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RIVISTA DELLA DIOCESI DI VICENZA ATTI UFFICIALI E VITA PASTORALE - ANNO CII - N. 3-4/2011 Trimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza

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RIVISTADELLA DIOCESIDI VICENZAATTI UFFICIALI E VITA PASTORALE - ANNO CII - N. 3-4/2011Trimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza

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Rivista della Diocesi di VicenzaATTI UFFICIALI E VITA PASTORALE Anno CII – N. 3-4 Luglio-Dicembre 2011

SOMMARIO

281 ATTI DEL PAPA (elenco dei documenti)282 Angelus286 Catechesi settimanali289 Discorsi301 Lettera apostolica “Quaerit semper”301 Lettera apostolica “La porta della fede”301 Messaggi303 Omelie

307 ATTI DELLA SANTA SEDE (elenco dei documenti)

309 ATTI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (elenco dei documenti)

313 ATTI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO314 Tariffario per gli atti di curia316 Riunione della Conferenza Episcopale Triveneto del 13 settembre 2011317 Riunione della Conferenza Episcopale Triveneto del 29 novembre 2011

319 ATTIVITÀ DEL VESCOVO320 Lettere alla Diocesi - Messaggio natalizio322 Omelie e interventi vari luglio-dicembre 2011358 Diario e attività luglio-dicembre 2011367 Nomine vescovili370 Provvedimenti vescovili

371 VITA DELLA DIOCESI372 Assemblea del clero di giovedì 22 settembre 2011378 Attività dei Consigli Diocesani400 Sacre ordinazioni tenute nell’anno 2011402 Sacerdoti defunti

405 CONTRIBUTI TEOLOGICO-PASTORALI406 “Le democrazie a confronto”, 44° Convegno sui problemi internazionali organizzato

dall’Istituto di Scienze sociali “Nicolò Rezzara” di Vicenza (Recoaro Terme, Fonti Centrali, 9-11 settembre 2011):406 Introduzione ai lavori di S. Ecc. mons. Beniamino Pizziol, Vescovo di Vicenza409 “La comunione, modello cristiano di vita sociale” (Sua Em.za card. Josè Sarai-

va Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi)417 “Valori costitutivi della democrazia” (prof. Giorgio Campanini, Università di

Parma)428 “Orientamenti conclusivi” a cura di mons. Giuseppe Dal Ferro

433 Ciclo di lezioni tenute alla “Scuola del lunedì” nei mesi di ottobre-novembre 2011:434 “Consegna e promessa. La ‘traditio’ e i suoi testimoni” (sig.a Simonelli Cristi-

na, docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e presso lo Studio S. Zeno di Verona, 7 novembre 2011)

444 “Il magistero vivo della chiesa ossia la cura per la testimonianza della fede” (prof. don Giampietro Ziviani, docente alla Facoltà del Triveneto, 14 novembre 2011)

452 “Testimoniare la fede nel quadro pluralistico delle religioni” (prof. don Giulia-no Zatti, docente presso la Facoltà del Triveneto, 21 novembre 2011)

462 “XIV Convegno Nazionale dei Centri Interculturali d’Italia” organizzato in collabo-razione con l’Ufficio Migrantes di Vicenza, Vicenza, 4-5 novembre 2011:462 “Intercultura, dialogo interreligioso e pastorale” (S.E. mons. Arcivescovo

Agostino Marchetto, Segretario emerito del Pontificio Consiglio della Pastora-le per i Migranti e gli Itineranti)

469 Indice generale annata 2011

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COMITATO DI REDAZIONEDirettore: Mons. Dott. Pierantonio Pio Pavanello

Membri: Mons. Dott. Lodovico Furian Mons. Flavio Grendele Mons. Dott. Antonio Marangoni Mons. Dott. Luigi Mattiello Mons. Massimo Pozzer

Direzione, Redazione Curia Vescovile – Piazza Duomo, 10e Amministrazione: 36100 Vicenza

Direttore responsabile: Mons. Dott. Pierantonio Pio Pavanello

Segretaria di redazione: Anna Bernardi

Periodicità: Trimestrale

Autorizzazione del Tribu nale di Vicenza n. 296Registro Stampa del 16 marzo 1973

Registrato nel registro nazionale della stampa quotidiana,periodica e agenzie di stampa il 12 ottobre 1978, n. 2149

Stampato e distribuito in n. 500 copie.

Stampa: Tipografia Rumor S.r.l. – Vicenza

Contributo annuo: Uffici parrocchiali € 52,00 altri (enti e persone fisiche) € 40,00 Numero separato € 10,00 Annuario € 11,00

Conto corrente postale n. 12235362 intestato a Curia Vescovile, Vicenza

Trimestrale – Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 1, DCB VicenzaIn copertina:Stocchiero Giuseppe, secolo XXRitratto del Vescovo Ferdinando Rodolfi, olio su tela, Museo Diocesano di VicenzaIl vescovo, ritratto in età giovanile, forse all’epoca della sua elezione a vescovo nel 1911, è effigiato di tre quarti. Sopra la cappa magna indossa la mozzetta di ermellino che ha la particolarità di presentare le code, privilegio dei pastori vicentini. Sul petto risalta in primo piano la croce pettorale con il caratteristico cordiglio di colore verde/oro, sul capo è posto lo zucchetto di colore paonazzo. Le braccia reggono la parte anteriore della cappa dalla quale spuntano le mani incrociate che reggono la berretta paonazza con fiocco del medesimo colore. All’anulare destro è l’anello vescovile con ametista oggi esposto al Museo Diocesano. L’autore del dipinto fissa i tratti di un volto sereno e meditativo il cui sguardo, parzialmente schermato dal una leggera montatura d’occhiale, rivela una intelligenza pensosa. Gli occhi guardano lontano, con una sicurezza pacata. Mons. Giuseppe Stocchiero, eccellente collabo-ratore del vescovo, vuol quasi fermare nella tela la consapevole decisione di Rodolfi di gover-nare, attuando riforme coraggiose, la Diocesi. La fiera determinazione del volto ricorda – a chi conosce la storia diocesana – anche i duri scontri con l’autorità fascista per difendere la Chiesa. Dona prezioso risalto alla tela una cornice in legno dorato nella cui parte apicale è lo stemma del presule. Nato a San Zenone Po (Pavia) nell’agosto del 1866 morì in terra vicenti-na verso la fine del 1941. È sepolto nella cripta della cattedrale.Si ringrazia L’Ufficio diocesano per i Beni culturali - Centro documentazione e catalogo Beni culturali ecclesiastici per aver concesso la pubblicazione dell’immagine.I numeri dell’annata 2011 della Rivista della Diocesi riportano in copertina le riproduzio-ni di alcuni ritratti di Vescovi illustri della Diocesi di Vicenza.

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ATTI DEL PAPA

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ANGELUS

Con riferimento al vangelo della domenica il Papa ha chiesto di abban-donare la via dell’arroganza e della violenza nei “rapporti sociali” ed ha indicato nella mitezza il rimedio ad ogni sopruso sull’uomo e sull’ambiente (3 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 4-5 luglio 2011, p. 7.

Gesù – ha detto il Papa – è la vera “Parabola di Dio, il quale non ci costringe ad andare a Lui, ma ci attira a sé con la verità e la bontà del suo Figlio incarnato” (Castelgandolfo, 10 luglio 2011), in L’Osservatore Roma-no, 11-12 luglio 2011, p. 8.

Il Papa, dopo aver commentato le parabole evangeliche lette nella litur-gia domenicale, ha lanciato un appello per una mobilitazione internazionale per fermare la catastrofe umanitaria nel Corno di Africa (17 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 18-19 luglio 2011, pp. 1 e 8.

Proponendo una riflessione sulla figura del re Salomone il Papa ha detto che le persone chiamate a compiti di governo hanno una responsabilità ulteriore e quindi hanno ancora più bisogno dell’aiuto di Dio; riferendosi poi ai gravi atti terroristici di Norvegia ha esortato a fuggire dalle logiche del male (24 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 25-26 luglio 2011, pp. 1 e 8.

Riflettendo sul miracolo della moltiplicazione dei pani riferito dal vangelo della domenica il Papa ha detto che Gesù è attento ai bisogni materiali degli uomini, ma in più vuole sfamare quel desiderio di Dio che ogni uomo porta nel cuore (31 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 1-2 agosto 2011, p. 1.

Il Papa ha ricordato che il Signore ci insegna “a sopportare con coraggio le avversità: se guardiamo solo a noi stessi non possiamo affrontare le tem-peste dell’esistenza” (7 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 8-9 agosto 2011, p. 8.

Il Papa ha invitato tutti a vivere l’esperienza della conversione e ha ricordato il sessantesimo anniversario del martirio di San Massimiliano Kolbe (14 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 17-18 agosto 2011, p. 6.

NOTA: i testi citati sono reperibili su internet consultando il sito www.vatican.va

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Il Papa ha presentato la solennità dell’Assunta come un mistero di gioia e di speranza che aiuta ogni uomo e ogni donna a vivere ciascun giorno da risorti (15 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 17-18 agosto 2011, p. 6.

All’Angelus di domenica 21 agosto nella spianata all’aeroporto dei Cua-tro Vientos di Madrid il Papa ha annunciato che la prossima Gmg sarà cele-brata a Rio de Janeiro in Brasile nel 2013, in L’Osservatore Romano, 22-23 agosto 2011, p. 10.

Non nel “successo sociale – ha detto il Papa – o nel benessere fisico ed economico, ma nel progetto di amore di Dio l’uomo ritrova veramente se stesso” ed ha aggiunto che la croce non è una sconfitta (28 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 29-30 agosto 2011, p. 1.

Il Papa ha dedicato la sua riflessione al tema della fraternità, la quale – ha egli sottolineato – ha bisogno di dialogo e di rispetto. Ha poi salutato i partecipanti al congresso eucaristico di Ancona ed ha espresso apprez-zamento alle Acli per l’incontro di studio sul tema del lavoro (4 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 5-6 settembre 2011, pp. 1 e 6.

Nel ricordo degli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti il Papa ha lanciato un appello a rifiutare la violenza e ad operare nella società ispiran-dosi ai principi della solidarietà, della giustizia e della pace (11 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 12-13 settembre 2011, p. 6.

Alla preghiera dell’Angelus il Papa ha detto che c’è bisogno di operai umili e generosi per la nuova evangelizzazione (18 settembre 2011), in L’Os-servatore Romano, 19-20 settembre 2011, p. 8.

Durante l’incontro con la comunità ebraica di Berlino il Papa, ricordan-do le spaventose conseguenze della Shoah, ha detto che dal no a Dio nasce il disprezzo per l’uomo (22 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 24 settembre 2011, p. 10.

Con riferimento al sì pronunciato dalla Vergine alle origini della salvez-za dell’uomo il Papa ha esortato ad unirci a quel sì di Maria aderendo con fiducia al piano di Salvezza che Dio, nella sua provvidenza, ha riservato per ciascuno di noi (25 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 26-27 set-tembre 2011, p. 8.

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Il Papa ha commentato la parabola dei vignaioli infedeli ed ha ricordato che il Signore ci accompagna con la singolare presenza dei suoi Angeli che in questa giornata la Chiesa venera quali Custodi, cioè ministri della divina presenza per ogni uomo (2 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 3 otto-bre 2011, pp. 1 e 8.

Alla preghiera dell’Angelus il Papa ha esortato i fedeli di Lamezia Terme ad avere attenzione per il lavoro, i giovani e i disabili e a riscopri-re la pratica del rosario (9 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 10-11 ottobre 2011, p. 7.

All’Angelus il Papa ha spiegato ai fedeli che il compito dei nuovi evan-gelizzatori consiste in una sfida urgente e appassionante per la Chiesa (16 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 17-18 ottobre 2011, p. 8.

Alla recita dell’Angelus il Papa ha riproposto ai fedeli le figure dei tre nuovi santi: Guido Maria Conforti, Luigi Guanella, Bonifacio Rodriguez de Castro, proclamati appunto santi nella messa della mattinata (23 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, p. 12.

Gesù in cattedra come il Mosè più grande che impartisce una “elo-quente lezione di umiltà e di amore”: è l’immagine proposta dal Papa all’Angelus; Benedetto XVI, inoltre, ha assicurato preghiera e vicinan-za alle popolazioni in Thailandia e in Italia colpite da gravi inondazioni (30 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 31 ottobre-1 novembre 2011, p. 8.

Nella solennità di tutti i Santi il Papa ha ricordato che le diverse strade di santità sono accomunate da un unico denominatore: “seguire Cristo e conformarsi a Lui, fine ultimo della nostra vicenda umana” (1 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 2-3 novembre 2011, p. 8.

Credere in Dio e vivere l’amore – ha detto il Papa – significa portare dentro di sé “una speranza invincibile, come una lampada con cui attra-versare la notte oltre la morte e giungere alla grande festa della vita” (6 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 7-8 novembre 2011, p. 8.

Parlando dei talenti ricevuti da ciascuno di noi il Papa ha ricordato che “nessuno può mancare di metterli a frutto”. Con riferimento poi alla Gior-nata del ringraziamento ha lanciato un appello per il rispetto della terra

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che Dio ha affidato al lavoro dell’uomo (13 novembre 2011), in L’Osservato-re Romano, 14-15 novembre 2011, p. 7.

Alla preghiera dell’Angelus, dopo la consegna dell’Esortazione Aposto-lica “Africae munus” ai presidenti delle Conferenze episcopali dell’Africa, il Papa ha esortato tutti a coltivare i valori della vita e della famiglia (20 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 21-22 novembre 2011, p. 10.

Alla comunità internazionale alla vigilia della conferenza di Durban il Papa ha lanciato un appello per “una risposta responsabile, credibile, soli-dale al preoccupante e complesso fenomeno dei cambiamenti climatici” (27 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 28-29 novembre 2011, p. 8.

Il Papa, riproponendo l’appello di Giovanni Battista alla conversione ha detto che tutti i cristiani dovrebbero “scegliere la sobrietà come stile di vita, specialmente in preparazione alla festa del Natale” (4 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 5-6 dicembre 2011, p. 8.

All’Angelus nella solennità dell’Immacolata il Papa ha ricordato che “la Vergine con il suo ‘sì’ ha avvicinato il Cielo alla terra” (8 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 9-10 dicembre 2011, p. 8.

“Il cristiano – ha sottolineato il Papa – è invitato a vivere l’Avvento senza lasciarsi distrarre dalle luci, ma sapendo dare il giusto valore alle cose per fissare lo sguardo su Cristo”. Infine ha benedetto le statuine dei bambinelli portate dai piccoli del Centro oratori romani (11 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 12-13 dicembre 2011, p. 8.

Parlando dell’Annunciazione il Papa ha detto che Dio, per realizzare il suo disegno, ha aspettato il sì di Maria rispettando la di lei dignità e libertà (18 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 19-20 dicembre 2011, p. 8.

“Si fermino le mani dei violenti”: è l’accorato appello del Papa all’Ange-lus di Santo Stefano a seguito degli attentati terroristici in Nigeria ed ha aggiunto che la vera imitazione di Cristo è l’amore (26 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 27-28 dicembre 2011, p. 7.

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CATECHESI SETTIMANALI

Alla ripresa delle udienze generali il Papa ha suggerito, per il periodo di vacanza, la lettura di alcuni libri della Bibbia, un modo – egli ha spiegato – “per ritrovarci più arricchiti” (3 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 4 agosto 2011, p. 1.

Il Papa ha sottolineato il valore della spiritualità monastica: i monasteri sono vere e proprie oasi dello spirito nelle quali Dio parla all’umanità (10 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 11 agosto 2011, p. 1.

All’udienza generale il Papa ha chiesto il sostegno della preghiera per la riuscita della Giornata mondiale della gioventù che si è aperta in Spa-gna. Ha anche invitato a guardare a Maria come modello per meditare sulla Parola di Dio (17 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 17-18 ago-sto 2011, p. 1.

Il Papa ha rivissuto le emozioni della Gmg a Madrid riproponendone i momenti salienti: “un dono prezioso – ha detto – che dà speranza per il futuro della Chiesa” (24 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 25 agosto 2011, p. 8.

All’udienza generale il Papa ha parlato della bellezza dell’arte che avvi-cina a Dio, sorgente di ogni bellezza. “L’arte – ha detto – è capace di espri-mere il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito” (31 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 1 settem-bre 2011, p. 8.

Commentando il Salmo 3 il Papa ha detto che quando l’uomo chiede aiuto, Dio risponde. In questo intrecciarsi di grido umano e risposta divi-na sta la dialettica della preghiera e la chiave di lettura di tutta la storia della salvezza (7 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 8 settembre 2011, p. 8.

Il Papa ha offerto una riflessione sul salmo 22. Dio, anche se sembra tacere, ascolta il grido disperato del suo popolo e gli dona la salvezza. Allo-ra quel grido diviene preghiera di ringraziamento poiché l’umiliazione si trasforma in gloria e la morte in vita (14 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 15 settembre 2011, p. 8.

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All’udienza generale il Papa ha ricordato i momenti più significativi del recente viaggio nella sua terra natale ed ha invitato tutto il popolo tedesco a guardare con fiducia l’avvenire (28 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 29 settembre 2011, p. 12.

Il Papa ha dedicato la sua riflessione alla figura del pastore evocata dal salmo 23; ha quindi rinnovato l’appello alla comunità internazionale perché continui il suo impegno in favore delle popolazioni del Corno d’Africa (5 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 6 ottobre 2011, pp. 1 e 8.

Commentando il salmo 126 il Papa ha ricordato che la storia dell’uomo è una storia di salvezza e perciò dobbiamo rimanere aperti alla speranza e saldi nella fede in Dio. Al termine dell’udienza ha lanciato un appello per la salvaguardia della coesistenza pacifica in Egitto nel rispetto delle minoran-ze (12 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 13 ottobre 2011, p. 8.

Il Papa, commentando il salmo 136, ha detto che, a partire dalla creazio-ne fino alla salvezza operata da Cristo e proseguendo negli oltre due mila anni di vita della Chiesa, il cammino del popolo di Dio può essere letto come la storia della bontà di Dio (19 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 20 ottobre 2011, p. 8.

Con riferimento alla commemorazione dei defunti il Papa ha detto che di fronte alla morte “l’uomo ha bisogno di eternità perché ogni altra speranza per lui è troppo breve e troppo limitata” (2 novembre 2011), in L’Osservato-re Romano, 2-3 novembre 2011, p. 7.

All’udienza generale il Papa, commentando il salmo 119, ha detto che il salmo predetto rappresenta “un imponente e solenne canto sulla Torah del Signore, cioè sulla sua legge”. Al termine ha lanciato un appello alla solida-rietà verso le popolazioni colpite da calamità naturali (9 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 10 novembre 2011, pp. 7-8.

Il Papa ha continuato la riflessione sulla preghiera esponendo il signi-ficato cristologico del salmo 110. La “vera regalità – ha affermato – va vis-suta nel servizio e nel dono di sé in un cammino di obbedienza e di amore portato sino alla fine” (16 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 17 novembre 2011, p. 7.

Riflettendo sul recente viaggio apostolico in Benin il Papa ha detto: “In

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questa fase cruciale per l’intero continente, la Chiesa in Africa, con il suo impegno al servizio del vangelo, con la coraggiosa testimonianza di fattiva solidarietà, potrà essere protagonista di una nuova stagione di speranza” (23 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 24 novembre 2011, pp. 7-8.

Mediante l’amicizia con Gesù e la preghiera fedele e costante al Padre – ha detto il Papa – “possiamo aprire finestre verso il cielo di Dio”. Ha anche espresso incoraggiamento per le iniziative politiche e legislative contro la pena di morte (30 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 1 dicembre 2011, p. 8.

Riprendendo la riflessione sulla preghiera di Gesù il Papa ha detto che nel rivolgerci a Dio con la preghiera “dobbiamo avere il cuore dei poveri in spirito per riconoscere che non siamo autosufficienti e non possiamo costru-ire la nostra vita da soli” (7 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 8 dicembre 2011, p. 8.

Proseguendo la riflessione sulla preghiera di Gesù il Papa ha detto che nella preghiera il cristiano rafforza “il rapporto personale con Dio e allo stesso tempo allarga il cuore alle necessità di chi ci sta accanto” (14 dicem-bre 2011), in L’Osservatore Romano, 15 dicembre 2011, p. 8.

Il Papa ha esortato i fedeli a riscoprire il senso vero e profondo del Natale “sacro e cristiano” in modo che anche gli auguri che ci scambiamo in questo giorno siano espressione della gioia di sapere che Dio ci è vicino e percorre con noi il cammino della vita (21 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 22 dicembre 2011, p. 8.

Il Papa ha messo in luce come la famiglia di Nazaret si riveli “il primo modello della Chiesa in cui, grazie alla presenza e alla mediazione di Gesù, si vive tutti la relazione filiale con Dio Padre la quale trasforma anche le relazioni interpersonali umane” (28 dicembre 2011), in L’Osservatore Roma-no, 29 dicembre 2011, p. 8.

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DISCORSI

Nell’incontro con la Conferenza della Fao il Papa lamenta che gli aiuti concreti si limitano alle emergenze. Egoismi e speculazioni sul cibo sono la causa della fame nel mondo. Milioni di bambini sono condannati a morte precoce e sfruttati in cambio di un minimo di nutrimento (1 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 2 luglio 2011, p. 8.

Ricevendo i fedeli della Diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti il Papa ha detto che la Chiesa è la “comunità di Dio posta al servizio dell’umanità e capace di evangelizzare” (2 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 3 luglio 2011, p. 7.

Al termine del pranzo offerto dal Collegio cardinalizio per il sessante-simo di sacerdozio il Papa ha ringraziato per gli auguri e ha ricordato che “in questi sessanta anni quasi tutto è cambiato, ma è rimasta la fedeltà del Signore” (1 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 3 luglio 2011, p. 7.

Inaugurando la mostra allestita per i sessanta anni di sacerdozio il Papa ha detto che la Chiesa e gli artisti devono continuare a dialogare per rende-re questo mondo più umano e più bello; in particolare ha definito gli artisti cercatori della verità e testimoni della carità (4 luglio 2011), in L’Osservato-re Romano, 4-5 luglio 2011, pp. 4-5.

Durante la visita alla redazione de L’Osservatore Romano nel centocin-quantesimo della fondazione il Papa ha espresso una riflessione sull’uso dei media e si è soffermato in particolare sul ruolo prezioso e delicato del quo-tidiano della Santa Sede nel panorama dell’informazione internazionale (5 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 6 luglio 2011, p. 1.

Alla cerimonia di consegna dell’anello d’onore di Traustei, cittadina bavarese, il Papa ha definito la Baviera “terra benedicta” grazie al Crea-tore che le ha dato “montagne, laghi, valli e boschi, pienamente benedetta perché gli uomini sono stati toccati nella fede dalla bontà del Creatore (30 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 1-2 agosto 2011, p. 8.

Durante il concerto eseguito nel cortile interno del Palazzo Pontificio di Castelgandolfo per il sessantesimo di sacerdozio il Papa ha affermato che la bellezza della musica è riflesso di Dio nel mondo (9 agosto 2011), in L’Osser-vatore Romano, 11 agosto 2011, p. 8.

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All’arrivo all’aeroporto internazionale di Madrid il Papa, dopo il salu-to rivoltogli dal re di Spagna Juan Carlos, ha invitato i giovani ad essere testimoni di speranza e di fiducia; ha aggiunto che l’attuale crisi con-ferma la necessità di una ragione etica per porre l’economia al servizio dell’uomo (18 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 19 agosto 2011, pp. 1 e 8.

Giunto nella Plaza de Cibeles di Madrid il Papa ha manifestato la sua gioia per la festa di accoglienza e nelle parole di saluto ha rivolto un mes-saggio di speranza anche per chi non crede (18 agosto 2011), in L’Osservato-re Romano, 20 agosto 2011, p. 9.

Ai giovani riuniti nella capitale madrilena il Papa ha ricordato che Cristo è fondamento della libertà (18 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 20 agosto 2011, p. 9.

Nell’incontro con le giovani religiose al Monastero dell’Escorial il Papa ha detto che la “vita consacrata nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come sua norma di vita” (19 agosto 2011), in L’Osservato-re Romano, 20 agosto 2011, p. 10.

Incontrando nella Basilica di San Lorenzo i giovani docenti universitari spagnoli il Papa ha salutato quanti hanno partecipato ad Avila al Congresso Mondiale delle Università Cattoliche ed ha detto che l’università, istituzione promossa dalla Chiesa, è chiamata ad essere sempre la casa dove si cerca la verità propria della persona umana (19 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 20 agosto 2011, p. 12.

Ai numerosi giovani di tutto il mondo che hanno partecipato alla Via Crucis il Papa ha rivolto l’invito a non passare oltre davanti alla sofferenza umana (19 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 21 agosto 2011, p. 8.

Durante la visita all’Istituto San José di Madrid che assiste disabili fisici e mentali il Papa ha detto che nessuna sofferenza può cancellare la dignità di ogni vita umana (20 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 22-23 agosto 2011, p. 8.

Alla veglia di preghiera nella grande spianata dell’aeroporto di Cuatro Vientos il Papa ha detto che Dio ci ama: questa è la grande verità della nostra vita e che dà senso a tutto il resto; ha anche invitato i giovani a chie-

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dere a Dio l’aiuto per riscoprire la loro vocazione nella società e nella Chiesa (20 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 22-23 agosto 2011, p. 6.

Nell’incontro con i Comitati organizzatori della Gmg il Papa ha ringra-ziato per il lavoro svolto, sottolineando l’efficace collaborazione in atto tra Chiesa e istituzioni civili (20 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 22-23 agosto 2011, p. 8.

Nell’incontro con i volontari che hanno prestato servizio durante lo svolgimento della Gmg il Papa ha ricordato che all’amore di Cristo si può rispondere solo con l’amore (21 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 22-23 agosto 2011, p. 11.

In occasione della cerimonia di congedo all’aeroporto Barajas di Madrid il Papa, nell’assicurare la sua preghiera per i giovani e le famiglie, ha detto che la Spagna può progredire senza rinunciare alla sua anima religiosa (21 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 22-23 agosto 2011, p. 12.

All’inizio della messa celebrata con i suoi ex allievi il Papa ha invitato a chiedere perdono perché così poca è la luce di Dio che siamo chiamati a portare a tutti gli uomini (28 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 29-30 agosto 2011, p. 8.

Al termine del concerto offerto dal cardinale Domenico Bartolucci il Papa ha detto che la musica rappresenta un “linguaggio privilegiato per comunicare la fede della Chiesa e per aiutare il cammino di fede dei creden-ti” (31 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 2 settembre 2011, p. 8.

Ricevendo un gruppo di vescovi indiani in visita “ad limina” il Papa ha detto: “Vi incoraggio a continuare a prestare attenzione alla qualità dell’istruzione nelle scuole presenti nelle vostre diocesi e ad assicurare che siano autenticamente cattoliche” (8 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 9 settembre 2011, p. 8.

Durante l’udienza al nuovo ambasciatore di Gran Bretagna il Papa ha ribadito la necessità che le decisioni politiche si fondino su valori oggettivi e duraturi: una società sana difende la vita e la famiglia (9 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 10 settembre 2011, p. 2.

Nell’incontro con le famiglie e i sacerdoti nella cattedrale di Ancona,

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durante il Congresso eucaristico nazionale, il Papa ha ricordato che dalla sorgente eucaristica deriva una missione comune (11 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 12-13 settembre 2011, p. 7.

Concludendo la visita ad Ancona il Papa si è incontrato con i fidanzati in piazza del Plebiscito e, rispondendo a domande poste da due di loro, ha detto che l’amore vive di gratuità, di sacrificio di sé, di perdono e di rispetto dell’altro: “l’esperienza dell’amore – ha sottolineato – ha al suo interno la tensione verso Dio. Il vero amore promette l’infinito” (11 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 12-13 settembre 2011, p. 8.

Ricevendo i presuli di recente nomina il Papa ha ricordato che il sacra-mento dell’ordine “è posto al servizio del sacerdozio comune dei fedeli” ed ha sottolineato la grande importanza che assume, in particolare nel nostro tempo, la vicinanza dei vescovi ai loro preti (15 settembre 2011), in L’Osser-vatore Romano, 16 settembre 2011, p. 8.

Ad un gruppo di vescovi indiani in visita “ad limina” il Papa ha detto che la Chiesa è amica dei poveri ed ha auspicato che cristiani e seguaci di altre religioni lavorino insieme per i diritti e la dignità di ogni persona (19 set-tembre 2011), in L’Osservatore Romano, 19-20 settembre 2011, p. 7.

All’arrivo a Berlino il Papa ha spiegato il motivo fondamentale del viag-gio in Germania: incontrare la gente e parlare di Dio; ha ricordato, in par-ticolare, che non c’è libertà senza responsabilità e solidarietà (22 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 23 settembre 2011, pp. 1 e 7.

Nel discorso durante la visita al Parlamento federale nel Reichstag di Berlino il Papa ha indicato il compito fondamentale del politico: servire il diritto e combattere l’ingiustizia (22 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 24 settembre 2011, pp. 6-7.

Nell’incontro con i rappresentanti delle comunità musulmane il Papa ha detto che i diritti naturali dell’uomo sono il terreno comune per le religioni (23 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 24 settembre 2011, p. 12.

Nell’ex convento degli agostiniani ad Erfurt il Papa, incontrando i rap-presentanti evangelici tedeschi, ha indicato nell’ecumenismo il grande com-pito comune (23 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 25 settembre 2011, p. 8.

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Nella Chiesa dell’ex convento agostiniano di Erfurt il Papa ha incontra-to, oltre agli evangelici, i rappresentanti di altre comunità protestanti tede-sche ed ha raccomandato a non disperdere il dono dell’unità (23 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 25 settembre 2011, p. 9.

All’arrivo a Friburgo, nel primo incontro con la cittadinanza, il Papa ha esortato i fedeli ad essere messaggeri di gioia (24 settembre 2011), in L’Os-servatore Romano, 25 settembre 2011, p. 12.

Incontrando nel Seminario di Friburgo i rappresentanti delle Chiese ortodosse il Papa ha detto che cattolici ed ortodossi hanno conservato la medesima struttura della Chiesa delle origini e, in questo senso, “tutti noi siamo Chiesa delle origini che, tuttavia, è sempre presente e nuova” (24 set-tembre 2011), in L’Osservatore Romano, 26-27 settembre 2011, p. 3.

Nell’incontro con i seminaristi a Friburgo il Papa ha spiegato il senso del periodo formativo precisando che siamo gli inviati di Gesù per restare con Lui (24 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 26-27 settembre 2011, p. 4.

Incontrando il Comitato centrale dei cattolici tedeschi il Papa ha spie-gato che la vera crisi della Chiesa è una crisi di fede (24 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 26-27 settembre 2011, p. 5.

Durante la veglia di preghiera con i giovani nella Fiera di Friburgo il Papa li ha esortati a passare da cristiani tiepidi a luci di speranza (24 set-tembre 2011), in L’Osservatore Romano, 26-27 settembre 2011, p. 6.

Rivolgendosi ai cattolici tedeschi impegnati nella Chiesa e nella società il Papa ha raccomandato di liberarsi dai fardelli ingombranti e aprirsi ai problemi e alle necessità del mondo attuale (25 settembre 2011), in L’Osser-vatore Romano, 26-27 settembre 2011, p. 10.

All’aeroporto di Lahr durante la cerimonia di congedo il Papa, dopo aver ringraziato le autorità civili e religiose, si è dichiarato fiducioso per il futuro della Chiesa e del cristianesimo in Germania ed ha esortato i cattolici a pro-seguire con forza il cammino della fede (25 settembre 2011), in L’Osservato-re Romano, 26-27 settembre 2011, p. 12.

A conclusione del suo soggiorno estivo a Castelgandolfo il Papa, nel

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salutare e ringraziare i dipendenti delle ville pontificie, ha ricordato che la natura e il silenzio ci avvicinano a Dio (28 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 30 settembre 2011, p. 8.

Ricevendo le autorità civili e militari e le comunità religiose che hanno assicurato il servizio durante il soggiorno a Castelgandolfo, il Papa ha espresso la sua “profonda riconoscenza per la generosa opera” svolta nei mesi estivi della sua permanenza nella cittadina laziale (29 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 30 settembre 2011, p. 8.

Nel discorso ai vescovi dell’Indonesia ricevuti in visita “ad limina” il Papa ha lanciato un appello ad intensificare il dialogo con le religioni nel rispetto delle reciproche differenze e dei diritti delle minoranze (7 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 8 ottobre 2011, p. 7.

Nell’udienza ai partecipanti al convegno promosso dalla fondazione Cen-tesimus Annus pro Pontifice il Papa ha ribadito che famiglia e lavoro sono luoghi privilegiati per la realizzazione della vocazione dell’uomo che colla-bora nell’oggi all’opera creatrice di Dio (15 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 16 ottobre 2011, p. 8.

Ricevendo i prefetti italiani il Papa ha detto che la funzione civile loro propria esige di essere esercitata nell’interesse dei cittadini e del bene comune ed ha espressamente ricordato: “Nell’esercizio delle vostre respon-sabilità siete chiamati ad unire autorevolezza e professionalità, soprattutto nei momenti di tensione e di contrasti” (14 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 15 ottobre 2011, p. 8.

Nell’udienza ad una delegazione della Chiesa siro-malabarese il Papa ha sollecitato l’impegno di tutti gli uomini e di tutte le religioni onde con-seguire pace e armonia per il bene della Chiesa e di tutti i cittadini nella regione del Kerala (17 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 17-18 otto-bre 2011, p. 6.

Durante l’incontro con i nuovi evangelizzatori il Papa ha richiamato al senso di responsabilità che incombe nei confronti di quanti, pur in mezzo a difficoltà, continuano ad aprire con coraggio il cuore e la mente all’acco-glienza dell’invito di Cristo (15 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 17-18 ottobre 2011, p. 7.

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Ricevendo i vescovi australiani in visita “ad limina” il Papa ha detto che gli errori di alcuni in passato non devono condizionare il presente, anzi si deve continuare a porre rimedio per “costruire un futuro migliore per tutte le persone coinvolte” (20 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 21 otto-bre 2011, p. 7.

Durante l’udienza al convegno internazionale degli ordinariati militari il Papa ha detto che la guerra oltraggia la dignità umana; allo scopo di alle-viare le nefaste conseguenze dei conflitti ha auspicato una fattiva collabo-razione tra organizzazioni umanitarie e assistenti spirituali dei militari (22 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 23 ottobre 2011, p. 8.

Al nuovo ambasciatore dei Paesi Bassi il Papa ha detto che la Chiesa promuove la giustizia naturale e, in particolare, proclama i diritti degli indifesi compresi i membri di gruppi minoritari che soffrono una ingiusta discriminazione (21 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 22 ottobre 2011, p. 2.

Ricevendo i membri della fondazione intitolata a Giovanni Paolo II il Papa ha ricordato la “vasta e ricca eredità” lasciata dal suo Predecesso-re alla Chiesa (24 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, p. 12.

Al termine del concerto comprendente il Te Deum e la nona sinfonia di Bruckner il Papa ha definito la musica del compositore austriaco espressio-ne di una fede semplice e genuina (22 ottobre 2011), in L’Osservatore Roma-no, 24-25 ottobre 2011, p. 5.

In occasione della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi il Papa, rivolgendosi ai capi delle grandi religioni mondiali, ha detto che il vero Dio è accessibile a tutti e nessuno può, in suo nome, “sentirsi autorizzato alla violenza nei confronti degli altri” (27 ottobre 2011), in L’Os-servatore Romano, 28 ottobre 2011, p. 12.

Durante l’udienza alle delegazioni presenti all’incontro per la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, il Papa ha detto che “il viaggio dello spirito è sempre un viaggio di pace” (28 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 29 ottobre 2011, p. 8.

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Al termine dell’incontro conclusivo nella piazza inferiore di San France-sco ad Assisi il Papa ha lanciato un appello a continuare uniti nel cammino intrapreso nella città di San Francesco (27 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 29 ottobre 2011, p. 7.

Nell’udienza al nuovo ambasciatore del Brasile il Papa ha sottolineato che l’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche non feri-sce la laicità dello Stato e garantisce il diritto dei Paesi a scegliere l’educa-zione dei propri figli (31 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 31 otto-bre-1 novembre 2011, pp. 1 e 2.

Ricevendo il nuovo ambasciatore della Costa d’Avorio il Papa ha detto che la promozione della pace si realizza attraverso la verità e la giustizia e ha sottolineato il dovere di far luce sui crimini e gli attentati commessi contro i diritti delle persone (4 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 5 novembre 2011, p. 2.

Al nuovo ambasciatore della Repubblica Federale di Germania il Papa ha detto: “Ogni persona, sia uomo sia donna, è destinata ad esserci per gli altri. Un rapporto che non rispetti il fatto che l’uomo e la donna hanno la stessa dignità, costituisce un grave crimine contro l’umanità” (7 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 7-8 novembre 2011, p. 2.

Durante l’udienza ai membri dell’Israeli Religious Council il Papa ha auspicato pace per Gerusalemme e per la Terra Santa. Ha anche sottoli-neato che “oggi il dialogo fra differenti religioni sta diventando sempre più importante per instaurare un clima di mutuo rispetto e di comprensione” (10 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 11 novembre 2011, p. 8.

Nel discorso per la cittadinanza conferitagli dal comune di Natz Schats/Nava Schiaves il Papa ha riportato un detto sentito da ragazzo secondo il quale il Tirolo l’hanno messo insieme gli angeli (9 novembre 2011), in L’Os-servatore Romano, 11 novembre 2011, p. 8.

Ricevendo i partecipanti al convegno internazionale del volontariato cat-tolico il Papa ha definito strumenti visibili dell’amore di Dio nel mondo con-temporaneo quei “milioni di volontari cattolici” che contribuiscono alla mis-sione caritativa della Chiesa (11 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 12 novembre 2011, p. 8.

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Nell’udienza ai partecipanti alla conferenza internazionale sulle stami-nali il Papa ha detto che la Chiesa non ostacola il progresso della scienza ed ha ribadito che la “distruzione di una sola vita umana non si può mai giustificare nei termini del beneficio che ne potrebbe presumibilmente conseguire per un’altra” (12 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 13 novembre 2011, p. 5.

Durante la cerimonia dì benvenuto all’aeroporto di Cotonou in Benin (Africa) il Papa ha esortato gli ascoltatori ad essere aperti ad una modernità radicata nei valori quali: là dignità della persona, la grandezza della fami-glia e il rispetto per la vita (18 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 20 novembre 2011, p. 8.

Visitando la cattedrale di Cotonou, dedicata a Nostra Signora della Misericordia, il Papa ha rivolto l’invito a meditare sulla misericordia infini-ta di Dio e, in particolare, a ricorrere all’intercessione di Maria, Madre di misericordia (18 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 20 novembre 2011, p. 9.

Nell’incontro con i sacerdoti, religiosi(e) e laici nel Seminario di San Gallo, a Ouidah, il Papa li ha esortati a lasciar trasparire Cristo nella loro vita e ha ricordato che l’amore libera da sincretismi e occultismi per inte-grare nella fede i valori autentici della cultura africana (19 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 20 novembre 2011, p. 10.

Nell’incontro con i membri del Governo, i rappresentanti delle istituzio-ni e le autorità religiose del Benin il Papa ha detto che l’Africa ha bisogno di servitori della speranza ed ha insistito sulla pedagogia del dialogo per sconfiggere l’odio e promuovere la cooperazione tra religioni e culture (19 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 20 novembre 2011, pp. 6-7.

Durante la visita alla Basilica di Ouidah il Papa ha firmato la Esortazio-ne apostolica postsinodale “Africae munus”. Nel consegnare il Documento ai presidenti delle Conferenze episcopali dell’Africa ha espresso l’augurio che la Chiesa sia segno profetico di riconciliazione per la giustizia e il bene di tutti gli africani (11 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 20 novem-bre 2011, p. 11.

Durante l’incontro con i bambini nella Parrocchia di Santa Rita a Cotonou il Papa ha chiesto una preghiera per lui stesso e per i piccoli che

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soffrono (19 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 21-22 novembre 2011, p. 8.

Nel discorso ai vescovi del Benin il Papa li ha incoraggiati ad attingere da Cristo nuovo slancio per il rinnovamento spirituale e un nuovo fervore per l’attività missionaria (19 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 21-22 novembre 2011, p. 9.

A conclusione del viaggio apostolico in terra africana, durante la cerimo-nia di congedo all’aeroporto di Cotonou il Papa ha detto che dal Benin parte la strada della fraternità nella giustizia (20 novembre 2011), in L’Osservato-re Romano, 21-22 novembre 2011, p. 11.

Nell’incontro promosso dalla Caritas italiana nel quarantesimo di fon-dazione il Papa ha detto che la crisi economica globale è un segno dei tempi che chiede il “coraggio della fraternità; urgono, in particolare, gesti concreti di speranza per le famiglie e per i giovani (24 novembre 2011), in L’Osserva-tore Romano, 25 novembre 2011, p. 8.

Nel ricevere la conferenza internazionale degli operatori sanitari il Papa ha ricordato che la sofferenza mette alla prova l’amore e la Chiesa è tenuta ad assistere in modo particolare l’uomo che si trova sulla via della sofferen-za (26 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 27 novembre 2011, p. 8.

Ricevendo il primo gruppo dei vescovi statunitensi in visita “ad limi-na” il Papa ha indicato nella evangelizzazione e nella conversione le prio-rità della Chiesa ed ha auspicato sforzi coscienziosi e trasparenti per la lotta agli abusi sessuali (26 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 27 novembre 2011, p. 7.

Rivolgendosi alla plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici il Papa ha detto che per ridare all’uomo la sua piena dignità si deve “ricominciare da Dio” (25 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 26 novembre 2011, p. 8.

Incontrando studenti e docenti italiani aderenti al progetto “Ambientia-moci” della Fondazione Sorella Natura il Papa ha detto che non ci sarà “un futuro buono per l’umanità sulla terra” se non ci si educa ad “uno stile di vita più responsabile nei confronti del creato” (28 novembre 2011), in L’Os-servatore Romano, 28-29 novembre 2011, p. 8.

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Al termine del concerto offerto dal Governo del Principato delle Asturie il Papa si è detto convinto che la musica opera meraviglie perché è un lin-guaggio universale che supera ogni barriera (26 novembre 2011), in L’Osser-vatore Romano, 28-29 novembre 2011, p. 7.

Nell’incontro con la plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia il Papa ha ricordato che la nuova evangelizzazione è inseparabile dalla famiglia cristiana. Come la Chiesa, la famiglia è chiamata ad accogliere e a manifestare nel mondo l’amore e la presenza di Cristo (1 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 2 dicembre 2011, p. 8.

Nell’udienza al congresso mondiale di pastorale per gli studenti interna-zionali il Papa ha detto che l’incontro delle culture nel campo universitario può far crescere “una nuova generazione capace di dialogo e impegnata a diffondere la collaborazione per la pace e lo sviluppo” (2 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2011, p. 7.

Ricevendo la Pontificia Commissione Teologica Internazionale il Papa ha detto che ogni teologo è chiamato ad essere “uomo dell’Avvento che illu-mina le vie dell’intelligenza della Parola che si è fatta carne” (2 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 3 dicembre 2011, p. 8.

Al termine dell’incontro natalizio offertogli dalla televisione bavarese Bajerischer il Papa ha ricordato che le tradizioni popolari del tempo di Avvento “creano uno spazio di silenzio per l’attesa del Signore nella fre-nesia quotidiana” (2 dicembre 2011), in l’Osservatore Romano, 4 dicembre 2011, pp. 1 e 8.

Durante l’udienza alle cooperative cattoliche e alle banche di credito cooperativo il Papa ha ribadito che la dottrina sociale della Chiesa incorag-gia da sempre l’equilibrio fra tutela dei diritti del singolo e promozione del bene comune (10 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 11 dicembre 2011, p. 8.

In occasione del tradizionale omaggio all’Immacolata in piazza di Spa-gna a Roma il Papa, consapevole del momento difficile per l’Italia, l’Europa e varie parti del mondo, ha pregato la Vergine di aiutare l’umanità “a vede-re che c’è una luce aldilà della nebbia che sembra avvolgere la realtà” (8 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 9-10 dicembre 2011, p. 8.

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Agli undici nuovi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede il Papa ha ricordato che interesse privato e logiche di potere “portano alla disgre-gazione della società e accentuano la povertà” (15 dicembre 2011), in L’Os-servatore Romano, 16 dicembre 2011, p. 8.

Nell’udienza alla delegazione dell’Ucraina che ha donato l’albero di Natale il Papa ha detto che l’Ucraina resta “un punto di incontro tra i richiami spirituali di Oriente e Occidente” (16 dicembre 2011), in L’Osserva-tore Romano, 17 dicembre 2011, p. 8.

Ai vescovi della Nuova Zelanda e del Pacifico in visita “ad limina” il Papa ha raccomandato: l’unione tra le rispettive Chiese locali e tra queste e il Papa; discernimento nei confronti dei seminaristi e sostegno per i sacer-doti; cura particolare per i laici impegnati (17 dicembre 2011), in L’Osserva-tore Romano, 18 dicembre 2011, p. 12.

Durante l’udienza natalizia all’Azione Cattolica Ragazzi il Papa ha lanciato un appello affinché tutti i ragazzi e le ragazze del mondo “siano rispettati sempre e a nessuno manchi il necessario per vivere” (19 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 19-20 dicembre 2011, p. 8.

Durante la visita al carcere romano di Rebibbia il Papa ha detto che giu-stizia, misericordia e carità sono i cardini della dottrina sociale della Chie-sa; ha inoltre denunciato l’insostenibilità della “doppia pena” che i reclusi debbono sostenere a causa del sovraffollamento delle carceri (18 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 19-20 dicembre 2011, p. 7.

Nell’incontro col Collegio cardinalizio e con la Curia romana per lo scambio degli auguri natalizi il Papa ha detto che la nuova evangelizzazio-ne postula un modo nuovo dell’essere cristiano ed ha indicato nell’Africa recentemente visitata con il viaggio nel Benin e nella Giornata mondiale della gioventù vissuta a Madrid una grande medicina contro il tedio e la stanchezza del credere (22 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 23 dicembre 2011, p. 8.

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LETTERA APOSTOLICA “QUAERIT SEMPER”

Con il Documento “Quaerit semper” emanato da Benedetto XVI il 30 agosto del 2011 viene modificata la Costituzione Apostolica “Pastor bonus” (con l’abrogazione degli articoli 67 e 68) e si trasferiscono alcune compe-tenze della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramen-ti al nuovo Ufficio per i procedimenti di dispensa dal matrimonio rato e non consumato e le cause di nullità della sacra ordinazione, (Ufficio) costituito presso il Tribunale della Rota Romana, in L’Osservatore Romano, 28 set-tembre 2011, p. 7.

LETTERA APOSTOLICA “LA PORTA DELLA FEDE”

Con il sunnominato Documento redatto in forma di Motu proprio Bene-detto XVI indice l’anno di fede che si aprirà l’undici ottobre 2011, cinquan-tesimo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II e si chiuderà il 24 novembre 2013, in L’Osservatore Romano, 17-18 ottobre 2011, pp. 4-5.

MESSAGGI

Nel messaggio all’Ordine dei Chierici Regolari somaschi nel quinto centenario della prodigiosa liberazione del Fondatore, San Girolamo Emi-liani, il Papa ricorda che la povertà di amore è alla radice di ogni problema umano. Le prove, sia personali che istituzionali alle quali siamo sottoposti, servono per accrescere la fede (20 luglio 2011), in L’Osservatore Romano, 29 luglio 2011, p. 8.

Ai partecipanti al meeting di Rimini aperto il 21 agosto il Papa ha invia-to un messaggio nel quale sottolinea la certezza che nasce dalla fede (6 ago-sto 2011), in L’Osservatore Romano, 3 settembre 2011, p. 8.

Il Papa ha inviato al cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani, e questo in occasione del simposio inter-cristiano di Salonicco, un messaggio ove scrive: “Gli attuali scenari culturali, sociali ed economici pongono ai cattolici e agli ortodossi le medesime sfide (6 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 3 settembre 2011, p. 8.

Nel decennale dell’11 settembre 2001 il Papa, in un messaggio inviato al

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presidente della Conferenza episcopale statunitense ricorda che nulla giu-stifica il terrorismo e la tragedia di quel giorno è resa più grave dalla riven-dicazione degli autori di agire in nome di Dio, in L’Osservatore Romano, 11 settembre 2011, p. 1.

In occasione dell’incontro internazionale di preghiera per la pace il Papa ha inviato al cardinale Arcivescovo di Monaco di Baviera un messaggio affermando che “la religione, incentrata sull’incontro dell’uomo con Dio, è legata in modo essenziale alla questione della pace” (1 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 1 settembre 2011, p. 4.

In un radiomessaggio nell’imminente viaggio in Germania il Papa sotto-linea l’importanza dell’incontro con i rappresentanti delle Chiese Evangeli-che ed esprime l’auspicio che si torni a vedere Dio, del quale abbiamo tanto bisogno, nell’orizzonte del mondo, in L’Osservatore Romano, 19-20 settem-bre 2011, p. 1.

In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione che quest’an-no ha per tema: “Prezzi degli alimenti: dalla crisi alla stabilità”, il Papa ha diffuso un messaggio in cui afferma che gli egoismi e interessi affamano il mondo, in L’Osservatore Romano, 17-18 ottobre 2011, p. 6.

Nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (15 gennaio 2012) il Papa ricorda che l’accoglienza a migranti e rifugiati, oltre che questione di solidarietà, è una opportunità provvidenziale per rinnovare l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo, segnato dai tentativi di cancellare Dio e l’insegnamento della Chiesa dall’orizzonte della vita (21 settembre 2011), in l’Osservatore Romano, 26 ottobre 2011, p. 8.

