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HIRAM Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2007 EDITORIALE Comunicazione e trasparenza. Qualche antidoto contro disinformazione e propaganda antimassonica 3 Antonio Panaino Essoterismo ed esoterismo dell’angelologia biblica 9 Giuseppe Abramo Laicità e moralità 27 Piero Capelli Fede filosofica 37 Alfio Fantinel Su un’antropologia filosofica del branco 49 Antonio D’Alonzo Mozart e la cultura del suo tempo 55 Santi Fedele Nel segno e nella storia 61 Bent Parodi Mazzini e Marx 71 Gian Biagio Furiozzi La Massoneria russa nella letteratura tra Ottocento e Novecento 79 Luigi Ferrari Centralità del sole e centralità dello Spirito: tutte le religioni sono sorelle e coessenziali 87 Vincenzo Tartaglia SEGNALAZIONI EDITORIALI 99 RECENSIONI 111

Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2007

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Page 1: Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2007

HIRAM

Rivista del Grande Oriente d’Italian. 3/2007

• EDITORIALEComunicazione e trasparenza. Qualche antidoto contro disinformazione e propaganda antimassonica 3

Antonio Panaino

Essoterismo ed esoterismo dell’angelologia biblica 9Giuseppe Abramo

Laicità e moralità 27Piero Capelli

Fede filosofica 37Alfio Fantinel

Su un’antropologia filosofica del branco 49Antonio D’Alonzo

Mozart e la cultura del suo tempo 55Santi Fedele

Nel segno e nella storia 61Bent Parodi

Mazzini e Marx 71Gian Biagio Furiozzi

La Massoneria russa nella letteratura tra Ottocento e Novecento 79Luigi Ferrari

Centralità del sole e centralità dello Spirito: tutte le religioni sono sorelle e coessenziali87

Vincenzo Tartaglia

• SEGNALAZIONI EDITORIALI 99• RECENSIONI 111

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HIRAM, 3/2007Direttore: Gustavo RaffiDirettore Scientifico: Antonio PanainoCondirettori: Antonio Panaino, Vinicio SerinoVicedirettore: Francesco LicchielloDirettore Responsabile: Giovanni LaniComitato Direttivo: Gustavo Raffi, Antonio Panaino, Morris Ghezzi, Giuseppe Schiavone, Vinicio Serino, Claudio Bon-vecchio, Gianfranco De Santis

Comitato Scientifico:Presidente: Orazio Catarsini (Univ. di Messina)Giuseppe Abramo (Saggista) - Corrado Balacco Gabrieli (Univ. di Roma “La Sapienza”) - Pietro Battaglini (Univ. di Napoli) - Euge-nio Boccardo (Univ. Pop. di Torino) - Eugenio Bonvicini (Saggista) - Giuseppe Cacopardi (Saggista) - Giovanni Carli Ballola (Univ.di Lecce) - Paolo Chiozzi (Univ. di Firenze) - Augusto Comba (Saggista) - Franco Cuomo (Giornalista) - Massimo Curini (Univ. diPerugia) - Domenico Devoti (Univ. di Torino) - Ernesto D’Ippolito (Giurista) - Santi Fedele (Univ. di Messina) - BernardinoFioravanti (Bibliotecario del G.O.I.) - Paolo Gastaldi (Univ. di Pavia) - Santo Giammanco (Univ. di Palermo) - Vittorio Gnocchini(Archivio del G.O.I.) - Giovanni Greco (Univ. di Bologna) - Giovanni Guanti (Conservatorio Musicale di Alessandria) - GiuseppeLombardo (Univ. di Messina) - † Paolo Lucarelli (Saggista) - Pietro Mander (Univ. di Napoli L’Orientale) - Alessandro Meluzzi(Univ. di Siena) - Claudio Modiano (Univ. di Firenze) - Massimo Morigi (Univ. di Bologna) - Gianfranco Morrone (Univ. diBologna) - Moreno Neri (Saggista) - Maurizio Nicosia (Accademia di Belle Arti, Urbino) - Marco Novarino (Univ. di Torino) - Mario Olivieri (Univ. per stranieri di Perugia) - Massimo Papi (Univ. di Firenze) - Carlo Paredi (Saggista) - Bent Parodi(Giornalista) - Claudio Pietroletti (Medico dello sport) - Italo Piva (Univ. di Siena) - Gianni Puglisi (IULM) - Mauro Reginato(Univ. di Torino) - Giancarlo Rinaldi (Univ. di Napoli L’Orientale) - Carmelo Romeo (Univ. di Messina) - Claudio Saporetti (Univ. diPisa) - Alfredo Scanzani (Giornalista) - Michele Schiavone (Univ. di Genova) - Giancarlo Seri (Saggista) - Nicola Sgrò (Musicologo)- Giuseppe Spinetti (Psichiatra) - Gianni Tibaldi (Univ. di Padova f.r.) - Vittorio Vanni (Saggista)

Collaboratori esterni:Giuseppe Cognetti (Univ. di Siena) - Domenico A. Conci (Univ. di Siena) - Fulvio Conti (Univ. di Firenze) - Carlo Cresti (Univ. diFirenze) - Michele C. Del Re (Univ. di Camerino) - Rosario Esposito (Saggista) - Giorgio Galli (Univ. di Milano) - Umberto Gori( U n i v. di Firenze) - Giorgio Israel (Giornalista) - Ida Li Vigni (Saggista) - Michele Marsonet (Univ. di Genova) - Aldo A. Mola (Univ.di Milano) - Sergio Moravia (Univ. di Firenze) - Paolo A. Rossi (Univ. di Genova) - Marina Maymone Siniscalchi (Univ. di Roma“La Sapienza”) - Enrica Tedeschi (Univ. di Roma “La Sapienza”)

Corrispondenti esteri:John Hamil (Inghilterra) - August C.’T. Hart (Olanda) - Claudiu Ionescu (Romania) - Marco Pasqualetti (Repubblica Ceca) - Rudolph Pohl(Austria) - Orazio Shaub (Svizzera) - Wilem Van Der Heen (Olanda) - Tamas’s Vida (Ungheria) - Friedrich von Botticher (Germania)

Comitato di Redazione: Guglielmo Adilardi, Cristiano Bartolena, Giovanni Bartolini, Giovanni Cecconi, †Guido D’Andrea, OttavioGallego, Gonario GuaitiniComitato dei Garanti: Giuseppe Capruzzi, † Massimo Della Campa, Angelo Scrimieri, Pier Luigi Te n t i

Art director e impaginazione: Sara CircassiaStampa: E-Print s.r.l. - Via Empolitana, Km. 6.400 - Castel Madama (Roma)Direzione - Redazione: HIRAM - Grande Oriente d’Italia - Via San Pancrazio, 8 - 00152 Roma - Tel. 06-5899344 fax 06-5818096Direzione editoriale: HIRAM - Via San Gaetanino, 18 - 48100 RavennaRegistrazione Tribunale di Roma n. 283 del 27/6/94Editore: Soc. Erasmo s.r.l. - Presidente Rag. Mauro LastraioliVia San Pancrazio, 8 - 00152 Roma - C.P. 5096 - 00153 Roma OstienseP.Iva 01022371007 - C.C.I.A.A. 264667/17.09.62Servizio abbonamenti: Spedizione in Abbonamento Postale 50% - Tasse riscosse

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* Gli articoli riflettono il pensiero dei singoli Autori e non il punto di vista ufficiale del G.O.I.

HIRAM viene diffusa in Internet sul sito del G.O.I.: www.grandeoriente.itE-mail della redazione: [email protected]

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Page 3: Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2007

EDITORIALE

Comunicazione e trasparenza. Qualche antidoto contro disinformazione

e propaganda antimassonica

di Antonio PanainoDirettore scientifico di Hiram

Università di Bologna

The present article deals with some recent, unverified and generic rumours con -cerning Italian Freemasonry as reported by various mass-media, against which theGrand Orient of Italy (Palazzo Giustiniani) has immediately reacted, thus obtai-ning some success in its efforts, as, for instance, it appears thanks to a clear pro -nouncement expressed by the “Authority on the privacy”, which formulated asharp opinion against any form of unmotivated and general inquisition againstFreemasons. Furthermore, the Author insists on the fact that, on the first hand, ourCraft has the strong responsibility of defending the image of Universal RegularFreemasonry, of our Institution and its members, while, on the second hand, all ourBrethren should continue the already endorsed effort in the diffusion of a correctand rigorous information about the role, functions and activities of Freemasonry,in order to strengthen the positive opinion regarding the ethical presence of our(regular) Grand Orient in the framework of contemporary society.

egli ultimi mesi una serie dinotizie fortemente screditantil’identità della Massoneria ita-

liana sono apparse a mezzo stampa e attra-verso altri media, televisione e radio in par-ticolare. Nuovamente, una sequela diaccuse mosse alla Libera Muratoria, generi-camente individuata, tendono a imputarlecollusioni tra malaffare e malapolitica, o lacostituzione di comitati d’affari, che avreb-bero conseguito indebiti finanziamenti pub-blici, regionali, statali e comunitari, al pun-

to che persino qualche ambiente della magi-stratura sembrava pretendere la consegnaanche delle liste degli iscritti da parte delGrande Oriente d’Italia di Palazzo Giustini-ani, pur dichiarando pubblicamente di vo-ler perseguire fenomeni di Massoneriadeviata. Perquisizioni sono state eseguitenei confronti di una Loggia più o menocoperta (comunque estranea al G.O.I.), diuna sedicente obbedienza muratoria appog-giata presso la sede di un partito politico, aLivorno, mentre si è diffusa la notizia che,

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• 4 •EDITORIALE

nella Repubblica di San Marino, operasseuna Loggia segreta fiancheggiatrice, colle-gata a un comitato d’affari chestranamente ruoterebbeattorno a esponenti di spiccodel mondo confessionale.Quest’ultimo caso ha vistobrillantemente reagire anchei nostri fratelli della Serenis-sima Gran Loggia di SanMarino, che, con estremachiarezza hanno fugato tuttele ombre che si gettavanosulla Massoneria del MonteTitano. Certo è che un vagoaccenno a una Loggia, sic ets i m p l i c i t e r, di San Marino hadato il via per le più svariate fantasie.Anche in questi frangenti, come d’altro can-to, in passato, il colpo è stato di fatto indi-rizzato dai mass-media, direttamente o indi-rettamente, anche nei riguardi della nostraObbedienza, che, per dimensioni e visibi-lità, è sicuramente la più riconoscibile nelterritorio italiano. A fortiori, in quanto l’uo-mo della strada non è in grado di operaredistinzione alcuna sulla base dell’aggettivo“deviata”, talché egli fa inevitabilmente diogni erba un fascio. D’altro canto, anche inquesta occasione, non solo si è dimostrata latotale estraneità del G.O.I. e dei suoiappartenenti rispetto a quanto il chiassoprodotto lasciava sospettare, ma le rispostedella Gran Maestranza, come in particolarequelle del Gran Maestro, sono state pronte,rigorose e soprattutto efficaci, anche esoprattutto sul piano mediatico. Inoltre,bisogna registrare un fatto certamente posi-tivo. Diversi ambienti istituzionali, a partire

dalla figura del Garante, hanno mostratomolte perplessità sull’imprudenza di chi,

avendo sentito odore diMassoneria e sapendoneben poco, pretendeva difarsi consegnare le listedegli appartenenti allaLibera Muratoria Rego-lare, forzando, tra l’al-tro, apertamente, lenorme sulla p r i v a c y, etutto ciò avvenivanonostante la moti-vazione ufficiale avessechiarito che le indaginivenivano svolte nei con-

fronti della cosiddetta“deviazione”. In un senso, certamente de-gno di pieno riconoscimento da parte nos-tra, si è, invece, orientata la posizioneespressa dal dr. Mauro Paissan dell’Uff i c i odel Garante della p r i v a c y a commento dellerichieste del p.m. di Potenza, Dr. Wo o d-cock, come riportato dal Corriere della Seradel 21-05-07 (pag. 18), secondo il quale unatale pretesa era esagerata e assolutamentesproporzionata. Non è che noi abbiamoqualcosa da nascondere o che le liste sianosegrete, ma non crediamo sia ammissibileche si metta in atto una sorta di fumus per -s e c u t i o n i s, per cui di fronte a una genericae incontrollata notizia di reato, debba esseresempre e comunque il Grande Oriente d’I-talia a farne le spese. Se ci sono personespecifiche l e g i t t i m a m e n t e indagate, ilG.O.I. non avrà problemi nel collaborarecon tutte le istituzioni dello Stato a cui èpienamente fedele, Magistratura in primis,ma non è accettabile come principio che un

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• 5 •Comunicazione e trasparenza, A. Panaino

semplice sospetto apra una specie di inqui-sizione su di un intero corpo sociale di cir-ca 18.500 iscritti. È come se,in presenza di un’inchiestaaperta contro uno o dueiscritti a un sindacato nonspecificato, si chiedessero leliste dei membri di tutte lediverse confederazioni,autonomi compresi. Come sidiceva, in questa occasioneperò, anche altre voci, nonappartenenti al nostro ambi-ente, si sono espresse concircostanziata prudenza ehanno preteso “distinguo” e“precisazioni”, che, almenoin un tempo non troppo lontano, non sareb-bero venute in mente a nessuno. I meccani-smi propri di una società democratica sisono, quindi, attivati con i giusti anticorpi ehanno ripristinato un ordine apparente-mente smarrito. Ciò significa che l’azionedi trasparenza e di comunicazione intrapre-sa dal G.O.I. in questi anni ha, per moltiversi, pienamente pagato, poiché ogni isti-tuzione seria vive anche e soprattutto delcredito, della stima e del rispetto che, attra-verso le sue iniziative, i suoi comportamen-ti, la sua capacità di comunicare e di rap-portarsi con il mondo civile, ha saputoottenere all’esterno. Inoltre, non si puòtrascurare il fatto che la reazione del G.O.I.sia stata immediata e giuridicamente eff i-cace, scevra da paure irrazionali o datimidezze di sorta. Chiunque al nostro inter-no avesse dei dubbi sul fatto che le formulescelte in questi anni per dialogare con ilpaese siano una manifestazione eccessiva di

o u t i n g, a scapito dell’esoterismo e pro-ponesse, in alternativa, la via ascetica della

separazione dal mondoesterno, non dovrebbené potrebbe trascurare ilfatto evidente che solouna capacità comunica-tiva e informativachiara e adeguatamentepenetrante porta anchecoloro che non solo nonappartengono al mondomassonico, ma che, perloro cultura, non lo con-dividono, a rispettarcicome interlocutori serie affidabili. È inutile

ripetere che tanto chi odia la Massoneria, lofarà sempre e comunque. Nostro compitoistituzionale è anche quello di svolgere unacorretta azione di promozione dei valori eti-ci della Libera Muratoria e quindi di precisainformazione. Ciò servirà sia a coinvolgerenuove forze sulla base di valori spirituali edetici sani ed eticamente consapevoli, sia adaccreditare tutto il corpo massonico delG.O.I. come associazione istituzionalmentetrasparente e giuridicamente ineccepibile. Ècon chi ci sospetta per ignoranza che noidobbiamo parlare, altrimenti la nostra luceresterà invisibile. In varie occasioni, infatti,ci siamo resi conto che molte ostilità eranopiù basate su preconcetti e su qualche “sen-tito dire”, che su di una reale conoscenzadei fatti e della storia, talvolta anche a causadi una carente informazione proprio daparte nostra. Tale fenomeno non hariguardato solo persone, per così dire, sem-plici, ma anche giornalisti, politici, intellet-

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• 6 •EDITORIALE

tuali e professionisti stimabili, mediamentecolti e in generale informati. Decenni dipropaganda antimassonica,di disinformazione o diinformazione fuorviante einadeguata – in un contestoculturale storicamente nonfavorevole – cui non veni-vano opposte fermereazioni da parte della no-stra Obbedienza al di là delconclamato e sterile vit-timismo, hanno impressoall’esterno una serie di “ri-flessi condizionati” chevanno disattivati. Ta l eoperazione non si compieda sola, per inerzia spiri-tuale, ma richiede che noi videdichiamo una cura estrema, senzaimprovvisazioni o ritorni al passato. Infatti,le conquiste e legittimazioni ottenute sinoranon vanno considerate come un’acqui-sizione permanente, su cui ci si possacullare. Questi risultati devono essere con-solidati ulteriormente.

Noi non possiamo peraltro ignorare chemolti italiani, tra i quali appunto personeche per ruolo e funzione dovrebbero avereuna idea più chiara della nostra Istituzione,della sua storia e delle sue finalità, sempli-cemente ne ignorano le basi essenziali. Nelcorso di un seminario sulla Massoneria,tenutosi presso la Facoltà di Giurispruden-za dell’Ateneo di Bologna, qualche mese orsono, ho avuto il piacere di incontrare alcu-ni colleghi e un gran numero di studenti, peri quali la mia lezione sulla Libera Muratoriaha rappresentato una totale novità. In molti

(e non parlo degli studenti) ignoravano lad i fferenze più banali che esistono tra Obbe-

dienze regolari e irrego-lari, tra Loggia e GranLoggia, tra Rito eOrdine, tra segreto ini-ziatico (che non hanulla a che vedere conla copertura di even-tuali illegalità) e riser-vatezza, tra un Mae-stro, un Maestro Vene-rabile e un Gran Mae-stro, etc. Per tali ragio-ni, spesso solo appa-rentemente nominali-stiche, molti sonoancora convinti, ad

esempio, che Licio Gel-li sia stato Gran Maestro del G.O.I., mentrenon aveva mai ricoperto tale carica nelnostro Ordine, oppure che la condanna del-la P2 abbia implicato giuridicamente anchequella della nostra Istituzione. Non parlia-mo poi delle finalità: che cosa sia la dimen-sione rituale ed esoterica, quanto pesoabbiano le motivazioni etiche e spiritualiche portano sempre più giovani nei nostritempli, sono tutti concetti che appaionodesolantemente sfuggenti o peggio, nellamaggioranza dei casi, semplicemente comenozioni sconosciute. Il fatto che il G.O.I. siacosì visibile, fa sì che, in assenza di ulterio-ri rinforzi informativi, si creda che essocostituisca la sola realtà massonica italiana.Purtroppo, ve ne sono diverse, in alcuni casiserie, ma talora irregolari, in altri invece larealtà appare del tutto incontrollabile; inogni caso, di tutto questo universo non

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• 7 •Comunicazione e trasparenza, A. Panaino

dovrebbe essere il G.O.I. a rispondere némoralmente né giuridicamente. D’altro can-to, data la situazione, ogni voltache si verifica un problema, èindiscutibilmente il G.O.I. cheha l’onere di rispondere e agireper tutelare la propria immaginee quella dei suoi iscritti, maanche per difendere in generalela dignità dell’ideale massonico.Si aggiunga, inoltre, il fatto che,proprio in alcuni casi recenti,come quello di San Marino(sopra citato), si è fatto riferi-mento a una “Loggia aff a r i s t i-ca”, in modo tale che il termineimpiegato, ossia quello di L o g -g i a, risultava linguisticamenteambiguo, giacché non si riusci-va a comprendere se si stessee ffettivamente parlando di una istituzione, atorto o a ragione appartenente alla “nebulo-sa massonica”, oppure se si intendesse sem-plicemente parlare di una cupola ovvero diun comitato di affari del tutto estraneo allaLibera Muratoria, ma assimilato a essa per(fallace) similitudine. Tali difetti, apparen-temente solo linguistici, si tramutano in unadeleteria accusa al mondo massonico; accu-sa che risulta, per le sue stesse modalità,incontrollabile e quindi estremamente per-niciosa in assenza di voci autorevoli che lasmentiscano; a questo, di fatto, si è ovvia-mente messo rimedio. Aggiungiamo, però,che la stampa sembra lentamente fare deiprogressi e che la stessa terminologia utiliz-zata sta via via diventando un po’ più preci-sa e sorvegliata, anche se permangono sva-rioni e notizie completamente o parzial-

mente errate. Ma, almeno, riscontriamo che,prima di rivolgere accuse formali contro il

G.O.I. (e quindi delle quali sidovrebbe poi rispondere legal-mente, trattandosi di calunnia opeggio) si mostra una maggiorcircospezione. Resta comunqueil fatto che il lavoro intrapresonon è certamente concluso e chele ambiguità linguistiche e con-cettuali presenti tra gli operatoridell’informazione permangonoancora in una certa misura. Anoi, quindi, spetta la responsabi-lità di continuare l’azione di tra-sparenza, di informazione, chia-rificazione e promozione deinostri valori e della cultura chesi fonda sui medesimi. Forse, in

futuro, dovremmo proporre qual-che seminario istituzionale dedicato ai pro-fessionisti della stampa e dei mass-media,redigere una sorta di v a d e m e c u m u ff i c i a l esulla nostra Istituzione, forse proporreanche un incontro istituzionale con le asso-ciazioni della Magistratura più interessate altema; insomma si tratta di mettere in campotutto quanto appaia necessario e utile aristabilire una informazione e una cono-scenza più corretta della realtà.

Non si può, peraltro, trascurare il fattoben noto che, di tanto in tanto, presso alcu-ne amministrazioni comunali, provinciali oregionali, qualche m u l l a h nostrano proponedi introdurre norme vessatorie contro tuttigli appartenenti alla Massoneria, come se sitrattasse di un’associazione illecita o anti-sociale. Si tratta di uno degli esempi piùlampanti di arretratezza politico-culturale e

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• 8 •EDITORIALE

giuridico-amministrativa ancora esistentinel nostro paese, costume che appare ancorpiù grave se si tiene conto chechi propone tali “restrizio-ni” illiberali, lo fa convin-to di ottenere un certo cre-dito presso l’opinione pub-blica. Di conseguenza, lanostra reazione non puòche essere duplice: da unaparte sul piano prettamen-te giuridico, come abbia-mo sempre fatto, dall’altrasu quello dell’informazio-ne, presso l’opinione pub-blica, per la quale taliazioni illiberali devonoapparire per quello chesono, ossia come atti di bar-barie giuridica, peraltro già condannatipresso la Corte di Strasburgo, ma soprattut-to tali proposte devono risultare contropro-ducenti per gli stessi proponenti, in quantosi tratta di spiegare all’opinionoe pubblicache esse scaturiscono oggettivamente dauna cultura persecutoria, illiberale e profon-damente antidemocratica.

Infine, e forse si tratta della parte più rile-vante, è necessario che si agisca, ciascunodi noi, sempre con estrema schiettezza eserenità, mostrando con la diretta testimo-nianza, con il proprio volto, la propria ono-rabilità, il proprio rigore, di quali uominiquesta Massoneria è composta. Perché nonc’è proprio nulla da nascondere nell’identi-tà massonica, giacché, se un tal motivo vifosse veramente, ebbene, allora, sarebbemeglio non appartenervi affatto. Molti,

infatti, desiderano giustamente, nel prosie-guo del proprio itinerario esoterico, rag-

giungere ruoli istituzional-mente e spritualmenteimpegnativi, come, adesempio, quello di Mae-stro Venerabile. Ciòrisponde ad aspirazionidi per se stesse bellissi-me, e che, secondo ilprincipio di turnazione edi avvicendamento,democraticamente eistituzionalmente sanci-to, avvengono di conti-nuo. Ma tali funzioni,non solo di direzione,ma di servizio, richiedo-

no necessariamente un’e-sposizione personale, non solo interna, ma,in alcuni casi inevitabili, anche esterna epubblica. Questa almeno è la mia personaleopinione. Infatti, è attraverso la piena rico-noscibilità degli uomini che si giudicanotante cose. La scelta di tenere le nostreGran Logge in un contenitore sempre piùpubblico hanno di fatto tolto a molti deni-gratori una serie di noiosi argomenti, tuttivolti ad accreditare l’esistenza di una con-venticola neo-carbonara segreta e sfuggen-te. Oggi, invece, è diventato sempre piùd i fficile, se non impossibile, parlare conesplicito riferimento al nostro caso di cupo-le segrete, quando tutto avviene pratica-mente alla luce del sole. Non possiamodimenticarcelo. Se altri operano nell’om-bra, nulla hanno da spartire con la nostraidea di Massoneria.

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Essoterismo ed esoterismo dell’angelologia biblica

di Giuseppe AbramoGran Segretario del Grande Oriente d’Italia

(Palazzo Giustiniani)

The biblical angelology is not a simple inheritance derived to the Hebrew from thetime of the exile; this is clearly demonstrated by the fact that there are references tothe angels already in the oldest books of the Bible, written before the exile, whichbear a fundamental and authoritative testimony on the history of angels, on theirlife and their nature, also if this argument is not the subject of a systematic descrip -tion or of a strictly technical treatment, but rather it is the result of a fortunate mix -ture of the certain, the extremely probable, and the fairly probable.The Holy Scriptures do not refer to these creatures of the invisible world ex pro-f e s s o, they never refer to them to make some “revelation” about their mysteriousexistence, but mention them every time referring to the human history or to thehistory of the people of God; this clearly shows that the inspired writers never hadother task than the history of man and his vicissitudes.The spirits, then, are not the subject of the Bible, which, even if it reveals manythings about the angelical world, only incidentally does that, and when this inte-rests the eternal good of man. Considering this relative character of the angelologyof the Bible, we cannot expect other than fragments of angelical history, also if —perhaps — they are precious and instructive fragments.The Talmudic angelology, by its side, in its fundamental teaching, substantiallydoes not diverge from the biblical version, also if it is pleased to widen the celestialscene and the angelical hierarchies, moreover without reaching the excesses of theChristian visions.Paid in some way the tribute to information, the considerations shift towards lessdidactical ones, or less related to an examination of the biblical texts. In fact, withthe support of the Cabala and its methods, the research faces the most importantangelical figures which appear in the Bible, that is the Cherubs, guards of the ter -restrial paradise, and the Seraphs, who — in some way — represent their comple -mentary aspect.Through the subtle Cabalistic techniques, and always with the support of the scrip -tures, like those with the particular visions of Ezekiel and moreover of Isaiah, thedifferent but coexistent aspects of God — transcendence and immanence — areresearched in the two angelical categories.

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1. Gli angeli in generale

’universo, dice il Talmud, èabitato da due categorie diesseri: gli E l y o n i m ( “ q u e l l i

di sopra”) e i T a c h t o n i m (“quelli disotto, gli uomini”). Della primacategoria fanno certamente partequelle creature spirituali inter-mediarie tra Dio e gli uomi-ni che nella Bibbia sonocomunemente denomi-nate angeli o messaggeri(greco a g g e l o s, e b r a i c om a l k h i m) o spiriti (gr. p n e u -mata, ebr. ruhoth).

Questi intermediari tra Dio el’uomo, questi esseri superiori,frequentemente ricordati nelle nar-razioni bibliche, si ritrovano in tutte le reli-gioni e mitologie e spesso nell’ambito diesse acquistano le sembianze di spiritiantropomorfi, benevolmente consapevolidelle vicende terrene, talora messaggeri divendetta o infernali apportatori di calamità.

Divisi in differenti categorie, ciascunadelle quali con compiti particolari, come adesempio gli “utukku” babilonesi delegati atormentare una parte speciale del corpoumano, oppure occupati a combattersi l’unl’altro nel perdurante antagonismo del benee del male, come nello Zoroastrismo, ange-li e demoni che siano, hanno, sotto la loromolteplice diversità, la comune caratteristi-ca di essere creature spirituali, che presta-no un servizio immediato a Dio e vaganotra la dimora celeste e la terra per compie-re il loro ufficio di protettori o di malevoliinsidiatori.

• 10 •

2. Gli angeli nella Bibbia

Possiamo senz’altro affermare che laBibbia reca una testimonianza primaria eautorevole sulla storia degli angeli, sulla

loro vita e sulla loro natura,anche se, in essa, l’argomento

non è oggetto di una esposi-zione sistematica o di un

trattato rigidamente tec-nico, ma si presenta

piuttosto come ilrisultato di un felice

miscuglio del certo,dell’estremamente pro-

babile e del discretamenteprobabile.

Cominciamo dunque con ilprecisare che, come nelle altre tradizioni,anche per gli angeli biblici nessun dubbiocirca la loro spiritualità, che, per quanto nonespressamente affermata, sembra presuppo-sta dal fatto che il loro corpo è soltanto unaparvenza (Tob. 12,19). Inoltre dalla Scrittu-ra apprendiamo che gli angeli non appar-tengono alla sfera terrestre, tanto da essereindicati come “santi” (Deut. 33,2) e da veni-re chiamati “figli di Dio” (Giob. 1,6; 2,1)che però non perdono la loro natura finita eimperfetta, la quale li distanzia incommen-surabilmente da Dio (Es. 15,11) e fa sì chel’uomo sia poco meno di loro (Sal. 6,6).

Infine anche gli altri aspetti innanzi indi-cati sono presenti negli angeli biblici. Infat-ti, nel paradiso terrestre già compare un ten-tatore sotto forma di serpente (Gen. 3, 1-15)sul quale il testo sacro non fornisce ulterio-ri elementi atti a precisarne la personalità,

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• 11 •Essoterismo ed esoterismo dell’angelologia biblica, G. Abramo

ma lascia supporre trattarsi di un esseresuperiore decaduto. Poco oltre, a dimostra-zione della funzione di servizio degli ange-li vediamo che, in seguito allacaduta dei progenitori, Dio p o s ead Oriente del giardino dell’E -den i Cherubini, che roteava -no da ogni parte una spa -da fiammeggiante ( G e n .3,24).

Fin qui, dunque, nientedi nuovo nell’angelologiabiblica, anzi appare di nonfacile soluzione il problemadell’influsso esercitato sull’ange-lologia giudaica dalla dottrina deglispiriti (e più precisamente della demonolo-gia) degli Assiro-Babilonesi e dei Persiani.

La risposta che possiamo dare al riguar-do è che mentre da una parte nulla impediscedi pensare che si tratti di una derivazionedall’Oriente, dall’altra in queste concezioniorientali dobbiamo vedere l’eco di una tradi-zione oggettivamente generale e comune atutta l’area culturale di cui trattasi.

D’altra parte che l’angelologia giudaicanon sia una semplice eredità derivata agliEbrei dal tempo dell’esilio, lo dimostrachiaramente il fatto che degli angeli già siparla nei più antichi libri della Bibbia scrit-ti anteriormente all’esilio medesimo.

Cercando di meglio e ulteriormentecaratterizzare le creature angeliche checompaiono nelle Scritture, possiamo con-statare che, dal Genesi in poi, vale a dire neivari Libri della Bibbia, c’è una notevoleuniformità di presentazione della figura

degli angeli. Infatti, il tipo angelico, almenoin apparenza, non muta mai. I Cherubini

posti davanti al Paradiso, affinché rotean-do intorno la spada fiammeg-

giante custodissero la viadell’albero della vita (Gen.

3,24), si vestono dellestesse misteriose carat-

teristiche delle ange-lofanie d’Ezechiele.Tutto quello che si sa

lo si sa fin da principioe i loro modi sono sostan-

zialmente sempre gli stessi,benché nel corso degli

eventi biblici dispieghino orauna specie di attività ora un’al-

tra: costituiscono l’innumerevole coorte checirconda il trono di Dio (Dan. 7,10), è lorocompito rendere gloria a Dio e cantare lesue lodi (Is. 6,3), sono pronti a combattereper lui (Gios. 5,14) e trasmettono agli uomi-ni quanto Egli comanda (Gen. 22,11).

Ciò premesso dobbiamo notare che leScritture non parlano di queste creature delmondo invisibile; ex professo non ne parla-no mai allo scopo di fare qualche “rivela-zione” sulla loro misteriosa esistenza, ma limenzionano ogni qual volta entrano nellastoria umana o nella storia del popolo diDio. Nulla è più casuale o imprevisto del-l’intervento degli angeli in questa o in quel-la parte della storia sacra. Non è mai unacosa che si possa prevedere. Non c’è unaserie di avvenimenti dove a un dato puntooccorre la presenza di un angelo. La stessacosa che in una data occasione viene com-piuta attraverso il ministero angelico, in un

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altro momento viene lasciata al suo svolgi-mento naturale.

Alla luce di quanto precede si può trarreuna prima conclusione e cioèche nella Bibbia il mondoangelico appare come unapotenza completa, autosuff i-ciente, inaccessibile, che ilcorso degli eventiumani non può in nes-sun modo intaccare,mentre questo corso può daessi essere influenzato.

Una particolare situazione,alla quale vale la pena di presta-re attenzione e riflessione, riguarda il fattoche la Scrittura non sempre distingue conchiarezza tra intervento angelico e interven-to divino: il visitatore celeste che è chiama-to “angelo” passa facilmente a ruoli divini eciò particolarmente nella più antica angelo-fania della Bibbia.

Così ad esempio il messaggero celesteche parlò ad A g a r, la moglie schiava diAbramo, è nello stesso tempo angelo esignore di vita:

E la trovò nel deserto presso lafonte di acqua che è nella strada diSur nel deserto, l’angelo del Signoreche le disse: Agar, serva di Sarai, didove vieni? E dove vai? Ed ella rispose:Fuggo dal cospetto di Sarai, mia padro -na. E l’angelo del Signore a lei: Tornadalla tua padrona e sottomettiti. Edaggiunse: io moltiplicherò grandementela tua posterità che sarà tanto numerosada non potersi contare. (Gen. 16,7-10)

Viceversa, sempre nel Genesi, troviamo

manifestazioni angeliche nettamente distin-te dal divino. Così, forse nella maniera piùchiara e netta, è nel sogno di Giacobbe:

Vide in sogno una scala chepoggiava sulla terra e con la cimatoccava il cielo: e gli angeli diDio salivano e scendevano per

essa, mentre il Signore appog-giato alla scala gli dice-va: Io sono il SignoreDio di Abramo tuo

padre e il Dio di Isacco. Iodarò a te e alla tua stirpe la ter -

ra in cui riposi. (Gen. 28, 12-13)

Infine, per quanto riguarda laloro presenza “storica” nelle Scrit-

ture, è da notare che vi sono anche dei gran-di vuoti, così, ad esempio, non si fa cennoagli angeli nel lungo periodo che precede ildiluvio, né essi si presentano come soccor-ritori di Noè. Il mistero angelico come talecomincia con la storia dell’uomo, con lastoria del popolo di Dio. Nel racconto dellacreazione non se ne fa il più lontano accen-no e il fatto che dello “spirito maligno” siparli molto tempo prima di qualsiasi altrapotenza del mondo invisibile, mostra chia-ramente che gli scrittori ispirati non si sonomai prefissi altro compito che non fosse lastoria dell’uomo e delle sue vicissitudini.

Gli spiriti, dunque, non sono il tema del-la Bibbia, la quale, pur rivelando molte cosedel mondo angelico, lo fa solo incidental-mente e nella misura in cui interessa il beneeterno dell’uomo. Tenendo conto di questocarattere relativo dell’angelologia nella Bib-bia, non possiamo attenderci che frammen-ti di storia angelica, anche se, forse, si trat-ta di frammenti preziosi e istruttivi.

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Assai numerosi sono i passi scritturalidove si parla degli angeli, i quali sono pre-sentati come esseri personali, potenti eintelligenti, distinti dagli uomini e da Dio.

Lo spazio a disposizione e la naturadi questo lavoro non ci consentono dicitare o spiegare tutte le varie allusio-ni della Scrittura agli angeli; cia-scuno lo può fare da sé, se vuo-le. Ma qui, per concludere que-sto aspetto “informativo” deltema possiamo, in linea generale,dividere i riferimenti della Scritturaagli angeli in quattro classi: quelli“storici”, quelli “liturgici”, quelli “teo-logici” e quelli “profetici”.

Per l’angelofania storica possiamo fareriferimento a tutti quei passi dove si vedonogli angeli compiere un’opera, portare unmessaggio, prestare il loro aiuto, offrire alSignore le preghiere degli uomini (To b .12,12; Zac. 1,12; Gen. 28,12), proteggeregli uomini (Gen. 24,7; 48,16; Es. 23,20; Sal33,8; 90, 11-13; Tob. 5,27; Giudit. 13,20) ele stesse nazioni (infatti si parla di angelodegli Ebrei, dei Persiani, dei Greci: Dan.10,4-21). Della loro opera si vale pure lagiustizia divina per colpire i peccatori (Gen.19,11; 2 Sam. 24, 16-17; Prov. 17,11).

