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La rassegna stampa di aprile 2011 O blique  Silvia T ruzzi, «Strega, l’incante simo di Arbasino »  il Fatto Quotidiano, primo aprile 2011 3  Cri stina T aglietti, «Alberto Arbasino dice no allo Strega: “Fuor i posto tra i giov ani”»  Corriere della Sera, 2 apr ile 2011 5  Paolo Di Stefano, «Class ici i n libreria»  Corriere della Sera, 3 apr ile 2011 7  Daniele Abbiati, «Lietta Mangan elli: “Papà , partigiano in guerra contr o sé stesso”»  il Giornale , 4 apr ile 2011 11  Stefan ia Vitulli, «Raul Montanar i: “Lo Strega? T roppi esor dienti allo sbaraglio” »  il Giornale , 6 apr ile 2011 13  Fed erica Fantozzi, «La donn a che ci ha fatto leggere Stieg Larsson»  l’Unità, 8 aprile 2011 15  T ommy Cappellini, «L ’epoca dei romanzetti. Editor ignor anti? Mai quanto gli editor  il Giornale , 11 apr ile 2011 16  Fiorella Iannucci, «Strega, hanno vinto gli editor i r omani»  Il Messaggero, 16 apr ile 2011 18  Antonelli , Desiati, Graziol i, Lagio ia, V asta, «Generazi one TQ. Andare oltre la linea d’ombra»  Il Sole 24 Ore, 17 apr ile 2011 20  Leonardo J attarelli, «Cambiamo la narrativ a, siamo la generazione TQ»  Il Messaggero, 19 apr ile 2011 22  Elisabett a Ambrosi, «L ’Italia è lontana»  il Fatto Quotidiano, 21 apr ile 2011 24  Aurelio Picca, «Scrittori, torniamo alla responsabilità»  Corriere della Sera, 23 aprile 2011 26  Mattia F eltri, «Desiati: con Mimì racconto il coraggio delle donne»  La Stampa, 24 apr ile 2011 27 «Più ero invisibile – mi dicevo – più sarei stato bravo» F abio Geda

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La rassegna

stampa diaprile 2011Oblique

 – Silvia Truzzi, «Strega, l’incantesimo di Arbasino»

  il Fatto Quotidiano, primo aprile 2011 3

 – Cristina Taglietti, «Alberto Arbasino dice no allo Strega: “Fuori posto tra i giovani”»

  Corriere della Sera, 2 aprile 2011 5

 – Paolo Di Stefano, «Classici in libreria»

  Corriere della Sera, 3 aprile 2011 7

 – Daniele Abbiati, «Lietta Manganelli: “Papà, partigiano in guerra contro sé stesso”»

  il Giornale , 4 aprile 2011 11

 – Stefania Vitulli, «Raul Montanari: “Lo Strega? Troppi esordienti allo sbaraglio”»

  il Giornale , 6 aprile 2011 13 – Federica Fantozzi, «La donna che ci ha fatto leggere Stieg Larsson»

  l’Unità, 8 aprile 2011 15

 – Tommy Cappellini, «L’epoca dei romanzetti. Editor ignoranti? Mai quanto gli editori»

  il Giornale , 11 aprile 2011 16

 – Fiorella Iannucci, «Strega, hanno vinto gli editori romani»

  Il Messaggero, 16 aprile 2011 18

 – Antonelli, Desiati, Grazioli, Lagioia, Vasta, «Generazione TQ. Andare oltre la linea d’ombra»

  Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2011 20

 – Leonardo Jattarelli, «Cambiamo la narrativa, siamo la generazione TQ»

  Il Messaggero, 19 aprile 2011 22 – Elisabetta Ambrosi, «L’Italia è lontana»

  il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2011 24

 – Aurelio Picca, «Scrittori, torniamo alla responsabilità»

  Corriere della Sera, 23 aprile 2011 26

 – Mattia Feltri, «Desiati: con Mimì racconto il coraggio delle donne»

  La Stampa, 24 aprile 2011 27

«Più ero invisibile – mi dicevo – più sarei stato bravo»Fabio Geda

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Raccolta di articoli pubblicati da quotidiani e periodici nazionali tra il primo e il 30 aprile 2011.

Impaginazione a cura di Oblique Studio.

 – Cristina Taglietti, «Infanzia, memoria, violenza. Ecco la nuova narrativa russa»

  Corriere della Sera, 28 aprile 2011 29

 – Fiorella Iannucci, «Generazione Strega. La precarietà come risorsa»

  Il Messaggero, 28 aprile 2011 31

 – Alessandra Farkas, «E il corsivo divenne indecifrabile»

  Corriere della Sera, 29 aprile 2011 32

 – Alessio Odini, «Più ebook. Ma editori meno ricchi»

  ItaliaOggi , 30 aprile 2011 33

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Strega, l’incantesimo di Arbasino

Lo scrittore dovrebbe concorrere con Adelphi: ma ci sono dubbi sullalegittimità (il libro è una raccolta di vecchi articoli). Attorno manovre esoliti veleni

Lo sponsor, non a caso, è un li-quore. Utilissimo per digerire imolti bocconi amari che par-tecipanti e postulanti del premiointitolato al distillato sono annual-mente costretti a digerire. È loStrega, il riconoscimento dei maghidell’italica editoria che inaugura,come di consueto, la primavera let-

teraria con i trucchi più disparati. Le candidature sipossono presentare fino all’8 aprile, per una inizialescrematura di 12: è il primo step (con l’iniziale minu-scola: almeno Federico Moccia non è della partita).Ma manovre e veleni sono già nell’aere.Il tam tam di questi giorni illumina Alberto Arbasino,di cui Adelphi ha pubblicato  America amore , impo-nente tomo di quasi 900 pagine che per scelta, c’è dascommetterci, non ha una virgola infilata tra le dueparole del titolo. Copertina scarlatta, su cui troneggia

Liz Taylor, versione Cleopatra (nella mestizia del lutto,fortunata scelta di marketing). Dentro, gli Stati Unitidai mitici Sessanta: protagonisti, istantanee, jazz erock, politica, skyline nitide, albe per nulla elegiache.Molta Italia nel melting pot di  America amore . Me-morabile, tra i molti, il racconto dell’incontro con

  Jack Kerouac, talmente stralunato che a un certo

punto Arbasino dubita che sia pro-prio lui. Basta un piccolo fram-mento: «Questi scrittori americanisono molto diversi da noi, e quellialcolici tutti uguali tra loro. Cercodi immaginare delle analogie men-tre racconta: per esempio io conSanguineti oppure Testori che an-diamo a trovare Ottieri oppure La

Capria e lì invece di parlare del Gruppo 63 ci tiriamodei pugni per giocare, e a un tratto giù i calzoni, e poifuori le bottiglie, e poi giocare a dadi fino all’alba conParise». Arbasino fu in concorso nel 1960, ma vinseCassola con La ragazza di Bube . È uno dei pochi a es-sersi conquistato un Meridiano in vita, di premi neha vinti molti, dal Piero Chiara al Flaiano (primo au-tore che nel ’47, tout se tient , vinse lo Strega).Molti però avanzano dubbi di natura regolamentare.Per partecipare allo Strega il libro deve essere pubblica-

to in Italia tra il primo maggio dell’anno precedente eil 30 aprile di quello in corso. Nulla quaestio, rispettoalla legittimità? Non proprio: il volume non è un ro-manzo e la narrativa è senza dubbio la cifra degli Amicidella domenica. Alessandro Dalai, che partecipa conFabio Geda (Nel mare ci sono i coccodrilli , presentato daValeria Parrella e Marino Sinibaldi) spiega: «Arbasino

Silvia Truzzi, il Fatto Quotidiano, primo aprile 2011

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di Strega dovrebbe vincerne due, ma non con una rac-colta di articoli degli anni Sessanta». In queste ore però,perfino in Rcs ci sono dubbi: ieri Roberto Calasso, do-minus di Adelphi, ha incontrato Tullio De Mauro, pre-sidente del direttivo dello Strega. Oggi l’editore do-vrebbe sciogliere le riserve. A Calasso lo Strega non fa

proprio simpatia: fu in concorso nell’89 con Le nozze di Cadmo e Armonia, il suo più grande successo (15 ri-stampe, ad oggi), ma vinse Giuseppe Pontiggia con La grande sera (Mondadori). Calasso, uno dei pochi au-tentici bibliofili a capo di una casa editrice, come tuttigli intellettuali non brilla per leggerezza, fatalismo e au-toironia. Se la legò al dito e da allora Adelphi restò, ot-tima narrativa ma puzza sotto il naso, lontano dalloStrega. La genesi della candidatura di  America amore pare essere stata una lunga – verosimilmente e consue-

tamente affettuosa – telefonata di Paolo Mieli (presi-dente di Rcs libri, gruppo di cui Adelphi fa parte) ad

 Arbasino. «In linea di massima non ho niente in con-trario a partecipare, purché non sia una cosa troppo fa-ticosa» ha detto Arbasino al Corriere della Sera. La mac-china Rcs, assicurano i soliti molto bene informati, siprecipiterà in aiuto degli 81 anni dello scrittore (e quila definizione non è usata per comodità o generosità:sarà bene ricordare che nel 2008 fu premiato al Ninfeodi Villa Giulia Paolo Giordano, La solitudi ne dei numeri 

 primi ).Insomma Rcs quest’anno vuol vincere, dopo quattroanni di Mondadori pigliatutto, e si gioca una cartapesante: ma il jolly può entrare nel mazzo? Lo Stregaè anche un bel gioco, regole all’italiana, non si con-tano bluff e assi nella manica negli ultimi anni. DeMauro assicura che si andrà a rileggere il regolamento,ma a occhio e croce non vede grossi ostacoli: «Co-munque valuteremo scrupolosamente».E che succede a Segrate? Einaudi Stile libero si tuffa

con l’esordiente Mariapia Veladiano. Ma la candida-tura forte è quella di Mario Desiati (Ternitti , Monda-dori). L’autore è giovane (Martina Franca, 1977), ilromanzo impegnato. Puglia ancestrale, la «tragedia dellavoro che nutre e uccide» (dalla quarta di copertina).Un «vendolismo» (anti-uolterveltronismo?) che è siastrizzata d’occhio alla sinistra, sia bandiera da agitare

contro le polemiche sulle censure (Marina B-Sa-viano), sia risposta alle non poche defezioni (dall’edi-tor Turchetta, migrato in Rizzoli, ad alcuni scrittoricome Augias, Vito Mancuso, Ammaniti, Buttafuoco).Non tutti hanno gradito la scelta, specie Chiara Gam-berale, che dicono abbia fatto fuoco e fiamme e che

perciò dovrebbe essere dirottata sul Campiello (maperseverare non era diabolico?). È verosimile che que-st’anno Mondadori abbia deciso di ipotecare lo Strega2012 e che metta sin da ora in conto una sconfitta:preoccupata forse più dai lodi giudiziari che dalle lodiletterarie. Naturalmente ci sono gli altri, e non sonocerto tutte piccole realtà. Da alcuni di loro Arbasinopuò temere la vittoria di un outsider. Fazi presentaGiorgio Nisini (La città di Adamo). Stefano Mauri,presidente del gruppo Gems, ha scelto Guanda, con

Bruno Arpaia (L’energia del vuoto). Carlo Feltrinellisi ritira (forse troppo impegnato a convincere RobertoSaviano?): così il più accreditato Troppa umana spe-ranza dell’esordiente Alessandro Mari non andrà alloStrega. Minimum fax sembra in attesa di vedere lemosse definitive dei grandi gruppi. La scelta, in caso,

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sarebbe Carlo D’Amicis, con La bat tuta perfetta. Ma,scrive Antonio Prudenzano su Affaritaliani.it, «la casaeditrice romana vuole prima essere certa di poter am-bire alla cinquina…». Nottetempo ci sarà con Lucia-na Castellina, autrice de La sco perta del mondo (i due

  Amici sono Rosetta Loy e Antonio Debenedetti).

