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COMMISSIONE XIV POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA RESOCONTO STENOGRAFICO INDAGINE CONOSCITIVA 1. SEDUTA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 2014 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE BORDO INDICE PAG. Sulla pubblicità dei lavori: Bordo Michele, Presidente .......................... 3 INDAGINE CONOSCITIVA SULL’ATTUA- ZIONE E L’EFFICACIA DELLE POLITI- CHE DELL’UE IN ITALIA Audizione del professor Roberto Perotti, or- dinario di politica economica presso l’Uni- versità Bocconi di Milano: Bordo Michele, Presidente ............. 3, 11, 15, 19 PAG. Berlinghieri Marina (PD) ........................... 14 Buttiglione Rocco (PI) ................................ 11 Galgano Adriana (SCpI) ............................. 13 Occhiuto Roberto (FI-PdL) ........................ 12 Perotti Roberto, Professore ordinario di politica economica presso l’Università Boc- coni di Milano ............................................. 4, 15 Schirò Gea (PI) ............................................ 13 ALLEGATO: Relazione depositata dal pro- fessor Perotti ................................................ 20 N. B. Sigle dei gruppi parlamentari: Partito Democratico: PD; MoVimento 5 Stelle: M5S; Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL); Scelta Civica per l’Italia: SCpI; Sinistra Ecologia Libertà: SEL; Nuovo Centrodestra: (NCD); Lega Nord e Autonomie: LNA; Per l’Italia (PI); Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN); Misto: Misto; Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all’estero-Alleanza per l’Italia: Misto-MAIE-ApI; Misto-Centro Democratico: Misto-CD; Misto-Minoranze Linguistiche: Misto- Min.Ling; Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l’Italia (PLI): Misto-PSI-PLI; Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED. Camera dei Deputati 1 Indagine conoscitiva – 1 XVII LEGISLATURA XIV COMMISSIONE SEDUTA DEL 16 LUGLIO 2014

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COMMISSIONE XIVPOLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA

RESOCONTO STENOGRAFICO

INDAGINE CONOSCITIVA

1.

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 16 LUGLIO 2014PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE BORDO

I N D I C E

PAG.

Sulla pubblicità dei lavori:

Bordo Michele, Presidente .......................... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL’ATTUA-ZIONE E L’EFFICACIA DELLE POLITI-CHE DELL’UE IN ITALIA

Audizione del professor Roberto Perotti, or-dinario di politica economica presso l’Uni-versità Bocconi di Milano:

Bordo Michele, Presidente ............. 3, 11, 15, 19

PAG.

Berlinghieri Marina (PD) ........................... 14

Buttiglione Rocco (PI) ................................ 11

Galgano Adriana (SCpI) ............................. 13

Occhiuto Roberto (FI-PdL) ........................ 12

Perotti Roberto, Professore ordinario dipolitica economica presso l’Università Boc-coni di Milano ............................................. 4, 15

Schirò Gea (PI) ............................................ 13

ALLEGATO: Relazione depositata dal pro-fessor Perotti ................................................ 20

N. B. Sigle dei gruppi parlamentari: Partito Democratico: PD; MoVimento 5 Stelle: M5S; Forza Italia - Il Popolodella Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL); Scelta Civica per l’Italia: SCpI; Sinistra Ecologia Libertà:SEL; Nuovo Centrodestra: (NCD); Lega Nord e Autonomie: LNA; Per l’Italia (PI); Fratelli d’Italia-AlleanzaNazionale: (FdI-AN); Misto: Misto; Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all’estero-Alleanza perl’Italia: Misto-MAIE-ApI; Misto-Centro Democratico: Misto-CD; Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling; Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l’Italia (PLI): Misto-PSI-PLI; Misto-Libertà eDiritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Camera dei Deputati — 1 — Indagine conoscitiva – 1

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PAGINA BIANCA

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTEMICHELE BORDO

La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubbli-cità dei lavori della seduta odierna saràassicurata anche attraverso la trasmissionediretta sulla web-tv e la trasmissione te-levisiva sul canale satellitare della Cameradei deputati.

Audizione del professor Roberto Perotti,ordinario di politica economica pressol’Università Bocconi di Milano.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca,nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul-l’attuazione e l’efficacia delle politiche del-l’Ue in Italia, l’audizione del professorRoberto Perotti, ordinario di politica eco-nomica presso l’Università Bocconi di Mi-lano.

Abbiamo deciso di cominciare con l’in-tervento del professor Perotti poiché èautore di articoli recenti su una dellequestioni relative alla nostra indagine co-noscitiva che ci sta più a cuore e cioè laqualità e l’efficacia della spesa cofinan-ziata dai fondi strutturali e di investi-mento.

Abbiamo necessità di approfondire lecause che sino a oggi hanno impedito alnostro Paese di avvalersi fino in fondodelle risorse della politica di coesione e dicomprendere quali sono stati i ritardiaccumulati e come mai non riusciamo aspendere fino in fondo i soldi che l’Unioneeuropea mette a disposizione del nostroPaese.

Il professor Perotti, come moltiavranno letto nei giorni scorsi su Repub-blica, ha compiuto uno studio per lavo-ce.info, facendo considerazioni molto nettee ben argomentate, su diversi aspetti pro-blematici che la nostra Commissione haavuto modo di approfondire, per esempio,nel momento in cui è stata chiamata aesprimere il parere sullo schema di ac-cordo di partenariato per il periodo 2014-2020 che il Governo ha sottoposto allanostra attenzione.

Una delle questioni che emersero inquella circostanza è che non avevamo adisposizione alcuno strumento che ci per-mettesse di comprendere fino in fondo checosa non aveva funzionato, perché c’eranoquei ritardi e perché non eravamo staticapaci di spendere le risorse dell’Unioneeuropea.

In base all’analisi che fa il professorPerotti sull’utilizzo dei fondi strutturali, siarriva addirittura all’idea che, siccome perutilizzare i fondi europei occorre unaquota di cofinanziamento nazionale, forsesarebbe il caso di evitare di utilizzare queifondi e impiegare semmai la quota dicofinanziamento nazionale per altre prio-rità di intervento. Su questo, come eraovvio e giusto, si è aperto un dibattitoanche sui mezzi di informazione. Nellastessa giornata in cui veniva pubblicato lostudio di cui oggi parliamo arrivò la ri-sposta del dottor Laterza, vicepresidente diConfindustria, e successivamente uscìun’intervista del professor Viesti, che tral’altro ascolteremo nei prossimi giorni nel-l’ambito della medesima indagine.

Non vado oltre e, ringraziandolo per lasua presenza, do subito la parola al pro-fessor Perotti affinché svolga la sua rela-zione.

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ROBERTO PEROTTI, Professore ordi-nario di politica economica presso l’Uni-versità Bocconi di Milano. Grazie peravermi invitato. Vorrei toccare alcuni ar-gomenti.

Il primo è il modo in cui è stata attuatal’idea del cofinanziamento, che in teoria èuna buona idea. Il secondo è quantoconosciamo e quanto non conosciamo icosti e benefici dei vari progetti finanziaticon i soldi europei.

Successivamente vorrei parlare dellatracciabilità dei vari progetti, dell’inutile edannosa complessità della programma-zione, della rilevanza e utilità degli indi-catori di risultato, che sono un asse por-tante della programmazione per il periodo2014-2020, e di quanto sia cambiata o noncambiata la programmazione per il pe-riodo 2014-2020. Argomenterò che nellasostanza non è cambiata e che i problemisono rimasti irrisolti.

Infine vorrei parlare di possibili alter-native all’uso dei fondi europei.

Voglio cominciare con qualcosa chesicuramente conoscete meglio di me e cioèil fatto che i fondi strutturali in Italia sonoessenzialmente di due tipi: Fondo socialeeuropeo (FSE) e Fondo europeo di svi-luppo regionale (FESR). Il mio interventoverterà principalmente sul Fondo socialeeuropeo, ma quasi tutto quello che dirò siapplica anche al FESR.

L’Italia negli ultimi anni ha ricevuto inmedia circa 3 miliardi di euro dall’Unioneeuropea per FSE e FESR. A questi vaaggiunto il cofinanziamento italiano, perun totale di circa 6 miliardi di euroall’anno. Per il settennio 2014-2020 lostanziamento dell’Unione europea perl’Italia, tra tutti i vari fondi, è di circa 40miliardi di euro. Se includiamo il cofinan-ziamento italiano, parliamo quindi di 80miliardi di euro. Sono cifre notevoli.

Venendo al primo argomento, il cofi-nanziamento è un’ottima idea in teoria. Èun modo per obbligare il beneficiario deifinanziamenti ad avere un interesse nel-l’attuazione dei progetti e quindi a realiz-zare buoni progetti. Il problema è chequesta ottima idea è stata attuata moltomale perché cofinanziamento in Italia vuol

dire cofinanziamento da parte dello Statocentrale mentre, come sappiamo, i progettisono attuati dalle regioni e dalle province.Solo il 4 per cento dei fondi totali provienedalle regioni.