Per i riferimenti liturgici considereremoi momenti in cui gli angeli appaiono nellaloro funzione di adoratori di Dio. Il riferi-mento teologico si può rintracciare in queibrani dove si accenna agli angeli in relazio-ne a una realtà del mondo soprannaturale. Eper finire, possiamo ritrovare l’aspetto pro-fetico nei momenti in cui all’angelo si aff i-dano misteriose future attività.

3. Pluralità, denominazioni e gerarchieangeliche

Sebbene ricorra soventel’espressione “l’angelo

di Dio”, non appare tut-tavia dubbia la plura-

lità degli angeli(Gen. 18,12). Gliangeli formanola corte dell’Al-

tissimo (Is. 6, 1-4;Ez. 1; Tob. 12) s o n o

numerosissimi e costi-tuiscono le armate poste

al suo servizio (Gen. 32, 2-3; Dan. 7,10).

Oltre che angeli, queste creature spiri-tuali sono indicate anche con altre denomi-nazioni e cioè: “figli di Dio” (Giob. 1,6),“santi” (Zacc. 14,5), “esercito di Dio”(Gios. 5, 4-14), oppure “esercito del cielo”(1 Re 1,22.19), “Cherubini” che sono quel-li che fanno la guardia al Paradiso terrestre(Gen. 3,24); “Serafini” che sono quegliesseri alati che Isaia (6,2) contempla nellacelebre visione analoga all’apparizione diEzechiele (15) che vede quattro esseri viviin forma umana.

Nonostante i diversi appellativi, primadel Libro di Daniele, non si trovano nellaBibbia nomi di angeli.

Si conoscono soltanto i nomi di tre ange-li: Michael (Dan. 10,13-21; 12,1), Gabriel(Dan. 8,16; 9,21), Rafael (Tob. 12,15).

L’allusione a Michael come “uno deiprimi principi” (Dan. 10,13) e a Rafaelcome “uno dei sette che stanno innanzi al

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Signore” (Tob. 10,13) ha fatto pensare a unagerarchia angelica, ma, al riguardo, a diffe-renza di quanto avverrà nel Cristianesimo,nella Bibbia non si riscontraalcuna chiara indicazione,anche se poi nel Talmud e neiM i d r a s h i m, – la tradizioneorale – senza pervenirealle classificazionidegli angeli in gruppid i fferenti, alcuni diessi come Michael eGabriel sono indicaticome “i più eminenti fra tuttigli angeli” e pur avendo dellefunzioni ben precise, taloravengono menzionati come coope-ranti allo stesso compito, il che fa pensare aun lavoro di équipe e quindi a un suo coor-dinamento.

Tuttavia il Talmud non arriverà mai acostituire ben nove categorie angelichedivise in tre differenti sfere, la prima deiconsiglieri divini che comprende Serafini,Cherubini e Troni, la seconda dei governa-tori celesti che comprende Dominazioni,Virtù e Potestà e infine la terza dei messag-geri celesti costituita da Principati, A r c a n-geli e Angeli.

Presto tutte queste categorie, fra l’altro,avranno anche uno stretto rapporto diparentela con le energie planetarie. Infatti,si dirà che se l’Astrologia permette di com-prendere l’esistenza e il ruolo di certe ener-gie, l’Angelologia insegna che gli angelisono entità spirituali che permettono di rice-vere queste forze planetarie. E fin qui il dis-corso è ancora accettabile, anche se discuti-bile, quanto meno perché nella più classica

visione astrologica ebraica e cabalista lepotenze planetarie sono già degli interme-diari della energia superiore e quindi gli

angeli sarebbero ulteriori interme-diari. Ma a prescindere da questeconsiderazioni, purtroppo dal-l’ampliamento della scena celeste

fino a renderla piena e aff o l l a-ta è stata originata tantaletteratura occultisticache spesso ha sminuito

gli angeli da “esseri degnidi stare presso il Trono di Glo-

ria”, a creature più o meno parti-colari, un po’ “tuttofare”, oracome “geni planetari” dominatori

e controllori di ogni frazione dellospazio e del tempo, ora come protagonistipiù o meno apocalittici di vicende chemaghi e maghetti di ogni tipo sono – a lorodire – in grado di controllare e di dirigere.

4. Gli angeli nel Talmud. Metatron

Tutto questo esula dal nostro tema del-l’angelologia biblica, pertanto lasciamo adaltri la responsabilità delle gerarchie ange-liche e noi torniamo al Talmud, al qualeabbiamo appena accennato, per completarela figura angelica così come si proietta nel-la letteratura post-biblica (Apocrifi e Pseu-doepigrafici compresi) culminata nel Ta l-mud stesso e nei Midrashim.

Al riguardo, diciamolo subito, l’angelo-logia talmudica nel suo insegnamento difondo, sostanzialmente, non si discosta dal-la visione biblica, anche se si compiace diampliare la scena celeste, ma lo scopo è tut-t’altro che disprezzabile.

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Infatti, il motivo fondamentale di questaangelologia non è tanto quello di trovareulteriori intermediari tra Dio e il mondo, mail vero scopo è piuttosto la glori-ficazione di Dio, perché nellasua esperienza quotidiana, lagente d’Oriente, con il suoamore per il pittoresco,per i colori smaglian-ti, è abituata a vedereil sovrano circondato daipiù alti onori e dalla massimariverenza e naturalmente quan-to più sfarzosa è la corte delsovrano e più numeroso ilseguito, tanto maggiore è l’am-mirazione che egli desta.

Per quanto riguarda la gerarchia angeli-ca anche il Talmud tace. Tuttavia nelMidrash Rabbah (Grande Midrash, una spe-cie di commento sul Pentateuco e sui cin-que Rotoli che si leggono durante il serviziosinagogale nel ciclo liturgico annuale), esat-tamente nel Numeri Rabbah 11,10, trovia-mo una mini gerarchia angelica, in cimaalla quale si trovano i quattro arcangeli checorrispondono alle quattro divisioni dell’e-sercito di Israele:

Come il Santo che benedetto sia, creòquattro venti [cioè i quattro punti cardi-nali] e quattro vessilli [per l’esercito diIsraele] così pure creò quattro angeli percircondare il suo Trono: Michael,Gabriel, Uriel e Rafael. Michael sta alladestra di esso e corrisponde alla tribù diReuben; Uriel sta alla sinistra e corri -sponde alla tribù di Dan, che era stan -ziata al nord; Gabriel è davanti e corri -

sponde alla tribù di Jeudah, come pure aMosè ed Aaron che si trovano ad est;

Rafael è dietro e corrisponde allatribù di Efraim che era ad ovest.

Michael e Gabriel sono i piùeminenti, i grandi principi, ma vi

sono anche altri principisenza nomi particolari.Questa qualifica finiràpoi con il diventare sin-

golare e si parlerà del cosiddetto“principe del mondo” che si iden-

tificò con una figura di particolareinteresse, l’angelo Metatron, delquale non è superfluo occuparsi

perché ebbe una speciale posizione nelladottrina esoterica, dal periodo tannaitico inpoi, e che arrivò a identificarsi addiritturacon la figura divina.

Gli scavi di Qumran, infatti, hanno por-tato alla luce, fra l’altro, anche il Libro diE n o c h, sia in ebraico che in aramaico, e dicui era sopravvissuta, nella sua interezza,solo una traduzione etiopica. Com’è noto sitratta di un testo eminentemente apocalitti-co e di grande importanza per la Cabalà e inesso compare Metatron, il Principe dell’U-niverso, che possiede le chiavi di tutto ciòche esiste.

Proprio in questo Libro si parla di ungruppo di angeli che vedono il volto delloro re e sono appunto chiamati “Principidel Volto”, e tra essi spicca Metatron chefinirà con l’assumere, lui solo, l’appellativodi “Principe del Volto”.

Nel Talmud si parla di questo angelo intre punti (Chaghigah – Offerta festiva -15a;Sanhedrin – Tribunali - 38b; A.Z. A b o d a hZarah – Idolatria - 3b).

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Premesso che esiste un’antica leggendacabalista secondo la quale quattro saggientrarono nel “Pardes”, cioè ebbero le lorovisioni mistiche e giunti innanzi al “trono digloria” ebbero reazioni diverse:uno addirittura si suicidò, il secon-do impazzì, il terzo diventò apo-stata e solo uno, rabbi Aqibà, dico-no gli scrittori cabalisti, entròe uscì in pace; nel primotrattato si fa riferimento aElisha ben Avuyah – l’a-postata detto Acher (“altro,diverso”) – che nella sua visionevide Metatron seduto, mentre tut-ti gli angeli sono obbligati a starein piedi alla presenza di Dio, dalche dedusse, ed ecco l’apostasia, forse visono due poteri, frase che poteva minarealle basi il monoteismo ebraico.

Un’analoga posizione sovrannaturale siriscontra anche nell’episodio in Sanedrin.

Metatron deriva probabilmente dal lati-no M e t a t o r, precursore, e l’angelo di que-sto nome sarebbe quello che “precedeva”gli Israeliti nel deserto (Es. 23,20). Un tem-po dovette essere tenuto in gran venerazio-ne se venne fatto uno speciale divieto dirivolgergli preghiere.

Un sadduceo disse a Rabbi Idith : Èscritto: E a Mosè egli disse: Sali al Signo -r e (Es. 25,1). Si sarebbe dovuto dire Salia Me! Rabbi Idith rispose: Chi parlavaera Metatron, il cui nome è quello stessodel suo Signore, poiché è scritto: Il mionome è in lui [cioè nell’angelo] (Es.23,21). In questo caso – disse il Saddu-ceo – noi dovremmo pregarlo. No – fu larisposta del Dottore – poiché il contesto

dichiara: Non scambiar[ m i ] con lui [ q u e-sta è l’interpretazione della espressioneebraica che, letteralmente sarebbe: N o nribellarti contro di lui]. Se è così perché

il verso continua: poiché Eglinon perdonerà la vostra colpa.

Infine nell’ultimo episodiodel Talmud (A.Z, 3b) Metatron

compare come colui checoopera con Dio nel-l’insegnare ai giovani,cioè Metatron diventa

un depositario di tradizioni,ma mentre Dio dedica le ultimetre ore del giorno a questolavoro, Metatron vi si dedicatutto il resto del giorno.

Ci siamo un po’ attardati su Metatron,non solo perché, come si è accennato, egli èla figura centrale dell’angelologia talmudi-ca, ma anche per sottolineare lo sforzo delTalmud che tenta di conciliare tradizionidiverse che possono, come nel caso di Eli-sha ben Avuyah diventare pericolose osconcertanti.

5. Gli angeli caduti

Dopo Metatron, per meglio caratterizza-re l’esercito angelico nel suo complesso, eforse per completare l’aspetto informativoed esteriore, dovremmo anche affrontare lastoria degli angeli caduti, di cui nella Bibbianon troviamo molto, ma che figura nella let-teratura apocalittica e manca nel Talmud enel Midrash.

Al riguardo, senza aprire un nuovo capi-tolo, è forse sufficiente precisare che anche

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nella storia degli angeli del male non tro-viamo elementi particolari che escono dallelinee generali che abbiamo più di una voltaindicate. Negli scritti del periodorabbinico questi angeli altro nonsono che un’invenzione per espri-mere la collera divina e loro fun-zione è quella di mettere inesecuzione le deliberazio-ni prese da Dio per punirela malvagità degli uomini.

Una particolare menzionemerita la figura del Satan, che, purappartenendo alla sfera del male,non è proprio la figura diabolicadella tradizione occidentale, ma ha dei com-piti ben precisi. Infatti, innanzitutto è l’ac-cusatore e cioè colui che presenta a Dio lecolpe degli uomini, è cioè il pubblico mini-stero del Tribunale celeste. Ha poi il compi-to di tentatore e infine a lui è demandato ilcompito di comminare la pena di morte.

Esistono anche vere e proprie figuredemoniache e malefiche nelle quali non sifa molta fatica a riconoscere la sopravvi-venza di antiche divinità cananee. Questefigure sono abbastanza frequentemente con-nesse al deserto e ai mali che vengono daesso. Il deserto è, infatti, normalmente con-siderato la sede elettiva delle forze demo-niache.

Si parla dei s e i r i m, i “demoni-capri”, ilcui nome significa “pelosi” che ricevevanosacrifici dagli ebrei. Si parla anche dei se a -d i m che sono i demoni “neri” dei quali èdetto che gli ebrei prevaricando s a c r i f i c a r o -no i loro figlioli e le loro figliole.

Un unico passo (Is. 34, 14) ci parla diL i l i t h, indicato come “spettro notturno” che

abita nel deserto. In effetti, corrisponde aldemone babilonese Lilitu, originariamentedemone della tempesta e poi della lussuria.

Nel rituale di espiazione (Lev. 16)appare il demone A z a z e l il cuinome suggerisce qualche rappor-

to con il capro (a z a z = “essereforte e orgoglioso”). A tale

demonio viene inviato,ai limiti del deserto, il

famoso capro espiatorio.

6. Interpretazione esoterica deiCherubini e dei Serafini

Ma ora che abbiamo in qualche modofacilmente ricostruito con una più o menoattenta lettura dei Testi, la sede e soprattut-to i suoi lettori ci stimolano a qualche rifles-sione o a qualche considerazione che guar-di un po’ più “dentro”, più “dietro” allecose.

In questo può soccorrerci l’esoterismoche si basa su una corretta interpretazionedel testo biblico – cioè la Cabalà – i cuimetodi di indagine andremo ad applicarealle più importanti figure angeliche checompaiono nella Bibbia, vale a dire i Che-rubini che vengono posti a guardia del para-diso terrestre (Gen. 3,24) e i Serafini che, inun certo senso e come vedremo, rappresen-tano il loro aspetto complementare.

A ben considerare, queste due categoriedi angeli sono indicate come quelle di pri-maria importanza e d’altra parte non è diff i-cile vedere riassunte in esse tutte le possibi-li funzioni che abbiamo visto assegnate aqueste creature spirituali. Infatti, i Cherubi-

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ni chiaramente dimostrano il ruolo “serven-te” degli angeli, la funzione di assolvimen-to di compiti particolari, l’aspetto sempliceed esterno, mentre i Serafini sonoper loro natura un po’ più, percosì dire, partecipi di sfere edi attività più articolate ecomplesse, interne o addi-rittura “misteriose”.

Abbiamo parlatodi principi e tecnichecabaliste da applicaree ora, senza fare grandidivagazioni, è forseopportuno indicare qual-cuno di questi principi ancheper poter meglio seguire l’itermentale del cabalista nel suo lavoro specu-lativo, il che peraltro non presenta partico-lari difficoltà. Infatti, andando a indagare sudue categorie o meglio su una manifesta-zione duale stiamo già rispettando un prin-cipio cabalistico, e non solo tale, secondo ilquale la dualità è la base del mondo creato,la realtà ha natura dualistica, tutto è costi-tuito da coppie di opposti.

In ogni cosa esistente è presente unapolarità che viene riassunta e resa archeti-pale nell’opposizione uomo-donna, maschi-le e femminile: ogni essere vivente, che siaangelico o terrestre, nei mondi superiori oin quelli inferiori ha una controparte.

Addirittura – dicono i Maestri – all’in-terno della stessa divinità c’è una polarità diquesto genere, che, per quanto sia diff i c i l eda individuare in termini di maschile e fem-minile, può essere facilmente distinta e con-cepita come “interno” ed “esterno”.

La presenza delle due dimensioni divine,rivelata e nascosta, viene ricordata in ognibenedizione ebraica, che segue sempre ilmodello: Benedetto sei Tu Ha-Shem che

h a . . ., cioè, durante la benedizione sipassa dalla seconda persona singo-

lare, che indica la presenza rive-lata dell’interlocutore, alla terza

persona singolare, che indica ilsuo non essere presente.

Prima di chiudere que-sta apparente divagazionedal tema, ricordo che un

ulteriore principio fonda-mentale nell’esegesi biblica è

quello secondo il quale: Chi afferraun pezzo, una parte dell’essenza, ha

afferrato l’essenza intera. Ecco per-ché la Cabalà sovente si sofferma, per pagi-ne e pagine, anche su una sola singola lette-ra. È questo, oggi, un principio di grandeattualità nel cosiddetto approccio olistico almondo. Del resto è appena di ieri la scoper-ta del DNA o del “genoma”, la parte del-l’essenza che è l’essenza stessa della vita.

C’è infine un altro principio che guidanon solo l’esegesi biblica, ma anche l’Hala-kà (la parte normativa della Legge orale,l’elemento principale del Talmud) e altriaspetti dell’Ebraismo secondo il quale: T u t -to segue la qualità degli inizi. Quindi, quan-do un elemento, quale che sia, è posto all’i-nizio di una serie, quest’elemento è il semedi tutto ciò che poi si svilupperà, esso con-tiene in sé un germe che, se opportunamen-te analizzato, dimostra che possiede già l’e-dificio intero. Così dovrebbe essere ancheper questi semplici angeli posti a guardiadel giardino dell’Eden.

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Ciò che avvenne in quel giardino è sto-ria nota: la solita, ma forse logora, contrap-posizione bene-male fa da sfondo ai primieventi umani, e pone le basi di un’eticatradizionale, millenaria.

L’uomo, posto davanti a un modellodualistico, che non lascia alternative,finisce con lo scegliere il malecon conseguenze disastrose:Adamo ed Eva, fra Dio e il Ser-pente, sembrano protagonisti, percosì dire, di “seconda classe”.

Con il sostegno delle sottili tecni-che di decodificazione della Cabalà,cerchiamo di cogliere il significato pro-fondo delle vicende e, come primoapproccio, leggiamo con attenzione il sen-so letterale dei primi versetti del famosocapitolo 3 del Genesi, dove in verità nontroviamo riferimenti che caratterizzano ilserpente come soggetto portatore di “mal-vagità”, ma di lui si dice solo che era a r u n,“astuto, nudo” il che, prima facie, non sem-bra definire qualità negative o cattive. Mal’astuzia indubbiamente c’è e si manifestain quel sottile modo di formulare domande(Gen. 3):

1 ) Dio vi ha proprio detto: Non man -giate di nessun albero del giardino?

Rashi, il grande commentatore dellaTorà, così traduce la domanda: È vero cheDio ha detto, Forse Dio ha detto.

Sembra quasi che il Serpente voglia chesia l’interlocutrice a qualificare le disposi-zioni definendole restrittive, severe, non pro-prio prive di sanzioni. Ma Eva puntualmen-te sposta l’accento dalle sole proibizioni:

2) Del frutto di qualunque albero delgiardino noi possiamo mangiare;

3) ma del frutto dell’albero che è inmezzo al giardino Dioha detto: Non mangia -tene e non lo toccate,altrimenti morrete.

A q u e s t opunto il Serpen-te, come si suole

dire “cambia lecarte in tavola”, pro-

spetta tutt’altra realtà edice una frase che, se io

avessi avuto la fortuna diessere lo stampatore o l’impaginatore bibli-co, avrei messo tutto in grassetto e in carat-teri cubitali:

Non morrete! – dice il serpente.Ma, Dio sa che il giorno in cui man -

giaste di esso, i vostri occhi si aprirebbe -ro e diverreste come Dio, conoscitori delbene e del male.

Non c’è dunque nulla di proibito, tutto èconsentito, bando alla paura per acquistare“virtude e conoscenza”, per realizzare ladivinità che potenzialmente è in ogni esserecapace di conquista.

L’ a ffermazione è allettante, non è facileresistere, anche Rashi ne conviene: le paro -le del serpente le piacquero ed ella credettein lui.

L’albero era buono, “per farla diventarecome Dio”, piacevole a vedersi “come leaveva detto il serpente” perché faceva acqui -stare intelligenza “faceva diventare cono-scitori del bene e del male”. Poi ne diedeanche a suo marito.

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Le conseguenze sono note: ipso facto,dalla beatitudine paradisiaca alla rovina:

1 6 ) Alla donna (Dio) disse: F a r ògrandi le sofferenze tue e della tuagravidanza, partorirai figli condoglia e avrai desiderio di tuomarito; egli dominerà su di te.

17) E all’uomo disse:Poiché hai ascoltato laparola di tua moglie e haimangiato dell’albero, dicui ti avevo comandatodi non mangiare, il suolosarà maledetto per causatua; usufruirai di esso condolore per tutto il tempo dellatua vita.

1 8 ) Ti produrrà spine e prunie mangerai l’erba dei campi.

1 9 ) Mangerai pane con il sudore deltuo volto finché tornerai alla terra, dallaquale sei stato tratto: polvere sei e allapolvere tornerai.

Insomma il rigore, la severità, l’aspettopunitivo di Dio non si fanno attendere edanno via libera alle previsioni più nere, senon addirittura alle maledizioni.

Tuttavia resta da chiarire un aspetto che,a dir poco, appare inquietante. Dio, infatti,aveva detto ad A d a m o : ma non mangiaredell’albero della conoscenza del bene e delmale, perché, nel giorno in cui tu ne man -giassi, moriresti (Gen. 2,17).

Ma Adamo ed Eva non muoiono, alme-no non nello stesso giorno: la predizionenon si realizza.

Almeno in questo il Serpente non avevaingannato nessuno, anzi aveva avuto ancheragione.

Ma c’è di più. Quel famoso versetto cheprima avremmo voluto mettere in grassettoe scrivere a caratteri cubitali è ancora lì, intutta la sua importanza, forse anche il suo

mistero e qualche preoccupa-zione la crea.

2 2 ) Ecco, l’uomo èdiventato come uno di noi,

in quanto conosce ilbene e il male; è da

evitare ora che sten -da la mano, prenda

anche dell’albero del -la vita, ne mangi e viva

in perpetuo.

Cosa significa è diventatocome uno di noi?

Il Serpente ha già risposto: Dio sa che ilgiorno in cui mangiaste di esso, i vostriocchi si aprirebbero e diverreste come Dio,conoscitori del bene e del male.

Quindi il Serpente non solo non ha imbro-gliato Adamo ed Eva, ma ha indicato una del-le possibili vie per diventare come Dio.

È ora il momento di tentare una decodi-ficazione degli eventi e anche di t o r n a r ea l l ’ a rgomento principale, cercando di inse-rire negli eventi quelle che abbiamo vistoessere le due categorie principali di angeli:i Cherubini e i Serafini.

Dei primi, i Cherubini, parla la stessaBibbia, nel verso conclusivo del più voltecitato capitolo 3 del Genesi:

2 2 ) Ecco, l’uomo è diventato comeuno di noi, in quanto conosce il bene e ilmale; è da evitare ora che stenda la mano,prenda anche dell’albero della vita, nemangi e viva in perpetuo.

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In un solo caso si parla di due voltimaturi: uno dei due cherubini era nienteme-no che Metatron a cui si accoppia un altro

angelo detto Sandalphon, dalgreco s y n a d e l p h o s c h esignifica “confratello” e cheè uno degli angeli più alti.

Entrambi sono nomi che ilcredente non osa pro-nunciare, al pari delNome divino, sosti-

tuendoli con “Mem-Teth-Teth” e “Sandal”.Con questi due angeli

siamo a livelli elevatissimi,tanto che vengono anche

chiamati il “Ministro del Vol-to” e il “Ministro della Nuca”, ed essi rap-presentano proprio il confine tra il mondoangelico e quello divino.

Per completare la letteratura di riferi-mento dobbiamo ora citare un altro impor-tantissimo testo: la visione di E z e c h i e l e,(cap.1) dove i cherubini sono quattro crea-ture viventi, come quelle dell’Apocalisse(4: 6-8). I simboli dell’uomo, del leone, deltoro e dell’aquila sono di origine babilone-se e rappresentano le quattro divinità prin-cipali che presiedono ai quattro “canti dellaterra”.

In Ezechiele, la collocazione dei Cheru-b i n i è in un luogo celeste, posto al di sottodel Trono di Dio:

( 2 2 ) Sopra le teste delle chajjoth[esseri viventi] appariva come uno stratoimpressionante di ghiaccio che si stende -va proprio al di sopra delle loro teste.

(23) Sotto lo strato erano ritte le loro

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2 3 ) Il Signore Dio allora lo mandòvia dal giardino di Eden, affinché colti -vasse la terra da cui era stato tratto.

2 4 ) Scacciato l’uomo, collocò a orien -te del giardino di Eden i Cherubiniche roteavano la spada fiammeg -giante per custodire la via che porta -va all’albero della vita.

A questo discorso pos-siamo aggiungere cheincontriamo i Cherubinianche in un altro luogo: sull’Ar-ca dell’Alleanza, quella “cassa”(m.1,25 x 0,75 x 0,75) di legno d’a-cacia ricoperta d’oro, costruita percontenere le Tavole della testimo-nianza. Sul coperchio d’oro fuso si trovava-no, infatti, due statue di cherubini con le aliincrociate.

Anche qui i cherubini appaiono nel loroaspetto benefico di “guardiani della soglia”cui è demandato il compito di “custodire”cioè non solo di conservare, come è nelsignificato letterale, ma anche di evitare chequesta via di accesso possa essere perduta oguastata.

Q r u b i m (il loro nome in ebraico è qua-si lo stesso che in italiano) deriva dallar a d i c e q a r u v (chet-resh-vav-vet) moltod i fficile da capire; infatti, non si trova innessuna parola ebraica, ma soltanto nellaparola “cherubini”.

I Maestri fanno risalire questa parolaall’aramaico dove indicherebbe giovane obambino. Infatti – anche se le opinioni nonsono univoche – i cherubini che erano sul-l’Arca avevano il volto di bambini, talvoltasi parla addirittura di un volto maschile euno femminile, sempre infantili.

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ali, l’una presso l’altra; ciascuno di lorone aveva altre due che coprivano il corpo.( 2 4 ) Udii il rumore delle ali quandoprocedevano: era come lo scroscio digrandi masse d’acque, come fragorosotuono divino, come il fragore di unesercito accampato. E quando sifermavano, ripiegavano leloro ali. ( 2 5 ) Una voce sipercepiva sopra lo stratoche sovrastava le loro testeallorché si fermavano e ripiegavanole loro ali. ( 2 6 ) Al di s o p r a dello stra -to che era sulle loro teste a p p a r i v auna specie di pietra a forma di t r o -n o, e sopra questa specie di trono,come una sembianza dall’aspetto umano,in alto. ( 2 7 ) Vidi un fulgore come dichashmal avvolto come in una sembian -za di fuoco che lo attorniava: ciò dal pun -to che sembrava essere dai lombi in su;invece dal punto che sembrava essere dailombi in giù vidi come un fuoco cinto displendente luminosità. ( 2 8 ) Come l’a -spetto dell’arcobaleno che è nella nube inun giorno di pioggia tale era l’aspettodella luminosità tutt’intorno: era l’aspet -to dell’immagine della gloria del Signore.

Ezechiele avverte tutta la inadeguatezzadel linguaggio umano tanto che per non tra-dire la sua visione deve ricorrere a una ric-chezza di particolari che d’altra parte locostringono a una attenzione unica per evi-tare materializzazioni della Divinità, che leparole in grassetto (s o p r a, a p p a r i v a e t ro-n o) collocano al di sopra delle creaturecelesti.

Il canto di lode dei Cherubini è:

Benedetta la gloria del Signore dalluogo della sua dimora. (3,12)

Passiamo ora all’altra categoria di ange-li, i Serafini, (dalla radicesaraf “bruciare”, e che quin-di, evidentemente, brucianocoloro che si avvicinano

troppo, là dove non è loroconsentito).

Al contrario deiCherubini, i Serafi-

ni – come abbiamo giàaccennato – sono molto

misteriosi e vengono menzio-nati soltanto una volta in tut-ta la Bibbia, nella visione del

profeta Isaia (6,1):

Nell’anno della morte del re Uzzja[re di Giuda] vidi il Signore seduto su unseggio alto ed elevato, e i lembi del suoabito ricoprivano il Santuario. Al disopra a lui stavano in piedi i Serafini,ognuno dei quali aveva sei ali; con due sicopriva la faccia, con due si copriva legambe e con due volava. E l’uno rivoltoall’altro proclamava:Santo, santo, santo è il Signore Tsevaoth Tutta la terra è piena della sua gloria.

Ciò premesso, cerchiamo di cogliere gliaspetti differenziali fra le due categorieangeliche.

Tutto quello che sappiamo, e in veritànon è tanto, anche se è fondamentale,riguarda il luogo dove essi si trovano e lafrase di lode che indirizzano al Creatore.

I Cherubini, ripetiamolo, si trovano sot-to il Trono di Dio e dicono: Benedetta lagloria del Signore dal luogo della suad i m o r a .

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I Serafini invece sono incredibilmente“al di sopra del trono” e dicono: Santo, san -to, santo è il Signore degli eserciti. Tutta laterra è piena della sua gloria.

Esaminiamo ora separata-mente le due situazioni.

I Cherubini dalla loroposizione non possono checogliere l’aspetto “supe-riore”: il Creatore, il divi-no, i piani e i livelli diversi,la separazione, in una il tra-scendente di cui, benedicendo,cantano la gloria nella sua inacces-sibile dimora.

In altri termini, ancora più simbolici, iCherubini sono gli angeli che portano ilmessaggio tradizionale della religione: Dioha creato il mondo e l’essere umano, e haposto delle regole specifiche, sia naturaliche etiche. L’essenza di Dio rimane remota,superiore, e qui in terra gli esseri umanidevono confrontarsi con la scelta continuafra “bene - male”, “permesso - proibito”,“puro - impuro”, “lecito - illecito”, “benedi-zione - maledizione”, “premio - punizione”.Se la scelta è sbagliata scatta il castigo.

I Serafini, misteriosi già nella loro natu-ra, con un presentatore d’eccezionaleimportanza qual è Isaia, che non a caso né atorto, dopo Mosè, è considerato il più gran-de di tutti i profeti, collocati in un punto diosservazione assolutamente particolare,dopo aver santificato il Signore degli eser-citi, riempiono la Terra, tutta la Terra, dellagloria del Signore. Tutte le preghiere, tuttele liturgie più importanti, ebraiche o cristia-

ne, ribadiranno con forza questa Presenza. L’ebreo credente, puntualmente e sin dal-

le prime parole dello Shmà Israel(Ascolta Israele), la più

importante professione difede, sarà accorto a dichia-

rare: Tutta la terra è pie -na della sua gloria.

Ma non basta.Nel canto di lode si

dichiara una “triplicesantità” che non può

essere solo rafforzativa eriferita unicamente al

“Signore degli eserciti”, lacui santità certamente non

abbisogna né di essere quantificata e né qua-lificata essendo unica e incommensurabile.Resta quindi il problema della comprensio-ne e dell’interpretazione dell’espressione.

Sull’importanza della “triplicità” inCabalà non possiamo dubitare.

Tre i pilastri dell’Albero della Vita, tre ledimensioni del Libro della Formazione, ilpiù antico testo cabalistico, Mondo, cioèSpazio, Anno, cioè tempo e Anima, cioèumana consapevolezza. Noi stessi, poco fa,nel Giardino dell’Eden ci siamo trovati alleprese con una storia che necessitava di unatriplicità di soggetti: il Serpente, l’Uomo(nel suo aspetto bipolare) e Dio.

Ciò premesso sembrerebbe che la tripli-cità è spesso un tutt’uno organico, pur sevariegato. Così appare anche la “triplicità”del Giardino, per la quale non ci sentiamodi escludere dalla radice della santità nessu-no dei tre poli.

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Infatti sulla santità di Dio non è dato dis-cutere. Ma se è parte di una triplicità parti-colare, posta in un luogo altrettanto partico-lare, da cui ha inizio la storia di tut-te le storie, i giudizi e le pene, levirtù e i loro opposti e qualun-que altro valore, che ne èdegli altri due “protagoni-sti” della storia?

Credo che non abbia-mo molte scelte: n e l l ’ a f f e r -mazione-lode dei Serafinidobbiamo cogliere una certezza:ognuno dei tre poli di questa tri -plicità è Santo.

Dunque, è santo il pilastro sinistro del-l’Albero della Vita, solitamente legato agliaspetti negativi dell’esistenza; è santo ilmondo, anzi i mondi, che pure hannodistrutto l’Unità con la loro molteplicità; einfine, come e perché escludere il Serpentedalla radice della santità?

Mi rendo conto che l’affermazione piùche coraggiosa è insolita, ma dobbiamo direche è valida solo in virtù del punto di osser-vazione della realtà che è vista dall’alto (iSerafini si trovano al di sopra del trono).

Evidentemente quel che possiamo dire,per sminuire le affermazioni ove risultasse-ro eccessive, è che non si tratta però dieguali livelli di santità. La frase va letta epenetrata con attenzione. Nella lingua ebrai-ca non vi sono vocali, ma solo consonanti enon vi è nemmeno punteggiatura tanto chela Scrittura potrebbe essere considerataun’unica espressione, quasi una sola parola.

Ora Santo, santo santo — Qadosh,qadosh qadosh necessariamente, e non soloda un punto di vista grammaticale, compor-ta dei punti di “separazione”. Infatti se il

primo “Santo” è Dio stesso, dobbiamoseparare gli altri livelli di santità.

Dato che l’etimologia del lemma per“santo” in ebraico corrisponde

alla parola “separato”, ne deri-va che la prima santità lo èancora di più della seconda e

della terza. Inoltre, laseconda e la terza santi-tà, essendo diverse dalla

prima, formano quasi un“gruppo” a sé.Riassumendo, il primo

Santo è Dio stesso: il Creato-re, il Separato che non viene

influenzato dagli avvenimenti delmondo. Il secondo santo è l’Uomo — Ada-mo ed Eva — il terzo è il Serpente.

D’altra parte, al di là dell’aff e r m a z i o n eche noi stessi abbiamo definito “insolita”,non dobbiamo dimenticare che non è pro-prio una novità assoluta: infatti, nell’anticoOriente si attribuivano al serpente poterimisteriosi e soprannaturali e lo si adoravasotto forma di una immagine di rame.

Anche gli Ebrei nei periodi di supersti-zione e di idolatria adorarono questa imma-gine (nechàsh nechosheth – “immagine dirame”, I Re 18:4), forse ritenendola capacedi guarire i malati.

Il racconto di Num. 21 (6-9) confutatale superstiziosa credenza: la guarigione ela salvezza vengono soltanto dall’Eterno.Il serpente di rame (nechàsh nechosheth,Num 21:8 s) che Mosè innalzò nel deserto,secondo l’esegesi rabbinica è appunto uns e g n o che invita a levare lo sguardo all’E-t e r n o .

Ma, certo è che, quanto meno anch’egliè una creatura di Dio che sostanzialmente,

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come dice la Cabalà, nella storia che ci inte-ressa svolge una missione d i v i n a m e n t evoluta e, nel nostro tema, è un “messagge-ro”, cioè un angelo che porta con sé un mes-saggio di Dio.

Non possiamo però passaresotto silenzio il suo “zelo”eccessivo nel portare a terminela missione alla qualeaggiunge decisamente delsuo per rendere la prova diAdamo ed Eva estrema-mente difficoltosa.

D’altra parte però è veroche Adamo ed Eva scelgono ilconsiglio del Serpente, ma checosa avrebbero potuto fare di diverso?La loro è quanto meno una scelta verso unqualcosa che appariva senz’altro moltoincoraggiante e positivo. Il consiglio delSerpente viene dato in termini tali che estra-pola il positivo, come si direbbe oggi vienedato in termini di “pensiero positivo”. IlSerpente dice: Non morirete […], vi si apri -ranno gli occhi […], diventerete come Dio.Dio invece si esprime in termini che lamoderna psicologia leggerebbe come nega-tivi, legati a paure, proibizioni, repressioni:Non mangiare […] nel giorno in cui nemangerai certamente morirai.

La frase dei Serafini ritorna a esserechiarificatrice se non rivelativa. Il fatto cheil secondo e il terzo “santo” si trovano insie-me dall’altra parte, separati dal primo, mauniti nello stesso gruppo, corrisponde per-fettamente a quanto avviene nel giardino.

È giunto ora il momento di concluderecon i Serafini i quali, dopo quanto abbiamodetto dei Cherubini, l’altra categoria angeli-

ca di cui ci stiamo occupando, rappresenta-no l’aspetto immanente del divino, cioè diquell’aspetto presente in ogni cosa creata,anche nelle più basse, dunque anche nelSerpente, o meglio, soprattutto nel Serpen-

te. Infatti esiste addirittura una strettacorrelazione linguistica tra il nome

dei Serafini e uno dei nomi bibli-ci del serpente. Al singolare

Serafini diventa “Saraf” (SinResh Pe) che potremmo scri-vere con l’iniziale maiuscola,

per distinguerlo dal termine“saraf” con l’iniziale minuscola,

che significa “serpente veleno-so”, “serpente il cui morso brucia”.Nei Serafini possiamo distinguere

un duplice aspetto. Da prima attestano lapresenza divina e la santità in ogni cosa. Èpossibile conoscere e sperimentare Dioanche nelle cose terrene, perfino in quelleproibite.