In un messaggio al congresso nazionale della famiglia in Ecuador il Papa scrive che, sia il lavoro, sia il giorno di festa, sono strettamente legati al benessere della persona umana e alla stabilità della famiglia (1 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 11 novembre 2011, p. 7.

In occasione della festa dell’apostolo Sant’Andrea il Papa ha inviato all’Arcivescovo di Costantinopoli Patriarca ecumenico un messaggio ove è ribadita la necessità di essere uniti per testimoniare pace e riconciliazio-ne, ed è rinnovata la supplica al Signore per attuare il dono dell’unità (24 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 1 dicembre 2011, p. 6.

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Nel messaggio diffuso in occasione della seduta pubblica delle Pontificie Accademie sul tema “Testimoniare e testimonianza” il Papa ha ricordato che studi e ricerche in Terra Santa come a Roma dimostrano come fin dalle ori-gini la comunità cristiana abbia voluto esaltare le figure dei “campioni della fede” (30 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 2 dicembre 2011, p. 5.

Nel radiomessaggio in occasione dell’accensione dell’Albero di Natale luminoso di Gubbio, il più grande del mondo, il Papa ha ricordato che abbia-mo bisogno di luce nei problemi del nostro tempo (7 dicembre 2011), in L’Os-servatore Romano, 9-10 dicembre 2011, p. 7.

“Educare i giovani alla giustizia e alla pace”: è il titolo del messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace 2012. Benedetto XVI si dice convinto che i giovani “con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, posso-no offrire una nuova speranza al mondo”. Il messaggio contiene un appello particolare ai pastori, alle famiglie, a tutte le componenti educative e ai responsabili della vita religiosa, civile e politica (8 dicembre 2011), in L’Os-servatore Romano, 17 dicembre 2011, pp. 4-5.

In occasione delle benedizione natalizia alla Città e al Mondo impartita il 25 dicembre, il Papa ha auspicato che “il Signore soccorra l’umanità ferita dai tanti conflitti che insanguinano il Pianeta”, in L’Osservatore Romano, 27-28 dicembre 2011, p. 8.

OMELIE

Nella messa a San Tommaso da Villanova a Castelgandolfo il Papa ha ricordato che le cose di Dio sono le uniche ad avere vera urgenza per la nostra vita (15 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 17-18 agosto 2011, p. 7.

Nella messa con i seminaristi nella cattedrale di Madrid il Papa ha annunciato che San Giovanni d’Avila, “modello polivalente del sacerdote nella società contemporanea”, sarà dichiarato dottore della Chiesa (20 ago-sto 2011), in L’Osservatore Romano, 21 agosto 2011, p. 5.

Nella messa conclusiva della Gmg sulla spianata dell’aeroporto dei Cua-tro Vientos di Madrid il Papa ha affermato che il mondo ha bisogno della gioia della fede (21 agosto 2011), in L’Osservatore Romano, 22-23 agosto 2011, p. 9.

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Nel concludere il Congresso eucaristico nazionale nel cantiere navale di Ancona il Papa ha sottolineato la necessità di uno sviluppo sociale positivo per ridare dignità all’uomo e al suo lavoro (11 settembre 2011), in L’Osser-vatore Romano, 12-13 settembre 2011, p. 5.

Nella messa celebrata nello stadio olimpico di Berlino il Papa ha ricor-dato che non crediamo da soli, ma con tutta la Chiesa (22 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 24 settembre 2011, p. 11.

Ai vespri celebrati sulla spianata di Etzelsbach il Papa ha indicato nella vita la risposta all’amore di Dio (23 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 25 settembre 2011, p. 10.

Nella messa celebrata in piazza Duomo ad Esrfurt il Papa ha ricordato che sono i santi a cambiare il mondo (24 settembre 2011), in L’Osservatore Romano, 25 settembre 2011, p. 11.

Nella messa celebrata nella spianata dell’aeroporto di Friburgo il Papa ha detto che il potere di Dio è misericordia e perdono ed ha ricordato che Dio rispetta la nostra libertà (25 settembre 2011), in L’Osservatore Roma-no, 26-27 settembre 2011, p. 7.

Durante la messa celebrata alla periferia industriale di Lamezia Terme il Papa ha esortato a non cedere alla tentazione del pessimismo di fronte all’efferatezza della criminalità, ma a costruire una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere il bene comune (9 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 10-11 ottobre 2011, p. 6.

Nell’omelia ai secondi vespri recitati con la comunità dei monaci della certosa di Serra San Bruno (Calabria) il Papa ha sottolineato l’importanza del silenzio che trova l’essenziale (9 ottobre 2011), in L’Osservatore Roma-no, 10-11 ottobre 2011, p. 6.

Nell’omelia della messa a conclusione dell’incontro internazionale dei nuovi evangelizzatori il Papa ha annunciato che dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013 sarà celebrato l’Anno della fede per portare gli uomini dal deserto in cui spesso si trovano, alla vita in pienezza in Cristo (16 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 17-18 ottobre 2011, p. 8.

Durante la messa per la canonizzazione di Guido Maria Conforti, Luigi

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Guanella e Bonifacio Rodriguez de Castro il Papa ha detto che i tre nuovi santi sono stati trasformati dalla carità in armonia con il precetto dell’amo-re presentato nel vangelo della domenica (23 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, p. 11.

Presiedendo la celebrazione della Parola alla vigilia della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, in pro-gramma ad Assisi il 27 ottobre 2011, il Papa ha ricordato che la preghiera è il contributo più prezioso che, come cristiani, possiamo dare alla causa della pace (26 ottobre 2011), in L’Osservatore Romano, 27 ottobre 2011, p. 8.

Nella messa in suffragio dei cardinali e vescovi morti durante l’anno il Papa ha detto che la vicinanza di Dio all’uomo non si ferma “davanti all’abis-so della morte” e Cristo assume la nostra carne mortale “affinché essa sia investita dalla gloriosa potenza di Dio” (3 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 4 novembre 2011, p. 8.

Presiedendo i vespri per l’inaugurazione dell’anno accademico nelle Università pontificie il Papa, soffermandosi sul ministero sacerdotale, ha ricordato che essere sacerdoti vuol dire essere servi anche con l’esempla-rità della vita (4 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 6 novembre 2011, p. 8.

Nell’omelia della messa celebrata nello stadio dell’Amicizia a Cotonou nel Benin (Africa) nella solennità di Cristo Re, il Papa ha ricordato che cele-briamo un Re che ha il volto dei poveri e dei malati (20 novembre 2011), in L’Osservatore Romano, 21-22 novembre 2011, p. 12.

Durante la visita pastorale alla Parrocchia romana di Santa Maria delle Grazie a Casal Boccone il Papa ha detto: “In questo mondo con tante tene-bre tutti siamo chiamati ad essere testimoni della luce: questa è la missione del tempo di Avvento (11 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 12-13 dicembre 2011, p. 7.

Nella messa per il bicentenario dell’indipendenza dei Paesi dell’“Ame-rica Latina e dei Caraibi il Papa ha incoraggiato i popoli di quelle regioni a rinnovare “la vocazione alla speranza” (12 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 14 dicembre 2011, p. 8.

Nell’omelia ai vespri con gli universitari di Roma il Papa ha ricordato

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che il Bambino di Betlemme è “il segno della presenza di Dio, che per primo è paziente, costante e fedele al suo amore verso di noi” (15 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 17 dicembre 2011, p. 8.

Nell’omelia della notte di Natale il Papa ha detto che Dio si manifesta al cuore diventato semplice ed ha invitato a seguire il cammino interiore di San Francesco ispirato dalla Natività, in L’Osservatore Romano, 27-28 dicembre 2011, p. 7.

Presiedendo i primi vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio e il Te Deum di fine anno, il Papa ha invitato i fedeli di Roma, sua diocesi, a restare fedeli ai valori della sua storia e a rinnovare l’impegno dell’evangelizzazione (31 dicembre 2011), in L’Osservatore Romano, 2-3 gennaio 2012, p. 7.

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ATTI DELLASANTA SEDE

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PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO. In occasione della festa indù di Deepavali la presidenza del sunnominato Organismo pontificio ha diffuso un messaggio esprimendo anzitutto sentimenti augurali e quindi auspicando che cristiani e indù operino insieme per promuovere la libertà religiosa, in L’Osservatore Romano, 21 ottobre 2011, p. 5.

PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE. Pubblicata la “Nota” per una riforma del sistema finanziario e monetario internazio-nale nella prospettiva di una autorità pubblica a competenza universale, in L’Osservatore Romano, 24-25 ottobre 2011, pp. 6-8.

CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI. Pubblicati dodici Decreti riguardanti un miracolo attribuito alla intercessione di dodici Servi di Dio; quattro Decreti riguardanti il martirio di sessantasei Servi di Dio; sette Decreti riguardanti le virtù eroiche di altrettanti Servi di Dio, in L’Osserva-tore Romano, 19-20 dicembre 2011, p. 8.

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ATTI DELLACONFERENZAEPISCOPALE ITALIANA

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COMMISSIONE EPISCOPALE PER L’ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRE-LIGIOSO - COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, LA GIUSTIZIA E LA PACE. Messaggio dei Vescovi italiani in occasione della sesta Giornata “per la salvaguardia del creato”. Nel messaggio il cui titolo è “In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza” e che è in continuità col tema dello scorso anno “Custodire il creato per coltivare la pace”, si distinguono quattro punti: 1) Il cuore dell’uomo deve essere formato all’ac-coglienza di ogni esistenza umana affinché l’ospitalità sia “la misura con-creta dello sviluppo umano”; 2) Viene delineato il problema drammatico e crescente dei “rifugiati ambientali”, di coloro cioè, che, a causa del degrado naturale in cui vivono, lo devono lasciare affrontando i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato; 3) Educare all’accoglienza significa: ringraziare Dio per il dono del creato; vivere la responsabilità di rendere sempre più bella la creazione; essere testimoni di gratuità e di servizio nei confronti di ogni persona umana; 4) Si sottolinea che sul tema della salvaguardia del creato c’è profonda sintonia di pensiero e di iniziative tanto con l’Ortodossia quanto con il mondo protestante, in Avvenire, 1 settembre 2011, p. 21.

CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI. Prolusione del Presidente nella sessione invernale. Il Cardinale Angelo Bagnasco, ad una analisi severa e coraggiosa della complessa e difficile situazione della realtà politico-sociale italiana fa seguito l’enunciazione di luci e speranze emergenti dalla Gmg di Madrid, dal viaggio del Papa in Germania e dal Congresso euca-ristico nazionale ad Ancona; auspicato un rinnovato impegno da parte dei cattolici italiani per promuovere in politica il bene comune e per combatte-re la corruzione, l’evasione fiscale e il calo demografico; la cura educativa culturale ed intellettuale delle giovani generazioni resta l’impresa più importante e sacra da perseguire nei prossimi anni, in Avvenire, 27 set-tembre 2011, pp. 4-7.

CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI. Comunicato finale della ses-sione invernale (26-29 settembre 2011). Questi i punti maggiormente sottolineati: riflessione e preoccupazione per le conseguenze della crisi economico-sociale che colpisce specialmente le fasce deboli del Paese; ven-gono ricordate le molteplici iniziative di carattere caritativo-culturale che la Chiesa va svolgendo a sostegno del bene comune; esaminato il testo che applica alla realtà italiana le linee-guida vaticane circa gli abusi sessuali sui

NOTA: i testi citati sono reperibili su internet consultando il sito www.chiesacattolica.it

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minori compiuti da chierici e particolare attenzione al percorso formativo dei seminari; il programma di lavoro del prossimo quinquennio sarà incen-trato sul tema dell’educazione; la famiglia sarà il tema della prossima Set-timana dei cattolici italiani: è inoltre in preparazione un sussidio pastorale per l’accompagnamento dei fidanzati; viene anche approvato il messaggio per la Giornata della vita in programma nel prossimo anno, in Avvenire, 1 ottobre 2011, p. 20.

COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, LA GIUSTIZIA E LA PACE. Nel messaggio per la Giornata del Ringraziamen-to (13 novembre 2011), che si intitola “Solo con Dio c’è futuro”, i vescovi, tenendo conto che l’obiettivo della Giornata è mettere in primo piano i pro-blemi che riguardano il settore primario nazionale con attenzione alla sal-vaguardia del territorio e in particolare all’agricoltura, raccomandano siano rispettate la terra e la salute dei cittadini piuttosto che perseguire facili guadagni, in Avvenire, 19 ottobre 2011, p. 18.

CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI. Il Messaggio per la 34a Giornata Nazionale per la vita (ricorre il 5 febbraio 2012) si intitola: “Giovani aperti alla vita”. La vera giovinezza – scrivono i vescovi – risiede e fiorisce in chi non si chiude alla vita” e richiamano in particolare il ruolo educativo che spetta agli “adulti contenti del dono dell’esistenza” e impegnati a promuo-vere “un atteggiamento di servizio e di dedizione alla vita”, in Avvenire, 9 novembre 2011, p. 23.

PRESIDENZA DELLA CEI. Nel messaggio rivolto alle famiglie e agli stu-denti in vista della scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola, scrivono i vescovi: “L’insegnamento di questa materia è un valore aggiunto a cui vi invitiamo a guardare con fiducia, qualunque sia il vostro credo e la vostra estrazione culturale” in quanto si tratta di spazio educativo autentico, in Avvenire, 16 novembre 2011, p. 19.

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ATTI DELLACONFERENZAEPISCOPALE TRIVENETO

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TARIFFARIO PER GLI ATTI DI CURIA

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CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETA

TARIFFARIO

Tariffa1. PERSONE- Nomina a parroco o canonico 25- Decreto di incardinazione o escardinazione 25- Onorificenze pontificie (oltre tassa S. Sede) 25- Nomina insegnanti di religione 502. CHIESA- Per ogni decreto (erezione, consacrazione, benedizione, ecc.) 253 ENTI ECCLESIASTICI- Atti di straordinaria amministrazione a) donazioni, eredità, legati in beni mobili 10 % valore b) donazioni, eredità, legati in beni immobili 5 % valore (qualora il bene venga alienato entro cinque anni dal perfezionamento dell’accettazione, dalla tassa di alienazione verrà detratta la tassa già corrisposta in occasione dell’accettazione) c) alienazioni, permute con conguaglio 5 % valore - Licenze per operazioni e atti onerosi 50- Per gli atti di straordinaria amministrazione posti dall’IDSC a) per acquisti a titolo gratuito (donazioni, eredità, lasciti) 15 % valore b) per alienazioni o permute con conguaglio 504. RELIGIOSI- Per ogni decreto richiesto all’Ordinario diocesano 255. MATRIMONIALIA- Pratica istruttoria del matrimonio 10- Dispensa dalle pubblicazioni 10- Celebrazione senza pubblicazioni civili 10- Atti relativi a dispense o impedimenti 106. ARCHIVIO CURIALE O PARROCCHIALE- Copie di atti di anagrafe canonica 3- Copie di documenti d’archivio, per ogni pagina 17. VARIE- Permessi vari, dichiarazioni, nulla osta, ecc. 5- Assegnazione di cognome o dichiarazione di legittimità 40- Pratiche per Verifica Interesse Culturale (V.I.C.) 100

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RIUNIONE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO DEL 13 SETTEMBRE 2011

Il dono della visita di Papa Benedetto XVI e l’approfondimento dei messaggi che ha voluto, in quell’occasione, rivolgere alle Chiese e alle genti del Nordest rilanciano e arricchiscono di nuovi contenuti il cammino verso “Aquileia 2”, il convegno ecclesiale delle comunità cristiane delle 15 Diocesi del Nordest in programma dal 13 al 15 aprile 2012, e sono stati i temi affrontati dai Vescovi del Triveneto riuniti a Zelarino presso il Centro Pastorale Card. Urbani.

Ha guidato i lavori mons. Dino De Antoni, arcivescovo di Gorizia, eletto presidente della Conferenza Episcopale Triveneto dopo il trasferimento del card. Angelo Scola, già Patriarca di Venezia, divenuto Arcivescovo di Mila-no. I Vescovi hanno, inoltre, provveduto all’elezione del nuovo vicepresiden-te della Conferenza Episcopale Triveneto nella persona di mons. Antonio Mattiazzo, Vescovo di Padova.

Durante l’incontro, i Vescovi hanno esaminato e discusso la nuova “trac-cia di lavoro” predisposta dal Comitato triveneto che si sta occupando di “Aquileia 2” e che fornisce precise indicazioni sulle tappe e sulle modalità del lavoro che caratterizzerà il periodo di “preparazione immediata” all’ap-puntamento del prossimo anno. Si punta, in particolare, sulla diffusione e condivisione delle “testimonianze” redatte nei mesi scorsi dalle Diocesi nell’intento di raccontare la vita attuale, l’impegno, le gioie e le fatiche delle Chiese e del territorio del Nordest, evidenziandone soprattutto i cambia-menti in atto in questi anni. Si tratterà, ora, di individuare insieme le que-stioni emergenti e fondamentali che più interessano e stanno a cuore alla vita di queste regioni, anche in vista di una più stretta collaborazione – di esperienze, iniziative, strumenti, stili di vita e orientamenti pastorali – tra le Chiese del Nordest.

Per accompagnare e sostenere il cammino di “preparazione immediata”

RIUNIONI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO

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sono state focalizzate tre piste per il lavoro e la riflessione comune: la nuova evangelizzazione nel Nordest (come annunciare e far incontrare Cristo oggi per testimoniare la “vita buona del Vangelo”); il dialogo con la cultura del nostro tempo (soprattutto nell’attuale contesto multiculturale e multietni-co del Nordest, crocevia di popoli e culture); l’impegno per il bene comune (sugli ambiti di vita pubblica che richiedono con maggiore urgenza la colla-borazione e l’apporto delle comunità ecclesiali).

Il ricco insegnamento offerto da Benedetto XVI al Nordest nel suo recente viaggio pastorale rappresenteranno il riferimento costante per l’ap-profondimento e la riflessione delle comunità ecclesiali delle 15 Diocesi nel restante tempo di preparazione e, naturalmente, anche per lo svolgimento del prossimo convegno di Aquileia.

Tale traccia di lavoro e le “testimonianze” sinora elaborate dalle Diocesi – insieme ad una presentazione curata dai Vescovi triveneti e alla raccolta degli interventi del Papa ad Aquileia e al Parco di S. Giuliano – saranno messi a disposizione delle comunità e delle aggregazioni ecclesiali già entro la fine del mese di settembre. Alla preparazione di “Aquileia 2” sarà dedica-ta anche la prossima due giorni della Cet in programma a Cavallino (Vene-zia) il 9 e 10 gennaio 2012.

RIUNIONE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO DEL 29 NOVEMBRE 2011

La preparazione al prossimo Convegno delle Chiese del Nordest – in programma ad Aquileia e a Grado dal 13 al 15 aprile 2012 (“Aquileia 2”) – ed un aggiornamento sull’attuale situazione dei media ecclesiali sono stati i principali temi affrontati nel corso della riunione dei Vescovi della Confe-renza Episcopale Triveneto, che si è tenuta presso il Centro pastorale card. Urbani a Zelarino (Venezia). Al grande appuntamento ecclesiale previsto nell’aprile 2012 sarà interamente dedicata la prossima “due giorni” dei Vescovi – allargata anche ai responsabili e coordinatori delle Commissioni pastorali trivenete e a coloro che, in rappresentanza delle Diocesi, stanno organizzando “Aquileia 2” all’interno del Comitato preparatorio – che si terrà a Cavallino (Venezia) il 9 e 10 gennaio 2012.

Nuova evangelizzazione del Nordest, in dialogo con la cultura del nostro

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tempo e impegno per il bene comune, sono gli ambiti di riflessione su cui le Chiese diocesane stanno lavorando da tempo e su cui si svilupperà, quindi, lo stesso convegno di “Aquileia 2”. A tal fine, nei prossimi mesi, si svolge-ranno anche alcuni seminari di studio per mettere a fuoco e diffondere sul territorio i contenuti e i temi più significativi emersi nel cammino di prepa-razione. In particolare, sono tre gli appuntamenti già programmati all’inizio del 2012: �� ������� � �� ����� �� ������ ��� ���� ����� ���� ��������� �� �� ��������� ��

vent’anni di trasformazioni nel Nordest” in collaborazione con la Fonda-zione Nordest;

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realtà dei media ecclesiali – tra cui Telechiara e i settimanali diocesani – nell’attuale contesto ed hanno espresso profonda preoccupazione per gli annunciati tagli ai contributi all’editoria che rischiano di colpire in maniera pesante i 18 settimanali delle Chiese del Nordest. Tali tagli rischiano di rappresentare – come sottolineato anche dal Segretario della Conferen-za Episcopale Italiana mons. Mariano Crociata – “un impoverimento del pluralismo informativo, del dibattito politico e del patrimonio culturale e informativo del Paese”. Nell’auspicare una sempre maggiore sinergia e col-laborazione tra i media ecclesiali presenti in questo territorio, specialmente ora e in vista di “Aquileia 2”, i Vescovi auspicano perciò che si possa trovare presto una soluzione che salvaguardi la storica esistenza delle testate dio-cesane, in considerazione del prezioso ruolo svolto a servizio della Chiesa e dell’intera società.

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ATTIVITÀ DEL VESCOVO

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MESSAGGIO NATALIZIO(Vicenza, Episcopio, 1 dicembre 2011)

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

per la prima volta mi rivolgo a voi per porgervi i miei paterni e fraterni auguri di buon Natale. Celebrare insieme a voi la festa della Natività del Figlio di Dio mi aiuta e mi spinge a penetrare con interesse e convinzione più profonde il grande mistero dell’incarnazione, per impegnarmi a cono-scere ed amare sempre più questa Chiesa di Vicenza che il Signore ha volu-to affidarmi.

Facendosi uomo, il Figlio di Dio ha assunto la nostra umanità, ha voluto farsi simile a noi in tutto, fuorché nel peccato, dal quale ci ha liberato, come ben sottolinea la Lettera agli Ebrei (4,15). Il Natale, allora, invita il cristia-no a calarsi senza paura nella realtà in cui vive per parteciparvi attivamente e testimoniare l’amore di Dio dal quale è stato avvolto. Una realtà fatta di uomini e donne caratterizzati da un’umanità fragile, debole, peccatrice, ma anche capace di esprimere quella carità necessaria a costruire un mondo migliore, più solidale e più giusto.

Di fronte alle mirabili parole dell’evangelista Giovanni, “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (1,14), non è possibile rima-nere indifferenti, perché esse ci svelano il volto vero di Dio: “Dio è amore” (1Gv 4,8). Si tratta di un amore sconvolgente, in quanto ci presenta un Dio, che, da ricco che era, si fece povero per amore dell’uomo, come ben sottoli-nea l’apostolo Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi (8,9). Essere discepoli di Gesù Cristo comporta, allora, la presa di coscienza di una responsabili-tà chiara, assunta con libertà e consapevolezza, che non può non segnare indelebilmente l’esistenza personale e comunitaria. In altre parole, andare alla grotta di Betlemme significa entrare nella “carne del mondo” come ha fatto il Signore. Ne consegue che la promozione e la difesa dell’uomo e della

LETTERE ALLA DIOCESI

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sua dignità, il rispetto del creato, l’attenzione al bene di tutti e l’accoglienza della diversità devono diventare quel pane quotidiano che riesce a rendere gustosa e ricca di senso la vita della persona.

Solo se accetteremo di entrare in questa logica potremo dire di celebra-re il Natale, quello vero, quello di Dio che si fa compagno di viaggio di ogni persona, perché desideroso di aiutarla a capire che il senso vero della vita, e quindi la vera felicità, sta soltanto nel dono di sé. Arrivati a Betlemme, il Bambino ci dirà: “Chi vorrà salvare la propria, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà” (Mc 8,35).

Buon Natale!

Vicenza, 1 dicembre 2011

+ BENIAMINO PIZZIOL

Vescovo di Vicenza

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VEGLIA DI PREGHIERA IN PREPARAZIONE ALLA GMG DI MADRID(Vicenza, Basilica di Monte Berico, 1 agosto 2011)

Carissimi Giovani,il tempo si è fatto breve e la partenza è ormai vicina. Martedì 9 agosto

140 di voi inizieranno il “pellegrinaggio lungo” e in seguito altri 470 amici vi raggiungeranno a Madrid per incontrare, insieme a tutti i giovani prove-nienti da ogni parte del mondo, il Papa Benedetto XVI.

Vi rinnovo l’invito, che già vi ho rivolto attraverso il settimanale dioce-sano, di essere realmente pellegrini e non vagabondi. Cosa significa essere pellegrini? Lo sapete bene, perché vi siete preparati con cura, con perseve-ranza. Il pellegrino è una persona che si mette in cammino non da solo, ma insieme ad altri amici – questo è anche il senso della bella compagnia che si è creata attorno a voi, insieme ai vostri sacerdoti e ai vostri animatori. Il pellegrino si mette in cammino perché ha una mèta; il vagabondo, il girova-go si muove solo per il gusto di visitare luoghi, vivere delle avventure, pro-vare sensazioni ed emozioni nuove. Il pellegrino, invece, si muove perché ha una mèta e ad essa si prepara.

Questa sera devo davvero complimentarmi con voi, con don Andrea, responsabile della Pastorale Giovanile, con i vostri animatori, i vostri sacer-doti e anche con alcuni vostri genitori, che vi hanno accompagnato.

Voi vi siete preparati con cura: per questo intendo complimentarmi, lodarvi. Vi siete preparati attraverso la preghiera personale e comunitaria – come questa sera, con questo bellissimo gesto che stiamo compiendo. Vi siete preparati nell’ascolto della Parola di Dio. Anche questa sera i brani che abbiamo letto e commentato, ci fanno capire la centralità della Parola di Dio nella nostra vita. E vi siete preparati nell’amicizia e nel sostegno comune. Non siete qui insieme come una massa indistinta, ma voi siete una comunità. Siete una comunità perché il centro di questo nostro trovarci non

OMELIE ED INTERVENTI VARI

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è prima di tutto la nostra personalità, la nostra capacità di relazione, ma perché il centro di questo nostro incontrarci è Gesù Cristo. Questa comu-nione profonda che viviamo in Cristo verrà ancora una volta verificata in questo cammino che state per intraprendere. Ma ogni nostro cammino, ogni nostro pellegrinaggio è sempre penultimo. Da quando abbiamo comincia-to da piccoli, con l’aiuto dei nostri genitori, a muovere i primi passi, siamo diventati uomini e donne in pellegrinaggio, in cammino. Questo cammino ha trovato delle mète significative, ma ogni mèta rimandava ad una ulteriore, a una successiva, fino ad arrivare alla mèta conclusiva del pellegrinaggio terreno: ecco perché ogni pellegrinaggio è penultimo rispetto all’incontro definitivo con il Signore. Capite che fascino ha una vita impostata come cammino, come pellegrinaggio, dove incontriamo persone, facciamo amicizia e siamo tutti orientati all’incontro definitivo con il Signore!

Voi iniziate – la prossima settimana – questo pellegrinaggio, ma non solo a nome vostro. Certo, ciascuno di voi è stato provocato dall’invito della Pastorale Giovanile, dei vostri sacerdoti, dei vostri animatori. È stata fatta una proposta concreta: vieni anche tu alla Giornata Mondiale della Gioventù quest’anno a Madrid! Il Papa stesso in quella precedente, come è abitudine ha annunciato la mèta e il luogo dell’incontro successivo. Provocati da que-sto invito avete risposto di persona, ciascuno ha risposto a nome proprio. Ma voi non andate solo a nome vostro: voi andate a nome di tutta la Chiesa di Vicenza, di tutti i giovani della Diocesi; ma non solo i giovani che frequen-tano le nostre comunità, gruppi, associazioni, ma a nome anche di tutti i giovani che abitano questo territorio e di quelli che non possono partecipare perché ammalati. Voi portate nelle vostre gambe, nel vostro cuore, nella vostra mente questi giovani: tale è il senso di una così grande solidarietà.

Voi portate anche quelli che hanno pensato di non partecipare, per sva-riati motivi, che noi non intendiamo giudicare. Voi portate anche quelli della nostra Diocesi, del nostro territorio, che non hanno neppure sentito parlare della Giornata Mondiale della Gioventù e nel cui calendario non è apparso questo appuntamento. Voi portate nel vostro cuore e nella vostra mente anche quelli che pensano di avere delle mète più importanti, più affasci-nanti, più attraenti nella loro vita, delle mète che, magari, poi li portano su strade sbagliate: voi portate anche costoro. Quindi il vostro pellegrinaggio è sì a nome vostro, ma è anche a nome di tutta la diocesi, di tutti i giovani del nostro territorio.

Questa sera il vostro nuovo vescovo – e ho veramente un senso di gioia, di commozione nel vedervi così numerosi in questa Chiesa tanto significati-va per la nostra Diocesi – che è segno umile e semplice dell’unità di questa Chiesa, di Gesù Pastore e guida del suo popolo, vi dà il mandato, il via a

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questo pellegrinaggio. Questo pellegrinaggio, come voi lo sapete dalla pre-parazione accurata che avete fatto nei vostri gruppi e comunità, ha come centro e come mèta Gesù Cristo attraverso questa espressione tratta dalla lettera di Paolo ai Colossesi (2,7) “Radicati e fondati (la nuova traduzione dice “costruiti”) in Cristo, saldi nella fede”.

Questa sera abbiamo percorso tre tappe – come è stato annunciato all’inizio – che sono fondamentali nella nostra esperienza, nella nostra vita personale e comunitaria. Radicati in Cristo vuol dire nella Incarnazione del Figlio di Dio entrato nella storia, nella carne del mondo: niente di quello che esiste è estraneo all’Incarnazione del Figlio di Dio. Neppure le cattive-rie, neppure i nostri peccati sono estranei, perché Lui si è assunto i nostri peccati “è diventato peccato per noi”, per redimere il nostro peccato e cia-scuno di noi.

E poi il mistero della croce: il bel gesto di portare la croce ed esporla qui davanti a tutti come segno di amore! Proprio quella croce, che richiama un atto ignominioso di uno che viene appeso, condannato come un malfattore, diventa il più grande gesto d’amore che l’uomo abbia mai conosciuto. Cioè, una croce atroce che diventa il più grande gesto d’amore che l’umanità abbia mai conosciuto: quel gesto d’amore che rimarrà per sempre dentro ciascuno di noi.

E infine il mistero della Pentecoste. In che modo Cristo può essere contemporaneo a me, a voi, a ciascuno di noi? Attraverso il suo Spirito. Lo Spirito Santo ci rende contemporaneo, presente fino alla fine dei tempi Gesù Cristo nei suoi misteri, nella sua Parola, nei suoi sacramenti. Ecco in che senso noi siamo radicati, costruiti su di Lui. Ed è il senso bello di que-sto pellegrinaggio che deve riportare in voi Cristo come centro effettivo ed affettivo della vostra vita. Provate a pensare e a riflettere su questa espres-sione: tutta la nostra vita dovrebbe portarci ad affermare: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. Questo elimina ogni individualismo, ogni protagonismo, ogni forma di narcisismo dalla quale siamo tutti tentati.

Vi accompagnerò con la preghiera, insieme a tutti i nostri preti, alla Comunità diaconale, a tutta la nostra Diocesi, ai religiosi e alle religiose; e voi ci portate tutti a Madrid, insieme a tutti gli altri giovani. Allora ci pos-siamo sentire veramente uniti. Ecco il senso del gesto che questa sera si compie in questo santuario: il tempo si è fatto breve, la partenza è imminen-te. Auguro a tutti voi buon pellegrinaggio e buon cammino. Ci protegga e ci accompagni la Madonna di Monte Berico, Santa Maria del cammino.

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SOLENNITÀ DELL’ASSUNZIONE DI MARIA (Vicenza, Cattedrale, 15 agosto 2011)

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, carissimi canonici, presbiteri e diaconi,

celebriamo quest’oggi la solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Si tratta di una festa antica, che ha il suo fondamento nella Tradi-zione viva della Chiesa, una festa dal profondo significato teologico, di cui si fece interprete il Servo di Dio Papa Pio XII nel pronunciare, il 1° novembre 1950, la solenne definizione dogmatica di questo privilegio mariano.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica esprime con queste parole il signi-ficato teologico di questa festa: “L’Assunzione della Vergine Maria è una singolare partecipazione alla Risurrezione del suo Figlio e una anticipa-zione della risurrezione degli altri cristiani”.

Proprio la seconda lettura, che abbiamo proclamato e ascoltato, tratta dalla prima Lettera di Paolo ai Corinzi, ci conferma nella fede della Risur-rezione di Cristo e nella risurrezione finale di ogni uomo e di ogni donna. I cristiani di Corinto erano fermamente convinti che Cristo fosse risorto. Tuttavia, alcuni di loro incontravano serie difficoltà ad ammettere la risur-rezione di tutti i defunti. Ritenevano la risurrezione di Gesù un caso partico-lare ed esclusivo, una specie di eccezione al destino di morte, che accomuna tutti gli uomini. È a questi cristiani dubbiosi ed increduli che si rivolge Paolo nell’ultima parte della sua lettera. Il suo ragionamento è stringente: se Cristo non è riuscito a sconfiggere completamente il più terribile dei suoi avversari, la morte, allora non è Lui il Signore dell’universo, il Signore della vita e della morte. E poi Paolo fa un’affermazione decisiva per tutti noi: la risurrezione di Cristo non è unica, ma è la primizia cui segue un abbondante raccolto, rappresentato dall’intera famiglia umana. Cristo non ha eliminato la morte biologica, la morte del corpo: l’organismo dell’uomo, come quello di ogni essere vivente, si logora e si consuma. Ma Cristo ha vinto la morte privandola del suo pungiglione letale (1Cor 15,55), trasformando la morte in un passaggio, in una pasqua, in una nascita, nell’inizio di una vita nuova e definitiva, una vita in Dio.

Oggi celebriamo la liberazione della morte operata da Dio in Maria. Lei è il primo frutto maturato dopo la Risurrezione del Figlio suo Gesù. Così dirà la preghiera del prefazio: “Tu non hai voluto che conoscesse la corru-zione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita”. E noi faccia-mo festa, perché in Lei contempliamo l’alba della nuova umanità, perché

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ciò che Dio ha realizzato in Lei è il destino che attende tutti noi. Sempre il prefazio proclama: “In Lei, primizia e immagine della Chiesa, hai rivela-to il compimento del mistero di salvezza e hai fatto risplendere per il tuo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura spe-ranza”. Ben a ragione, nell’Oriente cristiano, questa festa è considerata la ‘Pasqua estiva’.

Ma cosa dice a noi cristiani, convocati e riuniti insieme, nel bel mezzo del ferragosto, la solennità dell’Assunzione alla gloria del cielo della Beata Vergine Maria che celebriamo oggi? La risposta ci viene dalla preghiera di colletta che il celebrante ha fatto all’inizio della Messa, a nome di tutti i fedeli: “O Dio onnipotente ed eterno, che hai innalzato alla gloria del cielo in corpo e anima l’immacolata Vergine Maria, madre di Cristo tuo Figlio, fa’ che viviamo in questo mondo, costantemente rivolti ai beni eterni, per condividere la sua stessa gloria”. Ecco la vera sfida che ci viene lanciata: vivere in questo mondo costantemente rivolti ai beni eterni. Siamo chiamati ad amare Dio in ogni cosa e sopra ogni cosa nella prospettiva dei beni eter-ni, che superano ogni nostro desiderio. Questa è la bellezza e il compito di ogni cristiano serio e impegnato. I beni di questo mondo ci attraggono, ci affascinano e provocano le nostre energie e il nostro desiderio di pienezza e di compimento: gli affetti, il lavoro, il riposo, la salute, l’economia, la giusti-zia, la convivenza tra i popoli, la pace sociale, e così via. Tutti gli uomini con-dividono e aspirano a raggiungere questi beni; la differenza sta nel modo, nella via attraverso cui si intende conseguirli.

Nella sua grande opera ‘La Città di Dio’, sant’Agostino osserva che tutta la storia umana, la storia del mondo, è una lotta tra due amori. L’amo-re di Dio fino alla perdita di se stesso, fino al dono di se stesso, e dall’altra parte, l’amore di se stesso fino al disprezzo di Dio, fino all’odio degli altri. Questa stessa interpretazione della storia come lotta tra due amori, tra l’amore e l’egoismo, appare anche nella lettura tratta dall’Apocalisse, che abbiamo proclamato nella prima lettura di oggi. Nella donna ‘vestita di sole con la luna sotto i piedi, circondata da dodici stelle’, la tradizione cristiana ha visto l’immagine di Maria.

E così la festa dell’Assunta è l’invito ad avere fiducia in Dio ed è anche invito ad imitare Maria in ciò che Ella ha detto: sono la serva del Signore, mi metto a disposizione del Signore. Questa è la lezione: andare sulla sua strada; dare la nostra vita, perdersi nell’amore di Dio e dei fra-telli, per trovarsi veramente, per trovare la vera vita, la strada che ci ha insegnato la Vergine Maria, di cui oggi celebriamo l’assunzione alla gloria del cielo. Amen.

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PELLEGRINAGGIO DIOCESANO A MONTE BERICO(Vicenza, Basilica di Monte Berico, 7 settembre 2011)

Carissimi sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, signor Sindaco, gentili Autorità,fratelli e sorelle,a tutti voi porgo il mio cordiale ed affettuoso saluto.

È uno spettacolo veramente bello vedere tanti fedeli raccolti questa sera davanti al Santuario di Monte Berico, in questa piazza, nell’attesa di cele-brare, domani, insieme la festa patronale della Diocesi, della Città e del ter-ritorio. Salendo questo percorso fino al santuario, ho immaginato la scena apparsa a chi, esattamente 20 anni fa, si trovò qui per recitare il Rosario, guidato, quella sera del 7 settembre 1991, dal Santo Padre Giovanni Paolo II. La visita pontificia diede, poi, origine a questo appuntamento, che si ripete con fedeltà di anno in anno, alla presenza del vescovo, dei sacerdoti, dei religiosi, dei diaconi, di tutti i fedeli e delle Autorità. È un atto di fedel-tà nel nome del Signore Gesù e nel nome della Madre sua, Maria, che noi veneriamo come Madonna di Monte Berico.

Abbiamo aperto questa Veglia di preghiera con una pagina del Vangelo di Luca, che ci narra la sosta di Gesù presso la casa di due sorelle, Marta e Maria. Gesù viene accolto da queste due donne con atteggiamenti diversi. Marta si mette subito al lavoro, (e come non pensare a tante donne nelle nostre case e famiglie?), perché la sua sensibilità femminile le suggerisce che un cibo gustoso, preparato con cura e servito con gentilezza e maestria è in grado, più di qualsiasi chiacchiera, di dimostrare l’affetto che si prova verso una persona. Così anch’io nella mia vita ho sperimentato tante volte questa accoglienza femminile all’interno delle famiglie e delle case. Maria, invece, preferisce stare seduta ad ascoltare Gesù. Ed è a questo punto che tra le due sorelle si accende un diverbio che finisce per coinvolgere l’ospite.

Utilizzare questa narrazione evangelica per contrapporre la vita con-templativa alla vita attiva sarebbe sbagliato, riduttivo, poco rispettoso del messaggio di questo episodio. Per prima cosa va notato che Marta non viene rimproverata perché lavora, ma perché si agita, è ansiosa, si affanna per tante cose e soprattutto si impegna nel lavoro senza prima aver ascol-tato la Parola. Gesù le dice: “Marta, Marta, tu ti affanni per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta”. Maria non viene elogiata perché finge di non accorgersi del lavoro faticoso della sorella Marta in cucina, ma perché sceglie la cosa

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più importante, cioè la priorità data all’ascolto della Parola.Vediamo, ora, di entrare nel significato più profondo di questa narra-

zione evangelica. Luca riferisce questo episodio per offrire l’insegnamento di Gesù alle comunità cristiane, quelle di allora e quelle di oggi, compresa, questa sera, la nostra. Sa che in essa esiste tanta gente di buona volontà, come testimonia la vostra presenza: tanti fratelli e sorelle che si dedicano al servizio di Cristo, che non risparmiano tempo, energia, denaro. Eppure, anche in questa intensa e generosa attività, si nasconde il pericolo che tanto lavoro febbrile venga disgiunto dall’ascolto della Parola, che divenga affan-no, confusione, nervosismo, proprio come accade a Marta. Anche l’impegno pastorale, le scelte comunitarie e i progetti, se non sono radicati nella Paro-la e guidati da essa, si riducono ad attività concitate ed inconcludenti. Maria ha scelto la parte migliore, perché ha ascoltato la Parola di Gesù.

Anche l’altra Maria, quella che abbiamo qui davanti nell’immagine, la Madre di Gesù che noi veneriamo come Vergine Maria di Monte Berico, viene descritta come modello di donna in ascolto della Parola del Signo-re, a cominciare dalla risposta travagliata ma generosa resa all’arcangelo Gabriele: “Avvenga per me secondo la tua parola” e continuando con il canto di lode della cugina Elisabetta rivolta a Maria: “Beata colei che ha creduto all’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.

Da queste riflessioni possiamo capire che chi ascolta Cristo non dimen-tica mai l’impegno per l’uomo e la famiglia umana, ma impara ad agire nel modo più giusto, senza ansia ed agitazione, totalmente teso a fare la volon-tà del Signore. Con questa disponibilità all’ascolto della Parola di Dio e in ascolto autentico delle gioie e dei dolori, che attraversano questo nostro tempo e toccano i nostri fratelli e sorelle, desidero dare alcuni orientamenti pastorali per le nostre comunità parrocchiali, per gli istituti religiosi, i con-sacrati, le associazioni e i movimenti laicali. Inoltre, intendo offrire il nostro contributo di cristiani nella promozione del bene comune e nell’impegno a costruire una società buona e giusta.

Tre sono gli ambiti di ascolto e di impegno che offro a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e alle vostre comunità. E intendo proporvi questi ambi-ti nell’orizzonte degli Orientamenti che i vescovi italiani hanno dato per i prossimi dieci anni, contenuti nel documento “Educare alla vita buona del Vangelo”, e di un evento che riguarda le nostre Chiese, la Chiesa di Vicenza, le altre 14 del Triveneto e, per estensione, tutte le Chiese del Nord Est.

Abbiamo ascoltato dei brani dei discorsi di papa Benedetto XVI pronun-ciati in occasione della visita pastorale ad Aquileia e a Venezia nello scorso mese di maggio. Si tratta di interventi che hanno tracciato un cammino pre-ciso per le nostre comunità cristiane. Dentro questo orizzonte degli Orien-

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tamenti pastorali e nella prospettiva del II Convegno di Aquileia, che cele-breremo nell’aprile del prossimo anno, intendo proporvi questi tre ambiti: l’ascolto, attento, aperto e fecondo della Parola di Dio; il discernimento, cioè la capacità di valutare, secondo la sapienza e la saggezza di Dio, cosa è giu-sto fare e come poterlo fare; la decisione, l’agire.

Il primo ambito, che potremmo dire “interno” alla comunità cristiana, è quello di rigenerare ciascuno di noi, le nostre comunità, il nostro popolo cri-stiano nella fede. Noi siamo stati generati nella fede attraverso il sacramen-to del Battesimo, ma sappiamo anche che c’è bisogno di essere rigenerati continuamente lungo il corso della nostra storia, a partire dalle nostre crisi, dalle nostre infedeltà al Signore e dai nostri tradimenti. Abbiamo sempre bisogno di essere tutti rigenerati nella fede, giovani, adulti, famiglie in modo particolare, fino ad arrivare ai piccoli, e non viceversa, perché è la comunità degli adulti che deve farsi testimone di questa fede vissuta. All’interno delle nostre comunità, allora, dobbiamo chiederci come viene rigenerata questa fede. In un brano che non abbiamo ascoltato, ma che è pur prezioso, per-ché penso avesse presente le Chiese del Triveneto, compresa la Chiesa di Vicenza, così ricca di tradizione, il Papa ci ha detto: “Voi siete una popola-zione di una ricca tradizione cristiana: lo documentano i vostri templi, i vostri santuari, le vostre chiese, la letteratura che è partita dai testi sacri, l’arte, l’architettura”. Basterebbe uno sguardo da questa piazza sulla nostra Vicenza per averne una conferma, individuando i campanili delle molte chie-se, le cui campane accompagnano, con il loro suono, la vita della nostra Città e dei centri e paesi che costituiscono la nostra Diocesi. “Ebbene” diceva il Papa “voi rischiate un pericolo grande: accontentarvi di tutte queste cose e ridurre l’esperienza cristiana dentro l’impegno sociale e culturale”. L’espe-rienza cristiana è anche impegno sociale e culturale, ma è prima di tutto fondata nella fede: ecco perché bisogna partire prima dall’ascolto fedele della Parola di Dio, come Maria nel testo che abbiamo proclamato, e poi pro-cedere con l’azione. Altrimenti la vita diventa ansia, affanno, angoscia, fran-tumazione interiore del nostro io, del nostro essere personale e comunitario. Abbiamo bisogno di tornare a rigenerarci nella fede!

Da questo primo ambito sgorgano gli altri due. Il secondo, ed è questo il modo che abbiamo per prepararci al II Convegno di Aquileia, è quello dell’impegno culturale. Il cristiano, è stato detto, vive dentro il mondo, non al lato del mondo, non separato ed estraneo ad esso. Tutto quello che di autenticamente umano c’è dentro la società civile e politica, noi non possia-mo assolutamente lasciarlo perdere. E allora ci impegniamo con un dialogo proficuo, un confronto serio con le differenti culture, etnie, religioni, mon-dovisioni, universi mentali. Il secondo ambito è, quindi, l’impegno culturale,

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presente già in modo significativo nelle comunità parrocchiali, nei nostri istituti religiosi, nelle nostre realtà associative. Questo impegno va vissuto bene alla luce della fede, come offerta di dialogo e confronto, senza esclude-re nessuno. Questo è il senso dell’invito che desidero farvi.

Da ultimo il terzo ambito, che riguarda l’offerta e la presenza di ciascu-no di noi dentro la società civile. Noi siamo chiamati a vivere, soprattutto in questo periodo in cui stiamo attraversando una grave crisi economica, di cui non si riesce ad intravvedere la fine, uno stile di vita aperto alla soli-darietà. Invochiamo una solidarietà tra tutti i Paesi d’Europa, perché nes-suno può pretendere di uscire da solo dalla crisi, se rimane chiuso nel pro-prio egoismo, nella preoccupazione di salvare il proprio popolo, la propria nazione e il proprio paese. Dobbiamo metterci insieme per affrontare uniti la difficile situazione internazionale della finanza e dell’economia per arri-vare così anche alle nostre situazioni particolari, che vanno affrontate con lo spirito di famiglie aperte ad altre famiglie; con il sostegno a chi è in diffi-coltà da parte di chi è in condizioni più favorevoli; con la disponibilità delle organizzazioni civili e sociali a servire la collettività. In questo senso noi vorremmo privilegiare non tanto la realtà politica, che coinvolge molte per-sone che ringrazio per la fedeltà al loro compito, inteso come servizio, ma quelli che sono chiamati enti intermedi, vale a dire la famiglia, la scuola, le nostre associazioni culturali, di volontariato, ricreative e sportive, attra-versando tutto il sociale. Perciò voi, che siete qui in tanti ed appartenete alle vostre comunità e siete persone consapevoli e attive dentro le vostre comunità, siete chiamati a realizzare questo servizio definito da papa Paolo VI “la carità della politica e del sociale”.

Ecco i tre ambiti che io proporrò anche al Consiglio presbiterale, al Consiglio pastorale, alla Consulta delle aggregazioni, ai vicariati e a tutti i fedeli. Abbiamo tracciato un anno di impegno e siamo qui davanti alla Madonna a chiedere la sua protezione e la sua illuminazione. Noi preghia-mo, affinché questo nuovo anno pastorale sia per tutti noi fecondo, e sarà tale se noi ci disponiamo ad ascoltare la Parola di Dio, per valutare e discer-nere, a partire da essa, il nostro impegno personale e comunitario.

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SOLENNITÀ DELLA NATIVITÀ DI MARIA(Vicenza, Basilica di Monte Berico, 8 settembre 2011)

Il mio primo saluto affettuoso e cordiale è rivolto a voi, fratelli e sorel-le in Cristo, che oggi siete accorsi così numerosi in questo Santuario per venerare la Vergine Maria di Monte Berico e per celebrare insieme questa solenne Eucaristia. Con voi saluto Sua Eccellenza mons. Pietro Nonis, il Vicario Generale, i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, in modo par-ticolare il priore di questo Santuario, padre Giuseppe Zaupa, e la Comunità dei Servi di Maria.

Saluto anche le gentili Autorità presenti: il Signor Prefetto, il Vice Sin-daco, in rappresentanza del Sindaco, che era presente ieri sera al Pellegri-naggio. Saluto anche tutte le altre Autorità civili e militari presenti.

È bene rievocare, dal punto di vista della nostra storia recente, ma abbastanza lunga, l’origine di questa festa. Così scrivono i testi di storia: “Giorni di trepidazione e di angoscia quelli del 1917. A Vicenza era un affluire continuo di profughi spauriti, addolorati, gettati nella miseria. Il Vescovo mons. Rodolfi, Padre del popolo sofferente, invitò i suoi figli a emettere un voto solenne”, quel voto che oggi noi intendiamo onorare. Que-sta l’espressione del Vescovo Rodolfi: “Se per il Vostro materno patrocinio verranno conservate incolumi le nostre terre, promettiamo di osservare come festivo il giorno 8 settembre e di dedicare a Dio per onor vostro, sotto il titolo di Regina della Pace, la Chiesa nuova che sta per sorgere nella città di Vicenza”. Il popolo ascoltò l’invito del Pastore e una folla innumere-vole accorse ai piedi della Madonna. Oggi a distanza di quasi un secolo, noi ripetiamo questo atto, lo facciamo di anno in anno per essere fedeli al voto che i nostri padri fecero alla Madonna di Monte Berico.

