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Dignità o carità? La proposta di legge regionale sul “reddito di dignità” un’analisi tecnica. A cura di ACT! e Rete della Conoscenza Puglia

Reddito di dignità: analisi tecnica della proposta di legge regionale pugliese

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la giunta della regione Puglia ha varato una proposta di legge regionale sul reddito di dignità. Un'analisi tecnica e approfondita del provvedimento.

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Dignitào carità?

La proposta di legge regionale sul “reddito di dignità”un’analisi tecnica.

A cura di ACT! e Rete della Conoscenza Puglia

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Si deve apprezzare il fatto che la Giunta regionale della Puglia abbia inteso proporre una iniziati-va legislativa in materia di “Reddito di dignità”. Tuttavia, va osservato preliminarmente che per struttura, destinatari e impegni finanziari, con ogni evidenza non si tratta di un intervento di sostegno al reddito universale, quali quelli proposti a livello europeo dal Basic Income Network o a livello nazionale da forze politiche quali Sel o M5S o campagne come Reddito di Dignità pro-mosse da associazioni e reti come Libera cui abbiamo partecipato.Si tratta invece, dichiaratamente, di un intervento indirizzato al sostegno alla quota di popola-zione, purtroppo molto estesa in Puglia, che versa nella situazione di povertà assoluta (cioè, secondo la definizione dell’Istat, che non dispone del valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza).

Reddito universale?Anche nell’ambito prescelto dalla Giunta Emiliano, cioè il contrasto alla povertà assoluta, occorre esaminare con attenzione se si tratti di una misura universalistica o piuttosto di una misura selettiva.Sarebbe giusta la prima definizione se l’intervento legislativo proposto intestasse un diritto a tutti coloro che versino nella situazione definita dalla legge; sarebbe giusta la seconda defini-zione se la scarsità della provvista finanziaria o altri meccanismi impedissero di intestare un vero e proprio diritto, e richiedessero invece valutazioni discrezionali da parte di autorità pub-bliche per individuare tra chi sia nella situazione definita dalla legge quanti beneficieranno degli interventi e quanti no.Orbene, risulta chiaro – malgrado le contrarie affermazioni contenute nella relazione al dise-gno di legge - che non si tratta di una misura universale.La stessa relazione individua i soggetti in povertà assoluta in 320.000 unità in Puglia, ma ipo-tizza di raggiungerne il primo anno 60.000: onde è chiaro che il primo anno oltre l’80% dei poveri assoluti della Puglia non potranno beneficiarne. È vero che si dice che così nel quinquen-nio saranno toccati tutti/e (in realtà quasi, non proprio tutti); ma questa affermazione è inesat-ta, posto che:a) L’art. 5, co. 2, penultimo periodo, afferma che “per ciascun nucleo familiare è ammissibile una sola domanda di accesso al beneficio economico”, onde in una famiglia con più poveri – come generalmente accade – vi saranno persone povere che ricaveranno un beneficio solo indi-retto, non potendo presentare domanda di sostegno economico: ma su questo torneremo nel punto successivo;b) ragionevolmente, la Giunta non immagina che tutti – e forse neppure la maggior parte – dei casi presi in carico siano risolti con un intervento della durata di 12 mesi (art. 7, co. 2), e quindi altrettanto ragionevolmente è prevista nella stessa norma la possibilità di riprendere l’interve-nto: dunque, anche a stare ai numeri forniti, vi saranno soggetti che avranno il ReD per più di 12 mesi, e parallelamente vi saranno altri soggetti che non ne potranno godere pur essendo nelle indicate condizioni di povertà assoluta, per carenza di fondi;c) il condizionare il godimento delle prestazioni (monetarie e non) a comportamenti del beneficiario e persino dei suoi familiari (su questo torneremo nel punto successivo) inevitabil-mente conduce a una selezione che esclude chi non sia in grado di garantire i comportamenti richiesti.

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Persona o famiglia?

