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RICERCA & SVILUPPO: FATTORE CHIAVE DI PROGRESSO Andrea Sassone Corsi V A Istituto Tecnico Commerciale I.G.E.A. Antonio Gramsci

RICERCA & SVILUPPO: FATTORE CHIAVE DI PROGRESSO · Nello svolgimento della tesina si discuterà principalmente della Ricerca & Sviluppo (R&S) e delle connessioni esistenti con l’Economia,

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RICERCA & SVILUPPO: FATTORE CHIAVE DI PROGRESSO

Andrea Sassone Corsi

V A

Istituto Tecnico Commerciale I.G.E.A. Antonio Gramsci

RICERCA & SVILUPPO: FATTORE CHIAVE DI PROGRESSO

Andrea Sassone Corsi V A Istituto Tecnico Commerciale I.G.E.A. Antonio Gramsci - 2 -

Introduzione

Ogni giorno nel mondo vengono intraprese ricerche scientifiche e sviluppi tecnologici per migliorare lo stile di vita e svilupparsi, cercando di dare risposte, a domande che l’Uomo ancora non è riuscito a risolvere. Nello svolgimento della tesina si discuterà principalmente della Ricerca & Sviluppo (R&S) e delle connessioni esistenti con l’Economia, la Società, la Cultura, la Storia, e tutte le discipline comprese nel piano di studi. Per iniziare si tratterà dei Costi di R&S in Economia Aziendale, ove ci si inoltrerà con i seguenti contenuti: la strategia di leadership di costo, la strategia di differenziazione, come vengono capitalizzati i costi di R&S, del direct costing, del full costing, dell’ammortamento cui gravano i costi di R&S ed in fine della deducibilità dei costi di R&S. Desiderando trattare la R&S in Scienze delle Finanze ci si collegherà con il credito d’imposta riguardante i costi di R&S e i relativi rapporti con le imprese. Continuando il percorso che unisce la R&S con Geografia Economica si introdurrà il settore quaternario costituito anche dalle moderne tecnopoli (o tecnocity), centri in cui sono intraprese ricerche scientifiche, ricadute tecnologiche e industriali, fino alla messa in produzione di beni e servizi innovativi. Sempre all’interno di Geografia Economica si tratterà dell’importanza che ha la R&S di fonti energetiche rinnovabili, per un miglioramento delle condizioni ambientali in cui vive l’Uomo; in altri termini si descriveranno le innovazioni tecnologiche con le quali si possono utilizzare fonti energetiche alternative che potranno sostituire le fonti di energia tradizionali ormai in via di esaurimento. La R&S ha influenzato anche l’arte e la letteratura. In particolare, per Italiano, si analizzerà il movimento letterario ed artistico del futurismo che si è sviluppato nel periodo storico dal 1909 fino ai primi Anni ’20. Il futurismo ha esaltato le nuove tecnologie e il nuovo stile di vita che venne a crearsi negli anni attraversati da tale movimento. In questo periodo, in altre parole, sono avvenuti cambiamenti drastici non solo nell’arte e nella letteratura, ma anche nelle nuove tecniche di comunicazione, nei nuovi mezzi espressivi come il cinema e la fotografia, e anche dell’esaltazione della velocità delle macchine. I futuristi rifiutavano nettamente il passato tanto da distruggere tutto ciò che provenisse dal passato per guardare solamente in avanti. L’ideologia futurista ebbe contatti assai stretti con il fascismo, argomento che verrà trattato in Storia. Il Duce appoggiò il futurismo nei primissimi anni della sua dittatura poiché l’idea futurista scomparve negli anni in cui si consolidò il fascismo in Italia. Durante il periodo fascista, tra il 1925 ed il 1926, vennero emanate le cosiddette “leggi fascistissime” o leggi liberticide, poiché uccidevano ogni tipo di libertà dell’uomo. Trattando di queste leggi, con Diritto, avremo un collegamento diretto con il periodo successivo allo Statuto Albertino, il periodo fascista nel quale si discuterà principalmente delle leggi liberticide. Si esporrà in Inglese come funziona la R&S nel Regno Unito, in Francese la poesia di F.T. Marinetti Da "La Ville Charnelle" A mon pagase. In Matematica si analizzerà in “problema del produttore”.

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R&S: fattore chiave di

Progresso

Economia Aziendale: Costi di ricerca e sviluppo.

Italiano: Il futurismo, Filippo Tommaso Marinetti.

Storia: Il primo periodo fascista.

Diritto: Il periodo fascista, le leggi fascistissime.

Inglese: Research and

development in UK

Francese: Poèsie de F.T. Marinetti

A mon pagase

Matematica: Il problema del

produttore

Scienza delle Finanze: Il credito d’imposta nell’ambito della R&S.

Geografia Economica:Settore quaternario, ricerca sulla tutela dell’ambiente e fonti rinnovabili.

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ECONOMIA AZIENDALE Costi di Ricerca & Sviluppo Le economie dei Paesi industrializzati sono caratterizzate dall’esistenza di forme di mer-cato fortemente concorrenziali, data l’assenza di barriere capaci di precludere l’accesso ad altre imprese. È noto altresì che una impresa per poter sopravvivere o crescere deve co-stantemente pervenire alla creazione di Valore Economico. Solo creando valore economi-co sarà in grado di soddisfare le aspettative dei soggetti portatori di interessi interni ed e-sterni che, seppur con motivazioni diverse, interagiscono con l’impresa. La creazione del valore è quindi un fine istituzionale dell’impresa e rappresenta pertanto lo strumento attra-verso il quale le imprese ottengono un vantaggio competitivo rispetto alle imprese concorrenti. Il vantaggio competitivo è strettamente correlato alla strategia che l’impresa viene ad assumere nell’ambito del mercato in cui si confronta. L’orientamento strategico esprime quindi la linea base e anche il ruolo che l’impresa intende assumere nell’ambito del mercato. L’orientamento strategico è quindi espressione dell’immagine che l’impresa intende darsi nei confronti di terzi. Al riguardo le più significative strategie che le imprese possono venir ad assumere sono le seguenti:

• Strategia di leadership di costo; • Strategia di differenziazione.

Ove l’impresa venga ad assumere una strategia di leadership di costo, ritiene che la chiave di successo nell’ambito del mercato sia individuabile nella capacità di produrre beni simili a quelli delle imprese concorrenti proponendoli ad un prezzo di vendita inferiore alle predette. Fondamentali al perseguimento di tali strategie sono modelli organizzativi meno costosi, flessibilità dell’impresa, ma in particolare la riduzione dei costi di fabbricazione. Tale riduzione dei costi di fabbricazione sono in gran parte riconducibili ad innovazioni tecnologiche nel processo di trasformazione delle materie in prodotti e quindi effetto di costi di ricerca e sviluppo sostenuti allo scopo. Ove l’impresa venga ad assumere una strategia di differenziazione, individua la chiave di successo in un orientamento volto verso la clientela operando, più che sui prezzi praticati, sulle caratteristiche distintive del prodotto. La loro politica appare quindi quella di invo-gliare la clientela verso l’acquisto dei propri prodotti poiché questi almeno psicologica-mente appagano meglio i loro bisogni, anche se il corrispettivo dovuto per il loro acquisto risulta superiore rispetto a quello praticato dalle imprese concorrenti. Assume quindi in tali imprese l’esigenza di affermare caratteristiche di differenziazione rispetto all’offerta della concorrenza, individuabili essenzialmente attraverso nuove tecnologie di prodotti incor-poranti un maggior contenuto tecnologico. Tali risultati sono perseguibili soltanto attra-verso costi di ricerca e sviluppo.

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Non è da escludersi che per imprese orientate a tale strategia di differenziazione non abbia rilevanza anche l’innovazione tecnologica a livello di processo tecnico di trasformazione di materie in prodotto finito. Da quanto esposto appare delineata in modo chiaro la valenza dei costi di Ricerca e Sviluppo, quale strumento di creazione di valore e di posizionamento dell’impresa nel mercato. Entrando nel merito dei costi di ricerca e sviluppo, sono da considerarsi tali le spese sostenute per l’ottenimento di nuovi prodotti o servizi, nuovi processi produttivi ed anche nuove strutture organizzative o distributive dirette a migliorare quelle già in essere. Tali costi possono talvolta essere diretti alla produzione di beni immateriali, quali ad esempio una invenzione brevettabile ad un nuovo software. Tali costi di ricerca e sviluppo sostenuti dall’impresa saranno imputabili al conto economico nell’esercizio in cui sono stati sostenuti, ovvero possono essere capitalizzati qualora sussistano determinati presupposti. Se siano costi sostenuti per una ricerca di base, dato che sono da ritenersi costi di periodo e non sono legati ad uno specifico progetto capace in futuro di generare benefici all’impresa, questi costi non sono capitalizzabili. Ove si tratti di ricerca applicata e di sviluppo possono essere capitalizzati se rispondono ai seguenti quesiti:

• Il prodotto o processo (oggetto della ricerca) sia chiaramente definito ed i suoi costi siano chiaramente imputabili. In altri termini l’azienda deve essere sempre in grado di dimostrare la diretta correlazione e attinenza al prodotto o al processo in corso di realizzazione;

• Sia dimostrata la fattibilità tecnica del prodotto o del processo; • Gli amministratori abbiano manifestato l’intenzione di produrre e a

commercializzare il prodotto o il processo; • Sia realistica l’esistenza di un futuro mercato, o, se il prodotto o il processo è

destinato ad essere usato all’interno, e che sia dimostrabile la sua utilità per l’impresa;

• Esistano o siano disponibili in un futuro prossimo risorse adeguate per commercializzare e completare il prodotto o il processo.

Nel caso spese di ricerca e sviluppo siano rilevate ad attività svolte all’interno dell’impresa ed abbiano a protrarsi per più esercizi prima di pervenire ad un risultato definitivo, è opportuno iscrivere i costi che presentano utilità pluriennale alla voce BI6, come immobilizzazioni in corso, fino a che non siano completati. Si tratta in tale ipotesi di costi di ricerca e sviluppo realizzati in economia, realizzando la capacità produttiva interna, in altri termini senza ricorrere ad altre imprese. La contabilità Analitico gestionale dovrà, nella ipotesi sopra descritta definire il valore di tali costi ad unità pluriennale. Notoriamente la contabilità analitico gestionale opera secondo due metodologie di identificazione di valore:

- Direct costing: ove sono implicati solo i costi oggettivamente attribuibili al centro di costo, nella fattispecie la ricerca in corso di realizzazione;

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- Full costing: ove si esprime il valore da attribuire al centro di costo, tenendo conto non solo dei costi comuni generali che vengono attribuiti in maniera soggettiva, facendo riferimento ad una o più basi di riparto (ripartizione dei costi comuni generali su base unica o multipla).

Dalla possibilità di capitalizzazione dei costi enunciata precedentemente può dedursi un orientamento imperniato sulla prudenza, concetto generale ed informatore della redazione del bilancio (art. lo 2423 bis c.c.). Con riguardo ai costi di ricerca e sviluppo è quindi necessario stabilire la reale possibilità di successo di una ricerca al termine di ogni esercizio. È noto che, in certi settori, ad esempio quello farmaceutico, le ricerche si protraggono per anni prima di giungere ad un risultato certo. In questi casi non esiste una regola generale, ed ogni situazione va esaminata a sé stante, tenendo presente il principio generale di rappresentazione veritiera e corretta dei fatti ed il principio della prudenza. In caso dubbio è preferibile quindi attribuire tali costi all’esercizio in cui sono stati sostenuti; in altri termini l’inclusione delle immobilizzazioni tra le componenti patrimoniali dovrebbe essere l’eccezione e non la regola. A riprova della possibilità o meno di patrimonializzare i costi di ricerca e sviluppo e di quale rilevanza abbino gli stessi ai fini del rispetto dei principi di redazione stabiliti dal codice civile si tenga presente che per la loro patrimonializzazione e quindi iscrizione tra le attività della Stato Patrimoniale è necessario il consenso del collegio sindacale. Inoltre è altresì stabilito, a tutela dei terzi ed al rafforzamento, in generale, dei principi contabili di bilancio che in presenza di costi patrimonializzati a titolo di costi di ricerca e sviluppo non si provveda alla ripartizione dell’utile di esercizio se non previa la loro copertura attraverso la costituzione di una Riserva Straordinaria pari all’ammontare degli stessi, giusto disposto art. lo 2426 c.c. . Una volta definiti i presupposti in base ai quali i costi di ricerca e sviluppo possano essere patrimonializzati, procediamo ad esaminare come gli stessi, nel tempo, vengano a parteci-pare al reddito di impresa. La loro partecipazione al reddito d’impresa avviene attraverso l’ammortamento. L’ammortamento è infatti il procedimento tecnico contabile attraverso il quale un costo pluriennale viene ad essere frazionato nei vari anni in cui l’oggetto cui si riferisce offrirà utilità all’impresa. Poiché, però, la durata di questo costo pluriennale, è di norma indefinita o indeterminabile, e per ragioni di prudenza richiesta dalle incertezze e rischi caratteristici degli stessi valori, la legge prescrive che il periodo di ammortamento non deve superare i cinque anni. L’ammortamento ha inizio nel momento in cui il bene o il processo è disponibile per l’utilizzo economico. Civilisticamente tali beni immateriali debbono essere ammortizzati ai sensi di quanto disposto dall’art. lo 2426 c.c. sistematicamente in ogni esercizio in relazione alla residua possibilità di utilizzazione. Secondo il codice civile, l’ammortamento delle spese di ricerca capitalizzate segue il cri-terio della competenza economica, correlando i costi sostenuti ai ricavi prevedibili e non operando secondo una pura ripartizione temporale del valore (in antitesi con quanto previ-