Tale venerazione alla Vergine fu poi suggellata, l’11 gennaio 1978, dall’allora Vescovo mons. Arnoldo Onisto, con l’elevazione della festa della Natività di Maria, con il titolo di Madonna di Monte Berico, a solennità in quanto la Vergine venne riconosciuta Patrona della Città e Diocesi di Vicenza.

Ebbene, quest’anno noi celebriamo questa festa insieme: voi la celebrate col vostro vescovo, che avete imparato a conoscere in questi primi mesi del suo servizio a questa bellissima Diocesi di Vicenza. Insieme oggi intendiamo porre l’attenzione della mente e del cuore, in modo particolare, alla lettura del Vangelo che è stato proclamato ed ascoltato. Una lettura che può stupire, pur essendoci familiare, perché ascoltata ogni anno in questa solenne festa patronale. Il brano di Matteo stupisce, perché sembra apparentemente un

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arido elenco di nomi, per lo più desueti, non conosciuti, appartenenti alla tradizione ebraica, fatti salvi alcuni personaggi a noi familiari e legati alla nostra storia di fede. Comunque, sempre desta stupore questo lungo elenco di nomi, che mette in luce una intenzionalità precisa nell’evangelista Mat-teo: far comprendere, cioè, che Gesù è della dinastia di Davide; è “Figlio di Davide” si dirà. Matteo organizza gli antenati di Gesù in tre gruppi, che fanno capo ad Abramo, a Davide e a Ieconia. Questa genealogia ci fa com-prendere che Gesù, il Messia, il Figlio di Dio, si è incarnato pienamente in una storia umana; egli è radicato in un popolo concreto, quello d’Israele, e appartiene alla famiglia umana. Questa genealogia attentamente studiata dagli esegeti della Sacra Scrittura evidenzia personaggi famosi e personaggi sconosciuti; ci sono uomini e donne dalla vita esemplare, ma ci sono anche donne e uomini dalla vita poco esemplare. Eppure tutti vengono rievocati.

La parte conclusiva del testo, che abbiamo proclamato, ci presenta tre protagonisti. Anzitutto, ci presenta Giuseppe, colui che inserisce Gesù nella dinastia davidica e viene indicato quale sposo di Maria, un uomo giusto, figlio di Davide. L’altro personaggio è Maria, che viene indicata come sposa di Giuseppe, madre di Gesù Cristo, colei che generò sotto l’azione dello Spi-rito Santo. Da ultimo, ma il più importante e decisivo, viene citato il nome “Gesù” accanto al termine “Cristo” che significa il Messia, l’atteso dalle generazioni. Il nome Gesù significa “Dio salva”: la sua missione è di essere la presenza salvatrice di Dio nella nostra storia. Quindi, si fa riferimento anche all’altro termine, così bello, che noi abbiamo voluto anche dare a qual-che nostro figlio: Emanuele, “Dio con noi”, Dio che entra nella nostra storia personale e comunitaria.

Riflettiamo, ora, su questo racconto della nascita di Gesù, a partire dalla sua genealogia: cosa ci fa capire questo testo così importante? Che la nasci-ta di Gesù non è un solo fatto biologico, non è una semplice, seppur trava-gliata, procreazione, come è capitato per la nascita di ciascuno di noi. Non si tratta solo di un fatto procreativo, biologico, ma sempre di un evento genea-logico, dell’appartenenza ad una generazione. Così dice l’angelo a Giuseppe: “Quel che è generato in lei, viene dallo Spirito Santo”.

E qui vorrei con voi fermare l’attenzione su questo termine generare. È chiaro che, alla base, sta la procreazione: la nostra nascita nella carne, la nostra venuta al mondo, l’essere dati alla luce, espressioni comuni e fami-liari. Però, c’è molto di più. Noi siamo stati generati. Anzitutto, siamo stati generati in una famiglia e perciò si capisce quando i nostri genitori, i nostri nonni, magari durante un momento conviviale, cominciano a ricordare i loro progenitori, risalendo le generazioni il più lontano possibile; e così compren-diamo tutti quei nomi che sono stati proclamati nel Vangelo. E questa è la

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nostra prima generazione, la generazione nel sangue, i legami di sangue. Tutti noi, qui presenti, siamo legati nella parentela ai nostri genitori, nonni, bisnonni, progenitori. È un legame profondo, che ci inserisce in una fami-glia particolare, una famiglia che ha una storia, che ha delle caratteristiche, che è stata anche presente in un territorio, forse per vari motivi si è sposta-ta in altri territori; comunque sempre la nostra famiglia, la nostra genera-zione. In questa catena di generazioni, noi costituiamo l’ultimo anello, ma aperti alla generazione successiva. Questo è il primo aspetto della genera-zione: i legami di sangue.

Ci sono poi altri legami, altrettanto e forse ancora più profondi, e sono i legami di fede, quelli con la comunità cristiana, la comunità dei credenti. E in questi legami di fede noi ricordiamo la nostra storia. Abbiamo ricordato il Vescovo Rodolfi, il Vescovo Onisto, il Vescovo Nosiglia; abbiamo qui pre-sente il Vescovo Pietro Nonis e il nuovo Vescovo di questa Diocesi: anche questa è una generazione nella fede, che garantisce la storia. Una realtà nella quale i vescovi, segno dell’unità e della comunione della Diocesi, insie-me al presbiterio, alla comunità diaconale e a tutte le realtà carismatiche ed istituzionali, costruiscono la storia della nostra Chiesa, la Chiesa di Vicen-za. Una storia che oggi vive un ricordo particolare, oseremmo dire quasi fondativo rispetto ad un evento triste e doloroso come fu la prima Guerra mondiale. Una storia caratterizzata da altri eventi dolorosi e tristi, così pure da eventi gioiosi, tutti collocati dentro una storia di fede. Questo è il nostro legame di fede.

Da ultimo, consideriamo l’essere generati nella società. Una genera-zione dai legami profondi di solidarietà, come testimonia la presenza delle Autorità, oggi convenute in questa Basilica insieme ai fedeli. Una genera-zione che manifesta la storia del nostro popolo, di questa nostra Città, di questa nostra Diocesi, di questo nostro territorio, del nostro Paese, dell’Eu-ropa; una storia che lega tutti i popoli del mondo.

Queste le tre generazioni, di cui siamo debitori nella nostra storia: i legami di sangue, i legami di fede, i legami di solidarietà. Togliere questi legami significa andare incontro ad una morte, ad una estinzione, perché nessuno noi di noi si dà la vita da solo; proveniamo sempre da una gene-razione precedente e noi rappresentiamo questa catena di generazioni. Pretendere di partire da zero è un’assurdità. È un’affermazione precisa e chiara, che trova negli orientamenti della Chiesa italiana per il decen-nio 2010-2020, dal titolo “Educare alla vita buona secondo il Vangelo”, una conferma, vista la sottolineatura fatta dai vescovi circa la dimensione educativa, formativa delle giovani generazioni, alla luce della convinzione profonda, che anima la Chiesa in Italia, che educare significa generare, non

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solamente procreare; significa inserire in una generazione, all’interno della famiglia, all’interno della comunità dei credenti, all’interno di una comunità sociale e civile.

Le autorità pubbliche, i vescovi, i sacerdoti, i genitori, gli educatori sono chiamati a rendere veramente grazie al Signore per questo compito, arduo ed affascinante ad un tempo, di continuare la catena delle generazioni, edu-cando e formando la nuova generazione.

Che il Signore, per l’intercessione della Vergine Maria, Madonna di Monte Berico, ci aiuti e ci accompagni nel tempo che si apre davanti a noi.

ORDINAZIONI PRESBITERALI(Vicenza, Cattedrale, 1 ottobre 2011)

Carissimo fratello nell’episcopato, mons. Pietro,carissimi sacerdoti e diaconi,consacrati e consacrate,fratelli e sorelle in Cristo.

La lettura del Profeta Isaia, come pure la pagina del Vangelo secondo Matteo, hanno proposto alla nostra assemblea liturgica una suggestiva immagine, a noi cara e visibile, in modo particolare nei nostri paesi e nelle nostre campagne: la vigna.

Il cantico della vigna, che troviamo in Isaia, è un piccolo capolavoro della poesia ebraica, che doveva essere assai familiare agli ascoltatori di Gesù. Si capisce molto bene che la vigna indica Israele, il popolo che il Signore si è scelto e al quale riserva le stesse cure che uno sposo fedele ed innamorato prodiga alla sua sposa.

Nel vangelo, Gesù riprende il cantico di Isaia, ma lo adatta ai suoi ascol-tatori e alla nuova ora della storia della salvezza. L’accento non è tanto sulla vigna quanto piuttosto sui vignaioli ai quali i servi del padrone chiedono, a suo nome, il prodotto del raccolto. I servi vengono maltrattati e persino uccisi. Come non pensare alle vicende del popolo eletto e alla sorte riservata ai profeti inviati da Dio? Alla fine, il proprietario della vigna compie l’ultimo tentativo e manda il proprio figlio, convinto che ascolteranno almeno lui.

Accade, invece, il contrario: i vignaioli lo uccidono proprio perché è il

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figlio, cioè l’erede, convinti di potersi così impossessare facilmente della vigna. Si allude qui alla morte di Gesù.

I capi del popolo prendono il Figlio e lo portano fuori dalle mura della città e lo uccidono. Ma Dio, risuscitandolo, lo glorifica e lo costituisce Signo-re, pietra angolare di un nuovo edificio, di un nuovo popolo. Infatti, l’esito finale è la consegna della vigna ad altri lavoratori, che porteranno frutti.

Quanto, annunciato e denunciato da queste letture, interpella il nostro modo di pensare e di agire, compreso quello di Luca, Andrea e Alex, che stanno per ricevere il dono del presbiterato.

Il ministero ordinato attualizza, nella Chiesa e per la Chiesa, la parola e l’opera di Gesù Cristo. Il ministero non si pone al posto di Cristo e della sua autorità, ma ne è il sacramento, la trasparenza, il luogo teologico in cui il Risorto agisce.

Il presbitero agisce nella persona di Cristo unicamente nel modo del Cristo servo, cioè della diaconia. In questa diaconia-servizio ogni prete ha uno specchio in cui guardare il proprio ministero. Esso, nella Chiesa, può attuarsi soltanto come donazione, come servizio svolto con umiltà. Tale ser-vizio si esplicita in determinate situazioni operative: annuncio della Parola, amministrazione dei sacramenti, guida della comunità rendendola capace di mettersi alla sequela del Signore. Pertanto, quanto più il prete si impe-gna, per tutta la sua vita, a rendere credibile e fecondo il proprio ministero, lasciando trasparire dal suo modo di vivere i lineamenti di Cristo, tanto più efficace sarà il suo operare.

Desidero evidenziare anche un altro aspetto del ministero e della vita del presbitero, come ci viene consegnato dal Catechismo della Chiesa catto-lica al n. 1567: “I presbiteri, saggi collaboratori dell’ordine episcopale e suo aiuto e strumento, chiamati al servizio del popolo di Dio, costituiscono con il loro vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi.

Nelle singole comunità locali di fedeli essi rendono, per così dire, pre-sente il vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, condividono in parte le sue funzioni e la sua sollecitudine e le esercitano con dedizione quotidiana.

I sacerdoti non possono esercitare il loro ministero se non in dipen-denza dal vescovo e in comunione con lui. La promessa di obbedienza che fanno al vescovo al momento della ordinazione e il bacio di pace del vesco-vo al termine della liturgia dell’ordinazione significano che il vescovo li considera suoi collaboratori, suoi figli, suoi fratelli e suoi amici, e che, in cambio, essi gli devono amore e obbedienza”.

Intendo offrirvi un altro pensiero a partire dalla Lettera di Paolo ai Filippesi. L’Apostolo afferma che nulla può distruggere la pace e la gioia di

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un cristiano, nulla può angosciarlo, se rimane unito a Dio nella preghiera. Paolo ci presenta anche una lista di virtù umane che i cristiani, ma in par-ticolare i consacrati, sono invitati a coltivare nella propria vita; si tratta di qualità e comportamenti richiesti ed apprezzati da tutti e ovunque.

Ecco come vengono indicati dal decreto conciliare Presbyterorum ordi-nis: “...... la bontà, la sincerità, la fermezza d’animo e la costanza, la con-tinua cura per la giustizia” e cita proprio il versetto 8 del capitolo 4 della Lettera ai Filippesi: “Tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onesto, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che è degno di amore, tutto ciò che merita rispetto, qualunque virtù, qualunque lodevole disciplina: que-sto sia vostro pensiero”.

Carissimi Luca, Andrea e Alex, mentre vi consegno questi pensieri, che sgorgano dalla Parola di Dio, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa, desidero esprimere a voi, ai vostri familiari, alle vostre comunità parroc-chiali e a tutti i presbiteri e diaconi qui presenti, la mia gioia e la mia con-tentezza nell’accogliervi, tra poco, nel nostro presbiterio.

Ringrazio gli educatori del Seminario, mons. Rettore, il Padre spiritua-le, gli insegnanti per avervi preparati ed accompagnati con serietà, affetto e competenza. Un ringraziamento speciale rivolgo alle vostre famiglie, ai vostri parroci e alle vostre comunità, che vi hanno sostenuto, incoraggiato e che, per primi, vi hanno testimoniato la fede in Gesù Cristo, fonte ed origine di ogni ministero.

Affidiamo ciascuno di voi e l’intera Chiesa di Vicenza alla protezione della beata Vergine Maria, Madonna di Monte Berico, regina degli apostoli. Amen.

ORDINAZIONI DIACONALI(Vicenza, Cattedrale, 23 ottobre 2011)

Rivolgo un saluto cordiale a Sua Eccellenza, mons. Pietro Nonis, ai sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati e a voi tutti fratelli e sorelle in Cristo.

Un saluto particolare a voi, carissimi ordinandi: oggi voi state al centro dell’attenzione del Popolo di Dio, un popolo simbolicamente rappresentato dai fedeli, che riempiono questa Cattedrale di preghiere e di canti, di affetto sincero, di commozione, di gioia umana e spirituale.

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In questo Popolo di Dio hanno un posto particolare i vostri genitori e familiari, gli amici e i compagni, i superiori ed educatori del Seminario, le varie comunità parrocchiali e le diverse realtà di Chiesa, da cui provenite e che vi hanno accompagnato nel vostro cammino, e quelle che voi stessi state servendo pastoralmente, senza dimenticare la singolare vicinanza, in questo momento, di tantissime persone, umili e semplici, come le monache di clausura, i bambini, gli ammalati e gli infermi. Esse vi accompagnano con il dono preziosissimo della loro preghiera, della loro innocenza e della loro sofferenza. È dunque l’intera Chiesa di Vicenza che oggi rende grazie a Dio e prega per voi.

Vogliamo, ora, porre l’attenzione della mente e del cuore su tre orizzon-ti, tre scenari, che ci vengono offerti dalle letture di oggi e dal rito di ordina-zione dei diaconi.

Nel primo scenario, quello delle Scritture, ci viene presentato il duplice comandamento dell’Amore: l’amore a Dio e l’amore al prossimo.

Un dottore della legge provoca Gesù a stabilire un principio unificatore tra tutte le leggi, i precetti e i divieti (ben 613) presenti nell’antica tradizio-ne giudaica: “Maestro, nella legge qual è il grande comandamento?”. Come discernere tra tutti questi, il più grande?

Gesù non ha nessuna esitazione e risponde prontamente: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Il cuore è il luogo dove si prendono le decisioni, indica la decisione di amarlo, implica un atto della volontà. L’anima esprime l’essere della persona e quindi l’amore a Dio con tutto se stesso, con tutta la pro-pria vita. La mente si riferisce all’intelligenza, all’impegno della ricerca di Dio, al desiderio di conoscere il pensiero di Dio, alla fatica e al fascino di “pensare Dio”.

Poi Gesù aggiunge qualcosa che, in verità, non era stato richiesto dal dottore della legge: “Il secondo è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso”.

Anche la prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, insiste sul dovere dell’amore al prossimo; un amore testimoniato concretamente nei rapporti tra le persone: devono essere rapporti di rispetto, di collaborazione, di aiuto generoso. Il prossimo da amare è anche il forestiero, l’orfano, la vedova e l’indigente, quelle persone che non hanno alcun difensore, prive di ogni garanzia. L’aspetto sorprendente della risposta di Gesù consiste nel fatto che egli stabilisce una relazione di somiglianza tra il primo e il secondo comandamento. Ed ecco che, nella conclusione del brano, i due coman-damenti vengono associati nel ruolo di principio cardine sul quale poggia l’intera Rivelazione biblica: “Da questi due comandamenti dipendono tutta

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la Legge e i Profeti”. Gesù ci fa capire che non è sufficiente il primo coman-damento: l’amore a Dio.

Tutte le religioni propongono l’amore a Dio, anche i pagani amano e ono-rano i loro idoli, come simbolo della divinità. È necessario che chi ama Dio, ami anche il suo fratello. Non si può dire di amare Dio, che non si vede, se non si ama il fratello, che si vede; così ci ammonisce l’apostolo Giovanni.

Il primo ed il secondo comandamento sono strettamente uniti, inscindi-bili, inseparabili. Se si annuncia la morte di Dio, come nelle nostre società secolarizzate, si rischia di decretare anche la morte dell’uomo.

Secondo scenario: dal rito dell’ordinazione diaconale, come primo grado del sacramento dell’Ordine sacro.

Nella comprensione del diaconato ci lasciamo illuminare dal dialogo che, tra poco, il vescovo farà con gli ordinandi.

Anzitutto, si chiede ai candidati di esprimere liberamente la loro dispo-nibilità ad essere presi a servizio della Chiesa. Questa libera disponibilità viene accolta e sigillata dal vescovo mediante il gesto dell’imposizione delle mani per trasmettere il dono dello Spirito.

Subito dopo viene descritto il modo e la finalità dell’esercizio del mini-stero diaconale. Il diaconato non è un titolo di prestigio, di onore o di pote-re, ma un servizio d’amore, un ministero da esercitare con umiltà e carità, in aiuto all’ordine sacerdotale, a servizio del popolo cristiano.

Fabio, Davide e Davide siete già stati assegnati ciascuno a servizio di una parrocchia, sotto la guida di un parroco. Ora, come diaconi della Chiesa di Vicenza, il vostro ministero assume una dimensione sacramentale, diven-ta segno efficace, attraverso le vostre persone, dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Il dono dello spirito, che ricevete, vi aiuta a custodire, in una coscienza pura, il mistero della fede, per annunciarlo con la parola e con le opere, secondo il Vangelo e la Tradizione della Chiesa.

Custodire una coscienza pura significa lasciarsi guidare unicamente dallo Spirito Santo, dentro la comunione della Chiesa, in quello che dob-biamo fare, nelle decisioni che dobbiamo prendere, senza farci influenzare dalle mode correnti, da universi mentali o mondovisioni estranee al Vangelo di Cristo. Un Vangelo, che va annunziato con la parola e con tutti i mezzi a nostra disposizione, ma che va soprattutto testimoniato con la coerenza della vita.

La Chiesa latina sceglie, da tempo immemorabile, i suoi futuri presbi-teri tra coloro che, per grazia, hanno ricevuto il dono del celibato. In questo modo, fin dal diaconato, i ministri ordinati rivivono personalmente, nella loro carne, la stessa forma di vita, che fu di Cristo. La grazia del celibato,

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assunta liberamente e responsabilmente custodita e fatta crescere, costi-tuisce una modalità concreta per compiere un’esperienza integrale di vero amore, senza mutilazione di sorta. Il celibato è un segno visibile della tota-le dedizione a Cristo, non fine a se stesso, ma per il servizio di Dio, della comunità cristiana e dell’intera famiglia umana.

Per custodire la grazia del celibato, per esercitare con dedizione il mini-stero, è necessario lasciare il primo posto alla comunione con Dio attraverso una preghiera fedele, costante e ordinata. Ogni vostra e nostra giornata deve essere ritmata dalla liturgia delle Ore, dalla celebrazione dell’Eucari-stia, dalla familiarità con la Parola di Dio e dalle altre pratiche di pietà. Solo la dimensione contemplativa e orante della vita può aprire ad una autentica ed efficace carità pastorale.

E infine, carissimi Fabio, Davide e Davide, con il ministero del diacona-to sarete messi, in ogni celebrazione eucaristica, a contatto con il Corpo e Sangue di Cristo. Per questo, siete chiamati a conformare a Cristo tutta la vostra vita, siete chiamati ad assumere una “forma eucaristica” nella vostra esistenza, così che si possa dire di voi quello che San Paolo dice dei Tessalo-nicesi, nella seconda lettura: “Non c’è comunque bisogno di parlare di voi, perché di voi parlano le vostre opere” (v. 8).

Terzo scenario: la Giornata missionaria mondiale che oggi si celebra. Come ogni anno il tema conduttore ce lo offre il Papa, il cui Messaggio si intitola “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”.

Il Signore ci invita a portare a tutti l’annuncio del Vangelo con lo stes-so slancio dei cristiani della prima ora, convinti del fatto che tale annuncio vivifica la Chiesa, ne sostiene il fervore e lo spirito apostolico, ne rinnova i metodi pastorali, affinché siano sempre più appropriati alle nuove situazioni.

Mai dobbiamo dimenticare che il Vangelo ricevuto in dono, lo dobbiamo donare, a nostra volta, a tutti, perché costituisce un tesoro inestimabile che non è possibile e giusto tenere gelosamente per sé, alla luce anche del chiaro comando del Signore di rivolgersi ad ogni persona. Non possiamo dimenticare, infatti, che ci sono ancora popoli che non conoscono Cristo e non hanno ancora ascoltato il suo messaggio di salvezza. Come non pos-siamo tralasciare il fatto che si allarga la schiera di coloro che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, lo hanno dimenticato o abbandonato, non riconoscendosi più nella Chiesa di Gesù Cristo.

Di fronte a questo quadro, si impone un impegno di corresponsabilità da parte di tutti, poiché il Vangelo è un bene da condividere, una buona notizia da comunicare a tutti. In particolare, rivolgo questo invito ai giovani e alle famiglie, affinché, nella realtà quotidiana, sappiano testimoniare l’amore di

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Dio con la loro vita, impostata non in qualche modo, seguendo le mode del tempo, ma secondo lo spirito indicato dal Signore proprio nel Vangelo.

Carissimi, non siete soli nell’assumere questi impegni, siete accompa-gnati e sostenuti da tutta la Comunità, che oggi si stringe attorno a voi e prega con voi e per voi.

Maria, la serva del Signore, la Madonna di Monte Berico, che ha con-formato la sua volontà a quella di Dio, che ha generato Cristo donandolo al mondo e ha seguito il Figlio fino ai piedi della croce nel supremo atto di amore, vi accompagni ogni giorno della vostra vita e del vostro ministero. Amen.

SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI (Vicenza, Cattedrale, 1 novembre 2011)

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo,carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate,

celebriamo oggi, con grande gioia, la festa di tutti i Santi. In questo giorno sentiamo ravvivarsi in noi il desiderio di unirci alla famiglia dei santi, di coloro che hanno amato Cristo senza riserve, nel dono totale di sé a Dio e ai fratelli.

Tutti noi battezzati siamo chiamati alla santità attraverso la via delle Beatitudini evangeliche che la liturgia ci indica nell’odierna solennità. Lasciamoci ora condurre dalle letture che abbiamo proclamato e ascoltato.

Nel libro dell’Apocalisse il veggente contempla il Signore assiso in trono con in mano il libro in cui è registrata la storia dell’umanità con tutti i dram-mi che, da sempre, la affliggono: soprusi, violenze ed ingiustizie. In questo libro, vi è contenuta anche la risposta agli inquietanti enigmi del male e del dolore; ma purtroppo il libro è “sigillato con sette sigilli” che nessuno è in grado di spezzare.

Al veggente si accosta un vegliardo e gli dice: “Smetti di piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il germoglio di Davide. Egli aprirà il libro e i suoi sette sigilli”. Ecco, infatti, l’agnello immolato, Gesù crocifisso-risorto, spezzare, uno ad no, i sigilli e svelare gli enigmi. Il nostro brano

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narra ciò che accade dopo la rottura del sesto sigillo. Quattro spiriti celesti stanno per liberare i venti, che devasteranno la terra e il mare, quando un angelo, con in mano il sigillo del Dio vivente, sale dall’Oriente ed ordina di fermarsi. Non tutti devono perire. Coloro sui quali egli avrà impresso il marchio dei servi del Signore, saranno risparmiati (Ap 7,1-4). Sono i cristia-ni che, mediante il sigillo del Battesimo, sono annoverati nella schiera degli eletti. A loro non saranno risparmiate le prove e le tribolazioni, che affliggo-no gli uomini, ma saranno sottratti al potere del maligno, perché apparten-gono al Signore e sono partecipi della sua santità.

Dopo questa prima visione, in cui è presentata la comunità dei santi, ecco apparire una moltitudine immensa che nessuno può contare, gente di ogni razza, lingua, popolo e nazione. Stanno in piedi di fronte al Trono dell’Agnello, indossando vesti bianche ed avendo palme nelle mani. Il vesti-to bianco è il simbolo della gioia e della vita nuova in Cristo. Le palme sono il segno della vittoria conseguita con la fedeltà a Cristo.

Questa è la comunità dei Santi del cielo, costituita da coloro che hanno concluso il pellegrinaggio sulla terra e sono entrati nella condizione dei beati. Hanno sopportato tribolazioni e persecuzioni e, come l’Agnello, hanno donato la vita per amore. Questa pagina è stata scritta per infondere corag-gio nei cristiani dell’Asia Minore che, alla fine del I secolo, erano tentati di rinnegare Cristo a causa delle feroci persecuzioni.

La seconda lettura è tratta dalla prima Lettera di S. Giovanni apostolo. Inizia così: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chia-mati figli di Dio, e lo siamo realmente”. Il cristiano, come figlio di Dio, è chiamato a testimoniare con tutta la sua mente, con tutto il suo cuore e con tutta la sua vita, la paternità di Dio verso tutte le creature e verso il mondo intero. E dopo aver richiamato ai cristiani la dignità della loro figliolanza divina, l’autore della Lettera li invita a contemplare il destino radioso che li attende: “Quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. La nostra condizione attuale non è definitiva in questo mondo. La nostra umanità è come un velo, che ci impedisce di vedere pienamente la verità di Dio, ma un giorno questo velo sarà tolto e allora con-templeremo Dio così come egli è e capiremo ciò che già oggi siamo.

La pagina del Vangelo di Matteo ci ripropone il testo delle Beatitudini, la nuova legge donata da Cristo sul monte, come nuovo Mosè, ai suoi disce-poli. Gesù sale sul monte dove i criteri di giudizio e i modelli di vita proposti sono radicalmente diversi: sono quelli di Dio. La nostra scala di valori viene capovolta: sono dichiarati beati i poveri in spirito, coloro che versano lacri-me di dolore, i miti, gli affamati e assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia.

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Per rendere più concreta e più accessibile la via della santità, che è offerta ad ogni battezzato, a ciascuno di noi, desidero evocare alcuni santi e beati del XIX e XX secolo figli delle nostre terre, della nostra Diocesi; santi e beati che hanno percorso le nostre strade, frequentato le nostre chiese, la nostra Cattedrale, partecipato alla vita delle nostre comunità cristiane.

Il Beato Giovanni Antonio Farina, vescovo mio predecessore, nato a Gambellara, che fondò l’Istituto delle Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori, per l’educazione delle fanciulle povere e l’assistenza a malati ed anziani. Fu beatificato il 4 novembre 2001.

La beata Gaetana Sterni, nata a Cassola e vissuta a Bassano del Grappa, impegnò tutta se stessa a servizio dei poveri e diede vita alla Congregazione delle Suore della Divina Volontà. Anche lei fu beatificata il 4 novembre 2001.

Santa Maria Bertilla Boscardin, nata a Brendola, professa nell’Isti-tuto delle Suore Dorotee, spese la sua vita nell’assistenza agli ammalati nell’Ospedale di Treviso, esercitò la carità in grado eroico, sopportando con animo lieto disagi ed incomprensioni. Fu canonizzata nel 1961.

La beata Eurosia Fabris, mamma Rosa, nata a Quinto Vicentino. La vita di famiglia con i suoi doveri e i suoi sacrifici fu per mamma Rosa una palestra di virtù e di santificazione. Fu beatificata nel 2005 ed è patrona dei catechisti della nostra Diocesi.

Santa Giuseppina Bakhita, oriunda del Sudan, bambina rapita e vendu-ta da crudeli negrieri, arrivò nel nostro Veneto ed abbracciò la vita religiosa nella famiglia delle Suore Canossiane. Semplice, umile e fedele, visse la consacrazione fino allo splendore di eroiche virtù. Morì a Schio l’8 febbraio 1947 e fu canonizzata il 1° ottobre 2000.

Il Beato Claudio Granzotto, dopo il diploma di professore di scultura, a 33 anni entrò nell’Ordine dei Frati minori. Fu di esempio a tutti per la sua umiltà, il suo amore alla preghiera, la sua carità verso i poveri e i sofferenti. I suoi resti mortali riposano presso la Grotta di Lourdes, da lui realizzata a Chiampo. Fu beatificato il 20 novembre 1994.

Possano, questi fulgidi esempi di santità, ardere in tutti noi ed aiutarci a superare ogni nostra resistenza alla chiamata alla santità.

Maria, regina di tutti i santi, ci conduca verso la patria celeste in compa-gnia degli spiriti beati “di ogni nazione, popolo e lingua”. Ed uniamo, nella preghiera, già il ricordo dei nostri cari defunti che domani commemorere-mo. Amen.

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RITIRO DI AVVENTO(Vicenza, Basilica di Monte Berico, 24 novembre 2011)

Care Eccellenze, cari presbiteri e diaconi,

mi inserisco in questa bella tradizione della nostra Chiesa vicentina, che assegna al Vescovo l’impegnativo compito di predicare al clero, vivente ed operante nella nostra Diocesi, il ritiro spirituale di Avvento e di Quare-sima. È mia intenzione oggi, e credo anche in futuro, vivere questo tempo di grazia, che ci vede riuniti nella Basilica di Monte Berico, secondo la secolare e fruttuosa esperienza della lectio divina, che tutti conoscete e praticate spesso (se non quotidianamente) nella vostra vita di sacerdoti, vescovi e seminaristi. Quindi, partendo sempre dalla lettura del testo che abbiamo proclamato ed ascoltato e passando attraverso la meditazione, che mostra le implicazioni presenti all’interno del testo stesso, perciò della vita delle comunità cristiane fin dai primi tempi, far risaltare queste implica-zioni per la nostra vita personale e comunitaria per arrivare alla preghiera personale, alla contemplazione del sacramento dell’Eucarestia e alle impli-cazioni per la vita.

Ora siamo tutti invitati ad assumere un atteggiamento di ascolto, di silenzio, che è sempre così difficile per tutti, presbiteri e vescovi compresi, e di preghiera.

Pongo una premessa e un nota bene per poi entrare nel cuore del testo. La premessa è questa: il testo che abbiamo proclamato dal Vangelo di Luca (10,38-42) è molto noto e ci ha visti impegnati nella nostra predicazione tante volte, anche perché viene proposto in una liturgia domenicale. Forse ad una lettura troppo immediata e poco approfondita (ma penso che tutti abbiate il dono dell’approfondimento e di una lettura meno immediata del testo), emerge la contrapposizione tra Marta e Maria, interpretata come la contrapposizione della vita attiva con la vita contemplativa. Questa let-tura è, in qualche modo, debitrice della cultura ellenistica, che disprezzava la materia, le occupazioni materiali. In genere il lavoro manuale era tipico degli schiavi, mentre il compito del filosofo era la vita contemplativa, la ricerca della sapienza e della verità. Per Platone il compito del filosofo sta nella contemplazione del mondo delle idee. Nella Bibbia, invece, non c’è questa contrapposizione tra la materia e lo spirito, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Basterebbe pensare al testo della Genesi in cui Dio stesso si dedica al lavoro: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo, soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere

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vivente” (Gn 2,7). Dio viene presentato come un artigiano, un artista, un vasaio, che lavora con le proprie mani. Gesù, nel Nuovo Testamento, viene conosciuto come il carpentiere o il figlio del carpentiere. Paolo, poi, è fab-bricatore di tende e si vanta di lavorare, affaticandosi con le proprie mani (1Cor 4,12). Inoltre, esorta i cristiani di Tessalonica, che erano tutti proiet-tati nell’escatologia, nell’attesa della venuta del Signore e quindi vivevano un certo clima entusiastico, che favoriva, per certi versi, il parassitismo oppure anche l’agitazione, dicendo: “Vivete in pace, attendendo alle vostre cose, lavorando con le vostre mani al fine di condurre una vita decorosa dinanzi agli estranei e di non aver bisogno di nessuno” (1Ts 4,11-12).

Queste considerazioni ci fanno capire che la tradizionale lettura, che vede in Maria la vita contemplativa e in Marta la vita attiva, non è confor-me alla prospettiva biblica; è dentro un contesto di cultura ellenistica, ma non dentro la prospettiva biblica. Noi abbiamo quasi interiorizzato questa concezione. Spesso diciamo che la vita monastica sarebbe uno stato di perfezione superiore rispetto alla vita religiosa attiva (come i Padri di que-sto Santuario) e, naturalmente, superiore alla vita del semplice cristiano, immerso nelle cose del mondo e anche di noi preti diocesani impegnati nella carità pastorale. Una lettura di questo tipo creerebbe degli stati diversi di spiritualità, fino ad arrivare allo stato più elevato, che è la vita monastica o magari la vita claustrale.

Il nota bene è questo: il testo, tratto dal capitolo 10 di Luca, parte da quella domanda che lo scriba saggio pone a Gesù: “Qual è il grande coman-damento?” (questo in riferimento al testo greco). E Gesù risponde: “Ame-rai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza, con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. Gli esegeti vedono nei testi che seguono (compreso il nostro) quasi un’espli-cazione di questo amore a Dio e amore al prossimo. A questo testo segue immediatamente la parabola del buon samaritano, che ci fa capire chi è il prossimo, ossia quella parte del comandamento che riguarda l’attenzione ai fratelli. Segue il testo che abbiamo sentito oggi, pochi versetti, ma ben articolato, che vuol far capire come noi dobbiamo dedicarci alle occupazioni quotidiane, alla carità verso gli altri.

Anzitutto, sappiamo che Gesù è in cammino verso Gerusalemme. Ricor-date, al capitolo 9, che Gesù prese la ferma decisione (“indurì il volto”, eravamo abituati a sentire) di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Ed ecco che il nostro testo dice: “Mentre era in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò”. È molto importante questo “lo ospitò”. Poi, nei versetti successivi vengono presentati due atteggiamenti diversi, quello di Marta e quello di Maria, nei confronti di Colui che è qua-

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lificato come Signore; si usa il termine Signore, che sappiamo essere un termine pasquale.

Maria è seduta ai piedi del Signore ed ascolta la sua parola. Marta, invece, è distolta dai molti servizi e rimprovera il Signore Gesù, dicendo: “Signore, non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. È un imperativo: Marta comanda al Signore Gesù di dire alla sorella che la aiuti. E l’insegnamento finale di Gesù, in questo breve ma intenso e significativo brano, è questo: “Marta, Marta, tu ti affanni per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria si è scelta la parte buona che non le sarà tolta”. Qui c’è agathè, non “la parte migliore”: non c’è un comparativo.

Poniamo l’attenzione del cuore e della mente prima su Marta e poi su Maria.

Marta, anzitutto, compie un gesto squisito, che è nella tradizione ebraica: accoglie in casa sua Gesù. Non bisogna dimenticare l’importanza dell’accoglienza nel mondo antico, dove, in mancanza di alberghi, ospedali e strutture pubbliche, la disponibilità e l’accoglienza erano ritenute sacre. I pellegrini, che andavano di luogo in luogo, di città in città, erano indife-si, perciò venivano rispettati e venivano accolti proprio con un gesto quasi sacro. Abbiamo un esempio di questa accoglienza in Genesi, quando si parla di Abramo, che compie una serie di gesti, vedendo i tre personaggi: si inchi-na, fa preparare le focacce, prende un vitello dal gregge e lo fa preparare, prende latte acido e latte fresco. Abramo si prende cura con tutto se stesso dei suoi ospiti; non è come noi che, certe volte, incarichiamo qualcuno a pre-parare; egli entra in gioco nell’accoglienza. I Padri ci dicono che “tres vidit, unum adoravit”, ne vide tre e ne adorò uno. Ma conosciamo anche la scena del giudizio finale, che abbiamo letto da poco nella liturgia, che verterà sull’accoglienza: “Ero forestiero, mi avete ospitato”, oppure la parte negati-va: “Non mi avete ospitato”, “Non avete fatto a me questo” oppure “l’avete fatto a me”. Marta, così, manifesta in modo esemplare lo spirito di acco-glienza. Noi siamo subito preoccupati di dimostrare che si agita molto, che si affanna: in realtà è una donna che compie un gesto squisito di accoglien-za, proprio della tradizione, perché si prende cura del Signore e gli prepara da mangiare. Ma, allora, dove sta l’errore, il limite di Marta? Gli esperti, anche di lingua ebraica, sanno che il termine mar vuol dire signore e, al femminile, Marta, vuol dire signora. Marta agisce da signora, da padrona, eppure si dice che era occupata nel molto servizio (si usa più volte il termine diaconein). Essa stessa dice anche: “Mi ha lasciata sola a servire” (diaco-nein). E Gesù ci ha detto: “Se qualcuno vuol essere il primo, sia il servo di tutti perché il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito” (diaconè).

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Quindi, il servizio è una cosa importante, è un atteggiamento tipico di tutti i battezzati e, a maggior ragione, di noi sacerdoti. Ma l’errore di Marta sta nel modo in cui vuole servire, che viene espresso nei due verbi, affannarsi (merinnao) e agitarsi (torizabo). L’espressione “tu ti affanni”, per esem-pio, la troviamo in Matteo al capitolo 6,25-34, in un testo che conosciamo benissimo, dove si usa 6 volte il verbo merinnao e dove si trova meros che vuol dire parte, cioè tu ti dividi in tante parti, tu sei una persona frammen-tata, sei una persona divisa, non cogli l’unità della tua persona. Ricordiamo quel testo: “Perciò io vi dico, non preoccupatevi (è questo il verbo che viene usato) per la vostra vita di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete. La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, né raccolgono nei granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi per quanto si preoccupi (ecco il verbo che torna) può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo, non faticano e non filano, eppure io vi dico che neanche Salomone con tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo che oggi c’è e domani si getta nel fuoco, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi, dunque, dicendo: che cosa mangeremo, che cosa berremo, che cosa indosseremo. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi, dunque, del domani perché il domani si preoccuperà di sé stesso. A ciascun giorno basta la sua pena”. Per 6 volte viene usato il termine preoccuparsi (in greco merinnao), perché l’affanno soffoca la Parola. Abbiamo presente la parabola dove il seme caduto sulle spine viene soffocato dalle preoccupazioni: si usa sempre quel termine greco. Le preoccupazioni rischiano di soffocare il seme della Parola e questo non solo per i nostri fedeli, che ascoltano; può essere anche per il Vescovo e per i sacerdoti. Quindi, Marta è invasa da molteplici preoc-cupazioni, che fanno dimenticare l’essenziale, cioè l’insegnamento di Gesù, la sua Parola. Marta è diventata la padrona del suo servizio. Non è serva: agisce da padrona, anche se fa un servizio effettivo, ma lo decide lei e decide anche che cosa deve fare il Signore Gesù. Ha accolto in casa sua il Signore, e questo è un gesto di accoglienza squisita, ma poi si è dimenticata di lui, si è messa a fare di testa sua, volendo insegnare a Gesù cosa fare: “Signore, non ti preoccupi che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille (lo obbliga: è un imperativo) che mi aiuti”. L’altro verbo (ti agiti) è usato solo qui nel Nuovo Testamento ed indica un atteggiamento di rivolta interiore,

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di irritazione contro Maria. Marta, cioè, è profondamente irritata con sua sorella, si sente tradita, perché l’ha lasciata da sola a servire. Vedete l’at-teggiamento? Come si può servire, essendo divisi all’interno di se stessi, irritati nei confronti della sorella, in questo caso, oppure nei confronti dei parrocchiani? Come si può fare un effettivo servizio? Ecco l’insegnamento che lentamente ci viene da questo testo.

Vediamo le prime implicazioni a partire dall’atteggiamento di Marta. Invito voi e me stesso a porci queste domande: cosa facciamo quando leg-giamo un passo del Vangelo, quando preghiamo, quando celebriamo l’Eu-carestia? Cioè, quanto tempo dedichiamo al giorno, ogni settimana per lasciarci plasmare dalla Parola di Dio? E, invece, quanto tempo dedichiamo a lasciarci plasmare dalle parole umane, giornali, televisione, internet? Non sono questioni moralistiche, ma sostanziali. Nella nostra giornata, qual è la consistenza del rapporto con la Parola di Dio, con l’Eucarestia che celebria-mo, con la meditazione personale? Ma poniamoci anche un’altra domanda: vale la pena trafficare tanto ed essere sempre irritati? Quelli che ci vedono, che vedono il Vescovo, i sacerdoti, i seminaristi, vedono, nel nostro volto, nella nostra persona, la pace di chi si abbandona in tutto al Signore? Vedono questa quiete operosa che nasce dalla fede e dalla speranza in Dio? Altri-menti, si dà l’impressione di essere noi a risolvere tutti i problemi! E chie-diamo al Signore che collabori con noi, mentre dovremmo noi inserirci in una salvezza, che ci è già donata, e collaborare con il Signore per quello che ci chiede. Ma questo traspare dal nostro volto?

Guardiamo all’atteggiamento di Maria. Gesù afferma che “di una cosa c’è bisogno” e che Maria “ha scelto la parte buona”. Questa parte buona è l’ascolto, l’atteggiamento del discepolo, che si mette ai piedi del suo Signo-re. L’atteggiamento descritto anche in Deuteronomio 33,3: “Tutti i popoli sono seduti ai tuoi piedi per ricevere la Parola”. È quello che facciamo noi nell’assemblea domenicale, nelle liturgie della Parola: siamo seduti ai piedi, seduti davanti al Signore per ascoltare la Parola. Maria, quindi, è modello del discepolo; è come la terra buona che dà frutto abbondante. Sempre richiamando la parabola del seme, non è quello caduto tra le spine e soffoca-to dalle preoccupazioni, ma quello caduto sulla terra buona, a produrre il 30, 60, il 100 per cento (cfr. Mt 13,8).

Sappiamo quanto è importante il tema dell’ascolto per la fede ebraico-cristiana. Il Credo degli ebrei è “Shemà Israel”, “Ascolta, Israele”. Si parte da qui: prima di professare una fede, in tutte le sue dimensioni, c’è “Ascolta, Israele”: ascolta, Chiesa di Dio, ascoltate sacerdoti, vescovi, seminaristi, proprio per sottolineare che la fede è un’iniziativa di Dio, non nostra, non dipendente da noi. Solo nell’ascolto si accentua e si evidenzia questa realtà.

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Perciò, mettersi in ascolto della Parola di Dio, diceva un Padre medievale, “è rifare le forze del proprio cuore”. Quando siamo presi da mille preoc-cupazioni pastorali (restauro della chiesa, messa a norma del patronato), partiamo prima dall’ascolto e poi mostriamo questo volto sereno di acco-glienza, anche nel cuore dei problemi, perché siamo chiamati anche a quello. Per combattere la stanchezza, l’angoscia, la tentazione della disperazione o, al contrario, quella dell’attivismo frenetico, di chi confida soltanto su di sé, occorre rifugiarsi nel Signore, custodire il ricordo, la memoria Dei in ogni momento della nostra giornata. S. Basilio diceva: “Dobbiamo perseverare nel santo pensiero di Dio mediante un ricordo incessante e puro impres-so nelle nostre anime come sigillo indelebile”. Anche i Padri del deserto egiziano affermavano: “La dimenticanza di Dio è radice di tutti i mali”. Quando mi dimentico di Dio, mi dimentico di chi sono io, creatura amata, voluta, pensata, cercata e salvata da Dio e mi dimentico dell’altro, del fratel-lo e della sorella nei quali sono chiamato a discernere il Cristo.

Implicazioni a partire dall’atteggiamento di Maria: se diamo il primato all’ascolto, allora anche il nostro fare non peccherà di protagonismo, ma sarà un lavorare “per conto terzi”, non per conto proprio. Questo lo dimen-tichiamo: noi non lavoriamo né per la nostra gloria, né per la soluzione di tutti i problemi, né perché il lavoro ci appartiene. Noi lavoriamo per conto terzi, non siamo mai padroni della vigna, ma siamo amministratori e dob-biamo rendere conto di questo. Dobbiamo, dunque, imparare a unire Marta e Maria, cioè l’accoglienza di Marta deve prolungarsi nell’ascolto di Maria.

Ed ecco le riflessioni conclusive su questo testo così sintetico, ma di per sé così ricco di spiritualità e di insegnamento. L’episodio di Marta e Maria, narrato nel Vangelo di Luca, non va letto come una contrapposizione: non c’è la vita attiva e la vita contemplativa. Esso appare come una catechesi su ciò che è primario e fontale per la vita del discepolo; ci indica le priorità e il primato dell’ascolto della Parola di Dio. L’ascolto e la preghiera, come stiamo facendo oggi, devono precedere il nostro agire: ecco qual è l’inse-gnamento! Qualcuno magari potrebbe dire: “Non vado al ritiro, perché ho tante cose da fare”. Io vi ringrazio, invece, che siete numerosi. Certo, se c’è un funerale da celebrare, lo capiamo tutti; ma dire: “Ho cose più importan-ti” significa rinunciare all’ascolto, alla preghiera comunitaria. Non si tratta di essere troppo severi, semmai, in modo molto fraterno, di cercare di far capire perché è bella questa tradizione di trovarci tutti insieme. Si parte da qui, perché la divisione interiore, gli affanni, la volontà di dominio sono tra gli atteggiamenti che impediscono la maturazione della Parola. Ricordate sempre la parabola del seme! Questi atteggiamenti ci portano lentamente ad un’aridità spirituale, anche se la nostra gente ci loda per le opere che fac-

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ciamo. Certo, il patronato deve essere ben restaurato, a norma, accogliente, riscaldato e pulito, e la nostra chiesa lo stesso, ma a partire da un primato, che si esprime nell’ascolto della Parola di Dio, la quale va vissuta e testimo-niata, con le nostre fragilità, per dare così senso a tutte le nostre attività.

Il racconto che abbiamo letto non ha un finale, come spesso accade in altri episodi narrati nel Vangelo, ad esempio nelle parabole. Abbiamo pre-sente la parabola del Padre misericordioso? Il finale qual è? È entrato il fratello maggiore a far festa? Non lo sappiamo. Questo capita spesso; anche qui la narrazione rimane sospesa, non si racconta cosa succede dopo. A me piace pensare che anche Marta si sia seduta ai piedi del Signore per ascol-tarlo e poi, tutti e tre insieme, Marta, Maria e Gesù, abbiano preparato da mangiare. Allora si ricostituisce la bellezza di essere stati ad ascoltare l’in-segnamento di Gesù, la sua Parola, e, dopo, di essersi dedicati tutti insieme alle occupazioni fondamentali, quale la preparazione del cibo. Ma questo non è scritto nel Vangelo: è solo fantasia. La continuazione, però, dell’episo-dio evangelico dev’essere scritta nel nostro ministero di presbiteri, di diaco-ni, di seminaristi. E in questo senso auguro a voi un buon Avvento.

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PREGHIERA ALL’IMMACOLATA(Vicenza, Cattedrale, 8 dicembre 2011)

PREGHIERA ALLA VERGINE IMMACOLATA

O Vergine Immacolata,in questo momento desideriamo affidarti

specialmente “i piccoli” di questa nostra Diocesi,della nostra Città e dei paesi del nostro territorio.

I bambini, anzitutto,e soprattutto quelli gravemente ammalati,

i ragazzi disabili e disagiatie quanti subiscono le conseguenze

di pesanti situazioni familiari.Veglia su di loro e fa che possano sentire

nell’affetto e nell’aiuto di chi sta loro accanto,il calore dell’Amore di Dio.

Ti affidiamo, o Maria Immacolata, gli anziani soli, gli ammalati,

gli immigrati che fanno fatica ad ambientarsi,i nuclei familiari che stentano a far quadrare il bilancio

e le persone che non trovano occupazioneo hanno perso un lavoro indispensabile per andare avanti.

Insegnaci, Maria, ad essere solidali con chi è in difficoltà,

a colmare le sempre più vaste disparità sociali;aiutaci a coltivare e a promuovere un più vivo senso del bene comune,

spronaci a sentire le nostra Città e il nostro territoriocome patrimonio di tutti,

e a fare ciascuno,con coscienza ed impegno,

la nostra parte per costruireuna società più giusta e più solidale.

Amen.

+ BENIAMINO PIZZIOL

Vescovo di Vicenza

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S. MESSA NELLA NOTTE DI NATALE (Vicenza, Cattedrale, 25 dicembre 2011)

Carissimi fratelli e sorelle,le parole del profeta Isaia, con le quali abbiamo aperto la liturgia della

Parola, ci annunciano un evento di gioia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”.

Queste parole sono state pronunciate dal profeta in un momento dram-matico della storia del popolo di Israele. Il paese è avvolto dalle tenebre e dall’oscurità della morte, a causa dell’invasione dell’esercito assiro, ovunque c’è disperazione e terrore, quando Isaia interviene, nel nome del Signore, per annunciare speranza e infondere gioia.

