1
Derivati, un anno e sono tornati pericolosi Il volume dei titoli a rischio continua a salire: nove volte il Pil del mondo. Più trasparenti? No DI FEDERICO FUBINI Il G20 ha parlato molto, ma non ha affrontato davvero il problema Analisi L’allarme dell’economista che ha lavorato per la Banca Mondiale: «I governi non potrebbero più intervenire» La proposta di Lago: «Siano scambiati in Borsa» U n derivato può aiutare un contadino del Raja- stan a non andare in rovina con la siccità. Se teme di raccogliere meno gra- no a causa delle scarse pioggie, può firmare un contratto con una banca in cui i due soggetti si scambiano i rischi (uno swap ). Nel caso in cui cadano piogge al di sotto di una certa quantità, la banca indennizza l’agricoltore; qualora invece le piogge risultino oltre quella quantità, l’agricoltore versa alla banca una commissione per la copertura. La sindrome di Aig Il problema è che i derivati non sono sempre così semplici. Al contrario possono essere in- comprensibili, distruttivi e sono in continuo aumento anche do- po la crisi alla quale hanno tanto contribuito. Chiedere a Robert Willumstad, amministratore de- legato di Aig nel 2008, allora il più grande assicuratore del mon- do. Willumstad rimase attonito a settembre 2008 nel realizzare che la sua azienda non sarebbe mai stata in grado di sostenere gli impegni da derivati assunti. In quel caso si trattava di cds, credit default swap , titoli che in- dennizzano chi li acquista in ca- so di insolvenza di un terzo sog- getto. I manager di Aig avevano venduto molti più «cds» di quan- ti ne potessero finanziare, con- vinti che non sarebbero mai arri- vate tutte quelle insolvenze allo stesso tempo. Invece c’è stato il crac Lehman. Finì che il Tesoro americano e la Federal Reserve hanno dovuto salvare Aig, e chi aveva comprato dei «cds» da Aig, con 182,5 miliardi di dollari. Da allora i derivati figurano fra i grandi imputati della crisi, con due capi d’accusa: le istituzioni finanziarie ne hanno prodotti e venduti troppi e sul volume e la natura di questi strumenti non c’è trasparenza perché sono Otc, over the counter , cioè creati e venduti bilateralmente fra priva- ti senza passare per una Borsa e i suoi strumenti di regolamento e compensazione delle transazio- ni. È la «sindrome di Willum- stad»: il non avere la minima idea del rischio assunto, anche perché non esiste un quadro del- la situazione. Nessuna diminuzione Se ne dovrebbe dedurre che in risposta all’inverno nucleare del 2008 il volume dei derivati è dimi- nuito e la trasparenza è aumenta- ta. Invece è successo il contrario: già quadruplicato fra il 2003 e il 2008, il valore nominale dei deri- vati esistenti ha continuato a cre- scere dalla seconda metà del 2008 alla prima metà del 2009. I più diffusi, quelli sui tassi d’inte- resse, sono passati da un valore nominale di 403 mila miliardi nel- la seconda metà del 2008 a 414 mila miliardi alla fine di giugno del 2009. I «cds» sono la sola clas- se di derivati in calo sul 2009, ma a un valore nominale di 31.223 miliardi di dollari (circa la metà del prodotto lordo della Terra). A metà 2009 l’ammontare totale di- chiarato del nominale sui deriva- ti esistenti era a 445.312 mila mi- liardi di dollari (circa 300 mila mi- liardi di euro), più o meno nove volte più del Pil del mondo (dopo essere sceso appena solo nella se- conda metà del 2008). A copertu- ra dai rischi sul petrolio, sui tassi o sulle valute, i derivati Otc vengo- no usati dal 94% delle imprese dell’indice «Fortune 500», le più grandi al mondo in tutti i settori. Va detto che il «nominale» si ri- ferisce all’ammontare dei titoli sottostanti: nel caso dei 31 mila miliardi relativi ai «cds», è il valo- re delle obbligazioni garantite dai derivati. In base