Il disegno di legge presenta, come si è accennato, un grandissimo problema di impostazione: se è ragionevole prendere l’unità economica costituita dal nucleo familiare come base per la misura-zione della situazione di bisogno – come è stato fatto assumendo l’ISEE non superiore a 3.000 euro come riferimento per individuare i destinatari dell’intervento -, cosa diversa e molto discuti-bile è invece affermare che la prestazione denominata Reddito di Dignità sarà erogata su base familiare, non solo nel senso già detto che ne può beneficiare non più di una persona a famiglia (art. 5, co. 2), ma che gli obblighi assunti dal beneficiario (e le relative responsabilità, sebbene su questo l’art. 10 sia molto oscuro) sono estesi “per adesione” anche ai familiari, per i quali pure si devono individuare “obiettivi” di attivazione, di inserimento lavorativo, di riduzione dei rischi di marginalità, e quindi ai quali pure si chiedono – sebbene la stesura del testo non sia un modello di chiarezza – comportamenti attivi (art. 11). In questo modo, il sussidio fornito dalla Regione forse allevia, ma non migliora la situazione del nucleo familiare, i cui componenti resteranno molto probabilmente in condizioni di grave difficoltà, per giunta poco propensi alla ricerca di fonti di reddito aggiuntive, che causerebbero la sospensione o la perdita del sussidio.Aumenterà, in conclusione, in modo consistente il rischio della c.d. trappola dei trasferimenti selettivi.

Un ultimo effettivo distorsivo di un meccanismo su base familiare riguarda i soggetti beneficiari di una borsa di studio: a causa del nuovo Regolamento ISEE, secondo cui anche le borse di studio incidono sull’ISEE dell’intera famiglia, perfino gli studenti beneficiari di borsa potrebbero optare per la rinuncia agli studi pur di non far perdere il Reddito di Dignità all’intera famiglia.

Per non parlare dell’ipotesi in cui comportamenti di un componente ricadano a danno di tutti, ren-dendo privi del diritto all’intervento i più deboli tra i deboli, cioè proprio coloro i quali vivano condi-zioni di particolare difficoltà anche nei comportamenti dei propri familiari (dipendenze).

Un meccanismo impostato su base familiare, in conclusione, determina effetti collaterali, che non si verificano utilizzando, invece, la base individuale che per altro assicura ad ogni singolo soggetto la possibilità di trovare adeguate forme di garanzia nei momenti di transizione o di difficoltà della propria carriera lavorativa senza incidere negativamente sulla vita dei suoi familiari.

Il ReD proposto dalla Giunta regionale non è in grado di tutelare l’autonomia individuale, subordina e lega le necessità di migliaia persone, in particolare di tanti giovani, a quelle della propria fami-glia, senza alcuna possibilità di emanciparsi o realizzarsi a livello lavorativo, se non al prezzo di un’emigrazione forzata al Nord o all'estero, privando la ancora una volta la nostra regione di intel-ligenze e competenze.

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Condizionalità e rischi connessi ai tirociniGli aspetti più inquietanti di questa proposta si riscontrano nell’ambito delle c.d. condizionalità, ossia degli obblighi formativi o lavorativi che i soggetti saranno tenuti a compiere per beneficiare della prestazione sociale con la consapevolezza che un numero sempre maggiore di condizioni, regole e particolarismi creano più controlo sociale e non sicurezza sociale.Preliminarmente è bene ribadire che, l’art. 11, co. 1, esplicita che il Patto individuale di inclusione sociale attiva, in realtà non è affatto individuale, in quanto risulta “esteso per adesione ai compo-nenti del richiedente”. È evidente quindi che l’erogazione monetaria riguarderà una sola persona a fronte di un impegno dell’intero nucleo familiare in attività formative e tirocini.

I tirocini, appunto: la proposta di legge sul ReD ha al proprio interno un importante segmento relativo alla materia dei tirocini e proprio in questa materia compare da una parte un problema di legittimità e dall’altro un inopportuno e costoso regalo alle imprese.In Italia la normativa che regola l’indennità dei tirocinanti si ricava dal combinato disposto tra l’art. 1, co. 34, lett. d), della legge 28 giugno 2012 n. 92 (c.d. legge Fornero) e l’art. 12 dell’Acco-rdo stipulato dalla Conferenza Stato-Regioni il 24 gennaio 2013 sul documento recante "Linee-guida in materia di tirocini".