In seconda e più profonda istanza iSerafini sono i maestri dell’esoterismo, del-le scienze occulte, degli aspetti più ripostidella spiritualità, spesso anche in contrad-dizione con gli insegnamenti rivelati deiCherubini.

I Serafini sono dinamici e, nel vivere ericercare l’immanenza, scendono anche aldi sotto dei Cherubini, perfino al di sottodell’essere umano. Scendono o cadono finoai livelli più bassi della creazione, fino alregno del male al punto di assomigliare adei serpenti velenosi. Qui il loro consigliopuò diventare ambiguo. Arrivano perfino asuggerire la trasgressione pur di individua-re una via per giungere al Bene Assoluto, unmezzo per percepirlo e contattarlo in ogni

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situazione. È un consiglio pericoloso chepuò anche andare oltre quanto voluto odesiderato. Ma d’altra parte se Pro-meteo non trasgredisce e non ruba ilfuoco agli dei, la realizzazione ela conquista non saranno facil-mente raggiungibili. Non a tortoQualcuno ha detto a chiare lettereche il regno dei cieli è dei violenti.

Quindi, anche se sfioreranno momentinegativi e pericolosi, in virtù della

loro origine elevata, i Serafiniscesi (o “caduti”) diventati s r a -

f i m (“serpenti velenosi”)metteranno le ali e torneran-no a volare per ritornare ai

loro luoghi superni, al disopra a lui.

Bibliografia essenziale

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Laicità e moralità

di Piero CapelliUniversità di Venezia

Is a secular ethics possible? Is moral action feasible on a non-religious basis? Thesequestions were reopened in Italy at the Ecclesiastical Conference in Verona (Octo -ber, 2006), especially by the speeches delivered by Benedict XVI and Cardinal Rui -ni. They are also addressed in a recent book by E. Lecaldano, Un’etica senza Dio(2006). In this article, I argue that an “ethics without God” possesses the followingadvantages over a religiously based ethics: 1. it is more easily adaptable to changesin the human condition throughout history; 2. it is based on comparison and nego -tiation between the values of different social and political groups (including reli -gious and secular ones), which itself constitutes the only non-negotiable presuppo -sition of such an ethics; 3. it is not based on a metaphysics rooted in either revela -tion or tradition. The “cultural and moral growth of Italy” and “educational ela-boration and formation of consciences” encouraged by the the Catholic Church, Imaintain, are also the core of any possible secular ethics. While religious and secu -lar ethics differ in their foundations, they do not necessarily diverge in their aims.

1. Un’etica laica nell’Italia di oggi?

siste un’etica laica? Si puòcostruire una teoria e una pras-si dell’agire morale anche pre-

scindendo da un fondamento religioso? InItalia la discussione su questo tema è statavivace soprattutto nell’ultimo quindicen-nio – a partire, in pratica, da quando il par-tito cattolico si è frammentato e i suoispezzoni hanno cominciato ad accasarsicon le parti politiche più affini a ciascuno,sia a destra sia a sinistra, sforzandosi di

evitare che ciò comportasse il capovolgi-mento o il mutamento radicale della loro“identità” cattolica.

Qui intendo presentare qualche punto disintesi filosofica sulla discussione di questianni. Me ne forniscono l’occasione un librorecente, Un’etica senza Dio di EugenioLecaldano1, e alcune dichiarazioni fatte dalPapa Benedetto XVI e dal Cardinale Camil-lo Ruini durante il IV Convegno EcclesialeNazionale tenuto a Verona dal 16 al 20 otto-bre 2006. Lo stato della questione è benpresentato da Lecaldano in questi termini:

1 Lecaldano 2006.

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Nel dibattito pubblico, sia in Italiasia in altri paesi del mondo occidentale(gli Stati Uniti di Bush, adesempio), ha ripreso acircolare un’idea: che l’e -tica sia possibile solo percoloro che credono inDio e, in generale, percoloro che aprono le lorovite alla religione e altrascendente. Solo l’ac -cettazione di un taleorizzonte eviterebbe ildeclino della civiltà occi -dentale, in quanto taleorizzonte è l’unico chepuò conferire ai valorimorali l’autorevolezza ela forza di cui necessitano,pena la deriva nichilista e relativista.[…] Ma se la certezza e l’assolutezza ditali valori discendono direttamente daDio e dalla natura, allora diventa ovvioper coloro che sostengono questa idearichiedere con forza e senza tregua chenon solo la vita privata delle persone siaispirata a tali valori discrezionalmente,ma che siano le leggi dello Stato a impor -li a tutti i cittadini, anche attraversosanzioni giuridiche2.

2. L’etica laica si evolve con i tempi

Nell’omelia tenuta durante la concele-brazione eucaristica del convegno di Ve r o-

na, proprio nella parte finale dove si vuoleche il messaggio dottrinale abbia la riso-

nanza più persuasiva euniversale, BenedettoXVI ha predicato:

In un mondoche cambia, il Va n-gelo non muta. L aBuona Notizia restasempre la stessa: Cri -sto è morto ed èrisorto per la nostrasalvezza! Nel suonome recate a tuttil’annuncio della con -versione e del perdo -no dei peccati, ma

date voi per primi testimonianza di unavita convertita e perdonata3.

Il contenuto qui espresso è l’annunziocristiano stesso – il k é r y g m a – nella sua for-ma più fondamentale. Se sia lecito e possi-bile fondare una dottrina sociale e una pras-si politica sulla sola base di questo k é r y g -m a, è questione dibattuta da secoli4. Perso-nalmente credo di no: fu proprio per ovvia-re a questa impossibilità che la Chiesa delleorigini non assunse come Sacra Scritturarivelata soltanto i Vangeli, ma anche le let-tere di Paolo e degli altri autori che furonoper questo accolti nel canone del NuovoTestamento.

2 Lecaldano, 2006: VIII-IX.3 L’omelia del Papa è pubblicata sul sito ufficiale del convegno di Verona, http://www. d b . c o n v e-g n o v e r o n a . i t / c o n v e g n o v e r o n a / s 2 m a g a z i n e / m o d u l i / M O D U L O _ V I D E O / f i l e s / 2 7 _ 2 5 3 0 / a l l e g a t i / a l l e g a-to_27_2530.pdf, da cui ho tratto la citazione.4 Vedi per es. il classico studio di Troeltsch 1912.

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Ma dal I secolo al XXI di acqua sotto iponti ne è passata parecchia, e anche se siprende a fondamento tutto il Nuovo Te s t a-mento nel suo insieme, è difficilissimo tro-varvi risposte agli interroga-tivi sociali e politici di oggi:la fecondazione assistita, ipatti di convivenza e i matri-moni gay, il dilemma traaccanimento terapeutico edeutanasia, il degrado del-l’ambiente, sono problemiineludibili di o g g i, e non loerano all’epoca delle originicristiane.

Una prima conclusioneè, quindi, che l’etica laica –u n a etica laica – è, rispetto all’e-tica religiosa, più al passo con i tempi checambiano: un passo che non possiamo arre-stare, perché sono le nostre vite stesse aimprimerlo. Quando la Chiesa cattolicaprende posizione sulle questioni odierneche afferiscono all’etica sessuale e familia-re (matrimonio o convivenza, unioni civiliomosessuali e così via), lo fa a partire daquella parte della Scrittura che contiene ladottrina sociale della Chiesa primitiva. E diquesta la predicazione di Gesù fa parte soloin senso lato. Ad esempio, la predicazionepersonale di Gesù in materia di etica ses-suale e familiare fu molto reticente: le sueparole esplicite comprendono soltanto la

condanna del desiderio adulterino e delleseconde nozze (Matteo 5,27-32; 19,3-12) eil “Va’ e non peccare più” con il quale con-gedò l’adultera (Giovanni 8,11)5.

3. L’etica laica

Nel discorso con cui haconcluso il convegno diVerona, il Cardinale Ruini,presidente della ConferenzaEpiscopale Italiana, ha fattopresente la distinzione tra ildiscernimento rivolto diret -tamente all’azione politica oinvece all’elaborazione cul -turale e alla formazione del -

le coscienze6. Tornerò più avan-ti su quest’ultimo tema. Qui per ora mi limi-to a un distinguo: mentre la Chiesa cattolicaparla di formazione m o r a l e degli individui apartire dai v a l o r i, l’etica laica – o ancora,u n a etica laica – parla piuttosto di forma-zione c r i t i c a degli individui a partire dalc o n f r o n t o e dal n e g o z i a t o: questo confron-to e questo negoziato si estendono anche aivalori.

Al proposito, torna alla memoria il tito-lo stesso del discorso tenuto da BenedettoXVI ai parlamentari del Partito PopolareEuropeo riuniti a Roma il 30 marzo 2006:Vita, famiglia, educazione: tre “valori nonn e g o z i a b i l i ”7. Nel discorso il Papa parlava

5 Si ricordi anche il perdono alla prostituta (Luca 7,39-50). Vedi Capelli, 2003: 87-89.6 Il discorso è consultabile all’indirizzo http://www.chiesacattolica.it/cci_new/news_images/2006-10/20/Ruini2_def.doc. 7 Cito il discorso dal numero dell’Osservatore romano del 31 marzo 2006 (pag. 4), reperibile in retealla pagina http://www.pugliafamiglia.it/public/Vita%20e%20famiglia.pdf.

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di tutela e promozione della dignità d e l l ap e r s o n a e applicava questi concetti 1) alladifesa della vita dal primomomento del concepimentofino alla morte naturale, 2)al riconoscimento e promo -zione della struttura natura -le della famiglia e 3) alladifesa del diritto dei genito -ri di educare i propri figli.

Ai tre punti stabiliti dalPapa si possono contrappor-re tre osservazioni.

Quale “dignità” vi è inuna vita-in-morte mantenutaper accanimento tecnologi-co, quando ogni prospettivarealmente terapeutica sia esaurita?

Perché la sola struttura naturale dellafamiglia è necessariamente quella monoga-mica eterosessuale? Anche limitatamentealle religioni monoteistiche abramitiche (equindi tralasciando per pura brevità la que-stione dei matrimoni gay), l’istituzione del-la monogamia non si è affermata in manie-ra assoluta nell’Islam, e anche nell’Ebrai-smo ha vita relativamente recente (la poli-gamia fu resa formalmente impraticabilesoltanto da una decisione rabbinica non fon-data sulla Scrittura e formulata intorno al1000 d.C.)8. E nella storia stessa della Cri-stianità vi è evidenza secolare di istituzionialternative. Molti storici, per esempio, riten-gono che fino a tutto il medioevo la struttu-ra familiare più comune nell’Europa cristia-

na fosse quella non nucleare o “multipla”,che comprendeva anche la servitù o i

discendenti dei fratelli (comenella z a d r u g a serba). Il sen-timento dell’appartenenzafamigliare, e quell’aff e t t i v i-tà che prima era più larg a-mente distribuita nello spa-zio sociale, hanno comincia-to a venire circoscritti allasola famiglia nucleare (lacoppia dei genitori e i lorofigli) soltanto a partire dalXVII secolo9.

È del tutto legittimo che ibambini di famiglie cattoli-

che ricevano un’educazionecattolica, ma è discutibile se debbano aver-la in scuole pubbliche finanziate da contri-buenti riformati, ortodossi, ebrei, musulma-ni o non religiosi. Ciò, a maggior ragione,in un momento in cui la coperta finanziariadello Stato diventa sempre più corta, e perdare alle scuole cattoliche bisogna necessa-riamente togliere a quelle pubbliche.

È importante osservare che, come la dot-trina sociale della Chiesa, così neppure que-sti valori non negoziabili sono verità difede. Il Papa medesimo lo ha ammesso nelsuo discorso:

Questi principi non sono verità difede anche se ricevono ulteriore luce econferma dalla fede. Essi sono iscrittinella natura umana stessa e quindi sonocomuni a tutta l’umanità.

8 Sull’argomento vedi il romanzo di Yehoshua 1998.9 Vedi Laslett e Wall 1972; Ariès 1960; Solinas, 1996: 193-198.

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Ma di nuovo mi sia permesso citare laliceità della poligamia per i musulmani eper gli ebrei dell’antichità edell’alto medioevo, o l’e-tica del suicidio secondole società pagane classi-che o quella giapponese, oancora la discussione, tut-tora aperta e ormai seco-lare, se l’omosessualitàsia un dato culturale (equindi, per una certa pro-spettiva, un vizio da con-dannare) o un fatto etolo-gicamente ben attestato innatura. Proprio in quanton o n sono comuni a tuttal ’ u m a n i t à, né nello spa-zio né nella storia, i prin-cìpi o valori elencati dalPapa dovrebbero tanto più essere soggetti alconfronto e al negoziato con chi è all’ester-no della Chiesa.

Su questa seconda conclusione, la Chie-sa cattolica e i cosiddetti “atei devoti” sonoancora piuttosto distanti. Il discorso diBenedetto XVI al convegno di Ve r o n a1 0

contiene dapprima un’apertura al laicatonon cattolico (Occorre aprirsi con fiducia anuovi rapporti, non trascurare alcuna delleenergie che possono contribuire alla cresci -ta culturale e morale dell’Italia), ma imme-diatamente dopo ribadisce il presuppostometafisico e metastorico, non negoziabile,

della proposta culturale e morale dellaChiesa cattolica: Tocca a noi infatti – non

con le nostre povere risorse,ma con la forza che vienedallo Spirito Santo – d a r erisposte positive e convin -centi alle attese e agli inter -rogativi della nostra gente.

Non che la cultura laicanon abbia la capacità direplicare con arg o m e n t ialtrettanto autoritari. Uno deisuoi padri nobili viventi, ilsociologo tedesco Ralf Dah-rendorf, conclude un suoarticolo recente con unadichiarazione identica, negliaccenti e nel contenuto, aquella di Benedetto XVI:

Le conquiste dell’Illuminismo sonotroppo preziose per essere trasformate invalori negoziabili. Oggi il nostro compi -to è batterci per la loro difesa11.

Questo tipo di linguaggio mi sembra, insostanza, proclive all’estremismo. Non ètroppo distante – se non altro nei modi –neppure da quello usato dal Cardinale Ruinia Verona, quando ha definito la missione cat-tolica nell’Italia di oggi con queste parole:

Non basta [...] attendere la gente,ma occorre a n d a re a loro e soprattuttoe n t r a renella loro vita concreta e quoti -

10 Cito dal sito http://www. d b . c o n v e g n o v e r o n a . i t / c o n v e g n o v e r o n a / s 2 m a g a z i n e / m o d u l i / M O D U-LO_VIDEO/files/26_2530/allegati/allegato_26_2530.pdf.11 Dahrendorf 2006 (cito dal sito http://www.italialaica.it/cgi-bin/news/view.pl?id=006314).

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• 32 •

diana, comprese le case in cui abitano, iluoghi in cui lavorano, i linguaggi cheadoperano, l’atmosfera culturale cherespirano.

Così si rappresentaun atteggiamento so-stanzialmente aggres-sivo, un missionari-smo onnipervasivoche parla un linguag-gio di invasione piùche di persuasione.Per la predicazione,così come per il dibat-tito, vi sono spazi piùopportuni che non lacasa e il luogo dilavoro.

Dove trovare unpunto di equilibrio e dicontatto tra i valori “non negoziabili”aggressivamente predicati dal Papa e quellialtrettanto aggressivamente difesi da Dah-rendorf? Proprio nel negoziato in sé qualeprincipio non negoziabile: concordandoquindi non su un “valore” né su un’“ideolo-gia” (termini, oltretutto, in sé troppo carichidi risonanze metafisiche e sovrumane), masu un metodo di confronto. Un metodo chepermette di negare a priori qualsiasi legitti-mità a qualsiasi prassi di affermazione divalori che muova attraverso l’aggressività ela violenza. Ed è un principio importanteper tempi in cui l’aggressività e la violenzanon sono soltanto verbali.

4. L’etica laica è autonoma

L’etica laica, dunque, individua i propriprincìpi attraverso il confronto e il negozia-

to – che sono già essi stessidei princìpi. L’etica religio-sa trova invece i propriprincìpi nella Rivelazione enella Tradizione, e princi-palmente nella prospettiva(oggi più viva nel mondoprotestante che in quellocattolico) di un aldilà in cuivengono retribuiti il bene oil male compiuti in questavita. Riprendendo l’opposi-zione formulata da Kant,diciamo che l’etica laica èautonoma, mentre quellareligiosa è eteronoma.

Già i grandi razionalistied empiristi del XVIII secolo e oltre, daHume a Mill e altri ancora, avevano osser-vato che la vita morale non può essere rettadalla paura della sanzione o dalla brama delpremio, ma può essere piena, a d u l t a, s o l ose è disinteressata e non mossa da motiviegoistici. La virtù è, deve essere, premio a ses t e s s a1 2. Questo assunto era vero già per lamorale antica; ma, ad esempio, anche nellareligione ebraica la prospettiva oltremonda-na dell’azione morale è di rilevanza incom-mensurabilmente più scarsa rispetto all’ob-bligo che essa costituisce in questa vita.

Non è certo a un’etica autonoma, però,che si riferiva l’allora Cardinale Ratzinger

12 Cfr. Lecaldano, 2006: 22.

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nell’omelia che tenne a Subiaco il 1° aprile2005 e che il Cardinale Ruini ha estesamen-te citato nel suo discorso di Verona: A b b i a -mo bisogno di uomini che tengano lo sguar -do dritto verso Dio, imparandoda lì la vera umanità. Come sipuò – si interroga un laico –apprendere l’umanità da chi perdefinizione è sovrumano? Unarisposta teologica potrebbeessere che Dio si fece uomo inGesù Cristo, ma a questo dog-ma il Cardinale Ruini non hafatto qui riferimento. Fortunata-mente, il prosieguo del discorsodi Ratzinger citato da Ruinisuona più comprensibile perl’orecchio di un laico: A b b i a m obisogno di uomini il cui intel -letto sia illuminato dalla luce diDio e a cui Dio apra il cuore, inmodo che il loro intelletto possa parlareall’intelletto degli altri e il loro cuore possaaprire il cuore degli altri. Il confronto traetica religiosa ed etica laica può prendere omeno le mosse dalla Rivelazione, ma d e v epassare attraverso la persuasione intellet-tuale. In questo le parole del futuro Papatrovano una risonanza significativa conquelle, quintessenzialmente laiche direi, chealla fine degli anni Cinquanta formulaval’intellettuale liberale americano John Wi l-liam Ward:

Non si può negare a nessuno la con -solazione di una fede a cui si è giunti

attraverso una rivelazione o un’intuizio -ne particolari, o richiamandosi a una tra -dizione o a qualsiasi altra autorità supe -riore alla propria intelligenza. Ma se sivuole che altri condividano questa conso -

lazione, si devono fornire ragio -ni che muovano l’intelletto13.

Quale che sia la prospettivaetica in cui ci si pone, mondanaod oltremondana, è sui fini chei laici e i religiosi possono agirefianco a fianco. Questo assuntopuò essere un ulteriore punto dicontatto tra etiche religiose edetiche laiche. Per esempio, è inun testo religioso ebraico dellatarda antichità che al rabbinoAntigono di Sokho (II sec.a . e . v.) vengono attribuite questeparole “laiche”:

Non siate come gli schiavi che servo -no il padrone a condizione di riceverecompenso; siate invece come gli schiaviche servono il padrone non a condizionedi ricevere compenso.

Pirqe Avot 1,3

Non diversamente, nella sostanza, siesprime il personaggio del medico ateo nelromanzo La peste d i Albert Camus. Qui ilmedico e un prete cattolico sono rappresen-tati al capezzale di un bambino morente.Dopo aver entrambi constatato l’inutilitàdei propri sforzi, i due si scontrano sulsignificato metafisico della sofferenza degli

13 Ward, 1959: 539.

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• 34 •

innocenti, ma convengono sulla necessità dicontinuare a impegnarsi entrambi per evi-tarla o lenirla: Noi lavoriamoper qualcosa che riunisceoltre le bestemmie e le pre -ghiere, dice il medico al pre-te: Dio stesso ora non ci puòseparare14.

Oggi le parole del medi-co di Camus suonano forsemeno impressionanti e toc-canti di quando venneroscritte: cioè nell’Europadivisa in due blocchi, più diquindici anni prima dell’a-pertura della Chiesa al laica-to che fu promossa dal Con-cilio Vaticano II. Ma il valore della frase èrimasto lo stesso. Religione e laicità lottanoentrambe contro le medesime emergenze: laschiavitù del dolore e del bisogno, la perse-cuzione totalitaria, il degrado dell’habitatdell’uomo e quello, non meno grave, dellasua coscienza. In Italia, oggi, di fianco alletto di un malato terminale, i laici, i catto-lici e gli altri cristiani esprimono sul da far-si un ventaglio di posizioni che andrebberomesse a confronto e sottoposte al vaglio delnegoziato e/o del voto. Ma i fronti su cuiessi possono lottare insieme sono comun-que tanti. E questo è uno dei contenuti dicui si può utilmente riempire la scatolaspesso vuota su cui tanti si affannano adappiccicare di volta in volta l’etichetta di“teo-con” o di “ateismo devoto”.

5. L’etica e la “crescita culturale em o r a l e ”

Crescita culturale emorale dell’Italia è l’espres-sione usata dal Papa nel dis-corso tenuto a Verona, e dalui subito precisata con ilriferimento allo Spirito San-to quale motore di tale cre-scita. Sempre a Verona ilcardinale Ruini ha detto cheper i cattolici il coinvolgi-mento nell’azione politicadeve essere preceduto dal-l’impegno a l l ’ e l a b o r a z i o n e

culturale e alla formazionedelle coscienze; è di questa formazione,infatti, che la comunità cristiana può esserela sede propria e più conveniente.

Il riferimento del Papa allo Spirito San-to non è rilevante per chi non crede nelloSpirito Santo, e anche alle parole del Cardi-nale Ruini sembra sottostare il pregiudizioche non possa esservi vera formazione del-le coscienze se non entro la comunità cri-stiana. Anche su questi punti permane unagrande distanza tra morale cattolica e mora-le laica. Ma le idee di crescita culturale emorale dell’Italia e di elaborazione cultura -le e formazione delle coscienze sono del tut-to condivisibili anche per i laici: e anzi,secondo me, sono il cuore di ogni possibileetica laica, sia al livello dell’individuo, sia aquello della collettività. La crescita intellet-

14 Camus, 1979: 169.

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tuale e culturale e quella morale sono paral-lele, e la prima è una condizione dellaseconda.

Ora, le coscienze non si formano né cre-scono s o l t a n t o g r a z i eallo Spirito Santo otramite il confrontocon le fonti dellaRivelazione e dellaTradizione cristiana.Vanno studiati econosciuti anche iclassici del razionali-smo moderno: Hob-bes, Spinoza, Hume,Kant, Mill, ma ancheDarwin, Marx eFreud. Non bastanogli articoli di quoti-diani e rotocalchi o glispecial televisivi per acquisire cognizioni dicausa sufficienti ad affrontare, ad esempio,il dibattito su evoluzionismo e creazionismo(l’intelligent design) che è vivo nella scuo-la americana e che l’ex ministro Moratti hatentato di importare anche in quella italiana.E quanto desolanti e piene di insensata suf-ficienza sono state, solo pochi anni fa, levolgarizzazioni di Marx e di Freud sciori-nate dai media italiani in occasione dellacaduta del Muro o del centenario dell’I n t e r -pretazione dei sogni. Davvero, nella culturacomune del nostro Paese – e forse dell’Oc-cidente – vi è sempre meno spazio per il

rapporto diretto con le fonti stesse dellanostra cultura moderna15.

Questo, invece, è un rapporto cheandrebbe sistematicamente recuperato.

Innanzitutto perché èforse il migliorevaccino contro if o n d a m e n t a l i s m i ,sia religiosi sia atei-sti, sia di destra siadi sinistra. E insecondo luogo per-ché la conoscenzadelle proprie radiciculturali permettedi accostarsi all’a-nalogo (e ugual-mente doveroso)studio delle fonti

delle altre culture,avendo consapevolezza dello spessore edelle acquisizioni della propria: evitandocosì, per esempio, di diventare filoislamici– o direttamente musulmani – per puro odiodi sé antioccidentale.

Nella scuola pubblica d’antan li si inse-gnava, quei classici; o per lo meno – quan-do mancava il tempo per finire il program-ma dell’anno della maturità – si fornivano ipresupposti e gli stimoli perché i giovani lileggessero per conto proprio. Ma quantospazio trovano, o troverebbero, nei pro-grammi delle scuole cattoliche, ancorchéfinanziate dal denaro pubblico?

15 Cfr. Lecaldano, 2006: 30-31.

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Riferimenti bibliografici

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ottobre.Laslett, P. e Wall, R. (1972) (a cura di) Household and Family in Past Time, Cambridge University

Press, Cambridge.Lecaldano, E. (2006) Un’etica senza Dio, Laterza, Roma-Bari.Solinas, P. (1996) La famiglia, in F. Braudel (a cura di) Il Mediterraneo. Lo spazio la storia gli

uomini le tradizioni, Bompiani, Milano.Troeltsch, E. (1912) Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, trad. it. di G. Sanna, La

Nuova Italia, Firenze.Ward, J.W. (1959) Mill, Marx, and Modern Individualism, in The Virginia Quarterly Review 35.Yehoshua, A.B. (1998) Viaggio alla fine del millennio, trad. it. di A. Shomroni, Einaudi, Torino.

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Fede filosofica

di Alfio FantinelSaggista

Inspired by Karl Jaspers, the Author presents his own philosophical faith. Focusingon some fundamental aspects of the philosophical thought and extracting short quo -tations from the texts of Jaspers, the contribution shows a progressive and gradualprocess of concrete expression: it starts from the concept of Absolute and reachesthat of Freedom. This is typical of a philosophical faith, as it can’t be so self-absorbedto forget those who live their own freedom in their everyday life.

questo è il paradosso della fedefilosofica. Se non riusciamo apensare l’Assoluto, non per

questo possiamo eliminare la volontà dipensarlo.

E, nemmeno, può intendersi come unaqualsivoglia, contingente volontà, quellache ci rende ineludibile il pensiero dell’As-soluto.

Nonostante la consapevolezza di nonsapere totalmente e di non essere assoluta-mente, non posso fare di questa consapevo-lezza né un sapere definitivo, né una fontedi rassegnata angoscia senza tradire, con ciòstesso, questa medesima consapevolezza.

È il paradosso per cui filosofare signifi-ca dover continuare a pensare/vivere l’As-soluto per evitare sia di cadere nel falsoassoluto di una definitiva rassegnazione, siadi incappare nello stesso falso assoluto diun illusorio possesso: devo continuare apensare e a parlare di Assoluto con l’in-quieta consapevolezza per cui non posso néperderlo né possederlo.

Ecco perché coerenza, serietà, sensatez-za del pensiero, qualora esso intenda porsicome un pensare radicale e senza pregiudi-zi, possono fondarsi solo nell’Assoluto.

Assoluto è l’ultima parola (ma per ciòstesso anche la prima) quando con esso si

Assoluto: Io non posso né pensare l’essere assoluto, né cessare di volerlo pensare1.

1 Jaspers, 1995: 132.

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intenda esprimere l’ineludibile e l’onni-comprensivo ambito in cui si pone ognipossibile radicale domandare e risponderein filosofia.

Se penso, e questo pensieronon è né la presuntuosa autopo-sizione (a u t o c t i s i g e n t i l i a n a )del mio stesso pensare, né l’esi-to casuale di una caotica ener-gia mentale, allora tale pensie-ro, nella sua coerente radicalità,deve trovare possibilità e sensosolo nell’ambito, non arbitra-riamente presupposto, nè pre-giudizialmente determinato,dell’Assoluto.

Positività originaria, cheprecede qualsivoglia negatività,e Uni-totalità onnicomprensiva,che comprende tutto ciò che è, si rivelano alpensiero come tracce di Assoluto.

Così come non potrei sensatamente pen-sare senza anteporre “una” assoluta P o s i t i -vità, allo stesso modo, non potrei coerente-mente pensare senza necessariamente con-siderare che s e n s o e c o m p i m e n t o di ognicosa, dal filo d’erba alla più grande galas-sia, non tralasciando certo di includere mestesso, possono trovarsi solo nell’idea delT u t t o; idea o, appunto, t r a c c i a che non pos-so fare a meno di pensare.

Tuttavia, pur sulla base dell’imprescin-dibilità di queste t r a c c e, non posso pensarel’Assoluto, se pensarlo significa ancheconoscerlo. E neanche posso farne un dog-ma religioso.

Per questo la fede filosofica si distinguedalla scienza, che pretenderebbe di cono-scere l’Assoluto, e dalla teologia, che inten-derebbe, invece, dogmatizzarlo.

• 38 •

Il pensiero filosofico dell’Assoluto,peraltro, è “fede” perché non è un pensierooggettivante, come quello scientifico.

Ed è “fede” anche perché coinvolge esi-stenzialmente colui che lopratica.

Ma è, inoltre, una fede“filosofica”, perché implical’uso della ragione, nonbasandosi su di una qualcherivelazione, come inveceaccade nella fede religiosa.

Ecco perchè la fede filo-sofica non deve venir scam-biata con una concezionerazionalistica, che pretende-rebbe di possedere intellet-tualmente l’Assoluto.

Né può venir fraintesa conun atteggiamento fideistico che, trinceran-dosi dentro un dogma, rinuncerebbe all’usodella ragione.

Meglio intenderla, piuttosto, come quel-la istanza concreta e vitale che un pensieroradicale e coerente esprime quando intendadivenire chiaro in se stesso, ragion per cuinon può cessare di voler pensare quell’As-soluto, in cui solo gli è possibile trovareradicale e compiuta chiarezza.

In altri termini, se la coscienza è l’ambi-to in cui hanno luogo sia la domanda sull’o-rigine e il senso di tutto ciò che è, sia il desi-derio di una totale e onnicomprensiva armo-nia dell’esistente, allora la sola risposta pos-sibile sia a quella domanda che a questodesiderio è: Assoluto.

Solo a un pensiero negligente o falsa-mente modesto questa fede filosoficapotrebbe sembrare una protervia intellet-t u a l e .

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• 39 •Fede filosofica, A. Fantinel

E, a ben vedere, neanche a uno schiettoe serio comune pensare possono apparireastruse e pretenziose quelle t r a c c e di A s s o-luto che si sono rivelate,piuttosto, come le ineludi-bili ed essenziali condizio-ni di un coerente e incon-traddittorio pensare.

Tali t r a c c e sono, peral-tro, riconoscibili in quellafilosofia perenne che rap-presenta l’irrinunciabilepatrimonio universale diun possibile dialogo fraesseri umani.

Anche un credente reli-gioso che tentasse schiet-tamente, e senza alcunsuperstizioso timore di bla-sfemia, di pensare la mente del suo Dio,riuscirebbe a intuire le t r a c c e di Assoluto epotrebbe incominciare a dialogare sincera-mente con il filosofo.

E anche se ai suoi occhi potrebbe appa-rire presuntuoso il tentativo del filosofo diricreare quasi il mondo nel pensiero, que-st’ultimo (il filosofo) è ben consapevole didover includere se stesso in questa “suacreazione concettuale”.

È allora sufficiente questa inclusionenella Realtà più ampia e profonda dell’As-soluto (o della Mente divina, come il cre-dente religioso preferirebbe pensare) aff i n-ché anche l’accusa di protervia intellettualepossa dissolversi.

N u l l a: Il nulla assoluto può essere solo invirtù della possibilità dell’essere, e già questapossibilità è l’essere, davanti al quale io ammu -

tolisco perché naufraga il tentativodi pensare il nulla assoluto2.

Il n u l l a rappresenta da sem-pre uno dei temi prediletti dallementi filosofiche, ma restaanche una delle nozioni piùcontroverse.

Non a caso il nichilismo,nelle sue più varie e molteplicisfaccettature, continua a espri-mere esiti di pensiero parados-sali e incoerenti.

Peraltro nell’esercizio criticodella filosofia non vi può essere

dubbio più profondo e radicaledi quello che viene espresso dal domanda-re: perché l’essere e non piuttosto il nulla?

Questa è stata anche considerata ladomanda metafisica fondamentale.

Ma chiediamoci: è veramente o sensata-mente possibile porre (pensare) e s s e r e en u l l a sullo stesso piano (perché cosìdovrebbe accadere se effettivo dubbio tra idue deve poter esserci)?

N u l l a non significa, piuttosto non esse -r e, ragion per cui anche solo per porre (pen-sare) n u l l a si deve prima porre (pensare)essere?

E questa priorità di e s s e r e non è suff i-ciente a negare quella equivalenza di pianitra e s s e r e e n u l l a, su cui si ipotizzavaun’improbabile consistenza del dubbio?

2 Jaspers, 1995: 140-141.

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In realtà, se il n u l l a è il n o n - e s s e r e d e l-l ’e s s e r e, quest’ultimo, nella sua primordia-lità e indubitabilità, si conno-ta come quella P o s i t i v i t àoriginaria che, precedendoq u a l s i v o g l i a negatività, si èrivelata come una innegabi-le traccia di Assoluto.

Che il tentativo di pensa-re il n u l l a naufraghi sidovrà, allora, intendere piùnel senso del naufragar m’èdolce in questo mare d e l-l’Assoluto – interpretazionequesta che suona, peraltro,paradossalmente contrappo-sta proprio al n i c h i l i s m om e t a f i s i c o dello stesso Leopar-di – , che come l’infrangersi di un pensieroincapace di trovare una qualche ontologicaconsistenza.

L’aporetica del n u l l a si rivela, ma anchesi risolve, invece in quel pensare doppia-mente l’e s s e r e, che rende ancor più inaggi-rabile, e perciò ineludibile, quella p o s i t i v i t ào r i g i n a r i a dell’Assoluto che precede qual-sivoglia negatività.

Per questo aspetto tale aporeticapotrebbe intendersi piuttosto come l’espli-cazione discorsiva della suddetta t r a c c i a d iAssoluto.

T u t t o : Il tutto è ciò cui è assolutamenteimpossibile non essere, così come il nulla è ciòcui è assolutamente impossibile essere3.

Chi mai al giorno d’oggi si dà pensierodel Tutto?

Mentre nei primi filosofigreci il Tutto era il tema pri-mo ed ineludibile, il pensierocontemporaneo è pervaso dauna sconsiderata dimentican-za del problema del Tutto.

E questo accade soprat-tutto quando la filosofia sispecializza, diventando filo-sofia d e l l a scienza, filosofiadella storia, filosofia d e l l amente, filosofia d e l l i n g u a g-gio, etc.

Come se il pensiero filo-sofico, per avere un qualche

peso o credito, debba ridursiad essere una “filosofia di … qualcosa”,ossia solo filosofia della parte, e non essereciò che, invece, essenzialmente è: filosofiaquale pensiero del T u t t o o, meglio ancora,quale pensiero dell’Assoluto.

L’odierno nichilismo è segnato in modoletale da questo riduzionismo.

Ma che cosa intendere quando si aff e r-ma che la filosofia è pensiero del Tutto?

Anzi, che filosofare è propriamente pen-siero del T u t t o, anche quando viene presain considerazione la parte?

Non si intende né che il T u t t o p o s s adiventare oggetto di conoscenza, né che lafilosofia rinunci a comprendere la p a r t e,rivolgendosi esclusivamente a una vuota eastratta totalità.

3 Jaspers, 1970: 554.

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• 41 •Fede filosofica, A. Fantinel

La filosofia, nel suo interrogare radicale,non si accontenta di indagare la p a r t e, eprende, invece, sul serio,cercando di pensarla finoin fondo, la “parola meta-fisica” – ancor più “meta-fisica” della suddettadomanda intorno al “nul-la” – Tutto.

Nel far questo, anchequella p a r t e di T u t t o c h econsiste nello stesso filo-sofare viene ricompresanel T u t t o, perché il filoso-fo, nella sua radicale eassoluta ricerca, non puòessere tanto distratto dadimenticare se stesso.

Il T u t t o è, come Uni-totalità onnicom -p r e n s i v a, una t r a c c i a di Assoluto, e per que-sto la filosofia né può separarla astratta-mente dalla parte, né può pensare quest’ul-tima (la p a r t e), altrettanto astrattamente,sciolta da quella traccia.