ai modelli più usati l’esposizione netta effettiva è invece in media l’1% del nomi- nale, cioè «appena» il 9% del Pil del mondo (metà dell’economia americana). Ma osserva l’econo- mista di Miami Ricardo Lago: «Può anche salire al 2% e oltre nel caso di eventi come quelli del 2008». Tutto ciò dovrebbe indurre a maggiore trasparenza ma, per quanto incredibile ciò appaia, nessuno sa quanti siano davvero i derivati «Otc». I dati più freschi sono quelli dell’Isda, l’associazio- ne di categoria dei produtto- ri-venditori di derivati, che ogni sei mesi manda per email un que- stionario a un centinaio di grosse istituzioni finanziarie sulle loro at- tività in proposito. Le banche so- no libere di rispondere o no, e di- chiarare solo ciò che preferisco- no. La sola cosa che interessa agli istituti, è evitare che i derivati fini- scano per essere scambiati in Bor- sa in modo più trasparente: per lo- ro, sarebbe la fine di un’enorme fonte di reddito. © RIPRODUZIONE RISERVATA «Servono piattaforme di regolamento, perché un secondo collasso sarebbe devastante» I rischi dell’ingegneria finanziaria Rimozioni Secondo il Fondo monetario tra il 40% e il 60% degli asset «velenosi» sono rimasti nei bilanci delle banche La bolla della finanza Dopo il crac di Lehman e del colosso assicurativo Aig riprende la corsa degli strumenti di copertura: 300 mila miliardi di euro R icardo V. Lago, l’econo- mista spagnolo che ha lavorato a lungo per la Banca Mondiale, studia rego- larmente i dati sull’esposizio- ne da derivati e dà l’allarme. L’ultima volta, l’ha fatto all’in- contro dell’«Euro 50» a margi- ne del vertice del Fondo mone- tario internazionale a Istan- bul. Perché i derivati la preoc- cupano tanto, ora che la crisi rallenta? «Continuano a essere il tallo- ne d’Achille del sistema finan- ziario internazionale, il gorilla da 450 chili nella stanza. Se la ripresa continua in modo so- stenuto, non ci saranno grossi problemi nel regolamento di swap e derivati. Ma se c’è una ricaduta della recessione ed è abbastanza profonda, per quanto poco probabile, allora sarà tutto più difficile». Il peso dei derivati è trop- po elevato? «L’esposizione di credito lor- da è di 26 mila miliardi di dolla- ri, cioè il doppio del Pil ameri- cano. Siamo rimasti intorno ai livelli dell’innesco della crisi». In passato, i governi sono intervenuti per onorare quei contratti: per esempio con Aig. «Ma stavolta le risorse sono molto più limitate. In molti Pa- esi il debito pubblico è attorno al 100% del Pil. I governi do- vranno scegliere fra una secon- da ondata di massicci sussidi al settore finanziario o lasciare che ci siano tagli ai rimborsi per creditori e obbligazionisti, o che le banche falliscano». Sono scenari sostenibili? «Il primo porterebbe proba- bilmente all’iperinflazione e il secondo al crollo del "castello di carte" e a un caos stile anni Trenta». Come si possono prevenire questi rischi? «Un primo passo sarebbe che tutti i nuovi swap e deriva- ti emessi dovrebbero essere scambiati in piattaforme di re- golamento o, meglio ancora, in Borsa. Basta con i titoli scambiati bilateralmente nel- l’ombra tra "adulti consenzien- ti". In fondo, come si è visto con Aig, poi è sempre il contri- buente che deve intervenire». Teme che la certezza del salvataggio pubblico porti la finanza a prendere nuovi ri- schi scriteriati? «Gli incentivi a farlo sono au- mentati. Direi che i rischi siste- mici sono semmai maggiori ri- spetto a prima della crisi. E per adesso il G20 ha parlato mol- to, ma ancora non ha agito dav- vero per affrontare il proble- ma». Cosa dovrebbe fare? «Il punto è: il G20 troverà un accordo per creare più traspa- renza in questo colossale mer- cato o procrastinerà, lascian- do che la palla di neve conti- nui a