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sto dalla normativa fiscale oggetto di successiva argomentazione). Il codice civile infatti non viene ad imporre un ammortamento sistematico necessariamente a quote costanti. È tuttavia necessario tener presente che, sen s segue la normativa fiscale, il valore residuo della ricerca e dello sviluppo perde di significato, ed in modo particolare quando è tra-sferito a brevetti, diritti e simili. Ove in bilancio vengono a seguirsi criteri ammortamento fiscale senza che ciò sia giu-stificato da una effettiva corrispondente vita utile, si deve donare informazione, nella nota integrativa, riguardo a quale sarebbe stato il valore della voce “immobilizzazioni immate-riali” ed il relativo riflesso nel patrimonio netto, tenendo conto del riflesso fiscale, ove si fosse proceduto al calcolo dell’ammortamento, secondo corretti principi contabili. Gli studi e ricerche possono avere un esito positivo o negativo; in quest’ultimo caso eventuali costi residui non ammortizzati vanno attribuiti in totale nell’esercizio in cui è venuto meno l’unità pluriennale. Se in un esercizio successivo a quello di iscrizione nell’attivo dei costi di ricerca vengono meno le condizioni che ne hanno legittimato la capitalizzazione nel passato (ad esempio perché non è possibile raggiungere gli obiettivi per carenza di fondi o per mutate realtà di mercato) è necessario procedere alla svalutazione dei costi capitalizzati, giusto disposto art. lo 2426 n. 3 del codice civile. Risulta infatti contrario al principio di correlazione dei costi e dei ricavi e al principio della capitalizzazione il differimento indiscriminato dei costi di ricerca e sviluppo quando non è dimostrabile che il progetto non avrà un mercato od uno sbocco che consenta di ottenere benefici. Ne consegue che, se gli amministratori ritengono che l’utilità pluriennale sia giu-stificata poiché sono prevedibili benefici futuri o che saranno a verificarsi alcune condi-zioni di gestione, produttive o di mercato, che al momento attuale sono presunte, la capita-lizzazione dei costi per ricerca e sviluppo è consentita. Si ritiene opportuno precisare che con il termine “benefici futuri” si intende fare riferi-mento ad un miglioramento per l’impresa, e quindi una previsione sia in termini di futuri redditi che in termini futuri risparmi e di costi. Sovente l’impresa nelle fasi iniziali di un progetto non è in condizione di poter stabilire se la ricerca potrà tradursi in una forma di successo o di insuccesso. Nel dubbio, l’orienta-mento dei principi contabili italiani, in ossequio anche al principio di prudenza enunciato dal codice civile, deve prevalere l’orientamento all’attribuzione totale del costo all’eser-cizio in cui lo stesso ha avuto manifestazione. Quando invece è dimostrabile il buon esito del progetto, si viene ad identificare quella realtà di costo ad utilità pluriennale, condizione indispensabile per la capitalizzazione dei costi. Allorché viene ad operarsi una svalutazione tale minor valore non può essere mantenuto negli esercizi successivi ameno che non siano a venir meno i motivi che avevano dato origine alla svalutazione. Al riguardo si pensi ad un progetto abbandonato e svalutato in passato che venga ripreso in considerazione per venir dei motivi che avevano generato la decisione della svalutazione. Tale ipotesi è, comunque, piuttosto rara nel caso dei costi di ricerca. Considerata la rilevanza che l’attività di ricerca viene ad assumere nel contesto del sistema economico di

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stato, l’autorità Pubblica non rimane indifferentemente di fronte a tale rilevanza di ruolo nella formazione del Prodotto Interno Lordo (PIL).

SCIENZE DELLE FINANZE Il credito d’imposta nell’ambito della ricerca Al riguardo della spesa pubblica contribuisce all’azione di ricerca e sviluppo, destinando parte della propria spesa a favore di enti pubblici di ricerca quali: Università, Consiglio Nazionale di Ricerca e sviluppo, Ente nazionale Energia Alternativa, Istituto Superiore di Sanità. Stimola altresì l’attività di ricerca e sviluppo delle imprese private attraverso il ricorso allo strumento del credito di imposta. Tale credito di imposta viene accordato alle imprese che, al decorrere del periodo di imposta successivo al 31 Dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso al 31 Dicembre 2009 ( per i soggetti con esercizio solare, dal 1° Gennaio 2007 al 31 Dicembre 2009) sostengono costi per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo conformemente alla vigente disciplina comunitaria degli aiuti di Stato. Al riguardo si evidenzia che l’efficacia della disposizione normativa è subordinata ad apposita autorizzazione della Commissione Europea. Tale credito di imposta è pari al 10% dei costi di ricerca, o percentuale elevata al 15% nel caso in cui gli stessi derivino da contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca. Tale agevolazione può interessare costi di importo superiore ai 15 milioni di euro per ciascun periodo di imposta. Il credito deve essere esposto nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento del costo. È ammesso il suo utilizzo in via prioritaria, in compensazione dei versamenti dovuti per le imposte sui redditi (IRES, IRE e relative addizionali) ed IRAP per il periodo in cui le spese sono state sostenute; per l’eventuale eccedenza in compensazione degli importi relativi ad altre imposte e contributi, a decorrere del mese successivo al termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta con riferimento al quale il credito è connesso. Per quanto concerne la deducibilità fiscale di tali costi, il contribuente può dedurre i costi pluriennali interamente nell’esercizio in cui sono stati sostenuti oppure in quote costanti nell’esercizio stesso o nei successivi, ma non oltre il quarto. In quest’ultimo caso, pertanto, l’impresa può scegliere di suddividere la spesa in due esercizi (deducendo in ognuno il 50% della spesa), in tre esercizi (33% della spesa), in quattro esercizi (25% della spesa) o, al massimo in cinque esercizi (20% della spesa). In sostanza la decisone presa nel primo esercizio risulta vincolante anche per gli esercizi successivi. Si tenga tuttavia presente che a decorrere dal 2007 risulta irrilevante la quota delle spese imputate al conto economico, poiché l’eventuale maggior costo deducibile a livello fiscale può essere ugualmente dedotto utilizzando il quadro EC della dichiarazione dei redditi.

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Il credito d’imposta scaturente dai costi di R&S è generatore nell’ambito del conto economico, di proventi di pari ammontare evidenziati nel valore della produzione sotto la voce: “Altri Ricavi e proventi”. Il Testo Unico delle imposte sui redditi, conviene che tali ricavi e proventi, evidenziati nel conto economico, siano ininfluenti ai fini del pro-rata generale d’indeducibilità degli interessi passivi. Come noto, gli interessi passivi sostenuti in un periodo di imposta da una impresa sono deducibili nel limite del rapporto tra l’ammontare dei ricavi e proventi imponibili e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi (compresi quelli esenti). Se ad esempio un’impresa ha realizzato Ricavi per € 400˙000, e di tali ricavi di € 100˙000 risultano esenti. La deducibilità degli interessi passivi emergerà dal seguente rapporto: Ricavi e Proventi Imponibili ÷ Ricavi e Proventi × 100 = percentuale deducibilità interessi passivi quindi: 300˙000 ÷ 400˙000 × 100 = 75% Ebbene , ove nell’ambito dei ricavi e proventi in tale impresa emergono ricavi esenti per € 100˙000, ma di tali ricavi € 30˙000 siano connessi al riconoscimento all’impresa di crediti d’imposta legati a costi di R&S, la quantificazione della percentuale degli interessi passivi deducibili fiscalmente sarà pari all’81% poiché: 300˙000 ÷ 370˙000 × 100 = 81% Attraverso tale disposizione fiscale si intende agevolare la R&S, ampliando la possibilità di deducibilità degli interessi passivi fiscalmente riconosciuti all’impresa. Si vuole in tal maniera venir a premiare le imprese che investono in tale campo, anche attraverso un indiretto riconoscimento di merito dei maggior oneri finanziari da queste sostenute. Un’ulteriore agevolazione fiscale riconosciuta ai costi di R&S è da ricondursi alla loro non rilevanza riguardo alla deducibilità delle spese generali (altre spese). Per definizione sono spese generali quelle spese che non sono specificamente imputabili ad attività o beni che abbiano prodotto ricavi o proventi inclusi nel reddito imponibile. Tali spese sono pertanto riferibili indistintamente sia ad attività produttive di ricavi imponibili che ad attività che producono ricavi esenti. La normativa fiscale conviene che la deducibilità delle spese generali pertanto limitata al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrano a formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti ricavi e proventi. Da quanto esposto appare evidente che se un’impresa, a titolo d’esempio, ha conseguito ricavi e degli altri proventi che concorrano a formare il reddito d’impresa per € 600˙000 e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi sia pari a € 750˙000 la deducibilità delle spese generali, da un punto di vista fiscale emergerà dal seguente rapporto:

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Ricavi ed altri proventi che concorrono a formare il reddito dell’impresa ÷ totale complessivo altri ricavi e proventi × 100 Nell’esempio in questione, la deducibilità delle spese generali sarà: 600˙000 ÷ 750˙000 × 100 = 80% In costanza di altri ricavi collegati al credito d’imposta attribuito all’impresa per attività di ricerca e sviluppo, supposto con riguardo all’esempio precedente pari ad € 40˙000, la deducibilità delle Spese generali sarà fiscalmente fattibile per una percentuale pari all’84.50% come evidenziato dal seguente rapporto: 600˙000 ÷ 710˙000 × 100 = 84.50% In sintesi la normativa fiscale, ai fini della tassazione IRE ed IRES, viene a porre in una posizione di privilegio le imprese che si attivano nel campo della R&S attraverso le seguenti forme di intervento:

• Il riconoscimento di un credito d’imposta; • La sterilizzazione del credito d’imposta generatore di altri ricavi attraverso la non

partecipazione di questi ultimi alla quantificazione della percentuale di deducibilità, fiscalmente riconosciuta, dagli interessi passivi e dalle spese generali.