Tutto in Tutto è, in fondo, l’idea chesoggiace a questa traccia di Assoluto.

Il senso religioso è quello della presenzadi Dio in ogni cosa, per cui anche qui il dia-logo tra fede religiosa e fede filosofica puòdiventare estremamente fecondo.

Questa necessità del T u t t o filosofico diessere veramente o n n i c o m p r e n s i v o, e dun-que di dover comprendere anche lo stessopensiero che lo pensa, rivela poi quellapeculiarità essenziale per cui il problemafilosofico non è solo relativo al c o s a s a p e r e ,

ma esso implica necessariamente anche ilcome sapere.

Ed è anche per tale peculiaritàche il sapere filosofico si definiscepiù propriamente come fede filoso-fica, a tal punto che il non poteressere T u t t o provoca nel filosofoun senso di naufragio.

Ma, di fronte a questo, nientepuò l’atteggiamento del “pensatorevorace” che pretenderebbe di sape-re il T u t t o, ritenendo, illusoriamen-te, di essere in grado di porselodavanti.

La fede filosofica di fronte aquesto paradosso mantiene questa

tensione al T u t t o, e risponde conquella prassi vitale che salvaguarda, ad untempo, la sua sensatezza e la sua concre-t e z z a .

Prassi: L’opera del pensiero è sempre unamezza verità che per raggiungere il suo compi -mento richiede non solo di essere pensata, maanche incarnata storicamente nell’esistenza4.

La fede filosofica si rivela perciò comeun imprescindibile nesso di teoria-prassiche non può certo scadere in un pensareastratto e disincarnato.

Come non possiamo costruire un palaz-zo di belle idee per finire, poi, ad abitare inun misero tugurio, così il vero significatodelle parole che pronunciamo consiste sem-pre in ciò che si è disposti a fare o a pagareper quelle stesse parole.

4 Jaspers, 2005: 70.

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La fisionomia interiore di una personadeve esplicarsi in uno stile di vita, e la suacoerenza si misura in ciò che pensa, in ciòche dice e in ciò che fa.

Nella fede filosofica pensareè anche vivere, così come vive-re è pensare.

Questa inscindibile recipro-cità comporta non solo che unrinnovato e più profondo pensa-re si traduca in un vivere piùlibero e consapevole, ma impli-ca anche che una rinnovataprassi vitale raggiunga un livel-lo di pensiero più ampio e piùintenso.

Infatti, se è vero che la veri -tà ci farà più liberi ( G v. 8,32), èaltrettanto vero che la libertà ci farà piùv e r i: la reciprocità di vita e pensiero cimostra qui l’autentico senso della libertà.

Ma la prassi, ancor più del pensiero for-se, è segnata da un’ineludibile responsabili-tà del singolo.

E se è vero che in un’esistenza alienataposso sia pensare che fare come pensano efanno tutti gli altri, è altrettanto vero che èsoprattutto nella decisione pratica, e quindinel mio agire alienato, che pago maggior-mente il prezzo della mia responsabilità e,dunque, della mia libertà.

Per questo l’Assoluto si rivela e coinvol-ge sempre in modo individuale.

Giustamente Carlo Michelstaedter hascritto che la via della persuasione non èpercorsa da omnibus.

Né un ingenuo chiudere gli occhi difronte alla lotta dell’esistenza, né un rasse-gnato tarparsi le ali finendo per appiattirsi

sulla banalità del mondo, pos-sono essere le scelte di unaautentica fede filosofica,che si può, però, pensare evivere sempre e solo nellapropria solitudine.

Fede filosofica significaanche prendere coscienzadell’inevitabile divario tra inostri più profondi desiderie la dura realtà del mondo.

Per questo si può bendire che prendersi la propriac r o c e non è solo un dettocristiano, ma genuinamente

umano e filosofico.

Politica: La libertà politica, conformementeall’innata nobiltà dell’uomo, consente la speran -za. Disprezziamo noi stessi se dimettiamo ilcoraggio della ragione, nella quale la speranza sifonda5.

Nella politica si fa più evidente e con-creto il divario, se non il contrasto, tra l’i-deale desiderato e la durezza della realtàquotidiana, tra l’utopia e il disincanto.

Tanto che è quest’ultimo a farla dapadrone nel travagliato mondo attuale.

Il coraggio di un convinto idealista vie-ne scambiato spesso con il sogno di unvisionario mentecatto che nella presunta suapatetica ingenuità non sa capire come va ilmondo.

5 Jaspers, 1968: 74.

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Qui le ragioni della mente si intreccianocon le ragioni del cuore, ma sono propriomente e cuore le imprescindibili compo-nenti che possono completare una persona.

Ma essere persona richiede anche tantebelle e buone virtù: sincerità, dis-ponibilità, benevolenza, apertu-ra, attenzione e rispetto per altri,sicurezza e persuasione interio-ri, ma anche senso critico ecapacità autocritica, saper met-tersi in discussione, pazienza eforza, capacità di saper aspetta-re, essere schietti ma non impul-sivi, un bel equilibrio interiore,saper dosare il parlare con iltacere, dire la propria e saperascoltare, e l’elenco potrebbecontinuare.

Tanto basta, però, a farci disperare circala possibilità di poter mettere in atto questebelle e buone virtù in un mondo tanto duroquanto indifferente, se non ostile.

Di fronte a questo diventano molto piùconvenienti, per sopravvivere, altre “quali-tà umane”, quali la prudenza e il saper cal-colare, l’ostentazione di sicurezza anche senon reale, una certa capacità di invadenza edi mancanza di riservatezza, parlare permascherare piuttosto che per rivelare, tace-re per non compromettersi, non ascoltare e,soprattutto, non dare eccessivo peso a ciòche dicono altri, tenersi ben stretti alle pro-prie convinzioni piuttosto che rischiare unamigliore verità, e, anche qui, l’elencopotrebbe continuare e il mondo apparirebbesempre più lontano da quello immaginato eabitato da persone libere o che, quantome-no, cercano la propria libertà.

• 43 •Fede filosofica, A. Fantinel

Patente di concretezza e razionalità vie-ne, invece, riservata quasi sempre a chi, conuna certa dose di cinismo, sa adattarsi conpochi scrupoli all’andazzo del mondo.

Se disincanto deve risolversi solo edesclusivamente nella rasse-gnazione, più o meno cinicao anche solo opportunisticadi chi non riesce più neanchea sognare a occhi aperti, allo-ra, come scrive Jaspers, sifinisce per disprezzare sestessi, e si rinuncia così sia alcoraggio della ragione che aquello della speranza.

Ma è nel singolo, e solonel singolo, che è possibileritrovare la prima e vitalefonte del coraggio e dellasperanza, ed è per questo che d e m o c r a z i aresta ancora la parola d’ordine più appro-priata al progetto della politica.

Prendere sul serio la democrazia (AldoCapitini ha coniato in proposito il termineo n n i c r a z i a: “potere di tutti”) significa,innanzitutto, raggiungere la consapevolez-za, non solo dei propri inalienabili diritti,ma anche quella della propria individuale eineludibile responsabilità politica.

Qui veramente la politica si rivela comecoerente applicazione di un’autentica prassi.

Che lo voglia o no, in un modo – restan-do tutto il giorno chiuso nel mio studio – onell’altro – proponendomi come ammini-stratore comunale –, vivo nel mondo ed esi-sto insieme ad altri, ed è anche per questoche non posso fare a meno di sperare in unacoesistenza pacificata e in un mondomigliore.

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Così come le belle e buone virtù posso-no riempire lo spazio interiore di un aristo-cratico sentire, che si riesce solo a vivere insolitudine, allo stesso modo lesuccitate “qualità umane” sipresentano come l’insipidopane quotidiano di una fintademocrazia.

Quest’ultima, per diventarevera, dovrebbe nutrirsi piutto-sto di un aristocratico o nobilesentire, e che, solo se praticatoe vissuto da più persone,potrebbe trasformarsi nel saledi una vera democrazia.

Più di una volta mi è acca-duto di sentirmi un idiota –appellativo su cui, comunque,varrebbe la pena di riflettere,ricordando magari l’I d i o t a di Cusano oquello di Dostoevskij – solo perché non miandava di stare nel gregge in cui le unicheparole d’ordine erano: Così fanno tutti! eCosì va il mondo!

Ma democrazia non può ridursi al vileconformismo del cervello all’ammasso.

Nel suo più autentico significato, devepoter valere come il progetto (sempre aper-to) di emancipazione, di liberazione dellapersona.

Pur nella sua essenza pluralistica, lademocrazia scopre qui qualcosa di assolutoe la liberazione della persona diventa,appunto, la sua “stella polare”.

Una “stella polare” che dovrebbe orien-tare più degnamente anche quello che, con

troppa facilità e superficialità, viene defini-to “sviluppo economico”.

La storia del progresso umano, che spes-so ci raccontiamo, quasi

sempre dimentica quei“costi umani” chedovrebbero, invece, esse-re messi in primo pianonella valutazione di qual-siasi autentico sviluppodella società.

Milioni e milioni dipersone hanno segnatotragicamente un cammi-no storico che solo eufe-misticamente possiamodefinire umano.

Il fatto è che purtrop-po la storia non è finita e

che, in questo tragico cammino, ci siamoancora dentro: basti solo pensare al verg o-gnoso divario di opportunità esistente trapersone del Nord e persone del Sud delmondo!

Di fronte a questo, quanto suonanomeschini e profondamente inadeguati i liti-gi rappresentati dal monotono e scontatopalcoscenico della politica nostrana!

Pensandoci non posso fare a meno diripetere con Pasolini che il coraggio intel -lettuale della verità e la pratica politica sonodue cose inconciliabili in Italia.

Relatività: Colui che filosofa prova e ripro -va la verità prendendo in considerazione leistanze contrarie e gli avversari6.

6 Jaspers, 1978: 89.

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• 45 •Fede filosofica, A. Fantinel

Non c’è solo lo spettro del relativismoche si aggira per l’Europa, c’è anche il fon-damentalismo, suo consanguineo nemico,che si sta diffondendo nel mondo intero,con il suo tragico carico diviolenza e di intolleranza.

Relativismi e fondamen-talismi sono gli inevitabiliesiti della perdita del veridi-co e salutare principio direlatività.

È attraverso quest’ultimoche la fede filosofica riescesia ad evitare il relativismo,perché essa mantiene la suatensione all’Assoluto, sia anon cadere nel fondamenta-lismo, perché non riducequesta tensione a un qualchedogma esclusivo ed escludente.

La libera ricerca e il dialogo aperto rap-presentano irrinunciabili principi e metodiper la fede filosofica, che, per metterli inpratica, non ha però bisogno di scadere nel“tutto fa brodo” di un inconsistente relati-vismo.

Per questo è indispensabile distinguerechiaramente tra relatività e relativismo.

L’“-ismo” di quest’ultimo rappresentauno scadimento del significato di relativitàche, come tale, non esclude invece la rela-zionalità, semmai la implica.

Mentre nella consapevolezza della miarelatività, pur sentendomi libero nelle miescelte, posso allo stesso tempo confrontar-mi apertamente con l’altro (relazionalità),nel relativismo, che fra l’altro fa rima con“individualismo” (e non con il significatopiù positivo espresso da “individualità”),

una mia convinzione o una mia scelta sten-tano a confrontarsi apertamente con con-vinzioni o scelte diverse.

Alla base di questa difficoltà sta quellaconcezione monadistica delmondo per cui sembravalere solo la sentenza deltot capita, tot sententiae.

A detta di Karl Popper,se non ci fosse stata la T o r -re di Babele, avremmodovuto costruirne una; madire questo non significaproprio scadere nel relativi-smo per cui qualsiasi cosasi dica, va bene?

E costruire consapevol-mente una Torre di Babele,

più che valere come buonametafora di un autentico pluralismo, non sirisolve invece in quel non senso, a causa delquale inevitabilmente vien meno qualsiasipossibilità di comunicazione umana?

Anche se la consapevolezza di incarnareuno sguardo limitato impedisce la possibili-tà di una visione totale, non per questo sideve considerare meno o, addirittura, nulloil valore di tale sguardo relativo.

Anzi, la persuasione o la fede filosoficadi essere anche solamente una singola notaentro l’onnicomprensiva armonia dell’As-soluto, può bastare a convincermi di pen-sare e di vivere fino in fondo tale singola-rità, e questo proprio perché, in rapportoall’Assoluto, l’uomo è libero come indivi-duo singolo.

Laicità: La L i b e r a l i t a t ritiene possibile inogni uomo la più alta istanza della relazione

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immediata al divino nella personale, responsabi -le libertà della ragione7.

Che nel rapporto conl’Assoluto l’uomo sia liberonella sua individuale singola-rità, costituisce il fondamen-to stesso della laicità.

Laicità è più un modo dipensare o di credere che unché di pensato o di creduto.

E questo proprio perchéall’Assoluto non possorinunciare di pensare, senzacontraddire il mio stesso pen-siero, né, d’altra parte, posso(l’Assoluto) crederlo o pen-sarlo in modo esclusivo, e perciò escluden-te, senza evitare di scadere in un intolleran-te assolutismo.

La laicità è quella disposizione o, meglioancora, quella maturità della mente e delcuore che riesce a esprimere, allo stessotempo, senso critico, autonomia morale, eapertura mentale.

Per questo essa rappresenta un valoretanto per il credente religioso, quanto per ilnon-credente ateo.

Ma anche l’agnostico, se coerente, nonpuò prescindere da tale valore.

La sua indifferenza, infatti, non dovreb-be arrivare al punto da negare qualsiasi pos-sibilità di senso a chi, in un modo (creden-do in Dio) o nell’altro (non credendo inDio), la pensa diversamente da lui.

Anzi, proprio per questa sua sconsolata,

perché priva del conforto di una qualcheW e l t a n s c h a u u n g, libertà interiore, si trovaforse costretto a sentire e a praticare un

maggior grado di laicità. Anche per “laicità” vale

quanto suaccennato per “rela-tività” a proposito dello scadi-mento semantico provocatod a l l ’ “-ismo”, per questo “lai-cismo” non può intendersiquale sinonimo di “laicità”.

Laicismo indica quell’at-teggiamento pregiudiziale neiconfronti della fede religiosache finisce per essere altret-tanto dogmatico e intollerante,

quanto quello che esso attribui-sce, senza un serio e critico discernimento,a quella fede religiosa che, peraltro, intendecontrastare.

Relativamente poi al rapporto tra politi-ca e religione, resta insuperabile la magi-strale lezione di laicità derivante dal Date aCesare quel che è di Cesare, e a Dio quel cheè di Dio. (Mt. 22,21)

Ma Gesù di Nazareth si è rivelato qualeinsuperabile maestro di libertà interiore, edunque anche di laicità, quando, a conclu-sione dello splendido dialogo con la Sama -r i t a n a, afferma: Credimi, donna, è giunto ilmomento in cui né su questo monte, né inGerusalemme adorerete il Padre. […] Ma ègiunto il momento, ed è questo, in cui i veriadoratori adoreranno il Padre in spirito everità; perché il Padre cerca tali adoratori.(Gv. 4,21-23).

7 Jaspers e Bultmann, 1995: 114.

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• 47 •Fede filosofica, A. Fantinel

Non vi può essere al mondo alcun tem-pio e di qualsivoglia religione e credenza,tale da prevaricare sull’ineludi-bile singolarità della libertàinteriore.

Una tale prevaricazione hasempre comportato quella vio-lenza sulla persona che lanostra storia non è ancorariuscita a eliminare del tutto.

Libertà: La fede filosofica è lafede dell’uomo nelle sue possibili -tà. In essa egli respira la sual i b e r t à8.

L i b e r t à: parola tanto decla-mata quanto troppo spesso strumentalizza-ta, parola tanto pronta a prestarsi a uno slo-gan propagandistico quanto facile a sviarsidal suo autentico significato.

Un tentativo per ritrovare quest’ultimopuò essere quello di pensarla come un’uto -pia concreta.

Questo ossimoro riesce a tenere assiemele due componenti indisgiungibili dellalibertà: l’ineludibile tensione all’Assoluto(u t o p i a) e l’altrettanto imprescindibile pras-si vitale (concreta).

Come già si è visto a proposito dellap r a s s i, qui la prima e imprescindibile valen-za consiste nella singolarità dell’esistenzapersonale.

Ma io esisto come sospeso tra un inizioinconsapevole e una fine sconosciuta: que-sta la strana condizione della mia esistenza.

Tuttavia, a meno di non rassegnarmi adaccettare come un fato totalmente incono-

scibile e indecidibile tale con-dizione, non posso fare ameno di interrogarmi sullamia identità.

Ecco come la libertà chia-ma in causa l’identità perso-nale, e dunque la conoscenzadi se stessi.

Allora, libertà non puòvoler dire “puro arbitrio”, masignifica piuttosto “essere sestessi” o, meglio ancora,“divenire se stessi”, e, in que-sto senso, aprirsi a quelle

possibilità che, come Jaspersrileva, la fede filosofica può rivelare e rea-lizzare.

Nel mio agire vi è sempre un certo gra-do di consapevolezza connesso a un certogrado di volontà, ma non sempre consape-volezza e volontà riescono ad attuare quel-la perfetta sintonia che mi porterebbe avivere un’autentica libertà.

“ L’ho fatto, perché l’ho fatto!”: quantevolte sotto questa esclamazione nascondoun illusorio senso interiore di libertà, maga-ri pensandola come una mia scelta voluta,per accorgermi solo dopo del motivo o delmovente che mi hanno spinto inconsape-volmente a comportarmi in quel determina-to modo.

Non per niente il comune buon sensoafferma che con il senno di poi è sin troppofacile sapere come comportarsi.

8 Jaspers, 2005: 129.

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Allo stesso modo, e simmetricamente,accade che per un eccessivoscrupolo di consapevolezza iosia bloccato nella mia capacitàdi volere e di decidere.

E, anche in questo caso, lasaggezza comune non mancadi stigmatizzare questa debolelibertà nell’agire con il popola-re detto chi non risica nonrosica.

Ambedue le ali della liber-tà, consapevolezza e volontà,devono essere accresciute eperfezionate per permettere alla stessa(libertà) di volare nell’Assoluto.

Ed è certo, poi, che quel tanto di consa-pevolezza che ci è dato poter raggiungere,varrà quanto tutta la libertà che ci è dato dipoter realizzare.

Per questo Assoluto (A b s o l u t u m) signi-fica anche “Assolto” o “Liberato” appunto.

E anche questa può essere considerata,allora, come una traccia di Assoluto, come

quella traccia, cioè, che ci lascia intravede-re una compiuta Armonia rispetto a

quella che si è dovuto infrangerenel dramma della nostra sceltalimitata e individuale.

Per esprimere meglio questaconvinzione, non riesco a trovareparole migliori di quelle scrittedal grande filosofo tedesco:

Solo la divinità che mi consen -te di diventar me stesso grazie allamia libertà, mi consente anche di

superare la sfida con l’essere mestesso, non mediante un miracoloso attosoprasensibile, ma in virtù del fatto che,nell’esserci, io mi lego all’Uno a cui, stori -camente, rimango incondizionatamentelegato. Solo con esso divento me stessoquando mi ci abbandono. [ … ] Il motivo èdovuto al fatto che nell’uno della Trascen -denza io trovo il mio autentico esser mestesso e che solo davanti a una Trascen -denza l’esser me stesso scompare, e questavolta secondo verità9.

9 Jaspers, 1995: 178-79 e 232.

Riferimenti bibliografici

Jaspers, K. (1968) Piccola scuola del pensiero filosofico, Edizioni di Comunità, Milano.Jaspers, K. (1970) La fede filosofica di fronte alla Rivelazione, Longanesi, Milano.Jaspers, K. (1978) Ragione e antiragione nel nostro tempo, Sansoni, Firenze.Jaspers, K. (1995) Metafisica, Mursia, Milano.Jaspers, K. (2005) La fede filosofica, Raffaello Cortina Editore, Milano.Jaspers, K. e Bultmann, R. (1995) Il problema della demitizzazione, Morcelliana, Brescia.

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Su un’antropologia filosofica del branco

di Antonio D’AlonzoSaggista

The Author tries to reconstruct the complicated mechanism which provokes thegang’s aggressiveness. Concentrating on the basic studies by Le Bon and Freud, themain core of the matter is found in the youth identifying principle, which is putunder discussion by the media and by uninterrupted suggestions of inaccessibilemodels, far from any kind of cultural interest. Violence becomes a deviant way forasserting your identity to the world.

i fronte all’irruzione ormai quo-tidiana della violenza nellemaglie del sistema, dobbiamo

ancora una volta constatare l’inadeguatezzaculturale della classe politica italiana, inca-pace di abbozzare una qualsiasi disaminache non sconfini subito nel solito e pateticochiacchiericcio retorico. Il “compitino”attuale della politica è di mettere in attosoluzioni a fronte delle varie emerg e n z esociali, ma la missione del politico dovrebbeconcernere qualcosa di più di una semplicesociologia “da tappabuchi”. Se a questoquadro desolante si aggiungono i dibattitistantii e burattineschi che imperversano neiprogrammi televisivi, al contempo rassicu-ranti e beceri, demagogici e pleonastici, sicomprendono le ragioni che impediscono dia ffrontare seriamente il problema. Dopo gliultimi episodi di teppismo che hanno porta-

to alla morte di un dirigente di una societàcalcistica e di un poliziotto a Catania, sisono susseguiti nei palinsesti dibattiti e ta-vole rotonde presiedute da giornalistisportivi e calciatori nelle vesti di o p i n i o nm a k e r. In televisione non è apparso alcunantropologo o sociologo in grado di fornireuna lettura più articolata: soltanto gli stessivolti noti della domenica sera. La nostrasocietà, sconcertata di fronte a un fenome-no per certi versi inclassificabile – gio-vanissimi figli dell’opulenza e delbenessere – preferisce limitare le sue elu-cubrazioni sulla modalità di reazione, per-altro sempre abbondantemente sconfessatae ostacolata da interessi economici di parte.L’opinione pubblica s’interroga sugli eff e t-ti (la reazione) e non sulle cause. Sulleragioni del teppismo giovanile, dentro efuori delle curve di tutta Italia.

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Che cosa potremmo rispondere, qualegiustificazione potremmo avallare, di fron-te alla sconsolante teoria cheaddita la violenza di gruppocome uno stratagemma diriconoscimento sociale, ungioco di ruolo teso a conferi-re un’identità da deviantealla debole e massificata per-sonalità del giovane e dell’a-dolescente? Già Heideggerindicava nella condizione“pubblicistica” la cifra dellanostra epoca, dove l’entecompensa nella sua pienavisibilità e spettacolarità,l’oblio dell’essere1. La socie-tà contemporanea è dominatadall’utilizzo preponderante dei mezzi dicomunicazione di massa, in particolare daquelli fondati sulla diffusione delle imma-gini. Se gli dei sono fuggiti, il loro posto èstato rimpiazzato dai divi dello s h o w b i t z enon è certamente un caso che deva in san-scrito significhi “dio/dea”: pensiamo allerecenti scene d’isteria giovanile di fronte aun albergo romano dove era alloggiata lapopstar Madonna. Per le nuove leve èessenziale essere al centro dello schermo —tutto intorno a te, come proclamava fino aqualche tempo fa una nota compagnia ditelefonia mobile — anche a costo di espor-si alle degradanti umiliazioni della tivùtrash. Ma per questi analfabeti mentali, ver-bali ed emotivi — come li definisce Galim-berti — è importante apparire per qualche

istante nella “fabbrica dei sogni”, prontianche a urinare davanti alle telecamere o a

i m m e rgersi in un terrario pie-no di cavallette. Sono rico -noscibile, dunque esisto: è ilnuovo grido di battaglia diaspiranti veline e tronisti.Per pochi privilegiati esisto-no i reality show, per tuttigli altri la possibilità di farparlare di sé attraverso qual-che gesto estremo, camuf-fando la propria identitàall’interno del branco chegarantisce la cassa di riso-nanza mediatica. Ma anchequesta violenza, che cela il

principio d’individuazionenell’appartenenza al branco, ha bisogno diessere spettacolare per ricevere pubblicitàdai media. In caso contrario, il gruppo nonha visibilità, non esiste. La conditio sinequa non dell’esistenza deviante diventa lapresenza del pubblico che osserva il gestocriminale del branco che lancia la bomba-carta o stupra una ragazzina. L’identità siscinde: studenti per la mamma, ultrà o s e xoffender nel branco.

In Psicologia delle masse e analisi dell’Io,Freud, attraverso gli studi di psicologia del-le masse di Le Bon, spiega come l’aggressi-vità individuale latente possa debordareall’interno di una vasta aggregazione collet-tiva. Nella folla è in azione la pulsione gre-garia che livella intelligenza ed emozioni.

1 Cfr. Heidegger 1968.

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• 51 •Su un’antropologia filosofica del branco, A. D’Alonzo

Un individuo dotato di spiccate capacitàcognitive, immerso in una folla eccitata,subirà un abbassamento delproprio quoziente intelletti-vo, mentre il livello emotivosi assesterà sugli umori dellafolla. L’intelligenza regredi-sce, l’emotività aumenta:l’eggregatore di una follariottosa conduce a compieregesti che l’individuo isolatonon potrebbe compiere. Pro-prio perché la fusione collet-tiva agisce livellandosi suvalori medi è possibile ancheil processo inverso. Eccoperché l’individuo che fre-quenta musei o v e r n i s s a g e cresce intellet-tualmente e spiritualmente, mentre il “cur-vaiolo” è destinato alla regressione bestiale.Il gruppo incanala le pulsioni e le istanzespirituali/intellettuali dell’individuo. Tu t t a-via, nemmeno il cenacolo più raffinato puòsradicare del tutto l’aggressività dalladimensione antropologica. Eros e Thanatosabitano da sempre nell’inconscio; comericorda Freud, la civiltà si fonda sulla subli-mazione di queste due pulsioni2. L’ “ a n i m a-le umano” — per usare un’espressione caraa Nietzsche — sublima le pulsioni sessualinell’istituto matrimoniale e l’antagonismosociale con il sarcasmo e la dialettica. Scho-penhauer ha dimostrato come il fine delladialettica — ricondotta all’eristica — nondeve essere individuato nella ricerca dellaverità, ma piuttosto nel tentativo di arroga-

re la parola finale e come il prevalere sul-l’interlocutore comporti la sublimazione di

una dose di aggressività, altri-menti destinata all’aggressio-ne fisica. Lo stesso sarcasmo— al contrario dell’ironiache è piuttosto una relativiz-zazione della finitezza, un’a-pertura trascendentale — hacome scopo quello di ridico-lizzare l’interlocutore, pri-vandolo della dignità perso-nale. Dal canto suo, l’istitutomatrimoniale è servito aincanalare le pulsioni libidi-che della perpetuazione dellaspecie che, incontrollate,

potevano condurre allo stupro: in fondo, lariattualizzazione dell’archetipo di Pan.

Nel mondo animale non esiste lo stupro,e il consenso della femmina è indispensabi-le per l’accoppiamento. Secondo gli studi diantropologia filosofica del Novecento, l’uo-mo non possiede istinti, ma pulsioni. Gliistinti guidano l’animale alla soddisfazionedei bisogni elementari. L’animale è dotatodi strumenti naturali per cacciare o sfuggireai predatori, potenti fauci e artigli o artiscattanti per fuggire lontano. L’uomo nonpossiede né artigli, né lunghe leve per cor-rere nella savana: sotto questo aspetto è bio-logicamente poco dotato. Le uniche armidell’uomo sono la facoltà di inibire le pul-sioni e differirne l’immediata soddisfazio-ne, organizzando il comportamento e lo

2 Cfr. Freud 1995.

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spazio psichico3. Ma se la violenza sessualenon esiste presso le altre specie animali, aeccezione di quella umana, ese la caratteristica essenzia-le di quest’ultima è la capa-cità di rimandare il soddi-sfacimento immediatoattraverso la pianificazionedella fruizione del bisogno,si deve concludere che ciòche muove il sex offendernon è l’assenza di vincoliinibitori o l’irruzione didesideri bestiali, ma la geli-da strategia della ragionestrumentale. Come spiegatoda Adorno e Horkheimer inDialettica dell’Illumini -s m o4, la ragione strumentalenon mette in questione i fini, non ponepostulati da indagare, ma assume principiapodittici, già dimostrati. Assumendo comefini esclusivamente la produzione e il pro-fitto, la ragione illuministica, nata per rea-lizzare l’asservimento baconiano dellaNatura, finisce per instaurare il dominiodell’uomo sull’uomo. Se l’unico valore fon-damentale diventa il profitto — la Ratio èstrumentale proprio perché si preoccupaesclusivamente d’individuare i mezzi piùe fficaci per raggiungere lo scopo — l’eticadiventa un ingombrante orpello sulla stradadella pianificazione totale. Se il solo valore

è il profitto, come non dichiarare decadutal’antropologia umanistica? La ragione stru-

mentale non riconosce nes-suna istanza sopra di sé;essa inaugura il dominiodell’uomo sull’uomo chetrova la massima espres-sione nella pianificazione“utilitaristica” del genoci-dio5, o nel piacere intellet-tuale della regressionesadiana:

Pazze creature [ n . d . a .esclama il pre s i d e n t eBlammont rifere n d o s ialle donne] come godo avederle dibattersi nellemie mani! È come l’agnel -

lo fra le grinfie del leone [...] È come nellaconquista di una città, bisogna impadro -nirsi delle alture [ . . . ] ci si insedia in tuttele posizioni dominanti, e poi si irrompe inpiazza senza più temere resistenza6.

Così risponde il ministro Saint-Fonds,quando una ragazza terrorizzata scoppia inlacrime di fronte a lui:

È così che mi piacciono le donne [ . . . ]ah, perché non le posso ridurre, con unasola parola, tutte quante in questo stato7.

3 Cfr. Galimberti 1999.4 Cfr. Adorno, Horkheimer 1969.5 Cfr. Sereny 1994. 6 Cfr. D.A.F. De Sade, Aline et Valcour, in Adorno e Horkheimer, 1969: 118.7 Cfr. D.A.F. De Sade, Histoire de Juliette, in Adorno e Horkheimer, 1969: 117.

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8 Cfr. Carotenuto 1994.9 Cfr. Bataille 1992.

10 Cfr. Foucault 1976.

• 53 •Su un’antropologia filosofica del branco, A. D’Alonzo

Basta leggere l’ordine geometrico delledevastanti perversioni programmate in L e120 giornate di Sodoma, perrendersi conto che dietro latruce maschera del sex offen -d e r non si nasconde un desi-derio frustrato e inappagato,ma la gelida e razionale cri-minalità di una volontà dipotenza deviata. Ovviamen-te, la violenza del branco èpiù sicura, semplice e anoni-ma, rispetto alla diabolica edeterminata perversione diun personaggio sadiano. Manemmeno si deve ignorare,come spiega Mario Carote-nuto, come l’Ombra del DonGiovanni sia lo stupratore:

Se l’ombra del baldo Don Giovanni èla violenza e lo stupro, ciò non vuole signi -ficare che il Don Giovanni sia uno stupra -tore, ma che, come ogni immagine mitica,l’immagine del Don Giovanni contiene edesprime la realtà degli opposti psichici8.

Il vituperato Georges Bataille, in La par -te maledetta, ha l’intuizione fondamentaledi distinguere l’“economia ristretta” daquella “generale”. Mentre la prima econo-mia è meramente industriale e commercia-le, incentrata sullo scambio delle ricchezze,la seconda interessa la dimensione antropo-logica dell’eccesso di produzione e dispen-

dio di energia vitale. Quest’ultima deveessere scaricata “naturalmente” attraverso il

dispendio (d é p e n s e)della caccia e dellanutrizione, dellariproduzione e dellamorte. Tuttavia, oltrea queste funzionimeramente biologi-che, il dispendio puòessere scaricato attra-verso le feste, le com-petizioni e i sacrificicruenti: stratagemmie tecniche “attive”che assicurano lasovranità sulla “partemaledetta”; al contra-rio, la guerra imposta

dall’alto, rende l’uomo oggetto “passivo”della d é p e n s e, destinato a soccombere9.Oggetto passivo o soggetto attivo, il dis-pendio, l’eccesso, deve comunque esserescaricato: ma, nei territori dell’Occidente“civile” e “civilizzato” non vi sono piùguerre da almeno cinquanta anni. Cosìcome non vi sono più sacrifici umani o sup-plizi di piazza: questi ultimi abrogati perchéfavorivano l’identificazione tra il pubblicoe il suppliziato10. In altre parole, viviamo inuna società dove, fortunatamente, si sonodiffusi determinati valori liberali e filantro-pici, dove non si perseguitano più — alme-no fisicamente — gli eretici e i “diversi”.

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• 54 •

Ma dove la “parte maledetta” non viene piùscaricata. Se condividiamo lateoria della negazione dellarepressione sessuale11, al con-trario, dobbiamo convenirecome l’aggressività umana —elemento antropologico fonda-mentale — non sia più scarica-ta attraverso riti collettivi comela guerra o l’insurrezione. MaThanatos non può semplice-mente essere rimosso: la rimo-zione non fa altro che incre-mentarne la forza di propulsio-ne centrifuga. Ecco, allora, l’ir-rompere fenomenologico della devianza,

del bullismo da branco e della violenzaultrà.

Sarebbe utile, allora,ripensare le nostre fonda-menta culturali. Si dovrebbelavorare sul simbolismo esull’immaginario per scari-care in modo naturale la“parte maledetta”, senzaaspettare che la sua sistema-tica repressione imploda egeneri macerie. Ma questocompito è troppo grande perle possibilità della nostra

civiltà — a nostro avviso —ormai prossima al collasso.

11 Cfr. Foucault 1985.

Riferimenti bibliografici

Adorno, T. e Horkheimer, M. (1969) Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, Torino.Bataille, G. (1992) La parte maledetta, Universale Bollati Boringhieri, Torino.Carotenuto, M. (1994) Riti e miti della seduzione, R.C.S., Milano.Foucault, M. (1976) Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino.Freud, S. (1995) Il Disagio della civiltà, Bollati Boringhieri, Torino.Galimberti, U. (1999) Psiche e Techne, Feltrinelli, Milano.Heidegger, M. (1968) Sentieri Interrotti, La Nuova Italia, Firenze.Sereny, G. (1994) In quelle tenebre, Adelphi, Milano.

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Perché il Settecento – ed è il secondo deiluoghi comuni da evitare – non è solo ilsecolo dei Lumi, del trionfo dell’intellettocontro tutto ciò che non sia riconducibile arazionalità, del primato della scienza speri-mentale e della deduzione logica e fisico-matematica contro ogni pretesa di cono-scenza intuitiva, dell’universalità condivisadel sapere enciclopedico contro le sugge-stioni dell’esoterismo e della trasmissioneiniziatica dei saperi. Vi è in Europa ancheun altro Settecento che dell’Illuminismonon è l’antitesi ma qualcosa che con esso siinterseca, si confronta, talvolta addirittura siconfonde, dando così vita a una delle sta-gioni culturali più intense, complesse e sti-molanti dell’intera storia dell’Umanità. È ilSettecento in cui l’onda lunga del platoni-smo tardorinascimentale si accompagnaall’influsso del panteismo cosmico di Gior-

Mozart e la cultura del suo tempo

di Santi FedeleUniversità di Messina

Mozart’s exceptional genius fed with the diligent attending of the most stimu -lating cultural tendencies of his time. In the Eighteenth century they were repre -sented not only by Enlightenment and Rationalism, with the ideals of religioustolerance and the development of physics and mathematics, but also by magic,alchemy and occultism. The late Platonic Renaissance is accompanied by theinfluence of the cosmic pantheism of Giordano Bruno and the great attractive ofalchemy met the renewed interest in Cabalistic studies and in misterious Egyp-tian and Ellenistic cults.Mozart knew many of these cultural veins through his Masonic affiliation, whichwas not of secondary importance for him, but which stands as an essential experi -ence of the human, intellectual and artistic life of the great composer.

er affrontare, sia pure in manierasintetica il tema dei rapportiintercorsi tra Mozart e la cultura

del Settecento europeo, occorre preliminar-mente sgombrare il campo da due luoghicomuni. Il primo è l’immagine, fin troppoabusata, di Mozart genio fanciullo la cuiarte immensa si sprigiona meravigliosa-mente da se stessa con scarsi contatti eapporti del contesto culturale che lo circon-da. Noi sappiamo invece non solo cheMozart ebbe cultura vastissima e chepossedette una selezionatissima biblioteca,ma che, come dimostra anche il suo episto-lario, la sua genialità creatrice si alimentòdella frequentazione attiva dell’“intel-lighenzia” più progressista dell’epoca, chel’immenso suo talento si coniugò con tutti ifermenti, le suggestioni, le idee che per-corsero la cultura settecentesca.