Il motivo di questa speranza e di questa gioia è la nascita di un bambino, che porterà nel mondo la liberazione e la pace: “poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”. Il verbo al passivo, secondo il linguaggio biblico, indica che è Dio stesso che ci dona questo bambino. Sarà un figlio dalle qualità eccezionali:

- sarà un padre per il suo popolo, come lo sono stati i patriarchi, modelli di fedeltà al loro Dio;

- sarà valoroso come Davide, in grado di proteggere il suo popolo contro ogni nemico;

- sarà saggio come Salomone, capace di pronunciare parole di riconcilia-zione e di amore, parole che infondono fiducia e speranza;

- sarà principe di pace, agirà sulle cause delle guerre; farà scomparire le tensioni sociali, i soprusi, le violenze, il suo regno si consoliderà mediante la giustizia e il diritto.

Questa nuova condizione di pace non sarà provvisoria e passeggera, ma durerà per sempre: “la pace non avrà fine, questo bambino viene a consoli-dare e rafforzare il regno con il diritto e la giustizia, ora e sempre”.

Non è facile stabilire di quale bambino Isaia stia parlando. Egli pensa certamente a un discendente della dinastia davidica, ma nella storia di Israele non ci fu mai un re che corrispondesse a questa profezia. Il popolo d’Israele coltivò la ferma convinzione che Dio avrebbe donato, nel corso della storia, un bambino con queste caratteristiche.

Il Vangelo, che è stato proclamato, ci narra il compimento pieno di questa profezia nella nascita del bambino Gesù. Dio ha mantenuto la sua promessa, ha inviato nel mondo un bambino fragile, debole, indifeso, biso-gnoso di aiuto, ma un bambino che si chiama Gesù, “Dio salva”: “(Maria)

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diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”. Questo evento si realizza in una fase particolare e ben precisa della storia dell’umanità che San Paolo indica come “la pienezza dei tempi”. È il tempo in cui a Roma regna Cesare Augusto, come ci ha narrato il vangelo di Luca. È lui l’imperatore che, dopo gli interminabili orrori delle guerre civili, ha finalmente ristabilito ovunque la pace. È l’epoca d’oro della storia di Roma, cantata da Virgilio.

In questo contesto, in quest’epoca, il Figlio di Dio, Gesù, si è inserito nella storia universale, è divenuto cittadino del mondo. Dalla grande e famosa capitale del mondo, Roma, l’evangelista ci conduce a Betlemme, un piccolo villaggio dei monti della Giudea, dove Giuseppe e Maria si trovano per farsi registrare dal censimento voluto da Cesare Augusto. E mentre si trovavano in quel luogo, Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia. È in questo bambino, Gesù, affidato alle mani di una donna, che si realizza la profezia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”.

Carissimi fratelli e sorelle, è questa la fede della Chiesa, la nostra fede. La luce è Cristo e ci consente di vedere con occhi rinnovati le tante vicen-de personali, familiari e sociali, che stiamo vivendo. In questa notte non ci basta la luce artificiale, abbiamo bisogno di una luce divina, che sappia penetrare nell’interiorità più profonda della nostra coscienza. Sentiamo la necessità di una luce che illumini le nostre menti spesso confuse e smarrite di fronte allo scorrere degli eventi. Sentiamo la necessità di una luce che orienti verso la ricerca onesta e tenace del bene comune del nostro Paese, dell’Europa e di tutti i popoli, eliminando egoismi, ingiustizie, conflitti e guerre. Sentiamo la necessità di una luce che raggiunga le povertà materiali e spirituali, le solitudini di tanti uomini e donne.

Mi rivolgo a voi giovani, che così numerosi avete voluto partecipare alla Santa Messa nella notte di Natale, nella Chiesa Cattedrale, con il vescovo, per dirvi con tutto il cuore: non lasciatevi prendere dallo sconforto o dalla rassegnazione e tanto meno dalla rabbia per la difficoltà di sognare un futu-ro lavorativo, professionale, vocazionale. Il Signore vi ha donato energie fisiche e spirituali, vi ha donato capacità mentali, affettive, creative. Egli vi donerà la luce per trovare, insieme a noi adulti e ai responsabili della vita pubblica, quelle giuste opportunità, affinché possiate offrire il vostro contri-buto per il bene comune della nostra società e della nostra Chiesa.

Sentiamo anche la necessità di una luce che illumini ogni iniziativa di solidarietà tra persone, famiglie ed istituzioni, che stanno bene, verso colo-ro, e sono molti, che stanno attraversando un periodo di gravi difficoltà

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lavorative, sociali ed economiche. A tal riguardo, la Caritas diocesana pro-pone un’iniziativa denominata “Sostegni di vicinanza”, che consiste in que-sto: persone, famiglie ed istituzioni, che stanno bene, aiutano per un tempo determinato persone, famiglie ed istituzioni, che stanno meno bene.

Carissimi fratelli e sorelle,in questa notte dobbiamo sentire soprattutto la necessità di una luce,

che orienti la nostra intelligenza e il nostro cuore ad incontrare e contem-plare quella luce, che si riflette sul volto del bambino Gesù, perché è lui “la luce vera, quella che illumina ogni uomo e ogni donna”. Con queste parole e con questi pensieri auguro a tutti voi un santo ed autentico Natale. Amen.

S. MESSA NEL GIORNO DI NATALE(Vicenza, Cattedrale, 25 dicembre 2011)

Carissimi fratelli e sorelle,con queste parole l’evangelista Giovanni ha riassunto il grande evento

del Natale: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (fissò la sua tenda in mezzo a noi) (Gv 1,14). È il punto culminante di tutto il prologo del quarto Vangelo che abbiamo appena ascoltato. Sono parole cariche di ammirazione e di stupore di fronte al mistero di Dio, che, per amore, si spoglia della sua gloria, annienta se stesso e prende dimora sotto la nostra tenda.

Così si esprime l’Apostolo nella Lettera ai Filippesi: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo diventando simile agli uomini” (2, 6-7).

“Carne” nel linguaggio biblico indica l’uomo nel suo aspetto di un esse-re debole, fragile, perituro. Quando Giovanni dice che la “Parola” divenne carne non afferma semplicemente che prese un corpo mortale, ma che divenne uno di noi, che si fece in tutto simile a noi, compresi i sentimenti, le passioni, le emozioni, i condizionamenti culturali, la stanchezza, la fatica e anche le tentazioni e i conflitti interiori. In tutto simile a noi, fuorché nel peccato.

Di fronte a questo sconvolgente annuncio, una domanda sorge nel nostro cuore: perché il Verbo si è fatto carne? Perché Dio si è fatto uomo?

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Nel Credo c’è una frase che, in questo giorno di Natale, si recita mettendosi in ginocchio: “Per noi uomini e per la nostra salvezza, discese dal cielo e, per opera dello Spirito Santo, si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. Questa è la risposta fondamentale e perennemente valida, che ci ha consegnato la Tradizione vivente della Chiesa. Abbiamo compreso che Dio si è fatto uomo per amore, per avere qualcuno da amare in modo degno di sé, cioè amare senza misura. Ecco il perché dell’incarnazione.

A Natale, quando viene alla luce a Betlemme Gesù Bambino, Dio Padre ha qualcuno da amare fuori della Trinità in modo sommo ed infinito, perché Gesù è uomo e Dio insieme. Ma non solo Gesù, anche noi insieme con lui. Noi siamo inclusi in questo amore, essendo diventati figli nel Figlio. Ce lo ricorda sempre il prologo di Giovanni che abbiamo letto: “A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).

La risposta al perché dell’incarnazione la troviamo sempre nel vangelo di Giovanni, al capitolo 3, versetto 16: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.

Sì, Cristo è disceso dal cielo “per la nostra salvezza”, ma quello che l’ha spinto a scendere dal cielo è stato l’amore, nient’altro che l’amore. Dio è amore e tutto quello che fa, lo fa per amore. Natale è quindi la prova supre-ma dell’amore di Dio per noi.

Quale deve essere, allora, la nostra risposta prima ed ultima al Natale? All’amore non si può rispondere in altro modo che riamando. Nel canto natalizio “Adeste fideles” c’è una espressione profonda: “Come non riamare uno che ha amato così tanto?”.

Si possono fare tante cose per solennizzare il Santo Natale: le celebra-zioni liturgiche accompagnate da canti commoventi, il presepe nelle case, lo scambio di doni, l’incontro con le persone care, i gesti di solidarietà verso i poveri, ma certamente la cosa più vera e più profonda è un pen-siero di gratitudine, di commozione e di amore per colui che è venuto ad abitare in mezzo a noi. È questo il dono più squisito, l’ornamento più bello che possiamo offrire al Bambino Gesù. E non è difficile, basta meditare un po’ sul suo amore per noi, anche contemplando il presepe, per sentire quanto ci ha amato.

Ma chi si sente amato, non può fare a meno di riamare. L’amore ha bisogno di tradursi in gesti concreti. Stiamo attraversando tutti una crisi a livello locale e mondiale e per uscirne siamo chiamati a vivere una autentica esperienza di solidarietà e di fraternità. La Chiesa di Vicenza, attraverso la Caritas e tutte le realtà caritative presenti in Diocesi, invita tutte le perso-ne, le famiglie e le istituzioni, che godono di un certo benessere economico,

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a farsi solidali con persone, famiglie ed istituzioni, che stanno vivendo gravi difficoltà economiche. La Caritas ha denominato questi aiuti come “sostegni di vicinanza”, vale a dire la decisione di sostenere per un tempo determi-nato persone e famiglie, che non riescono a pagare l’affitto, le bollette, la rata del mutuo, la retta della scuola per i propri figli. Questi aiuti si rendono possibili attraverso la mediazione della Caritas con i suoi centri di ascolto, presenti in tutto il territorio della Diocesi.

Ma accanto a questi gesti particolari, richiesti dalla situazione di emer-genza che stiamo vivendo, ci sono gesti semplici, ordinari, che determinano in noi un nuovo stile di vita, più evangelico, più sobrio, che trae la sua moti-vazione profonda dalla contemplazione del presepio, dello stile di Dio, che si fa carne, assumendo la condizione di servo.

Auguro che la luce del Natale illumini le menti di tutti i governanti e i responsabili della società, rendendole capaci di individuare quello che è bene per la nostra comunità civile; auguro che la pace del Natale si diffonda nel cuore delle nostre città, del nostro Paese e nel cuore di tutti gli abitanti per una rinnovata stagione di solidarietà, di amore fraterno, di attenzione soprattutto ai nostri giovani e alle nostre famiglie, che hanno bisogno di lavoro, di serenità e di guardare al futuro con fiducia.

Auguro un buon Natale ai malati nell’anima e nel corpo, che lottano e che per guarire, insieme alle medicine, necessitano della nostra vicinanza e del nostro sostegno.

Auguro un buon Natale di cuore ai bambini e ai nostri anziani, che costi-tuiscono una straordinaria risorsa di saggezza e di fede.

Auguro un buon Natale a tutti i sacerdoti e a tutti i diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi e a tutti i fedeli laici, affinché continuino ad annunciare, con tenacia e convinzione, la buona notizia che “il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Amen.

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OMELIA DI FINE ANNO(Vicenza, Chiesa di S. Michele, 31 dicembre 2011)

Carissimi fratelli e sorelle,al termine di un anno, che per la Chiesa e per il mondo è stato quanto

mai ricco di eventi, ci ritroviamo questa sera insieme per elevare un inno di ringraziamento a Dio, Signore del tempo e della storia. Potremmo ben dire che la Chiesa vive per lodare e ringraziare Dio. È essa stessa “azione di grazie”, lungo i secoli, testimone fedele di un amore, che abbraccia tutti gli uomini e le donne del nostro mondo.

Questa sera mi faccio voce anzitutto della Chiesa di Vicenza per innal-zare a Dio un cantico di lode e di ringraziamento per l’anno, che volge al termine, segnato, come tutti gli anni, da gioie e speranze, tristezze e ango-sce. In questo cantico di lode e di ringraziamento ci lasciamo condurre dalle parole rivolte dall’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto, per invitarli a sostenere la comunità di Gerusalemme, che si trovava in gravi difficoltà. Anche noi stiamo attraversando un periodo piuttosto lungo di travaglio e di preoccupazione, a livello locale e mondiale.

L’Apostolo esorta i cristiani di allora e i cristiani di oggi ad aver fiducia nel Signore e di far salire a lui l’inno di ringraziamento: “Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente…..così sarete ricchi per ogni generosità, la quale farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro”.

Siamo chiamati, questa sera, a rendere grazie a Dio per averci donato ancora un anno, 365 giorni, un tempo per vivere, per amare, per pregare, per lavorare, per incontrare tanti fratelli e sorelle. È giusto, questa sera, riflettere insieme sul significato del tempo che ci viene donato da Dio.

Tante volte noi diciamo “ci manca il tempo”, “avremmo bisogno di più tempo”, perché il nostro ritmo di vita è diventato frenetico e concitato. Ma proprio nella celebrazione del Natale di Gesù ci è stata data la “bella noti-zia” che Dio ci dona il suo tempo, che Dio ha tempo per noi, che Dio entra nel tempo, nella pienezza del tempo.

Dio ci dona il suo tempo, perché è entrato nella storia con la sua parola e le sue opere di salvezza, per aprire la storia e il tempo all’eternità. Il tempo è quindi un segno dell’amore di Dio, noi possiamo valorizzarlo o sciuparlo, possiamo coglierne il significato profondo o trascurarlo con superficialità.

Tre sono i cardini che scandiscono la storia e il tempo della salvezza: all’inizio la creazione, al centro l’incarnazione e al termine la parusia, vale a dire la venuta finale del Cristo. Questi tre momenti non sono da intendersi

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semplicemente in successione cronologica. La creazione è continua e si attua lungo l’intero arco del divenire cosmico, fino alla fine dei tempi. L’in-carnazione – redenzione è avvenuta in un determinato momento storico, tuttavia estende il suo raggio d’azione a tutto il tempo precedente e a quel-lo seguente. L’ultima venuta e il giudizio finale hanno nella croce di Cristo un deciso anticipo, così da esercitare un concreto influsso nella condotta degli uomini di ogni epoca. E allora si capisce che per i credenti il tempo non è un contenitore di eventi, che si succedono uno dopo l’altro senza significato e senza alcuna finalità, ma è l’incontro decisivo con Dio e con i fratelli nella prospettiva di una comunione piena e definitiva nel passaggio dal tempo all’eternità.

Il modo più bello di vivere nel tempo è l’azione di grazie a Dio, l’affida-mento umile e fiducioso alle sue mani e la carità operosa verso il prossimo. L’apostolo Paolo ci invita ad aprire con gioia il nostro cuore al fratello che vive nella difficoltà e ci ammonisce: “Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà”.

Quest’ultima sera dell’anno civile tanti sono i motivi che rendono il nostro incontro un inno di lode e di grazie al Signore. Dopo aver conside-rato i molteplici eventi, che hanno segnato il corso dei mesi in quest’anno che si avvia alla conclusione, voglio ricordare in modo speciale coloro che sono in difficoltà: le persone più povere e abbandonate, quanti hanno perso la speranza in un fondato senso della propria esistenza, coloro che stanno attraversando la prova della malattia e della sofferenza. Ma voglio anche ricordare tutti coloro che si prodigano per migliorare le condizioni di vita delle singole persone e delle comunità sociali e civili.

Mentre ci congediamo dall’anno 2011 e ci avviamo verso un nuovo anno, la liturgia ci introduce nella festa di Maria, Madre di Dio. Chiedia-mo a Maria, la nostra Madonna di Monte Berico, di intercedere per noi. Ci accompagni la sua materna protezione, oggi e sempre. Amen.

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Luglio 2011

1. Alle 9.00 riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 16.30 a Villa S. Carlo di Costabissara porta un saluto ai partecipanti alla Settimana biblica. Alle 18.00 nella Chiesa di S. Pietro in Vicenza presiede la S. Messa per l’apertura del Capitolo generale delle Suore Dorotee.

2. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.3. Alle 11.00 presiede la S. Messa a Campogrosso.4. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 17.30 in Fiera di Vicen-

za presenzia all’Assemblea di Confindustria Vicenza.5. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 20.00

nella sede della Caritas diocesana incontra il Consiglio direttivo della mede-sima.

7. Al mattino e al pomeriggio in Episcopio incontra i direttori degli Uffici dioce-sani.

8. Al mattino e al pomeriggio in Episcopio incontra i direttori degli Uffici dioce-sani.

10. Alle 10.00 presiede la S. Messa a Cresole.11. In Seminario: al mattino e al pomeriggio incontra i preti su appuntamento;

alle 17.30 incontra il Consiglio per gli affari economici.12. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 15.00

porta un saluto al Consiglio di amministrazione dell’Istituto diocesano sostentamento clero.

14. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.15. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Nel pomeriggio è a Zelarino.16. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 19.00

a Maragnole presiede la S. Messa e la successiva processione in occasione della festa della Madonna del Carmine.

17. Alle 10.30 nella Chiesa arcipretale di Recoaro Terme presiede la S. Messa in occasione della XIII Festa itinerante dell’emigrante.

18. Alle 8.45 riceve in Episcopio su appuntamento. In Seminario: al mattino e al pomeriggio incontra i preti su appuntamento.

19. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 12.00 nel Palazzo delle opere sociali in Vicenza incontra gli operatori dell’informa-zione. Alle 20.00 visita il Centro vocazionale “Ora decima” in Vicenza.

21. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.22. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento.23. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento.

DIARIO ATTIVITÀ DEL VESCOVO

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24. A Tonezza del Cimone: alle 10.30 presiede la S. Messa e nel pomeriggio visita le Case “Anna Maria Taigi” e “Fanciullo Gesù” dell’Azione cattolica vicentina.

25. In Seminario: al mattino e al pomeriggio incontra i preti su appuntamento.26. Alle 9.30 e alle 17.00 riceve in Episcopio su appuntamento.27. A Penia di Canazei visita il camposcuola diocesano di I tappa giovanissimi

dell’Azione cattolica.28. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 11.30

a Casa Mater amabilis in Vicenza presiede la S. Messa per un gruppo di reli-giose lì convenute per gli esercizi spirituali.

29. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.30. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 17.30 a Villa S. Giusep-

pe in Bassano del Grappa visita la Casa e presiede la S. Messa in occasione della festa di S. Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù.

31. Alle 10.00 celebra la S. Messa nella Parrocchia di S. Lazzaro in Vicenza.

Agosto 2011

1. In Seminario: al mattino e al pomeriggio incontra i preti su appuntamento. Alle 20.30 nella Basilica di Monte Berico presiede la Veglia di preghiera per i giovani della Diocesi partecipanti alla GMG di Madrid.

2-6. È assente per un periodo di vacanza.7. Alle 10.00 a Porto Viro presiede la S. Messa in occasione della Festa del

migrante. 8. In Seminario: al mattino e al pomeriggio incontra i preti su appuntamento.9. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.10. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 19.30 a

S. Pietro in Gu presiede la S. Messa in occasione della festa patronale. 11. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. 12. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.13. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento.14. Alle 19.30 a Montebello Vicentino presiede la S. Messa e la successiva pro-

cessione. 15. Presiede la S. Messa: alle 10.30 in Cattedrale e alle 18.00 alla Pieve di

Chiampo.16. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 18.30

presiede la S. Messa nella Chiesa di S. Rocco in Vicenza.19. A Penia di Canazei visita il camposcuola diocesano per famiglie organizzato

dall’ACI.20. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento.22. In Seminario: al mattino e al pomeriggio incontra i preti su appuntamento.23. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.25. Alle 9.00 nella Basilica di Monte Berico presiede la S. Messa votiva. Nella

tarda mattinata e nel pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 19.30 a Carturo presiede la S. Messa e la successiva processione.

26. A Federavecchia incontra gli ordinandi diaconi e presbiteri.27. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 19.00 a Seghe di Velo

d’Astico presiede la S. Messa per il 50° di costruzione della Chiesa parroc-chiale.

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28. Alle 11.00 presiede la S. Messa nella Parrocchia di S. Agostino in Vicenza.29. In Seminario: al mattino e al pomeriggio incontra i preti su appuntamento.30. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 11.00

presiede una riunione nel Pensionato studenti “Madonna di Monte Berico” in Vicenza.

31. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.

Settembre 2011

1. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento.2. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 20.30 a

Zimella presiede la S. Messa alla Grotta di Lourdes per i catechisti del Vica-riato di Cologna Veneta.

3. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 20.00 presiede la S. Messa nella Casa della Carità di Montorso Vicentino.

4. Alle 8.30 all’Istituto Quadri di Vicenza interviene all’Assemblea diocesana di ACI. Alle 15.00 nella Chiesa di S. Paolo in Vicenza presiede la S. Messa in occasione dell’Assemblea diocesana di ACI. Alle 16.45 visita il Cimitero acat-tolico di Vicenza.

5. A Federavecchia incontra la comunità del Seminario Maggiore.6. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 10.00

visita la sede dell’Istituto secolare Figlie di S. Angela della Compagnia di S. Orsola in Vicenza.

7. Al mattino e al pomeriggio è a Venezia per il saluto del Patriarcato al card. Angelo Scola nominato Arcivescovo di Milano. Alle 20.30, con partenza dal Cristo, presiede il Pellegrinaggio diocesano a Monte Berico.

8. Alle 11.00 presiede il solenne pontificale nella Basilica di Monte Berico. Alle 18.30 presiede la S. Messa a Montecchia di Crosara in occasione del 150° anniversario dell’apertura al culto della Chiesa arcipretale.

9. Al mattino in Seminario incontra i preti dell’Istituto. Alle 16.00 alle Fonti Centrali di Recoaro Terme interviene all’apertura del 44° Convegno sui pro-blemi internazionali organizzato dall’Istituto Rezzara di Vicenza.

10. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 16.00 in Seminario incontra i giovani partecipanti alla GMG di Madrid. Alle 19.00 a Marsan pre-siede la S. Messa in occasione della festa patronale.

11. Alle 10.00 nella Parrocchia di S. Pio X in Vicenza presiede la S. Messa e benedice la prima pietra del nuovo Centro parrocchiale. Alle 16.00 nel Duomo di Sandrigo presiede la S. Messa e conferisce il Mandato ai catechisti della Diocesi in occasione dell’annuale Convegno diocesano.

12. È a Venezia.13. È a Zelarino per la riunione della CET.14. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 10.00

nel Palazzo delle Opere sociali in Vicenza presiede la riunione dei direttori degli uffici diocesani.

15. Alle 10.00 nella Basilica di Monte Berico presiede la S. Messa in occasione delle Giornate dell’Unitalsi. Alle 16.00 visita la sede de “La Voce dei Berici” in Vicenza. Alle 19.30 nel Centro giovanile di Cologna Veneta presiede la S. Messa in occasione della conclusione delle attività estive parrocchiali.

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16. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. 17. Nel pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 18.30 presiede la

S. Messa ed amministra la Cresima a Sandrigo.18. Presiede la S. Messa ed amministra la Cresima: alle 10.30 a Meledo e alle

16.00 a S. Pietro in Schio. Alle 21.00 al Teatro comunale di Vicenza presenzia al Concerto del maestro Ennio Morricone in occasione dell’inaugurazione della illuminazione della Basilica palladiana e di Piazza dei Signori.

19. In Seminario: al mattino incontra i preti su appuntamento; alle 15.30 incon-tra il Collegio docenti dello Studio teologico. Alle 18.30 in Episcopio incontra la segreteria del Consiglio pastorale diocesano.

20. In Episcopio: al mattino e al pomeriggio riceve su appuntamento; alle 16.00 presiede la riunione della Commissione per la formazione permanente del clero. Alle 20.30 nella sede del Centro vocazionale “Ora decima” in Vicenza incontra la Commissione diocesana di pastorale giovanile.

21. È a Venezia.22. Al mattino in Seminario presiede l’Assemblea del clero. Nel pomeriggio rice-

ve in Episcopio su appuntamento. Alle 17.00 visita il Museo diocesano.23. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Nel pomeriggio è a Venezia.24. Alle 15.00 all’Istituto saveriano di Vicenza interviene al Convegno diocesa-

no missionario. Alle 19.00 a S. Sebastiano di Cologna Veneta presiede la S. Messa in occasione dei 100 anni della Chiesa.

25. È a Milano per l’ingresso del nuovo Arcivescovo, card. Angelo Scola.26. In Seminario: al mattino e al pomeriggio riceve i preti; dalle 17.00 incontra la

Comunità dell’Istituto e presiede la S. Messa.27. Dalle 9.00 a Villa S. Carlo di Costabissara presiede la riunione dei vicari

foranei. Nel pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 20.30 a Marola interviene ad una tavola rotonda sulla figura della beata Eurosia Fabris Barban.

28. È a Venezia. 29. Alle 11.00 nella Caserma Sasso di Vicenza interviene alla celebrazione per

S. Michele arcangelo, patrono della Polizia di Stato e dei Paracadutisti. Nel pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 19.00 presiede la S. Messa nella Chiesa di S. Michele in Vicenza.

30. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.

Ottobre 2011

1. Alle 8.45 a Casa S. Cuore in Vicenza interviene all’Assemblea diocesana dell’USMI. Alle 16.00 in Cattedrale presiede la liturgia di ordinazione di tre presbiteri diocesani.

2. Alle 10.00 nella Basilica di Monte Berico presiede la S. Messa per il Centro di Servizio per il Volontariato della Provincia di Vicenza.

3. In Seminario: al mattino e al pomeriggio riceve i preti su appuntamento. Alle 19.00 a Villa S. Carlo di Costabissara presiede la riunione del Consiglio pastorale diocesano.

4. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 18.00 nel Palazzo delle Opere sociali di Vicenza interviene ad un incontro sul tema “Il respiro della libertà” promosso dalla Fondazione Zoé.

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5. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Dal pomeriggio è a Venezia. 6. È a Venezia.7. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.8. Alle 9.00 al villaggio SOS di Vicenza presiede la S. Messa nel 30° anniversa-

rio di fondazione. Alle 18.00 a Villalta presiede la S. Messa ed amministra la Cresima agli adolescenti dell’Unità pastorale. Alle 20.30 in Cattedrale pre-siede la Veglia missionaria.

9. Alle 9.30 nella Chiesa di S. Michele in Vicenza porta un saluto ai partecipanti alla Giornata delle vittime del lavoro. Alle 11.00 a Bertesinella presiede la S. Messa ed amministra la Cresima agli adolescenti dell’Unità pastorale. Alle 15.00 nel Teatro parrocchiale di Castelgomberto porta un saluto ai partecipanti al Convegno diocesano dei gruppi sposi e coppie. Alle 16.30 a Campodoro presiede la S. Messa ed amministra la Cresima agli adolescenti dell’Unità pastorale.

10. In Seminario: al mattino e al pomeriggio riceve i preti su appuntamento.11. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 11.00

visita la sede dell’Archivio diocesano. Alle 12.30 visita la sede centrale della Banca Popolare di Vicenza in Vicenza.

12. È a Venezia.13. Al mattino a Villa S. Carlo di Costabissara presiede la riunione del Consiglio

presbiterale.14. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. 15. Al mattino è a Venezia. Alle 17.00 a Dueville presiede la S. Messa ed ammini-

stra la Cresima agli adolescenti dell’Unità pastorale.16. Presiede la S. Messa ed amministra la Cresima: alle 10.30 a Sarmego (per

l’Unità pastorale) e alle 15.30 in Cattedrale per l’Unità pastorale di Creazzo. 17. In Seminario: al mattino e al pomeriggio riceve i preti su appuntamento. Alle

19.30 nella Chiesa delle Grazie in Chiampo presiede la S. Messa e la succes-siva processione.

18. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 12.00 è in visita alla Casa del clero in Vicenza.

19. È a Venezia. 20. Alle 16.40 in Cattedrale incontra i cresimandi delle Parrocchie di Anconetta

ed Ospedaletto in Vicenza. Alle 17.00 visita il cantiere della cupola della Cat-tedrale.

21. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 16.30 all’ISSR di Monte Berico presenzia, nell’ambito della Settimana della scuola, all’incontro di apertura per insegnanti e dirigenti di ogni ordine e grado e alle 18.30 nella Basilica di Monte Berico presiede la S. Messa per i partecipanti.

22. È a Venezia. 23. Alle 10.30 presiede la S. Messa nella Chiesa di S. Bertilla in Vicenza in occa-

sione del 50° anniversario della canonizzazione di S. Bertilla Boscardin e della costruzione della Chiesa. Alle 16.00 in Cattedrale presiede la liturgia di ordinazione diaconale di tre alunni del Seminario diocesano.

24. In Seminario: al mattino riceve preti su appuntamento; alle 16.00 incontra il Collegio docenti dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose; dalle 17.30 è in visita alla Comunità de “Il Mandorlo”.

25. Alle 9.30 riceve in Episcopio su appuntamento. Dalle 10.30 è in visita agli Uffici della Curia (sezione affari generali e sezione pastorale) e alle 12.00 nel

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Salone d’onore del Palazzo delle Opere sociali in Vicenza incontra il persona-le laico.

26. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 11.00 in Cattedrale presiede la S. Messa per l’apertura dell’anno scolastico, nell’ambito della Settimana della scuola. In Seminario: alle 17.00 incontra gli istituendi lettori ed accolito e alle 18.30 presiede la S. Messa con l’istituzione di 6 lettori ed un accolito, alunni del Seminario Maggiore.

27. È a Venezia.28. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 15.30 visita Casa Spe-

ranza in Vicenza. Alle 17.30 in Curia presiede la riunione del Consiglio dioce-sano per gli affari economici. Alle 21.00 nella Chiesa di S. Lorenzo in Vicenza presenzia ad un concerto dei Solisti Veneti offerto dalla Banca Friuladria.

29. Alle 9.30 in Seminario, nell’ambito della Settimana della scuola, interviene ad un incontro organizzato dall’AGESC. Alle 12.00 nella Parrocchia di S. Agostino in Vicenza incontra i preti romeni greco-cattolici presenti nel Nord Italia. Alle 18.30 presiede la S. Messa ed amministra la Cresima nella Par-rocchia di S. Felice in Vicenza.

30. Presiede la S. Messa ed amministra la Cresima: alle 10.30 a Noventa Vicenti-na (per l’Unità pastorale) e alle 15.30 a Villa del Ferro (per l’Unità pastorale della Val Liona).

31. In Seminario: al mattino e al pomeriggio riceve i preti su appuntamento.

Novembre 2011

1. Alle 10.30 presiede la S. Messa in Cattedrale. Alle 15.30 al Cimitero Maggio-re di Vicenza presiede la preghiera dei vespri e la successiva processione.

2. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 19.00 in Cattedrale presiede la S. Messa e visita le tombe dei vescovi defunti.

3. Nel pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 19.00 in Cattedra-le presiede la S. Messa per i membri defunti di Rotary, Lions, Soroptimist ed Inner Wheel.

4. Alle 10.30 nella Casa madre delle Suore della Divina Volontà in Bassano del Grappa presiede la S. Messa. Nel pomeriggio riceve in Episcopio su appun-tamento. Alle 20.30 al Centro congressi di Confartigianato Vicenza intervie-ne alla presentazione dell’edizione 2012 del Festival biblico.

5. Alle 11.00 all’Istituto saveriano di Vicenza presiede la S. Messa in occasione della canonizzazione di mons. Guido Conforti. Alle 17.00 ad Anconetta pre-siede la S. Messa ed amministra la Cresima agli adolescenti di Anconetta ed Ospedaletto.

6. Alle 9.15 al Palazzo delle Opere sociali in Vicenza porta un saluto ai parteci-panti al Convegno socio-politico organizzato dalla Consulta diocesana delle aggregazioni laicali. Alle 10.30 a Cereda presiede la S. Messa ed amministra la Cresima in occasione del X anniversario della beatificazione di mons. Gio-vanni Antonio Farina. Alle 15.30 in Cattedrale presiede la S. Messa ed ammi-nistra la Cresima agli adolescenti delle Parrocchie di S. Bertilla e S. Carlo in Vicenza.

7 – 11. È in Terra Santa con il pellegrinaggio del Patriarcato di Venezia. 12. Alle 9.30 a Roncade presenzia alla II Conferenza sulla scuola libera e parita-

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ria e formazione professionale. Alle 18.30 a Novale presiede la S. Messa ed amministra la Cresima.

13. Alle 10.30 a Pozzoleone presiede la S. Messa in occasione della Giornata pro-vinciale del Ringraziamento. Alle 15.30 in Cattedrale presiede la S. Messa ed amministra la Cresima agli adolescenti delle Parrocchie di Araceli, Ausilia-trice, S. Andrea e S. Francesco in Vicenza.

14. In Seminario: al mattino e al pomeriggio riceve i preti su appuntamento. Alle 18.00 presiede la S. Messa nell’Istituto delle Suore delle Poverelle di c.trà S. Lucia in Vicenza nel decennale di apertura della sede della Caritas diocesana.

15. Dalle 9.00 presiede la riunione dei vicari foranei a Villa S. Carlo di Costabis-sara. Alle 15.30 presiede la S. Messa nel Monastero delle Clarisse dell’Imma-colata di Creazzo, indi presiede l’elezione della nuova badessa.

16. Alle 10.00 presiede la S. Messa all’Istituto Graziani di Bassano del Grappa. Nel pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.

17. È a Venezia.18. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.19. Alle 10.30 nell’aula magna del Polo didattico dell’Ospedale S. Bortolo di

Vicenza presenzia all’incontro di presentazione dell’Ospedale di Yirol (Sud Sudan) affidato al CUAMM di Padova. Alle 19.00 a Villanova di S. Bonifacio presiede la S. Messa ed amministra la Cresima.

20. Presiede la S. Messa ed amministra la Cresima: alle 10.30 a S. Vito di Leguz-zano (per l’U.p.) e alle 15.30 in Cattedrale agli adolescenti delle parrocchie di S. Pietro e S. Caterina in Vicenza.

21. Al mattino è a Venezia. Alle 16.30 riceve in Episcopio su appuntamento, indi visita sacerdoti ammalati. 19.00 presiede la S. Messa nella Chiesa parroc-chiale di S. Vito in Bassano del Grappa.

22. Alle 10.00 visita il Centro “Effetà” di Marola. Alle 16.00 in Cattedrale incon-tra i cresimandi dell’Unità pastorale “Riviera” di Vicenza. Dalle 16.45 riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 20.00 presiede la S. Messa nella Chiesa parrocchiale di Tavernelle.

24. Alle 9.15 nella Basilica di Monte Berico propone il ritiro di Avvento al clero diocesano. Alle 15.30 riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 16.00 visita il complesso monumentale di S. Silvestro in Vicenza. Alle 18.00 riceve in Epi-scopio su appuntamento

25. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 17.30 presiede la riunione del Consiglio diocesano per gli affari economici.

26. Alle 16.30 in Cattedrale presiede la S. Messa ed amministra la Cresima agli adolescenti dell’Unità pastorale di Altavilla Vicentina. Alle 18.30 incontra i capi del Gruppo Agesci “Vicenza Berica” in Seminario.

27. Alle 9.30 in Seminario porta un saluto ai partecipanti alla Giornata dell’ade-sione dell’Unitalsi. Alle 11.00 presiede la S. Messa nella Chiesa parrocchiale di S. Giorgio in Vicenza. Alle 15.30 in Cattedrale presiede la S. Messa ed amministra la Cresima agli adolescenti dell’Unità pastorale “Riviera” in Vicenza.

28. A Villa S. Fermo di Lonigo incontra i preti del Vicariato di Lonigo.29. È a Zelarino per la riunione della Conferenza Episcopale Triveneto. Alle

20.30 all’Istituto saveriano di Vicenza incontra le famiglie coinvolte nei soste-gni di vicinanza della Caritas diocesana.

30. È a Venezia.

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Dicembre 2011

1. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. In mattina-ta visita sacerdoti ammalati. Alle 18.30 nella Chiesa di S. Caterina in Vicenza presiede la S. Messa per gli universitari della Diocesi e successivamente incontra gli universitari.

2. È a Venezia. 4. Alle 10.30 presiede la S. Messa nella Chiesa arcipretale di Nove. Alle 15.30 a

Piazzola sul Brenta presiede la S. Messa ed amministra la Cresima agli ado-lescenti dell’Unità pastorale.

5. In Seminario: al mattino e al pomeriggio riceve i preti su appuntamento. Nel tardo pomeriggio visita sacerdoti malati.

6. Al mattino riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 16.00 a Casa S. Bastian in Vicenza incontra i dirigenti delle ulss presenti sul territorio dioce-sano.

7. È a Venezia.8. Alle 10.30 presiede la S. Messa in Cattedrale.9. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento.10. Alle 10.00 a Villa S. Carlo di Costabissara incontra i preti diocesani aderenti

al Prado. Alle 17.00 nel Monastero carmelitano di Montecchio Maggiore pre-siede la S. Messa indi incontra la comunità monastica.

11. Alle 16.00 presiede la S. Messa ed amministra la Cresima a Lisiera e succes-sivamente visita la sede di Radio Oreb.

12. In Seminario: al mattino e al pomeriggio riceve i preti su appuntamento. Alle 18.30 nella Chiesa di S. Michele in Vicenza presiede la S. Messa per gli ope-ratori del diritto.

13. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 18.00 presiede la S. Messa nella Chiesa di S. Lucia in Vicenza.

14. È a Venezia.15. Dalle 9.00 alle 17.00 a Villa S. Carlo di Costabissara presiede la riunione del

Consiglio presbiterale.16. Alle 8.30 in Cattedrale presiede la S. Messa nell’anniversario della dedica-

zione. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 11.30 è in visita alla Prefettura di Vicenza. Alle 17.30 presiede la riunione del Consiglio diocesano per gli affari economici.

17. Alle 10.00 presiede la S. Messa nell’Ospedale civile di Vicenza. Alle 12.45 in Seminario incontra la comunità presbiterale dell’Istituto. Alle 15.30 a Villa S. Carlo di Costabissara guida il ritiro agli insegnanti di religione cattolica della Diocesi.

18. Alle 10.30 presiede la S. Messa ed amministra la Cresima a Maddalene. Alle 16.00 a Settecà incontra i diaconi permanenti della Diocesi.

19. In Seminario: al mattino riceve i preti su appuntamento. Alle 15.30 presiede la riunione del Collegio dei consultori. Alle 18.00 al Palazzo delle Opere socia-li in Vicenza interviene ad un incontro promosso dalla Caritas diocesana. Alle 19.00 nella Chiesa di S. Michele in Vicenza presiede la S. Messa per i membri delle categorie economiche presenti in Diocesi.

20. Alle 9.00 visita la Questura di Vicenza. Alle 10.00 presiede la S. Messa nella Casa circondariale di Vicenza. Alle 12.15 in Episcopio incontra i rappre-sentanti del mondo dell’informazione. Nel pomeriggio riceve in Episcopio

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su appuntamento. Alle 21.00 in Cattedrale presenzia al Concerto di Natale offerto dalla Banca Popolare di Vicenza.

21. È a Venezia.22. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 12.00

in Episcopio incontra il Capitolo della Cattedrale ed il personale della Curia diocesana per lo scambio degli auguri natalizi. Alle 12.30 in Casa del clero si intrattiene con la comunità dei preti. Alle 17.30 visita la sede cittadina della Lega italiana per la lotta contro i tumori. Alle 19.00 a Casa S. Cuore in Vicenza presiede la S. Messa per i membri della Consulta diocesana delle aggregazioni laicali.

23. Alle 10.00 presiede la S. Messa all’Istituto Trento di Vicenza. 24. Alle 9.00 presiede la S. Messa alla Rsa Novello – S. Rocco in Vicenza. 25. In Cattedrale presiede: alle 24.00 la S. Messa “nella notte di Natale”, alle

10.30 la S. Messa “nel giorno di Natale” e alle 17.30 i solenni vespri. 26. Alle 10.00 presiede la S. Messa nella Chiesa parrocchiale di S. Stefano in

Vicenza. Alle 18.30 a Villa S. Carlo di Costabissara presiede la S. Messa in occasione del corso di esercizi spirituali vocazionali.

28. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. Alle 10.30 in Cattedrale presiede la S. Messa in occasione del Convegno diocesano dei ministranti. Alle 18.00 visita il Centro “Mezzanino” di Vicenza.

30. Al mattino e al pomeriggio riceve in Episcopio su appuntamento. 31. Alle 14.45 nella Parrocchia di S. Lazzaro in Vicenza porta un saluto ai parte-

cipanti alla manifestazione “Ultimo con gli ultimi”. Alle 17.30 nella Chiesa parrocchiale di S. Michele in Vicenza presiede la preghiera di ringraziamen-to a conclusione dell’anno civile.

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A. AVVICENDAMENTI NEL CLERO DIOCESANO IN DATA 1° SETTEMBRE 2011

Con decreti emessi in data 1° settembre 2011 Mons. Vescovo ha disposto i seguenti avvicendamenti nel clero diocesano (prot. gen. dal 325/2011 al 344/2011)

Rinunciano all’ufficio di parroco:Chiomento don Flavio – Cusinati di RosàPaoli don Giampietro – U.P. Valli Beriche (parroco in solido)Pieri mons. Roberto – Bolzano VicentinoRancan don Giuseppe – CamisanoSacchiero don Angelo – Castello di San Giovanni Ilarione

Cessano dall’ufficio di Amministratore parrocchiale:Bassan mons. Gino – San Pietro in VicenzaDovigo mons. Renato – Sant’AgostinoFacco don Giorgio – RampazzoMartin don Secondo – Unità Pastorale “S. Bertilla” di Brendola

Parroci:Attorni don Luciano – Bolzano VicentinoBruttomesso don Agostino – Unità pastorale “S. Bertilla” di Brendola (S. Michele - S. Vito - Vo’ - Madonna dei Prati)Guarato don Dario – Lerino (in Unità Pastorale con Torri di Quartesolo e Marola)Panciera don Giuliano e Zilio don Claudio (moderatore) parroci in solido Unità pastorale di Camisano - Rampazzo - S. MariaSottoriva mons. Fabio – San Pietro in Vicenza

NOMINE VESCOVILI

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Vicari parrocchialiDe Rosa don Daniele – Valmarana (conservando l’incarico di vicario parroc-chiale di Altavilla Vicentina)Dall’Olmo don Lorenzo – Lerino e Marola (conservando l’incarico di vicario parrocchiale di Torri di Quartesolo)Rampazzo don Dino – Sant’Agostino in Vicenza (conservando l’incarico di vicario parrocchiale di San’Antonio ai Ferrovieri e San Giorgio in Gogna)

Amministratori parrocchialiBalbo mons. Giorgio – Cusinati di RosàCoffetti mons. Franco – Castello di San Giovanni IlarioneDal Lago mons. Giovanni – Sant’Agostino in Vicenza (in Unità Pastorale con San Giorgio e Sant’Antonio ai Ferrovieri)

Collaboratori pastoraliChiomento don Flavio – Vicariato di Bassano del GrappaFacco don Giorgio – Unità pastorale di Camisano - Rampazzo - S. MariaMartin don Secondo – Unità Pastorale “S. Bertilla” di BrendolaMussolin don Pierluigi – Unità pastorale di Camisano - Rampazzo - S. MariaPaoli don Giampietro – Cuore Immacolato di Maria in VicenzaPieri mons. Roberto – MaloRancan don Giuseppe – Unità pastorale di Camisano - Rampazzo - S. MariaSinibaldi don Raimondo – Unità pastorale di San Giorgio - Sant’Agostino - Sant’Antonio ai Ferrovieri in Vicenza

Altri incarichi:Benazzato don Marco – Studente presso la Facoltà di Filosofia della Ponti-ficia Università Gregoriana a RomaDinello don Alberto – Educatore del Seminario MinorePaoli don Giampietro – Insegnante di religione cattolica nella scuola stataleTamiozzo mons. Giandomenico – Assistente diocesano dell’Apostolato della preghiera

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B. ALTRE NOMINE IN DATA 3 OTTOBRE 2011

Assegnazione preti novelliLuisotto don Luca – Vicario parrocchiale di San Giuseppe di Cassola (prot. gen. 365/2011)Lupato don Andrea – Vicario parrocchiale di Sandrigo (prot. gen. 366/2011)Pilati don Alex Elia – Vicario parrocchiale di Rosà (prot. gen. 367/2011)

Altre nomineDal Pozzolo don Alessio – Incaricato della pastorale universitaria (prot. gen. 369/2011)Marini don Domenico – Vicario parrocchiale dell’Unità pastorale “Valli Beriche” (Arcugnano, Fimon, Lapio, Perarolo, Pianezze, Torri di Arcugna-no, Villabalzana) (prot. gen. 368/2011)

Casa VescovileSi informa che le funzioni di Segretario del Vescovo continuano ad essere svolte da mons. Massimo Pozzer.Mons. Fabio Sottoriva, Parroco di San Pietro in Vicenza, conserva l’ufficio di Maestro delle celebrazioni liturgiche vescovili e di Vicedirettore dell’Uffi-cio Liturgico.

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DECRETO SULLA REMISSIONE DELLA SCOMUNICA RELATIVA ALL’ABORTO PROCURATO

Prot. Gen. 315/2011

Desiderando proseguire la prassi seguita dai miei predecessori mons. Pietro Giacomo Nonis e Mons. Cesare Nosiglia, al fine di dare un segno della sollecitudine materna della Chiesa, che sia allo stesso tempo un invito alla penitenza e alla riconciliazione,

anche per l’anno liturgico 2011-2012, limitatamente ai tempi “forti” dell’anno liturgico,

CONCEDO

nell’ambito della Diocesi di Vicenza a tutti i confessori la facoltà di rimettere nell’atto della confessione sacramentale la scomunica rela-tiva all’aborto procurato (can. 1398) senza l’onere del ricorso di cui al can. 1357 § 2.

Tale concessione vale per i seguenti periodi: dal 27 novembre 2011 (Prima domenica di Avvento) all’8 gennaio 2012 (Festa del Battesimo di Gesù) e dal 22 febbraio 2012 (Mercoledì delle Ceneri) al 27 maggio 2012 (Solennità di Pentecoste).

Quanto alle condizioni e alle modalità per la remissione della scomunica si rinvia ai cann. 1323-1324; 1347 § 2; 1358.

Vicenza, dalla Curia Diocesana, 14 settembre 2011 - Festa dell’Esalta-zione della Santa Croce

+ BENIAMINO PIZZIOL, VescovoSac. PIERANTONIO PAVANELLO, Cancelliere vescovile

PROVVEDIMENTI VESCOVILI

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VITA DELLA DIOCESI

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VERBALE ASSEMBLEA DEL CLERODI GIOVEDÌ 22 SETTEMBRE 2011

La presenza del Vescovo Beniamino, nuovo pastore della nostra Diocesi, fa assumere a questa Assemblea il sapore di un nuovo inizio, comunque di una ripartenza fresca e carica di speranza.

Il Vescovo ha esordito invitando i preti a vivere bene il proprio ministero presbiterale, con gioia, senza ansia o preoccupazioni continue. Ha molto insi-stito sulla necessità di vivere una vita bella, coltivando le pratiche di pietà ordinarie per noi preti: l’eucarestia, il breviario, il rosario, i ritiri mensili, gli esercizi spirituali annuali (a questo proposito ha annunciato che lui stesso parteciperà ad un corso di esercizi a Villa San Carlo nel gennaio 2012). Ha raccomandato di prendersi del tempo per il riposo e per le ferie.

Ha poi invitato i presbiteri a non affannarsi troppo nella vita e nelle ini-ziative pastorali.

Il Vescovo Beniamino in questa Assemblea dice di voler condividere con noi sacerdoti una sua proposta per l’anno pastorale, in linea con il Secondo Convegno delle Chiese del Triveneto ad Aquileia, in programma l’anno prossimo, e sullo sfondo del piano pastorale della CEI per i prossimi dieci anni. Desidera sentire il nostro parere, condividere con noi quanto ha assaporato in questi primi mesi, ascoltare le nostre osservazioni.

Ha introdotto i lavori sottolineando, in primo luogo, l’importanza simbo-

lica del convenire ad Aquileia, e non soltanto perché da essa l’annuncio del Vangelo si è irradiato in tutte le regioni circostanti, ma anche perché ancora oggi è il segno di uno snodo di culture e di civiltà nelle quali ci troviamo immersi.

ASSEMBLEA DEL CLERO

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Il primo Convegno (1990) ha segnato profondamente la vita delle nostre comunità, che si sono interrogate sulle trasformazioni, che stavano innovan-do profondamente la vita del territorio, per cercare le vie più adatte per una nuova e più incisiva evangelizzazione.

Da quell’incontro sono nate tre iniziative comuni che ancor oggi accom-pagnano il cammino delle nostre Chiese: 1. Le commissioni regionali che raggruppano e coordinano i lavori dei

diversi Uffici pastorali.2. La missione in Thailandia.3. Telechiara…

Prima ancora di un espediente pastorale il convenire è un segno ed uno strumento di comunione, un passo verso quel volto di Chiesa che sa manife-stare nelle scelte, prima ancora che nelle parole, la sua origine e la sua casa: la Trinità, mistero di comunione.

Mons. Beniamino è quindi passato ad illustrare le tre tracce predisposte dal Comitato preparatorio, sottolineandone l’importanza per la vita pasto-rale delle nostre Chiese.

1. “Una nuova evangelizzazione per il Nordest”

In questa prima traccia si propone di operare un discernimento circa l’obiettivo fondamentale del «convenire ecclesiale» ad Aquileia: individua-re modalità ed eventualmente iniziative pastorali di collaborazione tra le nostre Chiese, per annunciare e far incontrare Gesù Cristo oggi, per educa-re all’esperienza di fede nel nostro contesto, per testimoniare «la vita buona del Vangelo» in questo territorio.