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GEOGRAFIA Il settore quaternario o terziario avanzato Le innovazioni tecnologiche sono alla base dello sviluppo industriale e hanno consentito la progressiva sostituzione del lavoro umano con quello delle macchine sempre più efficienti. Gli investimenti pubblici e privati di Ricerca e Sviluppo diventano così determinanti per progredire nell’economia. Secondo i dati pubblicati dall’OCSE nel 2003, Stati Uniti e Giappone continuano ad investire in R&S più dell’Unione Europea che da dieci anni non va oltre l’1.9% del proprio PIL (diagramma sovrastante). Le imprese hanno l’esigenza di investire grandi capitali nella ricerca per continuare ad accresce la propria capacità innovativa e anticipare la concorrenza. L’innovazione è, infatti, un’arma potente che garantisce un vantaggio sulle aziende concorrenti, almeno fino a quando la sua introduzione nel mercato non si generalizza. Il grado d’innovazione tecnologica del processo produttivo consente di classificare i settori industriali in due

grandi gruppi: Settori tradizionali, a basso contenuto tecnologico (industria tessile, dell’abbigliamento e in generale, le industrie relative all’artigianato); Settori avanzati, che realizzano produzioni ad alta tecnologia e in cui vi è una stretta integrazione tra industria e ricerca scientifica ( industria informatica, biotecnologia ecc.). In una realtà dominata dall’alta tecnologia, le imprese industriali devono

stabilire rapporti sempre più stretti con le attività di ricerca per accelerare il ritmo dell’innovazione. Le aziende sono obbligate a: - destinare una quota considerevole dei propri investimenti alla ricerca e allo sviluppo di nuovi prodotti e tecnologie produttive; - disporre di tecnici qualificati e di capacità finanziarie per realizzare investimenti a lungo termine e dall’esito incerto nel campo della ricerca e delle sue applicazioni tecniche. La diffusione dell’innovazione tecnologica può essere spiegata in base alla teoria del ciclo di vita del prodotto, secondo la quale la produzione di un bene attraversa tre fasi

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consecutive: l’innovazione, la maturità e standardizzazione. All’inizio del ciclo, nella fase di innovazione, i nuovi beni sono prodotti in quantità limitate nei Paesi industrialmente più avanzati, dove si concentrano capitali, attività di ricerca, competenze professionali e consumatori in grado di acquistare beni costosi. Il processo lavorativo richiede manodopera specializzata e tecnici qualificati; inoltre è necessaria una stretta cooperazione fra gli organismi aziendali preposti dalla ricerca, alla produzione e alla commercializzazione. Il temporaneo monopolio consente all’impresa produttrice di realizzare alti profitti. La fase di maturità è caratterizzata dalla produzione in serie a costi contenuti e dalla creazione di impianti in Paesi a livello di sviluppo intermedio che producono per rispettivi mercati nazionali. La standardizzazione del processo produttivo consente di fabbricare il prodotto con manodopera scarsamente qualificata. Per l’impresa diventa così più conveniente trasferire la produzione in Paesi meno avanzati, dove il costo del lavoro è molto basso. La competitività del prodotto si deve alla riduzione dei costi di produzione e, a questo punto, i Paesi in via di sviluppo si trasformano in esportatori di prodotti finiti e di componenti, venduti sui mercati internazionali. Il settore nel quale vengono intraprese ricerche è il settore quaternario, settore che comprende tutte le attività di pianificazione, di orientamento politico culturale e di direzione strettamente connesse con le più elevate funzioni di comandi industriali, commerciali, finanziarie, politiche amministrative. Comprende, infatti: • Gli ambienti direzionali della Pubblica amministrazione, del governo politico, del potere militare e dei principali partiti e sindacati; • Le sedi centrali delle grandi imprese, dei più importanti istituti di credito e dei maggiori gruppi finanziari, come le banche centrali e le Borse; • Le istituzioni culturali di gran prestigio e i centri dell’informazione e della ricerca, come i mass media e le principali università. In alcuni paesi sono usati più centri con funzioni quaternarie, ciascuno con precise caratteristiche: in Italia, per esempio, Roma e Milano sono considerate tradizionalmente le sedi rispettivamente del potere politico e del potere economico. I servizi di comando di una metropoli, tuttavia, superano spesso le frontiere nazionali. È il caso di un importante centro finanziario internazionale come Londra, o politico come Washington, o un centro della ricerca scientifica come Boston, che ospita una delle più prestigiose università degli USA. Il settore quaternario è presente anche nelle metropoli di alcuni Paesi a sviluppo intermedio. In Brasile, per esempio, Paese che esercita una incontrastata leadership nell’ambito del MERCOSUR, la zona di libero scambio dell’America Latina.

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Le sedi privilegiate delle attività quaternarie sono le cosiddette città globali, in cui si concentrano le funzioni di direzione e di controllo del potere economico e politico e delle conoscenze tecnologiche su scala planetaria. Esse ospitano: • I centri direzionali delle principali società industriali, di servizi, finanziari e commerciali che operano a livello internazionale; • I più importanti organismi del potere politico; • Le maggiori istituzioni culturali; • I più importanti centri di ricerca scientifica. Inoltre sono dotate di infrastrutture avanzate (aeroporti internazionali e reti teleinformatiche), che consentono di stabilire tra loro collegamenti in tempo reale, in modo tale da formare una sorta di netwrok di città che concentra immense quantità di potere. Nelle città globali la produttività non si misura in base al volume della produzione industriale o alla quantità di servizi erogati, ma è legata alla capacità di offrire beni di qualità e servizi strategici, risultato delle più innovative tecniche di ricerca. La popolazione delle città globali è composta soprattutto da manodopera intellettuale specializzata, che percepisce alti redditi e utilizza servizi di livello superiore, insieme ad una percentuale elevata di addetti a mansioni poco qualificate e ad un consistente numero di disoccupati. Le città globali sono infatti caratterizzate da una forte polarizzazione sociale, ovvero da una netta separazione tra ricchi e poveri. Le città nelle quali vengono intraprese ricerche tecnologiche e scientifiche sono chiamate tecnopoli o anche, tecnocity, poli tecnologici o parchi scientifici, sono luoghi in cui l’interazione tra ricerca scientifica e attività industriali terziarie avanzate, a rilevante contenuto innovativo, creano le condizioni per la crescita produttiva e lo sviluppo tecnologico delle imprese. In queste “cittadelle della ricerca” operano istituti, universitari e laboratori scientifici che ricevono cospicui finanziamenti da enti privati come negli USA, o da enti pubblici, come accade in Europa. La stretta collaborazione tra il mondo scientifico e quello imprenditoriale è uno dei principali motivi del successo delle tecnopoli. La ricerca teorica si prolunga, infatti, nella sperimentazione concreta e l’innovazione può avere un’importante ricaduta economica. I settori produttivi che hanno tratto maggiori benefici nell’ambito della ricerca, sono quelli ad alto contenuto tecnologico, come l’elettronica e l’informatica, la telematica e la robotica, la biochimica, la biotecnologia e la ricerca aerospaziale. Le tecnopoli si localizzano ad una certa distanza dai centri metropolitani, ma comunque all’interno di aree regionali in cui prevalgono le funzioni quaternarie. Le tecnopoli sono presenti soprattutto nei Paesi economicamente avanzati, Stati Uniti e Giappone in testa, sebbene importanti parchi scientifici si stiano diffondendo anche in Cina, India e Corea del Sud.

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Le tecnopoli in Europa sono sorte a partire degli anni Settanta del Novecento, ma sviluppatesi a fine degli anni Ottanta. Tra le principali ci sono il Parco di Cambridge (Regno Unito) specializzato nella ricerca informatica e medica, la città di Parigi-Sud, impegnata nei moderni settori dell’informatica, dell’elettronica e dell’agronomia, il Polo di Sophia Antipolis, vicino Nizza, una delle più grandi tecnopoli d’Europa che ospita oltre 1200 aziende biotecnologiche e di telecomunicazione. Attualmente imponenti ricerche vengono intraprese per ricercare fonti energetiche inesauribili che possano sostituire le fonti energetiche esauribili oggi giorno sfruttate per l’80% del fabbisogno energetico mondiale (carbone, petrolio, gas naturale ed in fine energia nucleare) poiché si stima che le energie non rinnovabili possano soddisfare le esigenze umane ancora per minimo 40 anni e massimo 60, si ricerca appunto da tempo di scoprire nuove energie per migliorare il mondo ed il nostro futuro. Le energie rinnovabili sono tutte quelle che derivano da fonti che possono essere considerate inesauribili (sole, acqua, vento, ecc.). Le energie rinnovabili contribuiscono in minima parte al fabbisogno energetico mondiale, poiché gli impianti sono costosi e necessitano, in moti casi, di grandi superfici per ottenere esigue quantità di energia. Le fonti rinnovabili esistenti sono: l’energia idroelettrica, solare, eolica, geotermica, le biomasse e negli ultimi anni si sta sperimentando con enti di ricerca come sfruttare i movimenti delle maree. Più specificatamente:

• L’energia idroelettrica copre il 20% del fabbisogno energetico, è una fonte di energia “pulita”, non emette cioè sostanze inquinanti ai danni dell’ambiente, e soprattutto “efficace”, dato che presenta un alto rendimento nella trasformazione dell’energia idraulica in energia elettrica. È praticabile in tutti i Paesi, con l’eccezione di quelli desertici e perciò privi d’acqua. Nei paesi sviluppati tutti i principali dislivelli in montagna sono stati sfruttati, ma nei Paesi in via di sviluppo, invece, esistono ancora notevoli potenzialità che però, per essere sfruttate, richiedono l’investimento di grandi capitali.

• L’energia solare è una fonte inesauribile di energia pulita. La produzione di

elettricità mediante pannelli fotovoltaici è ancora molto modesta, a causa del costo degli impianti e dei vasti spazi necessari per raccogliere questa energia. Inoltre, non tutta la superficie terrestre risulta omogeneamente irraggiata, per cui questa fonte può essere sfruttata solo nelle regioni comprese tra il 45° di latitudine nord e sud.

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• L’energia eolica è generata dal vento ovvero dal movimento di un’enorme massa d’aria causato dall’azione dei raggi del sole e dalla rotazione terrestre, si tratta di energia pulita, priva di sostanze inquinanti e gratuita. Tuttavia il vento è molto instabile, la sua direzione è variabile, la sua intensità e la sua durata mutevole. Dunque per poter regolare l’energia meccanica o elettrica dal vento è indispensabile che esso spiri con una certa forza, con una certa intensità e velocità e mantenga costante il più possibile la propria direzione. I luoghi ideali per installare impianti eolici sono le coste, i promontori, le isole, zone dove i venti sono più regolari. Per poter utilizzare l’energia eolica è necessario che il vento raggiunga la velocità di 12 km/h e non superi i 65 km/h. Questa energia viene utilizzata maggiormente in Germania poi nel Nord America, Spagna, India, Danimarca, Italia, Regno Unito.

• L’energia geotermica si ottiene dai vapori prodotti

grazie all’elevatissima temperatura di masse rocciose profonde, che scaldano gas del sottosuolo. I costi di impianto e produzione di questa energia sono molto bassi, e l’inquinamento è assente, però le sedi idonee sono rare, i campi geotermici vengono sfruttati solamente dall’Italia, Stati uniti, Giappone, Messico, Nuova Zelanda, Filippine e Islanda.

• La nostra società produce quantità enormi di rifiuti, che creano non pochi problemi per il loro smaltimento. La ricerca ha però permesso di verificare che dai rifiuti organici, la cosiddetta biomassa, è possibile ottenere combustibili quali gas, soprattutto metano, o distillati, come l'alcol etilico. Inoltre essa può essere trattata per ricavare concimi, detti compost, attraverso un particolare processo di fermentazione operato da batteri. Attualmente la biomasse rappresenta una fonte energetica importante soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

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• L’energia prodotta dalle maree. Il prossimo

anno partirà la sperimentazione in Scozia di una macchina in grado di produrre energia elettrica dalle maree. Chiamata "the Snail" (la lumaca) il congegno sfrutta il salire e scendere delle acque e ha il grande vantaggio di poter essere spostato e ancorato in una varietà di siti diversi. L'energia ricavata dalle maree è potenzialmente una grande fonte rinnovabile e assolutamente priva di emissioni. Il problema è che i generatori anche piccoli tendono ad alterare l'equilibrio dell'ecosistema in cui sono inseriti, soprattutto se si tratta di estuari o baie. Invece, la macchina potrebbe funzionare in mare aperto, ancorata al fondo del mare, senza produrre un significativo impatto ambientale. Si è calcolato che in Scozia circa 16 gigawatt di elettricità all'anno possono essere prodotte da impianti collocati nei mari che la circondano. Si tratta di una quantità di energia pari a quella prodotta da sette centrali nucleari. Il problema di fondo è trovare un metodo adeguato per ancorare la turbina al fondo. Fino a oggi si pensava o a generatori così pesanti da rimanere sul posto senza poter essere spostati dalla marea, dalle correnti o dalle tempeste. Si parla però di strutture da almeno 200 tonnellate di difficile trasporto. Oppure, di ancorarle con dei pilastri, cosa comunque costosa e difficile da realizzare in acque più profonde di 50 metri. La "lumaca" invece, disegnata dagli ingegneri della Robert Gordon University di Aberdeen è piccola (circa 15 metri di altezza) e leggera (solo 20 tonnellate). Una serie di "ali sottomarine" genera una forza diretta verso il basso quando la corrente marina ci passa sopra, permettendo al congegno di ancorarsi al fondo senza necessità di preparazioni ulteriori. Il prototipo verrà provato nel Eynhallow Sound a Orkney.