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dano Bruno e l’incredibile capacità di presadelle tematiche alchemiche di cui si sostan-zia il mito dei Rosacroce interseca il rinno-vato interesse per gli studicabalistici e per i cultimisterici dell’Egitto edell’Età ellenistica.

Ma il dato cui occor-re maggiormente presta-re attenzione, per com-prendere l’h u m u s c u l t u-rale di cui si alimenta ilgenio mozartiano è cheSettecento illuminista-razionalista e Settecentom a g i c o - a l c h e m i c o -occultista non sono real-tà antitetiche e conflit-tuali, ma espressione di un’epoca in cui –come bene ha evidenziato Franklin Rausky1

– hanno pieno diritto di cittadinanza perso-naggi che sono per un verso uomini discienza e cultori rigorosi della fisica, ma altempo stesso letterati affascinati dalledimensioni occulte della vita. Questi erudi-ti, per così dire sospesi tra Rinascimento eIlluminismo, possono ancora consentirsiquello che con il trionfo dello scientismopositivista non sarà più consentito, vale adire di associare deduzione logica e tra-smissione iniziatica dei saperi, sperimenta-zione e intuizione, osservazione dei feno-meni e illuminazione interiore.

L’epistolario mozartiano documenta ilegami di Mozart con uno di questi perso-naggi straordinari, il medico vienneseAnton Mesmer, fondatore della teoria del

magnetismo, che era intesa a fornire unalettura dei fenomeni vitali in termini diattrazione e repulsione tra forze magnetiche

sia minerali che animali, destinata asfociare in uno dei più celebrati eal contempo criticati esperimentidi medicina alternativa, basata sumolto opinabili sistemi di rimedisimpatetici della malattia mafeconda di geniali intuizioni suirapporti tra corpo e psiche, malat-tia fisica e sofferenza mentale.

E in tema di rapporti tra lamateria e il soffio d’intelligenzavivificatrice che la anima, va det-to che tra le fonti letterarie e filo-sofiche mozartiane si collocaindubbiamente la complessa filo-

sofia di Giordano Bruno: l’animismo ato-mistico, il panteismo cosmico e il collega-mento ricorrente con una tradizione di pen-siero che potremmo sinteticamente definire“magica” nel senso di un sentimento delsacro talmente forte da tendere al supera-mento delle rigidità dottrinarie e degli stes-si dogmi religiosi.

Il senso profondo dell’appartenenza allatradizione cristiana non impedisce infatti aMozart di essere partecipe di quelle idee ditolleranza religiosa che sempre più frequen-temente circolano negli ambienti culturalifrequentati dal grande compositore. L’ e s s e-re sinceramente credente non è in Mozart incontrasto con la condivisione di almenoalcuni degli aspetti della polemica contro las o ffocante ingerenza del clero che è caratte-ristica comune a buona parte degli ambien-

1 Rausky 1980.

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• 57 •Mozart e la cultura del suo tempo, S. Fedele

ti illuministici, come pure sarebbe estrema-mente fuorviante voler scorgere una con-traddizione tra le credenze religiose diMozart e l’aspirazione, pure rinvenibile inalcuni passaggi dell’opera mozartiana, auna religione senza frontieredove Dio può chiamarsiYahveh o Allah o Brahma e,scavalcando la logica degliodi e delle guerre di religio-ne, la comune credenza inun essere superiore aff r a t e l-la gli uomini nella ricercadella pace e della giustizia.

Anche giustizia sociale?A porre l’interrogativo è ilrecente libro di Lidia Bra-mani suggestivamente inti-tolato Mozart massone er i v o l u z i o n a r i o2, in cui si sottoli-neano con forza due elementi. Il primo sonoi rapporti intercorsi tra Mozart e numerosiesponenti di quella che in certo modopotrebbe essere considerata l’“estrema sini-stra” della Massoneria settecentesca: l’Or-dine degli Illuminati di Baviera, le cui tesiegualitarie si erano spinte talmente avantida potere gli affiliati essere definiti dei“comunisti spirituali”. Come certamentenell’alveo del comunismo utopistico sette-centesco – ed è il secondo elemento – sicolloca un pensatore presente con diverseopere nella biblioteca di Mozart: Franz Zie-genhagen, un filantropo assertore di ideeegualitarie che cercò anche di mettere inpratica con l’organizzazione di un’aziendaagricola modello.

La Bramani insiste anche parecchio sul-la frequenza con cui affiorano nell’opera diMozart le tematiche alchemiche. Ormai cisiamo emancipati a sufficienza dalla “ditta-tura” dello scientismo positivista per conti-

nuare a considerare l’alchimianella migliore delle ipotesi unaprotochimica o chimica inge-nua e nella peggiore unaimpostura praticata ai dannidei creduloni. Né abbiamonecessariamente bisogno perriabilitare gli alchimisti dirifarci alle teorie psicoanaliti-che di Jung sulla coincidenzatra simbologia alchemica ecategorie dell’inconscio col-lettivo. Per comprendere l’in-teresse di tanti pensatori e arti-

sti settecenteschi, come per l’ap-punto Mozart, verso le tematiche alchemi-che, bastino alcune elementari considera-zioni sulla realtà intrinseca della pluriseco-lare esperienza del pensiero alchemico.

Basti ricordare che aspetto fondamenta-le della concezione alchemica del cosmo èquello che riguarda il rapporto tra la mate-ria e lo spirito. Se con la filosofia cartesianala materia viene considerata nel suo isola-mento dallo spirito, lo spirito identificatocol pensiero e la materia massa inerte,impenetrabile allo spirito, pura quantità edestensione, per l’alchimia al contrario nonesiste né una realtà puramente materiale, néuna realtà puramente spirituale: materia es p i r i t o – come è stato opportunamente fattorilevare – sono connessi tra loro come la

2 Bramani 2005.

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materia e la forma, come un principio limi -tativo e recettivo che si misura con un prin -cipio attivo e operante. Inquesta prospettiva l’ordinenaturale e quello umano spi -rituale non risultano con -trapposti, ma strettamenteunificati: il destino dell’uo -mo si prolunga nella vicendanaturale e questa si arricchi -sce di profondi contenutis p i r i t u a l i3. L’alchimia per-tanto non propone soltantoun avvicinamento, qualitati-vamente significativo, delmacrocosmo col microco-smo, dell’universo con l’uo-mo, ma nella comprensione della realtà uni-versale mette l’accento sulla preminenzadell’intero rispetto alle parti. Ne scaturisceche l’intima compenetrazione tra materia espirito è l’obiettivo del processo alchemico:non fredda operazione tecnico-scientifica ditrasmutazione dei metalli ma procedimentonel corso del quale il percorso di rigenera-zione spirituale dell’alchimista si opera inintima fusione con quello di trasmutazionedella materia.

Come avrebbe potuto restare insensibilea tali suggestioni l’autore del Flauto Magi -c o?4 Se mai il problema che si pone è dicomprendere per quali vie le tematiche e lesuggestioni alchemiche entrino a far partedell’universo culturale e artistico di Mozart.La risposta mi sembra vada ricercata nel-l’influenza esercitata su Mozart come su

moltissimi altri intellettuali e artisti del tem-po da uno dei miti più fascinosi che percor-

sero la cultura del Settecento: laleggenda dei Rosacroce, diquesto movimento quanto maisingolare al cui successo enor-me contribuì non solo l’alonedi grande mistero che lo cir-condò, ma l’essere per l’ap-punto il rosacrocianesimo unasorta di sintesi misterico-leg-gendaria in cui, attorno allacomponente principale, che èovviamente quella alchemica,si intersecano e confluiscono lealtre componenti di quello che

potremmo definire “l’altro Set-tecento”: l’ermetismo tardo-rinascimentale,il panteismo cosmico di Giordano Bruno edei mistici tedeschi, l’esoterismo cristiano,il retaggio dell’orfismo e della tradizionegnostica della tarda antichità e, perché no,l’occultismo un pò cialtronesco di Giusep-pe Balsamo, alias Cagliostro.

La leggenda dei Rosacroce, assieme aquella dei Templari, è uno dei due miti fon-danti di quella Massoneria speculativa che,sorta in Scozia e in Inghilterra tra la fine delSeicento e l’inizio del Settecento, si è anda-ta rapidamente diffondendo in Europa daParigi a San Pietroburgo, da Stoccolma aNapoli, a Messina. Con la differenza chementre quello templare è un mito di nobili-tazione aristocratica sul versante della tra-dizione cristiana della cavalleria medievalee dell’epopea delle Crociate, la leggenda

3 Dal Pra 1977.4 Sulle influenze alchemiche nel Flauto magico si veda il recentissimo studio di Attardi 2006.

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• 59 •Mozart e la cultura del suo tempo, S. Fedele

rosacrociana è un forte elemento di suppor-to della penetrazione e della diffusione del-la Massoneria in tutta una serie di ambientie circoli culturali sensibili allesuggestioni dell’esoterismorosacrociano e al messaggio dirigenerazione interiore di cuiesso è portatore.

Mozart attinge alla culturaalchemica e rosacrociana attra-verso la via principale e direttadella sua appartenenza massoni-ca. Proprio di recente si è svi-luppata sui giornali un’animatadiscussione sul problema del-l’appartenenza di Mozart allaMassoneria del suo tempo, originata dalledichiarazioni del Cardinale Schönborn,arcivescovo di Vienna, che, nel riaff e r m a r ele profonde convinzioni religiose di Mozart,ha inteso ricondurre la sua affiliazione mas-sonica a fatto assolutamente contingente emarginale, a scelta dettata dalla convenien-za di entrare in contatto con alcuni dei piùeminenti circoli intellettuali del tempo.

In verità questo problema della compati-bilità tra fede cristiana di Mozart e suaappartenenza alla Massoneria ha tutta l’ariadi essere un falso problema. Basta ricercarenegli archivi e leggere gli elenchi degliappartenenti a Logge massoniche settecen-tesche di svariate parti d’Europa, per verifi-care come vi figurino in quantità non soloferventi cristiani ma sia appartenenti al cle-ro cattolico che pastori protestanti, gli uni egli altri desiderosi di partecipare attivamen-te a quello che, assieme alle A c c a d e m i e ,rappresenta il maggiore canale internazio-nale di circolazione delle idee di cui posso-no disporre gli intellettuali del tempo.

Che Mozart sia stato battezzato nellaCattedrale di Salisburgo il 28 gennaio 1756,che sia morto assistito dai sacramenti e che

sia stato convintamene cattolicoè assolutamente fuor di dubbio.Come è altrettanto incontesta-bile che Mozart, all’età di ven-totto anni, il 14 dicembre 1784,fu iniziato Apprendista libero-muratore nella Loggia “AllaBeneficenza” di Vienna e chevi appartenne sino alla suamorte intervenuta sette annidopo.

Né, a mio avviso, ha moltosenso voler ricondurre l’appar-

tenenza massonica di Mozart a un dato discarso significato, se non addirittura di con-venienza, come ha scritto Paolo Isotta sulCorriere della Sera del 17 agosto 2006sostenendo, scherzosamente ma non tanto,che per Mozart la Massoneria non era for -ma di mutuo soccorso, ma solo di soccorsod’altrui a lui, giacché sventurati Fratellisovvenivano allo scialacquatore. In realtànoi sappiamo che l’affiliazione massonicanon fu per Mozart un’esperienza marginalema la scelta seria e consapevole di chi dellaMassoneria del tempo da un lato era porta-to alla condivisione profonda dell’ispirazio-ne umanitaria e delle pulsioni egualitarie,dei progetti filantropici e della lotta all’in-tolleranza, e dall’altro subiva forte il richia-mo suggestivo dell’esoterismo e del rituali-smo massonico.

La prova di ciò, a mio avviso, non varicercata soltanto nelle cantate e nelle com-posizioni massoniche di Mozart, nel simbo-lismo massonico di cui è intriso il F l a u t om a g i c o, ma, anche se non soprattutto nella

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condivisione intima, quale emerge dall’in-tera opera di Mozart, dei due concetti cardi-ni della virtù e dell’armonia.La virtù, intesa nel senso diforza interiore, non più deter-minata dal privilegio dellanascita, ma dall’esercizio diuna pratica di vita virtuosa edal riconoscimento reciprocotra i giusti. L’armonia comeuna prospettiva di sviluppodelle potenzialità di ognunonel rispetto degli equilibrinaturali e dei diritti altrui,come l’ideale di una parabolaesistenziale che l’uomo possapercorrere e concludere in pacecon se stesso, con gli altri e con il contestonaturale che lo circonda.

È, per dirla con una parola, La giustaa r m o n i a, come per l’appunto s’intitola ilmelologo di Fabio Vacchi andato in scenanell’agosto del 2006 in prima mondiale aS a l i s b u rgo e nel quale si sottolineano conforza l’adesione di Mozart al clima illumi-nistico-massonico del suo tempo e i suoilegami con gli intellettuali più aperti agliideali di libertà e di eguaglianza.

E non è forse fuor di luogo concluderecon una citazione dalla famosa lettera cheMozart indirizza al padre, il 4 aprile 1787:

Poiché la morte, considerata bene, è ilvero scopo finale della nostra vita, io da un

paio d’anni – l ’ i n g resso diMozart in Loggia si è pro d o t-to tre anni prima – ho presotale confidenza con questa vera eottima amica dell’uomo, che lasua immagine non soltanto nonha niente di spaventoso per me,ma al contrario molto di tran -quillizzante e di consolante! Eringrazio Dio per avermi dato lafortuna e l’occasione (voi micapite) di conoscere la mortecome la chiave della nostra verafelicità.

Non solo l’interlocuzione“voi mi capite” rivolta al padre,

anch’egli affiliato alla Massoneria, alludecon ogni probabilità al rituale massonico dielevazione al grado di Maestro, incentratosul simbolismo alchemico-iniziatico dellamorte-putrefazione-resurrezione di Hiram,mitico costruttore del Tempio di Salomone,ma l’intero brano è rivelatore delle convin-zioni profonde di chi, anche attraverso lafrequentazione dei lavori massonici, è per-venuto alla consapevolezza che la vita e lamorte, la luce e l’ombra, lo spirito e lamateria non sono termini opposti ma com-plementari nel ciclo eterno del divenirecosmico.

Riferimenti bibliografici

Attardi, F. (2006) Viaggio intorno al Flauto magico, LIM, Lucca.Bramani, L. (2005) Mozart massone e rivoluzionario, Bruno Mondadori, Milano.Dal Pra, M. (1977) Alchimia, in Enciclopedia Einaudi, vol. I, Torino, Einaudi.Rausky, F. (1980) Mesmer o la rivoluzione terapeutica, Feltrinelli, Milano.

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Nel segno e nella storia

di Bent ParodiGiornalista

In the ancient and traditional societies the name was conceived not only as a signof social distinction, but also as the soul and the essence of the named person. It isnot a case that the verbs for “creating” and “naming” are often very similar if notidentical. In historical times the proper names were used for defining internal atti -tudes, then they assumed also the trait of good wishing. In the Christian culture thenames were referred mainly to the worship of saints. Sometimes they are given inhonour of dead relatives. Today, in a time where everything has been desacralized,the sacred name has been transformed into a number on the fiscal code.

ella storia delle religioni l’ideadella lingua sacra, lungi dalconsistere in un u n i c u m, rap-

presenta piuttosto un tema ricorrente nell’i-nesauribile creatività dello spirito(definizione cara a Mircea Eliade); almenoil cinese e il sanscrito, nell’Est asiatico, l’e-giziano, l’ebraico e l’arabo classico a Ovesthanno dichiaratamente aspirato a questoruolo. Un esempio recente: ancor oggi imusulmani teorizzano la “sterilità” delCorano, quando tradotto in una linguadiversa da quella di Maometto: solo nell’i-dioma originale esso ha efficacia assoluta.E si tratta solo di un paradigma che altripotrebbero citarsi a mente. Nel Vicino Ori-ente antico le popolazioni del Nilodefinirono la propria scrittura – i geroglifi-ci – come medw nether, “parole divine”; gliIsraeliti ponevano l’accento sul concetto di

dabar, “la parola”, o di dibur eli, “parole diDio”, e consideravano il proprio alfabeto,composto di 22 lettere, come espressionepiù diretta della “voce creatrice di Dio”. LaT o r a h, “la legge”, “la dottrina” (corrispetti-vo della M a a t egizia e del d h a r m a i n d ù )corrispondeva all’aspetto esteriore, laC a b a l a a quello interiore del giudaismo uni-versale. La “ricezione” o “trasmissione”(tale è il significato etimologico della paro-la Q a b a l a h) è, propriamente parlando, l’e-soterismo di Israele, una s u m m a tale dafarne la forma più compiuta della tradizionemisterica occidentale. Due i testi fonda-mentali: il Sefer Yesirah (II-III secolo d.C.)il “Libro della formazione” e lo Zohar ( X I I Isec.), il “Libro dello splendore”. Il primo diessi consta di non più di 2000 parole; non èdi semplice traduzione, vi è spiegata in det-taglio una complessa teoria del linguaggio,

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sulla quale si affannarono con interpre-tazioni sempre più raffinate via via esegetidi grande valore (basti quiricordare Gitaquila, Av r a h a mBoulafia, Isacco il cieco). Inepoca moderna ricordiamoFaibre de Olivet (La linguaebraica restituita) e gli studifecondi di Leo Schaya (L ’ u o -mo e l’Assoluto secondo laC a b a l a) e, più ancora,l’opera sterminata di Ger-shom Scholem, che, oltrealla monumentale C a b a l a eal problema dell’ebraicoconsiderato idioma sacro,dedicò un aureo volumetto, pubblicato treanni fa da Adelphi in prima traduzione ital-iana: Il Nome di Dio e la teoria cabalisticadel linguaggio.

In estrema sintesi, l’idea della Cabala èche la lingua dell’Antico Te s t a m e n t odiscenda da quella “paradisiaca”, sostan-zialmente identica al “vocabolario creatore”di Dio. La “parola perduta” o “smarrita”, dicui parlano tante tradizioni, sarebbe daidentificarsi nel sacro e ineffabile tetra-gramma israelitico YHVH, impropriamen-te reso ora come Geova, ora come Ya h v e h .Il nome di Dio, talora contratto, in Y h( Yaho), bisillabo oggetto di svariate elucu-brazioni magico-religiose nel tardo mondoantico è traducibile sia in “Colui che fu” che“Colui che sarà” (l’idea feconda della pre-senzialità eterna).

Le quattro lettere sacre per eccellenzacostituiscono il medium creativo per eccel-lenza di Dio; più in generale la Cabala – ein particolare il Sefer Yesirah – a ff e r m a n oche la Realtà universale è stata modellata

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sullo schema dei dieci numeri/lettere del-l’Albero sephirotico e delle 231 combina-

zioni possibili delle 22 l e t t e r edell’alfabeto ebraico. MaDabar è pensiero all’interno eparola all’esterno, è visibile e/oudibile al contempo secondol’equazione luce-suono, cheidentifica Fiat lux col big bang,una intercambiabilità ontologi-ca sulla quale torneremo piùoltre. Per ora restiamo nellariflessione cabalistica. Ogni let-tera del sacro alfabeto ebraico èun tassello del grandiosomosaico cosmogonico, l’esem-

pio più illuminante che conosciamo di teo-logia per Logos.

Citiamo da Gershom Scholem (op. cit.):

Il Nome di Dio è il Nome essenziale,che costituisce l’origine di tutte le lingue.Ogni altro nome con cui Dio può esserechiamato o invocato è connesso a unadeterminata attività, come mostra l’etimo -logia dei nomi biblici: solo quest’unicoNome non si riferisce ad alcuna attività.Per i cabalisti esso non ha un “senso” nel -l’accezione comune, non ha un significatoconcreto.

Il fatto che il Nome di Dio non abbia unsignificato, indica la sua posizione al centrodella rivelazione, che su di esso è fondata.

Dietro ogni rivelazione di senso nel lin-guaggio e anche come hanno visto i cabali-sti, nella Torah, vi è un elemento che ecce-de il senso e che, solo, lo rende possibile, unelemento che, senza avere senso, conferiscesenso a ogni altra cosa. La parola di Dio,che ci parla dalla creazione e dalla rivela-

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zione, è infinitamente interpretabile e siriflette nel nostro linguaggio. I raggi o i suo-ni che noi captiamo di essa nonsono tanto comunicazioniquanto piuttosto appelli. A p o s-sedere significato, senso e for-ma non è la parola stessa, ma latradizione della parola, il suomediarsi e riflettersi nel tempo.Questa tradizione, che ha la suapropria dialettica, può anchetrasformarsi e ridursi a un lie-ve, impercettibile sussurro, epossono esservi epoche, comela nostra, nelle quali niente puòessere più tramandato, e la tra-dizione ammutolisce.

La grande crisi del linguaggio che stia-mo vivendo consiste allora nel fatto cheanche l’ultimo lembo di quel mistero, ilmistero che nella lingua aveva un tempodimora, ci risulta inafferrabile. I cabalistiritenevano che la lingua potesse essere par-lata in virtù del Nome che è presente inessa. Ma quale sarà la dignità di un linguag-gio dal quale Dio si è ritirato? Questa è ladomanda che si deve porre chi ancora crededi percepire nell’immanenza del mondo l’e-co della parola della creazione, ormai scom-parsa. È una domanda alla quale, nel nostrotempo, possono forse rispondere soltanto ipoeti, che non condividono la disperazionenutrita da quasi tutti i mistici nei confrontidel linguaggio. Una cosa, però, li accomunaai maestri della Q a b a l a h, anche quando nerifiutano le formulazioni teologiche perchéancora troppo esplicite: la fede nel linguag-gio come un assoluto sia pure dialettica-mente scisso, la fede in quel mistero che nellinguaggio è divenuto udibile. Il mito vete-

ro-testamentario della Torre di Babele e del-la susseguente confusione delle lingue allu-

de, come simbolo efficace, aun punto di rottura determi-nata dalla h y b r i s, l ’ a r r o g a n z aumana che provocherà laseparazione fra piano celestee piano terreno. A partire daquel momento i nomi perde-ranno gran parte del loropotere creativo pur mante-nendo una solida filosofiasottostante.

La corrispondenza tra let-tere (con un loro lavoronumerico) / suono / mito /

parola / luce è peraltro dimo-strabile sia a livello scientifico, con gli esitipiù recenti della fisica subatomica, sia conla speculazione filosofica (basti pensare aPitagora e alla sua armonia delle sfere) equella dell’intuizione mitopoietica.

Un nome non è una semplice formula diriconoscimento, un segno di identificazionesociale. Nell’ideologia arcaica e tradiziona-le delle società preclassiche esso era moltodi più, costituiva l’intima essenza, la cifrariposta dell’individuo: era l’individuo stes-so. Questa filosofìa, estesa anche alle cose eagli animali, aveva una base dottrinaria,un’applicazione rigorosa che discendevadalle antiche cosmogonie per Logos.

Creare, infatti, nella lingua degli Egizi sid i c e v a mt rn (ipotetica pronuncia: mat ren),“dare un nome”; si riteneva che una cosacominciasse a esistere solo nel momento incui le veniva attribuito un nome, certo nonscelto a caso (esso doveva, infatti, corri-spondere alle più segrete modalità dell’in-dividuo). Perciò “io ti dò un nome”, signifi-

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cava ripetere – ritualmente – la cosmogoniagià attuata dal demiurgo, stante che il parti-colare non differisce dall’universale, quan-to a qualità, bensì solo per isuoi aspetti quantitativi (pre-corrimento dell’equazione mi-crocosmo-macrocosmo).

Il R E N, in Egitto, avevacarattere magico; per questo sifaceva ricorso in pubblico anomi innocui, di comodo,tenendo ben nascosto il “veronome”, a scanso di malinten-zionati. Il faraone e gli altridignitari avevano una lungaserie di nomi didascalici, maquello essenziale doveva resta-re un segreto; conoscere gli dèi voleva direconoscere i loro nomi e, quindi, condizio-narli. Da qui formulari complessi e invoca-zioni rituali, comuni a tutto il mondo antico,che possono far sorridere chi non si rendeconto dell’ideologia che vi era sottesa. Ilnome autentico era un fatto di magia bian-ca, ma i rischi di incorrere in quella neraerano davvero notevoli. Da qui l’esigenzadella segretezza più assoluta, perché cono-scere il nome di una persona significava,appunto, averla alla propria mercé.

Il modello esemplare di questa conce-zione è costituito dal famoso racconto miti-co di Iside, che riuscì con uno stratagemmaa carpire il vero nome del dio supremo, Ra(Sole). Il vecchio nume era stato morso daun serpente e soffriva molto; così la furbadea si offrì di guarirlo con le sue arti magi-che a condizione che egli le rivelasse il suovero nome, il solo modo per poter interve-nire. Distruggere un nome equivaleva adistruggere anche l’anima di chi l’aveva

portato in vita; per questo, tante volte, siraschiava dalle iscrizioni funerarie il nomedi un faraone di cui era stata decretata la

damnatio memoriae (il casopiù eclatante è quello del reAmenophis IV - Akhenaton adAmarna).

Non diversamente in Meso-p o t a m i a : Marduk mu-mu, c i o èMarduk (il capo del pantheonaccadico) “creò le cose dandoa esse un nome”; così “nome”e “creare” si scrivono, si leg-gono, si pronunciano allo stes-so modo. E due parole dallostesso suono, o scritte in egual

modo, non hanno per l’ideolo-gia arcaica una semplice affinità formale,esse sono la stessa cosa (i c a l e m b o u r s, i g i o-chi verbali, erano una delle attività preferi-te da scribi e sacerdoti). M u, dunque, staper “nome” e “creazione”; il termine erastato ripreso dai Semiti accadici dal lessicosacrale dei Sumeri. La “sillaba sacra” pereccellenza (quella che aveva dato vita almondo) ebbe così un seguito, una continui-tà nel rito, quel rito che Malinowski ha defi-nito correttamente la celebrazione narrativadi una realtà primordiale. La ripetizione delMu garantiva la conservazione degli essericon le “formule di potenza”: il nome,insomma, era quello che gli indù chiamanotutt’ora m a n t r a, la parola “forte”; la “sacrasillaba MU” rivela evidente affinità essen-ziale con il mistico AUM (OM), il suonocreatore della religiosità indiana.

L’accadico, come si sa, fu una linguau fficiale e diplomatica usata per le relazio-ni internazionali tra le corti babilonesi edegiziane, etc. Più tardi fu anche una delle

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lingue ufficiali dell’impero persiano e, persuo tramite, potè venire in contatto con iGreci della Ionia: chi può dire chela “parola perduta” non possaessere stata all’origine del termi-ne m y t h o s, anch’esso parolafondativa, per eccellenza?

La radice di m y t h o s è MU;essa, si afferma, è la stessa che siriscontra in mystérion mystikòs,nel verbo m y é o, m y é o m a i, “ser-rare le labbra, chiuderle” (oanche “chiudere gli occhi”).

Questo radicale passa al lati-no m u - t u s, “muto”; esso, per-ciò, alluderebbe al “silenzio ini-ziatico”, che non è – però – il silenzio bana-le, nel senso corrente del termine, ma piut-tosto “parola all’interno”, che va sussurrata,modulata e mai detta a tutto fiato. Il segretoè tale solo in quanto è ineffabile.

D’altro canto il mito esemplare ha sem-pre carattere cosmogonico; quindi si riferi-sce alla creazione del mondo, tout court,allude in ogni caso a situazioni esistenziali,realmente fondative sul piano ontologico.E, purtroppo, la nostra conoscenza dei mitisi è svolta per troppo tempo lungo il canaleobbligato della mitologia greca (a partiredal termine stesso, troppo lungamente sog-getto a equivoci e contrapposizioni con ilLogos, di cui è responsabile la filosofia gre-ca). Sappiamo tutto dei miti greci ma quasinulla del loro contesto rituale e un mito sen-za rito non è più tale, esso è devitalizzato,non più capace di trasmettere conoscenzauniversale.

Ma, per fortuna, la riscoperta degli anti-chi patrimoni mitici del vicino Oriente, del

complesso di credenze tuttoravitali, in parte, delle societàetnologiche (i cosiddetti “pri-mitivi viventi”), ci ha restituitouna visione più equilibrata, piùprofonda, del mito.

A tanto ha dato un contribu-to decisivo l’esegesi simbolica,una forma di pensiero integraledi cui solo da pochi decenni sista rivalutando l’enorme caricapotenziale.

Così grazie al lavoro pio-nieristico di una “archeologia

dello spirito”, attuata dagli storici delle reli-gioni (basti il nome di Mircea Eliade), ilmito è tornato fra noi.

E il mito è il “nome” delle cose, la cifranascosta del reale.

Forse la migliore definizione del mito,certo la più radicale, è quella fornita daGerardus van der Leeuw1:

Il mito, propriamente parlando, non èche la parola stessa [...] è una parola pro -nunciata, che ripetendosi possiede lapotenza decisiva, appunto la “parola per -duta”, che diede vita ai mondi e di cui si èperduta la chiave interpretativa.

Per ritrovarla occorre, in qualche modo,essere iniziati, cioè ri-nascere a una nuova epiù alta visione conoscitiva.

L’iniziazione, per dirla con Mircea Elia-de, equivale a una mutazione ontologica del

1 Van der Leeuw, 1975: 322.

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regime esistenziale2; il neofita diventa unaltro, egli è “nato due volte” (d v i j a, in san-scrito).

Così nell’antico Egitto, ildefunto assolto dal tribunale diOsiride veniva dichiarato maa-k h e r u, parola tradotta conven-zionalmente con “giustificato”,ma che ha il senso proprio di“giusto di voce”, ovvero coluiche ha la giusta modulazione divoce, giusta perché ormai con-forme alla M a a t, l’ordinecosmico. Il defunto “solarizza-to” si trasforma in M a a - k h e r u,assimilato al divino, conosce e si è identifi-cato con la parola creativa, il mito appunto.

Gli Egiziani, per altro, conoscevano deiparticolari sacerdoti, chiamati p e r - k h e r u,“evocatori alla voce”, capaci, con un’ap-propriata modulazione della voce, di evoca-re le forme, di creare letteralmente. È ovvioche un per-kheru fosse anche un Maa-Khe -r u, seppure ancora in vita; tramite l’inizia-zione era possibile conseguire il potere, nor-malmente limitato al momento della “gran-de iniziazione”, il passaggio della soglia, daparte del defunto assolto.

Il mito corrisponde al Verbo di cui parlal’evangelista Giovanni (il principio era ilVerbo e il Verbo era presso Dio e il Verboera Dio). Ma non è solo la tradizione cri-stiana esoterica a conoscere il significatodella parola creativa: almeno ottocento anniprima dell’apostolo, i Veda indiani avevanogià affermato: All’inizio era Brahman con il

quale era Vac, la Parola, e Vac era Brah -man. L’analogia con il Vangelo di San Gio-

vanni è evidente, ma non è tutto:un intero inno del Rg-Veda ( i lX) è dedicato a Vac ( c o r r i s p o n-dente al latino v o x, v o c i s, e l’ita-liano derivato v o c e). E Vac è lavibrazione essenziale che hadato vita ai mondi, che ha crea-to tutto ciò che esiste.

In Egitto, nella teologiamenfita, la stele di Shabakaa fferma che Ptah, il dio demiur-go di Menfi, creò il mondo conil “cuore” e con la “lingua”, cioè

con il pensiero e con la parola (e il Ve r b o ,cioè il mito, è pensiero all’interno e parolaall’esterno, come manifestazione).

La teologia menfita risale almeno agliinizi del terzo millennio; essa è, dunque, lapiù antica testimonianza letteraria di crea-zione per L o g o s, il primo modello dell’e-vangelista Giovanni.

In Grecia sono evidenti le sopravviven-ze di un’arcaica religiosità per L o g o s, quigeneralmente di matrice mediterranea. Ènoto il rilievo che in ambiente ellenico assu-me il “riso degli dèi”; il dio che ride assicu-ra la conservazione del cosmo, il rinascereciclico della natura. Demetra (la Te r r aMadre, da D a m e t e r) è l’esempio più illumi-nante: la nutrice Baubò la induce a ridere eciò basta perché tutta la natura, sfiorita, pos-sa rinascere. In Sicilia, nella variante delmito demetriaco raccolta dallo storico Dio-doro (V libro), è il riso di Demetra a dar vita

2 Eliade, 1974:10.

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al germoglio del grano (ho ghélos ghynaikòsepóiesen, “il riso della donna creò”).

Demetra in Sicilia (come bene ha vistolo storico delle religioniGiuseppe Martorana inK ò k a l o s, e poi in Il riso diD e m e t r a)3, crea senza colla-borazione maschile; il risofemminile è la genesi diogni vita.

Gli “dèi che ridono”,però, sono anche luminosi;il verbo greco gheláo s i g n i-fica a un tempo “brillare” e“ridere” e il “ridere” è ancheun “sorridere”, un risplendere; allude perciòa una valenza acustica e a una luminosa.

D’altro canto il suono non è altro cheluce a ridotta frequenza vibratoria, e la luceè un suono, non più percepibile, a elevatis-sima frequenza vibratoria. La radice *G E L,*GLE di ghèlos, il “riso” e di gheláo è, pro-babilmente, anche all’origine della nozionedi gloria e “stato acustico e luminoso”,insieme.

Anche nei popoli a torto ritenuti primiti-vi si ha notizia di teologie per L o g o s: inPolinesia Iao crea con la parola (il mitovivente); in alcune tribù brasiliane la Paro-la precede addirittura il Padre, l’EssereSupremo trasformatosi in deus otiosus.

Ovunque, insomma, è attestata l’ideaestremamente arcaica del mondo creato conla “parola di potenza” (e gli esempi potreb-bero moltiplicarsi con facilità).

L’ e n e rgia creativa degli dèi deve essere

in qualche modo conservata: nomina suntn u m i n a, a fferma la nota equazione propo-sta da Max Müller. Perciò nell’antico Egit-

to i sacerdoti del Sole conservava-no gli hekau-ra le “formule dipotenza”, gelosamente custoditenei recessi templari.

A Roma, la primitiva religionedava immenso valore agli I n d i g i t a -m e n t a, un formulario rituale conte-nente gli attributi delle divinità e leformule di invocazione più corret-te per ciascuna di esse, giacchésolo “sintonizzandosi sulla stessafrequenza d’onda” degli dèi, per

così dire, si riteneva che fosse possibileaccedere alle varie modalità del divino, cia-scuna delle quali è personificata in un “dioparticolare”. Per dare attualità al numeoccorre evocarlo alla voce, cioè “nominar-lo”, nominando qualcosa infatti gli si dàvita, esistenza.

Nella G e n e s i le creature di Dio ebberovita pienamente fondata solo nel momentoin cui Adamo, fatto a immagine e somi-glianza del Creatore, le chiamò per nome,diede a esse un nome.

Anche adesso, a livello di retaggio ormaiinconsapevole, un bambino ha “vita piena”,esiste come personalità definita, solo a par-tire dal momento in cui gli è stato conferitoun nome e lo si è battezzato (il battesimo èuna iniziazione).

Se il mito, come abbiamo visto, si iden-tifica in ultima analisi con la parola creati-va, il nome ne è il modello esemplare.

3 Martorana 1982-3 e 1985.

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Antichissimo termine indoeuropeo, ilnome ha il senso originario di “evocazio-ne”; nel sanscrito, n˝ma significa soprattut-to “essenza”, nella dialettica della p r a krt i(il principio creativo della natu-ra) si polarizza con r u p a,“sostanza”, il supporto dellamanifestazione formale.

Al sanscrito n˝ma s o n oa ffini il greco ó n o m a, il latinon o m e n, il germanico n a m e,etc. e tutti hanno la stessa radi-ce fondamentale.

Namen equivale a nomina-re, e nominare vuoi dire lette-ralmente “evocare”, una cosao una persona si nominano.

Questa evocazione presup-pone una forza in fieri; questa unica,immensa, forza che permea di sé l’universointero, in termini religiosi altro non è che ilSacro, potere ambivalente che attrae, e alcontempo suscita un irrefrenabile timore (ilmysterium tremendum et fascinans, di cuiparla Rudolf Otto ne II Sacro)4. Che questaforza una, di cui tutte le altre sono semplicimanifestazioni particolari, esista davvero ècosa accettata ormai anche dalla scienzaprofana e sperimentale (fino alla morte Ein-stein cercò di disegnare una teoria unificatadel campo).