rotolare nel buio?». F. FUB. © RIPRODUZIONE RISERVATA I titoli tossici? Disinnescati, ma a metà Il rialzo delle Borse ha nascosto il problema: ci sono oltre 1.500 miliardi di perdite dormienti Previsioni Ricardo V. Lago A volte gli eventi corro- no tanto che si ha l’im- pressione di vivere due epoche in una. Se si guar- da alle banche occidentali, l’epicentro del sisma che ha distrutto posti di lavoro in nu- mero pari alla popolazione occupata dell’Italia, questa è una di quelle fasi. L’ambivalenza è ovunque. La disoccupazione viaggia at- torno 10% nel mondo avanza- to ma Goldman Sachs sta per eguagliare il record di com- pensi del 2007, a oltre 20 mi- liardi di dollari. Continuano a crescere le insolvenze sui prestiti immobiliari, su quelli alle imprese e ai consumatori Usa, ma Jp Morgan ha appe- na dichiarato un utile netto sul trimestre di 3,6 miliardi di dollari: sette volte e mezzo più di un anno fa. E dei titoli tossici, i prodot- ti cartolarizzati che avevano paralizzato i canali del credi- to, improvvisamente nessu- no parla più. Si direbbe siano scomparsi, o siano stati ogget- to di una colossale sopravva- lutazione. Poi però ogni tanto si ac- cendono delle spie a ricorda- re che i mercati sono passati dal terrore all’euforia in soli sei mesi. Giovedì scorso per esem- pio nella trimestrale di Citi so- no spuntati otto miliardi di perdite sul credito. Venerdì Bank of America ha aggiunto 11 miliardi di cuscinetto con- tro svalutazioni future. E a credere al Fondo monetario internazionale, queste sono ancora goccie nel mare. L’ultimo «Global Financial Stability Report» del Fmi indi- ca che l’elaborazione del lut- to, il processo di rico- noscimento delle per- dite su credito e sui ti- toli cartolarizzati, non è ancora neanche a metà: secondo il Fon- do, le svalutazioni già effettuate dagli istituti sono di 1.300 miliardi di dollari, ma quelle da portare alla luce ar- riverebbero a 1.500. In due anni di crisi gli Usa avrebbero coperto il 60% del percorso, l’area-euro e la Gran Bretagna invece solo il 40%. I bilanci delle banche so- no ancora ben forniti di titoli tossici, eppure appunto non fanno più paura alle Borse. Non solo: i mercati hanno trovato il punto di svolta quando a marzo il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner annunciò un piano di riacqui- sto di quei titoli, ad opera dei privati sostenuti dal governo. Ma il «Private Public Invest- ment Program» non è mai de- collato. Neppure un titolo è mai andato all’asta, o pochis- simi. Questa amnesia ha una spiegazione razionale, per- ché quei titoli tossici sono scomparsi come scogli sotto l’alta marea. Sia in Europa che negli Usa il credito sten- ta eppure le banche riescono a registrare profitti crescenti grazie alla loro attività sui mercati finanziari. «Anche per aiutare gli istituti a ricosti- tuire la loro profittabilità, le banche centrali tengono tas- si bassissimi», spiega il capo- economista di Unicredit Mar- co Annunziata. «Con quei fondi a tassi quasi zero, si può andare a cercare investi- menti ad alto rendimento nei Paesi emergenti». Secondo le stime dell’Fmi questi guadagni ottenuti so- prattutto sui mercati finanzia- ri copriranno i due terzi, o i tre quarti, delle perdite futu- re da titoli tossici da qua a fi- ne 2010. A patto, naturalmen- te, che la marea delle Borse e dei mercati in genere non tor- ni a calare: in quel caso gli scogli «tossici» tornerebbero, pericolosamente, allo scoper- to. F. FUB. © RIPRODUZIONE RISERVATA In copertina L’euforia dei mercati Tesoro Usa Tim Geithner: è suo il piano per il riacquisto dei titoli tossici rimasto inattuato Fallimenti Richard Fuld, il Ceo di Lehman Brothers destituito dopo il crac del settembre 2008 5 CORRIER ECONOMIA LUNEDÌ 19 OTTOBRE 2009

