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LA PASSIONE PER DIO E PER IL SUO REGNO COME MOTIVAZIONE DI FONDO
Riflessione per una possibile verifica della
propria vocazione
PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA
OPERA DON GUANELLA - BARI
Ritiro Quaresima 2013
Nella riflessione è necessario ed efficace
prendere in con siderazione la “passione” come interesse di fondo
e come spinta irresistibile verso Dio e il suo Regno, che, nella
pro spettiva della vocazione, si traduce
nella capacità autentica di dare la vita per
l’ideale in cui si crede e per il quale si è capito di
essere chiamati.
In questo la “passione” ha una
accezione diversa, si integra con le altre
ed è alimentata dalla Grazia che è il sostegno per il
conseguimento di quanto la personale vocazione comporta.
Quindi la “passione” comporta libertà da sé che diventa generosità,
disponibilità anche alla luce del sacrificio.
In questo percorso che presuppone il discernimento emergono alla luce i doni
personali da “giocare” e da traffi care anche nel rischio di esporsi e di “consumarsi”.
Tre percorsi possibili possono essere efficaci per il di
scernimento delle
passioni.
1. Il silenzio
Un significato del silenzio è che esso protegge il nostro fuoco interiore.
Il silenzio custodisce il
calore interiore delle emozioni
religiose. Questo calore interiore è la
vita dello Spirito Santo in noi.
Quindi, il silenzio è la disciplina per mezzo della
quale il fuoco interiore di Dio è
custodito e mantenuto vivo1.1. HENRY J. M. NOUWEN, La via del cuore, Queriniana, Brescia 2003, p.62.
Essere capaci di stare in silenzio come di stare con gli altri, di stare con se stessi come di saper uscire da sé
auten ticamente sono già una verifica dei nostri movimenti inte riori.
Infatti una consapevolezza di sé, un cammino verso la maturità e verso una maggiore sicurezza di sé passa
attraverso un saper entrare in se stessi con serenità.
Nel momento in
cui si fa questa
fatica può esser utile
farsi aiutare a viverla.
Entrare nel mondo che è dentro di noi, anche con quei vissuti che possiamo emotivamente av vertire come
dolorosi o brutti ed inaccettabili, per quanto faticoso, è la possibilità di entrare nei punti nodali della no stra vita
ed affrontare il non-affrontato, che, di fatto, non si smorza nel tempo, ma rimane come una ferita che
continua mente si riapre e si rimargina dolorosamente, talvolta con ripercussioni esterne non avvertite dalla
stessa persona ma dagli altri.
Il non-affrontato si
può paragonare ad
un cibo non digerito che
continuamente ritorna su...
Il silenzio, il ripensare, se da un lato possono essere colti come momenti di rimuginìo e
chiusura in se stessi, dall’altro, al momento opportuno possono diventare momenti in cui domandarsi il “come mai” di alcune nostre
reazioni a diverse circostanze.
Certamente tutto questo ha un sostegno notevole nel confronto, dove non si è da soli ad affrontare i propri movi menti interiori ma c’è qualcun altro, che, con il suo ascolto, già mi aiuta a percepire che i miei vissuti interiori non sono così indicibili e inascoltabili.
Non solo: l’ascolto di un altro mi aiuta a guardare anche da un altro punto di vista, mi stimola ad andare in profondità, mi propone delle prospettive che non
avevo presente e che possono essere possibili strade da percorrere o sguardi nuovi sulla mia e altrui realtà.
Quando c’è la difficoltà ad entrare dentro di sé c’è anche la difficoltà a parlarne con qualcuno e la tendenza alla gestione autonoma dei propri vissuti emozionali.
A questo proposito i Padri del deserto suggeriscono come elemento essenziale il dialogo con la guida o
il padre spirituale in cui esprimere soprattutto i pensieri prevalenti nella giornata e nel proprio
vissuto quotidiano.
2. NON PRENDERE DECISIONI AFFRETTATE SENZA RIFLETTERE
A questo proposito può essere efficace, talvolta, non lasciarsi trasportare subito
dall’emozione o dall’impulso del momento, tanto in situazioni di emozioni
piacevoli come sgradevoli (es. “Sono in un momento di
angoscia... pianto tutto”; “vivo un ritiro
entusiasmante ...mi butto a capofitto in un determinato tipo di impegno ascetico e
penitenziale...”).
È interessante soffermarsi a cogliere qualcosa della dot trina di sant’Ignazio di Loyola circa le consolazioni e le desolazioni.
La consolazione è quel movimento
interiore in cui l’anima è atti rata dal Signore e si sente riscaldata
dal suo Amore, si sente spe ranzosa,
in pace, nella gioia.
La desolazione, invece è tenebre dell’anima, turbamento interiore, propensione verso le cose basse e terrene, inquietudine davanti alle diverse agitazioni e tentazioni, che spinge a perdere ogni fiducia, e lascia senza speranza e senza amore: l’anima in
questo stato è pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore2.
2. ANDRÉ RAVIER, Guida agli Esercizi Spirituali, San Paolo, Milano 2001, p. 206.
Nel tempo della desolazione, afferma sant’Ignazio, non bisogna cambiare nulla, ma essere costanti
nelle decisioni prese in precedenza.
Naturalmente, in tempo di
desolazione, occorrerà cercare
di reagire impegnandosi maggior mente
nella vita cristiana e facendosi
guidare da un diret tore spirituale.
D’altro canto è proprio nel confronto con una guida che è possibile individuare se si tratta di desolazione spirituale.
Sant’Ignazio insiste, come anche i Padri del deserto, su questo punto: c’è la necessità di avere un buon padre spirituale, cioè di avere qualcuno
a cui poter rivelare con assoluta fiducia i propri pensieri, soprattutto all’inizio della vita spirituale.
Poi occorre acquistare fiducia nella propria libertà di scelta.
Sant’Ignazio ancora suggerisce
l’esercizio dell’esame di coscienza. In
esso non si concentra
l’attenzione solo sui peccati, ma
anche e soprattutto su
queste domande:
Oggi quali pensieri mi appesantivano il cuore e mi occupavano la mente?
Che cosa producono
questi pensieri nella mia mente?
La turbano o danno pace?
Dove vogliono con durmi?
I pensieri sono come degli amici. Ben presto si impara a distinguere tra essi i
veri dai falsi. Così i santi dicevano di riconoscere i suggerimenti buoni da quelli cattivi già dal loro “odore”, dal
modo in cui essi si presentano.
3. L’esame di coscienza come cammino spirituale
La pratica dell’esame di coscienza non
interessa soltanto l’analisi
accurata del male e del peccato.
In alcuni maestri spirituali esso è una pratica che aiuta a
mettere la propria vita di fronte a Dio, a rivederla alla luce dei suoi doni per scoprire le grazie,
per lodare Dio della sua fedeltà, per cogliere alla luce della misericordia l’infedeltà personale, i
difetti e peccati predominanti che hanno caratterizzato la giornata
e di cui chiedere il perdono.
Un esame di coscienza sincero, nella preghiera, aiuta la persona ad andare nella profondità di se stessa, dei propri pensieri, dei propri sentimenti, raccogliendo ciò che è stato
assecondato e a cui si è lasciato maggiore spazio dentro di sé.