L’attuazione del cofinanziamento scon-figge pertanto l’idea di partenza di coin-volgere il beneficiario perché le regioninon hanno alcun interesse a far funzio-nare i progetti. Ricevono soldi per metàdall’Unione europea e per metà dallo Statoe quello che interessa loro è soltantomassimizzare il numero di progetti cheattuano, sia che riescano bene sia cheriescano male. Le regioni non hanno unparticolare interesse a seguire l’attuazionedi questi progetti. L’attuazione dell’idea dicofinanziamento è quindi profondamentesbagliata, soprattutto in Italia.

Il secondo problema di cui voglio par-lare, e che forse è il problema principale,è ciò che sappiamo dei costi e dei beneficidei vari progetti attuati. C’è l’idea che ifondi europei, una volta stanziati, sianogratis e possano essere usati indipenden-temente dal fatto che i progetti finanziatisiano buoni o cattivi. Essendo gratis, usarequesti soldi male non fa. Tornerò suquesto argomento, ma c’è qualcosa diprofondamente sbagliato in questa attitu-dine.

Noi dovremmo avere un’idea degli ef-fetti causali di queste migliaia e migliaia diprogetti finanziati con fondi europei. Levalutazioni formali non mancano. C’è anziun’intera industria in Italia che sopravvive– e bene – sulla valutazione dei fondieuropei. Solo per l’FSE dal 2007 al 2012ci sono 280 documenti e probabilmente sitratta di una sottostima perché moltissimidocumenti non vengono pubblicati. Alcuneregioni, per esempio, non pubblicano certevalutazioni anche perché sono negative.

Purtroppo questi 280 documenti – che,come dicevo, forse sono qualche migliaio –non ci dicono niente su ciò che vorremmosapere e cioè sugli effetti causali dei pro-getti. Non ci dicono niente perché quelloche noi vorremmo avere è un’idea deibenefici sociali e dei costi per la collettivitàche questi progetti producono. I costi per

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la collettività includono anche l’uso alter-nativo che avremmo potuto fare dellerisorse usate per questi progetti.

Questi soldi non piovono dal cielo.Devono uscire dalle tasche del contri-buente italiano ed europeo. Anche se,come sappiamo, l’Italia è un contribuentenetto. Dovremmo quindi, tenere conto del-l’uso alternativo che potremmo farne.L’uso alternativo più semplice di tutti,come dirò in seguito, è lasciarli nelletasche dei contribuenti sotto forma ditaglio delle tasse.

Dovremmo avere anche un’idea del be-neficio sociale. Prendiamo l’esempio diuna persona che trova lavoro grazie, inconseguenza o dopo un corso di forma-zione. Prima di tutto non significa cheabbia trovato lavoro grazie al corso diformazione. In secondo luogo, non sap-piamo se questo corso di formazione siaun beneficio netto per la collettività. Sequesta persona trova un lavoro che durasei mesi a 500 euro al mese e il corso diformazione è costato 10.000 euro, l’analisicosti-benefici per la collettività ci dice chela cosa potrebbe non aver funzionato.

Un esempio di tentativo di valutazioneè rappresentato dalla tabella 5 a pagina 4.Si tratta di un documento della regioneLazio che tenta di andare al di là dei solitidati che vengono pubblicati, tipicamentedati sul numero dei corsi di formazioneattuati, sul tasso di utilizzo dei fondieuropei eccetera che non ci dicono asso-lutamente niente sugli effetti causali esulla desiderabilità sociale dei corsi diformazione.

La tabella 5 ci dice qualcosa di più. Èun tentativo di verificare quante personesono occupate a sei mesi e a dodici mesidalla frequentazione di un corso di for-mazione. Nella colonna 1 i dati sono quelliderivati dalle comunicazioni obbligatoriedei centri per l’impiego; nella colonna 2 idati sono ricavati da interviste compiutedalla regione Lazio.

Come vedete, c’è una enorme diffe-renza. Nella colonna 1 il tasso di occupa-zione a dodici mesi è del 4 per cento; nellacolonna 2 è del 35 per cento. Anche questotentativo di dare un’idea degli effetti dei

corsi di formazione non ci dice niente. Èil 4 per cento o il 35 per cento ? Non si faalcun tentativo per farci capire. Anchequesti dati, che come ripeto sono moltorari, sono abbastanza inutili per coglierela desiderabilità sociale di questi corsi diformazione.

Quello che dovremmo sapere è quantosono costati i corsi di formazione, quantoguadagnano gli occupati, quanto è duratol’impiego e se questi sono effettivamenteposti di lavoro addizionali, nel senso chesono dovuti alla frequentazione dei corsidi formazione o semplicemente vengonoper caso dopo la frequentazione del corsodi formazione. Se, per esempio, l’aziendaha licenziato una persona per far posto alnuovo occupato che proviene dal corso diformazione, dal punto di vista della societànon c’è in questo caso alcun beneficio e ilcosto del corso di formazione è uno sprecototale.

Avremmo quindi bisogno di conosceretutte queste informazioni, ma in vent’annie più di programmazione europea non c’èun documento che si avvicini neanchelontanamente a un tentativo di risponderea queste domande. Di fatto siamo nel buiopiù completo sugli effetti dei progetti fi-nanziati dall’Unione europea.

Qualcosa è stato fatto in ambito acca-demico. Si tratta di uno studio recentis-simo di Enrico Rettore, Silvia De Poli eAntonio Schizzerotto, pubblicato anch’essosu lavoce.info, sui dati della provinciaautonoma di Trento. Mostra che i corsi diformazione fatti nella provincia di Trentohanno avuto qualche effetto sulla proba-bilità di trovare un impiego per due ca-tegorie di persone: donne e immigratistranieri. Non hanno avuto invece alcuneffetto sugli uomini e sugli over 45 uominie donne.

È già un passo avanti. È rarissimo chesi faccia una valutazione del genere, maanche qui dovremmo sapere quanto sonocostati i corsi, quanto sono durati gliimpieghi trovati dalle persone che li hannofrequentati eccetera.

L’Unione europea finanzia un networkdi esperti che raccoglie i cosiddetti « do-cumenti di valutazione », che come ab-

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biamo visto sono tali solo nominalmente,in tutta Europa e cerca di tirare conclu-sioni un po’ generali. Per l’Italia, il docu-mento del network di esperti dell’Unioneeuropea mostra che i corsi di formazionefra il 2007 e il 2012 hanno guadagnatocirca un milione di qualificazioni, con222.000 job entries, cioè entrate nel mondodel lavoro, che in Italia sono definitemolto poco chiaramente. Le regioni ita-liane che maggiormente beneficiano delFondo sociale europeo, cioè le regioni delMezzogiorno, non forniscono questi dati,che quindi sono stimati un po’ a spanne.

Se prendiamo alla lettera questi dati,220.000 job entries e almeno 7,5 miliardidi spesa per corsi di formazione in queicinque anni – cifra che abbiamo calcolatoFilippo Teoldi, il mio coautore, e io sullabase dei dati Opencoesione –, emerge cheogni job entry è costata almeno 33.000euro. È tanto o è poco ? Non lo sappiamo.

Se per queste persone avessimo speso33.000 euro di formazione, ma il lavoroche hanno trovato fosse permanente, pro-babilmente non sarebbe tanto. Se questepersone, invece, avessero trovato un lavorosottopagato per soli tre mesi, 33.000 eurosarebbero un’enormità. Di fatto abbiamouna vaga idea di quanto siano costatequeste job entries, benché, come ripeto, ilcalcolo sia fatto a spanne, ma non ab-biamo la minima idea se ne sia valsa lapena, se sia tanto o poco.

Un altro esempio di quanto sia difficileo meglio del fatto che non si sia neanchetentato di valutare queste spese, è conte-nuto nella tabella 6. Sempre sulla basedelle valutazioni del network di espertieuropei, essa ci dice quante persone hannopartecipato ai corsi di formazione –21.000 in Italia, 253.000 in Francia e207.000 in Germania, ma si tratta di unsotto-campione – e quante hanno trovatolavoro dopo questi corsi di formazione. InItalia ha trovato occupazione dopo il com-pletamento del corso l’uno per cento deipartecipanti, in Germania il 15 per centoe in Francia il 19 per cento.

È molto probabile che questa diffe-renza enorme fra Italia, Francia e Ger-mania sia dovuta al fatto di considerare

corsi di formazione diversi, metodologiediverse nella raccolta dei dati e così via,ma ci dà un’idea del fatto che o questoenorme sforzo, che è costato all’Unioneeuropea decine di milioni di euro perraccogliere dati, ci dice qualcosa suglieffetti causali dei corsi di formazione, eallora se prendiamo per buono l’uno percento dell’Italia contro il 20 per centodella Francia dobbiamo concludere che inItalia l’attuazione dei corsi di formazioneè stata terrificante; oppure, com’è piùprobabile, questi dati non ci dicono nientesugli effetti causali dei corsi di formazionee non rappresentano una valutazione, eallora continuiamo a spendere decine dimilioni di euro per valutare questi corsi emiliardi di euro per attuarli senza avere laminima idea dei loro effetti.