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ITALIANO

Il Futurismo

Il futurismo nacque a Parigi nel 1909 con la pubblicazione, sul quotidiano "Le Figaro", del Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti. Questo movimento coinvolge tutti i campi della vita e della cultura. Muore l'arte come fenomeno elitario per seguire tutti i nuovi mezzi di produzione della società industriale contemporanea. Inizia così per i futuristi una nuova adesione alle moderne tecniche e nuovi mezzi espressivi come il cinema e la fotografia. Intendono operare un rinnovamento totale dato da un entusiasmo per il futuro ma sopratutto per l'angoscia del tempo che scorre. Nasce l'esaltazione per la macchina e per la velocità definita nel Manifesto una nuova bellezza che arricchisce la magnificenza del mondo. I futuristi rifiutano nettamente il passato tanto da proporre la distruzione delle biblioteche, accademie e musei definiti tutti come cimiteri di sforzi vani. Nasce inoltre in loro una nuova concezione violenta (spesso praticata nelle feste futuriste) della vita e della storia, che esalta la guerra a scapito della pace, e disprezza le fasce deboli della società in particolar modo la donna. Questo disprezzo è da intendersi come una

condanna non della donna in sé ma del romanticismo datole dalla letteratura dell'epoca. Il creatore principale del Futurismo è stato Filippo Tommaso Marinetti. Questa avanguardia venne subito conosciuta a livello europeo grazie alla pubblicità e alle serate futuriste. Vengono definiti dai giornalisti portatori di una visione moderna della vita. I futuristi aderiscono alle nuove tecniche note in quel periodo come il cinema, la fotografia e vogliono provare tutte quelle sensazioni prodotte da tutti i nuovi mezzi espressivi estranei all'arte, come

abbigliamento, arredamento e alimentazione. Il movimento di Marinetti, ha come base in ideologia militarista e autoritaria la quale si può dedurre dal nome avanguardia cioè un avamposto di soldati. Dopo tre anni dalla nascita del Manifesto Futurista, Marinetti crea il “Manifesto tecnico della letteratura futurista”. L'artista va contro la vecchia "poetica" infatti inserisce immagini che si sostituiscono alle le parole le quali vengono "montate" sulla pagina così come nascono nella mente dello scrittore prendendo il nome di parole in libertà. Il brano quindi risulterà ricco di analogie e di immaginazione senza fili, che

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ntivo cui è legato per analogia.

associano tra loro le sensazioni visive, uditive, tattili e olfattive. Viene inoltre distrutta la sintassi, abolita la punteggiatura, l'aggettivo e l'avverbio. L'uso del verbo all'infinito, inoltre, viene utilizzato per una maggiore sensazione della realtà. Il testo risulta privo dell' "io" letterario portando ad una mancanza di soggettività dell'autore. Secondo Marinetti ogni sostantivo deve avere il suo doppio cioè il sostantivo, senza congiunzione, deve essere seguito dal sosta Verranno inoltre create le “tavole parolibere”, cioè testi nei quali sono accostati parole, cerchi, linee, disegni, colori e caratteri tipografici diversi. Marinetti vuole creare un poeta-giornalista il quale vuole farci entrare nell'atmosfera da lui vissuta in quel momento con sensazioni che variano dai suoni, odori, colori ecc. I principi di fondo di Marinetti, proclamati, con foga immaginosa, nel testo programmatico, sono i seguenti: - il culto della forza, dell’audacia senza limiti e della guerra come «sola igiene del mondo»; - l’esaltazione della velocità come «bellezza nuova» che connota il moderno mondo industriale e il suo simbolo magnifico nell’automobile da corsa, «più bello della vittoria di Samotracia» - la glorificazione del patriottismo, del militarismo, dell’intraprendenza industriale, del «dinamismo aggressivo» e di tutto ciò che rilevi nell’uomo viltà di muscoli e di giovinezza di istinti, ivi compresi il «passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno»; - il rifiuto del pensiero astratto, della contemplazione passiva e di ogni nostalgia del passato, per poter guardare con virile speranza al futuro del mondo; - il disprezzo per la donna, in quanto simbolo di fragilità psicologica, e per le biblioteche, i musei, i professori, gli archeologi, i ciceroni, da cui l’Italia ha il dovere di liberarsi. È fin troppo facile mostrare la gratuità di certe posizioni iconoclastiche sostenute in questo Manifesto e nei molti altri che lo seguirono, ne giova soffermarsi a spiegare perché il fenomeno fu, a conti fatti, una «rivoluzione mancata»: più utile è illustrare i legami che esso ebbe con il fascismo. Stretti e vistosi erano quei legami; e solo chi li coglie interamente può farsi un’idea del peso effettivo che il Futurismo ha avuto sul costume italiano fra il 1915 e il 1922. Esaltando l’audacia, la violenza, il militarismo, il nazionalismo, l’imperialismo, le manifestazioni giovanilistiche e ribellistiche, il movimento futurista anticipò e poi fiancheggiò il fascismo. Quando Marinetti afferma che la guerra «è la sola igiene del mondo» prepara il clima ideologico in cui il fascismo troverà larghi consensi alle sue avventure imperialistiche; quando dichiara di voler «contare l’amore del pericolo», suggerisce a Mussolini e ai suoi squadristi uno slogan come «vivere pericolosamente».

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Leggendo, il primo Manifesto Futurista, la frase «noi vogliamo esaltare il passo di corsa e salto mortale» ci avviene di pensare al rituale ginnico dei cosiddetti “sabati fascisti” che vedevano anche i vecchi e obesi gerarchi esibirsi in prove di giovanilismo. E quando Marinetti, presto echeggiato dai suoi fremebondi seguaci, afferma che «non v’è bellezza se non nella lotta», non solo ripete il peggiore

D’Annunzio, ma anticipa anche il più plateale Mussolini, secondo il quale «non è un uomo chi non ha fatto almeno un po’ di guerra». Il fascismo, per nobilitare la sua ideologia, si appropriò di molti aspetti dell’antica Roma e della sua tradizione. Nella fase del “movimento”, ossia per tutto il tempo in cui espresse, sia pure confusamente, un’anima rivoluzionaria, fu tutt’altro che rispettoso della tradizione ed ebbe contatti assai stretti con l’ideologia

futurista, condividendo una generale eversione delle vecchie strutture civili. È noto che il regime fascista si costituì nel 1925, ossia quando il futurismo marinettiano sopravviveva soltanto nella persona del fondatore e in pochi suoi fedelissimi. Ciò significa che una proficua indagine sui rapporti tra futurismo e fascismo deve registrarsi al periodo compreso tra 1915 e il 1922, ossia agli anni in cui il movimento marinettiano era in pieno rigoglio e il fascismo non aveva ancora smesso le sue ambizioni rivoluzionarie. L’aspetto letterario L’attivissimo Marinetti per qualificare uno scrittore, futurista, creò un Manifesto tecnico della letteratura futurista, apparso nel 1912. Questo testo, che l’autore, in una sorta di «prologo», dice di aver concepito in aereo in volo su Milano, mentre il turbino dell’elica gli faceva sentire “l’inanità della vecchia sintassi ereditata da Omero”, contiene una serie di precetti tecnico- stilistici finalizzati alla liquidazione del discorso letterario «passatista». Eccone i più rilevanti: -bisogna distruggere la sintassi; -si devono abolire gli aggettivi e gli avverbi: l’aggettivo è una sfumatura, l’avverbio vecchia fibbia artificiosa tra una parola e l’altra; -bisogna eliminare la punteggiatura. La variazione del registro può essere indicata da segni matematici o musicali; -bisogna sostituire la figura retorica della similitudine con la ben più rapida e incisiva analogia; -bisogna distruggere l’“io” in letteratura. In tal modo il futurismo passava dal «verso libero» alle «parole libere» paroliberismo e all’«immaginazione senza fili», ossia abolizione dei nessi grammaticali e sintattici, ma

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anche della ricorrenza di analogie senza un primo termine. Marinetti affermò che «Bisognerà rinunziare ad essere compresi. Essere compresi non è necessario» poiché avrebbe potuto generare oscurità e rendere incomprensibile la pagina artistica. Come in un’opera scritta secondo la ricetta di Marinetti delle “parole in libertà” è “Zang tumb tumb” con cui esso tentò il resoconto della guerra bulgaro-turca del 1912.

Futuristi Italiani I principali esponenti del movimento futurista sono:

• Filippo Tommaso Marinetti

• Giacomo Balla

• Umberto Boccioni

• Oswaldo Bot, pseudonimo di Osvaldo Barbieri

• Carlo Carrà

• Primo Conti

• Gino Severini

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Filippo Tommaso Marinetti: la vita Filippo Tommaso Marinetti nacque nel 1876 ad Alessandria d’Egitto, si spostò a

Parigi per gli studi superiori ed infine si laureò in Giurisprudenza presso l’Università di Genova. La sua fu dunque una formazione cosmopolita, a diretto contatto con il Simbolismo francese di fine ‘800 (il termine Simbolismo è un’altra denominazione attribuita alla corrente del Decadentismo). Nel 1909 rese pubblica la nascita di un nuovo gruppo culturale, che si proponeva di recidere i legami con il passato e s’apprestava a cantare la velocità, l’aggressività e la concretezza del mondo contemporaneo. Fece infatti pubblicare il Manifesto del Futurismo, a cui seguì tre anni dopo il “Manifesto tecnico della letteratura futurista”, e inaugurò in maniera pubblica ed ufficiale il movimento.

Il programma futurista, allargatosi fino ad abbracciare i più diversi aspetti dell’arte e delle relazioni sociali, finì col presentarsi come un progetto di trasformazione non solo artistica, ma globale. Per comunicare questi radicali cambiamenti si puntò soprattutto sugli aspetti promozionali e pratici: fu così che Marinetti si occupò di organizzazione di cultura, riuscendo a suscitare energie intellettuali e a coronarle di successo mediante promozioni, réclame, diffusione editoriale, ricerche del consenso. Organizzò “serate futuriste” in cui si richiedeva la partecipazione del pubblico, spingendolo addirittura al litigio o alla rissa: lo scandalo – lo sapeva bene Marinetti- era infatti un ottimo strumento per carpire l’attenzione. L’artista fu sempre sostenitore della guerra e della violenza: fu un acceso interventista, diede prove di grande valore durante la prima Guerra Mondiale e si mostrò decisamente favorevole all’avvento del Fascismo. Venne persino nominato “intellettuale di regime” nel 1929: il ruolo, seppur in apparenza prestigioso, rappresentò una sconfitta per Marinetti, che, credendo di trovare nel Fascismo la concretizzazione delle proprie idee rivoluzionarie, fu invece trasformato in quella stessa categoria di artisti – gli accademici – contro cui egli si era scagliato in gioventù. Pur continuando la sua opera di autore e collaboratore giornalistico, Marinetti vide progressivamente svuotarsi di senso e di energia il proprio movimento. Morì nel 1944 a Bellagio, città che faceva al tempo parte di quella Repubblica di Salò che Mussolini aveva disperatamente istituito per frenare il proprio declino politico.

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Filippo Tommaso Marinetti

Zang Tumb Tumb

ogni 5 secondi cannoni da assedio sventrare

spazio con un accordo tam-tuuumb

ammutinamento di 500 echi per azzannarlo

sminuzzarlo sparpagliarlo all´infinito

nel centro di quei tam-tuuumb

spiaccicati (ampiezza 50 chilometri quadrati)

balzare scoppi tagli pugni batterie tiro

rapido violenza ferocia regolarita questo

basso grave scandere gli strani folli agita-

tissimi acuti della battaglia furia affanno

orecchie occhi

narici aperti attenti

forza che gioia vedere udire fiutare tutto

tutto taratatatata delle mitragliatrici strillare

a perdifiato sotto morsi shiafffffi traak-traak

frustate pic-pac-pum-tumb bizzzzarrie

salti altezza 200 m. della fucileria

Giù giù in fondo all'orchestra stagni

diguazzare buoi buffali

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pungoli carri pluff plaff impen

narsi di cavalli flic flac zing zing sciaaack

ilari nitriti iiiiiii... scalpiccii tintinnii 3

battaglioni bulgari in marcia croooc-craaac

[ LENTO DUE TEMPI ] Sciumi Maritza

o Karvavena croooc-craaac grida delgli

ufficiali sbataccccchiare come piatttti d'otttttone

pan di qua paack di là cing buuum

cing ciak [ PRESTO ] ciaciaciaciaciaak

su giù là là intorno in alto attenzione

sulla testa ciaack bello Vampe

vampe

vampe vampe

vampe vampe

vampe ribalta dei forti die-

vampe

vampe

tro quel fumo Sciukri Pascià comunica te-

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lefonicamente con 27 forti in turco in te-

desco allò Ibrahim Rudolf allò allò

attori ruoli echi suggeritori

scenari di fumo foreste

applausi odore di fieno fango sterco non

sento più i miei piedi gelati odore di sal-

nitro odore di marcio Timmmpani

flauti clarini dovunque basso alto uccelli

cinguettare beatitudine ombrie cip-cip-cip brezza

verde mandre don-dan-don-din-bèèè tam-tumb-

tumb tumb-tumb-tumb-tumb-tumb-

tumb Orchestra pazzi ba-

stonare professori d'orchestra questi bastona-

tissimi suooooonare suooooonare Graaaaandi

fragori non cancellare precisare ritttttagliandoli

rumori più piccoli minutisssssssimi rottami

di echi nel teatro ampiezza 300 chilometri

quadri Fiumi Maritza

Tungia sdraiati Monti Ròdopi

ritti alture palchi logione

2000 shrapnels sbracciarsi esplodere

fazzoletti bianchissimi pieni d'oro Tumb-

tumb 2000 granate protese

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strappare con schianti capigliature

tenebre zang-tumb-zang-tuuum

tuuumb orchesta dei rumori di guerra

gonfiarsi sotto una nota di silenzio

tenuta nell'alto cielo pal-

lone sferico dorato sorvegliare tiri parco

aeroatatico Kadi-Keuy

BILANCIO DELLE ANALOGIE

(1» SOMMA )