Oggi nelle Chiese del Nordest si coglie il desiderio di essere presenti sul territorio con la freschezza dell’annuncio, consapevoli che di esso c’è più bisogno che mai nell’attuale situazione di frammentazione. Sta maturan-do nelle comunità ecclesiali un più motivato desiderio di abitare in modo «evangelico» il territorio.

Le comunità sentono il bisogno di rinnovare l’evangelizzazione, a motivo della ridotta incisività, nel mondo di oggi, dei messaggi, simboli ed eventi cristiani.

Il Papa, parlando ad Aquileia ai delegati delle Diocesi del Triveneto, ha richiamato le risorse di cui sono portatrici le Chiese del Triveneto per una nuova evangelizzazione.

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2. “In dialogo con la cultura del nostro tempo”

In questa seconda scheda è proposto un discernimento comunitario intorno al dialogo che le nostre Chiese sono chiamate a stabilire con la cul-tura del nostro tempo. Questo dialogo è sentito come un compito urgente. Il Nordest è un crocevia di popoli. Le nostre Chiese perciò sono chiamate a stabilire un rapporto di accoglienza, di ascolto e di dialogo con tutti i popoli che attraversano questo territorio e che vi abitano.

È segnalata l’esigenza di un rapporto nuovo, non scontato, non univoco, non deduttivo... con la complessità della realtà in cui si è inseriti e con cui ci si rapporta: il metodo del «discernimento comunitario» (già lanciato nel 3° Convegno ecclesiale nazionale di Palermo).

Le nostre Chiese devono essere capaci di stare e di dialogare con la realtà pluralistica (ivi compreso il pluralismo religioso), in cui si trovano a vivere.

In questo contesto devono saper accogliere e comprendere anche il fenomeno complesso e ormai strutturale dell’immigrazione.

Il rapporto con il territorio e con quanto di vivo rappresenta, è percepito da tutte le Chiese, segnalato come necessario, prospettato come impegno che le parrocchie dovrebbero assumere con più decisione, più estesamente e sapendo «mettersi in rete», in uno stile di rispetto, di onesto contributo al bene comune.

3. “A servizio del Bene Comune”

In questa terza traccia è proposto di fare discernimento sul ruolo che hanno le nostre Chiese nella promozione del bene comune, ossia «il bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo» e, soprattutto, quali sono gli ambiti della vita pubblica che attendono con maggiore urgenza la collaborazione delle nostre comunità ecclesiali.

Le testimonianze delle Chiese del Nordest hanno richiamato le mol-teplici esperienze di comunione e di collaborazione vissute dalle nostre comunità cristiane per la promozione del bene comune e l’urgenza di tene-re vivo questo impegno di collaborazione e di solidarietà con le istituzioni pubbliche.

Mons. Beniamino ha quindi illustrato le motivazioni di un secondo Convegno delle Chiese del Nordest e il tema e gli obiettivi di Aquileia 2.

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Le motivazioniLa scelta compiuta dall’Episcopato Triveneto di convocare ad Aquileia

nel 2012 le 15 chiese del Nordest è accompagnata da alcune motivazioni che rappresentano realizzazioni, difficoltà, attese, prospettive a partire dalle quali costruire tale evento ecclesiale.a. Il Convegno delle Diocesi del Nordest è un “convenire sinodale”: attra-

verso il quale lo Spirito parla alle Chiese.b. Questo Convegno ecclesiale permette alle Chiese del Nordest di condi-

videre le esperienze ecclesiali e pastorali in atto in ciascuna di esse, per un arricchimento reciproco.

c. Tale “convenire sinodale” aiuta le Chiese del Nordest a discernere con gli occhi della fede le profonde trasformazioni in atto e le nuove sfide emerse nel territorio in questi ultimi 20 anni.

d. Il Convegno intende aiutare le Chiese del Nordest ad affrontare insie-me soprattutto alcune sfide che travalicano i confini delle singole Dio-cesi e che possono essere affrontate con un metodo pastorale di “sino-dalità”.

Tre parole risultano particolarmente significative per esplicitare che cosa sarà il Convegno ecclesiale del Nordest:�� testimonianza da rendere attraverso la “narrazione” condivisa del vis-

suto delle nostre Diocesi nel ventennio trascorso, riconoscendovi la pre-senza e l’azione dello Spirito;

�� discernimento comunitario con cui cogliere e riconoscere ciò che lo Spi-rito dice alla Chiesa, chiamata a rendere ragione della propria speranza (cfr. 1Pt 3,15) nella complessità di questo nostro tempo tra le sfide, le difficoltà, le domande, i cambiamenti socio-culturali;

��� profezia delle “cose nuove” a cui lo Spirito apre le nostre Chiese che già vivono i cambiamenti in atto nel territorio del Nordest.

Il tema e gli obiettivi di Aquileia 2La formulazione del tema del Convegno Aquileia 2 deve evitare il peri-

colo di sovrapporre tematiche a quelle già assunte nei per corsi pastorali di ogni singola Diocesi, negli orientamenti pastorali decennali per le Chiese in Italia o nell’indizione di anni speciali a livello di Chiesa universale.

Le motivazioni per cui i Vescovi delle Chiese del Trive neto hanno scelto di celebrare un secondo Convegno ec clesiale fanno riferimento ad Apoca-lisse 2-3 dove si narra la visione in cui Giovanni è invitato a mettere per iscritto «ciò che lo Spirito dice alle Chiese». A ciascuna delle sette Chiese è detto: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap

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2,7a.11a.17a.29; 3,6.13.22). Questo stesso invito anima la preparazione del secondo Convegno ecclesiale del Nordest:

In ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese.Testimonianza, discernimento e profezia rappresenta no dinamica-

mente gli obiettivi verso cui orientare la pre parazione e la celebrazione di Aquileia 2.

Tali obiettivi si riferiscono alla vita delle nostre Chiese, che costituisce il contenuto reale del Convegno. Per que sto è importante che sia “narra-to” il vissuto ecclesiale da riconoscere nel suo valore di testimonianza e operando vi quel discernimento che permetta alle nostre comunità cristiane di aprirsi profeticamente al futuro di questo territorio.

Lasciandosi condurre dallo Spirito, le Chiese del Nordest intendono chiedersi come sia possibile annunciare an cora Gesù Cristo oggi, in questo contesto, con i cambia menti sopravvenuti.

Il cammino di discernimento e di narrazione della vi ta di fede delle nostre comunità cristiane, che preparerà Aquileia 2, è in sintonia anche con il cam-mino pastorale decennale della Chiesa italiana, dedicato al tema dell’edu-cazione. Anche questi orientamenti pastorali naziona li prevedono un tempo di discernimento e di verifica di quanto le comunità stanno già facendo.

Questi aspetti, conclude il Vescovo, non sono certamente nuovi, ma nelle trasformazioni in cui siamo immersi chiedono risposte nuove.

Si tratta, perciò, di arrivare ad intuire e condividere proposte sulle quali incamminarci assieme per costruire il futuro della comunità cristiana nelle nostre regioni.

Per questo ha chiesto a tutti (vicariati, parrocchie, comunità religiose, associazioni…) di portare il proprio contributo. Nulla verrà perduto ma contribuirà a formulare quanto la nostra Diocesi farà pervenire alla segre-teria del Convegno e condividerà con le altre Chiese nel Convegno stesso.

Il breve dibattito libero ha sottolineato, nella maggioranza degli inter-venti, la gratitudine al nuovo Vescovo per il suo stile semplice e comprensi-vo della vita difficile dei preti in questo momento storico e culturale.

Si è apprezzato moltissimo il suo insistere sulla valorizzazione della pastorale ordinaria e il suo invito a vivere una vita bella e non piena di angustie e di stress.

I sacerdoti intervenuti nel dibattito, a ruota libera, hanno sottolineato vari aspetti della vita personale del prete e dell’impegno pastorale:

Si è chiesto il pensiero del Vescovo circa lo spinoso problema economico

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delle scuole materne parrocchiali; il Vescovo ha indicato di fare varie inizia-tive parrocchiali, per poterle sostenere almeno per il prossimo anno.

Alcuni hanno parlato delle “tensioni pastorali”. Si chiede al vescovo e ai responsabili diocesani di difendere i parroci dalle pressioni dei gruppi. Qualcuno sottolinea la complessità crescente delle attese pastorali. È poi necessario e indispensabile “dire il Vangelo nel mondo laico”; ci sono non credenti con i quali ci si confronta a partire dalla vita concreta, non da Gesù Cristo. Si è poi sottolineato che oggi la “forma ecclesiale” è identificata e giudicata a partire dai comportamenti della gerarchia.

Altri interventi hanno sottolineato la “complessità” della vita del prete.È la fede che nella vita personale e negli impegni pastorali dei presbiteri

deve essere sostenuta, presentata e testimoniata. Bisogna poi che i presbi-teri a livello personale curino la qualità della propria vita, ricercando il più possibile la vita fraterna. Oggi poi, non possiamo fare a meno di formare e curare collaboratori laici corresponsabili.

Altri interventi hanno sottolineato la necessità di riprendere alcune questioni delicate e importanti riguardanti la vita del presbiterio: le dimis-sioni al compimento dei 75 anni; rapporto preti diocesani e Movimenti ecclesiali.

Mons. Vescovo ha concluso raccomandando di curare molto la nostra vita spirituale di presbiteri, la fedeltà alla preghiera personale, di non sentirci funzionari del sacro e di avere molto rispetto del riposo, del sonno e del cibo.

Con la preghiera dell’Angelus l’Assemblea è terminata alle ore 12.15.

MONS. RENATO DOVIGO

Segretario del Consiglio Presbiterale

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CONSIGLIO PASTORALE

VERBALE DEI CONSIGLI PASTORALI DIOCESANI DEL 3 OTTOBRE, DEL 14 NOVEMBRE E DEL 5 DICEMBRE 2011

Nell’incontro del 3 ottobre 2011 il Vescovo, dopo aver riconfermato nel suo incarico il Consiglio uscente, ha chiesto di lavorare attorno alle tracce predisposte dal Comitato preparatorio del Convegno di Aquileia, al fine di offrire il contributo della nostra Diocesi al cammino comune delle Chiese della Regione Triveneta.

Per rispondere a questa richiesta il Consiglio si è riunito nelle serate del 14 novembre e del 5 dicembre suddividendosi in tre gruppi di lavoro, cia-scuno dei quali ha preso in considerazione una delle tracce proposte: “Una nuova evangelizzazione del Nord Est; In dialogo con la cultura del nostro tempo; A servizio del bene comune”.

Si è cercato di rispondere in particolare a due questioni sulle quali il Comitato preparatorio aveva invitato a riflettere: quali sono le sfide che si presentano oggi alle nostre Chiese e quali proposte possiamo avanzare per un cammino comune.

Le due serate hanno visto una buona partecipazione dei componenti del Consiglio e, soprattutto, il desiderio di contribuire ad una ricerca sentita come particolarmente importante ed urgente per le nostre realtà ecclesiali.

La SegretariaSUOR CARLA GIACOMETTI

ATTIVITÀ DEI CONSIGLI DIOCESANI

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CONSIGLIO PRESBITERALE

VERBALE DEL CONSIGLIO PRESBITERALEDEL 13 OTTOBRE 2011

Il Consiglio Presbiterale si è riunito giovedì 13 ottobre alle ore 9 a Villa San Carlo con il seguente ordine del giorno:– Ora media – Prima impressione del Vescovo sul presbiterio e la diocesi– Dibattito libero sui nodi e le cose positive della Diocesi che possono coin-

volgere il Consiglio Presbiterale– Varie ed eventuali.

Assenti giustificati: L. Bordignon, G.B. Borsato, D. Castagna, F. Cunial, P. Facchin, P. Marchetto, V. Montagna, L. Mozzo, G. Parolin, A. Peruffo, A. Villanova.

Ha introdotto i lavori mons. Vescovo (al suo primo incontro con il Con-siglio Presbiterale), sottolineando come ogni incontro tra preti sia un fatto di comunione e motivo di grazia; nessuna riunione è inutile perché lo Spirito ha sempre qualcosa da dire attraverso i fratelli.

Constatando che per vari motivi il numero di persone assenti è elevato il Vescovo ha ricordato che l’incontro del Consiglio Presbiterale deve avere priorità sugli altri incontri pastorali. Chi manca impoverisce il Consiglio Presbiterale.

Ha poi ricordato che non bisogna sostituire l’ecclesiologia di comunione con l’ecclesiologia di organizzazione; quest’ultima può creare stanchezza. Noi dobbiamo testimoniare la “gioia” della comunione. È necessario avere una “riserva escatologica” per trasformare in positivo anche momenti nega-tivi della nostra pastorale.

*****

Mons. Vescovo è quindi passato ad esporre le sue “prime impressioni” sul presbiterio e la diocesi.

Sono prime perché fra qualche mese potrebbero modificarsi e poi, afferma mons. Beniamino, la guida del Vescovo non può essere isolata per-

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ché egli deve guidare attraverso il consenso che si ottiene con un cammino sinodale. Dai primi contatti si sente comunque di affermare che la Chiesa vicentina è feconda e generosa. Il Vescovo ha toccato sette “dimensioni” della chiesa diocesana.

1. Dimensione missionariaÈ nel DNA della nostra Diocesi. I numeri sono significativi: 12 preti “fidei

donum”, 900 missionari sparsi nel mondo, 8 Vescovi missionari. È importante non perdere questa dimensione. In questo momento di calo dei presbiteri, è giusto fare uno sbarramento di almeno 10 presbiteri “fidei donum”?

2. Dimensione marianaIn questi mesi è già stato 7/8 volte alla basilica di Monte Berico, che è

l’emblema della devozione mariana della nostra gente. Anche nei contatti con le realtà parrocchiali ha trovato una devozione mariana bella.

Questa devozione va curata per non scadere nel devozionismo.

3. Dimensione vocazionaleLa nostra è una delle poche diocesi che ha il Seminario Minore. C’è

poi tutta una serie di organismi e iniziative vocazionali molto interessanti: Sichem Myriam, Ora decima, Mandorlo… e naturalmente il Seminario Teo-logico.

Questa dimensione vocazionale deve essere avvertita con maggior coraggio dai preti e dalle comunità parrocchiali. I preti devono avere l’“oc-chio carismatico” per cogliere, suscitare e provocare vocazioni, anche al Diaconato permanente e agli istituti secolari.

In questo settore ci sono stanchezza e paura di violare la privacy nel fare proposte. Bisogna insistere di più; manca la capillarità della proposta.

4. Dimensione formativaLa formazione in senso teologico e spirituale è ben curata. È ancora forte l’eco dell’esperienza spirituale del Sinodo diocesano.

Sono molto interessanti i numeri di iniziative in ambito formativo: sette scuole di Formazione Teologica, Istituto di Scienze religiose, Festival Bibli-co, Università degli Anziani con 6/7mila iscritti, Comunità educante del Seminario…

5. Dimensione caritativaAbbiamo una Caritas super organizzata ed estremamente attenta a

tutte le nuove povertà, fino ad arrivare alle Caritas parrocchiali come

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momento di comunione di varie realtà caritative che rispettano i singoli carismi. Questa esperienza di carità è presente in tutte le parrocchie e tutte si fanno carico delle fragilità presenti nel territorio. Il passaggio dalla carità come emergenza alla individuazione delle cause, non sempre è facile. Qui entra in gioco la testimonianza come quarta dimensione (dopo Parola, Sacramenti, Carità).

Bisogna entrare nel sociale: famiglia, scuola, volontariato, società sportive… Il cristiano compiuto non può non tener conto della testimo-nianza. Anche i sacerdoti devono impegnarsi nel sociale, evitando le inge-renze politiche.

6. Impegno pastoraleQui i preti sono in prima linea. Il Vescovo ha riscontrato nei preti incon-

trati personalmente una fortissima passione pastorale. È la nostra passione di presbiteri, nella duplice accezione di amore e sofferenza. Dal suo punto di vista mons. Beniamino afferma che i preti del Veneto “lavorano troppo”, esponendosi a esaurimenti e delusione per l’indifferenza mostrata dalla gente. Il Consiglio Presbiterale dovrebbe aiutare a semplificare ed essen-zializzare la vita dei presbiteri. Ha la percezione oggettiva di non poche realtà di solitudine dentro la vita del presbiterio; ci sono preti con difficoltà fisiche, affettive, psicologiche… Qui c’è un “allarme” serio e tutti dobbiamo collaborare per affrontare questo problema, mai mettendoci al balcone per giudicare l’altro, ma mettendo in causa noi stessi.

7. Dimensione spirituale e formativa personale del presbiteroIl Vescovo trova “appannata” questa dimensione. Ai cresimandi si dice

di restare legati alla comunità altrimenti si è come alberi senza radici. È ancora attuale l’antica espressione “serba ordinem et ordo sevabit te”. Mons. Beniamino sottolinea l’importanza degli Esercizi Spirituali per i pre-sbiteri; a gennaio parteciperà anche lui ad un corso di Esercizi programma-to per i presbiteri a Villa San Carlo. Raccomanda inoltre i Ritiri spirituali mensili, recuperando il valore del silenzio.

*****

All’intervento del Vescovo è seguito un interessante dibattito libero sui nodi e le prospettive che possono coinvolgere il Consiglio Presbiterale.

Negli interventi c’è stata unanimità di ringraziamenti al Vescovo per la semplicità, la schiettezza e il calore umano delle sue riflessioni; interessanti e sostanziosi i contributi offerti dai membri del Consiglio.

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� Riprendendo l’imput del vescovo sul troppo lavoro dei preti è stato suggerito di scegliere insieme che cosa dobbiamo fare e che cosa non dob-biamo fare; questo discernimento dovrebbe essere fatto in collaborazione con il centro Diocesano, ma anche chiarendoci con noi stessi, le nostre comunità e i nostri collaboratori. Qualcuno dice che su questo argomento è importante “volare basso” e che la strada da percorrere è chiara, basta che noi preti non vogliamo essere sempre al centro di tutte le attività pasto-rali. Ecco il ragionamento: le nostre attività sono divise in quatto tempi (amministrazione dei beni, carità, catechesi, liturgia) che dobbiamo vivere e condividere con i laici. Questi possono fare tutto nell’amministrazione, nella catechesi e nella carità, e molto nella liturgia e nella preghiera. Dobbiamo imboccare questa strada e creare uno “zoccolo duro” nelle nostre comunità.

Il Consiglio Presbiterale nella sessione del maggio 2010 ha trattato questo argomento dello stress dei preti riflettendo su una inchiesta fatta dall’Osservatorio Socio-Religioso del Triveneto e presentata in quella sede dal prof. Castegnaro; sarebbe importante rispolverare le riflessioni fatte in quella sede su questo argomento.

Si chiede inoltre che ci sia un presbitero nominato dal Vescovo che si faccia “prossimo per i confratelli”.

� Una serie di interventi ha sottolineato l’utilità di dare più spazio alla dimensione missionaria delle Diocesi e della pastorale. Questa ci libera da tanti stress, ridimensiona la figura del prete, potrebbe essere sperimentata anche nelle nostre Unità Pastorali. Qualche prete fidei donum rientrato in Diocesi lamenta la scarsa valorizzazione delle esperienze dei nostri preti missionari. Si sottolinea inoltre l’importanza delle “piccole comunità” nelle quali l’incontro diventa prioritario. In terra di missione la pastorale ordi-naria si basa su questa scelta; potrebbe essere una opportunità anche per la nostra pastorale. Benedetto XVI a Friburgo, nel suo ultimo viaggio in Germania, ha sottolineato l’importanza di vivere la fede in piccole comunità.

Il discorso delle piccole comunità intriga molto anche nella formazione dei Seminaristi, perché finora la pastorale vocazionale è delegata ad alcuni esperti, perché non ci sono preti disponibili per l’accompagnamento vocazio-nale nelle parrocchie.

� Altri interessanti interventi hanno sottolineato l’importanza della col-laborazione.

Spesso se nei preti c’è frustrazione o delusione è perché manca il con-fronto con le persone con cui si collabora; e se a volte il confronto c’è nelle nostre congreghe, è un po’ sterile perché non si arriva quasi mai a scelte

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concrete. Ci troviamo dentro una realtà che sta velocemente cambiando, ma ci sono anche forme di “fuga” dalla pastorale che si manifestano in forme negative di collaborazione: il vivere perennemente in scontro con la comu-nità, il fatto che il nostro arrivo in una nuova comunità ci porta a giudicare tutto errato quello che ha fatto il predecessore, e poi il non tener conto di un cammino diocesano.

Qualcuno ha sottolineato come sia venuta meno la “dimensione affettiva tra preti”: movimenti e classi di ordinazione possono essere strumenti validi per questo.

Bisogna essere “pastori” dentro la comunità; anzi il presbiterio deve diventare una “comunità di Pastori”.

In questo contesto viene sottolineata l’importanza del Vicariato: a livel-lo locale sarebbe utile un ruolo riconosciuto ed effettivo del Vicario. Viene ripreso anche il discorso dei Collaboratori del Vescovo, che dovrebbero avere maggior autorità soprattutto quando dai principi e dai discorsi si deve passare a livello operativo.

� Vari interventi hanno toccato la dimensione della spiritualità. È stato detto che l’aspetto dei “doni diocesani” presentato dal Vescovo

è bello, ma la spiritualità è veramente carente. Si ricorda la grande rifles-sione che papa Benedetto XVI sta portando avanti sulla essenzializzazione della fede e dall’altra parte la contro testimonianza dei cristiani, causa del grande abbandono della fede nel nostro tempo.

In questo contesto si è anche parlato dei preti che abbandonano il mini-stero. Si riferisce che gli interessati hanno detto che le cause dell’abbandono sono dovute alla mancanza di una dimensione spirituale robusta, alla man-canza di un confratello amico e alla mancanza di un “vero presbiterio”. È quindi da rivedere lo stile di vita di noi presbiteri.

� Qualche intervento ha sottolineato l’importanza delle comunità pre-sbiterali.

È un discorso ancora in sospeso e poi guardando la nostra realtà dioce-sana dobbiamo esercitare tanta misericordia! Questo è un problema di cor-responsabilità e di educazione alla corresponsabilità. Richiede tempo e non è un fatto scontato. Sembra che la corresponsabilità sia uno dei punti più carenti nella nostra pastorale. Inoltre c’è la necessità di un forte riequilibrio nella spartizione delle risorse all’interno della Diocesi pensando a priorità e gerarchie nelle scelte. Si ricorda inoltre l’importanza dell’accompagnamen-to personale delle persone delle nostre comunità.

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� Si è poi ricordato che da molti anni non si mette a tema in Consiglio Presbiterale la questione della spiritualità mariana. Nella prassi di tanta nostra gente si è staccata Maria da Gesù. È importante approfondire il rap-porto tra Maria e la Chiesa perché spesso si sostituiscono “vari messaggi” con il Vangelo stesso. È necessario avere in Diocesi un punto di riferimento autorevole.

� Infine si è voluto ricordare che è necessario avere una particola-re sensibilità alla realtà sociale. La nostra Diocesi ha vissuto male tutto l’evento riguardate l’aeroporto Dal Molin. Si è fatta la Missione cittadina senza sfiorare mai l’argomento. Bisogna superare la preoccupazione di essere corretti ed equilibrati, per essere invece “giusti”. Nella nostra pasto-rale c’è confusione totale sui temi sociali.

Mons. Vescovo ha concluso l’incontro ricordando che prima di tutto c’è la conversione personale: noi preti dobbiamo finirla di ritenerci l’ombelico del mondo: il mondo è già stato salvato da Cristo e noi non siamo salvatori ma suoi collaboratori. Dobbiamo vivere rispettando una sana ecologia spiri-tuale, dando il primato alla preghiera, all’Eucarestia e alla Parola di Dio.

La seduta è stata tolta alle ore 12.

MONS. RENATO DOVIGO

Segretario del Consiglio Presbiterale

VERBALE DEL CONSIGLIO PRESBITERALEDEL 15 DICEMBRE 2011

Il Consiglio Presbiterale si è riunito giovedì 15 dicembre alle ore 9 a Villa San Carlo con il seguente tema all’ordine del giorno:

“La formazione e la vita spirituale del presbitero sono adeguate alle complesse situazioni umane e pastorali in cui si attua il ministero?”.

ore 9.15 inizio con preghiera di Ora Mediaore 9.30 Saluto del Vescovo Beniamino A seguire intervento del Moderatore e del Vicario Generale che

riproporranno una sintesi di quanto si è già riflettuto in diocesi in

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merito all’argomento (don Carlo Guidolin) e un tentativo di lettu-ra delle problematiche che emergono dall’esperienza di accosta-mento dei preti (don Lodovico Furian)

ore 10.30 Pausaore 11.00 Ripresa e discussioneore 12.30 Pranzoore 15.00 Confronto per individuare i NODI da affrontare circa la forma-

zione e la vita spirituale del presbitero (don Luciano Bordignon).ore 16.30 Comunicazioni conclusive del Vescovoore 17.00 Conclusione

Ha esordito mons. Vescovo ricordando che il Consiglio Presbiterale è strumento di comunione del presbiterio e quindi è un atto di grande respon-sabilità.

I lavori sono continuati con gli interventi, qui di seguito riportati, di tre relatori: don Carlo Guidolin, mons. Lodovico Furian e mons. Luciano Bordignon.

Sintesi di alcuni contributi circa le “complesse situazioni umane e pastorali in cui si attua il ministero”Intervento di don Carlo Guidolin

Fonti prese in considerazione nei punti 1 e 2– 25° Sinodo Diocesano 1984-87: Documento conclusivo.– “La Santificazione del Presbiterio nell’esercizio del suo ministero” -

Riflessione del Vescovo Cesare Nosiglia nella Giornata di Santificazione del Clero - 8 giugno 2004

– “Gestire la crisi o progettare insieme il futuro?”- Relazione di mons. Luciano Bordignon all’Assemblea del Clero del 29 settembre 2005

– “Un mestiere difficile” - Relazione del dott. A. Castegnaro sull’indagine dell’Osservatorio Socio-Religioso del Triveneto - 2008

– “In ascolto di Gesù nel Cenacolo” - Lettera del Vescovo Cesare Nosiglia ai Presbiteri della Chiesa di Vicenza - 23 maggio 2010

– “Ministero alla prova - Per una lettura sapienziale delle relazioni del prete” - articolo di E. Parolari e D. Pavone, in “La Rivista del Clero Ita-liano”, 9 settembre 2011

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PremessaParafrasando un passo della Relazione di don Luciano Bordignon, che par-

lerà più tardi, mi permetto di suggerire di leggere i seguenti contributi, non tanto come espressione di una rassegnata constatazione, ma come altrettante provocazioni a cercare con coraggio le vie e le modalità per ricomprendere il proprio ministero alla luce dei “segni di sofferenza” e dei “segni di trasformazio-ne” che lo stesso ministero sta, da molto tempo, offrendo alla nostra riflessione.

1. Il prete: un ministero in sofferenza...– Si evidenzia una insoddisfazione circa l’identità attuale del prete: il com-

pito complesso e meno gratificante di un tempo; sfasamento tra l’identità ideale e immaginata e quella che emerge dai compiti effettivi del ministero.

– È presente un forte disagio professionale (burnout), distacco emotivo dalle persone, senso di inutilità e di svuotamento di energie, ripetitività.

– Si percepisce come evidente nella vita del prete una solitudine eccle-siale, relazioni negli ambienti ecclesiali cameratesche ma umanamente poco ricche. Si configura anche come solitudine pastorale: di fronte alla complessità dei problemi, il prete sente di non poter condividere con alcuno il peso. D’altro canto si assiste ad una scarsa disponibilità alla vita comune tra preti: una solitudine ricercata.

– Il prete vive un sovraccarico di lavoro a cui risponde molto spesso con:=� � �������$����##�#�� ��������$��>��� ������ �##�#�� ��$@��$��$���[����-

cienza ma che produce distacco e spersonalizzazione.=� \ �� �]�������� ���##�#�� �>� ���� �� ������� $@�� ���� ��� � ����������

affettiva”.=� ^���$� ��� ������]����$��������$��]�������� ����������� � ������������

ai laici.=� _��]��]���������#���$������]����� ����������� ���������������]�� ���-

si cura di sé.=� _� ����� �� ]������ $@�� ������� �� ��� ������ ���� ]����� ��$������� ������$� ��

“selezionando” la realtà in base a preferenze e inclinazioni individuali (si coltivano ambiti-rifugio).

=� ������$������ ��� ���������������� ��� ����������� ��$� �� �������������evasione (creandosi un mondo parallelo, compensativo e difensivo).

=� ^� ������� ���� � � $������$������ $@�� ��� ������ `� ��� �� ��� #�� ��� � �modello di azione pastorale che, al contrario, riproduce ancora un cat-tolicesimo di massa.

=� ^� ������� �� �[���������� ���� � �� $����� ��������� ���� �$� ���>� ������“Chiesa Ufficiale” e lo sforzo che essi fanno sul campo per garantire uno stile di Chiesa-accogliente.

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2. Il prete: un ministero in trasformazione... (cenni)– Si evidenzia la fine della figura del “prete tridentino”: caratterizzata

da un rapporto “verticale” con una comunità precisa, con la quale ha un rapporto stabile e duraturo. Ne conseguiva un ministero inteso come azione individuale e non in quanto parte di un presbiterio. Non tanto per il calo numerico dei preti, quanto per una concezione “comunio-nale” della Chiesa, anche il ministero presbiterale viene ricompreso oggi, anche a livello teologico, attraverso le categorie della presidenza e della carità pastorale, dentro cioè alla trama di rapporti collegiali con i presbiteri-Vescovo e con la comunità. Agire insieme tra presbiteri, stare insieme, non è determinato perciò solo da motivi di necessità o di mag-giore efficienza, ma sgorga dalla natura sacramentale e comunionale della Chiesa stessa.

– E la questione si sposta sulle “forme” con cui esercitare collegialmente il ministero. Chi suggerisce la vita comune tra sacerdoti: toglie dall’iso-lamento, favorisce il confronto, crea relazioni fraterne e affettuose, va incontro ad aspetti pratici che possono migliorare la qualità della vita. Obiezioni: la vita comune deve essere scelta, non siamo stati educati a questo. Sembra più attuabile l’idea di partire invece dalla necessità di esercitare un ministero condiviso: progettare, confrontare, lavorare pastoralmente insieme, creerà progressivamente anche forme di vita condivisa. Abbiamo parlato di recente di “fraternità presbiterale”, non tanto e solo intesa come condizione per superare l’isolamento, ma quale modalità efficace e multiforme per vivere la realtà del presbiterio.

– Anche e soprattutto la spiritualità del prete viene toccata in profondità dal processo di trasformazione che il ministero presbiterale sta vivendo. In particolare questa dimensione fondamentale del ministero è segnata oggi dallo stile frenetico di vita del presbitero stesso: tutto è prioritario, si deve essere dappertutto e fare tutto, c’è un eccesso di iniziative, ecc. Si pone il problema della programmazione, a livello diocesano e a livello di parrocchia o di U.P.. Programmare significa: passare da una pastorale eseguita a una pensata (darsi del tempo per pensare), significa discerne-re con i presbiteri e i laici, per determinare delle priorità e attivare una vera corresponsabilità. Per una cura della spiritualità del prete, appare fondamentale recuperare come punti di riferimento, ciò che il Vaticano II disse in ordine al ministero presbiterale – e ripreso anche nel nostro Sinodo Diocesano al N. 55 – ricentrandolo attorno all’Annuncio, alla Liturgia e alla Guida della comunità.

– Il processo di “ristrutturazione pastorale” in atto nella nostra diocesi (Unità Pastorali, Gruppi Ministeriali...) conduce anche il presbitero a una

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“ristrutturazione personale”, a ridisegnare il proprio ruolo, non senza fatiche e sofferenze. La fatica più grande è quella di coinvolgere e moti-vare gli stessi presbiteri in questo cambiamento, tentando di armonizza-re le urgenze ecclesiali con le esigenze della vita umana e spirituale del presbitero. Per sostenere, infatti, la complessità di questo cambiamento, necessita che il presbitero sia capace di “rimanere dentro” le difficoltà e le tensioni della vita con una certa serenità. Questa condizione appare possibile solo a fronte di uno spazio quotidiano di intimità con se stessi, di ascolto, di riflessione e di preghiera. Se “rimanere dentro” appare il tratto decisivo della relazione di un prete diocesano, ci sono però molte-plici strategie che il prete può mettere in atto per esonerarsi da questa “missione”, per non condividere, non ascoltare, respingere le persone. Ad es.: dire o far capire di essere pieni di impegni; giocare sul fatto di essere parroco di più parrocchie e quindi di non aver tempo; porsi con le persone incutendo soggezione e, quindi, scoraggiando l’incontro; nell’approccio manifestare subito una certa selettività sui tempi e i modi trasmettendo un invito a non disturbare ulteriormente. Altre volte ci si presenta solo nei momenti ufficiali della vita della parrocchia, rendendosi praticamente “inaccessibile” alla gente. Sono tutte forme che indicano o l’incapacità o la non volontà di “rimanere dentro” alla situazione!

– Nel ministero il presbitero è chiamato anche ad una maturazione affettivo-relazionale: la densità relazionale tipica degli inizi, la dinamica del distacco sollecitata da una nuova destinazione, un lutto familiare o amicale, sono alcune esperienze che molto spesso creano un “risveglio affettivo”, presentandosi soprattutto come occasioni per una matu-razione affettiva. In una situazione caratterizzata socialmente da una “adolescenza interminabile”, l’identificazione e l’integrazione sessuale, richiedono di essere ri-considerate continuamente, attraverso l’opera di discernimento e accompagnamento.

Mie esperienze dagli incontri con i preti:situazioni, atteggiamentiIntervento di mons. Lodovico Furian

Premetto che si tratta della mia testimonianza sui confratelli pre-sbiteri, testimonianza derivante dai colloqui che ho fatto e che faccio con loro nella ordinarietà della vita e ancor di più nelle situazioni di difficoltà. Sottolineo però che l’impressione che mi formo attraverso questi incontri o attraverso riunioni e assemblee è in generale più problematica di quanto

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riscontro incontrando il presbitero nella sua casa, nella parrocchia, tra la sua gente: un uomo interiormente pieno, soddisfatto, che appartiene a..., che cammina vicino, che gode di paternità, saluta e ti presenta i figli.

Ciò che dirò vi apparirà abbastanza ovvio perché è noto prima a voi che a me.

1. Disagi e tribolazioni� Dal versante operativo il disagio non viene tanto dalle molte cose da

fare, quanto dalla difficoltà di ricondurre ad una unità essenziale, concreta e possibile le svariate proposte;

- dal divario tra l’intensità della proposta e la risposta;- l’estraneità o la difficoltà di individuare il punto di partenza o di esse-

re accolti.Il senso di inadeguatezza o di estraneità nella fascia giovanile o giova-

ne adulta causa lo spegnimento del desiderio.... fino al punto che si evita di parlarne e si curano altri settori, che danno maggiore risposta ma dentro, magari inconscia, la frustrazione rimane.

� Dal versante della pastorale ordinaria è causa di tribolazione la dif-ficoltà di sintonizzare la gente ai tagli necessari e alla evangelizzazione (ini-ziazione cristiana, percorsi ai sacramenti, percorsi differenziati). Su questo punto a volte pesa la differenza di atteggiamento di parroci vicini. Qui va forse collocato anche il nodo della continuità pastorale.

Questo per quanto riguarda le difficoltà che ci capitano addosso dall’esterno.

Dall’interno nostro, cioè da ciò che siamo nell’anima, noto (in me per primo) delle fratture che possono mandare in crisi in modo più profondo:a) la difficoltà di esercitare il ruolo della “presidenza”; allora si passa ad

una conduzione frontale/conflittuale o minimizzata. Questa difficoltà è destinata ad aumentare rispetto ad un tempo (la responsabilità data ai laici li fa entrare a pieno titolo nella fase di valutazione e di discernimen-to e inoltre aumentano, fortunatamente, il numero di laici ben attrezzati nella preparazione e nella dialettica).

b) È da collegare con la fatica della presidenza la difficoltà per qualcuno di entrare in relazione con le persone, perché ciascuno è fatto come è fatto.

Questo limite quando è pronunciato toglie il respiro a sé e agli altri, al contrario si possono aprire tutte le porte. Insomma verrebbe da dire che sembra più facile fare dei monaci che fare dei preti (da porre fra gli scogli del discernimento vocazionale).

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c) a necessità oppure la difficoltà di riconciliarci, di doverci frequentemen-te riconciliare con il lavoro e la vita di pastore. Salta fuori magari in ciascuno di noi qualche seconda vocazione. Talvolta questa è una cosa seria, una risorsa; comunque in una diocesi essa si manifesta innegabil-mente un problema per sé e per gli altri.

Il più delle volte questa “seconda vocazione” può essere un hobby, un po’ di evasione...; se ben dosata è un risparmio di medicine, altrimenti può far perdere la passione, il gusto pastorale, può estraniare (si fa quel tanto che basta, in fretta per poi trovare il proprio tempo).

2. Il diritto della medagliaCome fare per non essere sempre in crisi, la crisi che logora, per non

cominciare sempre daccapo a scavarci il sentiero? per non sentirci figli di nessuno, come qualcuno mi dice talvolta?

Come vivere anche noi preti la “bella notizia” ed avere il volto dei risor-ti? Dico cose che vivo con voi, con noi.

2.1. Dal versante dell’animaSaper impastare dentro di noi gli eventi; li ho già vissuti dentro con il

Maestro: nutriti dentro di affetto per Lui e anche di pensiero e di cultura. Avere una buona stoffa sapienziale dentro. Il gusto di ossigenarsi alla rifles-sione, alla preghiera, nel tempo per prepararsi; è anche un fatto di dignità professionale.

2.2. Appassionati dell’umanità:tirare dentro al proprio orizzonte di interessi i problemi grandi degli

uomini e della società, quelli concreti delle persone che incontriamo o che bussano, altrimenti si vedono i propri problemi sempre sotto la lente di ingrandimento e ci si ammala.

2.3 Dal versante ecclesialea) Necessità di pacificarci con i limiti concreti (numero ed età), senza

sognare dalla diocesi forze impossibili o continuare a colpevolizzarci a vicen-da: “La mucca della diocesi che non produce latte a sufficienza!”. Le misure le prendiamo noi da buoni artefici in loco senza vivere di risentimenti.

Non vuol dire tirare i remi in barca ma prendere le misure.... qui suben-tra il conflitto con la gente... e qui però dobbiamo esserci insieme tutti (io perché ho una parrocchia piccola posso...).

Non lavoro in proprio ma appartengo: un ragionare diocesano! necessità più grandi a cui commisuro la mia parrocchia.

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b) Diventare più consanguinei tra di noi, sperimentale di più ciò che circola in comune; più benevoli, più estimatori gli uni degli altri, più gelosi del fratello prete di fronte a chiunque.

- Negli incontri tra preti essere più propositivi e non buttarci giù... l’er-ba del vicino... non è vero che la nostra diocesi sia... rispetto ad altre vicine.

- Esserci negli incontri di tutti: se non ci sono faccio del male a me e al confratello.

c) fare più conto, per la nostra serenità, sulla missionarietà, essere più fiduciosi nella risorsa che viene dal fatto che non sono stato io a preferire o scegliere quel posto o, più in generale, questa situazione storica ecceziona-le; essere più avventurosi, meno preoccupati del vestito su misura giusta, dell’andare a colpo sicuro.

- trovare gusto e amore in ciò che si fa. Magari è come lavorare in trin-cea, in frontiera, ma è significativo, ma ha fascino... “un rametto di eroico”.

d) Il volto umano delle strategie pastorali (la nostalgia del vecchio par-rochetto che...).

Due postille conclusive1. Come coinvolgere i laici a “salvare”, a farsi carico, ad avere cura del pro-prio prete.2. situazioni ricorrenti che precedono le crisi forti e conclusive

- taglio con i confratelli e con un riferimento di paternità spirituale;- la preghiera personale forse saltata in gran parte, sicuramente quella

proposta con il confratello;- mettere in secondo piano l’attenzione al proprio motore interiore da

cui deve venire la soluzione (... è sempre colpa di qualche altro);- fatalismo: il mio passato è tale per cui l’unica soluzione è....

Il prete: un ministero-fonte di formazione e di spiritualitàIntervento di mons. Luciano Bordignon

In un momento di transizione da un vescovo all’altro, credo opportuna una riflessione circa l’attuale struttura della Formazione Permanente del Clero (FPC). Opportuno è anche mettersi in ascolto del clero e offrire a presbiteri (e diaconi) l’occasione per un confronto sulle proposte di FP. Non si tratta di ripartire da zero. Un cammino lungo e fecondo è stato sinora compiuto: iniziative come il percorso proposto al presbiterio, secon-do la modalità delle Settimane di Aggiornamento, la Scuola del Lunedì, i Ritiri mensili, i due Ritiri d’inizio Avvento e inizio Quaresima, hanno

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profondamente segnato l’esperienza ministeriale della nostra diocesi. Più in generale, le proposte di FPC di questi ultimi anni hanno contribuito a unire maggiormente il presbiterio, lo hanno abituato a momenti significa-tivi di riflessione e di confronto e stimolato a crescere nella spiritualità e nella fraternità.

Nel solco di questa consolidata tradizione si vorrebbe guardare al presen-te e al futuro, alla ricerca di comprendere sempre meglio, come clero dioce-sano, insieme al proprio vescovo, ciò che lo Spirito chiede in questo momento alla nostra Chiesa e ai suoi presbiteri. L’obiettivo è di giungere, con l’aiuto di tutti, alla elaborazione di una proposta di FPC per i prossimi anni. Soggetti di questa proposta di riflessione non sono soltanto i membri della Commissio-ne, ma il Consiglio presbiterale e possibilmente il Presbiterio vicariale.

Alcune convinzioni di fondoIn modo sintetico e senza pretesa di completezza vorrei richiamare alcu-

ne convinzioni di fondo che sostanziano la proposta di FPC. Esse attingono ai testi importanti del Magistero della Chiesa (Presbyterorum Ordinis e Opatatam Totius), alla Lettera apostolica “Pastores dabo vobis” e al magi-stero recente della Chiesa italiana.�� {��&�^������� �]��������������ravvivare il dono di Dio” (cfr. 2Tim 1,6)

ricevuto nell’Ordinazione sacramentale. Sì, perché, prima di essere l’as-sunzione personale e responsabile di un impegno, la FPC è la personale e attiva “corrispondenza alla grazia” del sacramento dell’Ordine, che opera lungo tutto il corso della vita di ciascun presbitero.

�� {�� &�^� �� ���� � � ��$� ��� ������� �� $��������� � [��]���� #�� ��� ��������“appartenenza” al presbiterio diocesano, in comunione con il Vescovo.

�� {��&�^����$����$�� ����������������^@����������������������� ������ � -cio del Vangelo, in un mondo sempre sottoposto a cambiamenti. Si tratta di crescere al ritmo della Chiesa, sotto l’impulso dello Spirito, nella comunione-collaborazione-corresponsabilità.

�� |������ ����������!�$@�����]��������������� �$���� ������������ ������]���di più. Quindi ha sempre una dimensione primariamente ed essenzial-mente spirituale, anche quando si incontra la dimensione culturale.Sulla base di questi convincimenti, mi pare di poter identificare sei

ambiti o aspetti della FPC sui quali concentrare la riflessione comune in vista di alcune scelte operative:

1. Dimensione spiritualeUn primo ambito di verifica e di confronto è quello della dimensione spi-

rituale. Le domande potrebbero essere le seguenti: In che modo, a nostro

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giudizio, la FPC può contribuire al cammino spirituale di ogni singolo pre-sbitero? È opportuno immaginare iniziative volte a favorire percorsi forma-tivi sotto il profilo spirituale? Come aiutare ogni presbitero a coltivare la qualità evangelica del suo ministero? Come fare perché i diversi incontri del presbiterio abbiano il carattere di una vera esperienza spirituale e non solo organizzativa?

Proposte in atto: Le proposte attualmente in atto nella nostra Chiesa locale sono le seguenti: a) I Ritiri mensili, a livello Vicariale e intervicariale; b) I due ritiri di inizio Avvento e inizio Quaresima; c) La proposta di Eserci-zi spirituali fatta da Villa S. Carlo.

2. Fraternità presbiteraleUn secondo ambito del confronto è quello della fraternità presbitera-

le. Ci chiediamo: come può la FPC favorire l’esperienza di appartenenza al Presbiterio diocesano e di fraternità al suo interno, in comunione con il Vescovo? Come contribuire a promuovere nel Presbiterio un costruttivo confronto intergenerazionale (preti giovani e preti anziani)? Come pro-muovere una maggiore condivisione di vita tra il clero, a partire dall’at-tuale situazione di un servizio pastorale sempre più gravoso, di Unità Pastorali che si vanno realizzando, di sacerdoti dimissionari ancora in salute?

Proposte in atto: Si sono rivelate preziose, in vista di una maggiore fraternità: a) Le settimane di aggiornamento al Cavallino e a Rovere. In quel contesto si è favorito anche un più concreto e costruttivo rapporto intergenerazionale; b) L’assemblea diocesana, nei suoi due momenti, si è rivelata preziosa; c) Anche i Ritiri vicariali e le Congreghe possono dare il loro modesto contributo alla fraternità presbiterale; d) L’incontro con i Preti anziani, organizzato per la prima volta a Villa S. Carlo, ha pure trovato un notevole consenso.

3. Discernimento pastoraleUn terzo ambito, particolarmente complesso e rilevante, è quello del

discernimento pastorale. Alcune domande potrebbero essere queste: Come promuovere un costante e serio discernimento pastorale favorendo la buona abitudine di pensare e di riflettere sul vissuto ecclesiale? Su quali grandi temi o questioni pastorali riteniamo che la FPC si debba concentrare nel prossimo futuro (la missionarietà, la ministerialità, promozione della corre-sponsabilità, le Unità pastorali, la problematica sociale, le questioni morali ecc)? Quale ruolo potrebbero avere, sotto questo profilo, gli incontri vicaria-li e diocesani?

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Proposte in atto: Un ruolo importante, in questi anni, l’hanno avuto: a) le settimane residenziali; b) La Scuola del Lunedì; c) Le proposte diocesane in ordine al cammino pastorale.

4. Corresponsabilità ministerialeChiamato a vivere la corresponsabilità, il nostro presbiterio è fortemen-

te sollecitato a promuovere la ministerialità e a coltivare la collaborazione tra ministri ordinati, consacrati e laici. Come aiutare i presbiteri a non chiu-dersi in un’ottica corporativa o semplicemente direttiva? Quali attenzioni, quali strumenti e momenti formativi immaginare? In quali ambiti favorire la ministerialità?

Proposte in atto: In connessione con la realizzazione delle Unità pasto-rali si stanno sviluppando i “Gruppi ministeriali”; Corsi di preparazione per una più qualificata ministerialità liturgica.

5. Aggiornamento teologicoDi fronte ai forti mutamenti culturali ed ecclesiali, appare doveroso

recuperare al vissuto ministeriale, anche l’impegno della riflessione teolo-gica e culturale. A tal riguardo quali sono i principali ostacoli e le maggiori obiezioni? Come favorire l’impegno di studio dei singoli presbiteri? Quale ruolo potrebbero avere istituzioni come il Seminario diocesano, l’ISSR, la Facoltà teologica del Triveneto? Quali proposte si potrebbero suggerire: Corsi concentrati? Momenti residenziali (tre giorni)?

Proposte in atto: L’unica proposta in atto è la Scuola del Lunedì, accan-to, si spera, all’iniziativa di ciascun presbitero.

6. Le età della vitaIl presbiterio diocesano è attraversato dalle diverse stagioni della vita:

preti giovani, preti di mezza età e preti anziani. Ci sono problemi riguardan-ti l’immissione dei giovani preti, il passaggio da parroco a presbitero col-laboratore, l’assegnare compiti anche a presbiteri dimissionari, ecc.. Quali suggerimenti ci sentiamo di dare? Quali iniziative immaginare a sostegno dei passaggi che i presbiteri sono chiamati a vivere?

ConclusioneLa FPC è anche frutto della fraternità che caratterizza un Presbiterio,

per cui l’atteggiamento nei suoi confronti non è solo quello di, giustamente, attendere, ma anche di suggerire.

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Dibattito libero

Dopo gli interventi dei tre relatori si è aperto un dibattito libero fina-lizzato a enucleare qualche “nodo” su cui lavorare insieme. Vari interventi hanno sottolineato soddisfazione per come l’argomento all’ordine del giorno è stato trattato sia nel suo “percorso” sia nei contenuti.

� Alcuni interventi hanno sottolineato la necessità che i laici delle nostre comunità si prendano cura di noi preti. Siamo persone fragili e la gente non lo capisce, vuole un prete laeder, che sia “sempre Presidente” nelle iniziative liturgiche, pastorali, amministrative e nei rapporti con le varie Istituzioni. Per vivere, il prete deve sempre “strappare” del tempo alla comunità e questo crea frustrazione e sensi di colpa. Bisogna coinvolge-re la comunità fino a toccare la sua vita pastorale (ad esempio “proteggere il giovedì” da ogni impegno in parrocchia) e responsabilizzandola anche nella “formazione” del presbitero (attenzione perché i preti possano parte-cipare all’aggiornamento, al coordinamento pastorale e alla cura della vita spirituale come ritiri ed esercizi spirituali…). È importante condividere con i laici anche la “solitudine” che noi preti viviamo in questo periodo nell’an-nuncio della “sana dottrina”, come dice Timoteo. Gli “scandali” della chiesa in questo momento storico incidono sulla nostra sensibilità. Le autorità della chiesa dovrebbero avere un modo umile di parlare di questi scandali, senza arroganza e senza sentenziare. “L’apparenza oggi non riguarda solo la ricchezza della chiesa; l’esibizione continua di “vecchiotti vestiti di rosso” o le “cappe rosse” rispolverate per i canonici all’ingresso del Vescovo non ser-vono certo per l’evangelizzazione”.