Nominare sacralmente, ritualmente,comporta un’esatta modulazione della vocecreativa, la ripetizione su scala dellacosmogonia divina: perciò, nell’ideologiatradizionale arcaica, un nome non potrà

mai essere dato a caso, esso deve corri-spondere all’essenza dell’individuo o dellacosa evocati.

Che la Parola abbia un’intima capacitàcreativa è un fatto oggi accetta-

to anche dai fisici e la scienzaha sostanzialmente conferma-to l’esattezza delle intuizionimitiche del Logos, universal-mente attestate nella storiadelle religioni.

L’unica differenza consi-ste in un problema di linguag-gio, nella scelta dei vocaboli.

Sappiamo adesso, dopo lescoperte della fisica delle par-ticelle, che non si può parlarea stretto rigore di “cose”, ben-

sì di “eventi” instabili, il cuiinsieme costituisce una fitta ragnatela diinterrelazioni energetiche che chiamiamouniverso. D’altro canto sappiamo pure cheogni fenomeno (dal greco p h a i n o ú m e n o n,“ciò che viene alla luce”) assume una formain funzione della frequenza vibratoria, bastache essa sia modificata e il fenomeno saràdivenuto un altro fenomeno. La vibrazioneè, dunque, il segreto creativo nel mondodella manifestazione formale; la vibrazioneè insieme suono e luce e si caratterizza s u bspecie ondulatoria perché lo spazio è curvo(lo Sfero intuito dagli antichi sapienti). Tu t-to ciò che si “materializza” è in realtà un“grumo” di energia predeterminato dallevibrazioni, tutto l’universo vibra incessan-temente. La vibrazione è l’attuarsi dell’e-

4 Rudolf Otto 1998.

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n e rgia, della Forza, nel cosmo: chi vieta diidentificare la vibrazione della scienza conil Verbo creativo, il mito? Chi vieta di iden-tificare l’energia, la Forza presente nelmondo fisico con il Sacro?

L’unico ostacolo è costituitodal linguaggio, dal rifiuto del-l’interdisciplinarità, dalla pre-venzione ideologica o confes-sionale (da qui il permanere delsecolare contrasto tra scienza ereligione).

L’universo è nato da unagrande esplosione, il b i g - b a n g;sotto l’effetto di questa grandevibrazione iniziale il cosmo con-tinua a espandersi. Lo afferma la cosmolo-gia degli ultimi decenni, prove alla mano, edunque dobbiamo crederle. Perché alloranon dovremmo credere, al di là della letteradel linguaggio, alla verità del Fiat Lux, allarealtà del mito della Parola creativa?

Il nome, si diceva, è un’espressioneesemplare del mito, potremmo dire del m i t oin azione; dare un nome a un essere com-porta una grande responsabilità, significaripetere in piccolo l’atto creativo iniziale deld e m i u rg o , nominare qualcuno significa let-t e r a l m e n t e q u a l i f i c a r l o, perché gli si infon-de l’essenza. Così l’onomastica delle origi-ni, la scienza dei nomi, ha carattere sacro, èqualcosa di terribilmente serio con cui nonsarà mai lecito giocare impunemente.

A maggior ragione lo è l’antroponimiaperché riguarda i nomi di persona, nomidivini perché l’uomo è un “dio mortale”.

D’altronde la nozione magico-sacraledel nome si riscontra anche in altre culturetradizionali.

Nel mondo ebraico il nome è s h e m . E s s oequivale all’essenza ed è sta-to lungamente al centro del-le riflessioni cabalistiche. Ilmodello esemplare di s h e m,che ha anche il valoresemantico di “audizione” ècostituito dal “Nome espli-cito” (shem ha - mephorash)di Dio: YHVH. L’ u n i o n espirituale delle quattro lette-re sacre del nome Y H V H ,

che compendiano tutte lerealtà, rappresentava infatti l’unione delNome, cioè l’unione della realtà universale,la realizzazione – come afferma Leo Scha-ya5 – dell’unità totale nel cuore dell’uomo.

Il nome di Dio sostituisce nel pensierocabalistico la parola perduta, esso è invoca-zione oltre che evocazione. Shem r i f l e t t el’essenza della realtà.

Ma anche in Cina, culla di una venerabi-le tradizione sapienziale, il nome è ben piùdi un semplice codice di riconoscimentop e r s o n a l e : ming. Questa parola è polivalen-te nella lingua del celeste impero: ming v a l eper “nome”, ma anche – a seconda dei con-testi – “essenza, luce, destino, tempio”.Questi significati, spesso, si intrecciano fradi loro e non sempre è possibile scinderli.

Gli è che anche in Cina, come nelle altreciviltà arcaiche tradizionali, il nome cela ungrande mistero, il mistero stesso della realtà.

5 Schaya, 1976: 214.

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Ming è l’essenza luminosa dei fenome-ni; ogni ming si rifà al grande M i n g, i l“nome universale”, che viene assi-milato al Tempio cosmico, alTempio dello Spirito.

E che il nome fosse un tempoconsiderato come prezioso e vita-le lo dimostrano anche gli indizilinguistici. Tra questi abbiamo uninteressante “reperto” che rifletteancora il ricordo della “dottrinadel nome”: ignominia.

La parola, nel lessico corren-te, si ritiene sinonimo di i n f a m i ae di obbrobrio. Le equazioni, tut-tavia, sono esatte solo se rapporta-te al piano etico di comune riferimento,improprie se si tiene giusto conto del valoreetimologico del termine.

I g n o m i n i a, dal punto di vista linguistico,è calco del latino i g n o m i n i a, composto dii (n), prefisso con senso negativo, di sepa-razione, e di ( g ) n o m e n, “ n o m e ” . L’i g n o m i -nia è, perciò, una “cosa senza nome”, ovve-ro la peggiore disgrazia che si possa dareper la mentalità arcaica e tradizionale. Incerto modo l ’ignominia corrisponde, inambito morale, alla distruzione ritualizzatadel nome. Come si ricorderà, raschiare da

una tomba il nome del defunto, per l’ideo-logia preclassica, equivale a ucciderne

anche lo spirito, significaannichilirlo: insomma, una“seconda morte”.

Una “cosa senza nome”in realtà non può esistere, èletteralmente un “nulla”.Così l’i g n o m i n i a, nel suovalore semantico, si annun-cia come zero metafisico esi traduce in zero cosmolo-gico: la “nullità” come fon-te del sentimento dell’infa-m i a . L’i g n o m i n i a, quanto a

senso, corrisponde all’infa-mia. Questo termine, infatti, è il contrario dif a m a, calco del latino fama che appartienealla famiglia linguistica dei verbi “fare”,“dire”, “parlare”. Fama è “quel che si dice”,infamia “ciò che non si dice” e che, dunque,non può aver nome perché il nome – l’ab-biamo visto – è il “detto primordiale”, l’e-vocazione sonora originaria.

In questo senso l’infamia è davverosinonimo (dal greco s y n ó n y m o s, “che ha ilnome in comune”) dell’ignominia. E s s econdividono la sorte d’essere “senzanome”.

Riferimenti bibliografici

Eliade, M. (1974) La nascita mistica, Brescia.Martorana, G. (1982-3) Kòkalos, Palermo.Martorana, G. (1985) Il riso di Demetra, Palermo.Otto, R. (1998) II Sacro, Milano.Schaya, L. (1976) L’uomo e l’Assoluto secondo la Cabala, Milano.Van der Leeuw, G. (1975) Fenomenologia della religione, Torino.

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Mazzini e Marx

di Gian Biagio FuriozziUniversità di Perugia

The present contribution examines the dialectic and polemic relationship betweenGiuseppe Mazzini and Karl Marx. The first one always criticized communismbecause “it cancelled all the basic rights”, and promoted an European democracyunder the administration of the wisest men. Marx replied to the Italian patriot inhis Manifesto in 1848. According to the Author the teaching of Mazzini is betterthan the other because it combines the ethic of individual responsability to that ofsocial solidarity.

centenari sono spesso utili per fareil punto sui personaggi (o sugliavvenimenti) di cui si celebra la

ricorrenza. Così, il primo centenario dellanascita di Giuseppe Mazzini dette l’avvio auna ripresa di studi sul suo pensiero e sullasua azione, oltre che alla promozione dellagrande edizione dei suoi scritti.

E va detto che a interessarsi a lui nonfurono solo personalità dell’area repubbli-cana, ma anche quelle dell’area socialista.Sulla rivista di Filippo Turati C r i t i c aS o c i a l e, su quella di Bissolati e BonomiAzione Socialista, e su altre ancora, usci-rono articoli che esaminavano il rapportotra Mazzini e il socialismo.

Allo scoppio della prima guerra mon-diale, furono alcuni esponenti socialisti(Gaetano Salvemini, Ivanoe Bonomi, Leo-nida Bissolati) a riprendere con più convin-zione le sue idee sulla necessità dell’abbat-timento dell’impero austro-ungarico e diuna nuova sistemazione dell’Europa.

Tuttavia, è stato a ridosso di questosecondo centenario che si sono approfondi-ti i rapporti dell’Esule genovese con ilsocialismo, con il comunismo e con lo stes-so Carlo Marx: un rapporto che non puòessere liquidato (come talvolta si è fatto)facendo riferimento soltanto a qualcheespressione ferocemente polemica, comequella uscita dalla penna, non certo tenera,

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dell’autore del C a p i t a l e, secondo cui Maz-zini non sarebbe stato che un “vecchio asi-no reazionario”.

Qualche merito il Genovese loavrà pure avuto, se la parola“Manifesto”, che ancora oggi vie-ne usata in italiano in tutto il mon-do, fu coniata da lui nel 1831 allor-ché fondò la Giovine Italia.

Così come fu lui a coniare iltermine “nazionalismo” e l’espres-sione “tratta dei bianchi”, con rife-rimento ai bambini italiani sfrutta-ti per le strade di Londra. Fu sem-pre lui a utilizzare per primo il ter-mine “Internazionale” per unaassociazione politica comprenden-te vari Paesi, anche se questo ter-mine era stato inventato dall’ingle-se Bentham.

Mazzini e Marx erano accomunati dallacondizione di esuli politici. Entrambi visse-ro a lungo in Inghilterra. E questo Paeserappresentò per entrambi un punto di riferi-mento per le rispettive riflessioni politiche.

Per Marx l’Inghilterra rappresentava laprefigurazione dello sviluppo che avrebbedovuto avere, a suo parere, la società capi-talistica, destinata a uno scontro finale conun proletariato sempre più organizzato ecosciente di sé. Avrebbe dovuto essere, insostanza, il primo Paese socialista (e poicomunista) del mondo. Previsione che,come quasi tutte quelle marxiane, sarebbestata clamorosamente smentita dalla storia,la quale avrebbe curiosamente fatto scop-piare la prima rivoluzione comunista in unPaese arretrato come la Russia zarista, tan-to che Antonio Gramsci l’avrebbe definita

una rivoluzione “contro il Capitale”, intesocome libro…

Per Mazzini, invece, neglianni Quaranta dell’Ottocen-to l’Inghilterra rappresenta-va un modello politico perciò che già allora essa era:cioè uno Stato costituziona-le rappresentativo, basatosu un Parlamento eletto daicittadini (anche se non datutti), su un equilibrio deipoteri e sul riconoscimentodelle principali libertà indi-viduali: di associazione, distampa, di religione, di cor-rispondenza, etc.

A quest’ultimo proposi-to, va ricordato che Mazzi-ni divenne una celebrità, in

Inghilterra, proprio in occasione della vio-lazione della sua corrispondenza da partedella polizia, cosa che provocò, nel 1844,un lungo dibattito in Parlamento e sullastampa inglese.

Se Marx ed Engels teorizzavano l’atei-smo, sappiamo che Mazzini credeva in Dio,anche se non era seguace di alcuna religio-ne particolare. Egli sottolineava più il con-cetto di dovere che quello di diritto. A ff e r-mava il valore della famiglia. Dava impor-tanza alla volontà individuale e ai valorimorali.

Circa la questione sociale, che Mazziniriteneva peraltro essere la questione piùimportante insieme a quella nazionale, tan-to da dedicare I doveri dell’uomo agli operaiitaliani, le differenze con la concezionemarxiana sono ovviamente notevoli, come

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ha dimostrato Franco Della Peruta in nume-rosi scritti, a partire dal classico D e m o c r a -zia e socialismo nel Risorgimento.

Egli non guardava al pro-letariato come attore esclu-sivo del rinnovamentosociale e politico, ma erafavorevole a una alleanzatra ceti medi, operai e arti-giani. Considerava essen-ziale una collaborazione tral’intelletto, il lavoro e ilcapitale.

Più che di proletariato,parlava genericamente dipopolo. Non dedicò troppaattenzione al ruolo dellecampagne. Solo dopo l’Uni-tà, osserva sempre Della Peruta, egli mani-festò maggiore apertura verso il ruolo dellemasse contadine. In ogni caso, per lui l’in-dipendenza dell’Italia doveva venire primadi ogni altra cosa.

Anche se indirettamente, tuttavia, Maz-zini ha svolto un ruolo nella stesura delManifesto del Partito Comunista scritto daMarx e da Engels nel 1848, come ha dimo-strato recentemente Salvo Mastellone.Infatti, tra l’autunno del 1846 e la primave-ra del 1847 Mazzini pubblicò su un giorna-le inglese una serie di articoli dal titolo P e n -sieri sulla democrazia in Europa nei quali ècontenuta una forte e preveggente criticadel comunismo, che avrebbe condotto –predisse – a uno Stato autoritario governatoda una gerarchia arbitraria.

Più che a una dittatura del proletariato,esso avrebbe condotto ad una dittatura del-la classe politica comunista sulla massa dei

cittadini. Egli anticipava così, fin d’allora,la teoria della “nuova classe” che sarebbestata esposta oltre un secolo dopo da Milo-

van Gilas.Il comunismo, aggiunse

Mazzini, avrebbe portato aduna società chiusa comequelle delle api e dei castori,alla soppressione delle liber-tà fondamentali, alla disgre-gazione della famiglia, all’a-bolizione della proprietà pri-vata e al materialismo.

Per replicare a questeaccuse, venne chiamato aLondra il giovane CarloMarx che, insieme a Federi-

co Engels, nel 1848 avrebbedato alle stampe il famoso Manifesto. Giu-seppe Mazzini, dunque, alla metà dell’Otto-cento era al centro del dibattito politico inEuropa.

Nonostante questi contrasti, come sap-piamo, Mazzini e Marx, insieme all’anar-chico Bakunin, furono i promotori della Pri-ma Internazionale, fondata a Londra nel1864.

Questo si spiega con il fatto che la PrimaInternazionale, a differenza della Seconda,non fu composta solo da socialisti marxianima, per l’appunto, da socialisti di varie ten-denze, da anarchici e da repubblicani. Il 1°articolo dello Statuto affermava infatti chea essa potevano aderire tutti coloro che fos-sero interessati alla “emancipazione delleclassi lavoratrici”, tanto che vi aderì ancheGiuseppe Garibaldi.

Certo, si trattò di una coabitazione assaicontrastata, e a tratti vivacemente polemica.

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Polemica accentuatasi in occasione dellaComune di Parigi del 1871, sostenuta daMarx e da Bakunin e forte-mente criticata dal genovese,che ne condannò il carattereviolento, collettivista e auto-ritario.

Nel giugno del 1871, intre articoli sulla Roma delP o p o l o, condannando tanto ilterrore del Comune pariginoquanto la feroce repressionedell’Assemblea di Ve r s a i l l e s ,Mazzini difese la repubblicademocratica fondata sulprincipio del p r o g r e s s omorale, intellettuale, econo -mico da svolgersi per mezzo dell’associazio -n e. Invece condannò la repubblica proleta-ria teorizzata da coloro che in nome dellaquestione sociale fomentavano l’odio, invo-cavano il ricorso alla forza e badavano soloai problemi economici.

Ripropose la repubblica popolare rap-presentativa, per conciliare mediante l’as-sociazione la classe operaia con la classemedia. Respinse infine la lotta di classe,che politicamente avrebbe preparato la dit-t a t u r a .

Pochi giorni dopo, sullo stesso giornale,ribadì che suo impegno era di combattere ilm a t e r i a l i s m o e i sistemi di un socialismoarbitrario, settario, violento, che nega ognitradizione dell’umanità, nega le più sacretendenze ingenite nell’uomo e guida logica -mente all’anarchia e al dispotismo.

Per qualche tempo Mazzini sperò dipoter neutralizzare l’influenza di Marx e,giovandosi delle simpatie che egli riscuote-

va fra i trade-unionisti inglesi, di sostituirsia lui nella effettiva direzione dell’Interna-

zionale. D’altra parte Marxcercò in tutti i modi di con-trastare l’azione mazzinianain Italia, utilizzando anchel’azione concorrente diBakunin, il cui viaggio inItalia fu da lui favorito eincoraggiato proprio, comeconfessò, con l’intento di“porre delle mine” controMazzini.

Il fatto è che Mazzini eMarx erano troppo diversiper temperamento e per cul-tura, oltre che per visione

politica. Marx ostentava un ironico disprez-zo per Mazzini, a cui rivolse in ogni occa-sione ogni tipo di insulti e di nomignoli: lodefinì Teopompo, il buon Giuseppe, sanPiero l’Eremita, arrivando a definirlo l e c c a -piatti della borghesia.

Ma, come ha osservato a suo tempo Nel-lo Rosselli, si tratta di sbeffeggiamenti a cuinon bisogna dare un peso eccessivo, allor-ché si ricorda che era una incorreggibileabitudine dell’autore del C a p i t a l e di rivol-gerli a tutti coloro che attraversavano il suocammino, o che comunque non condivide-vano le sue idee. Nel caso di GiuseppeMazzini, poi, vi si univa una punta d’invi -dia per la immensa popolarità da lui con -quistata in tanti anni di lotta, e di mal cela -to timore per le vaste influenze delle qualipoteva e sapeva disporre.

I due uomini, insomma, erano nati pernon intendersi. E, osserva ancora NelloRosselli, mentre Marx “si studia e si ammi-

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• 75 •Mazzini e Marx, G.B. Furiozzi

ra”, Mazzini “è sentito” in ogni parte delmondo: per la sua sensibilità, per la suaumanità, per la sua larg asimpatia umana. Profonda-mente pervaso di spiritoreligioso, Mazzini conqui-stava i suoi lettori e i suoiascoltatori non tanto e nonsolo con la forza logica delragionamento, quanto conil calore della sua persona -le convinzione, con fre -quenti e sapienti ricorsi alsentimento, all’intuito,alla fede, col tono ispiratodella parola.

Così, se da Marx venneformulata una ferrea leggeeconomica che, se non annulla, certamenteattenua l’influsso dei valori morali, da Maz-zini venne una predicazione di amore; ven-ne il sogno della solidarietà fra le classisociali, una dottrina di educazione e di ele-vazione morale.

Lo stesso Mazzini, pur riconoscendo cheMarx era “uomo d’ingegno acuto”, aggiun-se che questi era di tempra dominatrice,geloso delle altrui influenze, senza forti cre -denze filosofiche o religiose e con più ele -mento d’ira che non d’amore nel cuore.

Nel corso dell’ultimo secolo, numerosiautori hanno cercato di provare l’esistenzadi un “socialismo” mazziniano, anche seassai diverso da quello marxiano: da A u r e-lio Saffi (1905) a Francesco Mormina Pen-na (1907), da Federico Comandini (1914) aOliviero Zuccarini (1922).

Rodolfo Mondolfo, nel classico volumeSulle orme di Marx, effettuò un tentativo

(che Gian Mario Bravo ha definito n o nriuscito anche se elegante e intelligente) di

dimostrare una converg e n z agenerale tra il pensiero deidue autori; ma è significa-tivo che nel volume mon-dolfiano non venga accen-nato all’atteggiamento diMazzini verso la Comunedi Parigi.

In anni più vicini a noi,Ettore Passerin D’Entre-ves ha rinvenuto alcunec o n v e rgenze, in una rela-zione al convegno suMazzini e l’Europa, del1972, dove con equità

mette alla luce le possibili-tà di sviluppo e i limiti dell’insegnamentomazziniano. Vanno infine citati i lavori diAldo Romano, Richard Hostetter, Pier Car-lo Masini e Gastone Manacorda. Resta iso-lata e assai singolare l’affermazione di Pie-ro Gobetti secondo cui Mazzini e Marxsarebbero da considerare i due più autore -voli rappresentanti del liberalismo contem -poraneo.

Quello che si può riconoscere, comeosservò anche Michele Bakunin, è che l’a-zione mazziniana preparò il terreno per lefuture scelte rivoluzionarie di molti giovanigià suoi seguaci. Con ciò concorda GianMario Bravo, secondo cui l’azione di Maz-zini fra gli operai, nelle associazioni, per lacreazione di un partito democratico e repub-blicano, predispose le masse lavoratrici adaccogliere le proposte dell’Internazionale,avanzate da Marx e da Engels fin dal 1847-48, allorché parlarono di un “partito politi-

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co di classe”, e riaffermate poi, dopo l’or-ganizzazione internazionale degli anni ’60,come conseguenza dell’inse-gnamento della Comune.

Ne sarà testimonianzal’evoluzione di personaggicome Andrea Costa e Car-lo Cafiero. È stato osserva-to a questo proposito, chemolti seguaci lo abbando-narono per alimentare leschiere dell’estrema sini-stra, perché Mazzini sareb-be rimasto ancorato ad unatematica valida negli anni’30 dell’Ottocento ma nonpiù nei decenni delle rivo-luzioni democratiche. For-se è vero, ma resta il fattoche gli stessi Marx edEngels, pur nella confutazio-ne accesa, avrebbero recepito dal mazzinia-nesimo quanto esso aveva offerto di costrut-tivo per l’emancipazione e l’org a n i z z a z i o n edel movimento operaio.

Mazzini criticava, con grande chiarezzaed estrema durezza, ogni forma di sociali-smo autoritario, lo abbiamo visto. Ma vaprecisato che, al tempo stesso, egli criticavail liberalismo, per il suo esasperato indivi-dualismo e perché si identificava per lo piùcon il sistema monarchico in generale e conquello sabaudo in particolare. Sottolineavain questo contesto la forma della liberaassociazione democratica dei cittadini, por-tatori certo di diritti, ma anche soggetti aidoveri. Rivendicava per quei tempi unospazio politico tra liberali di destra ed egua-litari di sinistra.

Egli si dichiarò più volte contrario allaproprietà e al capitale accumulati con il

lavoro degli altri, mentre ilvero produttore di benimuore di fame. Protestòcontro i privilegi politiciconcessi ai proprietari ter-rieri e ai capitalisti, come seil denaro – disse – f o s s esinonimo di virtù e di intel -ligenza.

Manifestò, però, rispet-to per la proprietà che fossefrutto di lavoro, credendonel “progresso collettivo” enella democrazia repubbli-cana, la quale doveva mira-re all’educazione, all’asso-ciazione e al progresso, enon all’individualismo.

I teorici comunisti pensano al “mondo”,osservò, invece bisogna occuparsi delmiglioramento dell’“uomo”, richiamandosial problema educativo e riconoscere il prin-cipio religioso della fraternità. Pur accettan-do le istanze di giustizia che erano alla basedi molte correnti socialiste, egli rifiutò sem-pre la lotta di classe e la violenza comemezzo di lotta politica.

Nel Manifesto del partito comunistaMarx afferma che la conquista della demo-crazia consiste nell’arrivo del proletariatoalla condizione di classe dominante. Dueanni dopo, in un suo M a n i f e s t o, Mazzinigli risponderà che occorreva pensare allostabilimento della “Democrazia europea”. Eper lui la democrazia era il progresso di tut -ti attraverso tutti sotto la guida dei miglio -ri e dei più saggi.

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Questa definizione mazziniana dellademocrazia è riportata nelDizionario di Oxford, atestimonianza della suafama nel mondo anglosas-sone.

Scopo finale dellademocrazia, aggiunse Maz-zini, doveva essere lo svi -luppo della vita sociale: unadefinizione che SalvoMastellone, suo massimostudioso contemporaneo,ha giustamente definito“veramente straordinaria”.Possiamo essere senz’altrod’accordo con lui, in consi-derazione dell’importanzache essa ancora riveste per le prospettivefuture dell’umanità.

E a coloro che ancora oggi insistono adaccusare Mazzini di essereun pensatore non piùattuale perché non avreb-be colto l’evoluzione ver -so la società industriale ea considerare attuale,ormai, solo la sua “spintaetica”, possiamo replica-re, con Giuseppe Galas-so, che, soprattutto dopoil crollo del comunismo edelle altre ideologie tota-litarie, l’insegnamentomazziniano resta piùattuale e valido di quellomarxiano, perché riesce a

coniugare l’etica dellaresponsabilità individuale con quella dellasolidarietà sociale.

Riferimenti bibliografici

Bravo, G.M. (1992) Marx ed Engels in Italia, Roma.Della Peruta, F. (1973) Democrazia e Socialismo nel Risorgimento, Roma.Guichonnet, P. (1974) Il socialismo italiano dalle origini al 1914, in J. Droz (a cura di), Storia del

socialismo, vol. II, Roma.Mastellone, S. (1994) Il progetto politico di Mazzini (Italia-Europa), Firenze.Mastellone, S. (2003) Mazzini and Marx. Thoughts upon Democracy in Europe, Westport.Mastellone, S. (2004) Mazzini scrittore politico in inglese. Democracy in Europe (1840-1855),

F i r e n z e .Mazzini, G. (1997) Pensieri sulla democrazia in Europa, a cura di S. Mastellone, Milano.

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La Massoneria russa nella letteratura tra Ottocento e Novecento

di Luigi FerrariSaggista

The Author analyses the works of five great Russian writers who were under theinfluence of Freemasonry: Maksimilian Voloπin, Apollon Grigor’ev, NikolajGumilëv, Michail Osorgin, Osip Emil’evi≈ Mandel’πtam.

attività massonica russadurante la chiusura delle logge,dagli anni Venti del XX secolo

alla rivoluzione del 1905, si manifestasostanzialmente nelle espressioni letterariedi molti scrittori e poeti.

Scrive V. Novikov1, dall’opera del qualeè tratto questo articolo, che il pensiero sullaMassoneria del grande Lev Tolstoj, nonchédi altri letterati classici minori, quali adesempio A k s a k o v, Gon≈a r o v, Pisemskij,contribuì alla idealizzazione di una figura

stereotipata del massone russo: persona diirreprensibile onestà, conferente costantechiarezza alle proprie opinioni sui seducen-ti aspetti della vita. Egli è incline a conside-razioni astratte e mostra aspetti mistici neisuoi scritti. Tuttavia ben scusabili. In pocheparole, continua Novikov, ciò costituisceuna delle varianti più interessanti del “giu-sto russo”.

L’avvicinarsi del Novecento comporta lanecessità di grandi riforme per cambiare lostagnante decennio di Alessandro III.

1 Novikov 1998; si tratta di un’antologia di testi di eminenti massoni russi dal secolo XVIII all’iniziodel XX. Ricordi, articoli di giornale, corrispondenza, lavori poetici. Il libro fornisce un’idea della forte pre-senza massonica nella cultura nazionale.

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Il tempo propone all’ordine del giornoineludibili rivolgimenti. Forze sociali lungi-miranti ora cercano di portare ilPaese verso la modernizzazio-ne, possibilmente evitando l’or-rore di nuove sommosse.

È a questo punto che laMassoneria non soltanto rina-sce ma si diffonde profonda-mente: 1905-1917. La sensazio-ne della tragedia è in queglianni già nell’aria. Tale situazio-ne, certo nuova, viene a cam-biare il carattere dell’attivitàmassonica, ora pregna di fer-mento politico e patriottico.L’attività letteraria non cessa,ma passa in secondo piano.Nelle liste dei Fratelli, nelle log-ge riaperte, non figurano letterati ma parla-mentari (DUMA) del partito dei cadetti,importanti rappresentanti del mondoimprenditoriale.

Ritornando alla letteratura, riferisco, perun esempio, di cinque tra i grandi letteratirussi massoni, citati nell’antologia delN o v i k o v, sufficienti, in un articolo peraltrodi modesta estensione, a rappresentare laforza vitale del carattere e del pensiero diquegli uomini colti che dell’Ordine apprez-zavano in particolare le regole morali, indi-spensabili poi nel campo sociale.

Non tutti coloro che nutrivano forteapprezzamento per la Massoneria eranostrettamente aderenti alla obbedienza. Perun esempio a questo riguardo, Lev To l s t o j

non fece mai parte probabilmente dell’Or-dine massonico, ma ne era estimatore senza

condizioni. Un suo scritto,indirizzato a uno studiosotedesco, tale K. We r c k s h a-gen, sicuramente massone,che fece avere allo scrittorerusso un suo libro, è moltochiaro. Tolstoj esprime, equi sta l’interesse, il suopensiero sulla Massoneria.

1905, marzo, 7 JasnajaPoljana

Gentile Signore!Vi sono molto grato per

l’invio del vostro libro mas -sonico.Mi fa molto piacere, perché

io, naturalmente, fui e sono massone nellemie convinzioni.

Sempre, fin dalla mia prima giovinez -za, io ho nutrito profonda ammirazioneverso questa organizzazione, poiché riten -go che la Massoneria abbia fatto moltobene all’umanità.

Con profonda ammirazione,Lev Tolstoj

Cinque grandi letterati

Maksimilian Voloπin (1877-1932)

Fu massone attivo.Scrive Efin Etkind2 nella sua esposizio-

ne letteraria di questa ricca figura:

2 Etkind 1989.

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• 81 •La Massoneria russa nella letteratura tra Ottocento e Novecento, L. Ferrari

Insolito per la sua generosità istintiva,la sua operosa bontà, la sua intelligenzapronta e la sua brillante,poliedrica cultura.

Vo l oπin aveva tra-sformato la sua casa (inCrimea) in un c e n t r ocreativo aperto a scritto -ri, pittori, artisti e musi -cisti, dove si radunava -no ospiti venuti da tuttala Russia.

Etkind, storico dellaletteratura, scrive diVo l oπin in termini ovvia-mente letterari. Ma quei termini potrebberoben raffigurare la figura massonica.

Nel Paese, anche durante e dopo la rivo-luzione, Vo l oπin vive e opera al di sopradelle parti, sempre prodigandosi per il benee la salvezza degli uomini. Così Novikov:

Dà rifugio a chiunque fosse in perico -lo, indipendentemente dallo schieramentoa cui il fuggitivo apparteneva. S i g n i f i c a t i -ve alcune parole della sua poesia La casadel poeta: La mia casa ha dato rifugiocome un tempio, e accoglieva soltanto fug -gitivi scampati al cappio e al plotone. Unb o l ’πeviko, un ufficiale dei bianchi, parti -giani di fedi avversarie, cercavano qui,nella casa di un poeta, asilo e conforto. Miadoperavo totalmente per impedire ai fra -telli di distruggersi a vicenda.

Vo l oπin diviene massone a Parigi all’ini-zio delle sue “peregrinazioni spirituali”,compiute dal 1905 al 1912. Attraverso ilprisma della Massoneria, il poeta guardaagli avvenimenti drammatici della Russia.

Egli dapprima considera la rivoluzione unagiusta vendetta per i crimini del passato. Ma

tale considerazione sitrasformerà presto inincomprensione dellagrande ingiustizia dicui era causa la diff u s aviolenza.

Vo l oπin si senteviandante dell’univer-so. Egli serba l’idea dimondi lontani dovevuole vagabondare colsuo spirito immortaleassetato di sapere (e già

pregno di cultura).Sebbene il “Cosmismo” di Vo l oπi n

appartenga al cosmismo filosofico russo,egli ha dentro di sé l’indelebile improntadella Massoneria. “I grandi segreti” si apro-no al poeta nella parola. L’opera poetica è laconoscenza della parola.

Quando tu comprenderai di non esserefiglio della terra

Ma un viandante del creato,Che il sole e la costellazione sono sortiE scomparvero dentro di te,Che dappertutto presso gli uomini e le

loro opere langueLa parola divinaChe li aveva richiamati alla vita,Che tu, liberatore delle cose sacreSei venuto per illuminareTutte le menti, prigioniere della materia,Quando capirai che l’uomo è rinatoPer trarre dal mondoIl necessario e la ragioneL’universo della Libertà e dell’AmoreAllora soltantoTu sarai maestro.

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3 Lo Gatto 1963.4 Deli≈ 1989.

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Apollon Grigor’ev (1822-1864)

Scrisse di lui il poeta simbolista A l e s-sandro Blok:

Quanto più forte è unpoeta lirico, tanto piùpienamente il suo desti -no si riflette nei versi.

G r i g o r’ev fu autore-volissimo critico lettera-rio e contribuì al suosviluppo in termini dio rganicità. Fu traduttoredi poeti, quali Heine,Byron e altri. E fu gran-de poeta.

Nei suoi versi, scriveil Lo Gatto3, si riflette ilsuo destino, appunto,tanto che le principalipagine della sua vita sonoleggibili con assoluta chiarezza. Poeta liri-co, ma di profonda angoscia che pochi, del-la sua statura, provavano in quel tempo.Sono gli anni della pesante autocrazia e del-la non libertà dello spirito e del pensiero.

Novikov afferma che le sue idee socialie utopistiche, collegate con un certo roman-ticismo, portarono G r i g o r’ev alla Massone-ria, alla quale egli era peraltro incline pertradizione familiare. Poeta dal forte tempe-ramento, egli è stato la figura tra le piùluminose nel mondo russo tra gli anni Qua-

ranta e Cinquanta. Nella poesia massonicaqui riportata, tratta dal ciclo di poesieG i m n y (I n n i), il poeta invita, con un certopathos, alla ricerca della verità eterna, “latopositivo”, così Novikov, della Massoneria.

La mano, fratelli, nell’oragrandiosa!

Al grido comune, unite ivostri

Liberi ora da legami perituriLasciate la tristezza terrena,Libratevi verso la luce.E sia eterna la nostra unione!

Gloria, onore e cultoAll’Architetto della creazione,Che ci ha creato per operare;Diffondere per tuttiLa luce della verità, la luce

della leggeSacro è il nostro destino.

Voi, uomini della legione divina,In Oriente, in Occidente,Voi, in tutte le parti del mondo!La ricerca della eterna verità,Il bene della costruzioneVivano dunque nei nostri cuori.

Nikolaj Gumilëv (1886-1921)

L’arte fu inscindibilmente legata alla suavita. La grande poetessa russa Anna A c h-matova fu la sua prima moglie4.

Autorevole esponente della corrente let-

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• 83 •La Massoneria russa nella letteratura tra Ottocento e Novecento, L. Ferrari

teraria acmeista5, egli può essere considera-to, scrive Novikov, il più massone tra i poe-ti russi. La formalità documentale relativaalla sua iscrizione all’Or-dine dei Liberi Muratorinon è più rintracciabile,probabilmente a causadelle drammatiche vicen-de di quel tempo.

Sulla figura massoni-ca di questo grande poe-ta, che occupa un postoimportante nella lettera-tura russa del primoNovecento, vi è un c o r -p u s inequivocabile, per-ché tutta la sua opera etutta la sua vita sono pro-fondamente impregnatedi spirito massonico.

Gumilëv verrà fucila-to dalla E-KA perché rite-nuto, senza fondamento,colpevole di attività anti-bol’πevika. Ungrande libero spirito non fu capito, proba-bilmente dati i tempi, e non fu accettato.Bella è la sua poesia:

Talvolta, altezzosamente e caparbia -mente

Dentro di me grida un Adamo cadente,Ma chi ha visto il giglio di Hiram, non

intristisce per giardini fiabeschi,Ma religiosamente innalza le pareti del

tempio,Necessario alla terra e al cielo.

In tanti ci siamo qui riuniti con imaglietti,

E insieme abbiamo lavorato con gioia;L’amore adamantino

che ci ha, forgiando, uniti,È più forte e chiaroE muove ali bianche di

neveCome quelle di cigni

straordinari.

Nel tempio solenne emeraviglioso,

Si respira l’incensomentre l’organo canta;

Splendono aureole;nuvola risplende

Di candele accese e disole, velo iridato;

E la voce del Maestroci parla,

A noi, Muratori diogni tempo e di ogni pae -s e.

