + + - 11 HBV Torino + + + - 1 HBV

1 HCV

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ISTITUTI TBC (Screening) Casi positivi T.T. Veneree Airola - 1 casoBari (sogg. a rischio) - Bologna + 1 casoCagliari + - Caltanissetta - - Caserta + - Catania - - Catanzaro + - Firenze + 3 casi - L'Aquila + - Lecce + - Milano + 3 casi - Napoli (per cat. alim.) - Palermo + - Potenza + - Roma + 2 casi Torino + -

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ISTITUTI Specialisti ASL

Specialisti Int.

SERT CIM

Airola Al bisogno - + - Bari - - + - Bologna - Odont. - Cagliari - - + - Caltanissetta - - + - Caserta Ospedale Infettiv.

Odont. + -

Catania - - Al bisogno - Catanzaro - Odont.

Ocul. + -

Firenze - - - - L'Aquila Al bisogno - - Lecce Odont./Al

bisogno - + -

Milano - Odont. - - Napoli - - - - Palermo Odont. Ocul.

Med. Int. Ortop. ORL Derm. Chir.

- -

Potenza Al bisogno - Al bisogno - Roma Neuropsich

. Derm. Odont. Ginec.

+ -

Torino Al bisogno - -

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ISTITUTI Infettivologia Pediculosi Scabbia Airola - - 2 casiBari - - - Bologna - - - Cagliari - 3 casi 1 casoCaltanissetta - - - Caserta - 1 caso 1 casoCatania 1 (Follicolite) - - Catanzaro - - - Firenze 1 broncopolm.) 4 casi 2 casiL'Aquila - - - Lecce 1 (pat. cavo orale)

1 (app. resp.) - 1 caso

Milano - 15 casi 8 casiNapoli - - - Palermo - - 1 casoPotenza - - - Roma - 38 casi 13 casiTorino - 2 casi 2 casi

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APPENDICE B - RIEPILOGO DELLA NORMATIVA RILEVANTE IN MATERIA

NORMATIVA INTERNAZIONALE

1943 Dichiarazione dell’O.M.S. sul concetto di salute

1948 Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, esaminata dall’Assemblea Generale delle

Nazioni Unite nel settembre 1948 e adattata il 10 dicembre1948.

1955 I° Congresso delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine e il trattamento di

delinquenti: Risoluzione 30 agosto 1955

1955 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali Roma 4

novembre 1955.

1966 Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e quello relativo ai diritti

civili e politici, adottati dall’Assemblea Generale nel 1966. Entrati in vigore nel

25/10/1977. Nello stesso anno protocollo facoltativo

1983 Dichiarazione di Alma Ata dell’OMS “Salute per tutti di qui all’anno 2000”

1985 29 novembre “Regole Minime” Nazioni Unite: risoluzione 40/33 su raccomandazione

Settimo Congresso delle Nazioni Unite

1987 Regole penitenziarie europee nell’allegato alla raccomandazione N° R(87)3 approvata dal

Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 12 febbraio 1987, nel corso della 404°

riunione dei delegati dei Ministri.

1987 Raccomandazione n. R(87)20 sulle risposte sociali alla delinquenza minorile ( Consigli

d’Europa, Strasburgo 17 settembre 1987).

1989 Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia - ONU, New York 20 novembre 1989;

ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.

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1990 Raccomandazione n. 1121 relativa ai diritti del fanciullo: i minori sono titolari dei diritti

anche contro la volontà degli adulti. Diritto del minore ad essere sentito.

1990 Cuba VIII congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e il trattamento

dei delinquenti, svoltosi a Cuba nel settembre 1990. Documenti approvati: “Principi

direttivi di Riyad sulla prevenzione della delinquenza giovanile” e le “Regole Minime delle

Nazioni Unite per la protezione dei minori privati di libertà”.

1996 Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambini Strasburgo, 25 gennaio, 1996

1997 Raccomandazioni del Comitato delle Nazioni Unite sull’AIDS (ONUSIDA) dell’aprile

1997 sulle misure destinate alla lotta contro la diffusione dell’epidemia nelle strutture

carcerarie.

NORMATIVA NAZIONALE

LEGGI E DECRETI

1948 Art. 2, 3, 27, 31, 32, 111 della Costituzione della Repubblica Italiana

1970 Legge 740/70 “Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di

prevenzione e pena non appartenente ai ruoli organici dell’Amministrazione penitenziaria.

1975 Legge 354/75 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure

privative e limitative della libertà”.

1976 D.P.R. 29 aprile 1976, n 431 Regolamento di esecuzione della L. 354/75

1988 Disposizioni integrative e correttive del codice di procedura penale D.P.R. 448/88.

1989 D.L.vo 272/89

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1989 Legge n. 134 17 aprile 1989 art. 2

1991 Legge 216 del 19 luglio1991 Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di

coinvolgimento in attività criminose.