Viviamo in un contesto complesso, come la post-modernità, e allora la nostra vita di preti non può essere più semplice di quella della gente; noi siamo liberi professionisti molto particolari e abbiamo sicurezze che la gente non ha. Siamo dei garantiti fuori controllo (stipendio, casa, sicurezze…).

� Si è parlato inoltre della necessità di mettere sempre a fuoco la fede di noi preti, una priorità per la nostra Diocesi. Anche noi preti viviamo una “adolescenza” di fede interminabile. Bisogna recuperare il discorso del nostro ministero legato alla fede; siamo collaboratori dello Spirito e “seco-lari”, quindi inseriti nel mondo (“altro che battaglione candela”). Nei cambi di parrocchia è importante sentirsi mandati in missione; “dovunque andrai, Gesù e i poveri li incontrerai sempre”, diceva mons. Ancel. È necessaria la carica apostolica e la capacità di essenzializzare la nostra vita per esercitare il nostro ministero in modo vivibile.

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� Altro argomento molto dibattuto è stato quello della formazione in Seminario. Le sofferenze e i disagi dei preti, in Seminario vengono avver-titi prima. Alcuni comportamenti fanno parte di questa epoca storica, ma non è facile prevedere come questi giovani si comporteranno da preti in parrocchia. È utile avviare alcune collaborazioni con gli educatori del Semi-nario, perché attualmente non sono adeguate. I rapporti con i laici sono insufficienti: Il mondo femminile è da coinvolgere anche nel discernimento vocazionale (da preti giovani avranno a che fare con catechiste e animatrici). Sarebbe opportuno che il Vescovo istituisse una “commissione del discerni-mento” più allargata.

Dovrebbe essere finito anche il Seminario Tridentino, oltre che la figura del prete tridentino. Sarebbe da rivedere anche la collocazione della Comunità del Mandorlo; andrebbe definito il rapporto castità/celibato, per-ché certe esperienze i giovani del Mandorlo le hanno già fatte.

Qualcuno ha affermato che il Seminario dovrebbe essere come un “Noviziato”, le esperienze pastorali andrebbero fatte dopo; è da recuperare il discorso del ministero legato alla fede, al rapporto personale con Gesù. Altri però hanno chiamato in causa difficoltà riconducibili alla struttura antropologica dei seminaristi e dei presbiteri come causa delle difficoltà che don Lodovico ha illustrato (rigidità dovute al carattere, narcisismo, non appassionarsi per…). È necessario rivedere lo stile di vita del presbitero.

� È stata quindi presentata l’esperienza del tentativo di cammino unitario dei preti dell’Unità Pastorale del Centro storico di Vicenza. Sono circa tremila persone; i praticanti sono circa il 10%, quindi 300 per-sone; una realtà estremamente esigua. Si propone di ritornare allo stile della “collegiata”; parrocchie dell’attuale UP Centro Storico, San Marco, Carmini e Santa Caterina. San Pietro gravita su Araceli. Un gruppetto di preti potrebbe vivere insieme e contemporaneamente prendere a cuore il problema delle strutture parrocchiali. Questa esperienza è abbastanza facile da realizzare in città e diventerebbe esemplare per altre zone della diocesi. Le Unità Pastorali vanno tenute dove servono, poi è opportuno passare alle collegiate.

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Nella ripresa pomeridiana il vescovo Beniamino ha fatto una sintesi provvisoria degli “snodi” emersi dalle tre relazioni e dal dibattito, e che potrebbero essere il cammino del Consiglio Presbiterale.

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1. La “presidenza” liturgica e pastorale nella comunità.2. La spiritualità del prete diocesano e le spiritualità particolari. Trovare

dei criteri di discernimento. Nei colloqui personali con i preti finora ha trovato 10 spiritualità a cui i preti fanno riferimento.

3. Riconsegna del mandato a 75 anni e nuove forme di ministero pre-sbiterale. A 75 anni si danno le dimissioni “nunc pro tunc” e intanto si continua con il titolo di Parroco; con il Vescovo si discutono le sistema-zioni logistica e pastorale.

4. I presbiteri che lasciano il ministero. 5. Passaggio della guida da una parrocchia a un’altra; tra continuità e

discontinuità.6. Scelta delle priorità nella vita e nella missione della chiesa diocesana;

il piano pastorale.7. Leggere la realtà del momento storico; non solo con indagini sociologi-

che, ma con l’ausilio di un Osservatorio permanente.8. Necessità per i presbiteri di “fermarsi più a lungo”; per corsi di forma-

zione, ferie…9. Passaggio dal Seminario Tridentino ad una forma nuova.10. Vivere da presbiteri la precarietà del momento. Noi siamo garantiti

(casa, soldi, previdenze) non per chiuderci ma per aprirci agli altri.11. Utilizzo delle case canoniche, delle Unità Pastorali o senza parroco resi-

dente.12. Come i laici possono prendersi cura dei propri presbiteri. 13. L’organizzazione ecclesiastica per la guida di più parrocchie; Unità

Pastorali, Gruppi ministeriali, conduzione “sinodale”, vari stati di vita, le “Comunità pastorali”…

Il Vescovo ha infine aggiunto che con il Consiglio Presbiterale vorreb-be preparare la visita pastorale che inizierà nel settembre 2013, partendo dalle parrocchie non visitate da mons. Nosiglia.

È seguito un dibattito libero.

� La maggioranza degli interventi si è soffermata sulla “riorganizza-zione del territorio” (punto 13 del Vescovo). Non in tutte le parrocchie oggi c’è la presenza di un presbitero: Finora si sono presentate due possibilità: abolire le parrocchie e centralizzare, oppure creare Unità pastorali. Visto il trend delle ordinazioni presbiterali bisogna scegliere.

Per far questo è però necessario chiarire che visione di Chiesa abbiamo

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in testa; su questo forse è utile riprendere quando suggerito dal Sinodo Dio-cesano “Sulle strade del Regno…”.

� Quando poi si parla di riorganizzazione si deve far passare l’idea di vita comune del prete, di comunione, di qualità della vita (prete da solo, insieme ad altri, mangiare insieme…). In Seminario si parla sempre di vive-re insieme… ma l’idea non è passata.

Su questo argomento è importante tenere presente l’esperienza di altre Diocesi; per esempio la diocesi di Trento per le piccole parrocchie.

Si ricorda poi che abbiamo fatto Assemblee del Clero sulla vita comuni-taria senza aver fatto passi in avanti. Nel vivere insieme ci sono vari gradi, fino alla cassa comune.

Comunque nel territorio è indispensabile ritrovare il “gusto del quo-tidiano” e dell’umano (sensibilità di accoglienza e rispetto della gente in occasione di funerali, battesimi e matrimoni; purtroppo non siamo acco-glienti…). Si sottolinea poi l’utilità di una “regola di vita del presbitero” (v. dioc. Treviso).

� Si è ripreso anche il discorso della spiritualità del prete diocesano e dei movimenti.

La spiritualità del prete diocesano consiste nel santificarsi nel ministe-ro, legati al Vescovo, ai confratelli e ai laici. Ci sono delle pratiche suggerite dai movimenti che mi aiutano a vivere il ministero e che non mi portano fuori (revisione di vita, riunione in équipe…); altro discorso è portare in dio-cesi delle modalità pastorali… per poi fare riferimento fuori.

Forse abbiamo perso delle figure che hanno dei doni particolari e che vanno coltivati all’interno del presbiterio per sottolineare delle sfide con il mondo (preti operai, preti che seguono handicappati o esperienze di vici-nanza con le nuove povertà).

Per la nostra spiritualità abbiamo il grande confronto con la Parola di Dio, l’eucarestia quotidiana, la domenica, ritiri ed esercizi spirituali, il con-fronto con i confratelli… sono strumenti ordinari che dobbiamo valorizzare. Oggi c’è verticalità nel rapporto con Dio, ma manca il confronto con i con-fratelli.

� Uno snodo di cui non è mai parlato è la responsabilità giuridico/amministrativa del Parroco.

È utile sapere quali sono le responsabilità che da un punto di vista civile possiamo demandare ai laici, e da un punto di vista pastorale al Consiglio Pastorale e ai gruppi ministeriali.

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� È importante dare risalto ai collaboratori pastorali che non fanno parte delle équipe presbiterali. È necessario che ci formiamo a questa men-talità. Oggi non si deve parlare di stati di vita ma di ministerialità.

� Si presenta oggi come indispensabile una revisione dei Vicariati. Con il crescere delle Unità pastorali e la conseguente assunzione di ruoli tipici, i Vicariati necessitano di essere rivisti nei ruoli, e nella stessa con-formazione. È utile preparare questa ristrutturazione perché non cada in futuro sulla testa della gente. Per questo lavoro è necessario formare una équipe apposita.

Mons. Vescovo a questo punto ha chiesto ai membri del Consiglio di sce-gliere un argomento da trattare nelle prossime sessioni.

Si è deciso di affrontare il tema della riorganizzazione del territorio.

Dopo alcune comunicazioni sulle prossime visite del Vescovo ai Vicariati, la seduta è stata tolta alle ore 16.30.

MONS. RENATO DOVIGO

Segretario del Consiglio Presbiterale

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Dall’Amministratore diocesano:

Nell’anno 2011 l’Amministratore diocesano Mons. Lodovico Furian ha tenuto le seguenti ordinazioni:

In data 16 marzo nella Chiesa del Seminario vescovile in Vicenza ha con-ferito il ministero dell’accolitato a:– Baldrani Luigi, Peruzzo Francesco e Spinato Nicola, alunni del Semina-

rio diocesano:– Porcellato Stefano e Refosco Giovanni, della Diocesi di Huari (Perù).– Posligua Reyes Josè Leonis, della Diocesi di Puertoviejo (Ecuador).

In data 16 aprile nella Chiesa Cattedrale di Vicenza ha ammesso tra i candidati agli Ordini Sacri del Diaconato e del Presbiterato a Bonello Simo-ne, Lunardon Luca e Piva Fabio, alunni del Seminario diocesano.

Da Mons. Beniamino Pizziol:

Nell’anno 2011 il Vescovo diocesano Mons. Beniamino Pizziol ha tenuto le seguenti ordinazioni:

In data 1 ottobre nella Chiesa Cattedrale di Vicenza ha conferito il Sacro Ordine del Presbiterato a Luisotto Luca, Lupato Andrea e Pilati Alex Elia, alunni del Seminario diocesano.

In data 23 ottobre, nella Chiesa Cattedrale di Vicenza ha conferito il Sacro Ordine del Diaconato a Balzarin Fabio, Gasparotto Davide e Vivian Davide, alunni del Seminario diocesano e candidati al presbiterato.

In data 26 ottobre, nella Chiesa del Seminario Vescovile, ha conferito il

SACRE ORDINAZIONI TENUTE NELL’ANNO 2011

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ministero del lettorato a Bruttomesso Andrea, Casarotto Matteo, Cecchele-ro Luca, Filippozzi Manuel, Lorenzi Luca e Pincerato Riccardo, alunni del Seminario diocesano.

Nella medesima celebrazione, ha conferito il ministero dell’accolitato a Stocco Samuele, alunno del Seminario diocesano.

Da altri:

In data 15 ottobre, presso la Basilica di Monte Berico in Vicenza, mons. Bernardo Cazzaro, Arcivescovo emerito di Puerto Montt (Cile), ha conferito il Sacro Ordine del Diaconato a fra’ Mariano Maria Rigoni e fra’ Fredrick Maria Tagaba, dell’Ordine dei Servi di Maria.

In data 7 dicembre, presso la Chiesa parrocchiale di Ognissanti di Arzignano, mons. Antonio Menegazzo, Vescovo emerito della Diocesi di El-Obeid (Sudan), ha conferito il Sacro Ordine del Diaconato a Mark Opere Omol, della Diocesi di Torit (Sudan).

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COGO DON BERNARDINO

Nato a Dueville il 30 giugno 1927 fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1951. Dall’anno dell’ordinazione fino al 1977 svolse l’ufficio di mansionario nella Parrocchia di Malo fondando e assistendo il gruppo scout. Conseguì la laurea in lettere all’Università di Padova e quindi fu impegnato nella scuola parrocchiale di Malo e presso l’università “Pro Deo” a Roma. Nel 1977 si ritirò a vita privata stabilendosi per conto proprio a Montecchio Precalcino. La sua grande passione fu per lo studio, specialmente per la letteratura contemporanea. Fu un uomo molto riservato e corretto che mai venne meno al suo stato sacerdotale, assai stimato per la sua vasta cultura e per le sue doti nell’insegnamento. È deceduto in circostanze drammatiche presso la sua abitazione a Montecchio Precalcino il 14 agosto 2011.

BORSATO DON GIUSEPPE

Nato a Cartigliano il 10 aprile 1940, fu ordinato sacerdote nel paese natale il 4 luglio 1965. Fu vicario cooperatore a Valli del Pasubio, ad Ognis-santi in Arzignano e a Santa Croce di Bassano. Nel 1970 partì missionario per il Brasile ove trascorse il resto della sua vita, prestando il suo servizio prima in Diocesi di Ipamerì e poi di Luziania. La terra brasiliana divenne la sua casa dando vita a varie opere a sostegno dei poveri, dei bambini e degli anziani. Nel 2006 ottenne la escardinazione dal clero di Vicenza per essere incardinato in Diocesi di Luziania. Dopo breve e grave malattia si spense all’Ospedale di Bassano il 4 ottobre 2011.

ZAMBELLO MONS. GINO

Nato a San Pietro in Gu il 3 aprile 1924, fu ordinato sacerdote il 29 giu-

SACERDOTI DEFUNTI

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gno 1947. Fino al 1952 prestò il suo servizio presso l’Ufficio Amministrativo Diocesano. Fu quindi vicario cooperatore a San Clemente in Valdagno. Nel 1963 fu nominato parroco di Valli del Pasubio e nel 1975 fu trasferito a Piaz-zola sul Brenta. Nel 1990 fu insignito del titolo di cappellano di Sua Santità e, contemporaneamente, rinunciò all’ufficio di parroco per raggiunti limiti di età, continuando tuttavia ad esercitare il ministero come collaboratore pastorale nella Parrocchia di Paviola. Molte le opere materiali realizzate a Piazzola, ma è soprattutto ricordato per le doti di umanità, nobiltà di spirito e capacità di riconciliazione. Trascorse gli ultimi mesi di vita nella Residen-za “G. Botton” dell’Opera Immacolata Concezione a Carmignano. È dece-duto serenamente il 10 ottobre 2011.

Sacerdoti defunti dal primo gennaio al 31 dicembre 2011: otto.

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CONTRIBUTITEOLOGICO PASTORALI

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INTRODUZIONE AI LAVORIdi S. Ecc. mons. Beniamino Pizziol, Vescovo di Vicenza - 9 settembre 2011

Eminenza Reverendissima,Signor Presidente,Gentili Autorità,Signore e Signori,

prendo la parola per la prima volta in questo prestigioso Istituto “Nicolò Rezzara”, che da ben 44 anni offre la possibilità a studiosi e a privati cittadi-ni di incontrarsi per riflettere su problemi relativi alla situazione internazio-nale, ma che hanno ricadute precise, e a volte pesanti, sulla vita dei singoli paesi e dei loro cittadini.

La notorietà delle iniziative organizzate dall’Istituto di Scienze sociali “Nicolò Rezzara” di Vicenza mi è familiare, provenendo da una Diocesi vicina a quella vicentina, e ringrazio il Signore della possibilità offertami, in quanto pastore di questa Chiesa, di partecipare più da vicino al cammino dell’Istituto, condividendone alcune manifestazioni.

Il tema scelto per questa 44ª edizione del Convegno di Recoaro Terme, “Le democrazie a confronto”, è di grande attualità, perché, grazie anche ai moderni mezzi di comunicazione, è possibile constatare l’interesse che l’opinione pubblica, a diversi livelli, esprime al riguardo. Oggi, infatti, è più facile avere il polso della situazione politica, sociale, culturale, economica, in quanto esistono gli strumenti, che permettono di trasmettere informazioni e dati in tempo reale e favoriscono lo scambio con conseguente arricchi-mento reciproco. Ciò determina che l’opinione pubblica ha accresciuto l’in-teresse per le tematiche che riguardano la vita dell’uomo ed anche quando tale interesse risulta debole o sfocia nell’indifferenza, indica comunque un messaggio chiaro inviato a chi ricopre responsabilità diverse. Ne consegue che il popolo di un paese, ma la stessa popolazione mondiale, vuole sentirsi

LE DEMOCRAZIE A CONFRONTO 44° Convegno sui problemi internazionali organizzatodall’Istituto di Scienze sociali “Nicolò Rezzara” di Vicenza(Recoaro Terme, Fonti Centrali, 9-11 settembre 2011)

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coinvolto nelle scelte che influenzeranno il destino del mondo intero.Tra i vari sistemi di governo, elaborati dall’uomo nel corso della storia,

la democrazia risulta essere quello che più degli altri è attento e rispettoso della partecipazione popolare e della rappresentanza legata a coloro che, eletti dal popolo, sono chiamati ad esprimere la sua volontà. Dobbiamo riconoscere che non siamo arrivati ancora a una “democrazia compiuta”, ma prendiamo atto anche del fatto che, nel corso dei secoli, essa, a partire dagli errori e dai limiti propri, ha saputo correggersi e migliorarsi al fine di realizzare un sistema di governo nazionale ed internazionale sempre più attento alla persona, alla sua dignità, al bene comune.

Se consideriamo il titolo dato al Convegno, non possiamo tralasciare il fatto che il concetto di democrazia si declina al plurale, poiché esistono forme differenti di concezione ed esercizio del sistema democratico, alcu-ne più vicine ai principi di rappresentanza e partecipazione, altre frutto di interpretazioni meno attente e sensibili a questi principi.

La democrazia, in questo XXI secolo, deve fare i conti con situazioni nuove venutesi a creare in seguito a cambiamenti avvenuti nella storia. Penso, prima di tutto, al fenomeno della globalizzazione, che ha reso il mondo apparentemente più piccolo, sicuramente più interdipendente in relazione alle sue componenti, necessariamente più attento ai fatti che acca-dono in ogni parte del pianeta, perché non più ininfluenti o insignificanti dovunque. La globalizzazione può essere foriera di una nuova responsabilità da parte dei vari soggetti costituenti la società mondiale.

Accanto a questo fenomeno, ce n’è un altro capace di avere un peso consistente nello sviluppo della democrazia. Si tratta di quella che il card. Angelo Scola, arcivescovo eletto di Milano e già patriarca di Venezia, chia-ma la “società plurale”. Il porporato così la definisce: “La constatazione che il mondo sia 'pluralistico' e, soprattutto, che lo sia ‘sempre stato’ suggerisce soltanto l’idea che le diversità abbiano potuto e possano essere positive per una determinata società. Quando si parla di ‘società plurale’, per far riferimento alla condizione in cui versano oggi in modo particolare i Paesi euro atlantici, si dà ormai all’espressione un ben diverso e preciso peso specifico. In un certo senso tecnico. Essa, infatti, parte sì dal prendere atto della pluralità dei soggetti in campo, ma intende soprattutto indicare che questa pluralità è divenuta così rilevante e così spesso conflittuale da domandare un’inedita configurazione politica, etica, giuridica ed econo-mica dell’odierna società” (ANGELO SCOLA, Buone ragioni per la vita in comune, Milano – Mondadori – 2010, pag. 7).

Una terza realtà, al confronto con la quale la democrazia non può sot-trarsi, riguarda il mondo dell’informazione, capace oggi, grazie allo sviluppo

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delle tecnologie, di manifestare un potere spesso molto influente sulle deci-sioni da prendere a livello politico, economico, amministrativo e sociale, ma anche responsabile di valutazioni e giudizi poco rispettosi della dignità delle singole persone o di intere comunità. I cosiddetti mass media sono certa-mente un segno dello sviluppo raggiunto nella storia umana, ma incarnano anche quello che va sotto il nome di quarto potere, così ben immortalato in un famoso film del 1976 intitolato “Quinto potere” diretto da Sidney Lumet.

Questi dati, propri della nostra storia, sono imprescindibili per un cor-retto e proficuo sviluppo della democrazia, la quale possiede le risorse per offrire un contributo positivo alla soluzione dei problemi nati dalla globa-lizzazione, dalla società plurale e dalla comunicazione di massa. È necessa-rio, però, che la democrazia, per portare frutti importanti, sia preparata, promossa e non imposta, errore nel quale, forse involontariamente, si è più volte caduti, allorquando non si è tenuto in doveroso conto la storia di molti paesi, ai quali il concetto di democrazia risultava poco familiare. La tradi-zione delle democrazie occidentali, frutto di un cammino lento ed articolato, dovrebbe suggerire maggiore prudenza e rispetto per nazioni aventi tradi-zioni diverse, ma interessate ad una evoluzione in senso democratico.

Se guardiamo, ora, ai regimi democratici occidentali, dobbiamo consta-tare la loro validità nella ricerca della partecipazione popolare, della rap-presentanza scaturita dal voto a suffragio universale, della ricerca e difesa del bene comune. Dobbiamo, però, prendere atto con preoccupazione che questi nostri sistemi si caratterizzano anche per elementi di incompiutezza, che non possono essere dimenticati o considerati innocui. Una democrazia, infatti, deve favorire il massimo di possibilità al cittadino di esprimere il suo pensiero e le sue preferenze circa la rappresentatività, pur nel rispetto di regole ed istituzioni necessarie a garantire la dignità del singolo individuo e la difesa del bene comune.

Ho proposto solo alcuni spunti per una riflessione che sicuramente, in questi giorni di Convegno, troverà nei relatori che si succederanno studiosi preparati e capaci di offrire chiavi di lettura importanti per meglio com-prendere il nostro tempo. Mi auguro, comunque, che anche questo Conve-gno possa dare il suo apporto prezioso ad una riflessione e ad un cammino impegnativi e faticosi, ma necessari per aiutare la crescita, lo sviluppo, la maturazione della persona umana e della società. Questo obiettivo sta a cuore alla Chiesa, la quale “in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo”, perché “l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitamente la totalità della persona in ogni sua dimensione” (BENEDET-TO XVI, Caritas in veritate, n. 11). La Chiesa ama l’uomo, perché Dio ama

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l’uomo, e come Lui desidera che la massima espressione della creazione possa trovare la felicità vera fin da quaggiù, pur sapendo che la gioia piena si realizzerà nella vita eterna. Cercare un sistema di convivenza il più degno possibile dell’uomo è certamente un piccolo, ma importante, passo in questa direzione.

LA COMUNIONE, MODELLO CRISTIANO DI VITA SOCIALEProlusione di Sua Em.za card. Josè Saraiva Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi - 9 settembre 2011

La Chiesa come comunione

Il tema affidatomi è assai complesso sotto varie prospettive. Già la stes-sa idea di comunione nella Chiesa è qualcosa di profondo e caratterizzante. Ma qual è il contributo che la Chiesa cattolica può dare alla vita sociale, sia essa democratica o meno? La Chiesa non è una democrazia o una monar-chia, bensì una comunione che si radica nella Trinità stessa. Il tema della Chiesa-comunione ci porta allora alle origini della storia della salvezza.

Lo stesso Israele si concepisce come popolo, come assemblea, come insieme di persone che condividono fede e destino. È un popolo con una specifica vocazione tra le nazioni, caratterizzata dal particolare rapporto con Dio. Per Israele, nella storia, ciò non ha mai significato l’identificazione con un particolare modello istituzionale o politico: si è passati da una unità di tribù senza governo unico (i giudici) alla monarchia (Davide...), alla domi-nazione straniera, fino all’assenza di qualsiasi espressione politica unitaria e indipendente (la diaspora).

Era tanto forte il senso di appartenenza al popolo di Israele per cui scomparivano la responsabilità e l’identità individuale, che Ezechiele, un profeta del VI secolo a.C. (cap. 18), dovette intervenire per affermare la responsabilità individuale di fronte al male commesso, per evitare che la colpa di un delitto, compiuto da un singolo, fosse attribuita non all’individuo ma a tutta la sua famiglia. Quest’idea fortemente assembleare del vivere insieme contiene una verità affermata dalla Bibbia fin dall’inizio: la neces-sità del genere umano di concepirsi e, conseguentemente, di vivere, come individui interdipendenti l’uno dall’altro. Il racconto di Caino e Abele, col-locato proprio nei primi capitoli del Libro sacro, costituisce un paradigma di questa necessità. Il venire meno della capacità di vivere insieme conduce

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alla violenza omicida. Per la Bibbia non esiste un soggetto del tutto staccato dalla collettività. La Bibbia rivela come il vivere insieme sia la vocazione profonda e – vorrei dire – naturale dell’uomo. Eppure quant’è difficile vive-re insieme per gli uomini, le famiglie, le nazioni!

In questo contesto biblico, fin dall’inizio, Gesù costituì un gruppo di uomini e donne che lo seguivano stabilmente formando una comunità. Essere discepoli di Gesù vuole dire seguirlo insieme. Questa dimensione viene descritta come fattore essenziale delle prime comunità cristiane, soprattutto negli Atti degli apostoli. Siamo nel cuore della Chiesa nascente. Il termine koinonia, comunione, ne è l’espressione compiuta. La Chiesa si costituisce, dunque, come una koinonia di uomini e donne che ascoltano la predicazione degli apostoli e si convertono. Tale koinonia diventa comu-nanza di vita e destino comune. Gli Atti degli apostoli (2,42-47) descrivono in maniera concreta e affascinante il senso della “comunione” della prima comunità di Gerusalemme, modello di Chiesa. Tanti cristiani, in secoli diffe-renti, hanno guardato a questa pagina neotestamentaria come a un modello di comunione da realizzare. A proposito di questo, in un articolo dal titolo La Chiesa communio, Joseph Ratzinger scriveva: “In quest’unico testo (Atti 2,42) si delineano... i numerosi livelli della comunione cristiana, che ultimamente rimandano a un’unica e identica comunione; la comunione con la Parola di Dio incarnata, la quale mediante la sua morte ci rende partecipi della sua vita e ci vuole così condurre anche al servizio reciproco, alla comu-nione visibile e concreta”1.

La comunione tra gli uomini ha, dunque, un fondamento in Dio. Il gran-de esegeta belga Jacques Dupont in un celebre articolo sulla koinonia negli Atti degli apostoli, descrive la comunione in questi termini: “il fondamento dell’unità dei primi cristiani è la fede, inseparabile dalla comune speranza” (2,44-47)2. L’unità si traduce nell’unione vitale tra i membri della comunità: “La moltitudine dei credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (4-32). La koinonia richiede di essere incarnata, trasferita concretamente sul piano dei beni temporali. Scrive Menoud: “La koinonia si estende al piano dei beni materiali in virtù della solidarietà stabilita dal Vangelo tra i diversi piani in cui vive la persona. Il cristiano non conosce la barriera tra l’uomo naturale e l’uomo spirituale”.

La koinonia, dunque, non è solo qualcosa di spirituale, ideale o rituale,

1 CASALE U., Fede, ragione, verità e amore. La teologia di Joseph Ratzinger, Lindau, Torino, 2009, p. 342.

2 Cfr. L’union entre les premiers chrétiens dans les Actes des Apôtres, in «Nouvelle Étu-des sur les Actes des Apôtres», Paris, 1984, pp. 309-310.

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ma ha conseguenze concrete e visibili nella vita quotidiana. La comunione non è sentimento, ma realtà. Chi non appartiene alla comunità cristiana deve accorgersi che qualcosa di profondo e concreto lega i membri di essa: l’amore vicendevole, che si fa comunione di destino. Il libro degli Atti non punta sul distacco dai beni materiali o su un ideale di povertà. Invece, punta sulla condivisione: il fine del condividere non è diventare poveri, ma è che non ci siano più poveri nella comunità. Non esiste una comunità degna di questo nome, se gli uni vivono nell’abbondanza mentre gli altri hanno fame. La koinonia, che si radica in Dio e che si celebra nell’Eucaristia (sarebbe questo un tema di grande importanza che qui non possiamo trattare), ha un volto concreto: la solidarietà di destino tra i discepoli di Gesù. La Chiesa non è un sistema socio-politico. Nei secoli, la Chiesa ha realizzato una sua struttura giuridica per compiere la sua missione. Più di venti secoli di sto-ria, e nella storia, per tanti popoli sono una grande avventura. La Chiesa, in questa sua lunga storia, ha incontrato regimi politici tanto diversi. Oggi, la struttura della Chiesa cattolica, pur essendo cresciuta per secoli in forte vicinanza all’Occidente, non corrisponde a quella di una democrazia. Anche se, va detto, l’idea di persona, propria del messaggio cristiano (che ha scon-volto la struttura ineguale del mondo antico), è alla base dell’idea stessa di cittadino e di democrazia. Si può dire, così sostengono molti studiosi, che l’origine della democrazia ha un fondamento cristiano, proprio nell’idea di persona.

Ma la Chiesa cattolica non ha mai messo in discussione, tuttavia, l’essen-za della sua costituzione gerarchica, a differenza di altre comunità ecclesiali, soprattutto nate dalla Riforma protestante, le quali hanno spesso preferito assumere le forme istituzionali che sembravano più attuali.

Con il Concilio Vaticano II, però, avvenne una chiarificazione importan-te, che mise in luce un aspetto della Chiesa, spesso parzialmente dimentica-to: Chiesa-popolo di Dio... Nell’elaborazione della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, infatti, si discusse a lungo sulla struttura del documento. Una prima stesura proponeva un ordine del testo, che si apri-va con la “Costituzione gerarchica della Chiesa” per poi passare a parlare del popolo di Dio. Ma, in seguito ad un serrato dibattito, l’ordine del testo venne cambiato, dando la precedenza al capitolo sul popolo di Dio e, subito dopo, a quello sulla “Costituzione gerarchica della Chiesa” e, in particolare, l’episcopato, mettendo così in risalto la Chiesa come popolo di Dio.

L’espressione popolo di Dio è stata talvolta distorta. Lo sottolinea il card. Ratzinger, quando dice che “il concetto di popolo di Dio... fu compreso con l’uso della parola marxista di ‘popolo’ come contrapposizione alle classi dominanti e, più in generale, ancora più ampiamente nel senso della sovra-

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nità del popolo, che ora, finalmente, sarebbe da applicare anche alla Chiesa. Ciò, a sua volta, diede occasione ad ampi dibattiti al riguardo”3. Una cosa, però, è sicura. Sottolineando l’aspetto della Chiesa come popolo di Dio, il Concilio non opera un adattamento di essa ai sistemi socio-politici; si limita a riaffermare una dimensione profonda della coscienza della Chiesa – quella comunionale – che ha le sue radici nella Bibbia, nella predicazione di Gesù e degli apostoli e nella teologia dei Padri. Tale adattamento non avvenne, ne avverrà mai, non perché la Chiesa disprezza, ad esempio, la democrazia (ne riconosce pubblicamente il valore), ma perché altre sono la sua natura e la sua vocazione rispetto alla società politica... Esso è stato sempre, ed è, popolo di Dio, è comunione tra uomini e donne uniti nell’amore e nella comune missione di vivere ed annunciare la Parola di Dio. Lo si vede anche nella vita quotidiana: quella delle comunità parrocchiali, quella delle comu-nità religiose maschili e femminili, quella dei movimenti dei laici. Tutte que-ste realtà vivono la comunione, perché la sentono e la ricevono come pre-zioso dono di Dio. La realtà della vita della Chiesa è comunione, comunione con Dio, comunione tra gli uomini e le donne che si legano nell’amore e nella comune missione. È una comunione che non coincide con la società civile o con le istituzioni, cui spesso è alternativa ed esemplare. I membri della Chiesa sono chiamati già da Gesù e poi dal Nuovo Testamento, a sottomet-tersi alle differenti espressioni di governo, ma la comunione che essi vivono ha un valore profetico, non politico. Il famoso testo della Lettera a Diogneto descrive efficacemente la posizione dei cristiani nel mondo, evidenziandone l’appartenenza, non l’estraneità, ma anche la diversità: “I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie. Né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filoso-fica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un modo di vita sociale mirabile e indubbiamen-te paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono staccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano

3 L’ecclesiologia della costituzione “Lumen gentium”, in Il Consiglio Vaticano. Ricezio-ne e attualità alla luce del Giubileo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 2009, p. 68.

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nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi”.

Chi sono, dunque, in concreto, i cristiani nelle varie città e nazioni del mondo? Risponde l’autore della Lettera a Diogneto: “A dirla in breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra”4. Sentiamo pulsare nelle righe di questo antico testo cristiano la realtà umana ed esistenziale del Cristianesimo degli inizi: la vita cristiana, nata dal Vangelo, faceva sentire la sua differenza rispetto alla società e ai costumi di allora. Ma non è un testo – si badi bene – che illumina solo le origini, quasi un’età d’oro del Cristiane-simo. Nella lunga storia della Chiesa, i cristiani hanno fatto sempre sentire la differenza della loro vita rispetto alla società e ai suoi ideali. Differenza che si sente ancora oggi. Né potrebbe essere diversamente.

Ho presenti tanti esempi che, nella mia lunga vita di sacerdote e di vescovo, ho avuto modo di accostare e di conoscere. Sono uomini e donne che non hanno vissuto per se stessi, ma, fedeli a Cristo ed al suo Vangelo, hanno fatto della comunione cristiana il cuore, il centro, il fondamento e l’apice della loro vita, dedicandosi ai loro fratelli nella fede e ai loro fratelli nel bisogno, indipendentemente dal credo da questi praticato.

Nel mio lavoro di prefetto della Congregazione delle cause dei santi sono venuto a contatto con storie di cristiani e di cristiane di tutti i tempi. In tante situazioni di miseria umana e materiale, in Paesi non cristiani o in società secolarizzate, questi cristiani hanno rappresentato “l’anima nel corpo” – come scrive il testo a Diogneto – Spesso in società frantumate o in momenti drammatici, la comunione cristiana è stata come una rete che ha sorretto tanti, che magari non condividevano la fede in Gesù, ma erano sostenuti dai suoi discepoli.

La comunione come solidarietà

La comunione cristiana è, infatti, solidarietà, soprattutto a partire dai membri più bisognosi. L’apostolo Paolo descrive bene l’appartenenza a un solo corpo: le parti “del corpo che sembrano più deboli, sono le più neces-sarie; e le parti che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto” (1Cor 12,22-23). Così nella Chiesa-comunione, l’attenzione ai pove-ri ha un innegabile primato, che già troviamo nei Vangeli. Papa Giovanni

4 Lettera a Diogneto, V-VI.

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XXIII, il papa della mia giovinezza, alla vigilia del Concilio, sottolineava questo primato con una frase famosa: quella di Cristo è la “Chiesa di tutti, e particolarmente dei poveri”.

La solidarietà che scaturisce dalla comunione cristiana non si ferma alle frontiere della comunità. È, insomma, una solidarietà interconfessionale. L’icona evangelica del buon samaritano (Lc 10,25-37) è estremamente chia-ra al riguardo. Nella parabola evangelica tutto parte dalla domanda di un esperto della Bibbia, sulla vita eterna e sul prossimo. Il samaritano è uno studioso, non un ignorante. La domanda è: chi è il mio prossimo? È una domanda peraltro decisiva per una comunità. Chi è il mio prossimo? Quali sono i confini della solidarietà?

Gesù risponde con una parabola. Lo sviluppo di essa è eloquente. C’è un uomo che sta scendendo da Gerusalemme a Gerico e si imbatte in alcuni briganti, i quali, dopo averlo picchiato e derubato, lo lasciano mezzo morto al bordo della strada. Passa un sacerdote, “lo vide e passò oltre”. Lo stesso fece un levita, un addetto al tempio. Poi passò un samaritano che “lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino, fasciò le sue ferite, versandovi olio e vino, poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò in una locanda e si prese cura di lui”.

L’insegnamento di Gesù in questa parabola, è quanto mai chiaro. La compassione è il contrario dell’indifferenza, della fretta che fa passare oltre, vedere ed allontanarsi. Per capire chi è il “prossimo” bisogna farsi “prossi-mi” di chi è nel bisogno. La comunione dei fratelli e delle sorelle credenti si allarga così a tutti i poveri e bisognosi del mondo attraverso la pratica della compassione e della solidarietà. Essi sono consapevoli che la solidarietà con il bisognoso diventa comunione con il Signore stesso.

Un modello di vita sociale?

Nel corso del Novecento si è vissuto in Europa il primato della politica: tutto è stato politica; la politica è diventata come una religione, tanto che per il nazismo, il comunismo e il fascismo, si parla di “religioni politiche”. La Chiesa, però, con la sua vita e con le sue parole, ha affermato che “tutto” non è politica e che l’uomo non è solo un animale politico. Ha ribadito che la vita umana non si sviluppa solo nella società o nelle organizzazioni politiche. Con la sua stessa esistenza, la Chiesa-comunione ha contestato il totalitarismo politico o il primato della politica. Infatti, la persecuzione dei regimi totalita-ri ha colpito, prima di tutto, le forme associative di vita cristiana, poi quelle educative e caritative, cercando di ridurre la Chiesa solo allo spazio del culto.

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Oggi, in tempi di globalizzazione economica, si afferma invece il primato dell’economia. La globalizzazione ha, infatti, un aspetto marcatamente eco-nomico. Lo vediamo nelle recenti crisi finanziarie, di cui non sempre è facile capire le dinamiche, anche se si colgono le conseguenze nella nostra vita quotidiana. L’economia è diventata quasi un assoluto e i pool delle finanze internazionali controllano la vita concreta di miriadi di persone. Si argomen-ta che in un mondo globale, il mercato unico è l’unica soluzione possibile.

Questa mercantilizzazione della vita rende commerciali anche i rapporti che dovrebbero essere gratuiti o non dominati dall’economia. Nelle socie-tà segnate dal primato dell’economia, dove tutto viene misurato secondo le leggi del guadagno, diventa difficile introdurvi altri elementi di analisi che non siano quelli che definiscono un Paese per il Pil. La misura di tutto divengono i beni materiali. L’Europa e in generale l’Occidente, ma anche i Paesi emergenti (il gruppo BRIC: Brasile, Russia, India, Cina) costruiscono società dove certe forme di benessere rischiano di inghiottire l’umanità, il convivere, la cultura, la religione, indebolendo sempre più la vera comunio-ne tra le persone. Tutto diventa economia.

Le nostre società, non di rado, soffrono di carenza di umanità. Lo si vede nelle grandi periferie urbane, dove la gente vive in modo anonimo. L’anonimato produce estraneità ed è il terreno su cui si sviluppano atti di violenza che talvolta ci colpiscono, fino a ferire la nostra umana sensibilità.

In questo contesto socio-politico ci vuole un tessuto di comunione, che ridia a tutti il desiderio di vivere e di stare con gli altri. Chi costruirà questo tessuto di comunione? Con quali basi si può proporre un modello sociale che dia una risposta vera e urgente a un bisogno riconosciuto da tutti?

La Chiesa risorsa di comunione

Nelle nostre società umanamente impoverite, la Chiesa ha e offre stra-ordinarie risorse umane e spirituali, perché germogli e cresca un vissuto di fratellanza. La Chiesa è chiamata ad essere un testimone di comunione in un mondo globalizzato e spaesato, dove l’economia, come si è detto, non è tutto, così come la politica e l’istituzione. Le risorse economiche applicate ai servizi sociali aiutano a risolvere solo una parte del problema.

È proprio in questo contesto che emerge, con maggiore chiarezza, la vita cristiana come creatrice di umanità, e questa umanità, come modello di comunione per la massima attenzione che presta a chi è lasciato in disparte, come nella parabola del buon samaritano. Non è un caso che il Beato Gio-vanni Paolo II, proprio a partire dal Grande Giubileo del 2000, abbia ripro-

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posto alla Chiesa di riflettere sulla comunione, anzi, abbia parlato di una spiritualità di comunione. Questo mondo spaesato e globalizzato ha bisogno di comunione. Anzi, diceva papa Wojtyla, bisogna globalizzare la solidarietà.

La vita della Chiesa è fonte di comunione. Nel Vangelo, Gesù, che non è medico, si occupa dei malati; lui, che non è pedagogo, si occupa dei bambini; lui, che non è ricco, si occupa dei poveri. Gesù non considera che lui e i suoi discepoli debbano isolarsi dal mondo. Non pensa per loro un percorso esi-stenziale guidato dal “miglioramento personale”, neppure dal punto di vista religioso. Non li invita a fare lunghe meditazioni pensando a se stessi e alla loro purificazione interiore. Li invita a riconoscersi peccatori; propone che aprano i loro cuori alla misericordia, alla compassione dinnanzi a colui che è abbattuto oppure è stato calpestato, a colui che ha perso la gioia o si chiude sterilmente in se stesso. Per Gesù, i discepoli devono impegnarsi a vivere un tessuto di comunione e comunicare il Vangelo dell’amore e della solidarietà.

Dio e il prossimo non sono lontani, quasi belle idee da vivere senza impegno personale. Gesù ha vissuto la comunione con Dio, con i poveri, con i discepoli, con le folle. Proprio perciò, la comunione che è appunto il modo di vivere concretamente il Vangelo, è anche cuore, centro e apice della vita cristiana. La fede cristiana è comunione con l’umanità, nella misura in cui la Chiesa è “in Cristo come un sacramento o un segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium 1). La fede cristiana è comunione con i poveri, i preferiti del Padre e i primi nella tavola del banchetto celeste.

Il dono che i discepoli hanno ricevuto da Gesù è la grazia dell’unità: essere strumenti di fratellanza e umanità. In un momento in cui molti pen-sano che le differenze tra popoli e religioni siano così grandi, da non potersi nemmeno pensare di costruire una società del convivere e che, al massimo, si potrà cercare la coesistenza e la tolleranza, bisogna insistere sulla comu-nione come tessuto e fondamento, come vero e prezioso modello di vita sociale.

In una parola, i cristiani portano al mondo una convinzione: essere sale e luce, costruttori di un tessuto di comunione che vada oltre le frontiere stabi-lite, che superi le distanze e si diffonda sull’intera umanità. Coloro che por-tano il Vangelo nel cuore, sanno bene che non si può vivere senza convivere, che non c’è unione senza comunione! Per questo, proprio perché la Chiesa è una comunione, può dare molto alle società del mondo in cui i cristiani si trovano a vivere con altri. Infatti, in questo tempo di globalizzazione, ma anche di localismi e di lacerazioni profonde, tutti sentiamo il bisogno di una nuova civiltà: è la civiltà del convivere in pace tra genti, anche se di etnie, origini e culture diverse. La Chiesa “esperta di umanità” – come diceva con

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grande saggezza il papa Paolo VI – ha maturato nella sua storia un vissuto di comunione: lo vive, lo offre come realtà concreta e come modello di vita sociale, perché queste nostre società in difficoltà siano sempre più realtà in cui si vive insieme in modo umano. La lunga storia della Chiesa, passata attraverso vicende difficili, guerre, abissi di odio, è testimonianza di spe-ranza: insegna che la comunione con Dio e quella tra i fratelli (due aspetti inscindibili della vera koinonia), sono una sorgente inesauribile di umanità e di sapienza.

Essendo se stessa, essendo cioè comunione, allargando il suo tessuto di comunione, la Chiesa può aiutare, e aiuta le società ad essere sempre più giuste, umane, solidali. Essa è, infatti – come diceva un grande italiano, Gior-gio La Pira –, una sorgente di “tensioni unitive”, quelle tensioni all’unità e alla solidarietà, di cui le società e il mondo intero hanno oggi tanto bisogno.

VALORI COSTITUTIVI DELLA DEMOCRAZIAIntervento del prof. Giorgio Campanini, Università di Parma - 9 settem-bre 2011

Premessa

Fra il titolo di questa relazione – che fa riferimento ai valori costituti-vi della democrazia – e le strutture fondative di tutti i Paesi democratici, cioè le Costituzioni (scritte o consuetudinarie), vi è un’assonanza, e più che un’assonanza. I principii costituzionali sono l’insieme di valori e di regole che danno corpo e sostanza, cioè costituiscono una nazione o un insieme di nazioni e di Stati.

In questa ottica, il discorso sembrerebbe riferito alle costituzioni demo-cratiche e ai documenti supernazionali, primo fra tutti la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), che rappresentano, almeno a livello di valori, la cornice all’interno della quale si collocano le varie costituzioni, spesso profondamente diverse le une dalle altre, ma accomunate da un insieme di principii (appunto di “valori”) comuni, quali le libertà civili e reli-giose, il diritto alla libera espressione del pensiero, la limitazione del potere, e così via.

Ad un primo sguardo, dunque, parlare di “valori costitutivi della demo-crazia” significherebbe essenzialmente analizzare le Costituzioni vigenti (nel caso specifico quella italiana) per desumerne i valori costitutivi, cioè

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gli elementi essenziali ed irrinunziabili. Operazione, in verità, a più riprese effettuata dalla nostra Corte costituzionale (ma interventi analoghi sono in verità intervenuti in tutti i Paesi nei quali esiste un supremo organo di garanzia al di sopra delle leggi ordinarie), allorché ha considerato principii irrinunziabili ed irreformabili, ad esempio, la laicità o la libertà personale.

La questione, per altro, non è così semplice come a prima vista potreb-be apparire perché sullo sfondo si pongono problemi largamente dibattuti dalla riflessione politica contemporanea. Fra essi due in particolare: quello del rapporto fra valori e regole (e cioè il tentativo di rispondere alla doman-da se la democrazia sia un insieme di valori o non, invece, semplicemente un complesso di regole); quello della particolare relazione che si pone fra valori politicamente non traducibili, in quanto esulano dalla sfera di competenza dello Stato (come, ad esempio, i valori estetici) e valori che invece possono essere oggetto di specifici interventi legislativi o di politica generale.

È dunque in questa ottica che la questione richiamata nel titolo di que-sta relazione sarà affrontata: nella consapevolezza, tuttavia, che si tratta di un insieme di questioni assai complesse, e dunque ampiamente dibattute, che per altro potranno essere più analiticamente affrontate nei successi-vi interventi. Come si addice ad una relazione inaugurale, si cercherà di cogliere i termini essenziali del problema, lasciando al seguito del convegno l’approfondimento di singoli temi.

È appena il caso di osservare che l’ottica con la quale si affronterà la questione non sarà quella del giurista – nel qual caso, nello specifico con-testo italiano, sarebbe d’obbligo il continuo riferimento alla Costituzione – ma quella dello studioso di politica, che considera il sistema democratico soprattutto nel suo rapporto con la società.

Uno sguardo alla storia

Prima di entrare nel merito, sia consentito un rapido sguardo alla storia. Tutte le società, ne avessero o meno piena consapevolezza, si sono basate su alcuni “principii fondativi”, dall’etnia e dalla religione comuni al radica-mento in un territorio, all’affidamento al corpo sociale dell’uno o dell’altro obiettivo. Per un lungo periodo della storia, all’interno delle singole realtà politiche sono prevalsi lo spirito di conquista, la volontà di dominio, lo sfrut-tamento a proprio favore delle ricchezze disponibili. Le piccole, e per certi aspetti sempre provvisorie e precarie, “isole democratiche” che l’umanità ha conosciuto (in Occidente è in questo caso d’obbligo il riferimento alla polis ateniese ed alla res publica romana), sono state per una lunghissima

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stagione l’eccezione che ha confermato la regola. Eloquente la vicenda di un popolo di cui, forse più di ogni altro – grazie alle Scritture – conosciamo la storia, cioè il popolo ebraico: la sua è una lunga storia di conflitti, di prevari-cazioni, di espansioni e di ritirate...

Per quali ragioni sia avvenuta, a partire dal maturo Medioevo – e cioè dalla Magna charta inglese e dalle prime embrionali “Costituzioni” comu-nali – la “svolta che a conclusione di un lungo e tormentato cammino ha portato agli Stati e alle Costituzioni moderni, è questione ancora oggi assai dibattuta. Si è verificato, nell’Occidente europeo e poi nordamericano, un singolare incontro fra la migliore eredità evangelica – fondata sul ricono-scimento del primato della persona – e l’emergente cultura laica dei diritti dell’uomo, sullo sfondo di un generale miglioramento delle condizioni di vita, di una diffusa crescita culturale resa possibile dalla stampa, di una graduale presa di coscienza di se stessa e dei suoi diritti da parte di quella nuova femminilità che è emersa con la modernità e che ha demolito le mura di un universo sino ad allora quasi soltanto maschile.

Uno degli aspetti fondamentali di questo complesso processo di muta-menti è stato rappresentato dall’emergenza dei diritti dell’uomo (e, ben si intende, anche della donna...) e dalla diffusa istanza non solo ad affermarli ma ad ottenerne il riconoscimento e soprattutto il rispetto, grazie a quel generale processo di limitazione del potere che ha rappresentato la grande conquista culturale dell’Occidente e il più alto legato che esso ha trasmesso alle altre parti del mondo. Ad un potere assoluto che aveva per una lunghis-sima stagione occupato tutti gli spazi della società andava sostituendosi gra-dualmente e progressivamente un potere limitato; limitato non solo dalla coscienza morale – secondo l’indicazione fornita sin dalle sue origini dal Cristianesimo allorché esso ha rivendicato lo spazio del “regno di Dio” nei confronti del “regno di Cesare” – ma anche dal costume e poi dalle Costi-tuzioni e dalle leggi. Così i valori avvertiti dalla più alta coscienza dell’uma-nità – valori che il potere assoluto ha a lungo rifiutato di riconoscere – sono diventati legge e la persona umana ha potuto vedere riconosciuti i propri diritti e le proprie libertà nei confronti di una società e di uno Stato final-mente ricondotti alla loro funzione di servizio e non di dominio.