Il terzo argomento di cui voglio parlareè la tracciabilità dei fondi. C’è l’idea che ifondi europei vadano a finire in un grandecalderone in cui nessuno riesce più acapire cosa succeda esattamente. Questoin parte è vero. Si dice anche che ci siastato un grande miglioramento negli ultimidue anni grazie al portale Opencoesione,che costringe tutti coloro che ricevonosoldi dai fondi europei a comunicare de-cine di variabili, tra cui l’uso che ne è statofatto, il nome del progetto eccetera.

È un passo avanti. Tuttavia mi è statodetto, e utilizzandolo l’ho verificato, che,per esempio, nel caso dei corsi di forma-zione alcuni attuatori comunicano ognisingolo partecipante come singolo progetto– se ci sono cento partecipanti, vengonocomunicati cento progetti –, mentre altricomunicano un progetto per ogni corso diformazione. Alcuni comunicano le ore to-tali, altri le ore individuali. Perciò è moltodifficile calcolare il costo per ora dei corsidi formazione. È anzi impossibile. Alcunicomunicano il numero dei partecipanti,altri non lo comunicano eccetera.

Alla fine è inutile illudersi che questostrumento ci consenta di fare una valuta-zione dei corsi di formazione nel sensoche intendevo prima. Questo strumento ciconsente al massimo di tracciare quantisoldi sono stati spesi, ma nient’altro. Se-condo le indagini su Opencoesione che ho

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svolto con Filippo Teoldi, risultano inItalia 500.000 progetti di corsi di forma-zione in cinque anni. Probabilmente èmolto ed è forse dovuto al fatto che alcunicomunicano una persona come un pro-getto e altri comunicano l’intero corso diformazione. Non sappiamo nemmenoquanti corsi di formazione sono stati at-tuati in Italia.

Il quarto punto di cui voglio parlare èl’enorme complessità della programma-zione dei fondi strutturali. È una com-plessità completamente inutile e total-mente dannosa. Non voglio dilungarmitroppo. Ho alcuni grafici che potete esa-minare, ma sono sicuro che abbiate fami-liarità con la complessità della program-mazione europea.

Voglio solo far notare che la program-mazione europea per gli anni 2007-2013parte con tre orientamenti o priorità,ognuno dei quali si articola in tre o piùorientamenti specifici, ciascuno dei quali,a sua volta, si articola in più voci chevengono chiamate molto confusamenteorientamenti, orientamenti per interventi,linee-guida, linee azione eccetera. Il gra-fico 1 mostra questo albero decisionale. Ifondi strutturali hanno poi il loro regola-mento, che si compone di assi o priorità,ciascuno dei quali ha delle sotto-priorità,che sono mostrate nel grafico 2.

Non è finita perché ci sono anche laprogrammazione nazionale e la program-mazione regionale. La programmazionenazionale, come tutti voi sapete, cominciacol quadro strategico nazionale e continuacon i piani operativi regionali eccetera. Ilquadro strategico nazionale individuadieci macro-obiettivi, ognuno dei quali siarticola in più priorità, che non vannoconfuse con le priorità della programma-zione europea. Ogni priorità si articola inpiù obiettivi generali e ogni obiettivo ge-nerale si articola in più obiettivi specifici.In tutto stiamo parlando di centinaia divoci.

Un esempio è nel grafico 3, che mostrail primo macro-obiettivo, cioè « Svilupparei circuiti della conoscenza », le sue prio-

rità, gli obiettivi generali e i sotto-obiettivi.Questo va moltiplicato almeno per dieciperché i macro-obiettivi sono dieci.

Vengono poi i programmi operativi re-gionali (POR) – ce ne sono ventuno per ilFESR e ventuno per il Fondo socialeeuropeo – e i piani operativi nazionali(PON). In tutto ci sono 62 piani operativi,ciascuno con la propria lista di priorità,sotto-priorità, interventi strategici o orien-tamenti strategici a seconda dei casi. C’èun’enorme variabilità in queste termino-logie.

Alla fine la programmazione regionaledeve essere resa compatibile con quellanazionale e quelle nazionale e regionaledevono essere rese compatibili con la pro-grammazione europea. Anche qui, in ogniprogramma operativo regionale ci sonodecine e decine di pagine per dimostrareche le centinaia di sotto-orientamenti sonocompatibili con le centinaia di sotto-orien-tamenti della programmazione europea.

È letteralmente impossibile districarsitra queste centinaia di voci, che sono peraltro completamente inutili. Sono talmentetante e talmente generiche che qualsiasiprogetto ragionevole o in molti casi irra-gionevole si voglia finanziare tramitel’Unione europea rientra in qualcuna diqueste centinaia di voci.

Il problema, però, è che questa enormeproliferazione di terminologie e di dia-grammi di flusso genera un’enorme buro-crazia, che chiaramente è sfuggita dimano. Genera decine di agenzie, di societàoperative e di iniziative. Il caso del Lazioè paradigmatico e vi invito – immaginoche il problema vi sia familiare – aosservare le decine di agenzie che nelLazio operano con i fondi strutturali eu-ropei, interagiscono fra di loro, si sovrap-pongono eccetera.

Il quinto problema di cui vorrei parlareè quello degli indicatori di risultato. Fun-zionano ? Quando viene fissato un target,questo target ha effetto ? Perché abbiaeffetto deve avere due caratteristiche. Laprima è che deve corrispondere in modounivoco a dei risultati desiderabili per lacollettività. Sembra ovvio, ma purtroppo i

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target più frequenti – ogni regione ne fissacentinaia – non hanno questa caratteri-stica.

Per esempio, un target tipico è cheentro i prossimi sette anni il numero difrequentatori dei corsi di formazionepassi da X per cento a X più 20 percento. Questo è un target quantitativo, maprima di volere aumentare il numero deipartecipanti del 20 per cento dobbiamochiederci se valga la pena fare dei corsidi formazione. Come abbiamo dettoprima, magari non vale la pena.

La seconda caratteristica di un target èche deve essere collegato all’azione delpolicy maker. Un target come quello diaumentare l’occupazione femminile del 10per cento è irrilevante perché sappiamoche l’occupazione femminile dipende ingran parte dalla congiuntura economica esolo in piccolissima parte dall’azione deiFondi sociali europei.

La tavola 7 mostra alcune delle centi-naia di target che sono stati ideati nellaregione Lombardia. È un piccolissimo sot-toinsieme dei target del POR della regioneLombardia. Come vedete, sono target spe-cifici fino alla quarta cifra decimale. Nelsecondo panel, riga a), per esempio, tra gliindicatori di risultato è scritto che il tassodi copertura dei destinatari degli interventidi formazione continua cofinanziati ri-spetto al totale degli occupati deve esseredello 0,59 per cento per il 2007, con uno0,42 atteso per il 2013. Questo era il targetche la Lombardia si era posta per il 2013,alla quarta cifra decimale. Tutti questitarget sono ovviamente inutili perché noncorrispondono nemmeno a uno dei duecriteri che abbiamo visto prima.

Con la nuova programmazione 2014-2020 c’è stato molto marketing, come pertutte le nuove programmazioni. Come ri-corderete, nel 2006 si diceva che la pro-grammazione 2000-2006 era stata sba-gliata completamente, che c’erano statiproblemi di ogni tipo e che per il 2007-2013 sarebbe cambiata in modo radicale.Arrivati al 2014 sappiamo che non ècambiato niente e che forse le cose sonopeggiorate. Adesso si dice che con la nuovaprogrammazione cambierà tutto e ci si è

resi conto degli errori passati. Quello chevoglio mostrare è che in realtà c’è qualchepiccola differenza di forma, ma non disostanza.

La nuova programmazione europeaparte con tre priorità, che adesso si chia-mano « una crescita intelligente, sosteni-bile e solidale », ma che con nome diversosono esattamente le tre priorità degli anni2006-2013. Ci sono poi undici obiettivitematici, che prima si chiamavano orien-tamenti specifici. Ci dovrebbe essere ancheun quadro strategico comune che do-vrebbe indicare gli orientamenti strategicicorrispondenti a quelli della passata pro-grammazione, ma che io sappia non èancora stato scritto.

Tra le regole del Fondo sociale europeooggi ci sono le priorità di investimento –che prima si chiamavano priorità e basta– per ogni obiettivo tematico della pro-grammazione comunitaria. Sono tipica-mente sei o sette per ogni obiettivo tema-tico. Alla fine, quindi, il numero è uguale.

Ne saprete più di me, ma che io sappial’unico documento italiano ufficiale di li-vello nazionale a essere stato pubblicato èl’accordo di partenariato, che nelle suevarie centinaia di pagine definisce anche lelinee di indirizzo strategico, i risultatiattesi e gli indicatori di risultato.

Le linee di indirizzo strategico sonomolto simili agli obiettivi generali del qua-dro strategico nazionale della passata pro-grammazione. I risultati attesi sono similiagli obiettivi specifici e di fatto consentonotutto quello che era consentito prima eviceversa. Non è cambiato praticamenteniente.