L’editore Manni con Lorenzo Greco, Il confessore di Cavour (presentato da Antonio Tabucchi e GiovanniRusso), Newton Compton porta Franco Matteuccicon Lo show della farfalla, presentato da Piero Gelli eGiorgio Montefoschi.Poi c’è da segnalare il divertente caso di Marsilio:Cesare De Michelis sembra non fosse molto con-vinto della Nina dei lupi di Alessandro Bertante. Mala pagina Facebook aperta per lanciare il romanzoverso Villa Giulia ha raccolto un buon successo. Sarà

presentato da Antonio Scurati e Sergio De Santis. Intotale gli editori che si stanno muovendo sono 22:verranno accettate 12 candidature. E poi? Quandosarà formalizzata la cinquina, sarà il solito ballettodi voti e pacchetti. Gli Amici della domenica, quat-trocento giurati, soliti noti nonostante il numero

non esiguo. Tutti comunque con una vita che (col-laborazioni con le case editrici, consulenze, prefa-zioni da conquistare, rubriche sulle riviste) ruota at-torno al mondo dell’editoria: molti buoni motivi perandare oltre la qualità letteraria delle opere in con-corso. Si è parlato, qualche tempo fa, di una rota-zione della giuria. Forse, l’unico modo sarebbe adot-tare l’anonimato dei giurati. Come al Campiello. Madelle bacchette magiche che fanno sortilegi aritme-tici e letterari, poi, si perderebbero le tracce.

 Alberto Arbasino ha detto no. Gentilmente, affettuo-samente, con lo stile che lo caratterizza, ma comunque

no. No alla competizione, alle presentazioni, all’attesadel giudizio degli Amici della domenica (di cui peraltro fa parte). Con una lettera indirizzata alla Fonda-zione Bellonci l’autore di America amore (Adelphi) hastabilito i suoi confini: «In qualità di vegliardo, sareiovviamente onorato e incantato per un eventuale pre-mio alla mia lunga operosità letteraria. Ma mi parrebbefuori posto una eventuale gara con competitori chehanno la metà dei miei anni» ha scritto, congedandosi«con un carissimo ricordo di Goffredo e Maria, ai bei

tempi». È nel salotto romano dei coniugi Goffredo eMaria Bellonci, infatti, che, nel 1947, il premio venneistituito con il contributo di Guido Alberti, proprie-tario dell’omonima azienda di Benevento produttricedel liquore che ancora sponsorizza la manifestazione.Insomma se lo Strega vuole premiare una lunga car-riera nelle patrie lettere con un riconoscimento ad

hoc, ben venga, ma la gara con giovani autori, alcunianche esordienti, lo scrittore, che nell’arena stregata è

sceso 51 anni fa con L’anonimo Lombardo, non è di-sposto a farla. Una lettera che lascia un po’ spiazzatala Fondazione Bellonci. «Il premio Strega fin dalla suanascita è un premio unico a cui hanno sempre con-corso scrittori di ogni età» ha commentato Stefano Pe-trocchi, coordinatore della Fondazione Bellonci. «Ab-biamo parlato con Adelphi, come con molti altrieditori, per sondare la possibilità di una partecipazio-ne secondo le condizioni previste dal regolamento,che sono la presentazione da parte di due Amici della

domenica e il rispetto dei termini di pubblicazionedel libro. Naturalmente nella valutazione del libro sitiene conto anche del percorso dell’autore. Lo statu-to non prevede un premio alla carriera, per istituirlobisognerebbe modificarlo e non credo che sia possi-bile, sicuramente non per questa edizione. Dovrebbedeciderlo il comitato direttivo». Comitato direttivo

 Alberto Arbasino dice no allo Strega:«Fuori posto tra i giovani»

Cristina Taglietti, Corriere della Ser a, 2 aprile 2011

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che si riunirà soltanto dopo l’11 aprile per seleziona-re i 12 candidati che verranno poi presentati a Bene-vento. Al comitato direttivo toccherà anche definiremeglio i dettagli della prima edizione del premio spe-ciale Franco Alberti, timoniere dell’azienda di Bene-vento, che sarà dedicato a una personalità della cul-

tura che rappresenti in qualche modo gli interessi di Alberti, legati sopratutto agli studi di meridionalistica.La conferma che Arbasino non sarà in gara dovrebbespingere gli editori ancora indecisi a sciogliere le ri-serve sui nomi, anche perché finora le candidature uf-ficialmente presentate sono pochissime, nell’ordinedelle due, tre. Oltre 20 editori, però, si stanno muo-vendo per essere tra i 12 eletti (l’anno scorso erano19). La Rcs si è presa ancora il fine settimana per deci-dere il da farsi anche se la candidatura di Aurelio Picca

per Rizzoli sembra la più probabile. Così come il

gruppo di Segrate, che ha messo nella sua bacheca ditrionfi le ultime quattro edizioni, si avvia a correre condue marchi: Mario Desiati di Mondadori e MariapiaVeladiano di Einaudi Stile libero.Il gruppo Gems ci sarà con Bruno Arpaia di Guanda(che ieri ha annunciato anche i presentatori: Cristina

Comencini e Giorgio Ficara), che avrà anche un rivalein casa: Giorgio Nisini di Fazi. La vera lotta sarà perentrare nella cinquina, obiettivo minimo di molti pic-coli e medi editori, per i quali la partecipazione è unosforzo notevole. Molti di loro dovranno puntare aconquistarsi gli undici voti collettivi e i trenta lettoriforti indicati da librerie non appartenenti alle grandicatene che hanno sostituito il «tesoretto» con cui neglianni passati la presidentessa della fondazione AnnaMaria Rimoaldi orientava le scelte e determinava il

vincitore.

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«In qualità di vegliardo,

sarei ovviamente onorato e incantatoper un eventuale premioalla mia lunga operosità letteraria.

Ma mi parrebbe fuoriposto una eventuale gara

con competitoriche hanno la metà dei miei anni»

 Alberto Arbasino

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Classici in libreria

Più Orwell che Manzoni. E trionfa il Novecento.Prima fu Le Monnier nel 1843 con la madre di tutte le collane.Proseguirono Carducci e Croce, in fine vennero Millenni e Meridiani.Oggi la filologia lascia il posto a volumi tascabili ben curati e accessibili.Ma a vincere sono soprattutto gli autori stranieri e quelli del secolo scorso

Tempo fa, il filologo Alberto Varvaro poneva una do-manda interessante e maliziosa: quale sarebbe la famae la fortuna di Dostoevskij e Kafka se la scuola co-stringesse a leggerli? Volendo essere cattivi, si potrebbeanche insinuare che se i classici stranieri vengono lettipiù dei classici italiani è perché la scuola, almeno suquelli, per loro fortuna non ha potuto fare danni.Fatto sta che il dato inoppugnabile è proprio questo:mentre i lettori italiani mostrano sempre più di gra-

dire la letteratura contemporanea del proprio Paese(fenomeno alquanto recente), ciò non avviene per leopere del passato. Da che cosa è regolata, alla lunga,la borsa valori della letteratura? Bella domanda. Si puòdire, con una certa approssimazione, che il risultatodelle quotazioni letterarie, nel lungo periodo, è lasomma di due giudizi (pregiudizi) a volte convergenti,più spesso divergenti: quello della critica e quello deilettori. E in mezzo sta l’editoria, che nei casi migliorisi fa carico degli uni e degli altri. Ma qual è lo stato

dell’editoria italiana nella proposta dei classici? È unadomanda a cui si può rispondere in due modi. Da unaparte guardando i cataloghi, dall’altra gettando un’oc-chiata alle vendite. Sul primo aspetto, sarà utile unbreve excursus storico, almeno per valutare i cambia-menti più cospicui. E bisogna per forza cominciarecosì: c’era un tempo…

C’era un tempo in cui i classici erano la spina dorsaledell’editoria, tant’è vero che sui monumenti del pas-sato si costruivano intere collane che avevano l’obiet-tivo più o meno esplicito di formare gli italiani chel’Unità non era riuscita a fare, secondo la famosa fraseattribuita al D’Azeglio.Cominciò Le Monnier nel 1843 con la madre di tuttele collane, la Biblioteca Italiana. Continuò Carduccinel 1885 con una Biblioteca scolastica Sansoni, pro-

seguì Croce nel 1910 con l’impresa degli Scrittorid’Italia Laterza, che prevedeva ben 660 volumi e chesi sarebbe arrestata al numero 287. In epoca fascista,a rilanciare l’identità nazionale venne, nel ’35, Fran-cesco Flora, che per Mondadori avviò la serie dei Clas-sici Italiani, poi lasciati in eredità a Dante Isella. Quat-tro anni dopo, Leone Ginzburg avrebbe affidato aSantorre Debenedetti il compito di costruire per l’Ei-naudi i Classici Italiani Annotati, presi poi in cura daContini e in seguito da Segre. Nel ’48 sarebbe toccato

alla coppia Neri-Fubini, per la Utet, avviare la famosaserie verde dove si trovano edizioni memorabili comeil Bembo curate da Dionisotti. Con la Ricciardi, rile-vata da Raffaele Mattioli, parte nel ’51 la collana piùprestigiosa, La letteratura italiana. Storia e testi. A que-ste si possono aggiungere altre iniziative illustri, dalParnaso Italiano di Muscetta alla Biblioteca Feltrinelli,

Paolo Di Stefano,Corriere della Sera, 3 aprile 2011

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dalla collana Giunti, alla Spiga Garzanti (dove è uscitoil tutto Gadda in cinque volumi), dalla Marzorati allaRizzoli, alla Pléiade-Einaudi.In una bibliografia della letteratura italiana datata1979, sotto la voce Classici e collezioni figuravano 14voci. Erano collane, destinate a un pubblico medio-

alto (qualche volta specialistico), che avevano la pretesadi rinnovare la lettura dei testi sia sul piano filologicosia sul piano critico grazie ad accurati (spesso sovrab-bondanti) commenti, note, apparati, bibliografie. Ditutto ciò è soprav vissuto ben poco, quasi che l’esigenzadi proporre «mattoni» per la costruzione di quell’edi-ficio sempre provvisorio che è l’iden-tità culturale italiana si sia dissolta,difficile dire se per distrazione, disin-teresse, rassegnazione o mancata

convenienza. Forse un po’ tutto in-sieme. Oggi comunque, di quel li-vello rimangono in vita i MeridianiMondadori diretti da Renata Co-lorni, le serie Adelphi di Roberto Ca-lasso (ultima colossale uscita le Noteazzurre, finalmente non censurate, diCarlo Dossi), e con tempi più dira-dati i Classici Annotati di Segre e gliScrittori Italiani della Fondazione

Bembo, pubblicati da Guanda e di-retti oggi da Mengaldo e Stussi. Altreiniziative più specialistiche sonoquelle della Salerno (Novellieri Ita-liani e Documenti di Poesia), mentrela Fondazione Valla continua a centellinare i suoi Clas-sici latini e greci. Un capitolo a sé sono i Millenni in-ventati da Pavese nel ’47: un’impresa program-maticamente spartiacque, che prefigurando il futuroha avuto la capacità di sopravvivere all’urto del mer-

cato: il proposito era quello di affiancare gli italiani aglistranieri, europei e americani, e ai classici-classici i con-temporanei. Già la scelta dei primi autori è significa-tiva: Hemingway, Lee Master, Sofocle. L’America at-tuale e i miti greci, un progetto dai caratteri fortementepavesiani. I classici italiani non abbondano (solo Boc-caccio e Ariosto escono vivente Pavese) e le esigenze

nazionali e neorisorgimentali cedono il passo aun’apertura visibilmente internazionale in linea con lospirito dei tempi. Punto e a capo.Nell’a-capo c’è la galassia delle edizioni economiche,per lo più generaliste e opportunamente concepite peril vasto pubblico. È chiaro che gli scopi sono ben di-

versi da quelli delle collezioni scientifiche di cui si èdetto fin qui e con cui per decenni i tascabili avevanoconvissuto. Da anni, però, il pubblico colto non è piùl’obiettivo privilegiato dell’editoria, l’anelito forma-tivo-identitario è andato scemando, le esigenze delmercato si sono imposte in parallelo con l’allarga-

mento del pubblico. Si trattavadunque di adottare formule piùabbordabili per la lettura dei clas-sici in un periodo in cui la narra-

tiva contemporanea prendeva unagran fetta del mercato a scapitodella saggistica scientifica e, ap-punto, dei testi sacri della tradi-zione. Dunque, introduzioni agili,apparati smilzi, curatele affidatenon sempre a specialisti ma prefe-ribilmente a scrittori di nome ingrado di rendere più dolce e piace-vole l’approccio al testo. E oggi i

tratti più evidenti sono due. Da unlato i classici italiani, nelle variecollane tascabili, sono nettamenteminoritari; dall’altro il Novecentosbaraglia i secoli precedenti. È in-

negabile che la distanza linguistica dai nostri classici(contro cui si trova a battagliare anche la scuola) vengasempre più sentita dal pubblico come un ostacolo perun approccio diretto alla lettura (viceversa le tradu-zioni semplificano e adattano). Queste due tendenze

si riscontrano persino in una collana «istituzionale»come i Meridiani, che ultimamente ha preso unastrada decisamente contemporaneista (con stra-ordinarie eccezioni, come il recente Dante minore acura di Marco Santagata), pubblicando sempre piùanche scrittori in vita, da Camilleri a Bevilacqua, daBonnefoy ad Arbasino. Del resto, nei giorni scorsi