RICARDO V. LAGO - SNOWBALL OF DERIVATIVES -CORRIERE DELLA SERA 19.10.2009

Embed Size (px)

DESCRIPTION

The snowball of derivatives continues to be the invisible 800-pound gorilla in the room . G-20 , IMF, and BIS need ot move urgently on the issue ,including regulation , trans[arence , disclosure , clearing-house settlement , and stock exchange trading of most devivatives , including CDS .

Citation preview

Derivati, un anno e sono tornati pericolosiIl volume dei titoli a rischio continua a salire: nove volte il Pil del mondo. Più trasparenti? No

DI FEDERICO FUBINI

Il G20 ha parlatomolto, ma non haaffrontato davveroil problema

Analisi L’allarme dell’economista che ha lavorato per la Banca Mondiale: «I governi non potrebbero più intervenire»

La proposta di Lago: «Siano scambiati in Borsa»

U n derivato può aiutareun contadino del Raja-stan a non andare inrovina con la siccità.

Se teme di raccogliere meno gra-no a causa delle scarse pioggie,può firmare un contratto conuna banca in cui i due soggettisi scambiano i rischi (unoswap ). Nel caso in cui cadanopiogge al di sotto di una certaquantità, la banca indennizzal’agricoltore; qualora invece lepiogge risultino oltre quellaquantità, l’agricoltore versa allabanca una commissione per lacopertura.

La sindrome di AigIl problema è che i derivati

non sono sempre così semplici.Al contrario possono essere in-comprensibili, distruttivi e sonoin continuo aumento anche do-po la crisi alla quale hanno tantocontribuito. Chiedere a RobertWillumstad, amministratore de-legato di Aig nel 2008, allora ilpiù grande assicuratore del mon-do. Willumstad rimase attonito asettembre 2008 nel realizzareche la sua azienda non sarebbemai stata in grado di sosteneregli impegni da derivati assunti.

In quel caso si trattava di cds,credit default swap , titoli che in-dennizzano chi li acquista in ca-so di insolvenza di un terzo sog-getto. I manager di Aig avevanovenduto molti più «cds» di quan-ti ne potessero finanziare, con-vinti che non sarebbero mai arri-vate tutte quelle insolvenze allostesso tempo. Invece c’è stato ilcrac Lehman. Finì che il Tesoroamericano e la Federal Reservehanno dovuto salvare Aig, e chiaveva comprato dei «cds» daAig, con 182,5 miliardi di dollari.

Da allora i derivati figurano fra igrandi imputati della crisi, condue capi d’accusa: le istituzionifinanziarie ne hanno prodotti evenduti troppi e sul volume e lanatura di questi strumenti nonc’è trasparenza perché sono Otc,over the counter , cioè creati evenduti bilateralmente fra priva-ti senza passare per una Borsa e isuoi strumenti di regolamento ecompensazione delle transazio-ni. È la «sindrome di Willum-stad»: il non avere la minimaidea del rischio assunto, ancheperché non esiste un quadro del-la situazione.

Nessuna diminuzioneSe ne dovrebbe dedurre che in

risposta all’inverno nucleare del2008 il volume dei derivati è dimi-nuito e la trasparenza è aumenta-ta. Invece è successo il contrario:

già quadruplicato fra il 2003 e il2008, il valore nominale dei deri-vati esistenti ha continuato a cre-scere dalla seconda metà del2008 alla prima metà del 2009. Ipiù diffusi, quelli sui tassi d’inte-resse, sono passati da un valorenominale di 403 mila miliardi nel-la seconda metà del 2008 a 414mila miliardi alla fine di giugnodel 2009. I «cds» sono la sola clas-se di derivati in calo sul 2009, maa un valore nominale di 31.223miliardi di dollari (circa la metàdel prodotto lordo della Terra). Ametà 2009 l’ammontare totale di-chiarato del nominale sui deriva-ti esistenti era a 445.312 mila mi-

liardi di dollari (circa 300 mila mi-liardi di euro), più o meno novevolte più del Pil del mondo (dopoessere sceso appena solo nella se-conda metà del 2008). A copertu-ra dai rischi sul petrolio, sui tassio sulle valute, i derivati Otc vengo-no usati dal 94% delle impresedell’indice «Fortune 500», le piùgrandi al mondo in tutti i settori.