1996 Legge 626 Relativa alla sicurezza sui posti di lavoro.

1997 Legge 28 agosto 1997 Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per

l’infanzia e l’adolescenza.

IN AMBITO SANITARIO

1978 Legge 833/78 “Istituzione del servizio sanitario nazionale”.

1990 D.P.R. 9 ottobre 90 N. 309 Teso unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze

psicotrope, prevenzione cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

(Emanato a seguito della Legge 26 giugno 1990 n. 162).

1991 Decreto Interministeriale 8 giugno 1991 (Ministero di Grazia e Giustizia. Ministero della

Sanità, Ministero degli Affari Sociali) reinserimento tossicodipendenti e affetti da AIDS.

1993 14 maggio 93 N. 139 Disposizioni urgenti relative al trattamento di persone detenute affette

da infezione da H.I.V. e di tossicodipendenti.

1993 D. M. 25 maggio del 93 Definizione della situazione di incompatibilità con lo stato di

detenzione per persone con infezione da H.I.V.

1993 D.L. 14 giugno 93 N. 187 Nuove misure in materia di trattamento penitenziario.

1993 Legge 12 agosto 1993 n. 296 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge

14 giugno 1993, n 187, recante nuove misure in materia di trattamento penitenziario,

nonchè sull’espulsione dei cittadini stranieri.

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1995 Sentenza 439\95 della Corte Costituzionale (Incostituzionalità del divieto di custodia

cautelare in carcere nei confronti di persone affette da AIDS).

1996 Decreto interministeriale (Ministero della Sanità, Ministero di Grazia e Giustizia) 22 aprile 96 Individuazione di ospedali presso i quali ricoverare detenuti e internati affetti da AI 1998 Legge 30/11/98,N. 419Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio Sanitario

Nazionale e per l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento

del Servizio Sanitario Nazionale.Modifiche al D.Lg.vo 30/12/92,N.502.

1999 Decreto Legislativo 19/10/99,N.229 Norme per la realizzazione del Servizio Sanitario

Nazionale, a norma dell’art.1 L.30/11/98, N. 419

1999 Decreto Legislativo 22/6/99,N.230 Riordino della medicina penitenziaria a norma

dell’art.5,L.30/11/98,N. 419

CIRCOLARI DELLA DIREZIONE GENERALE PER GLI ISTITUTI DI

PREVENZIONE E PENA E CIRCOLARI DEL DIPARTIMENTO

DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA

1945 LETTERA CIRCOLARE N.3118/1714 -29/11/1945 “ Ricovero minori traviati”

1949 LETTERA CIRCOLARE N.3655/2152-8/04/!949 “ Indagini e documenti sulla personalità

del minorenne”

1950 LETTERA CIRCOLARE N.3851/2325-05/07/1950 “Servizio antivenereo presso gli

istituti di rieducazione per minorenni”

1951 LETTERA CIRCOLARE N.3935/2405- 08/02/1951 “Istituzione di uno speciale servizio

destinato alle indagini sulla personalità sociale e ad altri compiti relativi alla assistenza e

alla rieducazione dei minorenni”

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1951 LETTERA CIRCOLARE N. 3967/2429-17/04/1951 “ Pratiche di ricoveri di

minorenni.Certificati medici”

1953 LETTERA CIRCOLARE N. 200/2691- 30/05/1953 “Profilassi antivaloiosa e antidifterica”

1954 LETTERA CIRCOLARE N. 362/2851-10/06/1954 “Certificati medici”

1955 LETTERA CIRCOLARE N. 531/3015-24/06/1955 “Servizio sanitario”

1956 LETTERA CIRCOLARE 02/03/1956 “Permanenza di minori nelle carceri per adulti”

1956 LETTERA CIRCOLARE 13/03/1956 “Segnalazione di istituti femminili specializzati”

1957 LETTERA CIRCOLARE N. 834/3307-02/10/1957 “Forniture medicinali”

1958 LETTERA CIRCOLARE 06/06/1958 “Prestazioni sanitarie specialistiche negli istituti

minorili”

1959 LETTERA CIRCOLARE N. 1024/3491-11/09/1959 “Rapporti unitari di sintesi sulla

personalità dei minori”

1960 LETTERA CIRCOLARE 26/02/1960 “Vaccinazione antipolio “

1960 LETTERA CIRCOLARE N. 1127/3588- 28/12/1960 “Selezione e diagnosi di minori

ritenuti non recuperabili, in sede di competenza amministrativa dei Tribunali per

Minorenni”

1983 LETTERA CIRCOLARE N. 2931/5381- 21/02/1983 “ Compiti ed attribuzioni del medico

incaricato dei servizi sanitari d’Istituto”