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copie l’anno soprattutto gli stranieri: Il ritratto di Dorian Gray , Il Candido di Voltaire, La metamorfosi di Kafka e  Alice di Carroll. Su questi livelli, tra gliitaliani, c’è solo La coscienza di Zeno. E se si eccettuail Voltaire , restiamo, come si vede, nei dintorni delsecolo scorso. Tutto ciò che si allontana dal Nove-

cento viene percepito come troppo remoto e dunqueinaccessibile. «Gli antichi che soprav vivono» diceMauro Bersani, editor dei classici di Einaudi «sonoquelli di uso scolastico e se vendono mille copiel’anno è un risultato accettabile: il secolo scorso è ri-masto quasi l’unico passato che il pubblico riesce aconcepire». Sarà per questo che le oltre mille copievendute del Port-Royal  di Sainte-Beuve, appenauscito nei Millenni (a 150 euro!), sono un successo.Resta, macroscopico, il vulnus (genetico quasi) ita-

liano. Nessun classico nostro (neanche Pinocchio!) ar-riverà mai a raggiungere le 250 mila copie annue delPiccolo principe , di cui la Bompiani va giustamentefiera. Ma se guardiamo più sotto, nelle classifiche(Arianna) dei classici 2010 troviamo 1984 di Orwell,che precede Primo Levi, L’amico ritrovato di Uhlman,

La fattoria dello stesso Orwell e Anna Frank. Segueuna sfilza di Calvino, ma per trovare un classico-clas-sico italiano, molto dopo Sun Tzu, Jane Austen, Oscar

 Wilde, Lewis Carroll, Shakespeare, troviamo attornoal quarantesimo posto Svevo, D’Annunzio, Vamba. Ebisogna scendere di molto per incontrare Pirandello

e Verga, per non dire di Goldoni. Tutto qua: in com-penso non mancano Tomasi, Morante, Pavese, Scia-scia, Buzzati, Moravia. Insomma, il passato non esiste.Dante e Manzoni superano di poco le dieci mila copiel’anno, implacabilmente sotto sono gli altri giganti,Petrarca, Boccaccio, Leopardi, Ariosto, Tasso.«L’obiettivo per le collane economiche» dice AntonioRiccardi, poeta, dirigente Mondadori, direttore delloSpecchio «è tener fede alla propria tradizione edito-riale, cercando però sempre di adeguarsi alle nuove

esigenze di lettura che per i classici non sono fissateuna volta per tutte. Ma che emerga una pietra nuovadal passato succede poche volte». La memoria non èil nostro forte, si sa. E non si può chiedere solo all’edi-toria di combattere contro i mulini a vento dell’esilesensibilità civile di un Paese.

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Lietta Manganelli:«Papà, partigiano in guerra con sé stesso»

La figlia di Giorgio, l’autore di «Hilarotragoedia», racconta la lungalotta del padre contro i propri incubi. Più dura di quella che lo oppose

ai tedeschi. La sua amara ironia e l’attrazione per il disagio psichico

Daniele Abbiati, il Giornale, 4 aprile 2011

«A proposito, mi viene in menteuna cosa… Una volta mi si av-vicina, mi cinge leggermente lespalle con un braccio (era sem-pre restio al contatto fisico) e midice: “Lo sai che sei fra i miglioripersonaggi di Dostoevskij?”».Com’era spuntato, nella chiac-chierata con Lietta, il nome dello

scrittore russo? Ah sì, a propositodella scampata fucilazione. Perché anche il papà diLietta Manganelli, Giorgio, scrittore di incubi e tor-menti, come il grande Fëdor Michajlovic, rischiò di ca-dere sotto i colpi di un plotone d’esecuzione.

Come andò, signora? Beh, pochi lo sanno, ma papà era stato partigiano. Omeglio, «patriota infiltrato». Il tedesco lo conoscevabene… Insomma era lì a Roccabianca, provincia di

Parma, il paese d’origine del nonno. La Linea Goticastava cedendo, e la gente stava costruendo un ponte sulPo. Dunque lo prendono e, dopo un’abbondante razionedi botte e qualche giorno al fresco, decidono di farlofuori. Ma poi per fortuna qualcuno di loro si accorge chesarebbe stata la seconda rappresaglia. Troppo. La gentesarebbe insorta e addio ponte… Così la scampò.

Il partigiano Giorgio…Sì, il partigiano che poi a guerrafinita, nel ’46, sposò una fascista(la poetessa Fausta Chiaruttini,mamma di Lietta, ndr ).

Nel fresco di stampa Ti uccide -rò, mia capitale (Adelphi, pagg.372, euro 25, a cura di Salva-

tore Silvano Nigro) sono riu-niti molti scritti di Manganelli inediti e comunquemai raccolti in volume. E il dato che emerge sututto è il baratro stilistico (e quindi contenutistico,trattandosi del più barocco e cesellante autore delnostro Novecento) che separa il  pre dal  post ErnstBernhard. Manganelli entrò infatti in analisi dal se-guace di Carl Gustav Jung, a Roma, prima deitrent’anni.

Quando, precisamente? Tra la fine del ’59 e l’inizio del ’60.

E fu un’altra guerra. Questa volta con sé stesso…I tentativi precedenti con l’analisi freudiana erano fal-liti del tutto. Papà aveva avuto una vita familiare paz-zesca, con liti folli fra suo padre e sua madre, vittima

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di una nevrosi a carattere religioso: si rotolava a terracome un’ossessa. Era la classica yiddish mame , del tipo«mangia, se non mangi la mamma sta male»… Inpapà sorsero allora i sensi di colpa cosmici che nonl’abbandoneranno mai e che gli faranno desiderare lamorte. Ancora adesso mi chiedo come mai non si sia

suicidato.

 Ma con Bernhard le cose migliorarono un po’.Fu Cristina Campo a presentarglielo. Apriva le sedutecon un lancio di dadi e leggeva i tarocchi. Mio padreera fortemente attratto dall’esoterismo, quelle furonole chiavi che aprirono la sua anima. Ci andava trevolte la settimana. Quando iniziò era messo malis-simo. Pensi che aveva avuto persino un episodio di ce-cità durato dieci giorni, e due settimane di paralisi di

tutta la parte sinistra del corpo. Ma lentamente si ac-cese una piccola luce…

E si aprì anche una valvola per li berare sulla pagina le angosce dello scrittore.Esatto. È vero che nei testi degli anni Quaranta e Cin-quanta di Ti ucciderò, mia capitale (quelli delle primequattro sezioni del volume, ndr ) sembra, a chi conosceil Manganelli da Hilarotragoedia in poi, di leggere unaltro autore. Una prosa normale. O quasi.

Possiamo dire, allora, che alla scrittura narrativa degli inizi cor risponde un uomo tormentatissi mo che reprime le paure e che, al contrario, alla ben nota scrittura vul-canica e lacerante corrisponde un uomo ancora irrisolto,ma almeno libero e consapevole di esserlo? Senza dubbio. Ma tenga conto che mio padre aveva…

un debole per le persone con disagi psichici. Parlo dimia madre, ov viamente. Parlo di Alda Merini. E avevapaura della pazzia, la propria e l’altrui. Nel ’63 o ’64,quando Antonio Lo Cascio subentrò a Bernhardcome suo analista, mi portò da lui e gli disse: «Dalleun’occhiata». Come fossi un’auto da revisionare.

In tema di revisioni e controlli… Immagino che la cacciaai testi di quest’ultimo volume adelphiano sia stata lungae difficile.

Eccome. Lui non solo era disordinatissimo. Aveva anchel’abitudine a celare le cose. Come se pensasse «io lometto qui e non lo faccio vedere a nessuno, se poi qual-cuno lo troverà…». Sto lavorando da cinque anni allabiografia di papà. Spero di chiudere entro quest’anno.Ho deciso di non rimuovere la sua versione dei fatti neicasi, e non sono pochi, in cui è ben diversa dalla verità.Glielo devo. Perché per lui l’ufficio della scrittura è rias-sumibile in questa sua frase: «Chi dice la verità ha unavita sola, chi mente ne ha quante ne vuole».

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«Una volta mi si avvicina, mi cinge leggermente le spallecon un braccio (era sempre restio al contatto fisico) e mi dice:

“Lo sai che sei fra i migliori personaggi di Dostoevskij?”»

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Raul Montanari: «Lo Strega? Troppi esordienti allo sbaraglio»

Montanari ha vinto nel 2010 il riconoscimento assegnato dagli studenti.Ora ha scritto un romanzo satirico a tema: «I grandi nomi latitano.Si cerca il nome da lanciare. E nelle scuderie editoriali si scatena la rivalità»

Stefania Vitulli, il Giornale, 6 aprile 2011

«Giallista disilluso si innamora diun’esordiente della sua scuola discrittura che però non stima comeautrice e si mette pure in mente divincere un premio letterario cosìnon lo considerano più un giallista.Uno dice: uh, sai che tramone. Einvece poi». E invece poi il lettoresi diverte. S’appassiona. Sorride. A 

tratti ride, perfino. Forse perchél’ultimo romanzo di Raul Montanari, L’esordiente (Dalai,pagg. 318, euro 18), è stato scritto toccando legno perla sua carriera di scrittore e della sua scuola di scrittura:l’ambiente editoriale viene sputtanato una riga sì e unariga no e l’ambiente editoriale non perdona.Prendi lo Strega, ad esempio. Fulvio, protagonista delromanzo, ci si prepara come ai cento metri piani:«Chiamalo come vuoi, il Toblerone, il Vicariato, laPotta d’Oro. Oppure fa’ come noi e chiamalo sempli-

cemente il Premio. Il Premio con la p maiuscola. Anche perché lo è». «È l’unico che può cambiare ildestino di un libro e del suo autore», dico io. «Ho ilsoggetto e il titolo. Ma lo sai che non ne parlo mai,prima». «Fa’ un’eccezione, stavolta. Stiamo parlandodel libro che deve vincere il Premio nel 2010. Devevincerlo, capisci?».

 Montanari, ma voi scrittori ci te-nete così tanto allo Strega? Gli scrittori tengono molto aipremi. Per un motivo banale eche le sembrerà pure volgare, manon lo è per niente: sono soldi inpiù. Si guadagna con i diritti al-l’estero, con quelli cinematogra-fici e con i premi.

Per denaro, dunque?  Anche perché il Premio sta a metà strada tra il con-senso di pubblico e di critica, i due poli in cui si cercala legittimazione. All’editore, che vuole che tu venda,non frega nulla che ci siano cinque critici che ti con-siderano il più grande scrittore italiano vivente.

 Allora è per questo che Aurelio Picca se l’è presa tanto conRizzoli per l’esclusione.

Se è per questo Rizzoli ha toccato il fondo l’annoscorso: esclusione di Matteucci a favore di Avallone,che evidentemente aveva migliori rapporti con ladirigenza.