La legge Fornero demanda la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento e segnatamente il riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma for-fettaria, in relazione alla prestazione svolta al suddetto Accordo della Conferenza Stato-Regioni, che, a sua volta, prevede che l’unico caso in cui l’imprenditore possa essere esentato dalla corre-sponsione dell’indennità è quello di “tirocini in favore di lavoratori sospesi e comunque percettori di forme di sostegno al reddito, in quanto fruitori di ammortizzatori sociali”. Qui invece il disegno di legge regionale sul ReD lascia comprendere che gli imprenditori che deci-deranno di stipulare un tirocinio inserito nel Patto individuale di inclusione sociale saranno esen-tati dal pagamento dell’indennità.Siccome, però, il tirocinante inserito nel sistema ReD dovrà in ogni caso ricevere un indennità, che in Puglia è fissata a € 450, sarà la stessa Regione erogare la cifra di € 450 a titolo di indenni-tà detraendolo, come previsto dall’art. 6, co. 3, della proposta di legge ReD, dalla “composizione dell’importo economico riconosciuto” e riducendo quest’ultimo ad un massimo di quindi a € 150.00, nel caso si parli di un nucleo famigliare di 5 persone ed addirittura assorbendo l’intera prestazione sociale per pagare la manodopera prestata alle imprese nei casi di nuclei familiari sino a tre persone comprese, i quali avranno come unico beneficio dell’intervento l’ipotetico avviamento a tirocinio di un componente della famiglia, come risulta dalla Tabella distribuita dalla Regione nel corso della conferenza stampa (famiglie di una persona 210 euro al mese, di due 330 euro al mese, di tre 430 euro al mese, di quattro 520 euro al mese).

Appare del tutto evidente che la norma in questione prevede una esenzione per i soggetti ospi-tanti (le imprese) di dubbia legittimità e conformità alla norma nazionale, poiché l’unica eccezio-ne alla corresponsione dell’indennità da parte dell’impresa ospite contemplata a livello nazionale (cioè nell’Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 24 gennaio 2013, come previsto dalla norma della legge Fornero già indicata) è quella che si configura nel caso di lavoratori sospesi e comunque percettori di forme di sostegno al reddito, in quanto fruitori di ammortizzatori sociali, non anche di un o una qualunque tirocinante che sia percettore di una qualunque forma di soste-gno al reddito.

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In ultima istanza possiamo con ragionevole certezza affermare che il ReD non si sostanzia in una misura di sostegno al reddito condizionata da un’attività di tirocinio, ma in un tirocinio la cui inden-nità sarà pagata con i soldi della prestazione sociale;la prestazione sociale è consistente per la maggior parte di fondi provenienti dal Fondo Sociale Europeo, impegnandoli, a detrimento delle attività sinora previste nel POR Puglia, per uno scopo di dubbia compatibilità con le norme europee (finanziamento di politiche passive) e molto probabil-mente comportando anche una violazione della disciplina europea che vieta gli aiuti di Stato alle imprese.Si tratta di una misura a prevalente vantaggio delle imprese, che ottengono manodopera a titolo totalmente gratuito grazie a cui percepiscono anche non meglio precisati incentivi previsti dall’art. 12, co. 5;Si rischia inoltre di arrecare, come effetto collaterale, un danno dei lavoratori come insieme, per il presumibile effetto sostitutivo che potrebbe portare, in caso di successo della misura, le impre-se che ospitano tirocinanti a sostituirli nelle prestazioni di lavoro ad assunzioni “normali”.

Si configura insomma una doppia iniezione di soldi pubblici (indennità ed incentivi) nelle casse delle imprese, nonché un vero e proprio lavoro prestato da persone in povertà assoluta in assenza delle tutele prescritte per i lavoratori subordinati.