Marcia del cannoneggiamento futurista

colosso-leitmotif-maglio-genio-novatore-ottimismo

fame-ambizione ( TERRIFICO ASSOLUTO SOLENNE EROICO PESANTE IMPLACABILE FECONDANTE )

zang-tuumb tumb tumb

(2» SOMMA )

difesa Adrianopli passatismo mi

nareti dello scetticismo cupole- ventri dell'in-

dolenza vigliaccheria ci-penseremo-domani non-

c'è-pericolo non-è-possibile a-che-serve dopo-

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tutto-me-ne-infischio consegna di tutto lo

stock in stazione-unica = cimitero

( 3» SOMA)

intorno ad ogni obice-passo del co-

losso-accordo cadere del maglio-creazione del

genio-comando correre ballo tondo galoppante

di fucilate mitragliatrici violini monelli odori-

di-bionda-trentenne cagnolini ironie dei critici

ruote ingranaggi grida gesti rimpianti (ALLE-

GRO AEREO SCETTICO FOLLEGGIANTE AEREO

CORROSIVO VOLUTTUOSO )

(4» SOMMA )

intorno a Adrianopoli + bombardamento

+ orchestra + passeggiaita-del-coloso + offi-

cina allargarsi cerchi concentrici di riflessi plagi

echi risate bambine fiori fischi-di-vapore attese

piume profumi fetori angoscie ( INFINITO

MONOTONO PERSUASIVO NOSTALGICO )

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Questi pesi spessori rumori odori turbini moleco-

lari catete reti corridoi di analogie comcorrenze

e sincronismi offrirsi offrirsi offrirsi offrirsi

in dono ai miei amici poeti pittori

musicisti e runositi futuristi

zang-tumb-tumb-zang-zang-tuuumb tatatatatatatata picpacpam

pacpacpicpampampac uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu

ZANG-TUMB

TUMB-TUMB

TUUUUUM

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F.T:MARINETTI

ALL'AUTOMOBILE DA CORSA

(Traduzione di "A MON PEGASE" dello stesso autore)

Veemente dio d'una razza d'acciaio, Automobile ebbra di spazio,

che scalpiti e fremi d'angoscia rodendo il morso con striduli denti...

Formidabile mostro giapponese, dagli occhi di fucina,

nutrito di fiamma e d'oli minerali,

avido d'orizzonti, di prede siderali... Io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente,

scateno i tuoi giganteschi pneumatici, per la danza che tu sai danzare

via per le bianche strade di tutto il mondo!... Allento finalmente

le tue metalliche redini, e tu con voluttà ti slanci nell'Infinito liberatore!

All'abbaiare della tua grande voce ecco il sol che tramonta inseguirti veloce

accelerando il suo sanguinolento palpito, all'orizzonte...

Guarda, come galoppa, in fondo ai boschi, laggiù...

Che importa, mio démone bello? Io sono in tua balìa!...Prendimi!... Prendimi!...

Sulla terra assordata, benché tutta vibri d'echi loquaci;

sotto il cielo acciecato, benché folto di stelle, io vado esasperando la mia febbre

ed il mio desiderio, scudisciandoli a gran colpi di spada.

E a quando a quando alzo il capo per sentirmi sul collo

in soffice stretta le braccia folli del vento, vellutate e freschissime...

Sono tue quelle braccia ammalianti e lontane che mi attirano, e il vento

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non è che il tuo alito d'abisso, o Infinito senza fondo che con gioia m'assorbi!...

Ah! ah! vedo a un tratto mulini neri, dinoccolati,

che sembran correr su l'ali di tela vertebrata

come su gambe prolisse...

Ora le montegne già stanno per gettare sulla mia fuga mantelli di sonnolenta frescura,

là, a quel sinistro svolto... Montagne! Mammut in mostruosa mandra,

che pesanti trottate, inarcando le vostre immense groppe,

eccovi superate, eccovi avvolte dalla grigia matassa delle nebbie!... E odo il vago echeggiante rumore

che sulle strade stampano i favolosi stivali da sette leghe

dei vostri piedi colossali...

O montagne dai freschi mantelli turchini!... O bei fiumi che respirate

beatamente al chiaro di luna! O tenebrose pianure!... Io vi sorpasso a galoppo!...

Su questo mio mostro impazzito!... Stelle! mie stelle! l'udite

il precipitar dei suoi passi?... Udite voi la sua voce, cui la collera spacca...

la sua voce scoppiante, che abbaia, che abbaia... e il tuonar de' suoi ferrei polmoni

crrrrollanti a prrrrecipizio interrrrrminabilmente?...

Accetto la sfida, o mie stelle!... Più presto!...Ancora più presto!...

E senza posa, né riposo!... Molla i freni! Non puoi?

Schiàntali, dunque, che il polso del motore centuplichi i suoi slanci!

Urrà! Non più contatti con questa terra immonda! Io me ne stacco alfine, ed agilmente volo

sull'inebbriante fiume degli astri che si gonfia in piena nel gran letto celeste!

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Manifesto del Futurismo

Le Figaro - 20 febbraio 1909

1. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.

2. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

3. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità penosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una

bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo...un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia.

5. Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per

aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali. 7. Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un

carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo.

8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo

guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente.

9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni

specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.

11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla

sommossa: canteremo le marce multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che fiutano l'orizzonte, e le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. È dall'Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari. Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.

Filippo Tommaso Marinetti

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STORIA

Il Fascismo

L’Italia era uscita vincitrice dal primo conflitto mondiale, ma ben presto nel Paese si era diffuso un grande senso di delusione per quella che veniva chiamata una “vittoria mutilata”, così chiamata per gli scarsi benefici conseguiti con il successo bellico. In Italia si erano formati due blocchi fisiologici: per gli uni essere italiani, essere patrioti, significava anche essere dannunziani e interventisti; per gli altri essere democratici, rivoluzionari, essere repubblicani significava anche essere rinunciatari o “caporettisti”. I reduci di guerra avevano sacrificato anni di trincea con una promessa di un rinnovamento sociale e avevano creduto alla possibilità di ricostituire un Paese più equo e progredito; ritornavano a casa in condizioni economiche ancora peggiori di quando erano partiti. Il reinserimento dei combattenti nella vita civile risultò molto difficoltoso, poiché il lavoro scarseggiava e le promesse dei governi di guerra risultavano pesantemente disattese per via della fine delle commesse militari. Il deficit dello Stato era spaventoso, essendo salito nel 1918-19 a 23 345 milioni contro i circa 214 000 dell’anteguerra (1913-14). L’inflazione e la perdita di potere d’acquisto della lira, diede come conseguenza un aumento vertiginoso dei prezzi, creavano grandi disagi fra piccoli risparmiatori e producevano il declassamento della piccola borghesia. Con questo declassamento la piccola borghesia vedeva allontanarsi sempre di più la possibilità anelata di raggiungere gli standard economici e di vita della grande borghesia imprenditoriale e finanziaria, che aveva invece beneficiato dalla guerra. Per quanto riguarda il proletariato, all’accrescimento industriale aveva corrisposto una maggiore capacità organizzativa a difesa dei propri diritti. Alla fine della guerra la produzione industriale subì una brusca contrazione, poiché furono necessarie,

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come in tutti i Paesi coinvolti nel conflitto, azioni di riconversione dell’industria di guerra con quella di pace. Durante i tragici interventi bellici del 1917 lo Stato italiano si era impegnato, in cambio della fedeltà dei contadini all’esercito, ad avviare la tanto sospirata riforma agraria. Si inasprirono così i conflitti tra classe dirigente liberale e le forze popolari e sindacali, espressioni della volontà degli operai e dei braccianti agricoli. I sindacati e il Partito socialista organizzarono manifestazioni così vaste e imponenti che il periodo tra il 1919 e il 1920 venne definito il “biennio rosso” (si trattava inizialmente per lo più di scioperi spontanei, legati alla protesta contro il caro-vita, che talvolta producevano saccheggi di negozi di generi alimentari). L’idea della realizzazione in Italia di una rivoluzione sul modello di quella sovietica era molto diffusa e determinava un clima di grave preoccupazione, soprattutto tra i ceti borghesi. Il governo liberale appariva impotente a gestire la situazione. La classe dirigente liberale, faceva fatica ad adeguarsi alle novità sociali e ideologiche del dopoguerra: i grandi partiti di massa rappresentavano ormai la maggioranza della popolazione. Nel 1919 si tennero le elezioni politiche, per la prima volta con sistema proporzionale, sostituendo il sistema uninominale fino ad allora in vigore. Il metodo proporzionale distribuiva i seggi a ogni partito in proporzione ai voti ottenuti. Le elezioni registrarono straordinario successo per i partiti di massa (socialisti e neonati popolari), i liberali mantenevano la maggioranza con un governo di coalizione fra vari gruppi di tale ordinamento, ma vedevano seriamente minacciata la loro leadership. Nel 1921, al congresso di Livorno, Gramsci e Bordiga operarono una secessione e fondarono il Partito comunista d’Italia, collocandosi nell’orbita dell’Internazionale comunista sovietica.

Nel 1919 nacque il movimento dei Fasci italiani di combattimento, fondato da Benito Mussolini. Mussolini emigrato in Svizzera nel 1902, aveva collaborato con la rivista «L’Avvenire del Lavoratore» e con altre riviste dell’Internazionale socialista. Tornato in Italia nel 1904 partecipò al partito socialista prima a Milano, poi a Oneglia. Da autodidatta aveva

approfondito la letteratura dei classici del socialismo, ma aveva particolarmente subito il fascino del sindacalismo anarchico del Sorel. Nel 1909 si era trasferito a Trento con l’incarico di responsabile del Segretario del lavoro. Nel 1910 si trasferì a Forlì e diresse il giornale «Lotta di classe». Divenne membro della direzione del partito e direttore dell’«Avanti!», nel novembre del 1914 fu espulso dal partito socialista a causa di prese di posizione interventiste fondando un suo giornale «Il popolo d’Italia» che almeno fino al 1918 si definiva “quotidiano

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socialista”. Tra il 1915 ed il 1917 Mussolini combatté nell’esercito. Al suo rientro egli si impegnò in favore dei reduci di guerra e dei lavoratori, definendo il suo giornale «quotidiano di combattenti e dei produttori». Il suo programma venne reso pubblico a Milano, il 23 marzo del 1919. Gli aderenti al movimento erano prevalentemente reduci di guerra e appartenenti ai ceti medi, delusi e colpiti dalla crisi economica. I fasci di combattimento cercavano di dare voce alle numerose manifestazioni di scontento sociale e politico che non riuscivano, per scelta od origine sociale, a collocarsi negli schieramenti politici esistenti. Al seguito delle elezioni del 1919 nonostante l’aumento dei partiti di massa, il governo rimase appannaggio dei rappresentanti liberali, i quali tuttavia si trovarono in grande difficoltà nell’affrontare l’emergenza sociale politica. Francesco Severio Nitti guidò il governo dopo le dimissioni di Vittorio Emanuele Orlando. Nitti doveva

risolvere la situazione turbolenta interna e cercare di concludere le questioni rimaste insolute dopo i trattati di pace. In particolare doveva risolvere la “questione di fiume”. Nel settembre 1919 Gabriele D’Annunzio, letterato e acceso nazionalista, occupò la città con un pugno di volontari, proclamando l’annessione di Fiume all’Italia. Le forze italiane avevano preso posizioni diverse: i socialisti condannarono D’Annunzio, mentre i nazionalisti e i fascisti lo

l ilancio deficitario dello Stato.

o 1920 al luglio 1921.

esaltarono. Il governo Nitti fu messo in minoranza nel giugno del 1920 in seguito alla decisione di rincarare il pane, il cui prezzo politico gravava pesantemente sub

Al posto di Nitti i liberali chiamarono il vecchio Giolitti, che presiedette il Consiglio dei ministri dal giugnGià durante la sua campagna elettorale egli aveva proposto in maggior controllo fiscale sulla ricchezza e sostenuto la necessità che il grande capitale e la classe dirigente capissero l’urgenza di trasformazioni sociali per evitare menzioni rivoluzionarie. Tuttavia la strategia giolittiana, così efficace nel periodo prebellico, si