Michail Osorgin (1878-1942)

Nella Massoneria russa del XX secolonon si incontra di frequente una persona -lità affascinante come quella di MichailOsorgin. Il suo nome è avvolto da un’au -reola di rettitudine.

Avvocato, fu membro, per un breveperiodo, del partito dei socialisti-rivoluzio-nari, adesione che gli costerà la prigione eun primo periodo di esilio. Vive in Italia

5 Acmeismo (anche Adamismo): movimento letterario russo, fondato nel 1912 da Gumilëv eGorodeskij. Viene a contrapporsi al simbolismo. Si veda Gumilëv nella Storia della letteratura di cui sopra.

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diversi anni. Ritorna in Russia nel 1926. Làpartecipa attivamente nell’opera contro lafame, spettro negli anni buidella guerra e della rivolu-zione. Fu uno dei dirigen-ti del “Comitato panrussoper l’aiuto agli affamati”.

Negli anni Venti, que-sta organizzazione, cheaveva aiuti dall’Occiden-te, fu ritenuta tuttavia peri-colosa dai rivoluzionarirossi. Osorgin passerà duemesi alla Lubjanka. Pocotempo dopo lascerà persempre la sua Russia.

Scrittore di fama6, eglilo diviene piuttosto tardiper le difficoltà della suavita che si riflettono nellaeconomia (perde il padre ele sostanze). Riesce intan-to a sostenersi facendo il giornalista. Nelperiodo italiano, egli è corrispondente dellaimportante rivista Russkie Vedomosti (I lmessaggero russo), attivo in Russia dal1863 al 1918.

Scrittore di valore, Osorgin si imponegià con il suo primo romanzo Un vicolo diM o s c a. Suoi altri famosi romanzi, quali: I ltestimone della storia, Il libro della fine,Stagioni e altri.

Ancora in Italia, lo scrittore, intorno al1916, viene iniziato alla Massoneria, nellaLoggia “XX Settembre”, nella quale, sidice, sia stato anche Byron. In Russia, egli

entra nella Loggia “Severnaja Zbezda”(“Stella del Nord”), attiva fino alla rivolu-

zione. In questa Loggia,egli è Oratore e poi Mae-stro Venerabile. In quelmomento, Osorgin siassume l’impegno di uni-ficare tutta la Massoneriarussa in un’unica entità.

Non possono nonessere citate le sue parolesui Liberi Muratori:

La Massoneria non èun sistema di posizionimorali, né un metodo perconoscere; non costitui -sce una scienza di vita,né una dottrina. […] L afratellanza dei liberimuratori determina unaorganizzazione di perso -

ne che credono nel perfe -zionamento della umanità.

La via verso tale perfezionamento pas -sa attraverso l’auto-perfezionamento e ilrapporto fraterno col quale tutti si impe -gnano in questo lavoro. Ciò significa:conosci te stesso; lavora su te stesso; aiutail lavoro dell’altro; beneficia del suo aiuto;ingrandisci le fila di coloro che credono inquesta alta idea. In un modo o nell’altro,l’unione morale di mutuo aiuto. In altreparole, la fratellanza dei liberi muratori èuna alleanza di gente attiva, unita alloscopo di perfezionare se stessa, nonché ilmondo.

6 Ossorgine 1990.

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Cito alcuni suoi scritti sulla Massoneriatratti dal Novikov: Discorso del 24 febbraio5 9 3 6, Concezione simbolica del mondo,Discorso del 30 gennaio 5936,Stella del Nord, Rituale e tra -d i z i o n e, Confessione del Mae -s t r o, La via del libero murato -re russo. Un suo celebre rac-conto, Volnyj kamenπ ≈i k (I llibero muratore), illustra l’ap-porto evolutivo del tema mas-sonico nella letteratura. Osor-gin non reggerà più a lungouna esistenza travagliata dallaindigenza dell’ultimo periodoe da una salute malferma.Muore in Francia nel 1942, a64 anni, nel tempo dellapesante occupazione nazista.

Osip Emil’e v i≈ M a n d e l’πtam (1891-1938)

Costruisco, perciò sono giusto.

Così ebbe ad affermare il poeta, il qualenon mancava di esplicitare il suo pensieromassonico: con la pietra viene fondata lacostruzione.

Aperto massone, egli non risulta dalladocumentazione sparsa del tempo, cosìcome non risulta quella riferita a Gumilëv,di certo tenutisi in posizione riservata7. Gliscritti di Mandel’πtam, riferisce Novikov,sono pregni di simboli e riferimenti mas-s o n i c i .

Il poeta fu molto vicino a Gumilëv e conlui, con Anna Achmatova e Sergej Gorode-skij, costituisce la “Corporazione dei Poeti”

(Cex Poetov), da cuiscaturirà l’akmeismo (oadamismo), ossia l’ac-me dell’espressionepoetica (1911-1912).

Scrive Mandel’πt a m :

L’Akmeismo è percoloro che, avendo spiritodi costruire, non manife -stano paura per il peso cheil lavoro comporta, ma congioia lo sopportano, al finedi far fiorire, utilizzando -le, le forze dormienti. Noiintroduciamo il gotico nel -le parole, così come Seba -

stian Bach lo ha portato nel -la musica. Il poeta è come il muratore, poichécome si fa con la pietra, il poeta dirozza la paro -la che è il suo materiale da costruzione. Sotto lemani dell’architetto, il “sasso” si trasformasostanzialmente.

Il suo scritto Il mattino dell’akmeista(Utro akmeista) è infatti impregnato di sim-bologia massonica. Le metafore “costruzio-ne del tempio” e “sbozzatura della pietragrezza” sono significative di per sé. Loscritto, destinato a divenire uno dei manife-sti della nuova corrente letteraria, fu scarta-to dalla critica!

È pure chiaro, così Novikov, che la poe-sia massonica di Mandel’πtam presenta un

7 Lo Gatto 1963.

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aspetto filosofico speculativo. La poesia sirivolge all’intelletto e non al sentimento.Uno dei basilari oggetti della riflessionediviene la parola, quale porta-voce dei segreti divini. PerM a n d e l ’πtam, la parola appar-tiene al principale indirizzodel “lavoro spirituale” delmassone.

Un esempio lo si constatanei versi di Notre-Dame:

Labirinto naturale, boscoincredibile,

Abisso razionale dello spi -rito gotico,

Forza egizia e cristianatimidezza,

Vicino al filo di giunco – quercia eDappertutto verticalità.

M a n d e l ’πtam fu il creatore di uno deisistemi poetici più elaborati e originali dellaletteratura del XX secolo. Definito da Novi-kov poeta per poeti.

Un accenno ad alcune sue opere:K a m e n’ (P i e t r a), prima raccolta di poesie.T r i s t i a, il poeta voleva intitolare tale rac-

colta Vtoroj kamen’ (Seconda pietra). Versidefiniti dalla poetessa S. Pernok una scul -

tura fatta con le parole. Slovoi kul’tura (La parola e lac u l t u r a). Ùetviortaja prosa(Quarta prosa).

Nasce a Varsavia dafamiglia ebraica dellam e d i a - b o rghesia. Crescein Russia, a Pavlosk e aP i e t r o b u rgo. È arrestatouna prima volta nel 1934 eresta per tre anni in sog-giorno coatto. Nuovamen-te arrestato nel 1938, èdeportato in Siberia, dovemuore il 27 dicembre di

quello stesso anno. Il grandepoeta e persona fiera e integerrima, non cer-to duttile al servilismo “cortigiano” sovieti-co, proprio dei molti, finisce la sua vita inun campo di transito nei pressi di V l a d i v o-stok. Doveva raggiungere l’infernale zonadella Kalyma, al cui centro, Magadan,nome forse ancora sinistro all’udirlo, aff l u i-vano i deportati (da impiegare nella ricercadell’oro), ormai scheletri umani di ghiaccio.

Riferimenti bibliografici

Deli≈, I. (1989) N. Gumilëv, in Storia della letteratura russa. Il Novecento, vol. 3.I, Torino.Etkind, E. (1989) M. Voloπin, in Storia della letteratura russa. Il Novecento, vol. 3.I, Torino.Lo Gatto, E. (1963) A. Grigor'ev, in Storia della letteratura russa moderna, Milano.Lo Gatto, E. (1963a) O. Mandel'πtam, in Storia della letteratura russa moderna, Milano.Novikov, V. (1998) Masonstvo i Russkaja Kul’tura, Mosca.Ossorgine, T. (1990) M. Osorgin, in Storia della letteratura russa. Il Novecento, vol. 3.II, Torino.

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Centralità del sole e centralità dello Spirito: tutte le religioni sono sorelle e coessenziali.

Onnipresenza dello Spirito: impossibilità dell’ateismo.

di Vincenzo TartagliaSaggista

The enlightened beings are often looking for similar people in order to re-establishthe ancient harmony and find the way to immortality. The desire which guides usone towards the other is an aspect of religion, as the object of our search is theGreat Architect, the universal soul which permeates everything. Because of theomnipresence of the divine spirit, no man has to be considered a-theist. A manwithout God has probably never existed: the unconsciousness of our deep soul iswhat we wrongly call atheism; but we can awake our soul and free it from theinner darkness.

el suo universo, il sole materi-ale occupa la posizione cen-trale; la “Luce vera” è al centro

della filosofia massonica: vi è analogia,come sappiamo, tra il sole e la Luce mas-sonica.

Secondo la visione spirituale, al centrodel nostro universo è infatti non solamenteil sole, ma il Sole, lo Spirito onnicompren-sivo che dà la sua impronta alle infinite cosee manifestazioni, religioni comprese. Tu t t ele religioni della Terra portano dunque nel-l’essenza, come eterno retaggio, un unicosigillo: è lo Spirito del Sole, modello diogni religione così come il Venerabile, Solesimbolico nel Tempio, è modello per tutti i

Fratelli secondo, ovviamente, la percezioneche ognuno ne ha.

Come dunque ciascun Fratello rappre-senta idealmente un’emanazione e una par-ticolare copia del Venerabile, simbolica sor-gente di Luce, così ciascuna religione è lacopia dell’unico Modello, Spirito animato-re di tutte le religioni. E poiché l’onnipre-sente Spirito è inalterabile solamente quan-do è al riparo dalle aggressioni del divenire,bisogna pensare che la Religione-Modellosi concentra e sopravvive integralmente sol-tanto negli immobili “centri” delle sfere,dall’ideale Cielo fino alla Terra, dalla con-dizione assimilabile alla Gran Loggia finoalla Camera di Apprendista.

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Anche i luminosi esseri delle alte sferehanno peraltro la loro religione, per il fattostesso che anelano a riunirsi al Centro spiri-tuale dell’Universo (G.A.),sublime condizione divina,così come nel Tempio iMaestri Liberi Muratoriaspirano al Trono del Ve n e-rabile. Da Ermete, ispiratoredegli eletti, pure apprendia-mo che l’alto rispecchia ilbasso, e viceversa, sicché,se vi sono religioni sullaTerra, non dobbiamo esclu-derle nel Cielo: mentre peròsulla Terra esse sono nume-rose, mostrano volti diff e-renti e quasi sempre si guar-dano in cagnesco, nel Cielo tendono a fra-ternizzare (Compasso, Aria) per avvicinarsisempre più all’Unità (G.A.), a quel Model-lo che è la Religione Ideale (Libro).

Quale è dunque, sul nostro pianeta, lareligione più conforme alla Religione-Modello? È evidentemente quella più spiri-tuale e meno formale. La religione invecepiù asfissiata dalle forme esteriori è decisa-mente la più oscurata e, vorrei dire, la menofedele, dal momento che la materia sviliscee rende irriconoscibile ogni idea, ogni for-ma spirituale.

Quando poi la materia raggiunge il mas-simo dell’invadenza e dell’aggressività,come è riscontrabile a livello terrestre, allo-ra non resta allo Spirito che attendere sag-giamente, secondo la sua natura, ritirandosie fingendo di dormire nell’attesa del risve-glio. Lo spirito è invero “in sonno” negli

sfarzi ossessivi, nelle ricchezze abbaglianti,nelle multiformi espressioni artistiche ditroppe chiese cristiane, come lo è nei tanti

simboli massonici che dannovita e profondissimo signifi-cato al Tempio.

Quale è allora lo scoporeale (ma nascosto) di taliapparenze, di fronte alle qua-li l’uomo si sente come eva-porato, inconsistente, impo-tente, turbato ai limiti deldisgusto? È esattamentequello di portare l’individuo,non uno qualsiasi ma proprioil più spirituale e il meno“esteriorista”, alla condizio-ne di provare appunto nausea

verso la materialità in genere, in modo chelo spirito di lui, vantaggiosamente dedican-dosi alle cose spirituali, possa su questeriversare tutto il fuoco dell’amore.

All’eletto Fratello, in cui è acceso il dis-gusto per le esteriorità, le chiese cristiane ei templi massonici mostrano oramai il veroe il migliore volto: proprio quello preceden-temente nascosto dalle apparenze, le primepurtroppo a sorprendere e conquistare l’ani-ma umana indebolita e deviata, non illumi-nata, non libera. Perché trasferisca la cono-scenza dall’esterno all’interno delle cose,l’anima deve tuttavia avanzare sul cammi-no iniziatico, superando le prove.

Ciò implica che essa gradualmente siliberi persino della Tradizione iniziatica, laquale invero, se da una parte è un aiuto, dal-l’altra rappresenta una deviazione: deveinfatti pur esserci differenza, tra la condi-zione di chi apprende la centralità del Dio-

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Sole dagli scritti (o dalle dirette rivelazioni)degli iniziati, e la condizione di chi è inve-ce in grado di contemplare direttamentequesta Luce e questa Verità!

Per comprendere lo spiritodella religione massonicaoccorre far parlare inizial-mente gli scritti e i simboliiniziatici, vasi di verità; deb-bono dunque tacere, al con-trario, le nostre teste: la mianon meno della vostra. E cosamostrano i simboli? Che all’i-nizio e alla fine dei “Lavori”è il Libro: significa che leidee stanno alla base di ognirealizzazione. Tra esse brillaspecialmente, secondo Plato-ne, l’idea del Bene.

È necessario che sulla Terra ogni idea sitrasformi in ideale, in un barlume di Luceper il quale vivere, lottare, costruire e maga-ri distruggere, allo scopo però di ricostruirecon più perfezione.

Così la Religione-Idea si trasforma, alivello terrestre, nell’ideale dell’Amore:ogni atto, pensiero o sentimento che rispec-chi questo ideale, esprime quindi nellamaniera meno confutabile la Religione-Idea. Dal momento allora che l’Arte Mura-toria, nella sua più elevata espressione, hacome finalità esattamente l’Amore, midomando come e da chi possa essere taccia-ta di ateismo!

Se gli atei esistessero realmente, potrem-mo tutt’al più trovarli tra i Massoni, nonperò tra gli autentici “Artisti Muratori”,individui altamente ispirati, in grado di

avvertire la presenza dello Spirito sia in sestessi che nella natura sensoriale, lasciando-si da esso guidare.

Tutto ciò che divie-ne è governato dallalegge della duplicità,avente relazione colCompasso: il qualeinfatti può girare nelsenso orario e antiora-rio. Significa che ognicosa è nel contemporeale e illusoria: è rea-le, diciamo così, nelsuo interno occulto; èillusoria esteriormente,secondo le apparenze.Anche gli insegnamen-

ti di Gesù sono duplici,in tal senso, e quando non conducono l’ani-ma umana nell’interiorità essenziale delCristo, dello Spirito cioè che ha “visto” ilPadre, sono essi stessi devianti e persinopericolosi!

A causa della sua intrinseca duplicità,l’Istituzione massonica è a sua volta passi-bile di apparire irreligiosa a chi la conosceperò soltanto esteriormente, secondo cioè lastoria e il divenire; invece in quanto A r t eMuratoria, quindi nella sua interiore enascosta essenza, la Massoneria si identifi-ca con la Luce vera, lo Spirito di Dio.Quando questa Luce s’irraggia nel centrospirituale dell’uomo, allora l’io si sveglia e,prendendo coscienza di sé e della Luce, concui ha affinità, spicca per così dire il voloalla ricerca di Dio, per riunirsi a Lui. Que-sta è dunque la religione “umana”: tendere

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verso Dio, essendo assistiti inizialmentedalla coscienza “umana”.

Sennonché vi sono, come possiamointuire, altre espressioni religiose per il fat-to stesso che gli stati dicoscienza non si limitano aquelli che, in quanto esseriumani, sperimentiamo nor-malmente durante le ore diveglia, quando siamo esclu-sivamente e completamen-te “umani”, intendo autoco-scienti e razionali: sappia-mo d’altra parte che vi sonouomini più assimilabili aglianimali; altri, più illumina-ti, nei quali addirittura glidèi stessi si riconoscono eamano sostare.

Non bisogna a questopunto dimenticare i veri eletti iniziandi, iquali, lungo il cammino iniziatico, debbonoaccendere e sperimentare superiori stati dicoscienza capaci progressivamente di gui-darli, sfera dopo sfera, e d’illuminarli nellacomprensione.

Avanzando, non diventano forse gli ini-ziandi sempre più divini, in maniera che illoro sentimento di Dio parimenti si confor-mi gradualmente alla Religione-Idea?

Dal momento che la coscienza di Pitago-ra era più estesa e illuminata rispetto a quel-la che assiste una comune persona, comepuò quest’ultima condividere la “visione”che quell’iniziato filosofo aveva di Dio?Chi d’altra parte vede l’universo con l’oc-chio spirituale, neppure si accontenta di unDio che appare limitato quanto l’uomo e lanatura materiale. È vero che l’Assoluto è

nel particolare quanto nel Tutto; è pur veroche il “particolare” deve universalizzarsi,spiritualizzarsi, appunto per avvicinarsisempre più all’inarrivabile Tutto.

Possiamo assimilare ilcammino religioso dell’uo-mo a una piramide, di cui lacoscienza dell’io (autoco-scienza) occupa la base eDio la sommità. Ma sicco-me la Costruzione è infini-ta, parimenti deve essereinfinita l’aspirazione a Dio:una volta quindi raggiuntala sommità, questa perdeper così dire la punta e ridi-venta base!

Quando dunque lo spiri-to umano si riunisce all’i-

deale apice della piramide, evede spiritualmente il Dio che aveva imma-ginato, intuito, desiderato, scopre pure chequel Dio non è Dio, l’Assoluto, ma soltantouna Sua manifestazione! Lo scopre grazie auna nuova coscienza, “universale”, capacedi scrutare oltre l’universo solare, negli uni-versi dell’infinita catena.

È possibile vivere “senza” Dio?Senza Dio è solo colui che è senza Spiri-

to; la qualcosa è però impossibile, data l’on-nipresenza dello Spirito divino. È invecepossibile non accorgersi di Dio: sicché ilmaterialista ateo non è senza Dio, ma èpiuttosto ancora privo della coscienza diaverLo già in se stesso! Nell’ateo, lo spiritoè ancora dormiente e non fa sentire la suavoce: voglio dire la coscienza, nostra senti-nella e maestra.

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Chi invece è sufficientemente assistito eilluminato dallo Spirito, non può non avver-tire la presenza di Dio: tale presenza è allaportata non della mente superbamente sepa-rata dal cuore, ma proprio delcuore semplice e puro che,votato all’altruismo, ha, per ilbene stesso dell’uomo, sottrat-to alla mente le forze conosci-tive. Infatti Dio è nei nobilisentimenti, piuttosto che nel-l’arrogante raziocinio quandosi esercita e s’intestardisce neisuoi equilibrismi pur di con-tentare, in fondo, se stesso.

Non è senza Dio il Fratelloche, negando un PrincipioCreatore, l’anima, lo spirito,l’oltretomba, fa intanto brilla-re e vivere nel cuore la carità, la pietà, lospirito della tolleranza, della fratellanza edell’amore.

La religiosità non è un concetto daaccettare o respingere con la mente, ma èquotidianità vissuta virtuosamente secondoil Bene. È in tal senso certamente irreligio-so il raffinato teologo la cui scellerata esi-stenza, distaccandosi dalle sue alte conce-zioni mentali, offende Dio. È invece reli-gioso, da lodare e imitare, il sempliciottoche ignora Dio, vivendo però altruistica-mente nella semplicità, nell’umiltà, rispet-tando tutti gli esseri viventi e tutte le cose.

Fu papa e cristiano quell’Alessandro VIdai costumi oltremodo licenziosi, il qualeebbe quattro figli da Vannozza Cattanei; usòcon disinvoltura i soldi del giubileo (1500),per appoggiare le ambizioni del figlio Cesa-

re; scomunicò il Savonarola, non restandoprobabilmente estraneo alla sua morte etc.

La domanda è: all’umanità è davveronecessario un individuo

come il papa A l e s s a n d r oVI il quale, pur parlan-do di Dio e rappresen-tandoLo sulla Te r r a ,agiva come se una giu-stizia divina non esi-stesse né in questa né inqualche altra vita?

Vissuto prima delCristo Gesù, Socratenon poteva essere népapa né cristiano, ma èuniversalmente ricono-sciuto un uomo saggio evirtuoso malgrado il ten-

tativo del poeta comico, Aristofane, di farlopassare per ateo. Ditemi allora: gli uominicapaci di pensare liberamente, rimpiangonoSocrate oppure il papa A l e s s a n d r o ?

A Dio non importa come un uomo èdefinito o si definisce, bensì come agisceverso il prossimo. In realtà noi siamo comeci comportiamo, poiché il linguaggio delcomportamento è più veritiero delle parole,le quali portano l’inganno nella loro stessanatura.

Non sono pochi i Fratelli che credono inDio e confessano il loro timore nella Suagiustizia: bene! Ma il vero Dio d’Amorenon gradisce tale credenza e tale confessio-ne, se la condotta di quei Fratelli è misera-mente offuscata e ricoperta dal materiali-smo, dal fanatismo, dall’egoismo, in unaparola dai vizi accesi e alimentati dalla peg-giore natura umana (pietra grezza)! Ci chie-

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diamo: se un Fratello “credente” non è inti-mamente ispirato dalla Luce della virtù, nonmosso dalla sua forza, da chi o da cosa èguidato? A chi o cosa cre-de? Ha forse trovato Dio, opiuttosto deve ancora mol-to avanzare e cercare,soprattutto scrutando in sestesso?

Per contro, vi sonoindividui non credenti chepur vivono secondo l’amo-re altruistico, l’autosacrifi-cio e altre rare virtù: sonoessi senza Dio?

Dio è in ogni spirito,quindi in ogni vivente; è inogni cosa apparentementeinanimata, quale sembraessere la natura che nasconde in realtà lospirito di vita. Dov’è quindi l’ateismo, senon nell’incapacità dell’anima umana divedere e riconoscere lo Spirito? Lo Spiritodi Dio è persino in una pietra, il cui spiritoaddormentato è però incosciente di tale pre-senza! La pietra è “senza” Dio, oppure ne èmomentaneamente incosciente, solomomentaneamente?

Tutti i viventi siamo del resto nell’atte-sa, in alto come in basso, poiché un puntoconclusivo, terminale, non sussiste per nes-suna cosa. La piramide a punta è solo quin-di, sotto questi aspetti, un’illusione: se fos-se simbolo della Realtà vera, l’Arte Mura-toria non postulerebbe la Costruzione infi-nita! Ma poiché appunto costruiamo infini-tamente, essendo lo spirito umano illimita-to, ecco che ognuno vive nell’attesa, aspet-tando l’ignoto.

Già questa attesa è tuttavia religione,tanto più pura quanto più sincera è l’attesa.

Un giorno lontano, la coscienza si sve-glierà nella pietra: alloraquesta potrà contemplareDio da vicino, e scopriràtutta la sua religiosità unavolta potenziale e dor-miente.

Neppure è “senza”Dio l’uomo la cui anima,avendo dimenticato diessere essa stessa Spirito,vive nell’incoscienza diDio. Pur infatti neimomenti in cui l’anima èpersa nell’oblio e sembrastaccata dal suo spirito, da

questo dimenticata, Dionon l’abbandona e resta anzi amorevolmen-te sonnecchiante nel seno di essa, tenendo-la in vita.

Se qualcuno ti accusa di ateismo, Fratel-lo, è solo perché nella sua arroganza, e nel-la cecità interiore (benda), crede di cono-scere Dio e di piacerGli. È come se ti dices-se: Io ho un Dio, poiché ne riconosco in mel’immagine. Tu credi invece in un astrattoSpirito senza immagine, dunque sei ateo!

Così parla un materialista, incapace diuscire dal suo io. In realtà quell’individuoha trasferito all’esterno i suoi umani attri-buti, e il risultato di questo “passaggio” èappunto Dio: la copia di chi Lo ha fantasti-cato! Costui dunque, che crede di piacere aDio, in verità ama piacere a se stesso, equando ti accusa di ateismo è perché hariscontrato (in te) caratteristiche che si dis-

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costano dai suoi preconcetti, deducendo cheDio è con lui e non con te: la qualcosadimostra che quell’indivi-duo adora se stesso, manon prova amore per te.

Se realmente Dio loilluminasse, quell’arro-gante signore ne perce-pirebbe l’immensità, loSpirito Onniforme, e siguarderebbe dal confe-r i rgli un’immagine spe-cifica, precisamente la“sua” immagine umana!È dunque una limitatavisione che impedisce aun individuo di scrutarenella visione di un altro.Se però sei tu stesso uneletto, se quindi hai entro di te il Sole che tipermette di guardare con lo spirito nelloSpirito, non può sfuggirti questo: che tuttigli individui sono nati per contemplare Dio,e che Dio è all’interno e non all’esterno del-l’uomo.

Come vedi, è davvero impossibile vive-re senza Dio!

Deduciamo che gli atei non sono maiesistiti e mai esisteranno, e che l’ateismo èsolamente un preconcetto materialistico:quello secondo cui lo Spirito non esiste mail caos, l’occhio cieco che ci guarda e nonvede! Tale preconcetto nasce dalla mancatavisione di Dio, non già dalla Sua assenza:dunque l’ateismo non è “privazione” di Dioma “cecità” di fronte a Dio.

L’Arte Muratoria che aiuta il Profano asciogliere la benda, è la Luce che sollecital’anima a cercare Dio ovunque, data la Sua

onnipresenza. Tale ricerca parte da unavisione istintiva e nebulosa, la quale gra-

dualmente si trasforma inuna visione chiara e ragio-nata; poi questa visione,tipicamente umana, a suavolta si eleva a una visio-ne contemplativa, intuiti-va secondo la Luce, fino aculminare nella Rivela-zione.

In che consiste questa? Alla fine dell’inizia-

zione di Entrata, il Ve n e-rabile (simbolico Dio del-l’universo) rivela al Can-didato di essere suo fratel-lo. Che significa? Che,

nella Realtà occulta, all’api-ce della simbolica piramide non è Dio, ilPadre Assoluto, ma soltanto un Suo figlio,uno degli anziani Figli. Capisci, illuminatoFratello, queste meravigliose e terribiliparole del Venerabile?

Gli eletti Fratelli che attualmente perce-piscono ormai coscientemente Dio nellospirito, non Lo hanno invero sempre chiara-mente percepito! Tuttavia Dio era con loroanche quando la coscienza, ancora crepu-scolare, negava loro la divina visione. Era-no essi atei, e ora sono credenti? Oppureerano “bendati”, ma ormai senza benda?Ancora una volta occorre distinguere leparole dai reali contenuti ai quali esse fannoriferimento: non vi sarebbero guerre di reli-gione se tutti i credenti fossero fedeli alloSpirito Universale indescrivibile, anziché aquesto o quel dio che essi pretendono didescrivere e magari d’imporre.

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Si combatte e si uccide sempre e soltan-to in nome della materia, anche se non ce nerendiamo ben conto: la forza del-la materia infatti spezzetta,divide, differenzia. Chi invecegrazie allo spirito ha la visioneunitaria e totalizzante del Dio-Sole, Centrale e Unico, Sorg e n-te di vita, Spirito Onniforme,non indietreggia di fronte adalcuna possibilità di costruire eamare, poiché la forza dellavisione finisce col trasformarsiin coraggio e forza d’Amore.

Sennonché persino questoDio-Sole (G.A.), unitario in sestesso (Libro), è sottoposto alladuplicità del simbolico Com-passo quando, venuto ilmomento, manifestandosi attra-verso il divenire (Creazione) si riversa all’e-sterno, nell’infinito spazio, per poter essereconosciuto dalle creature e per conoscersi.La forza del duplice Compasso fa sì che ilGrande Architetto sia allora visto secondo ilbene o il male, la Luce o le tenebre: è anchea causa della nostra visione duale che Diodiventa Dio, e che l’Amore viene oscuratodall’ombra del suo opposto.

Ciò non deve stupire, poiché il sole cheillumina non rifiuta neppure di offrirci lasua ombra! È per questo motivo che il Diocreatore di vita si trasforma nel Dio creato-re di morte: può questo Dio, dal duplicevolto, essere il vero Dio d’Amore?

Proprio a causa di tali bivalenze, nelTempio non è consentito parlare di religio-ne. Se vuoi fare del bene, Fratello, sarà dun-que meglio che tu metta ormai a tacere le

tue conoscenze e, estraendone i “mattoni”d’amore, ti consacri alla costruzione del

tempio umano! Se nutri buoneintenzioni, e se perseveri,l’invisibile mano dell’Amo-re verrà prima o poi in tuosoccorso.

Vi è una Religione uni-versale per il fatto stesso chevi è un Sole centrale, spiri-tuale, da cui siamo attirati erichiamati: questa Religione-Modello possiamo chiamar-la, rifacendoci alla nostraLuce massonica, Religione-Luce, intendendo lo Spiritodell’universo che manifestase stesso tramite la Saggezza

e l’Amore. Quanto più dun-que un pensiero è lontano dallo Spirito diSaggezza e d’Amore, tanto più mostra isegni dell’irreligiosità. È come dire: la mas-sima espressione di religiosità è nell’Unità,nel Centro dell’universo, in cui è già assi-curata l’unione degli esseri con lo Spirito,Dio di tutti i viventi, persino dei ladri, deimalvagi, degli atei! Mentre infatti l’amoreumano ha un culmine, l’Amore di Dio è illi-mitato quanto la Sua Essenza, sicché l’uo-mo, per comprendere quell’Amore infinito,deve proprio costruire e perfezionarsi illi-mitatamente: la “Costruzione senza fine” èun concetto massonico; o no?

Nell’Unità, da cui ogni religione proce-de come un raggio dal sole, tutte le religio-ni possono convivere nella Pace e nell’Ar-monia, essendo unite dalla Forza onnipo-tente dello Spirito: in questo senso diciamo

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che il Libro simbolizza la Religione-Luce,Unica e Universale, ossia la riunione dellereligioni e delle fedi.

Ma quando il Compassosi apre, per diffondere sim-bolicamente nell’universo laLuce del Libro, ecco che ledualità affiorano e si attiva-no; si moltiplicano altresìformando coppie infinite,alimentando contrapposizio-ni infinite. Le odiose guerredi religione sono appuntodovute all’incredibile forzad i fferenziante della grezza ecieca materialità, che sullaTerra si oppone drastica-mente allo Spirito: questoinvero troneggia invisibilmente nella partecentrale e più pura di ogni religione, persi-no del fanatismo; la materialità spadroneg-gia invece nella parte “esterna”, visibile eillusoria.

Siccome però sulla Terra le forze dellamateria prevalgono su quelle dello spirito,specialmente gli individui “bendati” sonopiuttosto inclini a cogliere le sfumatureesteriori che differenziano le religioni, anzi-ché la spiritualità che le riunisce! Se fosserealmente illuminato secondo l’avvolgenteLuce (“intorno a noi”), propria al suo Gra-do, un Maestro Massone non avrebbe diffi-coltà ad afferrare lo Spirito unitario dellereligioni.

Se riflettiamo non con la mente masoprattutto con il cuore circa la centralitàdel sole fisico, e per analogia circa la cen-tralità dello Spirito della Religione, certa-mente eviteremmo molti guai sulla Te r r a !

Dal momento però che il cuore e la mentesono contrastanti quasi sempre, e che la for-za della materia suscita il fanatismo distrut-

tivo, ecco che fin troppi, purignorando le altre religioni,sono pronti a rivendicare lasupremazia della propria,ignari che tale pretesa ètanto assurda e pericolosaquanto il rivendicare la pro-prietà del sole, di tutti e dinessuno!Se conoscessimo invecel’essenza della Religione,capiremmo che le religionisono tutte sorelle: qualcunapiù vecchia delle altre, que-sto sì!

Quando tu, Fratello, quasi con fierezzaa ffermi che la Massoneria non è una reli-gione; oppure quando, con leggerezza, alcontrario sostieni che lo è, a quale religioneti riferisci? A quella degli Apprendisti, o deiCompagni, o dei Maestri, o del Ve n e r a b i l e ,o addirittura del Maestro delle Cerimonieche possiede simbolicamente la Chiave ditutto ciò che apparirà nell’universo solare?Oppure, nella tua nebulosità, ti limiti adaffermazioni insensate?

Hai mai riflettuto sul fatto che il sole èunico solamente in alto, nel suo cielo, nellospazio assegnatogli dall’Armonia? E cheinvece quaggiù esso è destinato a perderel’unicità, a favore della malefica molteplici-tà dei suoi raggi? Quale raggio è allora, sul-la Terra, il vero erede e figlio del sole? Dalmomento che la tua religione è soltanto unraggio della Religione, cosa ti spinge a rite-

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nere proprio quel “tuo” raggio il più lumi-noso, il più puro, il più infuocato, il piùfedele e veritiero tra gli infinitiraggi della Religione-Luce? Eancora: perché giudichi le reli-gioni che non conosci?

Alla tua anima le religionimostreranno purtroppo voltid i fferenti, fino a quando essastessa non ascolterà la vocedello Spirito: questa dice chele religioni sono coessenzialiin quanto figlie dell’unicaReligione, esattamente comenoi viventi siamo figli dell’u-nica Madre.

Dal momento poi che unaroccia non è affatto dimentica-ta dal sole, che è Sole, non devi neppurecredere che essa sia totalmente priva di reli-giosità! In realtà la roccia vive, e già nellasua vita respira lo Spirito della Religione:come è impossibile la vita senza lo Spirito,così è impossibile vivere senza religione.

La vita è religione, poiché attraversoogni soffio si avvicina a Dio; la pulsazionedella vita è un’intima preghiera: non pos-siamo tuttavia pensare che una roccia èmorta, solo perché non percepiamo il suorespiro; neppure che è senza religione, peril fatto che non udiamo la sua preghiera!

Tu, Fratello, che ti senti attirato versol’Origine, chiami tale attrazione appuntoreligione. Ma una roccia ha la tua stessaOrigine e si sente da questa attratta nellamaniera che ad essa è propria, però a noisfugge: perché tu saresti religioso e la roc-cia irreligiosa?

Se insomma il tuo slancio verso il Cen-tro (che chiami Grande Architetto) è reli-

gione, perché non lo sareb-be anche quello della roc-cia, nel cui cuore non ti èdato peraltro scrutare,visto che a mala pena tuscruti nel tuo? Se poi diciche tra te e la roccia c’èd i fferenza, io ti rispondoche, spostando il ragiona-mento ed avvicinandolopiuttosto alla realtà umana,tu stesso sei differente datutti gli altri individui, tuoifratelli, figli della tua Pri-mordiale Madre.

È vero che l’animaumana è più cosciente di

una roccia, ma tale privilegio non deveindurci a negare ai minerali ogni forma dicoscienza! Per il Fratello spiritualista la roc-cia vive, pur sembrando morta al Fratellomaterialista, già morto nell’anima cadutanell’oblio! Come può l’anima morta, vede-re vive le cose?

Dio è persino la forza dell’oblio! È nel-l’oblio, poiché noi viviamo pur quandodubitiamo o siamo incoscienti! Anzi, perquanto mi riguarda, sono tanto più viventequanto più ignoro di vivere in un precisomomento e luogo: proprio allora sono infat-ti unito a Dio nell’Eternità, e sto assaporan-do una coscienza superiore! Quanto piùdunque mi sembra lontano e inaff e r r a b i l ecome un Soffio, tanto più (sono convinto)Dio è con me, nel mio cuore, per insegnar-mi che non la mia mente Gli interessa ma ilmio amore pulsante e vivente.