Va detto che il «nominale» si ri-ferisce all’ammontare dei titolisottostanti: nel caso dei 31 milamiliardi relativi ai «cds», è il valo-re delle obbligazioni garantite daiderivati. In base ai modelli piùusati l’esposizione netta effettivaè invece in media l’1% del nomi-

nale, cioè «appena» il 9% del Pildel mondo (metà dell’economiaamericana). Ma osserva l’econo-mista di Miami Ricardo Lago:«Può anche salire al 2% e oltre nelcaso di eventi come quelli del2008».

Tutto ciò dovrebbe indurre amaggiore trasparenza ma, perquanto incredibile ciò appaia,nessuno sa quanti siano davveroi derivati «Otc». I dati più freschisono quelli dell’Isda, l’associazio-ne di categoria dei produtto-ri-venditori di derivati, che ognisei mesi manda per email un que-stionario a un centinaio di grosseistituzioni finanziarie sulle loro at-tività in proposito. Le banche so-no libere di rispondere o no, e di-chiarare solo ciò che preferisco-no. La sola cosa che interessa agliistituti, è evitare che i derivati fini-scano per essere scambiati in Bor-sa in modo più trasparente: per lo-ro, sarebbe la fine di un’enormefonte di reddito.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Servono piattaforme di regolamento, perché un secondo collasso sarebbe devastante»

I rischi dell’ingegneria finanziaria

Rimozioni Secondo il Fondo monetario tra il 40% e il 60% degli asset «velenosi» sono rimasti nei bilanci delle banche

La bolla della finanza Dopo il crac di Lehman e del colosso assicurativo Aig riprende la corsa degli strumenti di copertura: 300 mila miliardi di euro

R icardo V. Lago, l’econo-mista spagnolo che halavorato a lungo per la

Banca Mondiale, studia rego-larmente i dati sull’esposizio-ne da derivati e dà l’allarme.L’ultima volta, l’ha fatto all’in-contro dell’«Euro 50» a margi-ne del vertice del Fondo mone-tario internazionale a Istan-bul.

Perché i derivati la preoc-cupano tanto, ora che la crisirallenta?

«Continuano a essere il tallo-ne d’Achille del sistema finan-ziario internazionale, il gorillada 450 chili nella stanza. Se laripresa continua in modo so-stenuto, non ci saranno grossi

problemi nel regolamento diswap e derivati. Ma se c’è unaricaduta della recessione ed èabbastanza profonda, perquanto poco probabile, allorasarà tutto più difficile».

Il peso dei derivati è trop-po elevato?

«L’esposizione di credito lor-da è di 26 mila miliardi di dolla-ri, cioè il doppio del Pil ameri-cano. Siamo rimasti intorno ailivelli dell’innesco della crisi».

In passato, i governi sonointervenuti per onorare queicontratti: per esempio conAig.

«Ma stavolta le risorse sonomolto più limitate. In molti Pa-esi il debito pubblico è attorno

al 100% del Pil. I governi do-vranno scegliere fra una secon-da ondata di massicci sussidial settore finanziario o lasciareche ci siano tagli ai rimborsiper creditori e obbligazionisti,o che le banche falliscano».

Sono scenari sostenibili?«Il primo porterebbe proba-

bilmente all’iperinflazione e ilsecondo al crollo del "castellodi carte" e a un caos stile anniTrenta».

Come si possono prevenirequesti rischi?

«Un primo passo sarebbeche tutti i nuovi swap e deriva-ti emessi dovrebbero esserescambiati in piattaforme di re-golamento o, meglio ancora,

in Borsa. Basta con i titoliscambiati bilateralmente nel-l’ombra tra "adulti consenzien-ti". In fondo, come si è vistocon Aig, poi è sempre il contri-buente che deve intervenire».

Teme che la certezza delsalvataggio pubblico porti lafinanza a prendere nuovi ri-schi scriteriati?

«Gli incentivi a farlo sono au-mentati. Direi che i rischi siste-mici sono semmai maggiori ri-spetto a prima della crisi. E peradesso il G20 ha parlato mol-to, ma ancora non ha agito dav-vero per affrontare il proble-ma».

Cosa dovrebbe fare?«Il punto è: il G20 troverà un

accordo per creare più traspa-renza in questo colossale mer-cato o procrastinerà, lascian-do che la palla di neve conti-nui a rotolare nel buio?».