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rilevò inadeguata alle mature condizioni politiche del Paese. In politica estera Giolitti ebbe cura di ricomporre la frattura diplomatica causata dalla spedizione di Fiume. Il 12 novembre del 1920 vennero definiti, con il trattato di Rapallo, i conflitti

contesi con la Jugoslavia: l’Italia ottenne l’Istria e Zara, rinunciando a gran parte della Dalmazia, mentre Fiume rimase città libera, ma sarebbe dovuta diventare italiana entro il 1924. Giolitti quindi si assunse il compito di sgomberare Fiume dai legionari dannunziani. I provvedimenti di politica interna crearono al governo non pochi problemi. La legge sui titoli azionari (teso ad aumentare le tasse di successione) attiravano

molte ostilità al governo. Nel febbraio del 1921 il governo aveva deciso di abolire il prezzo politico del pane allo scopo di diminuire il deficit di bilancio, ma tale provvedimento veniva ancora ostacolato dai socialisti e appariva decisamente impopolare. Il movimento fascista, venne valutato da Giolitti in modo superficiale. Il movimento infatti, dopo la delusione elettorale del 1919, in cui aveva ottenuto una irrisoria percentuale di consensi, aveva rivisto le proprie posizioni e andava apertamente schierandosi contro i sindacati, organizzando squadre d’azione paramilitari che avevano lo scopo di aggredire scioperanti e sindacalisti, molto spesso con l’esplicito appoggio dei proprietari terrieri e degli industriali. Giolitti pensò di utilizzare i fascisti in funzione antisindacale e antisocialista, non ostacolando le violenze delle squadre d’azione e proponendosi come mediatore con le forze moderate e riformiste. Dal 1921 il movimento fascista attuò una svolta in senso decisamente conservatore e reazionario: i Fasci di combattimento si trasformarono in Partito nazionale fascista, il cui programma venne reso noto nel novembre 1921 al teatro Augusteo di Roma. Il partito si proponeva come obbiettivi la difesa dello Stato dell’anarchia sovversiva, la tutela della tradizione e della famiglia, l’esaltazione nazionalistica e patriottica, il superamento dei conflitti sociali nell’interesse comune del Paese. Questo mutamento portò il partito a rivedere anche le precedenti posizioni anticlericali e a intessere relazioni con esponenti della gerarchia ecclesiastica. Mussolini instaurò rapporti con il Vaticano, l’esercito e la monarchia, nel convincimento che senza l’appoggio di queste forze sarebbe stato impossibile assumere il controllo del Paese. Nel frattempo, il partito socialista già lacerato dalla scissione di Livorno, si indebolì ulteriormente per la fuoriuscita del gruppo moderato guidato da Giacomo Matteotti, che fondò il partito socialista unitario. Il Partito fascista aumentò significatamene i propri iscritti, divenendo una forza visibile e determinante negli equilibri del Paese. Un banco di prova per verificare i nuovi equilibri politici furono le elezioni di maggio 1921. Il partito di Mussolini venne inserito nelle alleanze liberali, perchè Giolitti

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aveva pensato di poter utilizzare i voti fascisti per consolidare la maggioranza del governo, salvo poi liberarsene in condizioni di raggiunta stabilità. Le liste del cosiddetto Blocco nazionale prevedevano dunque la collaborazione fra i liberali e Mussolini. I risultati furono però poco soddisfacenti per i liberali, mentre l’accordo fruttò a Mussolini la presenza di trentacinque deputati in Parlamento. I fascisti costituivano ormai un nucleo di potere in grado di imporsi, rafforzando inoltre da un sempre più ampio consenso raccolto anche tra i moderati. Alla vigilia del

congresso i vertici del gruppo dirigente del Partito fascista, riuniti a Napoli, organizzavano un tentativo di colpo di mano paramilitare dagli esiti e dai propositi incerti: la marcia su Roma delle milizie fasciste. L’obbiettivo era di forzare la mano al governo nel senso di una maggiore partecipazione fascista all’esecutivo. L’organizzazione dell’azione fu affidata ad un quadrumvirato, composto da Cesare De Vecchi, Italo

Balbo, Emilio De Bono e Michele Bianchi. Mussolini, che gestiva l’operazione senza compromettersi direttamente, attendeva gli esiti dell’azione. Il 28 ottobre 1922 colonne di “camice nere” fasciste affluivano a Roma da tutta Italia, senza incontrare alcuna resistenza. Vittorio Emanuele III sciolse ogni riserva e chiamò Mussolini a Roma, incaricandolo di creare e guidare un nuovo governo di coalizione. La marcia su Roma si era rivelata un successo. Il primo governo Mussolini fu un governo di coalizione, basato su un compromesso con la vecchia classe dirigente liberal-conservatrice. Mussolini poteva però contare sul sostegno dei ceti imprenditoriali, agrari, delle gerarchie militari e della burocrazia statale, nonché della corte e di ampi settori della Chiesa. L’esecutivo godeva di un’ampia maggioranza parlamentare e si presentava come l’espressione delle forze in grado di ristabilire l’ordine civile e sociale. Al governo partecipano, oltre ai fascisti, i liberali di diverso ordinamento, alcuni popolari, nazionalisti, esponenti delle gerarchie militari quali Armando Diaz. Molti liberali moderati, fra cui lo stesso Giolitti e il filosofo Benedetto Croce, guardavano con simpatia e manifestavano sostegno nei confronti del nuovo governo. Mussolini era considerato un male necessario per ristabilire l’ordine nel Paese, dopo di che sarebbe stato facile liberarsene. I “fiancheggiatori” del fascismo vedevano in esso l’unico mazzo per portare a termine il riordinamento sociale del fragile Paese.

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Mussolini cercò di svuotare le istituzioni dall’interno, attraverso una sorta di graduale trasformazione. Fin dal dicembre del 1922, infatti, l’esecutivo, attraverso il ricorso moto frequente ai decreti legge, esautorò progressivamente il Parlamento dai suoi compiti legislativi. Contemporaneamente Mussolini avviò una ristrutturazione del partito: nel 1922 fu

istituito il Gran Consiglio del fascismo, che svolgeva un ruolo di raccordo fra partito e governo. Nel 1923 fu creata la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, un corpo speciale in cui confluirono gli elementi più violenti dello squadrismo. Nel novembre dello stesso 1923 venne approvata una nuova legge elettorale (legge Acerbo), che introdusse un sistema maggioritario, per cui la lista che avesse ottenuto la

maggioranza relativa di almeno 25% avrebbe conseguito i due terzi dei seggi in Parlamento. I partiti conservatori si presentarono alle elezioni dell’aprile del 1924 coalizzati nel cosiddetto “listone” governativo. Le elezioni si tennero su un clima di violenza e di intimidazioni nei confronti degli oppositori del fascismo. Il “listone” ottenne il 65% dei consensi, dando a Mussolini una maggioranza schiacciante. Durante la prima sessione della nuova legislatura, il deputato socialista Giacomo Matteotti denunciò in Parlamento le violenze avvenute durante le elezioni. Pochi giorni dopo, il 10 giugno, Matteotti venne rapito ed il 16 agosto venne ritrovato il suo

cadavere. Lo sdegno provocato dall’ennesima e intollerante violenza fascista fece vacillare il nuovo governo. Il 3 gennaio 1925 Mussolini affrontò il Parlamento con un discorso in cui si assumeva in prima persona la «responsabilità morale, politica e storica» di quanto era accaduto e dichiarava l’intento di porre fine ad ogni opposizione in modo fermo ed energico. Il fascismo si trasformava in una vera e propria dittatura. Fra il 1925 e il 1926 furono emanate una serie di leggi, le cosiddette “leggi fascistissime”, che distruggevano ogni forma di libertà politica, di espressione, di associazione. Pertanto Mussolini riuscì ad attuare una radicale trasformazione del Paese senza provocare fratture formali troppo vistose, anche in considerazione del fatto che il re avrebbe difficilmente tollerato il cambiamento della sua costruzione, nata come

concessione regia nel 1848. Il 24 dicembre una prima legge trasformava il presidente del Consiglio in capo del governo. Non si trattava solamente di una trasformazione

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nominale: il capo del governo era di nomina regia e disponeva di pieni poteri di controllo sui primi ministri, rispondendo di fatto del suo operato solo al re; egli inoltre aveva il diritto di stabilire l’ordine del giorno della discussione parlamentare e di ripresentare al Parlamento le leggi che eventualmente fossero state in precedenza non approvate. L’occasione per un attacco definitivo alle forze politiche non fasciste

fu l’attentato a Mussolini, compiuto a Bologna il 31 ottobre del 1926. Il governo sciolse d’autorità tutti i partiti politici con eccezione del Partito fascista; 124 deputati non fascisti vennero considerati decaduti per iniziativa dell’esecutivo. Gli organi di stampa dell’opposizione vennero chiusi, fu ristabilita la pena di morte per i reati politici. Venne istituita una polizia segreta di Stato (l’OVRA, Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo). Si creò un

“Tribunale speciale per la difesa dello Stato”, composto per lo più da uomini della Milizia fascista. Per i dissidenti politici venne istituito il confino di polizia. Molti intellettuali e uomini politici subirono l’esilio, il carcere, il confino. Nel giro di pochi anni ogni opposizione venne debellata e il Partito fascista divenne il controllore di ogni potere pubblico. L’approvazione della Carta del lavoro (1926) e il Concordato con la Chiesa romana (1929) stabilirono definitivamente un pieno e completo controllo sulla società sia sul piano culturale sia sociale. Strumenti con i quali il fascismo è riuscito ad ottenere il consenso del popolo. La cultura fu messa sotto sorveglianza, nel 1925 vennero creati nuovi mezzi di comunicazione, con regolamentazione delle notizie parte del regime. Mussolini per aumentare i consensi al fascismo creò una tessera obbligatoria la “tessera fascista” o “tessera per il pane”, inevitabile per lavorare ed altrettanto per mangiare. Costrinse anche gli antifascisti ad aderire al fascismo, chi dissentiva veniva mandato al confino di polizia (Ustica, Tremiti, Ponza) affinché non potesse più nuocere al regime. Dal 1926 al 1943, 10000 persone vennero portate al confino di polizia ma solo 25 condannati a morte. L’antifascismo fu esaltato da Mussolini in quanto non creava problemi, non avendo aspettative dal regime. Il fascismo venne appoggiato dal mondo cattolico, Mussolini era considerato “l’uomo della Providenza” poiché in grado di sconfiggere il nemico comunista. Gli strumenti usati dal Duce per aumentare i consensi al fascismo sono:

- creazione della radio E.I.A.R. , unica radio in quanto proibite altre radio private in grado di compromettere il regime, trasmetteva discorsi del Duce nelle piazze;

- creazione dell’Istituto Luce (unione cinematografica educativa), trasmetteva immagini e filmati che documentavano l’operato del regime, poi venivano proiettati nelle sale del cinema. Vennero prodotti pochi film, ma film di evasione, per distrarre il popolo dai reali problemi;

- lo sport era visto da Mussolini come mezzo di virilità di forza, in stretta correlazione con l’educazione e quindi importante per la vita di un Italiano. L’italiano per il Duce doveva essere combattivo e guerriero.