C’è un documento preesistente all’ac-cordo di partenariato, che si chiama « Me-todi e obiettivi per un uso efficace deifondi comunitari » ed è stato pubblicatodurante il Governo Monti, che presenta irisultati attesi e gli indicatori di risultatocome una delle sette grandi innovazioni diun metodo profondamente rinnovato (sot-tolineato due volte nell’originale). Questeinnovazioni sarebbero risultati attesi,azioni, attuazioni, tempi previsti e sorve-gliati, apertura, partenariato mobilitato,valutazione, forte presidio nazionale.

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Non approfondisco tutte queste presunteinnovazioni. Se prendiamo la prima (« Ri-sultati attesi »), il documento scrive che« nella programmazione operativa gliobiettivi stabiliti saranno definiti sottoforma di risultati attesi che si intendeattuare in termini di qualità di vita dellepersone e/o di opportunità delle imprese.I risultati attesi saranno in genere misuratida uno o più indicatori di risultato checonsentiranno di rendere evidenti le fina-lità degli interventi e di dare un pungoloforte agli amministratori per la loroazione e alla valutazione di impatto diavere una base di riferimento ».

Abbiamo visto però che i risultati attesisono equivalenti agli obiettivi specifici egià i POR del passato contenevano centi-naia di obiettivi specifici e indicatori dirisultato fino al quarto decimale. Nellanuova programmazione gli indicatori dirisultato dovrebbero avere un ruolo di-verso ed essere più efficaci perché piùspecifici, ma di fatto non è così. Comeabbiamo visto erano molti e molto speci-fici anche prima.

Prendiamo per esempio il risultato at-teso 3 concernente l’obiettivo tematico 1. Ilrisultato atteso 3 parla di innalzamentodel livello di istruzione della popolazioneadulta. Il primo indicatore di risultato èrelativo agli adulti che partecipano all’ap-prendimento permanente; il secondo èrelativo alla popolazione tra i venticinquee i sessantaquattro anni che frequenta uncorso di studio o di formazione professio-nale.

Questi due indicatori non soddisfano ilprimo principio, cioè non corrispondonoin modo univoco a un obiettivo desidera-bile. Nella passata programmazione ab-biamo visto che la Lombardia desideravache lo 0,39 per cento della forza lavoro nel2014 partecipasse a corsi di formazione.Qui non c’è un obiettivo numerico, ma untarget. È una buona cosa o no ? Non losappiamo. Come ripeto, se i corsi di for-mazione costano tantissimi soldi e produ-cono effetti molto piccoli, non è unabuona cosa.

Prendiamo il risultato atteso 5, cioèl’innalzamento dei livelli di competenza, di

partecipazione e di successo formativonell’istruzione universitaria ed equivalenteeccetera. L’indicatore di risultato è lacondizione occupazionale dei laureati edei diplomati post-secondari dodici mesidopo il conseguimento del titolo. Questoindicatore non possiede la seconda qualità,cioè non ha niente a che vedere con glieffetti dei fondi sociali europei. Non pos-siamo infatti aspettarci che i fondi socialieuropei dopo due o tre anni abbianoeffetto sul tasso di occupazione degli uni-versitari, che dipende esclusivamente dalciclo economico. Questo numero, pertanto,non serve a determinare gli effetti deicorsi di formazione e dei fondi europei.

La sesta profonda innovazione sarebbela valutazione. Secondo la nuova program-mazione, a differenza che nel passato,bisogna valutare. In realtà, come abbiamovisto, negli anni passati abbiamo valutatoe fin troppo. Come ripeto, abbiamo spesodecine di milioni di euro per pagare cen-tinaia di centri di ricerca che conduces-sero le cosiddette valutazioni, ma pur-troppo non è servito a niente perché nonerano vere valutazioni.

Nell’accordo di partenariato e in questodocumento « Metodi e obiettivi » non c’ènulla che indichi concretamente come farela valutazione. Il problema è che con i datiattualmente disponibili, i migliori dei qualisono quelli di Opencoesione, non riusci-remo mai a valutare i progetti attuati coni fondi europei. Sia nella forma sia nellasostanza, quindi, la nuova programma-zione non si discosta dalla vecchia pro-grammazione. Anche molti di voi si sa-ranno accorti che in questi documenti c’èmolta retorica, ma pochi fatti.

L’ultimo punto che vorrei trattare ècosa si potrebbe fare in alternativa con ifondi europei. Voglio partire da un’ideaprofondamente sbagliata. Sarete sicura-mente consapevoli dell’enorme dibattitoche è in corso in Italia sul fatto che ilnostro Paese è quello che riesce a utiliz-zare meno i fondi europei stanziati. Que-sto viene considerato un enorme problemae una dimostrazione di incompetenza per-ché si crede che questi soldi stanziati sianogratis e debbano essere utilizzati.

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Tutto ciò è profondamente sbagliatoperché questi soldi non sono gratis. Primadi tutto, anche se i fondi europei sono statigià stanziati, per utilizzarli occorre il co-finanziamento. Per ogni euro dei fondieuropei che utilizziamo dobbiamo mettereun euro di cofinanziamento. L’idea chesarebbe un peccato non raccogliere perstrada dei soldi gentilmente offerti dal-l’Unione europea è un errore perché que-sti non sono soldi gratis, nemmeno quelligià stanziati.

In più, come sappiamo, l’Italia è uncontribuente netto e quegli stanziamentideve pagarli. Ogni euro che riceviamodall’Unione europea viene a costare alcontribuente italiano due euro. È crucialecercare di capire se valga la pena spenderequeste risorse oppure no. L’idea, ripetutasu tutti i giornali e nei dibattiti a tutti ilivelli, che non essere capaci di spendere isoldi dell’Unione europea è un delittoperché ce li regalano è profondamenteerrata. Torno a ripeterlo. Questi soldi nonsono gratis certamente per il contribuenteeuropeo, ma neanche per il contribuenteitaliano.

Non dobbiamo chiederci come usarequesti soldi il più possibile, ma se valga lapena usarli dal punto di vista della col-lettività. Quello che ho cercato di dimo-strare è che forse vale la pena o forse no,ma che in realtà non ne abbiamo laminima idea. Prima di usare 80 miliardi dieuro – quanto dovremmo spendere inteoria dal 2014 al 2020 –, che rappresen-tano circa il 5 per cento del PIL italiano,dobbiamo chiederci se ne valga la pena.

La mia risposta è che non lo sappiamo.Probabilmente non ne vale la pena, mal’onere della prova spetta a chi vuolespenderli. Una possibilità è quella di ri-nunciare almeno a una parte di questisoldi. Credo siamo tutti d’accordo sul fattoche, al di là dell’utilità o inutilità di alcuniprogetti, molti di questi sono un purospreco di denaro e in molti casi alimen-tano il sottobosco della politica, se nonaddirittura la criminalità organizzata.

Supponiamo che l’Italia rinunci a 3miliardi di euro all’anno in cambio di unosconto di altrettanti miliardi sui contributi

dovuti all’Unione europea. Dal punto divista dell’Unione europea non cambie-rebbe niente. Il contributo netto dell’Italiaall’Unione Europea e quindi in particolarealla Polonia e ai Paesi nuovi entranti noncambierebbe. I fondi che gli altri Paesiricevono dall’Unione europea restano glistessi e quindi l’Unione non si può lamen-tare.

L’Italia dà 3 miliardi di euro in menoall’Europa di contributi e ne riceve 3 inmeno. Fin qui, al netto, non cambia nienteneanche per l’Italia. L’Italia però risparmia3 miliardi di euro di cofinanziamento. Ilrisparmio per l’Italia è pertanto di 6 mi-liardi di euro all’anno, che potrebbero es-sere usati per tante cose, incluso un taglioalle tasse magari concentrato al sud, dove ifondi europei sarebbero destinati. Se sui 40miliardi di euro di fondi stanziati per glianni 2014-2020 l’Italia rinunciasse al 50 percento, potrebbe risparmiare 20 miliardi dieuro di contributi all’Europa e 20 miliardidi cofinanziamento, cioè 40 miliardi di eurototali da destinare, per esempio, a tagli alletasse al sud.

L’obiezione a questa proposta, am-messo che sia utile e ovviamente, come sidiceva prima, pochissime persone sonod’accordo, almeno a parole, è che sarebbeirrealistica perché i giochi sono fatti al-meno per il periodo 2014-2020. Faccionotare che questo non è vero. Così comeper il fiscal compact e per tanti altritrattati europei molto più visibili e politi-camente più centrali, a proposito dei qualiin Italia c’è forte pressione perché sianorinegoziati – se ne parla continuamentenel dibattito –, se ci fosse la volontàpolitica sarebbe perfettamente possibilerinegoziare anche questi stanziamenti.

Faccio anche notare che, mentre nonc’è la volontà politica europea, fatta ecce-zione per alcuni Paesi del sud dell’Europa,di rinegoziare il fiscal compact – quella èla proposta davvero irrealistica –, ci sa-rebbe invece un’enorme volontà politica daparte di tutti i Paesi, certamente quellidell’Europa centrale e settentrionale, dirinegoziare i finanziamenti dei fondi strut-turali.

Vi ringrazio.