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L’importo corrispostoL’art. 6, co. 3, del disegno di legge prevede, come si è già accennato, che dal trasferimento mone-tario operato a vantaggio dei beneficiari vengano detratti una serie di importi. Abbiamo citato nel paragrafo precedente l’importo che dovrebbe pagare l’impresa ospite “in relazione alla presta-zione svolta”, come dice l’art. 1, co. 34, lett. d), della legge 92/2012; ma da quell’importo viene detratto anche quanto percepito per effetto di discipline nazionali (e questo può comprendersi) e - alla lett. c) dello stesso art. 6, co. 3 - “il voucher formativo per l’accesso ai percorsi formativi di aggiornamento professionale necessari per l’adesione ad uno specifico percorso di inserimen-to sociolavorativo”.

Ci si deve chiedere, nell’oscurità della previsione, se alla prestazione monetaria che raggiunge direttamente il beneficiario debba essere sottratto il costo del voucher formativo per la Regione (cioè l’insieme dei costi da sostenere per lo svolgimento dell’attività formativa, compresi i soldi corrisposti agli enti organizzatori), nel qual caso l’attività formativa avrebbe l’effetto di affamare i beneficiari e si può immaginare come sarebbe accolta; oppure l’importo delle sole prestazioni monetarie connesse alla partecipazione alle attività formative (eventuale indennità di frequenza). Sarebbe utile e anzi indispensabile un chiarimento.

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Condizionalità e finanziamento

La Puglia ha conosciuto nei decenni passati la disastrosa esperienza delle attività di ricollocazione delle e degli ex dipendenti delle CCR, che vide fra l’altro la dissipazione di 18 milioni di euro impiegati per vere o apparenti attività di formazione e riqualificazione degli interessati, e poi revocati dalla stessa Regione, durante l’amministrazione Fitto, per le gravi irregolarità riscontrate.

L’efficacia e la rapidità degli interventi di sostegno alle persone in povertà dipende notoriamente dall’automatismo e dalla mancanza o riduzione al massimo delle somme che non pervengano direttamente agli interessati. Al contrario, nel ReD è evidentissima l’impostazione “condizionalisti-ca” e non universalistica, che collega la percezione del beneficio a una complessa e molto costosa attività di presa in carico, formazione e risocializzazione al lavoro, nonché di controllo, ad opera di soggetti non solo pubblici, ma anche e soprattutto privati, i quali hanno proprie necessità e conve-nienze non sempre coincidenti con quelle dei destinatari dell’intervento.

Il presupposto non dichiarato di questa scelta regionale è che la povertà assoluta venga dalla man-canza di lavoro - e già qui si potrebbe molto discutere, essendo esperienza comune che sovente la mancanza di lavoro nell’area della povertà assoluta derivi da altre situazioni di fragilità quali dipen-denze, disabilità e sofferenze anche psichiche ecc.; e che la mancanza di lavoro derivi dal mismatch tra la domanda di lavoro del sistema economico e l’offerta dei soggetti presi in carico dall’interve-nto: dunque, bisognerebbe adeguarne le competenze alle necessità economiche del sistema d’impresa con attività formative e tirocini.

Ma nella stragrande maggioranza dei casi non è così, non è la mancanza di competenze professio-nali ad aver privato del lavoro le persone verso cui si vuole intervenire: onde, come nel celebre pre-cedente già richiamato, si rischia di avviare una lunga e complessa serie di attività del tutto inutili: inutili agli interessati e alle interessate, che le vivranno come un vincolo, una catena al piede, cui sottrarsi in ogni modo che non comprometta la percezione del beneficio, partecipandovi peraltro con scarsissimo interesse; inutile e anzi dannosa per la collettività, che vi spenderà una ingente massa di risorse che non raggiungeranno i destinatari formali dell’intervento; e utile solo a chi saprà inseririvisi per trarne motivo di guadagno.

Non vi è dubbio che la Regione Puglia conosca benissimo questo profilo del problema, per cui c’è da chiedersi perché insista su questa strada. Ma la risposta è facilissima: perché solo attraverso l’apparente congiunzione tra il sostegno al reddito dei più poveri e questo meccanismo di attività - ancorché spesso inutili o poco utili - a loro formalmente destinate è possibile reperire le risorse necessarie (che la Regione non ha) nei Fondi Europei, che non permettono l’impiego di risorse per politiche passive, cioè di puro sostegno economico; il che introduce l’ultima serie di osservazioni che si intende formulare.