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DIRITTO Il periodo fascista Subito dopo il periodo liberale, periodo della storia d’Italia che va dall’unificazione politica (1861-1922), si troverà il periodo fascista. L’evoluzione in senso democratico della società italiana, iniziava verso la fine dell’Ottocento e continuava nei primi anni del Novecento, venne interrotta bruscamente dalla prima guerra mondiale, che provocò un’involuzione in senso autoritario dello Stato italiano e poi l’instaurazione di una vera e propria dittatura. Nel dopoguerra le rivendicazioni popolari, che chiedevano un miglioramento delle loro condizioni economiche sociali, e il diffuso timore della classe borghese di un’estensione anche in Italia della rivoluzione bolscevica, che in Russia aveva provocato la caduta del regime zarista e l’instaurazione della dittatura del proletariato, crearono forti conflitti sociali, come scioperi, dimostrazioni, occupazioni di fabbriche e di latifondi e così via. A questa situazione si aggiunsero il malcontento per la crisi economica e la frustrazione di una larga parte della opinione pubblica per quella che venne definita «vittoria mutilata» perché, nonostante i sacrifici affrontati durante la guerra, nel trattato di pace l’Italia aveva ottenuto soltanto alcune concessioni territoriali molto limitate. In questo clima di tensione politica e sociale Benito Mussolini, che era stato direttore del quotidiano socialista “L’Avanti” e un esponente di punta del socialismo cosiddetto rivoluzionario, fondò nel 1919 il primo fascio di combattimento in piazza San Sepolcro a Milano. Gli anni successivi furono contrassegnati da una serie di intimidazioni e di aggressioni delle camice nere nei confronti di esponenti politici di sinistra e di sindacalisti, con l’appoggio delle forze sociali più conservatrici, come proprietari terrieri, grandi gruppi industriali, ecc., e anche di una parte della piccola borghesia, come impiegati, artigiani, commercianti, ecc., spaventata dalla minaccia dei disordini sociali. Nel 1921 venne fondato il partito nazionale fascista e nel 1922, in seguito alla prova di forza rappresentata dalla marcia su Roma delle squadre d’azione fasciste che nel 28 ottobre confluirono nella capitale da ogni parte d’Italia, il re Vittorio Emanuele III affidò l’incarico di formare un nuovo governo a Mussolini. Secondo molti costituzionalisti la presa di potere da parte di Mussolini avvenne con un vero e proprio colpo di Stato in quanto il re, rifiutandosi di firmare il decreto di stato di assedio presentato dal primo ministro Facta e accettando l’autodesignazione intimidatoria del capo di un piccolo partito di minoranza al quale assegnò l’incarico di formare un nuovo governo, violò la costituzione materiale in vigore: in base alle

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norme consuetudinarie, infatti, il sovrano doveva firmare provvedimenti d’emergenza richiesti sotto la propria responsabilità dal Governo e inoltre, in base all’evoluzione della forma di governo da una monarchia costituzionale pura a una monarchia parlamentare, doveva assegnare l’incarico di formare il Governo al rappresentante di un partito politico di maggioranza. Mussolini, che al momento della nomina era a capo di un partito del tutto minoritario in Parlamento (aveva 35 deputati su 535), riuscì a formare un governo di coalizione, sostenuto anche dai liberali, dai conservatori e almeno inizialmente da una parte dei popolari o dei cattolici, e a ottenete in questo modo la fiducia delle Camere. La nomina di Mussolini come Capo del Governo rifletteva la convinzione, da parte della monarchia e di una parte della borghesia, della necessità di un uomo “forte”, in grado di frenare le rivendicazioni delle masse popolari e di riportare l’ordine nella società. Una volta al potere, però, Mussolini instaurò una vera e propria dittatura personale. Nel 1923 vennero legalizzate le camice nere fasciste, con l’istituzione della milizia volontaria per la sicurezza nazionale, e venne approvata una nuova legge elettorale per la Camera dei deputati (la cosiddetta legge Acerbo), che introduceva un forte premio a favore del partito o dei partiti politici di maggioranza relativa: in base a questa legge, chiamata anche “legge-truffa”, circa 2/3 dei seggi venivano attribuiti alla lista dei candidati che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti, mentre tutti gli altri partiti politici, anche se insie4me rappresentavano il 75% (cioè 2/3) dell’elettorato, avevano soltanto 1/3 dei seggi. Nelle elezioni che si svolsero l’anno successivo il listone formato dai fascisti e dai vecchi rappresentanti del regime liberale approfittò delle divisioni dell’opposizione, in quanto popolari, socialisti e comunisti presentarono liste separate, e, grazie al nuovo meccanismo elettorale, ottenne la maggioranza assoluta alla Camera (374 seggi su 535). Il 10 giugno 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti, che nei giorni precedenti aveva denunciato coraggiosamente in Parlamento le intimidazioni e le scorrettezze verificatesi durante le elezioni, venne rapido ed ucciso da alcuni squadristi fascisti. L’uccisione di Matteotti, il cui cadavere venne trovato martoriato alcuni mesi dopo il suo rapimento, rappresentò un momento di difficoltà per il movimento fascista e per il suo capo ma, allo stesso tempo, offrì l’occasione per sopprimere il sistema liberale-

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democratico e instaurare ufficialmente un governo dittatoriale: il 3 gennaio 1925 infatti Mussolini fece un discorso in parlamento, assumendosi la responsabilità politica, morale e storica del fascismo e annunciando di fatto la fine delle libertà civili e politiche. Nello stesso anno e in quello successivo, approfittando anche del fatto che la opposizione democratica e antifascista aveva abbandonato il Parlamento per protesta, vennero approvate alcune leggi cosiddette fascistissime, che posero le basi del regime fascista modificando in modo tacito la forma di governo prevista nello Statuto e sopprimendo le libertà fondamentali dei cittadini. Le “leggi fascistissime” sono:

• legge 26 novembre 1925 n° 2029: predispone una mappatura dell’associazionismo politico e sindacale operante nel regno. Tutti i corpi collettivi operanti in Italia (associazioni, istituti, enti) su richiesta dell’autorità di pubblica sicurezza hanno l’obbligo di consegnare statuti, atti costitutivi, regolamenti interni, elenchi di soci e di dirigenti. In caso di infedele (o omessa) dichiarazione, il prefetto procede allo scioglimento, mentre sanzioni detentive indeterminate e sanzioni pecuniarie pesantissime, da un minimo di 2.000 ad un massimo di 30.000 lire;

• legge 24 dicembre 1925 n° 2300: allontanamento del servizio di tutti i funzionari pubblici che rifiutano di prestare giuramento di fedeltà al regime;

• legge 24 dicembre 1925 n° 2263 (primo intervento strutturale in materia costituzionale):

o il Presidente termina di essere individuato come Presidente del Consiglio per diventare Primo Ministro Segretario di Stato, ottenendo la supremazia sugli altri Ministri i quali cessano di essere suoi colleghi (diventano suoi subordinati gerarchici). I singoli Ministri possono essere sfiduciati sia dal Re che dal Primo Ministro;

o il capo del Governo è nominato e revocato dal Re ed è responsabile dell’indirizzo generale politico del Governo solo verso il Re, pertanto il Capo del Governo non è responsabile verso il Parlamento (non c’è rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo);

• legge 31 gennaio 1926 n° 100: attribuisce la facoltà al Governo di emanare norme giuridiche;

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• legge 4 febbraio 1926 n° 237: modifica l’ordinamento municipale, eliminando il consiglio comunale, (elettivo dal 1848), e il sindaco (elettivo dal 1890). Al sindaco subentra il podestà, egli è nominato con decreto reale e resta in carica 5 anni. Il podestà esercita le funzioni del sindaco, della giunta e del consiglio comunale.

• Regio decreto 6 novembre 1926 n° 1848: testo unico delle leggi di pubblica sicurezza con il quale vengono ampliati i poteri dei prefetti ossia sciogliere associazioni, enti, istituti, partiti, gruppi e organizzazioni politiche e istituisce il confino come sanzione principale nei confronti dei soggetti che erano contro il regime;

• legge 25 novembre 1926 n° 2008 (provvedimento per la difesa dello Stato presentati dal Ministro della giustizia Alfredo Rocco):

o art. 1: qualunque attentato diretto contro le persone del Re, della Regina, del Reggente, del Principe ereditario e del Primo Ministro viene sanzionato con la pena di morte;

o art. 3: l’istigazione all’attentato, a mezzo stampa, diventa un reato specifico punito con la reclusione da 15 a 30 anni;

o art. 5: la diffusione all’estero di “voci o notizie false, esagerate o tendenziose sulle condizioni interne dello Stato” tali da nuocere al prestigio statale o agli interessi nazionali, comporta la reclusione da 5 a 15 anni, accompagnata dall’interdizione permanente dei pubblici uffici, dalla perdita immediata della cittadinanza italiana e dalla confisca dei beni;

o art. 7: per applicare il “provvedimento per la difesa dello Stato” venne istituito il Tribunale speciale. Le sentenze del Tribunale speciale erano immediatamente esecutive e inappellabili.

In 24 mesi, dal 3 gennaio 1925 alla fine del 1926, il fascismo si fa Regime aprendo una nuova pagina nella storia istituzionale della storia italiana.

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Per quanto riguarda la riforma di governo, le innovazioni principali furono la soppressione della fiducia e l’introduzione della figura del primo ministro attribuiva al Duce, che aveva anche la carica di capo del partiti nazionale fascista, di comandante della milizia fascista e di capo delle forze armate. In base alla nuova legge il Capo del Governo veniva nominato e revocato dal re, nei cui confronti soltanto era responsabile sul piano politico, senza che le Camere potessero obbligarlo a dimettersi con un voto di sfiducia; al primo ministro e segretario di Stato, inoltre, veniva riconosciuta una posizione di preminenza sul piano giuridico sia nei confronti del Parlamento (in quanto poteva richiedere entro tre mesi il riesame dei disegni di legge governativi respinti dalle Camere ed era necessario il suo consenso per inserire qualsiasi argomento nell’ordine del giorno dei lavori parlamentari), sia nei confronti di altri ministri (che di fatto erano responsabili soltanto verso il primo ministro, anche se formalmente il potere di nomina e di revoca spettava ancora al re). Il fascismo realizzo anche un ampliamento del ruolo politico e del potere normativo de Governo, con una sostanziale espropriazione del potere legislativo del Parlamento al quale, in molti casi, rimase di fatto la pura e semplice ratifica o approvazione dei provvedimenti normativi adottati dal Governo. In particolare venne introdotto l’istituto della delega legislativa in bilancio, che attribuiva al Governo la fedeltà di emanare decreti delegati senza limiti di tempo e di materia, e il temine per la conversione dei decreti legge venne esteso fino a due anni con l’espressa previsione che, se veniva rifiutata la conversione in legge, l’atto normativo del Governo conservava ugualmente la sua efficacia fino al momento della mancata conversione; inoltre venne creata una nuova categoria di regolamenti indipendenti, legittimati a porre norme giuridiche nelle materie non riservate in modo espresso alle fonti legislative. Per reprimere qualsiasi forma di opposizione interna venne istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, un organo giudiziario che dipendeva strettamente dal regime (in quanto formato da quattro consoli della milizia fascista ed era presieduto da un generale dell’esercito) e giudicava i reati politici contro lo Stato, che erano puniti anche, nei casi più gravi, con la pena di morte reintrodotta in Italia nel 1926. Inoltre venne soppressa la libertà sindacale, con lo scioglimento dei sindacati privati e il divieto di sciopero e di serrata, cioè la proibizione per i lavoratori di astenersi collettivamente dal lavoro (sciopero) e per i datori di lavoro di bloccare l’attività produttiva (serrata), che vennero puniti anche penalmente come «reati contro lo Stato».

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La cosiddetta fascistizzazione delle istituzioni pubiche e la commistione tra il partito fascista e Stato divenne più evidente con la creazione del Gran Consiglio del fascismo, organismo di partito al quale vennero attribuite importanti funzioni pubbliche come organo consultivo del Governo. In particolare i Gran Consiglio doveva formulare pareri su «questioni aventi carattere costituzionale, ivi comprese le leggi», redigere le liste uniche dei candidati per le elezioni politiche (dal 1928, infatti, le elezioni si svolgeranno in modo plebiscitario sulla base di un'unica lista nazionale) nonché presentare al sovrano le candidature per la nomina del Capo del Governo ed esprimere pareri sulle questioni dinastiche. In realtà questi ultimi due poteri, che avevano la funzione di condizionare politicamente la monarchia (indicando il nominativo di un primo ministro favorevole al fascismo o ponendo un eventuale veto sulla successione al trono di un sovrano contrario al regime fascista), non vennero mai perché nel corso del ventennio Mussolini rimase saldamente al potere e non si verificò nessuna successione dinastica. Sempre nel 1928 furono soppresse ufficialmente libertà politiche, con lo scioglimento di tutti i partiti politici e delle altre associazioni o organizzazioni che svolgevano o potevano svolgere un’attività contraria al regime: il partito nazionale fascista (PNF) si trasformò in un partito unico e l’iscrizione al partito diventò obbligatoria per poter accedere ad impieghi pubblici e per potere esercitare una libera professione. Durante il fascismo anche i diritti di libertà dei cittadini vennero limitati, per evitare sul nascere qualsiasi forma di dissenso politico, con l’introduzione della censura preventiva sulla stampa e sugli altri mezzi di comunicazione (radio, cinema, spettacoli, ecc.) e con previsione di restrizioni alla libertà di associazione e di riunione; inoltre furono rafforzati i poteri di controllo e di repressione della polizia, in particolare della polizia politica (OVRA), e numerosi antifascisti vennero condannati al carcere o al confino politico, cioè alla deportazione forzata in località

isolate. Nel 1938 vennero emanate le cosiddette leggi razziali con le quali il fascismo ordinò il censimento degli ebrei italiani, facilitando in questo modo la loro successiva deportazione ed eliminazione di massa da parte dei tedeschi, e introdusse una serie di misure discriminatorie nei loro confronti (come il divieto dei matrimoni misti; l’esclusione delle cariche militari e dagli uffici pubblici; le

epurazioni delle scuole e delle università statali; il divieto di svolgere alcune libere professioni e di esercitare alcune attività economiche; ecc.).