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PRESIDENTE. Ringrazio il professorPerotti anche per la esaustiva relazione, dicui autorizzo la pubblicazione in allegatoal resoconto stenografico della sedutaodierna (vedi allegato), e do la parola aicolleghi che intendano intervenire perporre quesiti o formulare osservazioni.

ROCCO BUTTIGLIONE. È stata unarelazione molto interessante, che mi con-ferma in un mio antico convincimento ecioè che il finanziamento alla formazioneprofessionale in Italia serve per lo più acreare posti di lavoro per i formatori, manon per i formati.

Ho tre questioni da porre. La primadomanda è perché questi studi sono fatticosì male. A occhio non mi sembra esistauna difficoltà metodologica così grande.Basta fare dei gruppi di controllo, met-tendo da un lato quelli che hanno fatto icorsi e dall’altro quelli che non hannofatto i corsi, e verificare se entro sei mesiquelli che hanno fatto i corsi abbiano unapercentuale di occupazione più elevata diquelli che non hanno fatto i corsi.

Non riesco a capire come si possanofare degli studi senza gruppi di controllo.Ci sono delle difficoltà ? E quali sono ?Esiste una volontà di prendere in girooppure ci sono difficoltà che rendonoimpossibile l’applicazione di metodologieche in altri casi analoghi e anche in altriPaesi che hanno affrontato problemi ana-loghi consentono invece di valutare effet-tivamente la qualità del prodotto ?

Vengo alla seconda osservazione. Non èche i soldi dell’Unione europea sono spesimale, professore. In Italia sono spesi malei soldi per la formazione professionale ingenerale, europei e non europei. È difficileaccettare la proposta di abolire la forma-zione professionale perché sono spesi malei soldi. La formazione professionale, se-condo il mio modesto parere, in Italia nonfunziona perché manca il punto di par-tenza, cioè il fabbisogno, la domanda diformazione professionale che esprime ilsistema Italia.

In altri Paesi ogni impresa la qualepensa di programmare delle assunzioninell’anno successivo o di lì a due anni, nel

caso abbia un corso di formazione bien-nale, lo comunica al Ministero del lavoro,che mette a bando un certo numero diposti di apprendista. Noi abbiamo abolitol’apprendistato ed è stata una scelta sba-gliatissima. In questo modo, quando si vaa formare qualcuno, si sa già qual è ilpunto d’arrivo della formazione e dov’è ladomanda. Chi forma è lo stesso che poiassumerà, salvo che le cose vadano inmodo diverso e non si incontrino. Ma l’85per cento degli apprendisti in un Paese anoi vicino viene assunto al termine del-l’apprendistato.

Deve schiodarsi questo punto. Leiprova troppo perché non prova che sonospesi male i soldi europei: prova che ilsistema italiano della formazione profes-sionale non funziona.

Come terzo punto, mi consenta diesprimere qualche perplessità sulla solu-zione che lei sostiene. Per la verità un’oc-casione di parlarne a livello europeo cisarebbe. Non è così semplice, ma nel 2016abbiamo un appuntamento per la revi-sione di medio termine del bilancio euro-peo. Il bilancio è stato approvato provvi-soriamente con l’impegno di ridiscuterlo.Nel 2016, quindi, si potrebbe ridiscutere.

Le difficoltà che io vedo nella suaproposta, che immagino essere provocato-ria, è che questi fondi sono assegnati conuna finalità specifica, cioè quella di col-mare un divario di sviluppo. Sono quindi« targettati » in modo diverso secondo lediverse regioni. Grosso modo il 60 percento di questi fondi è speso nel Meri-dione. Per poterli trasformare in esenzionefiscale dovremmo poter applicare al Me-ridione una tassazione privilegiata, maquesto ci è impedito proprio dal sistemaeuropeo perché si tratterebbe di una vio-lazione delle regole di base del mercatointerno.

Abbiamo più volte chiesto di poterlofare e di creare una situazione di ecce-zione che ci consentisse di fare dell’esen-zione fiscale uno strumento di incentiva-zione e di sviluppo. Fino a ora questa èuna porta che non abbiamo mai sfondato.Ho qualche idea su come si potrebbesfondare, ma non la vedo facile perché

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richiederebbe un cambiamento delle strut-ture della nostra spesa pubblica che inquesto momento non vedo facilmente rea-lizzabile.

Queste sono le tre osservazioni chevolevo fare. Grazie per il suo contributo.

ROBERTO OCCHIUTO. Ringrazio ilprofessor Perotti per la puntuale e corag-giosa analisi che ci ha offerto.

Mi sento di condividere tutta la primaparte della sua relazione, la parte chepotremmo definire destruens, sull’ineffica-cia della formazione professionale, chespesso è utile solo a costruire un’industriadei formatori senza riscontro nella pro-duzione di posti di lavoro, e sull’industriadella valutazione che, a margine dei pro-grammi e della complessità dei pro-grammi, viene posta in essere soprattuttodalle regioni.

Anch’io però ho qualche dubbio sullaproposta, sulla parte construens, per dirlacon Bacone. In assoluto il modo miglioreper rendere più efficace la spesa di questifondi sarebbe quello di orientarla attra-verso meccanismi automatici e non discre-zionali, anche per sottrarre queste risorseall’intermediazione politica e burocratica,dove spesso si annidano le degenerazioniin termini di corruzione e le collusioni conla criminalità organizzata a cui lei facevariferimento.

Anch’io però ho il dubbio che la suaproposta di modificare la nostra parteci-pazione al bilancio europeo possa incon-trare difficoltà. Anche qualora non leincontrasse, ci potrebbe essere un’obie-zione che negli anni si è consolidata an-cora di più. Volendo contribuire, ma ri-negoziando le modalità che sono troppocomplesse, si potrebbe destinare quotaparte di queste risorse in maniera auto-matica, per esempio, ad abbattere le tasse– io direi ad abbattere il cuneo fiscale –nelle quattro regioni Obiettivo conver-genza, come lei stesso dice nella conclu-sione della sua relazione. L’obiezione dimolti, evocata prima dal collega Butti-glione, è che si configurerebbe una sorta diaiuto di Stato.

Qualche mese fa mi sono esercitato,giusto per gioco, nello studio delle normeche stanno alla base di questo divieto. Hotrovato l’articolo 107 del Trattato sul fun-zionamento dell’Unione europea che vietagli aiuti di Stato, ma ho anche riscontratodelle deroghe. Al secondo comma di que-sto articolo, per esempio, si dice che sonocompatibili con il mercato interno gli aiutidi Stato « destinati a favorire lo sviluppoeconomico delle regioni ove il tenore divita sia anormalmente basso, oppure siabbia una grave forma di sottoccupazione[...] ». Mi chiedo se non sia questa lafattispecie, per esempio, delle quattro re-gioni Obiettivo convergenza.

Anche nelle pieghe dei trattati po-tremmo trovare l’occasione per ridiscuterequeste modalità al fine di evitare che lerisorse si perdano in mille rivoli a causadell’incapacità della politica e della buro-crazia, ma anche a causa della complessitàdelle regole fissate a monte dall’Europa.

Le chiedo se, secondo lei, invece cheavventurarsi in un negoziato in ordine allamodifica della contribuzione del nostroPaese al bilancio europeo non sarebbe piùutile aprire un negoziato con l’Unioneeuropea, che ci rimprovera di non spen-dere questi soldi utili alla convergenza, perpoterli spendere in maniera diversa, ren-dendo meno protagoniste la politica e laburocrazia di alcune regioni, che spessoutilizzano la complessità per generarequelle industrie cui facevamo riferimento,e destinarne una parte in maniera auto-matica, ad esempio, alla riduzione delcuneo fiscale nelle quattro regioni Obiet-tivo Convergenza, laddove si concentra laspesa di queste risorse.

Non sarebbe più utile aprire un nego-ziato di questo genere anziché rinegoziarea monte la partecipazione dell’Italia albilancio europeo in ordine a queste ri-sorse ?

La mia preoccupazione è che una pro-posta come la sua, apprezzabile per ilcoraggio di intervenire sul problema conuna verità cruda, fotografando l’esistente,rischierebbe di sottrarre risorse per laconvergenza a una parte del Paese che habisogno di convergenza solo perché finora,

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per colpa della politica locale e dellacomplessità delle regole europee, non sonostate spese.

Sarebbe forse più virtuoso interveniresottraendo spazi di protagonismo a chi hala responsabilità di non aver speso questerisorse a livello locale e chiedendo all’Eu-ropa una semplificazione delle modalità dispesa affinché diventino meno complesse epiù automatiche.

ADRIANA GALGANO. Ringrazio il pro-fessor Perotti soprattutto per essersi oc-cupato di questo tema. Nel corso dellenostre audizioni, anche su altri argomentiquali la ripresa del Paese, è un temasempre poco citato.

Ci chiedono tutti di aumentare la fles-sibilità e di ridurre il rigore, ma pochi sipreoccupano dei soldi che non abbiamospeso. Sono d’accordo con lei sul fatto cheal Paese serva ridurre l’imposizione fi-scale, ma penso anche che, se fossimo staticapaci di spendere tutti i fondi chel’Unione europea ci ha attribuito per pro-getti strategici, oggi non ci troveremmo inquesta situazione.