1984 LETTERA CIRCOLARE N. 3020/5470- 18/02/1984 “ Dati sull’organizzazione sanitaria”

1985 LETTERA CIRCOLARE N. 3127/5577- 27/06/1985 “Sindrome di immunodeficienza

acquisita-Infezione da virus AIDS e LAS”

1985 LETTERA CIRCOLARE N. 3132/5582- 12/09/1985 “Assistenza sanitaria ai detenuti”

1986 LETTERA CIRCOLARE N. 3154/5604- 02/01/1986 “Assistenza sanitaria ai detenuti e

agli internati”

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1985 LETTERA CIRCOLARE 10/08/1985 “ Tutela della vita e della salute delle persone

detenute”

1986 LETTERA CIRCOLARE N. 3182/5632- 21/07/1986 “Tutela della vita e della salute delle

persone detenute”

1986 LETTERA CIRCOLARE PROT. N. 623756/2 SPEC. G. “Norme integrative di

prevenzione nei confronti di malattie infettive e diffusive”

1987 LETTERA CIRCOLARE N. 3233/5683- 30/12/1987 “Tutela della vita e della incolumità

fisica e psichica dei detenuti e degli internati. Istituzione e organizzazione del Servizio

nuovi giunti”

1988 LETTERA CIRCOLARE N. 3245/5695- 16/05/1988 “Chiarimenti relativi all’applicazione

della circ. n. 3233/5683 (Istituzione e organizzazione del Servizio nuovi giunti)”

1988 LETTERA CIRCOLARE N. 3258/5708- 28/12/1988 “Tutela della vita e della salute dei

detenuti e degli internati”

1989 LETTERA CIRCOLARE 09/09/1989 “Norme di comportamento per gli operatori sanitari,

parasanitari, militari e civili, per il controllo dell’infezione da HIV”

1990 LETTERA CIRCOLARE 09/08/1990 in rif. D.M. 12/07/1990 n. 186

1990 LETTERA CIRCOLARE N. 3297/5747- 13/12/1990 “Detenuti affetti da sindrome da

HIV”

1990 LETTERA CIRCOLARE 21/12/1990 “Scheda visita primo ingresso”

1991 LETTERA CIRCOLARE N. 3320/5770- 25/07/1991 “Detenuti affetti da sindrome da

HIV”

1992 UCGM PROT. N. 883407/IPM/5/SAN 22/05/1992 “Circolare n. 3342/5792 del 2/05/1992

-Condizioni di incompatlibilità con il regime carcerario dei detenuti affetti da sindrome da

HIV”

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1995 LETTERA CIRCOLARE N. 13 MINISTERO SANITA’ - 06/06/1995 “Esecuzione

vaccinazioni obbligatorie e facoltative in attuazione del piano sanitario nazionale 1994-96”

1996 LETTERA CIRCOLARE N. 3437/5887- 12/09/1996 “Modalità di intervento per la

gestione del fenomeno TBC negli istituti penitenziari”

1996 LETTERA CIRCOLARE N. 9 MIN. SANITA’ - 01/07/1996 “Misure di prevenzione e

controllo delle intossicazioni da botulino”

1996 25 settembre LETTERA CIRCOLARE (UCGM) N° 75025 Art. 16 legge 354/75 - art. 34

del D.P.R. 431/76

1996 LETTERA CIRCOLARE N. 16 MIN. SANITA’ 11/11/1996 “Tetano: misure di profilassi”

1997 LETTERA CIRCOLARE 19/02/1997 UCGM “Misure di prevenzione contro l’epatite di

tipo A - B - C - all’interno degli IPM e CPA”

1997 LETTERA CIRCOLARE N. 3458/5908- 09/07/1997 “Circ. n. 3456/5906 criteri per la

selezione e la nomina del personale medico operante negli istituti penitenziari.

Convenzioni sanitarie- Disciplina e limiti dell’affidamento di più incarichi nell’ambito del

servizio sanitario penitenziario in istituti diversi”

1997 LETTERA CIRCOLARE UCGM 12/09/1997 “Prevenzione delle malattie contagiose”

1999 LETTERA CIRCOLARE Min. Sanità del 28/12/9 n. AA.01.3820d.Lg.vo

22/6/99,N.230.Indicazioni ed indirizzi in materia di prevenzione e di assistenza ai

detenuti tossicodipendenti.

1999 LETTERA CIRCOLARE del Dip. Amm.ne Pen. Del 29/12/99 n.

3510/59/60Trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni relative al

settore della prevenzione ed al settore della assistenza ai detenuti ed agli internati

tossicodipendenti.

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PROPOSTE DI LEGGE

1997 Presentata il 7 maggio 1997 Norme per la tutela del diritto alla salute delle persone

sottoposte a misure privative della libertà. D’Ippolito, Divella, Garra, Sgarbi.

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