 A questo son ridotti gli editori? Ma Picca dice che glieloavevano promesso…

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La donna che ci ha fatto leggere Stieg Larsson

Intervista a Francesca Varotto, l’editor della Marsilio che nel 2005 ha«bruciato» la concorrenza. Pagato 33 mila euro, Millennium ne ha reso40 milioni. Legge quindici manoscritti al mese e coltiva l’orto

«Alla manifestazione delle donne per le dimissioni diBerlusconi era spuntato un cartello: LISBETH PENSACI

TU. In quel momento ho capito. Non era più un libro.Era diventato un fenomeno». Dietro il successo diStieg Larsson c’è una donna: Lisbeth Salander, l’hac-ker filiforme che spezza colli come grissini, vera pro-tagonista della trilogia Millennium. Anche dietro lo

sbarco dell’autore in Italia, terzo Paese dopo Germaniae Francia a pubblicarlo, c’è una donna.Francesca Varotto, 42 anni, editor internazionale dellaMarsilio, talent scout di scrittori nordeuropei. Il suotriangolo delle Bermude si colloca tra Venezia, sede dellacasa editrice guidata da Cesare De Michelis; Monaco diBaviera, dove abita con marito e due figlie; Francoforte,Fiera del libro, dove è avvenuto il colpaccio.È il fiuto di questa esile pignola donna ad aver reso pos-sibile una sorprendente storia di successo italiano: pa-

gato 33 mila euro («Per i nostri standard una fortuna!»)ha reso una quarantina di milioni. Abbastanza per rim-pinguare le casse della Marsilio e oltre: «Abbiamo com-prato la Sonzogno» ride. «Ora facciamo chick lit, Liala,principi e fanciulle in difficoltà, quelle cose lì».Per lei l’effetto Larsson ha significato un passaggio distatus – da consulente a dipendente – e un aumentodi stipendio «da ridicolo» a «dignitoso». E molte emo-zioni: «Quando ho capito che stava succedendo qual-cosa? Quando, ovunque mi girassi, sul treno o in

spiaggia, ai giardini e nei caffè, vedevo persone con illibro in mano. Non era mai successo. Stare in clas-sifica con tre titoli. Conquistare una fetta di mercato.È stato un momento di euforia. Poi passa, e ti rim-bocchi le maniche».Il primo battito a ottobre 2004: «Alla Fiera lo compra-rono i tedeschi. In Italia fu proposto a Iperborea, che

alla fine rifiutò». Meno di un mese dopo il giornalistadi Stoccolma, obeso, fumatore incallito, consulente diScotland Yard, minacciato dai neonazisti, muore sa-lendo le scale che portano al suo ufficio. L’anno dopola Marsilio rompe gli indugi: «La segnalazione dellaNorstedts (l’editore svedese, ndr ). Il tam tam tra editor.Pezzi di traduzioni. Tracce sempre più definite. La no-

stra traduttrice estasiata. Mi decido. Facciamo l’offerta».E? «Nessuno, neanche gli svedesi, si aspettava un suc-cesso così travolgente. Partito piano, poi esploso».Varotto vive a Monaco. In una casa di legno, pannellisolari e riciclo dell’acqua piovana, gelsomini e patatein giardino. Ha smesso di suonare il flauto traverso macorre nel bosco. Pendola con l’appartamento venezianoarrampicato dietro i giardini della Biennale. Suo ma-rito Davide lavora per la Fiera di Milano. Si alternanocon le bambine: Adele, 9 anni, e Emilia, 8. Pensano a

una base italiana ma finiscono a chiedersi «dove» e «diquesti tempi», e a fronteggiare la resistenza delle figlie«inspiegabilmente» affezionate all’ ordinata Germania.Legge quindici manoscritti al mese per pubblicarnetredici all’anno. Il mondo editoriale le ha offerto pontid’oro? «Allusioni, avances, una corte discreta» ride dinuovo. «Ma mi piace lavorare con Cesare. È un uomoumanamente generoso. La Marsilio è una grande fa-miglia». Di famiglia la saga letteraria ne ha prodottaun’altra: «Il gruppo di editor è rimasto in contatto. Ci

troviamo due volte l’anno a Stoccolma». Leggeremomai il quarto volume? Sapremo se Lisbeth, in fondo alcuore, ha perdonato Mikael? Incontreremo Camilla,la gemella cattiva? Sospiro: «Ho conosciuto Eva, lacompagna di Stieg che ha il manoscritto nel computer.Ho conosciuto i familiari che detengono i diritti. De-vono trovare un accordo. Che non mi pare vicino».

Federica Fantozzi, l’Unità, 8 aprile 2011

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L’epoca dei romanzetti.Editor ignoranti? Mai quanto gli editori

 Alcuni tra i più noti redattori rispondono (con ironia)

allo scrittore Montanari che li accusa di «far accapponare la pelle»:suppliamo alle molte assenze ingiustificate della nostra industria

Qualche giorno fa su queste pagine – è vero che stavaparlando del Premio Strega, che sempre aizza gli animipiù del dovuto – Raul Montanari ha lasciato cadere im-pietosi giudizi sulla figura dell’editor. «La competenzaspecifica nelle case editrici» ha detto «si è abbassata dopol’ingresso di uomini di marketing. La verità è che ci sonoeditor che fanno accapponare la pelle e spesso sono igiovani rampanti di cui molto si parla». Montanari hadetto proprio «accapponare la pelle», e ha aggiunto: «Si

tratta di ignoranti che investono sulla narrativa di genereo sul campione straniero come nel calciomercato». Infin dei conti, ne possiamo dedurre, è colpa loro se oggiè ancora più vera l’osservazione di un editore tedesco ri-portata da Montanari: «Una volta si faceva un librobuono e si sperava che vendesse. Ora si pubblica unlibro che vende e si spera che sia un libro buono».Non è la prima volta che la figura dell’editor un po’mercante-cialtrone e un po’ intellettuale pavido vienemessa in stato d’accusa (basterebbe ricordare Lettere a

nessuno di Antonio Moresco). Ma i diretti interessatiche ne pensano? «Non capisco bene» ci dice MatteoCodignola di Adelphi «se Montanari protesti perchégli editor fanno troppo o perché fanno troppo poco.Il bello è che avrebbe ragione in entrambi i casi. Inrealtà gli editor più che altro suppliscono a un’assenzaingiustificata, quella dell’editore, e si arrangiano come

possono. Temo però che questa situazione non sia unacontingenza, ma un segnale fra i tanti della direzionein cui sta andando l’editoria. Che può certamente nonpiacere, ma che non vedo come possa essere corretta,o da chi. Quanto al ruolo degli editor, proprio perchéappartengo alla categoria concordo con quella carognadi Nabokov. Cosa pensa degli editor, gli chiesero unavolta. “Editor?” fu la risposta. “Intende i correttori dibozze?”. Più che un anatema, mi sembra la promessa

di un futuro migliore». Anche Antonio Franchini, Mondadori, la mette unpo’ sull’ironia: «Mah, ognuno di noi parla di ciò cheha vissuto, delle persone che ha incontrato, pureMontanari. La formula che oggi si fa un libro chevende sperando che sia buono è ef ficace dal punto divista retorico, ma non è detto che sia anche vera. Que-sta sensibilità critica nei confronti degli editor appar-tiene agli ultimi anni: prima i giornali non facevanocosì tante inchieste sul mondo della mediazione edi-

toriale. Evidentemente oggi si percepisce l’editoriacome più invasiva rispetto al passato. Oltre che da unmarketing più sofisticato, questo dipende dal fatto cheil ruolo della critica è meno determinante: pure chidovrebbe parlare di libri dal punto di vista critico tal-volta ne parla come prodotto, gli scrittori intantosono molti di più ed è difficile tenersi informati. Il

Tommy Cappellini, il Giornale, 11 aprile 2011

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mercato è diventato più radicale e c’è più distacco tragli autori che vendono tanto e quelli che vendonopoco. Negli anni Sessanta, in media, il bestselleristavendeva centomila copie, lo scrittore che vendevapoco diecimila. Adesso si è allargata la forbice tra l’au-tore da 300 mila e quello da cinquemila. La tensione

nervosa contro gli editor è comprensibile».Più tranquilla la situazione presso le piccole case edi-trici: «Parto dal voler fare un libro buono» ci dice Lo-retta Santini della romana Elliot «e poi spero chevenda, anche se so già che ci sono libri buoni che nonvenderanno. È una libertà che ci permettiamo a caroprezzo. Chiaro che in una grande casa editrice difficil-mente ci si metterà a coltivare un autore da tremilacopie, sempre che qualcuno dia carta bianca al pro-getto. Alcuni autori iniziano con noi, passano ai grandi

e poi, per questa ragione, ritornano. Senza fare l’idea-lista, l’editor ha più possibilità di azione in una realtàpiccola: e comunque, se le cose vanno male, la colpa èsua. A chi altro vogliamo darla? Le critiche da partedegli autori alla figura dell’editor sono critiche ombe-licali. È vero, però, che la colpa di parecchi editor èquella di accontentarsi di libri assemblati in traduttese,anziché cercare una storia e uno stile che sorprendano».«Gli editor» ci dice Vincenzo Ostuni di Ponte alleGrazie «sono inseriti in un contesto che tende al pro-

fitto molto più di quanto si facesse in passato e si adat-tano alle richieste: io non mi sento la coda di paglia,anche se il sistema di oggi non potrebbe tirare fuoriun altro caso editoriale come Horcynus Orca di Ste-fano D’Arrigo. Difficile che gli editori, e quindi glieditor, puntino su un libro appena più impervio dellasemplicità. Paolo Giordano e Margaret Mazzantini sileggono facilmente, si vendono, quindi vengono pro-mossi. Le critiche da parte degli autori? Accadono per-ché l’editor è percepito come il Gordon Lish della si-

tuazione, un’istanza normalizzante rispetto alleeccentricità stilistiche dell’autore. E perché sovente glieditor sostituiscono l’editore nella sua funzione. A loro, dunque, toccano gli strali che vent’anni fa veni-vano indirizzati a quell’editore che nel frattempo, conimportanti eccezioni, è scomparso per essersi troppoconcentrato sul lato industriale del mestiere».

 Agenti letterari:la (ir)resistibile ascesa di chi

coccola e alleva i bestselleristi

Fanno da cerniera tra autore e editore, si occupano

di copyright o della promozione del libri all’estero.Sono le agenzie letterarie, arrivate in Italia grazie aErich Linder, che rilevò l’Agenzia Letteraria Interna-zionale, fondata nel 1898 e rimasta per molti anni inposizione di sostanziale monopolio. «Negli anni Ot-tanta ne sono nate molte altre» spiega Luigi Bernabò,fondatore dell’omonima agenzia, che con Linder halavorato. «Linder rappresentò autori del calibro diEzra Pound, Thomas Mann, James Joyce, FranzKafka, Philip Roth e molti altri». Da allora la situa-

zione è cambiata. «Ormai quasi tutti gli scrittori, siaesordienti sia affermati, si rivolgono alle agenzie» af-ferma Bernabò. Quali le funzioni dell’agente?«L’agenzia svolge moltissime funzioni, parte dal se-guire il lavoro dalla fase di elaborazione e arriva finoalla tutela dello scrittore dal punto di vista contrat-tuale», aggiunge Bernabò che tra i clienti annoveraKen Follet e Dan Brown. Spiega Silvia Donzelli, as-sociata dell’agenzia Pnla (Piergiorgio NicolazziniLiterary Agency) che rappresenta tra gli altri Giorgio

Faletti: «In Italia sono dieci, sostanzialmente, le agen-zie che hanno una struttura e vivono di questo me-stiere». L’agenzia può svolgere un servizio di lettura apagamento dei manoscritti che arrivano senza esserestati sollecitati e garantire all’autore una dettagliatascheda di valutazione e di analisi del testo; altre voltesvolge un lavoro di scouting alla maniera anglossas-sone, più attivo e non a pagamento. «L’agente» sot-tolinea Donzelli «guadagna solo quando guadagna loscrittore, in genere il 10 per cento sui ricavi. Se invece

si vendono i diritti all’estero di un autore italiano, siarriva anche al 20 per cento. Il 10 per cento è inveceil guadagno della vendita di autori stranieri in Italia.Il contratto base con l’autore ha in genere una duratadi due anni perché va tenuto conto che dal mano-scritto alla pubblicazione a volte passa anche unanno».

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Strega, hanno già vinto gli editori romani

Selezionati i romanzi che concorreranno al Premio. Tra conferme e delusioni.La vera novità è la forte presenza dei marchi indipendenti della Capitale

Comunque vada a finire, sarà lo Strega dei piccoli.Ov vero, di quegli editori indipendenti che si osti-nano a sfornare libri di qualità, idee, nuovi autori conl’orgoglio di chi non si piega alla ferrea legge deigrandi gruppi. Basta scorrere la lista dei dodici can-didati al Premio letterario più ambito d’Italia, uscitanel tardo pomeriggio di ieri dalla riunione del comi-tato direttivo presieduto da Tullio De Mauro, perrendersi conto di questa magnifica anomalia. I libri

selezionati sono: L’ener  gia del vuoto di Bruno Arpaia(Guanda), Malabar di Gino Battaglia (Guida), Ninadei lupi di Alessandro Bertante (Marsilio), La scopertamondo di Luciana Castellina (Nottetempo), Ternitti di Mario Desiati (Mondadori), Set tanta acrilico trentalana di Viola Di Grado (e/o), Nel mare ci sono i coc-codrilli di Fabio Geda (Baldini Castoldi Dalai), Il con-  fessore di Cavour di Lorenzo Greco (Manni), Storiadella mia gente di Edoardo Nesi (Bompiani), La cittàdi Adamo di Giorgio Nisini (Fazi), A cosa servono gli 

amori infelici di Gilberto Severini (Playground), Lavita accanto di Mariapia Veladiano (Einaudi). Una se-lezione che è stata anche «un lavoro appassionanteper il livello delle opere presentate», dice Tullio DeMauro, riconfermato in questi giorni nella carica didirettore della Fondazione Bellonci per il prossimotriennio.