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INGLESE The phrase research and development (also R and D or, more often, R&D), according to the Organization for Economic Co-operation and Development, refers to "creative work undertaken on a systematic basis in order to increase the stock of knowledge, including knowledge of man, culture and society, and the use of this stock of knowledge to devise new applications. New product design and development is more than often a crucial factor in the survival of a company. In an industry that is fast changing, firms must continually revise their design and range of products. This is necessary due to continuous technology change and development as well as other competitors and the changing preference of customers. A system driven by marketing is one that puts the customer needs first, and only produces goods that are known to sell. Market research is carried out, which establishes what is needed. If the development is technology driven then it is a matter of selling what it is possible to make. The product range is developed so that production processes are as efficient as possible and the products are technically superior, hence possessing a natural advantage in the market place. R&D has a special economic significance apart from its conventional association with scientific and technological development. R&D investment generally reflects a government's or organization's willingness to foregos current operations or profit to improve future performance or returns, and its abilities to conduct research and development. In 2006, the world's four largest spenders of R&D were the United States (US$343 billion), the EU (US$231 billion), Japan (US$130 billion), and China (US$115 billion). In terms of percentage of GDP, the order of these spenders for 2006 (no figure available for China) was Japan, United States, EU with approximate percentages of 3.2, 2.6, and 1.8 respectively. The top spenders in terms of percentage of GDP were Sweden, Finland, Japan, Korea, Switzerland, Iceland, United States, followed by 9 other countries, and then the EU. In general, R&D activities are conducted by specialized units or centers belonging to companies, universities and state agencies. In the context of commerce, "research and development" normally refers to future-oriented, longer-term activities in science or technology, using similar techniques to scientific research without predetermined outcomes and with broad forecasts of commercial yield. Statistics on organizations devoted to "R&D" may express the state of an industry, the degree of competition or the lure of progress. Some common measures include: budgets, numbers of patents or on rates of peer-reviewed publications. Bank ratios are one of the best measures, because they are continuously maintained, public and reflect risk. In the U.S., a typical ratio of research and development for an industrial company is about 3.5% of revenues. A high technology company such as a computer manufacturer might spend 7%. Although Allergan (a biotech company) tops the spending table 43.4% investment, anything over 15% is remarkable and usually gains

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a reputation for being a high technology company. Companies in this category include pharmaceutical companies such as Merck & Co. (14.1%) or Novartis (15.1%), and engineering companies like Ericsson (24.9%). Such companies are often seen as poor credit risks because their spending ratios are so unusual. Generally such firms prosper only in markets whose customers have extreme needs, such as medicine, scientific instruments, safety-critical mechanisms (aircraft) or high technology military armaments. The extreme needs justify the high risk of failure and consequently high gross margins from 60% to 90% of revenues. That is, gross profits will be as much as 90% of the sales cost, with manufacturing costing only 10% of the product price, because so many individual projects yield no exploitable product. Most industrial companies get only 40% revenues. On a technical level, high tech organisations explore ways to re-purpose and repackage advanced technologies as a way of amortizing the high overhead. They often reuse advanced manufacturing processes, expensive safety certifications, specialized embedded software, computer-aided design software, electronic designs and mechanical subsystems.

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FRANCESE

F.T.MARINETTI

Da "La Ville Charnelle"

A MON PEGASE Dieu véhément d'une race d'acier, Automobile ivre d'espace, qui piétines d'angoisse, le mors aux dents stridentes! O formidable monstre japonais aux yeux de forge, nourri de flamme et d'huiles minérales, affamé d'horizons et de proies sidérales, je déchaîne ton coeur aux teuf-teufs diaboliques, et tes géants pneumatiques, pour la danse que tu mènes sur les blanches routes du monde. Je lâche enfin tes brides métalliques... Tu t'élances, avec ivresse, dans l'Infini libérateur!... Au fracas des abois de ta voix... voilà que le Soleil couchant emboîte ton pas véloce, accélérant sa palpitation sanguinolente au ras de l'horizon... Il galope là-bas, au fond des bois... regarde!...

Qu'importe, beau démon?... Je suis à ta merci...Prends-moi! Sur la terre assourdie malgré tous ses échos, sous le ciel aveuglé malgré ses astres d'or,

je vais exaspérant ma fièvre et mon désir à coups de glaive en pleins naseaux!... Et d'instant en instant, je redress ma taille pour sentir sur mon cou qui tressaille s'enrouler les bras frais et duvetés du vent.

Ce sont tes bras charmeurs et lointains qui m'attirent! ce vent, c'est ton haleine engloutissante, insondable Infini qui m'absorbes avec joie!... Ah! Ah!... des moulins noirs, dégingandés, ont tout à coup l'air de courir sur leurs ailes de toile baleinée comme sur des jambes démesurées...

Voilà que les Montagnes s'apprétent à lancer sur ma fuite des manteaux de fraîcheur somnolente... Là! Là! regardez! à ce tournant sinistre!... Montagnes, ô Bétail monstrueux, ô Mammouths qui trottez lourdement, arquant vos dos immenses vous voilà dépassés...noyés... dans l'échevau des brumes!... Et j'entends vaguement le fracas ronronnant que plaquent sur les routes vos jambes colossales aux bottes de sept lieues...

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Montagnes aux frais manteaux d'azur!... Beaux fleuves respirant au clair de lune!... Plaines ténébreuses! je vous dépasse au grand galop de ce monstre affolé... Etoiles, mes Etoiles, entendez-vous ses pas, le fracas des abois et ses poumons d'airain croulant interminablement? J'accepte la gageure...avec Vous, mes Etoiles!... Plus vite!... encore plus vite!...

Et sans répit, et sans repos!... Lachez les freins!... Vous ne pouvez?.. Brisez-les donc!... Que le pouls du moteur centuple ses élans!

Hurrah! Plus de contact avec la terre immonde!... Enfin, je me détache et je vole en souplesse sur la grisante plénitude des Astres ruisselants dans le grand lit du ciel!

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MATEMATICA

Il problema del produttore Nell’economia di ogni Paese c’è chi compra e c’è chi produce. Si esaminerà il punto di vista del produttore, cioè per produrre della merce è necessario avere a disposizione delle risorse. Gli economisti, da Marshall in poi, raggruppano fattori di produzione di diverse categorie: terra, vale a dire tutti i mezzi di produzione che sono un dono della natura (acqua, aria,risorse naturali); lavoro, vale a dire il contributo che ogni lavoratore dà all’attività produttiva; capitale, vale a dire attrezzature , macchinari, semi-lavorati e in generale tutto ciò che è risultato di un processo produttivo. Si dice che una produzione è tecnicamente efficiente se non è possibile ottenere una fissata quantità di bene con una quantità di inferiore di qualsiasi fattore di produzione. Ad esempio, se per gestire un istituto di R&S vengono usati 30 impiegati e 20 impianti, si può ritenere che questa sia una combinazione di risorse efficiente se con meno impiegati e/o meno impianti non si riesce a gestire meglio l’istituto di R&S. Se una produzione è efficiente, un aumento di uno dei fattori produttivi porta inevitabilmente ad una diminuzione della produzione. Come ad esempio, se aumentiamo il numero dei bovini in un allevamento, mantenendo costante il numero degli altri fattori, e l’attività dell’azienda aumenta, significa che la combinazione adottata in precedenza non era efficiente; aumentando un fattore di produzione oltre la soglia dell’efficienza, ci troveremo nella situazione in cui gli altri fattori non saranno più sufficienti a gestire la situazione e si avrà di conseguenza un calo nella produzione. Questo fatto si esprime con una legge che viene detta dei rendimenti decrescenti: in condizioni di efficienza produttiva, l’aumento di un valore produttivo determina dei rendimenti progressivamente decrescenti. Tale legge economica, già formulata dagli economisti Malthus e Ricardo relativamente al settore agricolo, assume pel la scuola neoclassica un carattere generale, valido per tutti i fattori produttivi e per ogni tipo di produzione. In generale quindi, data una combinazione di fattori produttivi, possiamo dire che da essi si può ottenere un livello di produzione che va da 0 ad una certa quantità massima; vale a dire che, indicata con f(x1, x2………xn ) la massima produzione al variare dei fattori produttivi xi, la produzione Q deve essere tale da soddisfare la relazione

Q minore uguale f(x1, x2………xn ) Poiché i fattori produttivi hanno un costo, l’imprenditore accorto riterrà conveniente considerare solo la frontiere di insieme di produzione definito da questa relazione, cioè funzione

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Q = f(x1, x2………xn ) Tale funzione prende il nome di funzione di produzione. Una funzione di produzione indica quindi il massimo livello di produzione che può essere determinato in un determinato periodo impiegando una certa combinazione di fattori produttivi, cioè l’insieme delle combinazioni produttive che sono tecnicamente efficienti. Nella nostra trattazione, per questioni di semplicità, supporremo che nella produzione di un certo bene entrino in gioco due soli fattori produttivi; in particolare considereremo come fattori produttivi il capitale ed il lavoro. In questo caso quindi una funzione di produzione Q = (L,K) è la funzione che, ad ogni coppia di valori (L,K), dove L rappresenta la quantità impiegata del fattore lavoro, e K del fattore capitale (inteso secondo Maeshall), associa la quantità prodotta Q. essa rappresenta quindi una superficie nello spazio. Le linee sezione che si ottengono fissando un valore per K o per rappresentano, laddove sono crescenti, i tratti di efficienza della produzione per quel fissato valore di K o di L.

Q

L

Nella figura possiamo osservare che la curva di produzione, ottenuta fissando un valore a K, dal quale puoi notare che il tratto di efficienza della curva si ha fino a che questa si mantiene crescente; quando la funzione di produzione diventa decrescente, la produzione non è più tecnicamente efficiente perché all’aumentare del fattore L la produzione diminuisce. Le derivate prime della funzione di produzione determinano le funzioni di produttività marginali di ciascun fattore di produzione, in particolare la produttività marginale del fattore lavoro è Q’L,cioè la variazione del livello di produzione che si ha quando il fattore lavoro subisce una variazione infinitesima,; la produttività marginale del capitale è Q’K e indica quanto varia la produzione4 in conseguenza di una variazione infinitesima del fattore capitale. Si è detto che una funzione di produzione esprime la quantità di bene prodotta in corrispondenza di una certa combinazione di fattori produttivi. Una stessa produzione può però essere ottenuta con diverse combinazioni dei fattori lavoro e capitale. Ad esempio, per produrre un paio di scarpe si possono utilizzare una macchina che taglia la pelle, una che piega sulla forma ed una che incolla la suola (fattore capitale) e un operaio che imposta e controlla le macchine (fattore lavoro); ma si possono anche usare le prime due macchine e far incollare le suole ad un secondo operaio. Data la funzione di produzione Q = f(L,K), le combinazioni che danno luogo alla stessa produzione d sono le linee di livello che hanno equazione

f(L,K) = d

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tali linee prendono il nome di isoquanti di produzione. Un isoquanto di produzione è quindi l’insieme di tutte le combinazioni di capitale e lavoro che danno la stessa produzione. In genere gli isoquanti, per le osservazioni che abbiamo fatto sui rendimenti decrescenti, hanno una forma del tipo di quella rappresentata in figura, vale a dire che:

• sono funzioni decrescenti • sono concave verso l’alto • non si intersecano • isoquanti che si trovano più lontani dall’origine

implicano livelli di produzione più elevati.ù il modulo del coefficiente angolare della retta tangente ad un isoquanto in un suo punto prende il nome di saggio marginale di sostituzione tecnica (SMST). Esso rappresenta quindi la variazione di quantità di un fattore di produzione che serve a compensare una variazione infinitesima dell’altro.

K

L

La sua espressione è data dal rapporto fra le funzioni marginali di produzione del lavoro e del capitale; possiamo dire quindi che

Q’L SMST = —

Q’K Si possono presentare i seguenti casi.

• Se gli isoquanti assumono una forma come quella della figura in alto, SMST è decrescente;m si dice che i fattori produttivi sono dei sostituti imperfetti perché all’aumentare della quantità L quella di K diminuisce, senza però farlo nella stessa proporzione.

K

L K

L

• Se gli isoquanti sono delle rette, come nella figura accanto, SMST è costante; ogni unità del fattore L viene quindi sostituita dalla stessa quantità del fattore K. Si dice in questi casi che lavoro e capitale sono dei sostituti perfetti.

• Se gli isoquanti hanno forma indicata, come nella

figura qui accanto, tra lavoro e capitale non esiste sostituibilità e l’aumento del grado di utilizzo di uno di essi non comporta alcuna diminuzione dell’altro. In questi casi SMST tende a + ∞ nel tratto verticale dell’isoquanto, è nullo ne tratto orizzontale, mentre non è possibile calcolarlo nel vertice dell’angolo.