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• 97 •Centralità del sole e centralità dello spirito, V. Tartaglia

Le religioni sono infinite come i raggidel sole: ognuna di esse riconduce alla Reli-gione-Luce, la quale occu-pa il Centro e dalla qualepure tutte provengono.Questo è vero. È altret-tanto doveroso osservareche, come vi sono partidella Terra più illuminatedal sole, così vi sono reli-gioni più illuminate spiri-tualmente: quella degliiniziati, infusi di Luce,deve necessariamenteessere sul nostro pianetala più illuminata, la piùantica, la più veritiera, lapiù tollerante.

Essa non è la più fedele e vera secondola mente, ma secondo il cuore: la saggezzadeve infatti mettersi saggiamente al serviziodell’amore, come la mente al servizio delcuore. La saggezza di Salomone era subor-dinata all’amore per l’Eterno, a cui il revoleva infatti innalzare un Tempio. La reli-giosità di Salomone era nel suo amore divi-no, non già nella sua divina saggezza: biso-gna pur trovare le analogie tra Salomone eil nostro Sacro Libro, di cui l’Amore è laprima e ultima Parola.

La religione iniziatica e illuminata èquella che dovrebbero conoscere, e pratica-re, i Maestri Liberi Muratori: essa è la piùfedele alla Religione-Luce. Questa religio-

ne è simbolicamente rivelata dal Maestrodelle Cerimonie al Venerabile, il quale la

rivela al 1° Sorvegliante;quest’ultimo la rivela al2° Sorvegliante, il qualela rivela al Te s o r i e r e :costui, a sua volta, sullaTerra inizia a rivelarla aiMaestri Muratori piùilluminati, personifica-zione dei primi iniziatidella preistoria.

Per quale motivo par-lo di “rivelazione” e nondi “conquista” persona-le? Poiché nessun viven-

te, in alto o in basso, puòda solo arrivare alla cosa più divina: laLuce, che ha vinto la Notte Assoluta perdare origine alla Vita.

Se dipendesse soltanto dal suo amoreumano, l’uomo non andrebbe lontano sulcammino dell’iniziazione; e la conoscenzavia via acquisita sarebbe essa stessa difetto-sa, portando l’inconfondibile sigillo del-l’uomo: l’Amore di Dio ripara le imperfe-zioni di tale conoscenza.

Poiché sa che la Costruzione è infinita,l’Artista Muratore si convince sempre più,nel cuore, che soltanto un infinito A m o r epuò sostenerlo!

Ci inchiniamo di fronte alla religiosità diquesto raro Artista.

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Opera di Giorgio Facchini

La plasticità scultorea nella medaglia contemporanea

Realizzazione per il 33° anno di fondazione delle Logge all’Or∴ di Milano: R∴L∴ “Tito Ceccherini” 842; R∴L∴”XX Settembre” 843; R∴L∴”5 Giornate” 844.

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[…] Questo libro si presenta come “antologia del pensieromassonico”; si propone di diffondere l’interesse e la conoscen-za degli argomenti costituenti la cultura iniziatica, senza prefe-renze per religioni, preconcetti e sistemi e cerca di delineare unprofilo, sia pur limitato, dell’elevazione dell’individuo per ilconseguente miglioramento della società in cui vive.

I capitoli, che si rincorrono e si concatenano progressivamen-te, tentano di richiamare l’attenzione del Lettore su un processo in corso nella societàcivile che allontana l’uomo da se stesso, dalla sua verità interiore per abbandonarlo allamercé di forze estranee, di attrattive concernenti l’esteriorità della sua persona, piutto-sto che l’interiorità del proprio destino.

A tale fenomeno, che s’identifica con fatti raffiguranti un tacito accomodamento traspiritualità, scienza e anarchia, in cui prevalgono il qualunquismo, lo scientismo con-venzionale e lo spiritualismo reazionario, si contrappongono prospettive etico-politi-che di stampo liberale e una antropologia sociale d’impronta massonica.

I capitoli affrontano una serie di tematiche attuali, come la vexata quaestio fra giu-stizia e libertà, il laicismo, l’intolleranza, l’uguaglianza e la solidarietà umana, l’eternacontroversia sociale tra necessità e lavoro, la genetica e la bioetica, il concetto di per-sona e la sua individuale dignità, il mondo della comunicazione e del dialogo, la con-testazione e la globalizzazione, l’etica del mercato, la politica della produzione, nonchéla moralità del Terzo millennio per un domani migliore.

L’intento principale del libro, dunque, è quello di fornire al Lettore un nuovo modofilosofico d’interpretare la realtà in cui viviamo, ossia una valutazione morale dei com-portamenti indicativi del mondo esistenziale.

dalla Premessa dell’Autore

Segnalazioni editoriali

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ANGELO SEBASTIANI

Massoneria e società contemporanea. I valori massonici e laconvivenza umana nel terzo millennio.Bastogi Editrice Italiana, Foggia, 2006, pp. 211, € 15,00

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Questo lavoro nasce da una tornata di Loggia della R∴L∴“TAO” n. 862 all’Oriente di Torino e in particolare da una tavo-la sul tema Libertà-Fratellanza-Tolleranza, che hanno per secolirappresentato i valori cardine scelti e fondanti l’Istituzione Mas-sonica. Essi sono diventati di pubblico dominio, ma con signifi-

cati che rapidamente si stanno piegando sotto i colpi di maglio delle diverse ideologiepolitiche.

Già storicamente abbiamo sempre avuto difficoltà a farci capire, ma attualmente que-sto stato di cose fa sì che possiamo essere variamente interpretati a seconda delle rughementali di chi ci legge e ci ascolta. Perciò mi sembra che attualmente possiamo dareparticolare risalto a un valore che tutti gli altri insieme rappresenta, ossia: la dignità del-l’essere umano.

Ragionamenti sulla dignità dell’uomoA cura del Collegio Circoscrizionale Piemonte e Valled’Aosta e della Fondazione Università Popolare di TorinoF.N. Editrice, Roma, 2007, pp. 200

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Il rapporto tra la Massoneria e la Chiesa cattolica ha appassio-nato molti storici e riveste una grande attualità per le ricorrentidiscussioni sul tema della laicità dello Stato.

Le frequenti esternazioni delle gerarchie ecclesiastiche su arg o-menti che riguardano la vita civile italiana suscitano anche oggireazioni forti da parte di politici e studiosi di area laica.

Andando con lo sguardo al passato, ci siamo voluti soffermare sulle relazioni tra ilVaticano e la Massoneria, partendo dalla bolla di scomunica di Clemente XII nel 1738fino ad arrivare all’attualità con le prese di posizione della Congregazione per la dot-trina della fede, presieduta da Joseph Ratzinger fino a quando, nel 2005, il cardinaletedesco è stato eletto papa. Poi gli scontri sull’insegnamento della religione nelle scuo-le, la partecipazione al voto referendario, gli attacchi di alcuni vescovi che hanno acco-munato la Massoneria alle associazioni malavitose. Nella primavera del 2006 è diven-tata addirittura motivo di contrasto l’iniziazione massonica di Mozart.

dalla Nota dell’Autore

STEFANO BISI

Mitra e Compasso. Storia dei rapporti tra Massoneria e Chiesa daClemente XII a Benedetto XVI.Protagon Editori, Siena, 2006, pp. 125, € 18,00

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Irène Mainguy, autrice della Simbolica Massonica del terzom i l l e n n i o, prosegue con lo stesso spirito la sua ricerca sui complementi del grado diMaestro rappresentati dai gradi di Perfezionamento del Rito Scozzese Antico e Accet-tato e i due primi Ordini di Saggezza del Rito Francese.

Basandosi su un ampio ventaglio di documenti e di rituali, l’Autrice studia ogni gra-do in tutti i suoi aspetti e, attraverso un’analisi comparativa dei testi originari, fa sco-prire i punti di contatto che esistono tra i due riti, mettendo per la prima volta in evi-denza il comune corpus massonico a essi sotteso.

L’importante lavoro di ricerca della Mainguy, condotto con grande rigore, mira aconsentire al lettore un migliore approccio al vissuto delle logge azzurre e a rendereancor più interessante il vasto dominio dell’Ars Regia rappresentato dagli Alti Gradi edagli Ordini di Saggezza.

Sapientemente illustrata, quest’opera apre numerosi percorsi di ricerca che aiuteran-no ogni maestro massone a progredire nella propria indagine e a proseguire il cammi-no iniziatico o verso un ideale di universalità.

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Stimolato dall’argomento ho pensato che avrebbe potuto essere un seducente terreno diincontro ove far confluire gli interessi, i pensieri e la buona volontà delle Logge del G.O.I.del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Dopo aver ottenuto il placet del Gran Maestro, Fratello Gustavo Raffi, è stata presentatain una riunione del Collegio Circoscrizionale Piemonte e Valle d’Aosta la proposta di affi-dare alla “Fondazione Università Popolare di Torino” l’incarico di organizzare, raccoglie-re e diffondere il materiale proveniente dalle Logge del Collegio.

Auspico che questo lavoro possa essere il primo di una futura raccolta ove far confluire,con il solito metodo della ricerca, della libertà di espressione e della piena responsabilità,le più diverse anime che onorano e arricchiscono le nostre Logge.

La Fondazione Università Popolare di Torino, gloriosa Istituzione culturale, alfiere del-le libertà di cultura, nata nell’anno 1900, ha sostenuto la proposta, l’organizzazione dellavoro e la pubblicazione di questo libro.

dalla Premessa dell’Autore

IRÈNE MAINGUY

Simbolica dei gradi di perfezione e degli ordini di saggezza nelRito Scozzese Antico e Accettato e nel Rito Francese. Ovvero:l’approfondimento del Magistero.Presentazione di Gian Mario CazzanigaSeconda edizione riveduta e corretta. Illustrata da 96 figuree XXXI tavole di Henri-Jean Deguillemain e Amis, e da 4serigrafie di Jean Beauchard.Edizioni Mediterranee, Roma, 2007, pp. 484, € 26,80

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Page 102: Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2007

Uno dei più autorevoli analisti junghiani ci invita a rivolgerela nostra attenzione alla repressione del corpo e delle emozioni,simbolizzata nell’esilio di Dioniso: un dio che la nostra culturatitanica, tecnologica e smisurata, ha non solo allontanato dalla

vita sociale e personale, ma spesso anche dalla stessa psicoterapia. Il tipo di vita cheminaccia di essere dominante in futuro si va allontanando dal fondamento emotivo ecorporeo dell’esistenza, di cui il dio Dioniso è il garante archetipico.

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3/2007H I R A M

La rilettura di un antico testo alchemico – il Rosarium Philo -s o p h o r u m, lo stesso usato da Carl G. Jung come filo conduttorenella sua Psicologia del transfert – si trasforma, come dice l’Au-tore nel Prologo, da un’occasione di studio nella straordinariaavventura di un viaggio involontario: Credevo allora di imbar -

carmi verso una meta consueta nella regione della Psicologia Analitica di Carl G. Jung,mi trovai invece quasi rapito e trascinato per anni in paesaggi sconosciuti, che micostrinsero a fatiche e pericoli e profonde emozioni che non avrei previsto.

In Solve coagula anche il lettore viene “rapito e trascinato” in questo viaggio, e puòscoprire che le immagini desuete del testo alchemico gli appartengono profondamentee danno senso e verità a esperienze vissute in modo frammentato e apparentementeincoerente: amore e dolore, possesso e perdita, illusione, delusione, rinnovata speranza.

Come l’Alchimista, Augusto Vitale non dà risposte, ma suscita domande insolite e avolte inquietanti, stupefacenti per l’immediata semplicità che rompe gli schermi delledifese dell’ovvio e della rassegnata ignoranza, e costringe a guardare.

Una parte del libro è dedicata allo svolgimento, su un livello filosofico e antropolo-gico, delle proposte implicite e dei semi che il percorso del Solve coagula ha saputo get-tare nella coscienza di un uomo d’oggi.

AUGUSTO VITALE

Solve coagula. Itinerario e compimento dell’uomo nella metaforaalchemica.Moretti & Vitali, Bergamo, 2001, pp. 237, € 19,00

RAFAEL LÓPEZ-PEDRAZA

Dioniso in esilio. La repressione del corpo e delle emozioni.A cura di Francesco DonfrancescoM o retti & Vitali, Amore e Psiche, collana diretta da F. Don-francesco, C. Stroppa e M. Tibaldi, Bergamo, 2000, pp. 143, € 12,00

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L’uomo si trova a muoversi spinto da impulsi sorti come dal nulla, che si esprimonoattraverso una superficiale, dilagante, mediatica imitazione. López-Pedraza traccia inquesto libro un limpido itinerario per l’immaginazione, che guida a riflettere sull’in-sopprimibile necessità della vita dionisiaca. Una iniziazione alla natura contraddittoriae all’irrazionalità di Dioniso, che appaiono come il veicolo metaforico capace d’intro-durci nelle essenziali “zone d’ombra” della natura umana.

Con le opere precedenti La rinascita di Afrodite e La graziap a g a n a, Ginette Paris aveva iniziato una rivisitazione delle anti-che divinità greche, viste come entità psicologiche che possonoorientarci per affrontare i problemi del mondo di oggi. Ora, conHermes e Dioniso, si rivolge a due divinità maschili, che hanno in comune il fatto dicontrapporsi ai “campioni della razionalità e del potere”, Apollo e Zeus, e di avvicinarciagli aspetti notturni e marginali della nostra personalità.

Hermes ha quella particolare forma di intelligenza che si nutre di astuzia e di con-cretezza, che mira ad annodare o a sciogliere relazioni. Hermes è un mercante e unladro, una delle tante incarnazioni del “briccone divino”; ma nello stesso tempo è il sim-bolo di una medicina orientata all’unità fra corpo e psiche e di una psicoterapia non rigi-da, ed è una guida in tutte le situazioni che prevedono un passaggio e un cambiamento.Dioniso è altrettanto ricco e contraddittorio. Porta all’estasi attraverso l’intensificazio-ne delle sensazioni corporee; ma, come avverte l’autrice, “non basta bere, mangiare,gridare, danzare e fare all’amore all’eccesso per arrivare all’estasi”. È portatore di fol-lia per le personalità troppo controllate, ma è garanzia di vita intensa ed emozionante.In questo è particolarmente “amico delle donne”, soprattutto di quelle che “non ne pos-sono più della prigionia domestica” o che “rischiano di morire di noia” anche se fannocarriera. Ma è un liberatore che può trasformarsi in tiranno.

GINETTE PARIS

Hermes e DionisoTraduzione di Alberto PanaroMoretti & Vitali, Amore e Psiche, collana diretta da F. Don-francesco, C. Stroppa e M. Tibaldi, Bergamo, 2005, pp. 182,€ 16,00

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Il volume testimonia le figure e le opere dei Mèntori immagi -n a l i, cioè degli autentici maestri cui è stato assegnato nellamodernità il compito della trasmutazione alchemica del mondo edella sua guarigione mediante l’immaginazione creatrice.

Mondo che tali mèntori hanno visto, ascoltato, sentito e gua-rito grazie alla capacità di immergersi nel mondo immaginale,

dove riappaiono le trame sottili di quel reticolo di corrispondenze che attraversa l’in-

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3/2007H I R A M

Un uomo, avvinto dalle decisioni di potenze a lui incognite,dalle tempeste della vita, e dalle sue scelte avventate, viene sbat-tuto in un luogo isolato e programmaticamente chiuso al mondoesterno. Lì, alcune figure, a metà fra il reale e l’immaginario,simbolicamente gli si fanno incontro e si prendono cura di lui. E

il suo iniziale, e sensato, timore e affidamento cieco, si tramuta prima in rispetto, poi inracconto di parola, tessuto di lacrime, della propria vita, reale e immaginaria.Quelle figure, quel luogo isolato, gli hanno consentito di riprendere il coraggio di sé: diassumersi la responsabilità del proprio passato, e, quindi, del proprio futuro. Solo ora,infatti, potrà abbandonare l’isola (apparentemente) felice e tornare a essere padre, cit-tadino, marito, figlio.

Questa storia è quella del primo testo europeo che canta un uomo, l’uomo, solo,davanti a sé, al mondo, all’ignoto: l’O d i s s e a. Ma è anche in simbolo la storia di tantidiversi percorsi di individuazione, lungo i quali si sono incamminati gli esseri umaniper darsi il senso della sopportazione della vita. Uno fra questi, è quello della psicolo-gia analitica.

Odisseo non è stato certo il primo paziente della storia, né i Feaci i primi analisti. Maciò che Omero ha fissato, nell’antico racconto del loro incontro, è un paradigma delritrovare-se-stessi, che ciascun essere può intraprendere, senza guide e maestri, mainsieme a un compagno vigile e premuroso. Giacché se ognuno ha in sé la propria veri-tà, qualcun altro deve stargli accanto perché ci arrivi.

GIUSEPPE VADALÀ

Nessuno ascolterà Ulisse?Moretti & Vitali, Amore e Psiche, collana diretta da F. Don-francesco, C. Stroppa e M. Tibaldi, Bergamo, 2007, pp. 130,€ 12,00

Mèntori immaginaliA cura di Marina Barioglio e Paolo MottanaMoretti & Vitali, Bergamo, 2005, pp. 349, € 20,00

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Questo libro conclude e contemporaneamente segna l’iniziodi un nuovo cammino di una rivista, Radure - Quaderni di mate -riale psichico, che ha percorso il panorama della psicanalisi ita-liana nell’ultimo decennio. Il tema che sancisce questo nuovoperiodare è il sogno, quello frequentato nel sonno, quello esplo-rato del fare terapeutico e che ha segnato un definitivo confinein cui il linguaggio si è fatto tremulo e la necessità di nuovi stru-menti è divenuta sfida possente.

In questa ricerca di nuove vie, questo volume nasce dalla collaborazione fra il grup-po di psicoterapeuti e non, che si erano riuniti in questi anni attorno alla rivista R a d u r ee gli studiosi che con i loro lavori hanno dato lustro al convegno: Per una nuova inter -pretazione dei sogni, in quel di Firenze il 18 e 19 novembre del 2005 organizzato daEzio Benelli, curatore di questo libro con la collaborazione di Irene Battaglino.

Da questo, si comprende la divisione in due parti di questa opera, non perché antite-tiche, ma perché ci è sembrato che la complessità del tema ci obbligasse a una sottoli-neatura nella differenza di approccio metodologico. Da una parte sei lavori quasi col-lettivi anche se firmati, opera di due anni di confronti serrati sul tema, nei modi e nelleconsuetudini che contraddistinsero la rivista. Dall’altra il frutto di un convegno dovel’elaborazione fra importanti nomi della psicodinamica contemporanea, di una teoria ela sua redazione hanno preceduto l’incontro dialettico.

Due occasioni di scambio, due metodologie di lavoro, un’identica sfida per la psico-dinamica del terzo millennio.

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tero cosmo, come un’iridescenza impalpabile: mondo che attraverso il loro sguardoci viene restituito insieme a quel senso di appartenenza e radicamento che abbiamos m a r r i t o .

È a essi, autentici viandanti dell’invisibile, che questo libro è dedicato, alla loroincessante, generosa e spesso obliata opera di appassionato ammaestramento ad abita-re la terra.

Il testo propone una rilettura rispettosa delle opere fiammeggianti e ineludibili diPierre Bonnard, Etty Hillesum, Jöe Bousquet, Giacinto Scelsi, Maria Zambiano, A n d r e iTarkovskij, una sosta intensa e prolungata negli scrigni poetici dell’h a i k u, nei fram-menti di luce distillati dall’alambicco di Percy Bysshe Shelley, Wim Wenders, ClaudeD e b u s s y, Edgar Allan Poe, Ted Hughes e intende offrirsi al lettore come oggetto dimeditazione e di formazione a uno sguardo finalmente pieno e fecondo.

Per una nuova interpretazione dei sogniA cura di Ezio BenelliMoretti & Vitali, Bergamo, 2006, pp. 322, € 18,00

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Page 106: Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2007

Ciò che emerge dalla esplorazione serrata e fittissima di questolibro di Françoise Bonardel, sullo sfondo della descrizione dell’a-scesa di un modello di razionalità potentissimo ma anche estrema-mente arrogante, è in un certo senso il volto femminile, scuro,magmatico della conoscenza, quello che l’irrazionale ci rivolge eda cui, proprio nel tempo delle devastazioni sempre più accaniteche una ragione senz’anima produce nell’esperienza dell’uomo e

del mondo, occorre farsi nutrire e sostenere.Una necessità di riscoperta non ingenua, ma avvertita e puntigliosa, filosoficamente

sorvegliata, del volto dei saperi catalogati talora frettolosamente come irrazionali, delloro messaggio profondo, della loro tessitura complessa e stratificata, dalle religioni allefonti magiche e sapienziali, fino alla riflessione esigente e problematica di filosofi comeSchopenhauer e Schelling, Nietzsche e Kirkegaard, Bergson e Heidegger, è quella che,con una sicurezza mai presuntuosa, semmai con la tortuosità di un’interrogazione ripe-tuta e incalzante, l’Autrice ci invita a fare.

Essa può risultare una medicina per il nostro tempo afflitto dall’inedia intellettuale,dal prosciugamento degli orizzonti di senso, dal disorientamento e dalla perdita di con-tatto con la vita del mondo.

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Con una sensibilità psicologica geniale – così si esprime su di leiC.G. Jung – Toni Wo l ff ricostruisce nel presente volume lo spaziospirituale e lo sfondo filosofico della Psicologia Analitica, indivi-duandone la posizione e la specificità rispetto alle scienze dellanatura e della cultura e definendone i principali aspetti concettua-li. Una particolare attenzione viene prestata alle conseguenze pra-tiche che la psicologia junghiana ha per il lavoro terapeutico. A

questo volume metodologico farà seguito un secondo che raccoglie i saggi dedicati adifferenti campi di applicazione della psicologia analitica.

TONI WOLFF

Introduzione alla psicologia di JungMoretti & Vitali, Bergamo, 1981, pp. 216, € 16,00

FRANÇOISE BONARDEL

L’irrazionaleMimesis, Ermesiana, Milano, 2007, pp. 129, € 13,00

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Page 107: Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2007

In questo saggio di Hannah Arendt, che è corredato da un’in-tervista concessa all’Autrice alla televisione tedesca nel 1964,vengono esaminate questioni come l’esilio, l’identità di unpopolo e le trasformazioni che nel corso dell’età contemporanea

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Il filo di Arianna, la più completa raccolta di testi alchemicimai pubblicata in Italia, si arricchisce con un quarto volume. Ilpresente lavoro comprende undici trattati di nove autori, com-posti tra Medioevo ed Età moderna, finora tutti inediti tranneuno. Il titolo della raccolta, Il filo di Arianna, allude al percor-so difficile e tortuoso che gli alchimisti devono affrontare pergiungere al compimento della loro Opera. I trattati presceltisono tra i più significativi dell’Alchimia nella sua storia millenaria: in prosa o in versi;con o senza figure; sotto forma di trattati, dialoghi, racconti o fiabe.

I testi sono corredati da un ricco repertorio di immagini alchemiche in bianco e neroe a colori.

Indice del quarto volume:Avicenna: Piccolo trattato; Manifestazione della pietra fisicaRuggero Bacone: Piccolo libro sull’alchimia intitolato lo specchio dell’alchimiaMassimo Dn. Dunstan: Trattato segreto sulla pietra dei filosofiEgidio De Vadis: Dialogo tra la natura e il figlio della filosofiaIsacco Olandese: Frammento sulla pietra dei filosofiLambsprinck: Breve trattato sulla pietra filosofaleRiccardo Anglo: Utilissimo opuscolo intitolato l’emendamentoGiovanni da Rupescissa: Libro del magistero sulla preparazione della vera pietra deifilosofi; il libro della luceThomas Norton: Credimi o ordinale

Il filo di Arianna. Raccolta di trattati di Alchimia dall’antichitàal XVIII Secolo.Testi scelti e tradotti da Sabina e Rosario Piccolini. Volume IV.Mimesis, Milano, 2007, pp. 258, € 22,00

HANNAH ARENDT

La lingua materna. La condizione umana e il pensiero plurale.A cura di Alessandro Dal LagoMimesis, i cabiri, Milano, 2005, pp. 88, € 8,00

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hanno sconvolto l’assetto dell’Europa e del mondo intero. La condizione umana è sog-getta a continui mutamenti, spesso tragici, e l’unica possibilità inventiva, per la A r e n d t ,consiste nella capacità di provare stupore, nel porre domande in un atto di solidarietàtra esseri umani.

[…] Nei suoi scritti storico-politici (dal grande saggio sul totalitarismo a quello sullarivoluzione sino ai testi occasionali sui conflitti contemporanei) è evidente uno straor-dinario realismo politico – il realismo di chi, appunto, collocandosi al di fuori della sfe-ra del potere, nella condizione del pariah, sa vedere meglio di altri, ingannati dalle sueseduzioni o dai suoi miti millenari, come funzionano le macchine politiche. Questo tipoparticolare di realismo, che non ha nulla a che spartire con la R e a l p o l i t i k, è ciò che ren-deva simile Hannah Arendt ad altri marginali della filosofia, come Simone Weil oAlbert Camus. Un realismo che poteva spingere questi autori a denunciare le mitologiedel comunismo o dell’utopia marxista, ma che li teneva altrettanto lontani da quella for-ma di apostasia risentita di cui si dilettano i rivoluzionari pentiti. Insegnare a tenersi inuna posizione come questa, che poi coincide sul piano filosofico con la difesa della sin-golarità irriducibile, è uno dei contributi non caduchi di Hannah Arendt alla morale filo-sofica, se non alla filosofia morale. Qualcosa che andrebbe tenuto nel giusto conto inun tempo in cui tante filosofie, cadute le vecchie fedi politiche, sembrano ansiose difecondarsi con millenarismi ben più antichi.

Rapallo è certamente, nel Tigullio, la città dove il cattolicesimopolitico è più saldamente radicato: la sua presenza precede di mol-to la fine della seconda guerra mondiale e la nascita della Demo-crazia Cristiana.

Possiamo stabilire una data, le elezioni del 1911 che hannovisto il trionfo della lista capeggiata da Lorenzo Ricci, comemomento iniziale di questo radicamento, ma anche nel ventennio

precedente i cattolici hanno giocato un ruolo predominante. Già nelle elezioni del 1892avevano ottenuto una maggioranza netta, ma scelte di politica locale e la presenza diun agguerrito gruppo liberal-radicale avevano fatto di questa vittoria un momentotransitorio. […]

AGOSTINO PENDOLA

Anticlericali e mazziniani nella Rapallo di fine OttocentoRapallo, 2005, pp. 78

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Dopo il 1849 anche a Rapallo si stabilirono i profughi dalla Lombardia tornata sot-to gli austriaci. Erano un numero “discreto”, e vi svolgevano vita regolare. L’ e m i g r a-zione verso le Americhe, che iniziava proprio in quegli anni, significava contatti piùstretti con il capoluogo: l’isolamento della città chiusa tra monti e mare che le avevaevitato spaventose epidemie, era finito per sempre. […]

I singoli capitoli sono in gran parte indipendenti tra loro, e infatti alcuni sono appar-si come articoli, sia pure in forma diversa, su una rivista locale, il capitolo sulla Socie-tà di Mutuo Soccorso è nato come relazione in un convegno genovese. Ma tutti sonolegati da un filo, ne è la riprova il fatto che alcune persone si trovano, in contesti diver-si, in più di un capitolo. È il filo dei democratici rapallesi che hanno seguito gli inse-gnamenti e la militanza di Giuseppe Mazzini, che a Rapallo non poteva non intrecciar-si con i radicali anticlericali che contestavano (da sinistra) le politiche trasformiste deigoverni centrali. È un filo tenue, ma la cui memoria è indispensabile mantenere.

dall’Introduzione dell’Autore

Adepto o gruppo di Adepti della Grande Arte, Fulcanelli, lacui vera identità continua a rimanere un enigma, è indubbia-mente il nome magistrale che più ha segnato la storia contem-poranea dell’alchimia.

I suoi tre libri appartengono al XX secolo, ma la sua erudi-zione è la paziente distillazione di secoli di sapienza. Le sueopere precedenti, Il Mistero delle Cattedrali e Le Dimore Filosofali, sono ormai dive-nute le bibbie degli alchimisti moderni.

Nel 1999, in occasione del centenario della nascita di Eugène Canseliet, Jacquesd’Arès pubblicò un manoscritto, misteriosamente pervenutogli, firmato F u l c a n e l l i eintitolato Finis Gloriae Mundi, provocando un grande scalpore, non disgiunto da asprepolemiche, tra gli alchimisti e gli specialisti francesi. Questo imprescindibile testo, cheintegra i precedenti, è di un’ammirevole erudizione e svela alcuni dei segreti della Viabreve, segreti fino a ora occulti, dando una lettura alchemica dell’avvenire dell’umani-tà, che ha a che vedere con la salvezza del mondo, e impartendo inoltre precisi consigliagli alchimisti operativi nel nuovo millennio.

FULCANELLI

Finis Gloriae MundiPrefazione di Jacques d’ArèsEdizioni Mediterranee, Roma, 2007, pp. 125, € 19,90

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[…] Verso la fine del 1962, il Centro nazionale di prevenzionee difesa sociale promosse lo svolgimento di numerose ricerchesocio-giuridiche sul tema dell’amministrazione della giustizia e lasocietà italiana in trasformazione, ricerche che portarono alla pub-blicazione di ben undici volumi. Renato Treves, analizzando ecommentando i risultati raggiunti, affermò che fosse utile distin-

guere tre diverse teorie sociologiche al fine di meglio comprendere […] il significatodelle diverse correnti che partecipano al dibattito sulla crisi della giustizia e ad assu -mere una posizione di fronte alle medesime. Si tratta della distinzione tra coloro cheassumono atteggiamenti che possono ricondursi a una concezione struttural-funzio -nalista, verso la quale sembrano orientarsi i liberali e i riformatori più moderati, coloroche assumono atteggiamenti che possono essere ricondotti alla concezione del conflit -tualismo pluralistico proprio delle società postindustriali e coloro che assumono atteg -giamenti che possono ricondursi alla concezione del conflittualismo dicotomico di tipomarxista. Oggi, a quasi mezzo secolo di distanza, il Centro Nazionale di prevenzionee difesa sociale, in collaborazione con il Consiglio Superiore della Magistratura, ha pro-mosso una nuova ricerca su “L’amministrazione della giustizia e la società italiana del2000”, coordinata da Vincenzo Ferrari.

[…] Forse alle tre teorie ricordate da Treves deve esserne aggiunta una quarta, cherenda conto della dimensione sempre più soggettiva e virtuale delle realtà sociali attua-li, della perdita di centralità dello Stato e del suo diritto a tutto favore del singolo indi-viduo, dei suoi desideri, delle sue aspettative e dei suoi interessi, nonché di una gene-rale carenza di valori comuni, che rende opinabile ogni giudizio e che trova episodichee instabili tregue, entro un generale scenario di conflitti potenziali o effettivi, espressio inespressi, solo nella ritualità quantitativa del vuoto democratico. In sintesi, il nichi-lismo della modernità, preannunziato da oltre un secolo negli scritti di filosofi e socio-logi, finalmente si è materializzato nelle società contemporanee e non è pensabile cheesso non riguardi il mondo del diritto. […]

Alla luce di questi sviluppi pare opportuno non solo e non tanto ripensare l’org a n i z-zazione e il funzionamento dello Stato e del suo diritto attraverso la riforma del conte-nuto normativo di quest’ultimo, quanto piuttosto mettere in discussione i concetti stes-si di Stato, di Magistratura e di diritto statale, in quanto non più idonei a gestire le nuo-ve problematiche emergenti nelle società postmoderne. […]

dall’Introduzione degli Autori

MORRIS L. GHEZZI E MARCO A. QUIROZ VITALE

L’immagine pubblica della Magistratura ItalianaGiuffrè Editore, Milano, 2006, pp. 399, € 40,00

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Recensioni

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Etica e morale, legge e diritto hanno radici antichissime e complesse nella storia del-l’umanità, ma Angelo Sebastiani le porta alla luce tutte e ne spiega l’evoluzione, in unasintesi di rara chiarezza, su ogni argomento di attualità, in vista di un dialogo da cuipotrà nascere la costruzione del futuro.

L’ i n d i fferenza, il cinismo e l’egoismo, dei singoli e delle classi sociali, nascono –secondo Sebastiani – dalla rottura del rapporto armonioso fra uomo e natura e dallacaduta dei valori ideali che sono alla base di ogni morale, laica o religiosa. La violen-za individuale e i conflitti collettivi sono sia la conseguenza sia, di nuovo, la causa diuna spirale sempre più letale di odio e distruzione. Eppure, per l’Autore, la morale lai -ca non è in contraddizione né in conflitto con la morale religiosa: entrambe, sia purecon caratteristiche differenti, esprimono concezioni dell’uomo che tendono alla realiz -zazione del bene.

Eppure, l’uomo moderno, che – scrive Sebastiani – è disorientato e angosciato, sem-bra rifiutarle entrambe. Per questo, l’unico “mezzo della salvezza” è riprendere il filodella nostra memoria, ricordandole cose che contano veramente nella vita del singoloindividuo e di ogni Paese. Per Sebastiani, è in questo nuovo processo di “spiritualizza-zione” della vita dei singoli e delle nazioni che si inserisce la Massoneria moderna, coni suoi ideali iniziatici e umani, pur senza occuparsi in modo diretto, come Istituzione,di politica e di religione nei loro aspetti contingenti che sono fonti di divisione.

Quando l’uomo – ricorda l’Autore – si è allontanato dalla morale per inseguire lelusinghe dell’utile e del piacevole, si è ingenerato sempre nella società uno stato di laten -te anarchia, che ha più volte portato al dissolvimento dell’ordine costituito. Per questo,sottolinea Sebastiani, è ancora attuale il messaggio del massone Ernesto Nathan: T e m -prare le coscienze col sentimento del dovere civile, all’amore fraterno, alla fraterna dife -

ANGELO SEBASTIANI

Massoneria e società contemporanea. I valori massonici e la convivenza umana nel terzomillennio.Bastogi Editrice Italiana, Foggia, 2006

di Francesco Indraccolo

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Non è una biografia di Mozart. Non è una storia dei rapporti tra musica e Massone-ria nell’età dei Lumi. Non è un saggio musicologico.

Che cosa vuole essere questo libro di Fabrizio Alfieri? Un’occasione per parlare delviaggio iniziatico, del lavoro che ogni massone cerca di compiere nel proprio tempiointeriore per vincere le passioni, non farsi ingannare dalle apparenze, abbandonare i pre-giudizi.

Il tutto, immedesimandosi nel protagonista del Flauto magico e seguendone le avven-ture passo a passo, dalle tenebre alla Luce, attraverso le magistrali soluzioni narrativedel capolavoro di Mozart e Schikaneder.

Tutto qui? Ce ne sarebbe abbastanza, ma la vera sorpresa è un’altra!La prospettiva adottata, esplicitamente massonica, si innesta sulla linea tracciata dal-

l’opera del fratello René Guénon, ma è di una tale arditezza (sia formale sia di conte-nuto) che non mancherà di sconvolgere “dall’interno” gli animi di tanti tradizionalistiripiegati su uno sterile passatismo e ben lontani dal cogliere lo spirito (e non la l e t t e r a)di tale opera. Per Fabrizio Alfieri, il mondo è come un immenso palcoscenico in cui tut-to ciò che vi si rappresenta p u ò essere l’occasione straordinaria per prendere coscienzadi chi siamo veramente. Sedurci e abbandonarci, per scuoterci dalla nostra inerzia e aiu-tarci – se lo desideriamo veramente – a cambiare mentalità.

Ne risentiremo parlare…

FABRIZIO ALFIERI

Mozart. Il viaggio iniziatico nel Flauto magicoLuni Editrice, Milano-Firenze, pp. 200

di Joe Black

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sa contro l’ingiustizia; piantare profonde le radici dell’idealità […]. L’Autore appro-fondisce anche in quest’ottica il trinomio massonico di Libertà – Uguaglianza – Fra-tellanza, che, dalla Rivoluzione Francese alla Carta dei Diritti Umani, ha svolto un ruo-lo importante ma ancora può svolgerne per la concreta realizzazione della Giustizia nelmondo.

Angelo Sebastiani, ricco di esperienze internazionali in campo tecnologico e masso-ne da 50 anni, è abituato a scrivere manuali di formazione e saggi di cultura massonicache hanno avuto grande successo di pubblico e di critica. Pur non fornendo al lettore leproprie “ricette sociali”, con stampigliature massoniche in bell’evidenza, colloca tantebriciole “luminose” perché ogni uomo, smarrito nelle “selve oscure” di ieri e di oggi,sappia ritrovare la propria strada.

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