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Una tantum o reiterazione?L’art. 7, co. 2, del disegno di legge fissa la durata massima del ReD in 12 mesi: ma, come si è già detto nel paragrafo sull’universalismo, ragionevolmente, la Giunta non immagina che tutti – e forse neppure la maggior parte – dei casi presi in carico siano risolti con un intervento della durata di 12 mesi, e quindi altrettanto ragionevolmente è prevista nella stessa norma la possibilità di riprendere l’intervento.

Tuttavia, è imposto un intervallo tra un periodo di beneficio del ReD e quello successivo, che la norma rinvia alla Giunta regionale.

Dunque, si deve presumere che negli intervalli tra la prima e la successiva percezione del ReD, chi ne speri di beneficare di nuovo abbia vitale interesse a nascondere i redditi che eventualmente si procurerà con lavori precari, onde non superare la soglia dell’ISEE che intesta l’ammissione al ReD stesso: onde, per questo profilo il fatto che la Regione non abbia scelto tra misura seccamente una tantum non reiterabile e misura permanente, senza intervalli, ma abbia cercato una via di mezzo, si tradurrà in un incentivo al lavoro nero degli interessati nei periodi intermedi.

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Copertura finanziaria

Qui il calcolo è piuttosto elementare:

- il Presidente della Regione nella conferenza stampa, i giornali, le televisioni e soprattutto la rela-zione tecnica allegata alla proposta di legge, hanno parlato di una copertura finanziaria di € 70.000.000 all’anno;

- si ammetta (per assurdo, lo si è visto nel paragrafo precedente) che ogni singolo centesimo di questi 70 milioni vengano destinati ai beneficiari;

- si ammetta ancora che in Puglia ci siano solo famiglie potenzialmente beneficiarie da 5 membri, e che quindi il ReD venga erogato nella misura di € 600, fatto anch’esso assolutamente impossibile perché è ben noto che il numero dei nuclei familiari in situazione di povertà assoluta cresce forte-mente con il numero dei componenti, salendo dal 6,7% delle famiglie con 4 componenti al 16,4% delle famiglie con 5 o più componenti (fonte: Istat, La povertà in Italia, anno 2014, 15 luglio 2015, pag. 3 prospetto 3). Dunque, appare probabile che del Red beneficino soprattutto famiglie da 5 componenti in su;

- dividendo il ReD con il prodotto tra l’ammontare massimo mensile e il numero di mesi [70.000.000/(€ 600.00*12)], si giunge alla somma di 9.722 famiglie beneficiarie;- moltiplicando il numero di famiglie beneficiarie per il numero di unità di cui si compone il nucleo familiare preso come parametro (9.722*5) si ottiene che il numero di individui che godranno diretta-mente e indirettamente del ReD è pari a 48.610 unità.

- se invece gli importi aumentassero per le famiglie con più di 5 componenti, cosa che il disegno di legge lascia pensare ma che non è compresa tra le ipotesi delle tabelle distribuite dalla Regione in conferenza stampa, allora il numero delle famiglie beneficiarie all’anno dovrebbe parallelamente ed inevitabilmente diminuire;

- se invece fosse possibile raggiungere nuclei familiari di meno di 5 componenti, è chiaro che il numero di famiglie coinvolte aumenterebbe, ma il numero dei destinatari anche indiretti (componen-ti i nuclei familiari beneficiari) diminuirebbe;

- peraltro, nella stima occorre tenere presente che, come si è detto nel paragrafo precedente, è possibile e purtroppo non sarà presumibilmente neppure troppo raro il caso della reiterazione del godimento del beneficio, onde vi saranno soggetti che avranno il ReD per più di 12 mesi, e parallela-mente vi saranno altri soggetti che non ne potranno godere pur essendo nelle indicate condizioni di povertà assoluta, per carenza di fondi.

Si deve pertanto concludere che la doppia affermazione che saranno raggiunte 60.000 persone all’anno, e che nel quinquennio tutte le persone in provertà assoluta saranno toccate, appare molto poco attendibile.

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