C’è un problema di regole europee. Noispendiamo il 56 per cento dell’importototale dei fondi, ma l’Europa non stamolto meglio perché la media europea è66 per cento. Sono molto d’accordo colcollega che diceva che è necessario rive-dere le regole europee. Le regole sono giàstate riviste il 1o gennaio 2014 e la Com-missione ha fatto inserire nel parere sul-l’accordo di partenariato la previsione diun’ulteriore revisione tra due anni dimodo che, nel caso in cui non si dimo-strassero funzionali, le regole possano es-sere cambiate. Allo stesso tempo abbiamorichiesto un crono-programma e abbiamochiesto al Governo di riferire sulla suarealizzazione.

Voglio aggiungere che la mancanza diefficacia dei fondi non è relativa solo allaformazione professionale. Recentemente èstata fatta una valutazione di ventiseiprogetti nel settore della mobilità cittadinain cinque Paesi europei e nessuno haportato i risultati stimati. Nella mia città,Perugia, è stato attuato un progetto – non

credo sia tra quelli valutati – che èconsistito nella costruzione, con soldi eu-ropei, di un avveniristico mini-metro cheha caricato la regione, da cui dipende ilfinanziamento, di 8 milioni di costi, perchétale è la differenza tra il numero deiviaggiatori e i costi. In generale c’è unproblema che riguarda l’efficacia del-l’azione pubblica più che la formazione edè così anche in altre parti d’Europa, nonsolo in Italia.

L’ultima cosa che desidero segnalare èche, al di là della sua proposta, entro il2015 avremmo 24 miliardi di euro daspendere e le azioni che potremmo intra-prendere per impiegarli utilmente per ilPaese sarebbero davvero tantissime. Se-gnalo anche che nel passato l’Inghilterraha provato a chiedere una riduzione deicontributi per non ricevere fondi, ma le èstato risposto di no. Anche il premierRenzi ha provato a proporlo e gli è statorisposto di no.

Dal momento che saper spendere que-ste risorse in maniera virtuosa potrebbecomportare un aumento di prodotto in-terno lordo in grado di farci ridurre letasse e di raggiungere comunque l’impor-tante obiettivo che lei delinea nella suarelazione, io le chiedo, in un’ottica direalismo e alla luce dei suoi studi, qual èsecondo lei la priorità per riuscire aspendere i fondi europei.

GEA SCHIRÒ. Rivolgo al professore imiei complimenti per la relazione e loringrazio per essere qui e per il climaseminariale che è riuscito a instaurare. Hoalcune osservazioni da fare, che poi cer-cherò di far convergere in un’unica do-manda.

Per quanto riguarda la pars destruens,la sua relazione è bellissima, interessantee anticonformista e presenta dati chiari einnovativi, soprattutto nel momento in cuici dice come porre le domande corrette.Significa davvero usare lo sguardo lateraleper affrontare gli argomenti. Io sento peròla mancanza della pars construens.

Analizzando lei ha trovato le debolezzedella struttura. Mi sarei aspettata, maprobabilmente ci sta lavorando, una pro-

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posta di « semplificazione ». Sono d’ac-cordo con lei sull’elefantiasi semantica chesi auto-genera dai testi precedenti, comelei stesso ha dimostrato, con i nuovi obiet-tivi che si trasformano per rimanere lastessa cosa. Mi domando se sia opportunoo possa funzionare, in una realtà cosìampia com’è l’Unione europea, una sem-plificazione. Non ho opinioni in propositoe delego la risposta a persone più espertedi me.

Dall’altro lato, però, mi stupisce chenelle conclusioni, laddove ci parla dell’usodei fondi europei e dei risparmi del nondelegare all’Europa e quindi del non ri-cevere fondi eccetera, non abbia analiz-zato gli altri Paesi europei. Noi deleghiamodei danari anche per le politiche comuni.Secondo lei dovremmo eliminare anchequella parte ? Nemmeno gli « eurofobici »inglesi o danesi applicano politiche di nonconferimento delle loro quote. Questo mistupisce e vorrei capire come si realizzaquesta partita di giro con soldi che sidanno e non si danno.

Per il resto, sono d’accordo con quantodetto dai colleghi sulla debolezza della nonappartenenza. Quello che temo e intravedodietro le sue conclusioni, purtroppo, è unabbandono di qualsiasi politica infrastrut-turale, di welfare interno, di delega alleregioni, da cui un oggettivo impoverimentodi una nazione che dovrebbe potere guar-dare alto.

Da ultimo, mi ricollego alle osserva-zioni sue e del collega Occhiuto sullanegoziazione. Abbiamo compiuto diversiatti parlamentari e studi sul tipo di ne-goziato per capire come negoziare. Unpunto fondamentale non potrebbe esserecominciare a studiare come rinegoziare ilmodo di negoziare ? Lo dico in modomolto semplice.

Una proposta che avevamo fatto, adesempio, era quella di intervenire sulleprocedure di infrazione saldando le piùantiche o le meno importanti che si po-tessero sommare e darci dei vantaggi tem-porali su una più grave, ad esempio,evitando il pagamento. Comunque, comin-

ciare ad affrontare lo studio della nego-ziazione e della contrattualistica, quindidella contrattualistica europea.

MARINA BERLINGHIERI. Cercherò diessere rapida. Innanzitutto ringrazio ilprofessor Perotti anche per il punto divista diverso che ci ha portato.

Soprattutto rispetto alla prima partedel suo intervento, come battuta mi vieneda dire sul tema della formazione profes-sionale che lei ha toccato – però, comedicevano anche altri colleghi, vale ancheper una serie di altri temi – che non è undestino affrontarla in questo modo.

Se adesso, dopo una serie di attivitàprogrammate negli ultimi piani finanziaripluriennali, tiriamo una riga e vediamoche il bilancio costi-benefici è andatomale, le letture possono essere due: una,che in sé il meccanismo pensato a livellogenerale non funziona; due, che noi stiamosbagliando nei modi in cui analizziamo ilpunto e troviamo delle soluzioni.

Credo che nel contributo che oggi lei haposto alla nostra riflessione manchil’aspetto del come noi, come Paese, siamostati dentro questa partita negli ultimianni. È storia conosciuta da tutti che nonci siamo seduti ai tavoli, non abbiamocontrattato in sede europea.

Sul fronte nazionale, il tessuto ammi-nistrativo che noi possediamo forse inquesto momento comincia a ragionarci,ma non è pronto e sicuramente non lo èstato per cogliere pienamente queste op-portunità.

Non in regioni che notoriamente fannopiù fatica, ma anche nelle regioni in cui c’èmaggiormente un’abitudine, per esempiotra i comuni, tra gli enti locali, tra i diversisistemi istituzionali, a fare sistema, c’èfatica a immaginare di utilizzare questifondi e queste opportunità per progetti eper finalità che possano da un lato dav-vero colmare il gap di coesione e dall’altropotenziare gli obiettivi della competitivitàdelle regioni del nord.

Quindi, credo che la lettura debbacomprendere anche questa parte e che losforzo – perlomeno io sono qui da unanno, alla mia prima legislatura – che in

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questo momento si sta cercando di fare siaanche quello di provare a capire qualipossono essere gli strumenti (e questaindagine conoscitiva va anche in questadirezione) da fornire agli enti locali e aisoggetti che devono mettere a punto iprogetti che devono essere finanziati, af-finché possano farlo secondo obiettiviforti, rispetto a quello che è il senso diquesti fondi.

Le conclusioni a cui lei arriva hanno undato politico che non possiamo dimenti-care. Certo, possiamo chiedere all’Europadi evitare di dare i soldi e di tenerceli, diavere meno tassazione e una serie divantaggi. Banalmente, si può anche sce-gliere di stare fuori dall’Europa, ma ilpunto è che anche rispetto a questo temac’è una visione complessiva da tener pre-sente.

Mi viene in mente, dall’esperienza am-ministrativa, quando si chiede a un grup-petto di comuni, magari limitrofi, sparsiper le montagne di mettere insieme le lororisorse per perseguire obiettivi comuni: ilpunto è che se ciascuno guarda l’interessee i costi-benefici netti del proprio pezzettonon sempre quando tira la riga i beneficisono maggiori dei costi; se si guarda iltema del beneficio complessivo di quellosforzo, diventa in termini assoluti un be-neficio per tutti, perché si spostano, dalpunto di vista della qualità dei servizi edella qualità della vita che si offre aicittadini, obiettivi che da soli queste realtànon potrebbero realizzare.

Riparametrato in grande, questo di-scorso vale anche per l’Europa. Credo chein questo momento si debba fare insiemeun lavoro in termini di rinegoziazioneanche a livello europeo, che può essere –lo dicevamo prima anche nell’audizione elo abbiamo detto più volte anche con icolleghi parlamentari europei – cercare diusufruire appieno delle regole di flessibi-lità scorporando per esempio dal tema delPatto di stabilità i progetti europei incofinanziamento, cercando di mantenereuna strategia europea ma liberando dellerisorse necessarie sui territori.