F. FUB.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I titoli tossici? Disinnescati, ma a metàIl rialzo delle Borse ha nascosto il problema: ci sono oltre 1.500miliardi di perdite dormienti

Previsioni Ricardo V. Lago

A volte gli eventi corro-no tanto che si ha l’im-pressione di vivere

due epoche in una. Se si guar-da alle banche occidentali,l’epicentro del sisma che hadistrutto posti di lavoro in nu-mero pari alla popolazioneoccupata dell’Italia, questa èuna di quelle fasi.

L’ambivalenza è ovunque.La disoccupazione viaggia at-torno 10% nel mondo avanza-to ma Goldman Sachs sta pereguagliare il record di com-pensi del 2007, a oltre 20 mi-liardi di dollari. Continuano

a crescere le insolvenze suiprestiti immobiliari, su quellialle imprese e ai consumatoriUsa, ma Jp Morgan ha appe-na dichiarato un utile nettosul trimestre di 3,6 miliardi didollari: sette volte e mezzopiù di un anno fa.

E dei titoli tossici, i prodot-ti cartolarizzati che avevanoparalizzato i canali del credi-to, improvvisamente nessu-no parla più. Si direbbe sianoscomparsi, o siano stati ogget-to di una colossale sopravva-lutazione.

Poi però ogni tanto si ac-

cendono delle spie a ricorda-re che i mercati sono passatidal terrore all’euforia in solisei mesi.

Giovedì scorso per esem-pio nella trimestrale di Citi so-no spuntati otto miliardi diperdite sul credito. VenerdìBank of America ha aggiunto11 miliardi di cuscinetto con-tro svalutazioni future. E acredere al Fondo monetariointernazionale, queste sonoancora goccie nel mare.

L’ultimo «Global FinancialStability Report» del Fmi indi-ca che l’elaborazione del lut-

to, il processo di rico-noscimento delle per-dite su credito e sui ti-toli cartolarizzati, nonè ancora neanche ametà: secondo il Fon-do, le svalutazioni giàeffettuate dagli istitutisono di 1.300 miliardidi dollari, ma quelleda portare alla luce ar-riverebbero a 1.500.

In due anni di crisi gli Usaavrebbero coperto il 60% delpercorso, l’area-euro e laGran Bretagna invece solo il40%.

I bilanci delle banche so-no ancora ben forniti di titolitossici, eppure appunto nonfanno più paura alle Borse.Non solo: i mercati hannotrovato il punto di svoltaquando a marzo il segretarioal Tesoro Usa Tim Geithnerannunciò un piano di riacqui-sto di quei titoli, ad opera deiprivati sostenuti dal governo.Ma il «Private Public Invest-ment Program» non è mai de-collato. Neppure un titolo èmai andato all’asta, o pochis-simi.

Questa amnesia ha unaspiegazione razionale, per-ché quei titoli tossici sonoscomparsi come scogli sottol’alta marea. Sia in Europache negli Usa il credito sten-ta eppure le banche riesconoa registrare profitti crescentigrazie alla loro attività sui

mercati finanziari. «Ancheper aiutare gli istituti a ricosti-tuire la loro profittabilità, lebanche centrali tengono tas-si bassissimi», spiega il capo-economista di Unicredit Mar-co Annunziata. «Con queifondi a tassi quasi zero, sipuò andare a cercare investi-menti ad alto rendimentonei Paesi emergenti».

Secondo le stime dell’Fmiquesti guadagni ottenuti so-prattutto sui mercati finanzia-ri copriranno i due terzi, o itre quarti, delle perdite futu-re da titoli tossici da qua a fi-ne 2010. A patto, naturalmen-te, che la marea delle Borse edei mercati in genere non tor-ni a calare: in quel caso gliscogli «tossici» tornerebbero,pericolosamente, allo scoper-to.

F. FUB.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

In copertina L’euforia dei mercati

Tesoro UsaTim Geithner: èsuo il piano peril riacquisto deititoli tossicirimastoinattuato

FallimentiRichardFuld, il Ceodi LehmanBrothersdestituitodopo ilcrac delsettembre2008

5CORRIER E C O N O M I A LUNEDÌ 19 OTTOBRE 2009