Ed eccola la novità: la metà dei titoli selezionati ap-partiene al mondo, variegato e vitalissimo, dei piccolimarchi. Sorpresa nella sorpresa, sono le case editriciromane indipendenti a fare la parte del leone: Notte-tempo, e/o, Fazi e Play ground, che ora possono davve-ro sognare la cinquina, sono la punta dell’icerberg diuna galassia, tutta romana, presentata l’8 aprile scorsodagli Amici della domenica. È vero, restano fuori, enon senza rammarico, Mia madre è un fiume di Do-

natella Di Pietrantonio (Elliot), Lo show della farfalladi Franco Matteucci (Newton Compton), Aspetta pri-mave ra, Lucky di Flavio Santi, della piccolissima So-crates, ed Emi ly e le altre di Gabriella Sica (Cooper):ma la presenza delle editrici indipendenti romane nonè affatto scalfita.I cinici e i malevoli diranno che i piccoli hanno solooccupato il posto lasciato dai grandi, Rizzoli e Feltri-nelli, che non partecipano alla gara letteraria. Facile ri-battere che persino i due superfavoriti, Mario Desiati,

scelto dalla Mondadori, e Edoardo Nesi per la Bom-piani, appartengono essi stessi al mondo delle piccoleromane (il primo è direttore editoriale e il secondo èuno dei soci della Fandango Libri). La verità è un’altra:lo spazio dello Strega, gli editori indipendenti se losono conquistato con la forza dei loro cataloghi, conla serietà e la passione che li contraddistinguono.

Fiorella Iannucci, Il Messaggero, 16 aprile 2011

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Oblique Studio | Rassegna stampa aprile 2011

«Quando nel 2007 entrammo in cinquina con il ro-manzo di Milena Angus, Mal di pietra, sembrò a tuttiun miracolo. Mi fa solo piacere che ora ci sia una rap-presentanza così consistente di indipendenti», dice Gi-nevra Bompiani, raggiante per l’esito di La scoperta del mondo di Luciana Castellina. Scrittrice e saggista, nel

2002, insieme a Roberta Einaudi (nipote di Giulio Ei-naudi) ha fondato la casa Nottetempo. «Un vizio difamiglia», ride l’editore. Spiega: «Ho lavorato alcunianni con mio padre, Valentino Bompiani. Con Ro-berta abbiamo cercato di ricreare, in piccolo, quella fu-cina di idee e di passione che erano le case editrici cheavevamo conosciuto. L’attenzione al libro come pro-dotto artigianale e il rapporto con gli autori per noisono una regola».I gruppi editoriali sono «sempre più potenti», è vero,

ma «noi indipendenti possiamo contare sul numero.Siamo tanti, soprattutto a Roma, e c’è un tessuto ami-chevole, con alleanze possibili e desiderate», diceBompiani. Soprattutto si punta sul progetto edito-riale, non solo sul mercato. E la qualità paga. «È fati-coso, ma alla fine la scelta rigorosa che abbiamo fattopuò forse procurare problemi, di visibilità per esem-pio, ma ti solleva da altri», dice con l’orgoglio dellaprima volta allo Strega Andrea Bergamini, editore diPlayground, nata nel 2004 come casa editrice a tema

omosessuale, con due sole collane, esclusivamente di

narrativa. «Puntiamo soprattutto sul grande autore.Le tematiche gay sono più che altro un metodo.Spesso nei nostri romanzi non c’è neanche un prota-gonista omosessuale, ma magari l’autore», dice Ber-gamini che ha portato in Italia scrittori come Edmund

 White e Rachid O.

Ed ora punta su Gilberto Severini. «Un orgoglio e unonore per noi. Abbiamo costruito insieme A cosa servono gli amori infelici , nel senso che il romanzo ha preso vitaproprio dalle nostre conversazioni. La storia dello Stregareclama da ciascun editore il miglior libro. Quello diSeverini è all’altezza del Premio». Sono la vocazione allaricerca, la cura nella scelta dei testi, la scommessa su unesordiente di talento i punti di orgoglio degli indipen-denti. «Di fronte a una partecipazione così ampia nonci sentivamo in tasca la certezza di entrare nei 12» dice

Claudio Ceciarelli, editor per la narrativa italiana di e/o.«Però, ci contavo. Set tanta acrilico trenta lana di ViolaDi Grado è un esordio di livello. Nonostante i 23 annidell’autrice, il romanzo ha una sua grande maturità cheha suscitato l’interesse di lettori e recensori. So bene cheè difficile vincere. Sarà quel che sarà». Dopo la presen-tazione ufficiale dei candidati, il 27 aprile al Teatro SanMarco di Benevento, non resta che aspettare la cinquina(il 15 giugno, a Casa Bellonci) e la notte del Ninfeo diVilla Giulia (il 7 luglio). Ma intanto un vincitore c’è

già: l’editoria indipendente romana.

«La metà dei titoli selezionati appartiene al mondo, variegato e vitalissimo, dei piccoli marchi.

Sorpresa nella sorpresa, sono le case editrici

romane indipendenti a fare la parte del leone»

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Generazione TQ. Andare oltre la linea d’ombra

Il 29 aprile editori, scrittori e critici trenta-quarantennia confronto sul ruolo degli intellettuali:

ecco la loro proposta

Gli intellettuali, si sa, amano piangersi addosso. Se laprendono con la cultura di massa, con lo strapoteredella televisione, con i bestseller facili che dominanole classifiche di vendita. Gli intellettuali delle ultimegenerazioni, poi, sono anche peggio: se la prendonocon tutte queste cose e – in più – con gli intellettualidelle generazioni precedenti, che non si decidono acedere il passo. Questo non è un Paese per giovani –è vero – e tantomeno è un Paese per intellettuali. Ma

forse il modo migliore per reagire a questa emargina-zione non è continuare a denunciarla come uno scan-dalo – il fatto è sotto gli occhi di tutti, e a scandaliz-zarsi siamo sempre gli stessi – quanto piuttosto cercaredi uscire dall’angolo.Tanto più che, per chi è nato dagli anni Sessanta inpoi, non c’è un tempo andato da rimpiangere. Il si-lenzioso ma incessante movimento tellurico che ha se-gnato la fine della società letteraria come l’avevano co-nosciuta i nostri padri e ha cambiato radicalmente i

rapporti tra chi produce cultura e chi la promuove, laveicola, la vende, la consuma è per noi un dato difatto. È il rumore di fondo che ha accompagnato lanostra crescita e la nostra formazione.Ma appunto come un rumore abbiamo cercato sempredi allontanarlo, aggrappandoci alle nostre letture e aun’identità ereditaria. Ciò fa di noi una generazione di

intellettuali che forse Pasolini avrebbe definito «mu-tati» o «mutanti». Coloro che, vale a dire, hanno elettoidealmente a propri maestri molti grandi del Nove-cento, ma hanno avuto per maestra di vita un’epocagià completamente diversa. Una parte di ognuno dinoi vive insomma da tempo al di là del guado. Siamosicuri che sia la parte peggiore?Forse è proprio questa natura anfibia che – grazie auno sguardo al tempo stesso interno ed esterno – po-

trebbe consentirci di decifrare meglio il mondo checi circonda. Forse è proprio da questa natura che sipotrebbe ripartire per rimettere a fuoco la figura del-l’intellettuale e il suo ruolo in una società così diversa.Forse – dopo che per anni ci siamo letti l’un l’altro eaffrontati (e scontrati) a distanza – i tempi sono ma-turi per parlarne tutti insieme. Sui palchi dei festivale delle presentazioni letterarie, sulle pagine e tra icommenti dei blog, oppure nel privato di incontrifaccia a faccia o attraverso intensi scambi di mail, ne

abbiamo già discusso molto, con la crescente consa-pevolezza che proprio intorno a questi punti si gio-casse una partita fondamentale. Forse adesso è il mo-mento giusto, al di là dei singoli libri e delle poetichedi ognuno, per affrontare questi temi in manierameno occasionale e aprire tra di noi un confronto chearrivi a produrre idee, proposte, progetti nuovi.

Giuseppe Antonelli, Mario Desiati, Alessandro Grazioli,

Nicola Lagioia, Giorgio Vasta, Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2011

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Oblique Studio | Rassegna stampa aprile 2011

Smettere di piangere sulle macerie di un’epoca pas-sata e provare insieme a ricostruire un orizzonte co-mune: frastagliato, contraddittorio, conflittuale, madinamico, vitale, in contatto con la realtà. Per questoabbiamo deciso di organizzare una serata di dibattitoin cui approfondire argomenti che – immaginiamo

– ci terranno molto impegnati negli anni a venire:Generazione TQ , un seminario che si terrà il prossimo29 aprile nella sede romana della Laterza e coinvol-gerà oltre un centinaio di scrittori, critici, editoritrenta-quarantenni.L’iniziativa nasce, più che da un desiderio, da qualcosache somiglia a un bisogno. Il bisogno di alzare la testadal lavoro di tutti i giorni e provare a discutere insiemedi alcune questioni generali, indispensabili per dareun senso a quello che facciamo. Un momento di

scambio che intende far tesoro della pluralità di per-corsi ed esperienze per individuare un orizzonte co-mune: un nucleo di idee dalle quali ripartire. Nessunaintenzione di formare scuole movimenti correnti o si-mili: solo la volontà di superare la linea d’ombra chefinora ci ha protetti e uscire finalmente allo scoperto.

Trenta quarantaSiamo cresciuti in ordine sparso, senza un’ideologiacomune. Senza metodi, strumenti, terminologie con-

divise: e questo forse è stato un bene. Ma l’individuali-smo al quale siamo stati addestrati rischia ora di ren-derci afasici: ognuno chiuso nel suo recinto, qualeimpatto abbiamo sulla realtà? Siamo intellettuali mutio mutanti? E soprattutto: ha ancora un senso parlaredi intellet tuali ? (oggi va più di moda esperti ).

Tale e qualeManchiamo di un’identità collettiva che ci contrap-ponga alle generazioni precedenti. Quasi che tra noi

e loro ci fosse una fluida continuità: quali i padri,tali i figli. Ma – appunto – quali sono i nostri padri?

 Alle nostre spalle, in fondo, non c’è nulla di così so-lido e monumentale; semmai un tempo poroso, per-meabile e proteiforme: e forse questo non è unmale. Ma di qui nasce l’assenza di contrapposizione;

di qui la difficoltà di (auto)definizione. Può esserciun impegno senza conflitto? E soprattutto: ha an-cora un senso parlare di impegno? (oggi va più dimoda etica).

Tanto quanto

  Abbiamo in comune un immaginario nato daglistessi film e telefilm, fumetti e cartoni animati, daglistessi comici e gruppi rock, ma spesso non condivi-diamo le stesse letture. Siamo abituati a mescolarecultura alta e bassa, sublime e triviale: e forse anchequesto non è un male. Ma poi, nel momento di giu-dicare un prodotto culturale, diventiamo spesso esi-genti e aristocratici. A quale idea di cultura pensiamoquando produciamo qualcosa? E soprattutto: ha an-cora un senso produrre cul tura? (oggi va più di moda

comunicazione ).

Tarantino QuentinL’ultimo movimento letterario percepito dai massmedia è stato quello del pulp e dei cannibali. Perchépreventivamente confezionato come operazione edi-toriale; perché supportato dal riferimento comune aun film di grande successo come Pulp fiction; perchéi media hanno cavalcato l’immagine «giovane» degliscrittori coinvolti. È questo che devono fare la lette-

ratura, la critica, l’editoria per sopravvivere in un con-testo dominato da logiche spettacolari? Ovvero: comesi fa a incidere sulla realtà se non si risveglia l’interessedei media e dunque del pubblico? E soprattutto: esisteancora un pubblico della letteratura? (oggi va più dimoda dire mercato).

Tutto questoTutto questo e molto altro secondo noi andrebbe di-scusso insieme, alla ricerca di qualche proposta – non

snobistica, non autoreferenziale, non elitaria o vellei-taria – da lanciare nello spazio sfinito del nostro di-battito culturale. Per provare a fare qualche passoavanti e a proiettarci finalmente oltre la linea d’ombra(oggi va più di moda parlare di futuro).