Da un lato, si deve cercare di fare inmodo che queste regole possano davvero

essere utili per tutti; dall’altro lato, però,dobbiamo avere la consapevolezza che leisottolineava bene che questi soldi sonosoldi nostri che scegliamo, dentro un per-corso politico che ci siamo dati di destinocomune con l’Europa, di mettere – per-donate il linguaggio – in un sacco comuneper trovare insieme obiettivi da realizzare.

Resta ferma la capacità nostra, dalleregioni agli enti locali a tutti coloro chesono gli utenti finali ma anche coloro cheproducono i progetti, di far sì che questoavvenga secondo gli obiettivi che, nel mo-mento in cui si è scelto di utilizzare deifondi insieme, ci si è dati.

Credo che la soluzione non possa inquesto momento essere quella di tornareciascuno a casa propria, perché è unasoluzione che finisce per essere assoluta-mente anacronistica dal punto di vista diquello che ci sta consegnando la storia intermini anche di globalizzazione dei mer-cati e di destino di interdipendenze co-muni.

PRESIDENTE. Do la parola al profes-sor Perotti per la replica, atteso che, oltrela condivisione dell’analisi, ci sono peròdifferenti opinioni rispetto alla propostafinale, che poi è oggetto dello studio ed èstata anche oggetto di approfondimentodella discussione di oggi, per una serie diragioni che alcuni dei colleghi che sonointervenuti hanno sviluppato in modo piùdettagliato.

ROBERTO PEROTTI, Professore ordi-nario di politica economica presso l’Uni-versità Bocconi di Milano. Grazie per ivostri interventi. Ci sono tre o quattrotemi comuni più o meno a tutti gli inter-venti, poi ci sono alcune domande speci-fiche a cui risponderò.

Il primo tema comune è ovviamentequello sulla parte propositiva. Voglio in-sistere, non era una provocazione ma,almeno nella mia idea, era una propostarealistica.

La mia proposta non ha niente a chefare con il ritirarsi dall’Europa, ma in uncerto senso è l’opposto. Dal punto di vistadell’Europa, voglio sottolinearlo, non cam-

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bia niente. Noi abbiamo per anni usufruitoin modo netto dell’Europa, perché era-vamo sotto la media e ci arrivavano piùrisorse di quanto pagavamo. Negli ultimicinque o sei anni la cosa si è invertita,perché sono entrati molti altri Paesi, par-ticolarmente la Polonia, e noi siamo deicontribuenti netti.

La mia proposta non ha niente a chefare con il sottrarsi ai nostri obblighi inquanto contribuenti netti. Il nostro con-tributo netto all’Europa rimarrebbe total-mente invariato. Mi rivolgo in particolarea lei perché ha sottolineato questo punto.La mia proposta non ha niente a che farecon il sottrarci allo spirito europeo e viadicendo.

La mia proposta è questa: poiché noiadesso diamo 16 miliardi di euro all’Eu-ropa a vario titolo e ne ricaviamo 11miliardi a vario titolo, diciamo semplice-mente che noi rinunciamo – poi diròperché secondo me dobbiamo farlo – a 3miliardi di euro da parte dell’Europa ediamo 3 miliardi in meno all’Europa.Invece di 16 e 11, il nostro rapporto conl’Europa diventa 13 e 8. La differenza èsempre 5 miliardi che vanno a finanziarela Polonia e via dicendo.

Dal punto di vista dell’Europa non cistiamo sottraendo ai nostri doveri di so-lidarietà europea, non cambia assoluta-mente niente. Ci tengo a sottolinearlo.

Questa è la parte contabile, però vengoanche alla fattibilità politica, altrimenti sipotrebbe obiettare che questa è una pro-posta non realistica per due motivi. Ilprimo è un motivo di timing: è vero, glistanziamenti sono stati fatti, però con lavolontà politica si supera tutto. Se l’uomoè andato sulla luna, se vogliono si cambiaanche lo stanziamento da 40 a 20 miliardi.Se Germania, Italia, Inghilterra, Francia lovogliono, fanno appunto quello che vo-gliono.

Inoltre, c’è un problema di trattati. Vadetto che i trattati non sono la tavola dellalegge, non sono lì per sempre. I trattatisono stati scritti parecchi anni fa; se ci siaccorge che nel frattempo il mondo èevoluto e prima pensavamo che con laspesa pubblica si risolvesse tutto, ma oggi,

dopo trent’anni di spesa pubblica nel sud,di spesa dei fondi europei, abbiamo vistoche non sono serviti a niente, anzi pro-babilmente hanno alimentato la malavita eil sottobosco politico, niente ci impedisce,se c’è la volontà politica, di cambiare itrattati. Sono una creazione umana; cosìcome li abbiamo creati li distruggiamo inquella parte e li rifacciamo, se riteniamoche sia opportuno.

In secondo luogo, io sono un economi-sta ma insieme a degli esperti in ambitolegale europeo stiamo investigando esatta-mente su questo. Come diceva lei, l’azionedell’Europa deve servire a far convergerele regioni meno sviluppate. Questo è ilfine, che è ovviamente lodevole. Qua-rant’anni fa si pensava che l’unico modofosse riempirle di ponti, strade, ferrovie,corsi di formazione eccetera. Magari que-sto è ancora vero; se però pensiamo chemagari la cosa migliore da fare sia tagliarele tasse, che non è un’idea assurda –possiamo dibattere, ma tutto sommato noncredo di essere l’unico pazzo al mondo chesostiene che tagliare le tasse possa essereuna buona cosa, soprattutto in un Paesedove le tasse sono il 52 per cento del PIL– niente ci impedisce di trovare altrepersone ragionevoli in altri Paesi che lapensano così e la soluzione si trova.

Però l’idea, in primo luogo, che i giochisono già stati fatti nel 2013 e fino al 2020non si tocca niente, e in secondo luogo cheun trattato scritto negli anni Cinquanta,con le idee degli anni Cinquanta, ci devevincolare per i prossimi trecento anni,anche se tutti la pensano in modo diverso,è un’idea a cui secondo me non dobbiamoarrenderci.

Il secondo punto è che avremmo potutospendere meglio i fondi. Invece di sugge-rire di rinunciare ad alcuni di questi soldi,qualcuno si chiede perché non proviamo aspenderli meglio. Esempio di questo sonoquesti 24 miliardi di euro (o forse un po’meno) che sono stati riprogrammati – ifamosi miliardi che sono stati salvati daBarca e riprogrammati – e che adesso leregioni stanno spendendo. Il problema,secondo me, è che noi dobbiamo fare iconti con la realtà. Noi da vent’anni e

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anche di più continuiamo a dire che,avendo imparato dalle esperienze passate,« questa è la volta buona ».

Se andate a prendere i volumi delloSVIMEZ sulle politiche nel mezzogiornod’Italia, si tratta di volumi, per ogni anno,di parecchie centinaia di pagine, in cuiogni anno si dice « oggi si cambia, cam-biamo tutto, abbiamo scoperto la bac-chetta magica » e ogni anno, se ci si guardaindietro, si dice « scusate, ci siamo sba-gliati, questa volta la bacchetta magica èquella vera ».

Noi, dicevo, dobbiamo fare i conti conla realtà. La realtà è che, come si diceva,il tessuto amministrativo di certe regioni èquello che è e non è che si cambia in tregiorni. Noi dobbiamo fare i conti conquesta realtà, che ci piaccia o no. Ovvia-mente ci piacerebbe che le regioni sianotutte amministrate come è amministrataStoccolma, ma il fatto è che le regioniitaliane non sono amministrate come Stoc-colma. Peraltro, se anche fossero ammi-nistrate come Stoccolma, noi non sap-piamo nemmeno se gli svedesi usano benequesti soldi. Loro ne hanno molti meno,ovviamente, perché ne hanno meno biso-gno, ma non sappiamo nemmeno se loroli usano bene.

Circa i soldi che sono stati riprogram-mati, qualcuno potrebbe dire che questisono soldi veramente gratis, altrimenti liavremmo persi. Il Lazio – ho studiatobene il caso del Lazio, che secondo me ètra i più eclatanti – ha ricevuto centinaiadi milioni di euro. La tabella (non l’hoacclusa, la sto preparando in questi giorni)che vi mostro, lunga cinque pagine, elencatutti i programmi che sono stati finanziatinegli ultimi anni nel Lazio da SviluppoLazio: Filas – non so se avete familiaritàcon tutte queste sigle – Bic Lazio (treagenzie che fanno esattamente la stessacosa e ovviamente hanno tre consigli diamministrazione diversi), provincia diRoma, comune di Roma, camera di com-mercio di Roma, camera di commercio diFrosinone, Sviluppo Lazio e Banca Im-presa Lazio, Assessorato alle piccole emedie imprese, commercio e artigianato

della Regione Lazio, camera di commerciodi Viterbo, comune di Viterbo, UnionfidiLazio Spa.

Alcuni di questi programmi hanno im-porti di poche decine di migliaia di euro;c’è persino un venture capital fund conuna dotazione di 20 milioni di euro, gestitadalla Filas che è un’agenzia della regione;ci sono degli start-up funds a livello co-munale, quando sappiamo che questihanno bisogno di enorme professionalità.Ad esempio Milano amministra con i fondiFESR degli start-up funds, dei venturecapital funds, con dimensioni di 2 milionidi euro di dotazione totale.