Che all’affermazione dei diritti – anche in solenni testi costituziona-li – non corrisponda sempre la realtà delle cose fa parte della concretezza di una storia, quella degli uomini, che non è mai senza ombre e nemmeno garantita dalle involuzioni e dalle cadute (come la tragica vicenda dei tota-litarismi del Novecento sta ad attestare); ma lo stato di diritto, e la demo-crazia che ne costituisce l’humus culturale, sembrano ormai saldamente affermati. Le problematiche di oggi non riguardano più la democrazia come

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forma tendenzialmente ottimale di governo, ma la concreta attuazione, nelle singole realtà storiche, dei valori di cui essa è portatrice e che ne garanti-scono la legittimità. È appunto questo il nodo da sciogliere.

Valori e regole

Nei decenni conclusivi del Novecento – sotto la spinta di sollecitazio-ni provenienti da alcuni dei più lucidi teorici della democrazia, quali John Rawls, Norberto Bobbio, Jürgen Habermas – è stata posta con forza la questione delle regole, come autentico fondamento della democrazia. Si era constatato che, in mancanza di regole saldamente stabilite e il cui rispetto fosse garantito da un’autorità non direttamente soggetta allo Stato, l’enun-ciazione dei valori, pur presente in tutte le Costituzioni, rischiava di diven-tare priva di senso: emblematico, al riguardo, lo svuotamento dall’interno dei sistemi democratici ad opera degli Stati totalitari: di particolare interes-se, sotto questo profilo, il caso dell’Italia, cioè di un Paese che è passato da un regime liberale al totalitarismo mantenendo formalmente lo stesso qua-dro di insieme, rappresentato dallo Statuto, svuotando progressivamente di senso l’insieme delle libertà civili che la Carta del 1848 formalmente assicu-rava. Ma, come noto, eguali stravolgimenti ebbero luogo in pressoché tutti i Paesi del continente europeo.

Di qui la diffusa diffidenza, di non pochi politologi, per le dichiarazioni di principio, per l’astratta enunciazione di valori: la democrazia – si è affer-mato – vive realmente di regole, non di valori che rischiano di essere calpe-stati e travolti se non sorretti da un adeguato sistema di regole. Di qui una concezione proceduralistica della democrazia: intesa, appunto, come regi-me capace di enunziare, e di fare rispettare con adeguati strumenti anche coercitivi, un insieme di regole grazie alle quali consentire poi ai valori il libero corso nella società. Fu, questa, la tragica illusione della Repubblica di Weimar e del suo massimo teorico, Hans Kelsen. Polemizzando appunto con Kelsen – e rifiutando una visione puramente proceduralistica della demo-crazia – il grande teorico cristiano della democrazia del Novecento, Jacques Maritain, richiamava fortemente, nei suoi scritti degli anni di guerra, il necessario ancoramento ai valori ed in primo luogo a quell’insieme di diritti dell’uomo iscritti nelle profondità della persona prima ancora che nelle codi-ficazioni legislative.

Il grande sforzo che le Costituzioni europee degli anni successivi al tramonto dei totalitarismi hanno compiuto (e con esiti di particolare valore in Italia e in Germania, proprio nei due Paesi più duramente colpiti dall’on-

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data totalitaria) è stato quello di conciliare valori e regole, ma partendo dal primato dei valori e dal loro radicamento non solo e non tanto nei testi costi-tuzionali, ma anche e soprattutto nelle coscienze di persone libere e respon-sabili. Né l’affermazione del primato della persona – e dei valori che ad essa si richiamano – impedisce l’elaborazione di un adeguato sistema di garan-zie, e dunque di regole. Del resto, anche se apparentemente cacciati dalla porta dai teorici del formalismo giuridico, i valori rientrano dalla finestra: la classica regola della democrazia, una testa, un voto, non avrebbe senso e potrebbe essere facilmente scalzata (del resto, perché mai il voto di un bifolco analfabeta dovrebbe valere come quello di un premio Nobel?) se non fosse sorretta dal grande principio (prima ancora che dalla “regola”) della radicale eguaglianza fra gli uomini: solo in virtù del valore dell’eguaglianza ha senso la regola secondo la quale tutti i voti hanno lo stesso peso...

Occorre dunque conciliare valori e regole, nella linea seguita appunto dalle Costituzioni moderne, partendo tuttavia da un solido, robusto, diffuso fondamento valoriale, in assenza del quale le sole procedure non garantisco-no in alcun modo la persistenza di un sistema autenticamente democratico.

I valori e la prassi

Nelle società democratiche moderne i valori fondamentali della convi-venza civile sono generalmente riconosciuti come tali e, almeno in linea di principio, accettati. Si va tuttavia determinando – soprattutto nelle cosid-dette democrazie “mature”, o nelle quali comunque le istituzioni democrati-che sono sufficientemente consolidate – una forte e crescente divaricazione fra quelli che si potrebbero chiamare i “benefici” e i “costi” della democra-zia: per fare soltanto un esempio, si riconoscono i benefici della libertà ma se ne sottovalutano, e talora non se ne sanno sopportare, i costi. Paradossal-mente, il “tempo della miseria”, della storia – la minaccia del totalitarismo, una emergenza, una guerra... – è anche il “tempo felice” della democrazia, la stagione in cui più forte è il coinvolgimento dei cittadini (e la partecipazio-ne al voto). Nel “tempo felice” delle nazioni e degli Stati si ritiene, a torto, che la “macchina” della democrazia possa procedere da sola, senza che nes-suno metta del “carburante” nel suo serbatoio... Fuor di metafora, si dà per acquisito ciò che acquisito non è, cioè che le istituzioni democratiche funzio-nino da sole, senza la diretta partecipazione dei cittadini: emblematiche le statistiche relative al numero dei votanti in tutte le “democrazie mature”...

Sarebbe una scorciatoia sollecitare l’attiva partecipazione dei cittadini evocando di volta in volta veri o immaginari “pericoli” – dalla minaccia di

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un’aggressione esterna allo stravolgimento dell’identità nazionale in seguito a vasti fenomeni migratori – e dunque creando, o enfatizzando oltre misura, situazioni di emergenza. L’attiva partecipazione dei cittadini alla vita della comunità non può essere frutto di una permanente – ed inevitabilmen-te artificiosa – dilatazione e cronicizzazione dell’emergenza (“al lupo, al lupo”...) ma di una consapevole e responsabile presa di coscienza dei propri doveri civici. Si tratta dunque di avere a cuore il destino della “casa comu-ne” e non di farsi carico soltanto del perseguimento dei propri, pur legitti-mi, interessi (siano essi individuali o di gruppo). Vi è qualcosa di malsano, ad esempio, in una democrazia che sembra risvegliarsi soltanto di fronte ad una crisi dell’economia, che tocca soprattutto il portafoglio: la democrazia non vive soltanto di portafogli, anche se essi, decorosamente riforniti, sono la condizione necessaria per una “vita buona” nella città...

Si pone, in questa prospettiva, il tema, ricorrentemente dibattuto, dell’educazione alla politica, alla buona politica, per tutti, onde evitare la frequente e diffusa auto-esclusione di molti cittadini, anche e soprattut-to nelle democrazie “mature”, dalla vita della città. Entrano qui in gioco tutte le istituzioni educative, a partire dalla scuola, ove, in generale – e non solo in Italia – l’educazione alla cittadinanza è assente o ha una presenza soltanto marginale. Ma anche le diverse comunità – dalla famiglia alle isti-tuzioni religiose – devono sapere compiere la loro parte, attraverso quei gesti quotidiani, quella prassi di vita, quelle necessarie forme di attenzione all’altro, che sono il grande fattore immunizzante contro il rischio dell’auto-referenzialità e della chiusura solipsistica in se stessi; rischio mortale per la democrazia, che per vivere ha bisogno del continuo sostegno dei cittadini. Né ci si può dolere per la vera o presunta “autosufficienza” della politica se essa altro non fosse che la ripetizione, a più alto livello, di quel radicale individualismo che rischia di diventare la “malattia mortale” dell’Occidente: di un Occidente attento in modo esasperato ai diritti individuali e quasi del tutto dimentico dei doveri di cittadinanza e delle conseguenti assunzioni di responsabilità.

I valori nella storia

A partire dal riconoscimento della centralità dei valori per ogni sistema democratico si pone tuttavia un problema di estrema complessità e che ha dato luogo sul piano storico a diversi sistemi di regole e di procedure, e dun-que a diversi sistemi costituzionali. Tutti i valori possono (o devono) essere recepiti dallo Stato democratico od occorre operare fra essi una scelta?

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Un attento esame del diritto costituzionale comparato rivela che – accanto ad alcuni valori comuni a tutti, quali il rispetto della persona umana, la libertà di coscienza, la garanzia delle libertà personali, e così via – ve ne sono altri sui quali cala il silenzio e che sono quindi posti al di fuori delle Costituzioni e affidati alla sola coscienza etica ed alla sensibilità del corpo sociale. Per fare soltanto un esempio – di non poco rilievo, tuttavia, data la crescente importanza, e la crescente attenzione della stessa opinione pubblica al riguardo – la tutela dell’ambiente non è (o non è stata per una lunga stagione) oggetto di specifiche norme costituzionali e spesso nemme-no delle leggi ordinarie (per riprendere il discorso precedentemente dedot-to, sono mancati tanto i valori quanto le regole). Si era ritenuto a lungo che la salvaguardia dell’eco-sistema, oscuramente avvertita come necessaria anche da popolazioni ritenute “primitive”, non fosse un valore degno di essere oggetto di particolare tutela. Oggi, correntemente, si parla e si scri-ve di “diritto all’ambiente”: espressione tuttavia complessa e problematica, dato che – escludendo forme radicali di contaminazioni o di interventi diret-tamente nocivi per l’uomo – fino a che punto un albero, una montagna, un lago, possono essere considerati un “valore” (e dunque un bene) da tutela-re? La “tavola dei valori” è mutevole e complessa e ha conosciuto nel corso della storia una serie di arricchimenti e di impoverimenti: si pensi a quanto è avanzata la tutela della privatezza e a quanto è arretrata la salvaguardia del pudore.

I valori sono, inevitabilmente, nella storia: se si eccettuano pochi e macroscopici casi, come il rifiuto degli attentati alla vita fisica, la storia delle legislazioni e delle stesse Costituzioni può essere letta come un alternarsi di valori ora ritenuti degni di essere protetti, ora rimessi alla libertà indivi-duale. Così è avvenuto e tuttora avviene, per fare soltanto un esempio, con l’adulterio della donna in molti Paesi: per molto tempo duramente punito e ora in gran parte del mondo depenalizzato e ricondotto alla sola sfera pri-vata. La fedeltà coniugale non è più – per la società – un “valore”; ma, sem-mai, “una virtù”, e solo una virtù.

Su questo sfondo si assiste, soprattutto nelle democrazie moderne, ad uno strano e per certi aspetti paradossale gioco di “uscite” e di “entrate”: escono dal diritto, e talora dalle stesse Costituzioni, valori ritenuti un tempo basilari (ad esempio quello dell’autorità paterna) ed entrano valori in pas-sato non considerati in alcun modo, come quello già ricordato della tutela dell’ambiente. Si è dunque di fronte – come da qualche parte, ed anche autorevolmente, si teme – all’affermarsi del relativismo etico? Non è pro-prio così, perché alla crescente indulgenza verso la violazione di valori in specifiche situazioni si accompagna una crescente severità per altrettante

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violazioni in situazioni diverse: anche qui, per fare soltanto un esempio, si depenalizza l’aborto procurato quando effettuato in conformità alla legisla-zione e si introducono, e si aumentano, le pene per l’abuso di sostanze alco-liche. La vita non nata è oggetto di riconoscimento e di tutela assai minori rispetto a quella già nata (talora, come nel ricordato caso dell’alcolismo, in aperto contrasto con la volontà dell’individuo, costretto, o indotto suo mal-grado, alla sobrietà...).

Solo in futuro sarà possibile – dovendo dare un giudizio complessivo sul rapporto fra Occidente e valori – stabilire se gli arretramenti e le involu-zioni che si sono verificate in alcuni ambiti possano essere state compensati dagli avanzamenti e dai progressi registrati in altri ambiti. Resta tuttavia il fatto che all’affermazione dei valori – ad esempio al riconoscimento, pre-sente in tutte le Costituzioni e in tutti i codici, del diritto alla vita – non sempre corrisponde un chiaro e coerente quadro costituzionale e legislati-vo, ed ancor più un analogo comportamento in sede giurisdizionale. Stanno di qui le luci e di là le ombre e non è facile comprendere se l’orizzonte si illumini o, invece, si oscuri... Fino a che punto ci si deve misurare con la strutturale relatività delle istituzioni, e dello stesso diritto, e fino a che punto si è di fronte all’avanzare di un relativismo che alla fine – se spinto agli estremi – metterebbe a rischio i fondamenti stessi della democrazia, a partire dallo stesso concetto di persona umana, valore supremo di ogni ordinamento giuridico?

Occorrerà fare i conti, sino alla fine dei tempi, con le dinamiche della storia. Sarebbe un’illusione pensare che basti avere una volta affermato i principii ed averli poi inseriti nella solennità degli enunciati della Costitu-zione. La democrazia è sempre, e inevitabilmente, nella storia e con essa è necessario sapersi misurare. Nella “società aperta” – e tali appunto sono quelle democratiche – pressoché tutto (comprese le stesse Costituzioni) può essere rimesso in discussione: il futuro resta nelle mani dei cittadini, grazie alla tipica arma della democrazia, quella del consenso. E tuttavia, in una democrazia, non tutto è disponibile: esiste una frontiera, valicata la quale si è fuori della sostanza se non della forma della democrazia. Ma di quali valo-ri è costituita questa frontiera?

Una possibile “scala di priorità”

Alla fine, dunque, quali sono i valori costitutivi, e quindi irrinunziabili, di un’autentica democrazia? Dati per acquisiti i ben noti principii stabiliti nelle varie “Carte” – dall’eguaglianza dei cittadini alle varie libertà, dai diritti

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individuali ai doveri sociali – riteniamo che essi siano essenzialmente due, in generale solo indirettamente definiti nelle Costituzioni contemporanee, ma che stanno alla loro base.

Il primo e fondamentale valore è l’amore per la città degli uomini e dunque la “passione” per il bene comune, superando ogni tentazione indi-vidualista da una parte ed etnico-nazionalista dall’altra. L’impegno per la città nel suo complesso, dunque, prescindendo dalle “appartenenze” par-ziali che fanno riferimento ai partiti, ai localismi, agli interessi organizzati e no, e così via. È il ritorno al concetto di bene comune, spesso frettolo-samente accantonato come arcaico e superato e che è invece ancora oggi una categoria fondamentale del pensiero sociale cristiano; un concetto che, tuttavia, viene da lontano e che, originatosi nella Grecia pre-cristiana, ha compiuto una lunga strada in tutta la storia dell’Occidente. Se i cittadini non amano più la propria città, se non sono disponibili ad impegnarsi per essa e, se necessario, a sacrificarsi per essa, la democrazia è inevitabilmen-te votata al tramonto.

Il secondo non meno fondamentale valore è quello di una giustizia da perseguire con fermezza, con convinzione, con continuità, senza illudersi che il principio di “eguaglianza” – pur in sé di altissimo significato, perché è la condizione di base per evitare troppo accentuate differenze fra gli uomini – possa, da solo, portare alla giustizia. Dall’eguaglianza si deve partire; ma alla giustizia si può arrivare soltanto percorrendo le vie della solidarietà, della condivisione, della laica e religiosa (e spesso dimenticata) “fraternità”. Solo in questa prospettiva la democrazia non si limiterà a garantire una formale eguaglianza (per altro mai compiutamente realizzabile) dei punti di partenza, ma una ragionevole convergenza nei punti di arrivo.

Riflessioni conclusive

Le considerazioni sin qui svolte pongono inevitabilmente un proble-ma cruciale per la democrazia: quello della sua attitudine e capacità di restare fedele alla sua originaria ispirazione, che è, in buona sostanza, la passione per l’uomo. Democrazia e diritti dell’uomo insieme sono nati e insieme rischiano di cadere, se i valori fondativi delle società moderne sono messi a repentaglio o addirittura stravolti. Come evitare questa possibile involuzione?

Non manca chi si illude che possano bastare operazioni di “ingegneria costituzionale”, aggiornamenti ed adeguamenti delle leggi, ancoramenti a superiori istanze – siano quelle europee o dell’Organizzazione delle Nazioni

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unite – per salvaguardare i valori fondativi della democrazia. Si dimentica, adottando questo approccio, che non così è nata la democrazia: essa è sorta dalle forti passioni degli uomini, dalla tenace volontà di persone mature e responsabili di sottrarsi al giogo dell’oppressione, dall’incontenibile aspira-zione alla libertà. Le “Carte”, le Costituzioni, le leggi nascono dopo, inevita-bilmente dopo. Ora è questo elemento fondativo, questo “prima”, che sem-bra in gran parte essere venuto meno nello stanco e disincantato Occidente: la stessa crescente, ed estrema, complessità della politica, del resto, sembra non favorire ed anzi allontanare la partecipazione alla vita della città.

È questo amore per la città che occorre di nuovo suscitare – con una rinnovata sapienza educativa – soprattutto nelle nuove generazioni, ma in generale in una società, come quella occidentale attuale, che ha perduto la memoria del suo passato e sembra avere dimenticato che nessun diritto viene dall’alto, che nessuna libertà è benignamente concessa e che dunque la democrazia va riconquistata ogni giorno, come insegnano tanto la storia della vecchia Europa quanto la recente e spesso tragica vicenda di popoli che, in ogni parte del mondo, rivendicano i loro diritti e spesso soffrono, e muoiono, per la democrazia. È malinconico per il disincantato Occiden-te notare che, mentre là si muore per la democrazia, qui di democrazia si muore. Le società occidentali sono ormai piene di cittadini delusi per il mancato adempimento delle promesse della democrazia, esasperati dalla lentezza delle sue procedure, storditi dalla banalità dei messaggi televisivi e dal chiacchiericcio dei “telefonini”. Ma una casa non può essere “visitata” ogni cinque anni, nel ricorrente rito delle urne: come ogni casa degna di questo nome va ogni giorno abitata e, se necessario, ogni giorno ricostruita. Al “tempo della miseria” della democrazia – quale è per molti aspetti que-sto inizio del XXI secolo in Occidente – può far seguito un “tempo felice”, quello dell’attiva partecipazione dei cittadini alla vita della comunità: ma perché questo passaggio avvenga è necessario che maturi e si affermi un nuovo senso civico, una più forte consapevolezza di ciò che è la “cittadinanza democratica”.

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* La bibliografia sulla democrazia è, come ben noto, sterminata. Si sono qui selezionate alcune opere particolarmente attente al fondamento etico-politico della democrazia ed al rapporto fra democrazia e valori.

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ORIENTAMENTI CONCLUSIVIa cura di mons. Giuseppe Dal Ferro

Di democrazia parlano tutti, compresi i dittatori, perché il termine è entrato nell’uso comune per indicare il governo del popolo e per legittima-re il potere. Non altrettanto soddisfacenti sono le modalità del suo eserci-zio, soprattutto nel nostro tempo, nel quale l’interdipendenza fra gli Stati intreccia insieme condizionamenti ed esplicazione della libertà, insicu-rezze e rischi, esigenze crescenti e mezzi limitati. Sull’argomento si è sof-fermato il 44° Convegno sui problemi internazionali dell’Istituto Rezzara di Vicenza trattando il tema “Democrazie a confronto” (Recoaro Terme 9-11 settembre 2011). Sua finalità era prendere atto delle diverse forme di democrazia rispetto ai vari contesti culturali ed insieme identificare le condizioni essenziali affinché il termine democrazia corrisponda al suo significato essenziale, di convivenza pacifica nella quale tutto l’uomo e ogni uomo possano raggiungere “la propria perfezione più pienamente e più celermente” (Benedetto XVI). L’argomento è particolarmente attuale per l’insofferenza e la delusione di molti cittadini delle antiche demo-crazie occidentali, incapaci di difendersi dai nuovi poteri forti mondiali conseguenti alla globalizzazione quali l’economia, lo sviluppo della tecno-logia e l’informazione e per l’improvvisa possibilità di libertà emersa in popoli precedentemente schiacciati dal colonialismo prima e da dittature oppressive poi.

Raccogliamo dai lavori del Convegno alcuni orientamenti.

1. La situazione attuale è complessa e confusa data la mondializzazione e la rapida comunicazione intercontinentale. Il costituirsi di poteri forti, quali l’economia, la tecnologia e l’informazione, ha messo in crisi ogni forma di organizzazione politica locale con effetti diversi, dalla delusio-ne ed abbandono dell’impegno politico nelle antiche democrazie, alle speranze utopiche fra i popoli soggiogati precedentemente dal potere dittatoriale. In Occidente la crisi è di governabilità a causa di una debole partecipazione sociale, più incline ai propri vantaggi individuali che al perseguimento del bene comune. Nei Paesi del Nord Africa e nel Medio Oriente la crisi economica mondiale ha provocato a catena il rifiuto dei poteri dittatoriali costituitisi nel periodo della decolonizzazione con la forza dell’esercito. Le due situazioni diverse sono alla ricerca di nuovi modelli di convivenza politico-sociale democratica.

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2. La democrazia si scontra con una serie di problemi quali la relazione fra governanti e cittadini, il consenso e i mass-media, il rapporto libertà e sicurezza e la governabilità e le garanzie costituzionali.

a) Il governo è chiamato a intervenire continuamente su una società civile sempre più frammentata, scarsa di strumenti partecipativi a causa del crollo dei partiti. Una risposta potrebbe venire dalla riforma del titolo V della Costituzione italiana del 2011 il quale parla di sussidia-rietà verticale fra le varie istituzioni e orizzontale fra i cittadini, anche se richiede una vigorosa non facile azione educativa alla responsabilità democratica e solidale. Ricordiamo quanto afferma Martin Buber che le “istituzioni non producono alcuna vita pubblica”, senza la partecipazione che è inerente alla dignità della persona umana e che è dovere e possibi-lità di tutti. I tiranni sono accomunati dalla sistematica esclusione della partecipazione autentica.

b) La governabilità di un Paese non può prescindere poi dal consenso dei cittadini, il quale rischia di essere eluso per strumentalizzazione del potere o alterato da una informazione scorretta o asservita a grup-pi forti. I mass media sono una rappresentazione della realtà e spesso hanno fatto della vita politica uno “spettacolo”, con la personalizzazione dei politici, eludendo i problemi reali, uccidendo la partecipazione e com-battendo ciò che era di ostacolo a progetti precostituiti. La governabilità inoltre è sempre difficile a causa della sua dinamica competitiva, cioè per i benefici promessi per ragioni elettorali e il conseguente scontento per il non mantenimento. Tutto ciò si è esasperato recentemente a causa della crisi economica. Il pericolo è la ricerca della governabilità in interventi repressivi, non raramente giustificati dalla paura precedentemente crea-ta. La sicurezza inoltre non si persegue eliminando le differenze presenti nella società pluralista, ma valorizzando la rete di relazioni. Ciò compor-ta la promozione del dialogo e dell’integrazione come forze coesive.

c) Ulteriore ostacolo alla governabilità deriva dal diffondersi di forme più o meno vaste di criminalità, dalle quali il cittadino richiede di essere pro-tetto. Si contrappongono a tale proposito le esigenze di libertà, di privacy e di sicurezza. Fenomeni quali il terrorismo, l’emergenza migratoria, l’in-sicurezza economica mettono a dura prova la democrazia costituzionale.

d) D’altra parte l’indebolirsi dell’idea di bene comune ha dato adito a forme di mal governo riproponendo la necessità di regole e limiti al potere, garantiti dalla democrazia costituzionale e da organismi apposi-ti. La divisione e l’indipendenza dei poteri dello Stato, oggetto continuo di tensione, rimane al riguardo l’unica salvaguardia della democrazia, come la storia dimostra.

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3. Di grande interesse risulta il principio accennato della sussidiarietà come risposta alla crisi attuale della democrazia e della società civile. Lo Stato è oggi evidentemente in difficoltà nel gestire il pluralismo, nel promuovere i servizi sociali, senza strumenti idonei e con scarsa parteci-pazione. La società dal canto suo è frammentata, con una debole cultura della responsabilità corrosa dall’individualismo. La sussidiarietà, retta-mente intesa, ripropone il principio di prossimità legata alla solidarietà nell’unità del sistema. Essa è un principio dinamico di cittadinanza atti-va, di relazione fra persona-società-istituzione, per il quale lo Stato rico-nosce l’azione dei cittadini e si adopera affinché essi responsabilmente siano in grado di operare. Nasce così il superamento dello stato assi-stenziale e l’affermazione dello stato delle autonomie riequilibrate in un sistema unitario (dinamica circolare). Tutto ciò carica di responsabilità il cittadino che deve essere educato a una democrazia sussidiaria.

4. I valori della democrazia si declinano in varie forme democratiche a seconda della storia e della cultura dei Paesi. Pensare di esportare i modelli di democrazia non solo è assurdo ma spesso controproducente a causa della conflittualità permanente che si innesca. In Europa, dove vige ancora una certa enfatizzazione della democrazia come sovranità popolare, i partiti, che si sono retti in passato in un clima di contrappo-sizione interna ed esterna, attualmente sembrano misurarsi sullo stato sociale, senza una sufficiente previsione di quanto questo possa durare. La crisi economica mondiale ha finito per indebolire le democrazie occi-dentali e ha posto in primo piano altri poteri come quello economico. Negli Stati Uniti invece la democrazia è nata decentrata per necessità, protesa non ad assicurare lo stato sociale quanto la libertà individuale, anche nella difesa personale. Lo stato centrale, visto con diffidenza, non era il risultato dei partiti quanto dei poteri forti presenti nel paese che assicuravano il benessere individuale. I due modelli di democrazia, euro-pea ed americana, stanno avvicinandosi nella nuova situazione economi-ca-sociale in cui viviamo. Il problema da chiedersi è come salvaguardare i diritti di chi non ha voce e la responsabilità dei cittadini. È possibile pensare a un decentramento progressivo del potere in base al principio di sussidiarietà? La prospettiva richiede un'ampia e capillare forma-zione alla responsabilità. Più difficile è articolare la partecipazione nei Paesi arabi, dove la componente tribale o di gruppi religiosi è così forte, per cui è più difficile la rappresentanza. Presupposto essenziale in tal caso è il superamento delle forme integraliste per una azione collabora-tiva, evitando che i problemi di identità ideologica e religiosa vengano a

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coincidere con le scelte politiche. Le incertezze maggiori sono sul come i “tumulti” di popolo possano trasformarsi in progetti e forme di gover-no, tenendo conto di componenti essenziali quali il ruolo dell’esercito e dell’Islam. Mentre qualcuno ritiene la possibilità di una elaborazione partitica post-islamica, forse è più realistico pensare a sviluppi interni ed in atto dell’Islam stesso, che tende di esprimere un nuovo modello di democrazia a partire da alcuni valori propri quali la consultazione, il consenso comunitario, l’accettazione del sistema politico, il bene pubbli-co, la libera elezione del Capo dello Stato (Sunniti).

5. Gli Stati nell’attuale mondializzazione si trovano interdipendenti, nella necessità di cedere parte della propria sovranità a gruppi regionali di Stati, come l’Unione Europea, e a organismi internazionali, come le Nazioni Unite. Ci si chiede come possa essere salvaguardata in tale situazione la democrazia. Nel processo di internazionalizzazione le contraddizioni non mancano. La sfida è di costruire una democrazia internazionale che si fondi non sulla somma delle democrazia interne, ma nella natura dei rapporti internazionali e che si estenda progressi-vamente a tutte le agenzie internazionali, da quelle economiche a quelle create per la salvaguardia dei diritti umani. La costruzione della demo-cratizzazione dei rapporti internazionali implica dialettica continua, coe-renza delle proposte e soluzioni istituzionali, trasparenza negli interven-ti, impegno dei singoli Stati a praticare la cooperazione e la solidarietà. Nell’esperienza dell’Unione Europea ciò è possibile se essa saprà essere federale e politica, capace di fronteggiare problemi quali la bassa cre-scita, la presenza di “cittadini senza cittadinanza”, l’indebolimento della classe media, lo scollamento fra governanti e cittadini, patologie queste di cui ora soffre.

6. La democrazia è possibile solo se si supera il puro concetto procedurale e la si scopre come valore. Giovanni Paolo II nella Centesimus annus affermava: “Se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmen-te strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. La democrazia è un sistema di regole e implicita-mente richiama valori, quali il principio di maggioranza, l’uguaglianza di tutti i cittadini, il diritto di tutti a partecipare alla costruzione del proprio destino. Si tratta allora di rifondare nelle democrazie mature la cittadinanza attiva su alcuni valori di fondo quali la solidarietà, il perse-

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guimento della giustizia, la promozione della pace, un’equa ripartizione delle risorse, l’apertura al mondo affinché l’egoismo di pochi non diventi attentato alla sopravvivenza di molti. Tutto ciò richiede un corretto rapporto fra partecipazione responsabile e rappresentanza politica, fra segnalazione continua dei problemi da parte dei cittadini e soluzione gerarchizzata di essi secondo le situazioni esistenti senza pregiudizi.

La Chiesa cattolica, “esperta in umanità” (Paolo VI), si sente profon-damente coinvolta in tutti i problemi che riguardano l’uomo e la vita associata, espressione dell’essenza “relazionale” umana. Da parte sua indica per la vita politica due principi fondamentali: la promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo, artefice della propria riuscita e del proprio fallimento (Paolo VI) e il bene comune, cioè il bene di quel noi-tutti, for-mato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comu-nità sociale (Benedetto XVI). La Chiesa, inoltre, offre il proprio modello costitutivo che, secondo il Concilio Vaticano II, è la comunione, la quale non coincide con la società civile o con le istituzioni. Essa può costituire un modello di confronto, che richiama costantemente l’unità nelle diffe-renze, la fraternità nella condivisione dei beni della terra, la solidarietà con le fasce più deboli. Come “comunione” può essere, come affermava Giorgio La Pira, continua sorgente di “tensioni unitive”.

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Presentazione

Il profilo della società moderna in rapporto alla fede cristiana è piut-tosto sfaccettato e ricco di contrasti. Da una parte registriamo un atteg-giamento di sfiducia e di sospetto, dall'altra si devono registrare adesioni fanatiche e nuove offerte di ispirazione religiosa in vista, spesso, di una securizzazione psicologica. Ora, se la nostra responsabilità cristiana vuol onorare il principio e il fondamento della sua testimonianza, è sollecitata a tornare alla sorgente. Istanza fondante rimane la figura di Gesù. Lo scorso anno abbiamo affrontato la disputa sul Gesù della storia. Quest'an-no la nostra riflessione ci introduce alla tematica ecclesiologica e più pre-cisamente alla tematizzazione del significato della mediazione ecclesiale in rapporto al tema della fede. In questa ricerca saremo aiutati da relatori di riconosciuta competenza.

FORMAZIONE PERMANENTEDEL CLERO DI VICENZACiclo di lezioni tenute alla “Scuola del lunedì”nei mesi di ottobre-novembre 2011

* Questi i temi trattati: Da Gesù alla Chiesa: Gesù storico “memoria pericolosa” per la Chiesa (R. Repole); Le istanze regolatrici dell'esperienza ecclesiale (A. Barbi); La media-zione testimoniale della Chiesa e il ruolo della Scrittura (A. Dal Pozzolo); La “Traditio” e i suoi testimoni ossia la cura per la continuità (C. Simonelli); Il Magistero vivo della Chiesa ossia la cura per la testimonianza della fede (G. Ziviani); Testimoniare la fede nel quadro pluralistico delle religioni (G. Zatti).

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CONSEGNA E PROMESSALA “TRADITIO” E I SUOI TESTIMONILezione tenuta dalla sig.a Simonelli Cristina, docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e presso lo Studio S. Zeno di Verona – “Scuola del lunedì”, 7 novembre 2011

Siamo stati per voi portinai,abbiamo aperto la porta,vi abbiamo lasciato entrare(Cirillo di Gerusalemme, prot.cat)

La citazione in esergo è di un “catechista”, Cirillo di Gerusalemme che ha predicato queste omelie alla metà del IV secolo, quando era presbitero o forse già vescovo. Mi sembra infatti che prima di affrontare gli aspet-ti più storico-teologici della tradizione sia importante riconoscersi al suo interno, in un vivo processo consegna – in senso sia passivo che attivo – in cui ognuno/a nella misura del proprio ruolo trova senso nel lasciar entrare, nell’essere “collaboratore della gioia e non padrone della fede” (cfr. 2Cor 1,24: “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi”).

«Questa “consegna”1 infatti sta al cuore stesso del messaggio cristiano delineato in tali scritti e della comunità che ne viene convocata: consegna è quella del kerygma, sia espressa nella forma paolina di 1Cor 15,1-5, in quella lucana dei discorsi kerigmatici di Atti o in quella della tradizione gio-vannea, come nell’incipit della 1Gv. La tradizione, in questo senso, è parte stessa delle redazioni evangeliche: testi come il prologo lucano (Lc 1,1-4) o Gv 20,30-31 ne svelano la presenza.

Nel cuore stesso di questa consegna si pone il problema della sua com-prensione: è anatema chi insegna un evangelo diverso (Gal 1,8)2, è anticristo chi ne cambia alcune caratteristiche (1Gv 2,22). Anche nei testi evangelici appare l’eco del dibattito sulla corretta trasmissione e legittima interpreta-

1 Per ricostruire il quadro storico e teologico del tema mi permetto di utilizzare alcune cose scritte in precedenza: per questo si riscontreranno anche anche alcune ripetizioni. Que-sto primo stralcio proviene dall’edizione del Commonitorio di Vicenzo di Lérins, che ho cura-to per le edizioni paoline (Milano 2008)

2 Il testo di Gal 1,8, «Se anche uno di noi, o un angelo del cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema» è citato anche nel Commonitorio 8,1.

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zione del messaggio: verranno lupi rapaci…(cfr. Mt 7,15), c’è qualcuno che insegna nel tuo nome e non è dei nostri….(cfr. Lc 9,49-50) Le lettere pasto-rali, [a cui abbondantemente attinge il Commonitorio], sono fortemente impregnate di questo orizzonte3.

Se quanto sopra indicato fa parte del contenuto di questi scritti, il meto-do che ha condotto ad avere la raccolta stessa non è meno importante. È infatti nel contesto di quella che può essere definita una “crisi della memo-ria cristiana”4 del II secolo che si elabora un “canone”, scegliendo fra gli scritti in circolazione quelli da ritenere qualificanti e necessari e, contem-poraneamente, indicando un profilo dell’interpretazione, una regola della fede. All’interno di questo orizzonte viene mantenuta una pluralità: l’Evan-gelo è quadriforme e accanto all’evangelo della grazia del fariseo Paolo sta la giudeocristiana epistola di Giacomo con lo sviluppo sulle opere. Questa attitudine testimonia di una molteplicità di interpretazioni cristiane, anche all’interno di una tradizione cristiana, caratterizzata da diversi elementi di communio: canone, regola della fede, partecipazione ad una eucarestia sostanzialmente simile5, pur in forme celebrative anche abbastanza diverse.

Questi elementi mettono in evidenza in primo luogo che la fede cristia-na è qualcosa di ricevuto, non soltanto perché materialmente viene annun-ciata di bocca in bocca, ma perché radicalmente è frutto di un appello e di un dono che appaiono in permanenza nelle sue stesse forme, siano testi, siano riti, siano ruoli. Contemporaneamente, tuttavia, tali elementi danno luogo a criteri di discernimento, che si esigono coerenti con le premesse: tali sono ad esempio la dimensioni che caratterizzano l’apostolicità6 e di cui fa parte anche l’affermazione della “comunitarietà” della tradizione stessa, della sua accoglienza, della sua condivisione. Tale comunitarietà si mani-festa in senso diacronico e sincronico: ossia, è al tempo stesso esprimibile come fedeltà a quanto si è ricevuto dai primi testimoni, che come coerenza

3 Si può in particolare osservare lo spazio concesso a 1Tim 6,20-21, commentato a più riprese in Commonitorio nei capitoli 21-22 e 24.

4 E. NORELLI, Introduzione in PAPIA DI HIERAPOLIS, Esposizione degli oracoli del Signore. I frammenti, Milano 2005, 139.

5 Le forme celebrative, infatti, presentano infatti anche notevoli diversità: per un’ana-lisi dello sviluppo di riti e anafore nelle chiese antiche, cfr. E. MAZZA, L’anafora eucaristica. Studi sulle origini, Roma 1992; ID, La celebrazione eucaristica. Genesi del rito e sviluppo dell’interpretazione, Bologna 2003.

6 Dietro questo termine ed il suo significato sta la prospettiva testimoniata da Ireneo, che risulta di fatto vincente ed è pertanto “vicina” all’autore del commonitorio. L’idea della viva catena dei testimoni, propugnata invece da Papia rispondeva comunque al duplice crite-rio di qualcosa che è ricevuto e trasmesso da una comunità di testimoni.

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a quanto condiviso dalle comunità riunite in sinodo o comunque in comuni-cazione fra di loro7».

Dunque vi è una dimensione teologica – siamo in un orizzonte di dono – che si precisa come cristologica – il Consegnato è anche conte-nuto della consegna; una tensione fra memoria e promessa in quanto lo Spirito stesso che fa memoria di Gesù Cristo e del suo Evangelo spinge verso un futuro inedito8; una dimensione sinodale comunitaria. Tutto questo spinge a distinguere tra il “centro” e le “periferie”, tra Tradizione e “tradizioni”, tra trasmissione e patologia del processo.

«In tempi di accentuate mutazioni e di veloci cambiamenti la questione delle “nostre tradizioni” si fa più che mai impellente, perché ad essa si lega, in certo senso “orizzontalmente”, l’identità e, “verticalmente” la trasmis-sione ad altri dei valori per cui e in cui si è vissuti, assecondando l’esigenza profonda di “non aver abitato la terra invano”. Ovviamente questa questio-ne non è nuova nella storia della Chiesa: in primo luogo tempi “immobili” non sono mai esistiti; secondariamente l’accoglienza del Vangelo in diversi contesti culturali ha sempre posto il problema della traduzione/interpreta-zione del messaggio evangelico; infine la consegna (traditio) è parte inte-grante dell’annuncio stesso.

Oggi, per molti motivi, percepiamo tuttavia questa questione in modo nuovo e anche piuttosto ansioso: a maggior ragione è necessario un attento discernimento. Le cosiddette “nostre tradizioni” si presentano infatti come un blocco ampio e complesso, in cui è necessario chiarire dove è il cuore, dove le periferie, dove sono, a volte, anche le patologie.

7 Per la presenza della sinodalità all’interno della concezione stessa di apostolicità, cfr G. LAITI - C. SIMONELLI, Chiesa e sinodalità. Coscienza, forme, processi tra il II e il IV secolo in ATI, Chiesa e sinodalità, a cura di R. Battocchio e S. Noceti, Milano 2007, 311.

8 «Non cercava mai di capire cos’era il mondo, ma, sempre, cosa stava per diventa-re il mondo. Voglio dire che ad affascinarlo, nel presente, erano gli indizi delle mutazioni che, quel presente, avrebbero dissolto. Erano le trasformazioni, che lo interessavano [...] qualsiasi cosa su cui si chinava diventava profezia di un mondo a venire, e l’annuncio di una nuova civiltà. Provo a essere più preciso: per lui capire non significava collocare l’oggetto di studio nella mappa conosciuta del reale, definendo cos’era, ma intuire in cosa, quell’oggetto, avrebbe modificato la mappa, rendendola irriconoscibile [...]. Era il genio assoluto di un’arte molto particolare, che un tempo si chiamava profezia, e adesso sarebbe più proprio definire come l’arte di decifrare le mutazioni un attimo prima che avvengano» (Baricco riferito a Benjamin).

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Unità, libertà e carità

Nella prima enciclica del suo pontificato Giovanni XXIII citava, in tra-duzione italiana, un antico detto: «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas». La frase è stata spesso erroneamente attribuita ad Agostino, ma fa piuttosto parte di quella sapienza che passa di bocca in bocca, di pagina in pagina e diventa un po’ di tutti (studi recenti [Nellen, 1999] ne rintraccerebbero l’origine nell’arcivescovo di Spalato, Marco Anto-nio De Dominis, vissuto tra XVI e XVII secolo). Questo l’uso che ne fa il Papa, già intravedendo con gioia (gaudet mater ecclesia...) le possibilità che il Concilio avrebbe offerto:

«La Chiesa cattolica comanda di credere fedelmente e fermamente tutto ciò che è stato rivelato da Dio; quanto cioè si contiene nella sacra Scrittura e nella tradizione orale e scritta, e, nel decorso dei secoli, a cominciare dall’età apo-stolica, è stato sancito e definito dai sommi pontefici e dai legittimi concili ecu-menici. [...] Vi sono tuttavia non pochi punti sui quali la Chiesa cattolica lascia libertà di disputa ai teologi, in quanto si tratta di cose non del tutto certe e in quanto anche, come notava il celebre scrittore inglese cardinale John Henry Newman, tali dispute non rompono l’unità della Chiesa. Esse servono anzi a una più profonda e migliore intelligenza dei dogmi, poiché preparano e rendono più sicura la via a questa conoscenza. Infatti dal contrasto delle varie sentenze scaturisce sempre nuova luce.Ad ogni modo è sempre da tener presente quella bella e ben nota sentenza attribuita in diverse forme a diversi autori: nelle cose necessarie ci vuole l’uni-tà, in quelle dubbie la libertà, in tutte la carità».(Ad Petri cathedram - 29 giugno 1959).

È utile lasciar suonare il detto anche in latino, proprio perché in questo modo si può presentare, attraverso un’espressione “antica” e dunque attra-verso un atto di tradizione, una cosa importante: la comunione ecclesiale non può far a meno della carità, che si esprime sapientemente distinguendo fra questioni essenziali e non.

La gerarchia delle verità

Tale è l’orizzonte che viene ripreso e sviluppato nel decreto concilia-re dedicato all’ecumenismo (UR: unitatis redintegratio), che lo propone attraverso l’espressione «gerarchia delle verità»: proprio in ragione della conversione del cuore e del linguaggio, in ragione del necessario rigore

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nell’adesione di fede, è opportuno capire che non tutto sta sullo stesso piano. Questo uno dei passi fra i più noti e citati:

«Il modo e il metodo di enunziare la fede cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli. Bisogna assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina. Niente è più alieno dall’ecumenismo che quel falso irenismo, che altera la purezza della dottrina cattolica e ne oscura il senso genuino e preciso.Allo stesso tempo la fede cattolica va spiegata con maggior profondità ed esat-tezza, con un modo di esposizione e un linguaggio che possano essere compresi anche dai fratelli separati. Inoltre nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, fede-li alla dottrina della Chiesa, nell’investigare con i fratelli separati i divini miste-ri devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà.Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o “gerar-chia” nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto differen-te col fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più profon-da cognizione e più chiara manifestazione delle insondabili ricchezze di Cristo» (UR 11).

Non deve stupire il fatto che una questione così essenziale per la vita della Chiesa stessa sia esposta in un documento dedicato al dialogo ecume-nico: proprio dal confronto con le differenze siamo invitati non tanto “ad essere buoni” o peggio “ad adattare strategicamente” quanto crediamo, ma piuttosto a purificarlo come oro nel crogiuolo perché splenda il più possibile nella sua bellezza anche attraverso le modalità limitate e parziali con cui l’abbiamo accolto e onorato. Questo è precisamente il senso del titolo di que-ste note, che si ispira a un documento del 1998 redatto dalla Commissione teologica ecumenica “Fede e Costituzione”, di cui riportiamo qualche stral-cio in calce. Il confronto ecumenico è scuola esigente: di umanità rispettosa, innanzi tutto, e di fraterna carità, certamente; ma anche di paziente eserci-zio di discernimento perché nell’adesione di fede sempre meglio possiamo distinguere la Tradizione dalle tradizioni, legittime, ma secondarie.

Purificazione della memoria

Ormai circa dieci anni fa, il 12 marzo del 2000, nel corso del grande Giu-bileo Giovanni Paolo II ha espresso la richiesta di perdono della comunità ecclesiale, che era così convocata a una purificazione della memoria, nella forma esigente di un processo di conversione. Non solo l’evento nell’insieme ma anche le singole richieste di perdono sono importanti per quanto venia-

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mo dicendo. Certo in primo luogo ricordiamo quanto riguarda i metodi non evangelici nel” trasmettere”:

«Preghiamo perché ciascuno di noi, riconoscendo che anche uomini di Chiesa, in nome della fede e della morale, hanno talora fatto ricorso a metodi non evan-gelici nel pur doveroso impegno di difesa della verità, sappia imitare il Signore Gesù, mite e umile di cuore. Signore, Dio di tutti gli uomini, in certe epoche della storia i cristiani hanno talvolta accondisceso a metodi di intolleranza [...] Abbi misericordia dei tuoi figli peccatori e accogli il nostro proposito di cercare e promuovere la verità nella dolcezza della carità, ben sapendo che la verità non si impone che in virtù della stessa verità».

Come poi non ricordare che quella richiesta di perdono si estendeva anche alle discriminazioni nei confronti delle donne? Quanto la trasmissione del messaggio evangelico passi per mani e bocche femminili è cosa nota, che tuttavia non ha forse abbastanza spazio nella nostra riflessione e nel nostro stesso linguaggio, così “apparentemente neutro”.

E che dire, infine, della difesa della nostra pochezza culturale e della palese inospitalità attraverso il ricorso a pretese “nostre tradizioni”? Spe-riamo che presto si possa avere una seconda puntata di Per un paese soli-dale, dedicata questa volta a «Chiesa e questione settentrionale». Il tempo del discernimento sulle “nostre tradizioni”, infatti, è ormai maturo» (Un tesoro in vasi d’argilla, Evangelizzare 9/2010).

Le condizioni antropologiche: due decenni CEI

Le intuizioni principali dei documenti italiani che hanno interpretato il cambio di millennio e il suo primo decennio come una “conversione missio-naria” – accanto al testo principale, tre Note sull’iniziazione cristiana, Il volto missionario della parrocchia, la Nota pastorale sul primo annuncio e Rigenerati per una speranza viva, testimoni del grande sì di Dio all’uo-mo che ha ripreso i temi del Convegno ecclesiale di Verona – sono recente-mente ben riassunte da Biemmi attorno a due versanti:

«a) Il primo è plasticamente riassunto da una frase incisiva del docu-mento sul volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (n.6): “Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali” che va [...] inteso non solo come un momento preciso di ingresso alla fede, che precede l’iniziazione e la catechesi, ma anche e soprattutto come dimensione tra-sversale di ogni proposta pastorale, anche ai credenti.

b) La seconda prospettiva viene dal contributo determinante del conve-

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gno di Verona. Si tratta per ora di un’intuizione, ma che può divenire di por-tata fondamentale. La possiamo riassumere nell’espressione “dislocamento del Vangelo e dell’evangelizzazione nella loro dimensione secolare”.

Il Convegno di Verona, superando l’impostazione di una pastorale della cura fidei centrata sui tre compiti fondamentali dell’annuncio, della liturgia e della carità, invita a “partire dalla persona e dalla sua esigenza di unità,” (Torcivia) [...]. Questo dislocamento della proposta di fede dalla logica e organicità del contenuto alla logica e organicità dell’esistenza umana apre per la catechesi in prospettiva missionaria il tempo di una esigente e fecon-da riformulazione del suo contenuto, del suo metodo, del suo stile, in vista di una fedeltà al vangelo di sempre»9.

L’intuizione formulata nel Convegno di Verona è già di per sé una buona chiave di accesso al tema del decennio in corso10: il primato della persona nella sua concreta situazione dice dell’importanza della dimensione antropo-logica proprio nel cuore dell’annuncio dell’Evangelo. Per questo la comunità ecclesiale tutta è chiamata a farsi carico dell’azione educativa nei suoi vari aspetti (EVBV n. 25). Facendo certo attenzione a evitare un rischio conte-nuto nel tema stesso: la sua comprensione in senso regressivo, cioè l’idea di aver solo da insegnare e non essere invece parte implicata in un esigente processo di formazione.

Si potrebbe indicare la disposizione necessaria nel modo seguente: abi-tare il mondo con benevolente simpatia significa ritenerlo non meno degno del Vangelo delle altre epoche. Sarà difficoltoso, avremo da apprenderne – con rigore e criticità – linguaggi e forme, ma non basta l’apprendimento: senza questa disposizione benedicente vedremo solo problemi. Questo modo che “disprezza” e non raggiunge lo sguardo profondo della trasfigurazione assomiglia tanto a quella “cattiva tristezza” della cui strisciante tentazione

9 ENZO BIEMMI, La via italiana del cambiamento in La catechesi a un nuovo bivio? a cura di G. Ziviani - G. Barbon, Messaggero, Padova 2010, 74-75 [intero contributo pp. 65-89]. La “via italiana” è rappresentata dal permanere di una certa affezione e di una certa pratica cristiana, più accentuate che in altri contesti europei: questione da non sottovalutare, né nella sua possibilità di risorsa, né tuttavia nella profonda differenza dai decenni passati, in alcune regioni italiane specialmente ancora all’interno del “paradigma tridentino” [un paese, una parrocchia, un parroco]: proprio questa condizione un po’ “mista” merita l’annuncio del Vangelo.