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Cambiamo la narrativa, siamo la generazione TQ

Quello che li accomuna è il dato anagrafico.Sono figli degli anni Sessanta e chiedono spazio.Ruolo degli intellettuali, mercato, strategie:il 29 un incontro allargato con editor e critici

Loro non lo definiscono un manifesto, né hanno in-tenzione «di formare scuole, movimenti, correnti o cosesimili: solo la volontà di superare la linea d’ombra chefinora ci ha protetti, e uscire finalmente allo scoperto».Loro sono scrittori, editor, linguisti, critici, accomunatida una appartenenza generazionale, quella dei nati at-torno agli anni Sessanta, intenzionati a cambiare le cosein letteratura ma più in generale a interrogarsi sul modoin cui la scrittura può rapportarsi al presente senza can-

cellare il passato pur sentendosene in qualche modo or-fana. Loro sono Giuseppe Antonelli, Mario Desiati,

 Alessandro Grazioli, Nicola Lagioia, Giorgio Vasta, fir-matari di un interessante vademecum del nuovo inter-prete della scrittura («Ha ancora un senso parlare di in-tellettuali ? Oggi va più di moda esperti ») che diventeràconfronto aperto e dibattito costruttivo in un incontrofissato per il 29 aprile nella sede romana di Laterza. Sa-ranno coinvolti centinaia di scrittori, critici e non solo,tutti appartenenti a quella che i firmatari definiscono

come generazione TQ , che sta per Tarantino Quentinovvero il regista pulp per antonomasia: «L’ultimo mo-vimento letterario percepito dai mass media» scrivonoi TQ «è stato quello pulp e dei cannibali, confezionatocome operazione editoriale».C’è baruffa nell’aria della nuova letteratura ed era orache qualcuno si prendesse la briga di scoperchiare la

pentola dove ribollono da anni frustrazioni e ricercadi identità, idee giovani e fertile terreno creativo. «Ab-biamo costruito una cornice» spiega Giorgio Vasta,candidato allo Strega nel 2009 con Il tempo materiale edito da minimum fax, «e il contenuto lo si conoscerànell’incontro del 29. Nessuna intenzione di creare unmovimento di neoavanguardia che abbia un signifi-cato di rottura». E il ruolo del nuovo intellettuale?«Linguisticamente si tratta di una figura plausibile in

altri tempi» continua Vasta «ma non vuol dire che siadismesso. Oggi possiede un Dna diverso, ibrido, me-scolato, duttile». Fuori dal coro, lo scrittore AndreaDi Consoli che precisa: «Non mi è mai piaciuta nes-suna piattaforma ideologica o generazionale perchénon la reputo conoscitivamente utile. Credo che ognilibro sia un tassello che ognuno mette per comporreun quadro comune ma l’opera è individuale. Si puòstare insieme per una causa, per uno scopo, non perdefinire cosa significa cultura o per stabilire cos’e l’im-

pegno. Io credo semplicemente» conclude Di Consoli«che si tratti di dare un contributo singolo ad una ci-viltà».E allora, cosa potrà nascere dall’incontro del 29 aprile?«Ciò che verrà fuori non possiamo saperlo» rispondelo scrittore Nicola Lagioia, curatore di una collana perminumun fax «ma è sicuro che si ragionerà su strategie,

Leonardo Jattarelli, Il Messaggero, 19 aprile 2011

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idee, rapporto con i media, vecchia e nuova editoria,sul ruolo dell’intellettuale in una generazione che sipuò definire post-ideologica». Il dato più significativo«è che questo incontrarci non è gestito da alcun edi-tore e coinvolge persone le più diverse tra loro e scrit-tori uniti da un background generazionale che vedrà

la presenza anche di giovani esponenti di case editrici,da Marsilio a Einaudi fino ai cosiddetti marchi medi.D’altronde» continua Lagioia «quando si diede vita alGruppo 63 Bassani non fu invitato. Speriamo di es-sere all’altezza della sfida. Vogliamo accendere unamiccia e puntare l’attenzione sulla funzionalità di unnuovo meccanismo che conta più di chi lo mette inatto».Tutto questo vuol dire fare carta straccia del passato?«Al contrario. È proprio dalle radici di una letteratura

che in qualche modo ci ha cresciuti, da Fenoglio a Vit-torini, che si riprende il discorso» sottolinea ancoraLagioia «anche se, oggettivamente, il Novecento nonesiste più. Oggi tutto è diverso e questo ha creato nellanostra generazione un effetto di spiazzamento che variconsiderato e studiato».E se il web ha in qualche modo riempito il vuoto la-sciato dalle celebri riviste letterarie creando anche lanuova figura di scrittore-blogger, internet ha contri-buito a irrobustire la rivoluzionaria fruizione della cri-

tica attraverso portali come Carmilla, Nazione In-diana, Vibrisselibri . Tutti avranno voce in capitoloall’appuntamento romano del 29 aprile, compresi itemerari della letteratura del Duemila, quelli chehanno deciso di risorgere dalle ceneri di esperienze

editoriali ancora vittime del vecchio sistema, anchedistributivo. Ne sa qualcosa Paolo Pedrazzi, fondatoree direttore nel 2003 della Eumeswil e ora factotumdel nuovo marchio Sottovoce insieme a FrancescoForlani. «È stata una scelta coraggiosa» spiega Pedrazzi«che rema contro quell’industria culturale che sembra

cedere al gusto del lettore proponendo una letteraturadel consenso, dotata di ogni confort e travestita di or-dinaria semplicità». Per Sottovoce, i suoi creatori sisono chiesti prima di tutto se aveva ancora un sensofondare una casa editrice: «Se vale la pena rimettersiin gioco nell’Italia dei giovani bamboccioni, deiGrandi Fratelli e delle Grandi Sorelle veline, deglistrilloni di turno, dei talent show che aboliscono lascrittura come arte e propongono una società idealiz-zata di meteorine da spremere per un anno o due per

poi rigettarle nell’anonimato». E si sono risposti, ap-punto, con una scelta compiuta sottovoce ma che urlaconcretezza e titoli di grande spessore.La TQ Generation si interroga, tra l’altro: «Abbiamoin comune un immaginario nato dagli stessi film e te-lefilm, fumetti e cartoni animati, dagli stessi comici egruppi rock ma spesso non condividiamo le stesse let-ture… A quale idea di cultura pensiamo quando pro-duciamo qualcosa?». Chiediamo a Lagioia se per casoi giovani scrittori di oggi prendano a modello i narra-

tori di altri Paesi: «Non credo ce ne sia bisogno. Lamoderna letteratura francese, ad esempio, non è piùinteressante di quella italiana. Da noi negli ultimi annisono usciti libri molto importanti. II terreno è vivo eva reso ancora più fertile».

«C’è baruffa nell’aria della nuova letteratura

ed era ora che qualcuno si prendesse la briga di scoperchiarela pentola dove ribollono da anni frustrazioni e ricerca di identità,idee giovani e fertile terreno creativo»

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L’Italia è lontana

In un libro l’invasione dei cinesi a Prato. Intervista a Edoardo Nesi

Elisabetta Ambrosi, il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2011

Undici settembre 2001: all’in-terno di una delle Torri gemellein fiamme, una voce diffusa daimicrofoni suggerisce di non farsiprendere dal panico e di restarefermi, aspettando i soccorsi. Al-cune persone non seguono le in-dicazioni, altre sì: queste ultimemuoiono tutte. Secondo Edo-

ardo Nesi, autore di Storia della mia gente (Bompiani)finalista al prossimo Premio Strega, non c’è immaginemigliore per raccontare lo stato d’animo di imprendi-tori e lavoratori nell’Italia degli ultimi anni. Uno statod’animo vissuto in prima persona, da imprenditore pra-tese costretto a chiudere l’azienda di famiglia a causadella concorrenza cinese. E protagonista, come il pro-tagonista del libro, di un’emergenza economica e socialedi fronte alla quale la classe dirigente ha saputo rispon-dere solo proponendo meno protezioni e più concor-

renza. Salvo poi decidere di far saltare queste regole inalcune nicchie, magari quelle delle grandi aziende.Tanto che – spiega l’autore – «siamo in un Paese as-surdo, dove è impossibile comprare un’auto cinese,mentre tutto l’abbigliamento è in mano ai cinesi».Storia della mia gente è una storia di famiglia atipica,allergica all’intimismo ombelicale. La vicenda della

chiusura del Lanificio T.O. Nesi& Figli mette in scena una vi-cenda collettiva, il fallimento diun Paese. Quasi che, di frontealle lacerazioni sociali, di fronteal collasso delle politiche pubbli-che, la letteratura non abbia il di-ritto di smarrirsi nel privato. Perquanto profondo, per quanto so-

fisticato. Per questo, confida, «sono onorato di esserefinalista allo Strega, perché il libro parla di un disagioforte, reale».È il disagio di fronte a contrasti immorali, ma ancheproduttivamente folli, capaci di mettere in ginocchioun sistema imprenditoriale. Da un lato, quartieri ge-nerali degli stilisti, «monumenti diacci e sterili d’ac-ciaio e cemento e vetro»; dall’altro, capannoni dove icapi griffati sono prodotti da disperati che non hannoneanche i soldi per comprare una delle riviste su cui

sono pubblicizzati.

Il suo libro è un urlo contro una globalizzazione che hacancellato una storia. La sua come la nostra.Non credo che si potesse invertire il corso della globa-lizzazione, ma il problema è stato quello di averla scam-biata per una panacea, un’età dell’oro da abbracciare

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Scrittori, torniamo alla responsabilità

Lingua, religione, patria, società:

decalogo per richiamare gli intellettuali al bene comune

Sarà perché sono stato educato alla bontà del lavoro enon al facile guadagno; sarà perché, da bambino, hovisto nelle botteghe gli artigiani spinti alla pialla dallapassione, le pantalonaie mute e pazientissime sugli orlie le asole, i posatori di pavimenti soddisfatti solo dopoavere usato il filo con il piombo che, in caduta verti-cale e perfetta, tracciava il corso delle dodici ore lavo-rative. Forse sarà stato anche per quel ritratto di Giu-seppe Mazzini nero come un padre somasco e minuto

quanto un piccolo santo del peso giusto di una can-dela, che non ho mai applaudito i «diritti» ma ho cer-cato di crescere e migliorare tra i «doveri».Non a caso Mazzini ha scritto Dei doveri dell’uomo e lasua «religione del dovere» da subito si è confrontata conla miccia rivoluzionaria di Carl Marx che proclamava,in nome dei diritti del proletariato: «Non avete da per-dere che le vostre catene». Ma già in epoca moderna,anzi, contemporanea, la Rivoluzione francese aveva ten-tato di cambiare il mondo in nome delle libertà borghesi

e si era spinta, con il Comitato di salute pubblica, tal-mente avanti che La Vedova aveva preso a tagliare testein una catena di montaggio da serial killer per cessare dicolpire dopo l’ultimo e più illustre scalpo, quello del-l’Incorruttibile Robespierre. Da allora, e prima della Re-staurazione (l’altra grande arriverà dopo il ’48), nasceràil philosophe, il maître-à-penser, dunque l’intellettuale.

 Anche nella Rivoluzione bolscevica i «diritti» sarannosugli scudi e gli intellettuali occidentali, a cavallo delledue guerre e successivamente, ingrosseranno le fila co-niando slogan sempre sui diritti e i diritti. A naso citola rottura «esistenzialista» in Francia tra Sartre eCamus: dove il primo è paladino di ogni diritto con-tro la società borghese, mentre Camus incomincia ameditare su come la vita stessa sia una sequela di do-veri più o meno realizzati e realizzabili.

Poco prima, sempre in Francia, Drieu La Rochelle af-fermando che i chierici, gli artisti e gli intellettuali«hanno doveri e diritti superiori a quelli degli altri»,in qualche modo aveva forzato la lancetta dell’orolo-gio degli intellettuali verso i «doveri». Quei famosi do-veri che lo condurranno al suicidio. Pure un eroe delnostro Risorgimento, Carlo Pisacane, il più estremistae socialista, quello che appunto coniò il motto «im-porre il dovere con le armi», alla fine fu costretto alsuicidio.