Ci sono progetti come « Cultura Fu-turo », 800 mila euro, New Book, 800 milaeuro. Questi si son trovati dei soldi, nonsapevano come spenderli e hanno chiestoall’assessorato alla cultura di fare un pro-getto « New Book », appunto 800 milaeuro.

Leggo, ancora, « Bando delle idee », Re-gione Lazio, 824 mila euro; quindi laRegione Lazio fa come uno start-up fundin Silicon Valley e pensa di trovare ilnuovo Bill Gates. I burocrati della RegioneLazio sono quelli che decidono quali sonole idee migliori.

C’è un progetto che si chiama « Appon », per scoprire le migliori App per itelefoni, sempre gestito dalla Regione La-zio.

Questi sono i soldi che sono arrivatigratis e dei quali si diceva « questa volta lispendiamo bene ». Se andate sul sito dellaRegione Lazio c’è un enorme marketingper dire « questa volta facciamo le cosebene, abbiamo sbagliato in passato maquesta volta facciamo bene ». Queste cin-que pagine sono il risultato.

Il problema è che noi dobbiamo fare iconti con la realtà. Non possiamo conti-nuare a illuderci che qualcuno illuminato,primo, abbia trovato la bacchetta magicaimprovvisamente e, secondo, riesca a con-vincere le decine di migliaia di ammini-stratori locali che quella è veramente labacchetta magica e devono usarla ancheloro.

Secondo me, noi continuiamo a negarequesto. Vogliamo continuare a negare la

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realtà sia del livello delle amministrazionilocali sia del fatto che noi stessi – eco-nomisti, politici, giornalisti, partecipanti aldibattito – non sappiamo come usarequesti soldi: uno dice che li vuole usareper fare un progetto sulla lettura con 300mila euro di dotazione, l’altro vuole fareun progetto per le nuove App. Tutto ègestito da burocrati della provincia, delcomune e della regione.

L’altro tema che è emerso è di cercaredi semplificare la legislazione europea. Ilproblema non è la legislazione europea. Ioho fatto l’esempio delle centinaia di variesottopriorità, obiettivi strategici eccetera.L’unica giustificazione che mi so dare èche questo dà una soddisfazione intellet-tuale alle varie persone che hanno parte-cipato; una burocrazia che dice « questisono i soldi, usateli come volete » nonriesce a giustificare la propria esistenza,quindi credo che dia una certa soddisfa-zione intellettuale trovare degli obiettivispecifici, chiamarli « sviluppo intelligente »,« sviluppo sostenibile » – come se qual-cuno volesse uno sviluppo stupido o unosviluppo insostenibile – e indicare le variepriorità, sottopriorità eccetera.

La realtà è che l’Europa non ci vincolain alcun modo. Secondo me, noi dobbiamoevitare l’errore di dare le colpe all’Europa.Qualcuno ha chiesto perché invece nonchiediamo all’Europa di semplificare leprocedure per consentirci di spendere me-glio. Essenzialmente quello che interessaall’Europa è che noi diamo una contabilitàpiù o meno curata dei soldi che spendiamoe che non vadano a finire in operazioniillegali.

Per il resto, essenzialmente possiamofare quello che vogliamo. Il problema,quindi, non è assolutamente l’Europa enon è neanche nella complicazione dellalegislazione italiana, perché ci sono decinedi persone che costruiscono i POR, trova-vano soddisfazione intellettuale a scrivereun POR regionale di 300 pagine, e contentiloro contenti tutti. Dopodiché il problemaè come andare avanti a spendere.

Il problema è che realmente noi nonsappiamo come spendere questi soldi e ciilludiamo di saperlo, come dimostra

l’esempio del Lazio. Il Lazio nel 2007 dàcinque priorità: la ceramica, le biotecno-logie (all’epoca erano di moda) e altri tresettori che non ricordo, ognuno con do-tazione di 10 milioni di euro. Quello era iltempo in cui Sviluppo Italia diceva di averdato le dieci priorità settoriali, tra cui lamicro meccatronica, che poi è scomparsacompletamente, le biotecnologie eccetera.

Poi la cosa si è evoluta perché hannocapito che non si potevano più dare in-dicazioni sui singoli settori. Allora sonoarrivati i nuovi programmi che ho dettoprima.

La realtà, però, è sempre la stessa. Nonè un problema dell’Europa, non dobbiamodare la colpa all’Europa, e non è unproblema di legislazione italiana. Il fatto èche noi non sappiamo come spendere benequesti soldi. L’alternativa è ovvia. Quandouno non sa come spendere dei soldi, se ildubbio è che questi soldi vengono buttativia – questo è vero per una famiglia comeper uno Stato – l’onere della prova è diquello che vuole spendere i soldi e l’al-ternativa è lasciarli nelle tasche dei con-tribuenti, dove sappiamo che tutto som-mato male non fanno.

Mi sembra che lei, onorevole, dicesseche non era chiaro questo meccanismo.Torno a ripetere, io non sto chiedendo didare meno soldi all’Europa. Questo non èciò che aveva fatto Margaret Thatcherall’inizio degli anni Ottanta, che avevachiesto uno sconto sui contributi perl’agricoltura e le è stato dato per motivipolitici. La mia proposta non ha niente ache vedere con questo. Io non chiedereiuna riduzione del contributo netto. Noidiamo meno all’Europa e chiediamo menoall’Europa. Dal punto di vista dell’Europanon cambia niente. Continuiamo a dare 5miliardi di euro di contributo netto chedaremmo poi alla Polonia e agli altri Paesi.

Quindi gli altri Paesi europei non pos-sono lamentarsi perché non cambianiente. Dovrebbero essere contenti perchéc’è una minore alimentazione del malco-stume politico e magari della malavita inItalia.

L’altro elemento rispetto al quale dob-biamo fare i conti con la realtà è che

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questi soldi sono amministrativamente in-gestibili. Quando lei ha un flusso di 10miliardi di euro che vanno a finire alleregioni – ripeto, potrebbero essere anchele regioni più competenti e meglio ammi-nistrate del mondo – e di qui alle provincee poi ai comuni e di qui a centinaia di entipiù o meno certificati (enti di formazioneeccetera) che devono avere accesso a que-sti soldi, nemmeno Andersen riuscirebbe atenere la contabilità effettiva di tutti questisoldi e ancora meno a capire se valeva lapena di spenderli o no. Passaggi cosìmicroscopici sono ingestibili da chiunque,anche dai più competenti e dai meglioamministrati. La riprova è che pervent’anni noi abbiamo fatto questo e ognianno abbiamo detto che avremmo cam-biato ma ogni anno è rimasto sempre tuttouguale.

L’onorevole Buttiglione aveva chiestoperché queste valutazioni non vengonofatte meglio. È una buona domanda e haragione l’onorevole Buttiglione a dire chebasterebbe fare un gruppo di controllo eun gruppo per i corsi formazione. In Italiaci sono problemi legali per far questo,perché questi esperimenti non sono legali,per motivi chiaramente sbagliati, ma pur-troppo è così. Comunque, anche questonon sarebbe sufficiente, ma è verissimoche in gran parte il problema è che lastragrande maggioranza degli enti di ri-cerca che fanno queste pseudo-valutazionisono a loro volta legati agli organismipolitici o ai singoli politici delle regioni enon hanno gli strumenti e il capitaleumano per fare queste cose.

Non c’è ombra di dubbio che questa siala realtà e anche con essa dobbiamo farei conti. È vero anche, come diceva l’ono-

revole Buttiglione, che il nostro studio conFilippo Teoldi dimostra che i soldi per laformazione probabilmente sono spesimale, e quelli europei in generale. Tutta-via, voglio far notare che ho preso il casospecifico della formazione per citare uncaso concreto, ma tutto quello che hodetto si applica forse ancora con maggiorforza al caso dei fondi FESR, che sono piùo meno equivalenti, perché nel caso delLazio che ho richiamato sono tutti fondiFESR.

Sui fondi FESR abbiamo tante valuta-zioni quante per il FSE, cioè centinaia, manessuna di queste è quella che noi chia-miamo veramente una valutazione.

Spero di avere risposto a tutte le do-mande.

PRESIDENTE. Ringrazio il professorPerotti anche per la replica.

Purtroppo mi devo scusare con i col-leghi che avrebbero voluto più tempo perintervenire, ma io stesso ho ritenuto, pervia del tempo tiranno, di non dover ag-giungere nulla a quanto era già emerso neldibattito. Comunque sia, mi scuso con chiaveva chiesto di parlare ma purtroppo nonabbiamo più il tempo per proseguire per-ché i lavori dell’Aula sono già cominciati.

Dichiaro conclusa l’audizione.

La seduta termina alle 16.35.

IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO RESOCONTIESTENSORE DEL PROCESSO VERBALE

DOTT. VALENTINO FRANCONI

Licenziato per la stampail 23 settembre 2014.

STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO

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ALLEGATO

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PAGINA BIANCA

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