Ora comunque è bene passare ai fatti dell’Italia, cioèai fatti nostri. Giuseppe Parini fu fedele solo ai Do-veri; Alessandro Manzoni della lingua italiana e dellanostra cultura fece una chiesa; Scipio Slataper, con II mio Carso, trasformò il dovere in preghiera; EnricoToti si immolò nella battaglia per Gorizia. E che diredi tutti quei giovani intellettuali che persero la vita

 Aurelio Picca, Corriere della Sera, 23 aprile 2011

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nelle dodici battaglie dell’Isonzo, quando Gabrieled’Annunzio li esortava a dare di più per la Patria, dipiù, perché la morte da sola non basta?Da allora a oggi sembra passato un mondo intero.Siamo su un’altra galassia. C’e un gridare e un pun-tare i piedi in nome dei diritti. Tra intellettuali che

non si capisce più che cosa sono o cosa vogliono, enelle assemblee di condominio, si e spezzato perfinoil dialogo fatto di «buongiorno» e «buonasera». Infattio si strepita o non ci si riconosce. A esempio, gli in-vitati nei pollai televisivi, ai quali accennava propriosu queste pagine Raffaele La Capria, sono intellet-tuali? E gli scrittori italiani che cosa sono? Molti diloro, giallisti, pulpisti, addizionatori di pagine fiction,quale progetto culturale hanno per il Paese, michiedo.

I loro elenchi, scritti in un solo e neutrale idioma, daquale necessità sono sostenuti? I loro libri stanno sol-tanto alle ambizioni sociali che un tempo erano degliavvocati, dei medici, oppure poggiano sulla fede nello«scandalo» che pone sempre l’uomo, prima dell’arti-sta, di fronte a una responsabilità prossima a gettarenella mischia la propria vita? E diciamolo, RobertoSaviano, dove lo possiamo collocare. E un politico? Èuno scrittore? È un giornalista? È un volto televisivo?Sì, è anche quel ragazzo che ha rilanciato al grande

pubblico le metastasi della mafia, della camorra, certo,bravo, ma quale è il suo progetto per l’Italia? È prontoa lavorare per il bene comune? Ha nelle vene la forzaper scrivere un grande romanzo che sappia spingereper lingua, espressione, passione, progetto comune lanostra società in avanti, aprendo spazi «vivi» nell’an-fiteatro di una nuova polis? È dunque da questo in-sopportabile e globalizzante conformismo che trovogiusto e sacrosanto uscire dal recinto e redigere unaCarta dei doveri . Senza diritti. Solo Doveri. Un De-

calogo i cui principi, dieci, come i Dieci comanda-menti, possano essere discussi e sostituiti dai volente-rosi affinché l’ignavia, l’irresponsabilità, lo spregio dellavoro vengano cancellati dal ricordo di chi, in epochee momenti storici diversi, ha combattuto e si è sacri-ficato per il Dovere: il dovere intellettuale di darsi almondo.

Mario Desiati scrive di donne di cui si innamora.Si è innamorato anche di Mimì Orlando, la prota-gonista di Ternitti (Mondadori, pp 258, euro

18,50), il romanzo per il quale è tra i favoriti alPremio Strega. «Ce ne sono almeno quattro piùfavoriti di me», dice per scansare il ruolo di papabileo anche soltanto in uno scatto di pudicizia. In ognicaso, per tornare a Mimì Orlando, Desiati dice diappartenere «a quella pletora di ominicchi che lestanno attorno, sono un innamorato non corrispo-sto» (è il modo migliore per non tradire le inten-zioni narrative). E questo non impedisce al librodi essere «una storia di amore e di riscatto».

Non lo si direbbe dal titolo, Ternitti…Ternitti è un parola in dialetto salentino. SignificaEternit. Negli Anni Sessanta e Settanta era diventatosinonimo di fabbrica: «Andiamo a lavorare al ter-nitti», dicevano gli operai. Tutti ragazzi e uominiche per l’amianto si sarebbero ammalati e che di

Desiati: con Mimì raccontoil coraggio delle donne

«La protagonista del mio Ternitti mostra la loro capacità di superarele tragedie». Parla lo scrittore fa- vorito allo Strega

Mattia Feltri, La Stampa, 24 aprile 2011

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amianto sarebbero morti. Poi ternitti divenne anchesinonimo di tetto perché, specialmente al Sud, i tettisi facevano spesso col cemento amianto. La mia èuna storia che parte dalla fabbrica mortifera e siconclude, col riscatto, su di un tetto.

Se si conclude col riscatto è meri to delle donne, del co-raggio di cui gli uomini del libro sembrano privi. È  Mimì, con la madre e con la figlia, che ricomincia a far  girare il mondo…Sì, è vero, qui sono le donne che si risollevano, cherialzano la testa, che superano la tragedia affidandosiall’amore per le persone rimaste con le quali inten-dono ricostruire qualcosa. Gli uomini no, gli uo-mini del romanzo hanno paura di amare, e più ingenerale hanno paura di vivere.

Da che cosa deriva una visione così vile dei maschi? Ogni Paese ha il suo conflitto. Io credo che in Italiaci sia un conflitto di genere e basta seguire la cro-naca quotidiana o anche la produzione letterariache sulla questione femminile è particolarmenteprolifica, per comprenderlo. Qual è lo sguardo degliitaliani oggi sulla donna? Ecco, da lì sono partitoe da una constatazione: il nostro periodo migliore,il secondo dopoguerra, è arrivato quando le donne –

poiché gli uomini erano morti in guerra o ne eranousciti con mutilazioni – avevano preso in mano lefamiglie e dunque il Paese. Anche quello è il corag-gio femminile che ho voluto restituire nel libro.

E però raccontare tutto questo partendo dall’Eternit sadi de nuncia sociale. Ce n’è? No. Spesso si scrive per rabbia o per odio. Io hoscritto per amore. Ternitti è un libro che portaamore per la mia terra. Io sono pugliese, buona

parte del romanzo è ambientata in Puglia. Dovec’è molto amianto ma ci sono anche le pietre dicui sono fatti i trulli e i muri a secco che sanno dieterno ben più dell’Eternit.

Lei ha una prosa ricca, colma di ag  gettivi e metafore.Credo dipenda dal fatto che sono meridionale e

quindi appartengo a una tradizione barocca, perla quale una parola in più è utile a una definizionemigliore di quello che si vuole raccontare. Al Nordsono scarni, ed è una divaricazione che si apprezzasoprattutto nella poesia del Novecento. Il Nord haLuciano Erba, che in poche frasi esaurisce la Grande

 Jeanne, mentre il Sud ha Lorenzo Calogero, pienodi figure retoriche, anche molto insistite.

C’è uno scrittore da cui trae ispirazione? È uno a lei lon-tano, ma ammirato? Io ho speso parte della mia vita sui libri di VittorioBodini, un poeta che amo sommamente e al qualemi sono ispirato più di un po’. Un autore a me lon-tano, ma che mi entusiasma, è Raymond Carver.Il suo minimalismo – anche se poi si è scoperto che

era soprattutto il minimalismo del suo editor – è unesempio inarrivabile per la limpidezza della scritturae per la fulmineità dell’immagine.

Desiati, lei non ha nemmeno 34 anni. Ha scritto die ci libri in prosa e quattro di poe sia. Si dice che l’Italia è unPaese gerontocratico ma forse la lette ratura è un cam poin cui per i giovani c’è sempre stato spazio.La letteratura è l’unico campo in cui la giovinezzanon è un valore. In un Paese civile ci dovrebbero

essere politici giovani e vecchi scrittori. Inveceabbiamo scrittori giovani e vecchi politici. Un bellacontraddizione da cui partire per raccontare il nostrotempo.

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(in uscita da Mondadori) mette in scena tre genera-zioni femminili per compiere un vero e proprio viag-gio della memoria che dall’assedio di Leningrado ar-riva fino ai gulag.La memoria (personale) e l’infanzia sono il centro nar-rativo di Seppellitemi dietro il battiscopa (in uscita da

Nottetempo), opera prima di Pavel Sanaev, promet-tente regista e sceneggiatore (classe 1969), un rac-conto pubblicato nel 1996 sulla rivista Oktjabr com-parso, nel 2003, per la prima volta in un’edizioneindipendente e presto diventato un libro di culto,molto amato dal bambini nati con l’Unione Sovieticae cresciuti senza. A tutt’oggi il libro ha venduto oltre500 mila copie in Russia e continua a occupare i primiposti nelle classifiche di vendita. Quello di Sanaev èun romanzo dal felice tocco tragicomico, basato sulla

biografia dell’autore, figlio adottivo di un famoso at-tore sovietico dove il protagonista di otto anni si scon-tra con il muro di divieti che gli vengono imposti dallanonna iperprotettiva con cui vive (la madre se n’è an-data con un pittore anticonformista).Il mondo dell’infanzia, d’altro canto, è un tema moltoamato dagli scrittori russi, non solo i più giovani. Bastipensare a Sasha Sokolov, vero e proprio «classico vi-vente», nato nel 1943 in Canada dove il padre era at-taché militare dell’ambasciata sovietica (ma lo scrittore

ha studiato e vissuto a lungo a Mosca), autore di unromanzo, La scuola degli sciocchi (Salani), pubblicatonegli Stati Uniti nel 1975 su impulso di Vladimir Na-bokov, inno poetico e visionario, («dall’umorismo in-cantatore», l’ha definito Nina Berberova), che raccontala sfida alla tirannia del sistema e della burocrazia daparte di un alunno di una scuola differenziale, la«scuola degli sciocchi» del titolo appunto. Spingemolto più sul registro fantastico La casa del tempo so-speso, un volumone di oltre 800 pagine dell’armena

Mariam Petrosjan. La genesi ricalca quella di molticasi letterati contemporanei: nato in Rete, cresciutograzie al passaparola, scelto dai blogger. L’editore ita-liano, Salani, lo consiglia a chi è cresciuto con Harry Potter , ma il successo del libro è forse data propriodallo spunto realistico che ricorda da vicino Ruben

Gallego, lo scrittore nato alla fine degli anni Sessantacon una paralisi cerebrale e rinchiuso in un orfanatro-fio speciale da cui è riuscito a uscire alla fine degli anniNovanta (Gallego ha raccontato la sua storia in Biancosu nero, Adelphi). La casa di Mariam Petrosjan è ap-punto un istituto per disabili, dove vivono ragazzi conhandicap fisici e psichici, ma è anche un universo pa-rallelo (il mondo fuori viene chiamato Esteriorità) incui i ragazzi (che hanno poteri magici e nomi come

 Avvoltoio, Nero, Fumatore e sono distinti in branchi

chiamati i Fagiani, i Ratti, i Cani e via dicendo) vivonoavventure di ogni genere, battaglie epiche e prove ini-ziatiche. A Torino, dice Elena Kostioukovich, agenteletterario di molti autori, grande conoscitrice di tuttociò che riguarda la letteratura russa, ci sarà, anche senon invitato ufficialmente, una grande aurora di libriper ragazzi come Grigorij Oster (Salani ha pubblicatoil delizioso Una favola tutta intera con una serie di det-tagli ), mentre bisogna ricordare, tra i protagonistirussi, anche la poetessa e saggista Olga Sedakova, un

grande traduttore della poesia italiana come EvgenijSolonovich e naturalmente la stessa Kostioukovitch(traduttrice di molti nostri scrittori, tra cui UmbertoEco).Infine tra i rappresentanti russi si può annoverareanche Arkady Renko, alla sua settima indagine aGorky Park e dintorni (Le tre stazioni , Mondadori).Certo, il suo creatore, Martin Cruz Smith, è ameri-cano, ma la sua Russia, per anni, è stata l’unica chemolti lettori abbiano conosciuto.

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«Storie legate all’attualità, ai conflitti seguiti al crollo dell’imperosovietico, atti di accusa al potere, alla burocrazia, alla corruzione,

ma anche romanzi di formazione e trame fantastiche»

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Generazione Strega.La precarietà come risorsa

 A Benevento la presentazione dei dodici candidati al Premio Stregache parlano del loro essere scrittori dai tanti mestieri

 Arrivano alla spicciolata, e da ogni parte d’Italia, i ma-gnifici dodici dello Strega. Per quella che è la loro primaserata ufficiale. Al Teatro San Marco, a Benevento, pa-tria del liquore che ha dato il nome al premio letterariopiù prestigioso d’Italia, si sottopongono volentieri alledomande di Paolo Gambescia, ascoltano gli incipit deiloro romanzi letti da Margherita Buy davanti a una pla-tea attentissima. Ci sono tutti: compreso Gino Batta-glia, della comunità di Sant’Egidio, primo prete-can-

didato (con Malabar , Guida) nei 66 anni di storia delPremio. È tornato appositamente dall’Uganda dove erain missione. Ed è dei loro romanzi che si parla. Poco sidice invece del loro essere scrittori in un Paese frantu-mato e precario, eppure pieno di stimoli e di talenti. Ese l’impegno non è il tema forte nella rosa dei romanzicandidati, di sicuro ad essere superimpegnati sono pro-prio loro, gli autori, che affiancano alla scrittura altrimille lavori e interessi.Eccola la generazione Strega: scrittori mobili e iperattivi,

continuamente collegati con il mondo, che si trovano,per scelta o per necessità, ad essere consulenti editoriali,collaboratori di giornali e riviste, critici letterari, docentiuniversitari, sia pure a contratto, organizzatori di eventiculturali, instancabili animatori di dibattiti sulla narra-tiva e molto altro ancora. «Tutte le volte che mi chie-dono cosa fai oltre a scrivere, ho difficoltà a rispondere.

Ho un’azienda agricola, lavoro con una piccola casa edi-trice, sono docente a contratto alla Sapienza», ride Gior-gio Nisini, classe 1974, che vive in provincia di Viterbo.Dice: «L’eclettismo professionale per me è una scelta.Se mi offrissero un posto fisso, allora sì che avrei l’ansia.Con questo non voglio fare l’elogio del precariato. Co-nosco fin troppo bene le difficoltà della mia generazionea trovare un lavoro. Abbiamo quasi quarant’anni, e i no-stri mestieri sono ancora insicuri, indeterminati. Non

tutti lo accettano. Alla precarietà cerco di reagire nonlamentandomi, facendo cose differenti e usando tuttele esperienze possibili». Non a caso La città di Adamo(Fazi) ha per protagonista un imprenditore agricolo disuccesso, pronto a scavare nel passato e nel presente diun benessere pieno di ombre.Si è occupato per dodici anni di disagio minorile,Fabio Geda, autore di Nel mare ci sono i coccodrilli (B.C. Dalai), che presto diventerà un film di Fran-cesca Archibugi («Si comincerà a girare a settembre,

in Turchia», rivela lo scrittore). «In tutti questi anniho fatto l’educatore di strada a San Salvario, il quar-tiere multietnico di Torino. Ho lavorato nelle comu-nità alloggio, sempre a stretto contatto con ragazzidisagiati. E proprio da questa esperienza sono nati imiei primi due romanzi (Per il resto del viaggio ho spa-rato agli indiani e L’esatta sequenza dei gesti , ndr). Poi

Fiorella Iannucci, Il Messaggero, 28 aprile 2011

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ho incontrato Enaiatollah Akbari e la sua straordina-ria storia…». Che è diventata il libro candidato alloStrega. Dice Geda: «La difficoltà vera per me era spa-rire come scrittore. Volevo solo farmi tramite dellastoria di questo ragazzo afghano e della sua odisseafino all’arrivo in Italia. Più ero invisibile – mi dicevo

– più sarei stato bravo». Eccolo un altro modo di es-sere scrittore oggi: mettersi al servizio dell’Altro, ocome ha fatto il trentanovenne autore torinese, «tro-vare una lingua letteraria che equivalesse alla linguaorale del mio narratore». Fino in fondo educatore,Geda. Che ora insegna al master della Scuola Hol-den, collabora con il Circolo dei lettori di Torino,scrive su riviste e quotidiani. «Ma i miei sforzi sa-ranno sempre rivolti al margine».Di diverso parere Mario Desiati, nella rosa con Ternitti 

(Mondadori), 34 anni e già dieci libri in prosa e quat-tro di poesia alle spalle. «Lavorare nell’ambito dell’edi-toria è assolutamente naturale per uno scrittore. Fareil direttore di Fandango Libri, occuparmi di giovaniesordienti, vedere crescere un autore è per me unagrande gioia», dice Desiati, che proprio oggi si con-fronterà a Roma con e sulla «generazione TQ ». La pre-carietà come risorsa: eccola la parola chiave di tantiprotagonisti dello Strega. «Lo scrittore più di tutti devesentirsi precario», dice Edoardo Nesi, in concorso con

Storia della mia gente (Bompiani). Lui, che nel libroracconta la rabbia e l’amore della sua vita da industrialedi provincia, la sua fabbrica tessile a Prato, alla fine,l’ha venduta, per dedicarsi ad altro, la letteratura e ilcinema. Ma ci vuole coraggio. Che non manca certo aBruno Arpaia, che ha lasciato anni fa il lavoro da re-dattore in un grande giornale per fare «il consulenteeditoriale, il traduttore e altre tre o quattro cose. Nonsi vive di soli libri. Ma era il solo modo per dedicarmidavvero alla scrittura», dice. Di precari è pieno anche

il suo romanzo candidato allo Strega (L’energia del vuoto, Guanda): giovani fisici e ricercatori del Cern diGinevra che aspirano a un contratto, «esattamentecome accade nella realtà». Ed è l’unico convinto che ilprecariato non fa bene nemmeno alla letteratura. Ride:«Flessibilità sì, ma fino a un certo punto».

La Dichiarazione di Indipendenza americana, redattanel 1776 dalla Commissione dei Cinque, compostada Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Fran-klin, Robert Livingston e Roger Sherman, venne

scritta, dall’inizio alla fine, in corsivo. Ma in un futuroforse non lontano nascerà una generazione di allieviamericani che non saranno più in grado di leggerla,tanto meno di ricopiarla a mano.

 A lanciare l’allarme è il New York Times , in un lungoarticolo dedicato al tramonto del corsivo, chiamatoItalic dagli anglosassoni poiché fu introdotto per laprima volta in Italia nel 1501 dal principe degli stam-patori, Aldo Manuzio, che lo usò per poche parole(Iesu dolce Ie su amore ) in una xilografia dalle epistole

di Santa Caterina; quindi, per esteso, nel famoso Vir-gilio «in ottavo», capostipite dei suoi libelli portati les ,i primi tascabili della moderna editoria.«Per secoli la scrittura corsiva è stata un’arte», scrivel’autorevole quotidiano, «ma per un crescente numerodi giovani, oggi, è ormai un mistero». I suoi caratterisinuosi ed eleganti, con leggera inclinazione a destra,

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E il corsivo divenneindecifrabile

Le generazioni digitali non sannopiù leggere diari e lettere

 Alessandra Farkas, Corriere della Sera, 29 aprile 2011

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sono stati immortalati in innumerevoli lingue per tra-mandare ai posteri documenti storici, manoscrittid’autore e lettere d’ogni genere, dando vita, in Italia,ad una delle forme giornalistiche più alte. Proprio perquesto è doloroso pensare che anche quest’ennesimotesoro della memoria umana sia destinato al museo

degli oggetti antichi, come la penna e l’inchiostro ola macchina per scrivere.La colpa è di smartphone e computer, sulla cui tastieraoggi si tende a scrivere tutto, dalla lista della spesa aicompiti in classe, dai romanzi ai documenti legali. Maresponsabile è anche e soprattutto una scuola che nonesige più l’uso del corsivo, chiedendo agli alunni, findalle elementari, di usare lo stampatello, anchequando scrivono a mano anziché al computer.Una ricerca svolta dall’Università di Portland già nel

2006 puntava i riflettori sull’inarrestabile trend. Lostudio americano analizzava la scrittura di un milionee mezzo di studenti di 16-17 anni attraverso temi, teste altri compiti in classe: soltanto il 15 per cento eranoscritti in corsivo. Quella che era nata come una sfidaestetica e tecnica ai canoni del tempo, evolvendo poiin un modello di eleganza e stile, è diventata insommala Cenerentola dell’alfabetizzazione.

 Jimmy Bryant, direttore degli Archivi e collezioni spe-ciali presso la Central Arkansas University, è convinto

che in un futuro non lontano milioni di documenti

potrebbero essere off-limits. Quando, durante una le-zione, il professor Bryant ha chiesto quanti dei suoistudenti scrivessero in corsivo, nessuno di loro ha al-zato la mano. Uno di loro, il ventiduenne Alex Heck,ha raccontato al New York Times  la propria fru-strazione per non essere riuscito a decifrare il diario

della nonna defunta, rinvenuto in solaio. «Era comeleggere dei geroglifici», ha spiegato, «un linguaggio incodice imperscrutabile».Oltre a deplorare la morte di una forma d’arte colti-vata per secoli da esperti calligrafi, gli psicologici e glieducatori puntano il dito sui risvolti negativi del feno-meno per le capacità di apprendimento, di studio edi sviluppo delle nuove generazioni. «Il corsivo aiutagli studenti a perfezionare le proprie capacità moto-rie», spiegano gli esperti, secondo i quali lo stampa-

tello è anche molto più facile da falsificare.Ma non tutti piangono la morte di questo tipo discrittura. «A me il corsivo non è mai piaciuto», rac-conta al Corriere  Jonathan Franzen. «L’ho sempre tro-vato visivamente ostico ed eccessivamente solenne e adiciotto anni, quando sono arrivato al college, hosmesso completamente di usarlo». Perché quest’avver-sione? «Mia madre lo usava esageratamente», replical’autore di Free dom, «e ciò mi irritava, in quanto sim-bolo di quella formalità manieristica che ho sempre

cercato di evitare».

«La colpa è di smartphone e computer, sulla cui tastieraoggi si tende a scrivere tutto, dalla lista della spesaai compiti in classe, dai romanzi ai documenti legali.

Ma responsabile è anche e soprattutto una scuolache non esige più l’uso del corsivo, chiedendo agli alunni,

fin dalle elementari, di usare lo stampatello,anche quando scrivono a mano anziché al computer»

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Libri su carta meno 5 per cento.Il digitale (più 40 per cento) impoverirà il settore

L’ebook continua a rosicchiare le pagine di carta deilibri tradizionali, ma il rischio è che tutto il settore del-

l’editoria libraria statunitense si ritrovi meno ricco dioggi. E a catena, quello di tutto il mondo. Lo rivela unostudio della società di ricerca IHS iSuppli, che prendein esame i dati economici del settore. Secondo le pre-visioni, i ricavi degli editori derivanti dalle vendite dilibri tradizionali ed ebook scenderanno in media del 3per cento fra il 2010 e il 2014, secondo un trend op-posto a quello registrato nel periodo 2005-2010.In concreto, i ricavi complessivi delle vendite scende-ranno a 22,7 miliardi di dollari (15,3 miliardi di euro)

nel 2014, rispetto ai 25 miliardi (16,8 miliardi dieuro) del 2010. La flessione, in particolare, sarà da at-tribuire alle vendite di libri cartacei, date in calo del 5per cento medio annuo fino al 2014. Contempora-neamente, le vendite di ebook cresceranno del 40 percento, spinte dai costi più accessibili, mediamente in-feriori del 40 per cento. Tuttavia, un simile tasso dicrescita non sarà sufficiente a controbilanciare il de-clino del mercato librario tradizionale, che si troveràcon meno libri venduti in libreria e soprattutto a

prezzi inferiori, per cercare di contrastare le venditedi ebook. Nel 2014, i libri digitali genereranno il 13per cento dei ricavi dell’editoria libraria a stelle e stri-sce, ben sette punti in più di quest’anno (6 per cento)e dieci rispetto al 2010 (3 per cento). Tuttavia, comesi è detto sopra, il prezzo medio degli ebook è desti-nato a ridimensionare i ricavi

Dopo musica e film, dunque, anche i libri rischianodi vedere trasformati in pochi anni meccanismi di

produzione e vendita che li hanno contraddistinti finqui. In questo processo globale influiranno anche levendite di lettori, gli ereader, in netta crescita. Lo sce-nario atteso dagli analisti di IHS iSuppli prevede in-fatti che le vendite di dispositivi per la lettura di testidigitali saranno più che triplicate in cinque anni, pas-sando dai 9,7 milioni del 2010 agli oltre 30 milionidel 2014, mentre la previsione più ottimistica parladi 43,4 milioni di lettori venduti.Sulla cifra definitiva dei pezzi venduti influiranno

non pochi fattori, fra cui il prezzo dei dispositivi,destinato a scendere in virtù della concorrenza fra iproduttori, anche se non potrà ridursi eccessiva-mente, per evitare di avere margini di profitto pros -simi allo zero. Ma il discorso dallo scorso anno si ècomplicato ulteriormente, con l’avvento dei tabletpc e principalmente dell’iPad, che permette, fra lealtre cose, di leggere ebook. Tra 2007 e 2009, in-fatti, le vendite di dispositivi per la lettura di testidigitali hanno generato margini di profitto medi del

35 per cento, crollati in concomitanza con l’avventodel tablet di Steve Jobs. Per correre ai ripari, i pro-duttori di ereader dovranno quindi offrire ulterioriservizi ai propri clienti, compresa la lettura dei ma-gazine, l’accesso ai giochi e la possibilità di sotto-scrivere abbonamenti a quotidiani d’informazionedigitali

Più ebook. Ma editori meno ricchi

 Alessio Odini, ItaliaOggi , 30 aprile 2011