10 Molti ormai i commenti al testo, fra gli altri: G. AMBROSIO, Educare alla vita buona del vangelo. Gli Orientamenti pastorali per il 2010-2020, in La Rivista del Clero Italiano 91(2010)11, 726-739; È ancora possibile educare?, Presbyteri 44(2010) 1, (numero monogra-fico); AA.VV, Educare alla vita buona del Vangelo: orientamenti per un decennio, Dossier in Orientamenti Pastorali 1/2011, 32-77.

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erano così avvertiti gli antichi monaci. Questa disposizione interiore è anche dono – della propria indole che dell’educazione a propria volta ricevuta, e carisma dello Spirito. Si può però verificare in quale atteggiamento ci poniamo, migliorarlo e aiutare altre/i a porsi nella stessa modalità, accom-pagnando la benevolenza/simpatia con criticità e rigore. Come afferma Duccio Demetrio

«L’educazione interiore [...] consiste nell’accendere i processi introspettivi e rievocativi intrinseci alle predisposizioni della mente e del sentimento, affinché non si lascino sommergere, snaturare, prevaricare da quelli improntati a este-riorità e esibizionismo, superficialità e egotismo»11.

Quello che mi sembra di grande interesse in questa prospettiva è che le caratteristiche sopra indicate hanno un’evidente portata politica, ma sono anche le dimensioni di cui si nutre ogni spiritualità, ogni spazio di preghie-ra, sia esso inteso come luogo aperto dallo Spirito per la scintilla della fede, sia anche inteso laicamente, come nella seguente pagina di Recalcati:

«Ho deciso, con il consenso di mia moglie, di insegnare ai miei figli che è ancora possibile pregare perché la preghiera preserva il luogo dell’Altro come irridu-cibile a quello dell’io. Per pregare – questo ho trasmesso ai miei figli – bisogna inginocchiarsi e ringraziare. Di fronte a chi? a quale Altro? Non so rispondere [...] Quando me lo chiedono pratichiamo insieme quello che resta della preghie-ra: preserviamo lo spazio del mistero, dell’impossibile, del non tutto, del con-fronto con l’inassimilabilità dell’Altro»12.

Ancora i portinai

Dunque possiamo pensarci non come cardini della Chiesa, ma appunto, come diceva Cirillo, persone che con mite fermezza aprono la porta: “siamo stati per voi portinai, abbiamo aperto la porta, vi abbiamo lasciato entra-re”. Ministero grande, che dice di una casa-chiesa col caminetto acceso, dove si entra volentieri. Che dice anche tanto di più, se nella porta aperta si spalanca la relazione con un Altro: fremito di responsabilità e di gioia, certo non ignoto.

11 DUCCIO DEMETRIO, Educare è conoscere se stessi, Evangelizzare 7/2011, p. 570. Molti sarebbero i contributi di Demetrio utili al nostro tema, solo come bibliografia minima riman-do a L’educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, La Nuova Italia, Milano, 2000; L’interiorità maschile. Le solitudini degli uomini, Raffaello Cortina, Milano 2010.

12 MASSIMO RECALCATI, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina, Milano 2011, 12.

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DocumentiL’unica Tradizione e le diverse tradizioni

32. L’espressione «l’unica Tradizione» designa la presenza redentrice del Cristo risorto di generazione in generazione, nella comunità dei cre-denti, mentre «le diverse tradizioni» rappresentano i vari modi e le varie manifestazioni di questa presenza. L’autorivelazione di Dio trascende tutte le forme in cui essa può trovare espressione. Come possono i cristiani e le Chiese partecipare al dono dell’unica Tradizione confessando la loro fede e vivendo secondo la Scrittura?

Come devono leggere le loro tradizioni particolari alla luce dell’uni-ca Tradizione? [...] La IV Conferenza mondiale di Fede e Costituzione ha affrontato la questione dell’ermeneutica in una prospettiva ecumenica, invitando le diverse tradizioni a riconoscere nell’unica Tradizione un dono di Dio. Il riconoscimento dell’unica Tradizione e il porsi in continuità rispetto a essa non devono tuttavia essere confusi con la semplice ripetizione del passato, che non tiene conto in alcun modo del presente. [...] Le Chiese di Dio in quanto comunità viventi, fondate sulla fede in Gesù Cristo e raffor-zate dallo Spirito Santo, devono ricevere in modo sempre nuovo il Vangelo, tenendo conto della loro attuale esperienza vissuta [...].

35. Le tradizioni possono essere trasmesse sia per via orale, sia in forma scritta. L’ermeneutica ecumenica – come ogni ermeneutica – è dunque un processo dinamico che ha a che fare non solo con fonti scritte, ma anche con la tradizione orale. Inoltre, oltre la tradizione scritta e orale, vi sono anche simboli non verbali attraverso i quali viene veicolato un significato: l’arte e la musica di ispirazione cristiana, i gesti e i colori della liturgia, le icone, la creazione e l’utilizzazione di spazi e di tempi consacrati, i simboli e i segni di riconoscimento cristiani sono tutti aspetti importanti del modo in cui le Chiese in dialogo concepiscono e comunicano la fede [...].

38. Le comunità cristiane vivono in luoghi e tempi particolari, ben defi-niti sotto il profilo culturale, economico, politico e religioso. È in questi contesti che la loro fede viene vissuta e il Vangelo interpretato e annunciato. L’eterogeneità dei contesti in cui le Chiese si trovano a vivere richiede una presa in carico della molteplicità di ricchezze proprie della Scrittura [...].

39. Ciò implica un’apertura verso la metanoia. Questo atteggiamento di apertura include anche una disponibilità a riconoscere i limiti della propria pro-spettiva, come pure a porsi in ascolto degli interlocutori e a comunicare con loro.

(COMMISSIONE FEDE E COSTITUZIONE, Un tesoro in vasi d’argilla, EO VII, EDB, Bologna 2006, nn. 3157-3228; cfr. «Il regno-documenti» 3/2000,117-126).

Dei Verbum 8-9

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La sacra tradizione

8. Pertanto la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva esser conservata con una successione ininterrotta fino alla fine dei tempi. Gli apostoli perciò, trasmettendo ciò che essi stessi avevano ricevuto, ammoniscono i fedeli ad attenersi alle tradizioni che ave-vano appreso sia a voce che per iscritto (cfr. 2Ts 2,15), e di combattere per quella fede che era stata ad essi trasmessa una volta per sempre. Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla con-dotta santa del popolo di Dio e all’incremento della fede; così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede.

Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intel-ligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende inces-santemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a com-pimento le parole di Dio.

Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di que-sta Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega. È questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l’intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture. Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, intro-duce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr. Col 3,16).

Relazioni tra la Scrittura e la Tradizione

9. La sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro.

Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse forma-no in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione

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dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integral-mente la parola di Dio – affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli – ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l’una e l’altra devono essere accet-tate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza.

IL MAGISTERO VIVO DELLA CHIESA OSSIA LA CURA PER LA TESTIMONIANZA DELLA FEDELezione tenuta dal prof. don Giampietro Ziviani, docente alla Facoltà del Triveneto – “Scuola del lunedì”, 14 novembre 2011

1. L’antiromano che è in noi

Nel 1974 H. U. Von Balthasar pubblicava un piccolo opuscolo, scritto in due mesi, dal 15 ottobre al 15 dicembre: Il complesso antiromano1, nel quale il teologo svizzero cercava di fondare biblicamente il papato integran-dolo nel ministero complessivo della Chiesa. Gli stava a cuore difendere Paolo VI dalle accuse rivoltegli dopo il concilio. Per questo parte dal feno-meno della resistenza a Roma e all’istituzione centrale della Chiesa che gli sembrava evidente in quegli anni.

Citava F. Nietzsche ne La Gaia scienza, che metteva in opposizione lo spirito mediterraneo del sud Europa con quello tedesco del nord Europa, affermando: “L’architettura della Chiesa gravita sempre su una libertà e liberalità di spirito meridionali... gravita sopra una conoscenza dell’uomo, un’esperienza dell’uomo, interamente diverse da quelle che il nord possie-de”2. Secondo Von Balthasar dunque, le ragioni del sentimento di opposizio-ne a Roma, che il cristianesimo aveva assunto e quindi il conseguente rifiuto del papato, stavano in questa diversità “mediterranea” di Roma. Una let-tura nietszchiana che oggi giudicheremmo forse un po’ leghista. Ma ciò che

1 H.U. VON BALTHASAR, Il complesso antiromano. Come integrare il papato nella Chie-sa universale, Queriniana, Brescia 1974.

2 F. NIETZSCHE, La gaia scienza, §358, Adelphi Edizioni, Milano 1965,231-232.

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preoccupava Von Balthasar rimane attuale: “che il sentimento antiromano debba essere descritto in misura crescente come uno stato d’animo normale all’interno della catholica” e ciò proprio dopo il Vaticano II, nel quale è stata riconosciuta la posizione di preminenza al popolo di Dio mentre è stato trat-to fuori dal suo isolamento e reinserito nella collegialità dei vescovi3.

A distanza di quasi 40 anni da quel saggio e 50 dal concilio credo che possiamo dire con tranquillità che quel sentimento si è installato in noi. Dichiariamo apertamente il nostro fastidio o la nostra sufficiente indiffe-renza verso Roma (ladrona o meno) e verso l’istituzione senza più drammi, senza andare in crisi nella nostra fede, complice quella della nostra gente che è ben disposta a farci partecipi del loro sereno soggettivismo se appena ci smarchiamo da questa pesante rappresentanza:

“Lei mi piace, non sembra neanche un prete”. È un complimento gra-tificante, che contiene un’idea sbagliata di Chiesa, ma che ci piace. Allora siamo tentati di fare come quei parlamentari che oggi sono al governo e domani sulla piazza. Giochiamo a scacchi ora coi bianchi e ora coi neri, a seconda di chi sta vincendo. Dobbiamo ammettere che qualcosa di anti-istituzionale è entrato anche in noi; quel processo iniziato con la diffusione della cultura e della ricchezza che ha portato alla destabilizzazione dell’au-torità e alla messa in discussione di ogni struttura sociale negli anni dal ‘65 all’‘80 ora è stato assorbito tanto dal corpo sociale come da quello ecclesiale moderandosi nei suoi toni, ma diffondendosi a macchia d’olio in ogni dire-zione nella società divenuta liquida. Qualcuno ricorda studenti sfilare in quegli anni citando B. Brecht: “chiamano violento il fiume impetuoso. Ma le sponde che lo comprimono, nessuno le chiama violente”. Chi oggi sottoscri-verebbe una affermazione come questa? Certamente non i nostri giovani. L’ho trovata solo in un sito di ultras del calcio, ma l’antipolitica, l’antiautori-tarismo o magari soltanto l’antipatia per i potenti sono entrati in noi, spesso percorrendo la via sottile dell’invidia e dobbiamo riconoscere che ormai ci appartengono. Sarà che siamo meridionali rispetto all’europa, come dice Nietszche, sarà la realtà stessa che ci impedisce di riconoscere figure ina-deguate di autorità. Dobbiamo camminare con le nostre gambe e scopriamo che questo ha anche i suoi vantaggi. Senza alcuna nostalgia per i “cattivi maestri”, fingiamo di piangere le ideologie e i temi impegnati, ma in realtà ci muoviamo più liberi in una società senza padri; recitiamo da protagonisti tutti i ruoli in partita, imparando da soli la vita.

Che cosa è rimasto di quella rivoluzione che è costata così tanto in ter-mini di coscienze e di vite turbate? Penso a tutti coloro che hanno lasciato il

3 Cfr. H.U. VON BALTHASAR, Il complesso antiromano, 29.

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ministero in quegli anni o alle esperienze più di frontiera, che oggi andreb-bero almeno raccontate alle nuove generazioni di preti che se andranno in fabbrica, sarà solo per benedirne una, possibilmente di paramenti.

In quegli anni tutto era stato rifatto – come nota Von Balthasar: concilio e teologia. Mentre la teologia argomentava, il magistero aveva continuato a definire, secondo la classica ripartizione dei compiti. Oggi nessuna autorità, magistero compreso, può permettersi di non argomentare: viene immedia-tamente rifiutata come impositiva e illiberale. Ognuno deve conquistarsi sul campo la sua credibilità: davanti alla fede dei cristiani, ai dubbi dei non cristiani, all’indifferenza degli agnostici, all’astio degli atei più rabbiosi. La pastoralità diventa una scelta obbligata.

2. Cura per la dottrina e la sua integrità

Se avessimo affrontato il tema del magistero prima del concilio, o negli anni immediatamente successivi, avremmo parlato del compito dei vescovi di custodire l’integrità della fede e la genuinità della dottrina, ci saremmo sof-fermati sulla portata da dare alle affermazioni dogmatiche e inevitabilmente saremmo finiti a parlare dell’infallibilità papale. Il dibattito intorno a “Infal-libile?” di H. Kung, successivo e conseguente alla sua proposta ecclesiologi-ca (La Chiesa è del 1965, Infallibile? è del 1970) dice che c’è stato bisogno anche dopo il concilio di affrontare il tema, mettendo in rapporto l’infallibili-tà pontificia con l’indefettibilità di tutta la Chiesa e le definizioni del Vaticano I con quelle riguardanti la collegialità episcopale del Vaticano II.

Su questo aspetto dottrinale io non vorrei insistere, perché credo che sia abbastanza scavato dalla teologia e forse non immediatamente dedicato al nostro interesse. Con il concilio infatti si pone un altro problema: quello di un magistero che non è più dogmatico nel senso inteso precedentemen-te, ma si muove con esposizione piana della dottrina e senza condanne. I suoi testi sono: tre costituzioni dogmatiche, una pastorale, il resto decreti e dichiarazioni. Infatti deve precisare subito quale valore veritativo essi hanno, ma soprattutto il problema riguarda il dopo: tutto il magistero pastorale che i vescovi hanno prodotto dal concilio in poi, singolarmente o in modo collegiale (conferenze episcopali nazionali o regionali)4. La questio-

4 In realtà già su alcuni interventi magisteriali precedenti il Concilio è aperta la que-stione dell’infallibilità, si pensi ad esempio al Sillabo di Pio IX o ai primi testi della dottrina sociale della Chiesa. Sulla qualificazione dogmatica dei documenti conciliari cfr. F.A. SULLI-VAN, Capire e interpretare il Magistero. Una fedeltà creativa, EDB, Bologna 1996,192-196; W. KASPER, Teologia e Chiesa, Queriniana, Brescia 1989, 302-312.

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ne della qualificazione dogmatica rimane ed è interessante, perché implica anche il tipo e il grado di adesione che noi dobbiamo dare a questi testi e alle loro indicazioni, ma ultimamente non è quella che vorrei approfondire.

Oggi non dovrebbe più stupire nessuno la considerazione che vi sia un avanzamento nella verità e che le nuove acquisizioni teologiche o scientifi-che muovano il magistero a cambiare le proprie posizioni, come è avvenuto ad esempio con le scienze bibliche all’inizio del secolo. Le prime “storie dei dogmi” risalgono solo alla fine dell’800, ma oggi riconosciamo pacificamente che c’è un progresso nella comprensione della verità e nella formulazio-ne di essa. Chi si stupisce di questo di solito proviene da studi giuridici e concepisce la fedeltà alla tradizione – magari identificata con un segmento – come immutabilità, ripetizione obbligata delle medesime posizioni con le stesse parole. Anche per quanto riguarda i valori dell’uomo e della società è evidente che essi dipendono dall’autocomprensione dell’uomo stesso, in un determinato contesto storico e sociale. Basti pensare al cambiamento di posizione del magistero riguardo al tema della libertà religiosa.

Da ultimo vi sono quelle verità che non appartengono direttamente alla Rivelazione, ma sono ad esse connesse. Anche qui è facile vedere un approfondimento nella comprensione, che spesso non è altro che la ricerca del loro senso originario5. Potremmo dire che magistero e teologia lavorano assieme per questo continuo approfondimento del Vangelo che, non dobbia-mo dimenticarlo, comporta un elemento specifico della vita ecclesiale che non è richiesto invece dal semplice scientifico, ossia la conversione. La Chie-sa non avanza da una verità ad una maggiore senza che vi sia un passaggio, una conversione, che coinvolge anche il magistero dottrinale: riconosciamo di non avere indagato alcuni punti, o di averli considerati male, o di averli vissuti in modo non conforme al vangelo. Dobbiamo scusarci se questo è avvenuto. Ecco il lavoro ecumenico, come ripeteva papa Giovanni nel cele-bre discorso di apertura conciliare: “non è la verità che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderla meglio”. La fedeltà al Vangelo, il dovere di custodia della fede, richiede anche che si riconosca quando esso ha cessato di essere buona notizia ed è divenuto errore o ideologia.

Lascio da parte il carisma di insegnamento dei vescovi e la dottrina circa l’infallibilità che do per scontato non perché esso non sia più vero, ma perché – e lo scarso dibattito teologico attuale lo conferma – all’interno

5 Penso, ad esempio, all’espressione patristica Extra ecclesiam nulla salus, divenuta esclusivista durante il medioevo e oggi compresa come affermazione della verità della Chiesa cattolica, ma non a scapito della Ecclesia Christi, che ha numerosi e validi elementi di verità e santificazione anche al di fuori della realizzazione cattolica (LG 8).

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della Chiesa esso non costituisce problema; semmai il problema è costituito dal modo di esercizio del ruolo magisteriale, dal modo in cui l’autorità viene gestita e condivisa, dai rapporti tra i corpi ecclesiali che – nonostante la fine della distinzione tra Chiesa docente e Chiesa discente – rimangono ancora separati.

Così pure non mi pongo la questione del rapporto tra magistero e teo-logia, che è molto feconda perché in radice contiene un problema di libertà, ma che ora qui mi sembra non interessi6. Mi fermo invece su tre aspetti che mi sembrano maggiormente specificare il tema assegnatomi in questo pas-saggio storico che stiamo vivendo nelle nostre chiese europee, e adattarsi maggiormente al tipo di interventi che i vescovi usualmente fanno nel loro carisma di insegnamento. Come il magistero oggi esercita la sua cura pasto-rale nei confronti della fede? Indico tre specifiche.

Nel discorso citato infatti, papa Giovanni parla di un magistero “cuius indoles praesertim pastoralis est”. Per lui non c’è contraddizione tra magi-stero dottrinale e magistero pastorale, ma è l’urgenza dei tempi a rendere più attuale il secondo; per precisare e approfondire la dottrina – egli dice – “non c’era bisogno di un concilio”. Papa Giovanni si spinge anche oltre: dopo aver formulato la distinzione tra sostanza della verità e suo rivestimento storico, afferma che “gli uomini da se stessi sembrano propensi a condan-nare gli errori (per se ipsi ea damnare incipere videantur) ed in specie quei costumi di vita che disprezzano Dio e la sua legge, la eccessiva fiducia nei progressi della tecnica, il benessere fondato sulle agiatezze della vita”. T. Citrini conclude: “L’analisi sembra di un ingenuo ottimismo; ma non vi è alcuna evidenza che si siano trovate vie pastoralmente più convincenti di quella indicata da Giovanni XXIII per offrire il vangelo in maniera che real-mente ne favorisca l’efficacia per la salvezza”7.

3. Cura per il vuoto come spazio accessibile a tutti

Il primo compito (il secondo dopo quello dottrinale) richiesto al magi-stero in ordine alla fede è quello di custodirne lo spazio, garantire che essa possa trovare espressione personale e pubblica, che possa venire annuncia-ta e testimoniata da tutti i credenti, senza alcun privilegio. Questo comporta quindi che non vi siano dei protagonisti invadenti, che rivendicano primo-

6 Cfr. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. sulla vocazione ecclesiale del teologo, (24.5.90) e numerosi interventi anche recenti di papa Bendetto XVI sul ruolo della teologia.

7 T. CITRINI, A proposito dell’indole pastorale del magistero, Teol. 1990,134.

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geniture sugli spazi di vita cristiana, a scapito di altri che vivono la fede come dei senza fìssa dimora. Sto parlando di singoli, ma anche di gruppi, di comunità. Il carisma dell’episkopè, della custodia, implica a mio avviso anche questo aspetto di ordine, di garanzia nei confronti di tutti, perché fin dai suoi esordi patristici esso doveva misurarsi con il rischio che la comunità finisse in mano ad alcuni: in principio erano gli eretici, nei secoli succes-sivi semplicemente dei vicari, dei legati di principi o di altri vescovi che si appropriavano del governo della Chiesa locale. Occupavano il ruolo lasciato vacante dal vescovo, che non risiedeva, e ne concedevano i benefici ai loro protetti8. Oggi il problema si pone nei termini del rapporto Chiesa-stato, ma anche in quelli, più intraecclesiali, del dovere magisteriale di garantire il vuoto ecclesiale a favore di Cristo, proteggendosi dall’autoreferenzialità.

Cristo non può essere solo il primo capitolo di un documento che poi per gli altri nove parla di noi e dei nostri problemi, e neppure solo una icona biblica ispirativa. La fede ecclesiale ha come suo contenuto il Cristo, annunciato e confessato, e perché ciò appaia in modo brillante occorre spazzare via tutto il resto, o metterlo alla distanza dovuta. Custodire il vuoto rispetto alla fede in Cristo significa forse non formulare la proposta in termini di domanda-risposta (o addirittura solo di risposta a domande mai poste), ma anche solo di invito all’interiorità, di abbattimento degli idoli vani, di proposta di un dono che si affida alla libertà dei singoli. Le Sum-mae teologiche sono state già scritte, a gran parte dei problemi moderni sono state date abbondanti indicazioni, ora bisogna trovare quel respiro riposante che faccia venire voglia di conoscere tutto questo. È la sindrome del web: tutto è già disponibile, tutto è comodo e raggiungibile, dunque non cerco, non ricordo.

Certamente non si possono produrre documenti bianchi, ma si potrebbe evitare di scriverli, trovare forme nuove per comunicare o semplicemente scrivere rimandando ad altro di già detto. Tutto il De magistro di Agostino, gli insegnamenti dati a suo figlio sedicenne, non sono altro che un riman-do al Maestro interiore, che Agostino colloca nel cuore di ciascun uomo. Il ragazzo gli confessa spesso: “ieri non avevo capito, ma poi ci ho pensato nel silenzio e lentamente ho capito”. Lo spazio vuoto del silenzio. Cristo potreb-be trovarlo invaso anche dalle nostre parole, benché pronunciate a fin di bene o nel suo nome.

Custodire lo spazio della fede significa anche mantenere alla Chiesa la sua forma di popolo, nel quale tutti hanno diritto di cittadinanza. Per farlo

8 Cfr. H. JEDIN, Il tipo ideale di vescovo secondo la riforma cattolica, Morcelliana, Bre-scia 1950.

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bisogna armonizzare i diversi carismi, le sensibilità ed i livelli formativi per non fare una comunità dei perfetti, o a contrario livellarla verso il basso. Questo non vuoi dire tacere o mettere tutti a tacere, anzi il contrario: tutti hanno bisogno di proposte, tanto i più avanzati quanto quelli che sono appe-na entrati: tutti hanno qualcosa da dire e da dare, si tratta di fare in modo che nessuno prevarichi sugli altri e che vi sia sempre una sedia vuota per l’ospite inatteso, o per colui che desidereremmo tanto fosse con noi (a tutti noi è capitato dì arrivare un po’ in ritardo e rimanere in piedi tutta la riunio-ne). Anche nella coscienza di elezione del popolo di Israele compare la figu-ra dello straniero, che protegge dalla tentazione dell’esclusivismo: “siamo noi, bastiamo a noi stessi, abbiamo già abbastanza problemi”. Questo non è vero: vorremmo avere più problemi se questo significasse avere chiese più ricche, maggiori espressioni di fede, più gente che si espone, che rappre-senta, annuncia, serve. Le comunità paoline abbondano di carismi, ma si capisce chiaramente che vi sono tensioni: la gran parte delle preoccupazioni dell’Apostolo è metterli in ordine, selezionare quelli che servono all’edifica del corpo, anche se questo significa mortificare altri, che forse sono solo per la crescita personale. Quasi tutte le lettere paoline sono causate da comuni-tà problematiche.

In radice si tratta del rapporto tra autorità e libertà, tra depositum della fede che non basta custodire puro da ogni contaminazione, ma deve incontrare, incuriosire, provocare la libertà umana. Dopo secoli di attenzio-ne all’oggetto oggi anche le scienze e le teorie della conoscenza si sono spo-state sul soggetto: è lui che ci interessa ed è rispetto a lui che ci muoviamo. Nessuno accetta di non essere protagonista della propria fede. In questo senso il Concilio ha rappresentato una vera novità affermando che tutti gli uomini nel credere e nel vivere la propria fede sono liberi da costrizioni esercitate da altri uomini o gruppi (DH 2). All’interno della Chiesa nessuno può avere il diritto di disporre della fede altrui, nessuna autorità religiosa può obbligare a credere o denunciare presso qualche tribunale chi si rifiuti di farlo. Nello spazio reso vuoto da condizionamenti e idolatrie, svuotato perfino dai simulacri di noi stessi, dalle preoccupazioni verso il contenuto e dalle precomprensioni verso il destinatario può avvenire l’incontro di fede. La limpidezza e la forza del Vangelo esige che noi stiamo al nostro posto, che sappiamo comparire al momento giusto (eunuco in At), come pure farci da parte quando la Parola cresce da sola.

Il magistero pastorale sembra aver preso coscienza dell’attualità anche di questo suo compito profetico che potrebbe però diventare un alibi per molti laici, che attendono l’esposizione dei vescovi per accodarsi o per criti-care. Anche per questo bisogna custodire lo spazio vuoto: perché le persone

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arrischino il proprio personale confronto con il vangelo. Nello spazio comu-ne cresce il dibattito, si anima un confronto, si possono anche sfiorare delle tensioni, ma è più facile che esse crescano quando qualcuno lo occupa per delega, come teologo di corte o legato dell’autorità. Essa saprà intervenire in modo materno – e non maternalistico –, davanti agli errori, lasciando che gli adulti crescano senza troppa paura che si facciano male. Nello spazio vuoto – che potrebbero essere dei precisi luoghi di confronto, come Verona auspicava – si costruisce la comunità, cominciando a creare un posto per tutti, stimolando chi possiede dei doni a condividerli e richiamando chi pre-tende i posti migliori, occupati magari senza donare molto. C’è sempre il rischio che qualcuno si consideri più di altri di essere il figlio del padrone. Proprio per questo occorre un magistero che impedisca la prevaricazione, che non si consideri esauriente in ogni ambito e momento, che non tema il dibattito e l’opinione pubblica. Ci fanno da conferma negativa i conflit-ti interni affiorati in modo pubblico (recente lettera dei parroci AU) ma anche la fatica di concepire il dissenso, la mancanza di luoghi di dibattito, un modello che prevede la comunione non come risultato di un processo dialettico, ma come punto già di partenza e quindi tacito assenso su ogni indicazione e costante delega decisionale. Non ci siamo ancora liberati dal gioco prospettico che sembra allineare i tre passaggi successivi distinti, illudendoci che quando una verità è affermata (magistero dogmatico) o una indicazione pastorale è data, essa sia automaticamente compresa (secondo passaggio) e creduta o messa in opera (terzo passaggio).

Le esortazioni apostoliche postsinodali, le note pastorali susseguenti i vari Convegni ecclesiali sono esempi di un magistero più sinodale e meno interventista, che possono fornire qualche suggerimento di metodo, oltre ad un atteggiamento di costante vigilanza, che è di tutti, ma appartiene proprio per statuto all’episcopo, il sorvegliante appunto.

Ma non è nemmeno chiesto al magistero di trasformarsi in manager pastorale, in stratega che inventa nuove ripartizioni millimetriche dei com-piti tra laici e presbiteri, per vedere se, in un determinato territorio, ci sta meglio una unità pastorale o una comunità. Rimane per il pastore il compito di stare con il gregge e di condividere, ascoltare, gettare insieme lo sguardo del vangelo sulle realtà del presente. Aver cura per il vuoto significa con-dividere un’utopia e provare a realizzarla, creare lo spazio dove si possa vivere una comunione vera, costruita sulla vita delle persone e radicata nell’amore di Dio.

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BIBLIOGRAFIA

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F.A. SULLIVAN, Capire e interpretare il Magistero. Una fedeltà creativa, EDB, Bologna 1996

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mento al Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2005.C. THEOBALD, Trasmettere un vangelo di libertà, EDB, Bologna 2001.

TESTIMONIARE LA FEDE NEL QUADRO PLURALISTICO DELLE RELIGIONILezione tenuta dal prof. don Giuliano Zatti, docente presso la Facoltà del Triveneto – “Scuola del lunedì”, 21 novembre 2011

Pensando a questo incontro, mi è venuto un grappolo di pensieri che vi presento, senza la pretesa di dire cose nuove. Casualmente, ho visto la mia riflessione costruirsi attorno a quattro verbi: guardare, incontrare, pensare la fede, saper fare.

Guardare

Siamo stati abituati a identificare le persone in base ad alcune carat-teristiche comuni (lingua, cultura, religione, etnia), o anche al luogo in cui abitavano. I grandi processi migratori avevano già messo in causa questi riferimenti, senza però provocare problemi di difficile soluzione, soprattutto perché vi era una certa affinità tra gli emigranti, che ritrovavano nei Paesi di emigrazione alcune di quelle caratteristiche comuni cui si è fatto cenno. Oggi la situazione si è complicata: la diversificazione religiosa non costitu-isce di certo una tappa provvisoria della vicenda umana e le soluzioni non sono sempre dietro l’angolo.

In passato, ad esempio – ma la tentazione è ricorrente – si erano sem-

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plificate le questioni adottando un certo criterio identitario: ricorderete che in Europa la rottura dell’unità religiosa, determinata dalle divisioni interne del secolo XVI, aveva prodotto intolleranze e persecuzioni. Si pensò, quindi, ad una soluzione adottando la regola del cuius regio eius religio (pace di Augusta, 1555): “ciascuno stia o vada nel Paese in cui si pratica la religione di cui si sente figlio”. In qualche modo era la credenza religiosa che deter-minava la propria identità.

Sottovoce, ricordo che uno dei problemi che imputiamo alla tradizione islamica è proprio quella di aver fatto della fede un fattore di cittadinanza, che, come tale, include alcuni ed esclude altri dalla vita pubblica e sociale.

Ci siamo poi accorti, lentamente, che non sono la lingua, la nazione, la cultura, nemmeno la stessa religione, a individuare l’identità: questa appare sempre più come il risultato di una pluralità di riferimenti, di forme cultu-rali complesse. Io divento le persone che incontro, divento le loro parole, divento i loro percorsi. Un eccessivo riferimento all’elemento identitario unico ha prodotto conseguenze devastanti.

1. Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, le singole regioni hanno finito per tro-vare nell’appartenenza religiosa la propria identità, espellendo quindi o perse-guitando le minoranze religiose presenti in un Paese che tendeva ad affermare l’unità anche religiosa.2. È sempre viva la questione della cosiddetta “religione civile” che tende a rinsaldare la coesione della comunità, con un richiamo esplicito ai valori tradi-zionali e con la restituzione alle Chiese della centralità perduta, nel tentativo di individuare un fondamento etico condiviso.3. Vi è anche la tendenza ad affermare la superiorità del proprio modello socia-le, ammantando di religiosità rivendicazioni in primo luogo economiche e sociali e tutelando privilegi, considerati irrinunciabili, per rispondere al bisogno di sicurezza di fronte alla paura che ingenera tutto ciò che è altro, diverso, nuovo.4. A causa dei processi di secolarizzazione che hanno segnato la storia recente di vari Paesi europei, si è acceso il dibattito sul senso dei riferimenti religiosi nelle leggi e nelle costituzioni, di cui è stata elemento emblematico la discussio-ne sull’eventuale richiamo alle radici cristiane dell’Europa da inserire nel testo della Costituzione europea.

A noi non serve ridare volto a un cristianesimo forte per evitare che il suo indebolimento finisca per sfibrare l’Occidente, come se i due fossero scambiabili e consustanziali. Il cristianesimo è «differente», è altra cosa.

Un cristianesimo in prospettiva “forte” e reattiva avrebbe ripercussioni molto particolari sull’annuncio cristiano, sulla testimonianza serena e disar-mata, sull’inculturazione del cristianesimo, sulle Chiese locali. A noi spetta la sfida di capire quanto Dio va dicendo in questo particolare spaccato della

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nostra storia, mentre ci troviamo di fronte al più grande movimento di con-vergenza che la storia conosca. Ci accorgiamo anche, con un certo disincan-to, che forse nelle religioni, più che altrove, diventano evidenti le contraddi-zioni del processo e gli ostacoli da superare: ogni religione, infatti, tende a porsi su un piano di unicità, a considerarsi l’unica autentica manifestazione dell’assoluto, la sola depositaria della verità. La pretesa è legittima, fino a che non si mettono in moto meccanismi distorti. Dal punto di vista della pura osservazione dei fatti si potrebbe osservare che le religioni parlano di Dio, ma nel suo nome diventano anche un possibile motivo di divisione. Quali conclusioni o quali avvertimenti trarne?

Incontrare

Ieri non ci capitava: oggi incontriamo credenti di altra religione. Con loro riusciamo a instaurare un minimo di relazione. Qualche volta non cer-chiamo affatto le relazioni. In ogni caso, quando incontro un musulmano o un buddista, non dovrei pormi prima di tutto il problema del confronto fra la sua dottrina, il suo progetto morale di vita, il suo modo di pregare e quanto, invece, sento appartenermi. L’unico problema da affrontare quan-do incontro qualcuno di altra fede è quello di rapportarsi fraternamente: “bisogna avere a che fare sul serio con le persone con cui si ha a che fare”. Se poi, proseguendo la conversazione e la frequentazione di vita, il discorso si dirigesse sulle dottrine, sulle pratiche del culto o sull’esperienza di fede, allora si aprirà un nuovo e diverso capitolo. Ma il primo capitolo della storia sarà sempre quello che tratta della comune umanità. Viviamo accanto, con-dividiamo la crisi, crediamo in Dio, abbiamo voglia di parlarne.

L’incontro fra le persone, le occasioni di vita comune con le loro emo-zioni, le amicizie che si intrecciano al di là delle differenze, tutto questo è dono di Dio e là dove il cristiano scorge la fioritura dell’amore, egli sa che lo Spirito Santo è passato seminando la grazia di Cristo. Da questo fondo di comune umanità si dipartono poi le differenze fra le religioni storiche, che hanno una ricaduta nella storia quando prendono forma in dottrine e progetti di vita, intorno ai quali si coagulano forze umane che a volte risul-tano imponenti. Si pensi cosa ha significato per la storia lo strutturarsi della Chiesa cristiana o la umma dei musulmani. Su questi fenomeni, allora, non possono mancare giudizi di valore, sia sul piano della verità di Dio che su quello del carattere benefico o nefasto di questa o quella impostazione di vita individuale e collettiva, su una dottrina o una pratica. Ciò che non bisognerebbe mai dimenticare, però, è che al di sotto di tutto questo stanno

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persone in carne e ossa con tutta la ricchezza della loro umanità e che la comune umanità è il primo luogo in cui Dio si rivela, visto che egli ha cre-ato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Durante il Vaticano II, pensate alla Nostra Aetate, la Chiesa stessa si è resa conto di non poter più trarre dalla propria coscienza di verità e unicità motivi o pretesti per introdurre discriminazioni tra gli uomini. Abbiamo preso consapevolezza di quanto fosse importante promuovere la persona umana, i suoi valori e quindi anche i valori autentici delle culture e delle religioni. La “comune umanità” è una buona risorsa, da spendere bene.

Nella parabola del “buon samaritano” (Luca 10,25-37), additando l’esempio del samaritano che, a differenza del sacerdote e del levita, presta un concreto aiuto al ferito, si stabilisce che l’unica cosa che davvero conta non è individuare chi sia il mio prossimo bensì farsi prossimo a chi è nel bisogno. Nella parabola evangelica, colui che scende da Gerusalemme a Gerico ed è sopraffatto dalla violenza banditesca non è connotato né come giudeo, né come samaritano, né come greco o in un qualunque altro modo identitario, bensì semplicemente come «un uomo». Questa qualifica rende evidente sia quanto tutti ci accomuna, l’essere uomini, sia lo “scarto della differenza” presente in modo irriducibile in una situazione in cui da un lato si trova colui che può solo venir soccorso e dall’altro si trovano coloro che possono prestar aiuto. E non a caso sono pro-prio questi ultimi, sacerdote, levita, samaritano, a essere presentati in termini identitari e confessionali. Davanti a ogni uomo ferito nella carne o nello spirito è richiesto non di preoccuparsi in prima istanza delle proprie identità confessio-nali, bensì di farsi prossimo. Allorché i membri delle varie comunità religiose si trovano a camminare sulla strada che scende da Gerusalemme a Gerico (cioè dalla città contraddistinta da un grado massimo – e plurimo – di “identità reli-giosa” a una località assai meno connotata in senso sacrale), devono in un certo senso trovare in se stessi qualcosa che consenta loro di non esasperare i temi identitari.

Ci potremmo anche chiedere se la presenza di altri credenti non ci stia consegnando qualcosa che non è ancora garantito dal modo attuale di incar-nare la fede in Cristo; oppure se non ci venga chiesta una inusitata capacità a leggere l’azione di Dio nella tradizione religiosa altrui e nei vertici mistici che essa permette; o magari l’umiltà di tornare a pronunciare il nome di Dio con più dignità … Ecco perché ci è data la possibilità di ritrovare noi stessi andando verso altri. Incontrando.

Pensare la fede

Oggi la fede finisce con l’essere solo una possibilità davanti ad altre

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possibilità: la mia fede e la fede degli altri; la mia visione delle cose, addi-rittura, può essere molto distante dalla visione di coloro che decidono di non affidarsi a Dio. Chi ha ragione? La fede non è più “normale”. Come leggere la situazione? Potrebbero qui sorgere due atteggiamenti antitetici: quello di ritenere, alla lunga, che Gesù sia solo uno fra molti altri, sia cioè un “nome di Dio” che si può tranquillamente far convivere con altri nomi; oppure quello di arroccarsi e pensare che Gesù salvi solo i cristiani e che ciò che Gesù ha detto, fatto e rivelato non riguardi in alcun modo chi non crede o chi appartiene ad altre religioni. In un caso e nell’altro, ci torna utile recu-perare qualche buona idea.

Già all’inizio degli anni ‘70 il teologo J. Ratzinger scriveva: «Il rapporto del cristianesimo con le religioni del mondo è divenuto oggi una necessità all’interno della fede». L’eventuale nostro interesse si posa su due piani distinti: uno ad intra, con gli interrogativi che il cristiano si pone di fronte alle varie religioni; l’altro ad extra: qui il cristiano, con la sua identità e tra-dizione, incontra gli altri cercando di instaurare un dialogo interculturale e interreligioso.

Per il primo ambito, mi viene da pensare a quel dialogo “intrareligioso”, estremamente importante, di cui parlava R. Panikkar: l’incontro con altri credenti mi rimanda al dialogo che ho con me stesso, con la mia interiorità e con la mia fede, ma anche al dialogo interno ad una comunità religiosa che prende visione delle circostanze, degli obiettivi, delle fatiche. Pensiamo a noi, al cospetto di noi stessi, anche per vedere come ci muoviamo, come rispondia-mo, quali resistenze proviamo, nello stare dentro le attuali vicende interreli-giose. O abbiamo forse paura che questa curiositas ci cambi la fede?

Per il secondo ambito, il dialogo ad extra, viene spontaneo porre, appun-to, la “questione” che gli altri sono: perché la loro differenza? Quali sono le intenzioni di Dio riguardo alle religioni? Qui tornano, inevitabili, le domande su cui lavora la ricerca teologica, relative alla questione della verità e della salvezza, alla questione cristologica (con i tratti dell’unicità e universalità della fede cristiana, una fede trinitaria). Qui tornano, pure, gli approfondi-menti e le chiarificazioni in merito all’annuncio e al dialogo.

Prendo qualche piccolo esempio, per questo secondo versante.Gesù ha valorizzato molto l’implicito della fede degli altri: «Va’, la tua

fede ti ha salvato». Di quale fede sta parlando Gesù? Di una fede costruita? Di una fede intuita? Di un abbandono a lui appena sufficiente per …? Io non posso non sentire nell’invito di Gesù lo stimolo a riconoscere il bene silen-zioso, il profumo degli atteggiamenti belli, la discreta rettitudine che uomini e donne cercano quotidianamente di costruire. Allo stesso tempo, avverto tutta la responsabilità di una fede precisa che viene messa nelle mie mani,

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attende di essere detta e, di certo, non mi mette al sicuro, perché la salvezza dipende dalla risposta che ognuno intende dare allo Spirito di Dio, lo stesso Spirito che nella storia suscita le differenze. A volte mi metto a pensare: non sono capace di grandi pensieri teologici, ma se penso all’appartenen-za ecclesiale, mi verrebbe da chiedermi chi sia davvero appartenente alla Chiesa… Non vi stupisca la domanda. Non si salva, anche se incorporato alla Chiesa, chi, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa con il “corpo”, ma non con il “cuore”. La «esimia condizione» di membro della Chiesa non dipende da meriti propri, ma dalla grazia di Dio. È, in altre parole, un dono che impegna alla responsabilità della testimonianza in pensieri, parole e opere, se non si vuole cadere sotto un giudizio più severo di Dio. A quanti domandano di alzare nuovamente la bandiera dell’extra Ecclesiam nulla salus, bisognerebbe ricordare che alla Chiesa è chiesto soprattutto «di svelare al mondo, con fedeltà, anche se sotto ombre, il mistero del Signore, fino a che alla fine dei tempi sarà manifestato nella pienezza della luce». E quanto bene c’è ancora da raccogliere, nel grande campo del mondo!

E ancora. Noi crediamo che la salvezza significhi la risurrezione della carne, la vita eterna, il perdono dei peccati, la comunione piena con Dio e con i fratelli, il fiorire dell’umano nell’amore. Se avvertiamo che una vita donata è già, sin d’ora, una vita che gusta la salvezza è perché conosciamo Gesù, sappiamo, nella fede, di lui che ha pronunciato certe parole, ha com-piuto certi gesti, ha preteso di dire e fare con l’autorità e lo sguardo di Dio, rivolgendosi a tutti, ma proprio a tutti. Gesù è l’unico Signore, l’unico nome nel quale trovare salvezza, ma il mistero pasquale è il “luogo” in cui, in modo pieno e definitivo, si è manifestata e si è realizzata la salvezza di tutti e alla quale tutti si riferiscono, come ricorda un intenso testo di Gaudium et Spes (n. 22). Noi non sappiamo come questo avvenga concretamente: sap-piamo, però, che ovunque un uomo viene salvato è all’opera Cristo. Possia-mo riconoscere la bellezza nel vissuto di altri credenti, così come possiamo ammettere che determinati aspetti di una religione possano eventualmente avere portata salvifica per chi vi aderisce, solo e sempre perché riconoscia-mo, nella fede, che Gesù Cristo pone la sua firma su ogni cosa. Tutto quan-to, nelle diverse religioni, è bello e ha sapore di salvezza, ha sempre riferi-mento a Cristo, l’unico nome in cui c’è salvezza. A lui, tutto noi restituiamo.

Coloro i quali non hanno ancora ricevuto il messaggio evangelico appar-tengono non a una ipotetica umanità non riscattata, ma a questo genere umano destinato e chiamato alla salvezza dal sacrificio della morte di Cri-sto, e che a questo fine riceve i mezzi necessari in un modo che Dio conosce.

In questo contesto del “pensare bene”, si pone – come accennato – tutto

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il capitolo sul dialogo e l’annuncio. Innanzitutto dovremmo distinguere le esigenze dell’integrazione dal dialogo interreligioso. Con il termine “inte-grazione” intendo quelle dinamiche attraverso le quali uno straniero si inserisce gradualmente in un nuovo ambiente sociale, lavorativo o civile. Il termine “dialogo”, invece, rientra nel nuovo modo di concepire la missione della Chiesa e comprende ogni tipo di relazione stabilita con un credente di altra fede.

Da questo si può dedurre facilmente che sono diversi gli ambiti in cui ci si pone, anche se talvolta la comunità civile (amministrazioni, istituti scola-stici, partiti, fabbriche) e la comunità religiosa (operatori di vario tipo, edu-catori, centri parrocchiali, esponenti dell’episcopato e del clero) invadono l’una gli ambiti dell’altra. La distinzione va mantenuta e non tanto per crea-re muri contrapposti, quanto perché sono diverse le domande che animano i due referenti, sono diverse le risposte e sono diversi gli esiti.

Riguardo all’integrazione, è importante ribadire quanto questa sia lega-ta alla chiarezza dei diritti e dei doveri, alle risposte date a tempo debito e non fuori tempo massimo, con quel realismo che ha caratterizzato sempre lo stile italiano, magari confuso, dell’attenzione agli stranieri. Il dialogo interreligioso, da parte sua, non nasce da necessità attuali o da emergenze recenti: a sorreggerlo vi è una storia e soprattutto dei motivi originati dalla novità stessa del messaggio cristiano, il quale vede nella rivelazione trinita-ria di Dio il modello di ogni relazione. Il volto di Dio, così come comunicato in Gesù Cristo, è estremamente dinamico e fecondo e non può non riprodur-si nelle relazioni che la comunità ecclesiale vive al suo interno e al suo ester-no. Il dialogo interreligioso non è una controversia e nemmeno un confronto di sistemi, ma un incontro di credenti. Non è luogo per le conversioni, ma luogo per “la conversione” a Dio. Dialogare non è negoziare un contenuto. È un servizio reso all’umanità perché significa «l’insieme dei rapporti inter-religiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento nell’obbedienza alla verità e nel rispetto delle verità» (Dialogo e annuncio, 19). Siamo davanti ad un atteggiamento spirituale attraverso il quale la persona entra in dialogo con Dio, purificando cuore ed esistenza; ne nasce un servizio reso alla fede pro-pria e altrui, sentita come risposta alle attese di Dio su di sé.

È stato scritto: «La civiltà non è altro che il dialogo creato dall’uomo e benedetto da Dio»: nella logica dell’incarnazione e del messaggio cristiano, quindi, siamo dei “condannati al dialogo” che, pazientemente, cercano di riconoscere il profilo umano e spirituale dell’altro. Il dialogo è un’arte senza vincitori né vinti, ma esprime la maturità delle culture, delle personalità e dei gruppi. Una vera diaconìa nei confronti del mondo.

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“Pensare cristiano costa fatica”, è stato scritto: è un impegno nuovo quello di muovere il pensiero cristiano sulle vicende attuali, testardamente convinti che bisogna guardare la terra con gli occhi del Vangelo. E magari pronunciare parole rischiose, ma cariche di responsabilità, anche se non ricambiate.

Saper fare

Mi piace usare l’espressione “pedagogia dei gesti”: cosa intendo con questo termine? Intendo una serie di attenzioni che potrebbero accompa-gnare chiunque voglia accostare dei credenti di altra fede con un minimo di realismo, di accortezza e di sensibilità. Qualora si concedesse spazio soltan-to alla paura, alle reazioni scomposte e precipitose, oppure ai giudizi affret-tati non faremmo un buon servizio né alla conoscenza loro, né alla nostra intelligenza.

Una pedagogia dell’incontro ci porta innanzitutto a guardarci attorno, per cogliere il fenomeno reale: abbiamo una mappa delle tinte con cui si colora il panorama religioso del nostro Paese? Quanti sono i musulmani, i buddisti, i sikh? Da dove vengono? Quali sono le loro attese e i loro disagi? Quali sono gli equivoci e le reali possibilità di ascolto reciproco? Ci sono esperienze già in atto?

Una pedagogia dell’incontro porta ad interrogarci sulla esaustività con cui ci affacciamo sullo spazio degli altri: non possiamo fermarci solo al piano culturale, umanistico, artistico o anche religioso, senza assumere global-mente la fatica del pensare le religioni e le culture come fenomeno ampio. Non siamo davanti ad un puro godimento esotico della religione altrui.

Poi arrivano le risposte operative: l’accoglienza, spicciola, l’urgenza umanitaria, i diritti, la casa, il lavoro… L’immigrazione è una questione di incontro fra culture e religioni, da preparare e gestire anche nei paesi di partenza, oltre che di arrivo. Inoltre, potremmo chiederci: bisogna ridurre tutto l’operato della Chiesa alla generosità e all’assistenza, per quanto enco-miabili o non dovremo dare più spazio a relazioni coraggiose, ad un lavoro di educazione, ad una riflessione franca anche su quanto sta avvenendo? Capi-ta spesso di vedere la società civile e il mondo ecclesiale spaccati in due: da una parte si hanno i buoni e i possibilisti, dall’altra i cattivi e i preoccupati. Mettere insieme, però, la chiarezza, il rispetto della persona, le risposte giu-ridiche e legislative, le riflessioni della fede e la fantasia concreta è un’arte estremamente particolare. Promuovere anche in casa nostra un pensiero ed un confronto sereni, pazienti, aperti al dibattito e alle possibilità è compito

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arduo cui non siamo sufficientemente preparati. Proiettarsi sui tempi lun-ghi e impiegare grande vigilanza per non lasciarsi guidare da ingenuità o da reazioni emotive sconsiderate è probabilmente una forma di fiducia che va recuperata, senza dimenticare che una pedagogia dell’incontro porta ad una educazione reciproca, faticosa, rispettosa, ma dovuta.

Una “pedagogia dell’incontro”, in definitiva, avrebbe bisogno di tante sfumature. La situazione odierna ci porta a credere nell’incontro della vita e della collaborazione fattiva nei luoghi in cui vi sia già la prossimità. Sarà poi importante imparare i propri linguaggi, quali ci sono dati dalle tradizioni, dai contenuti, dai riferimenti esistenziali.

Una conclusione provvisoria

Sembra che il cristianesimo, per lo meno in Occidente, stia perdendo terreno di fronte ad altri fenomeni o correnti religiose. Lasciamo ad altri considerazioni più precise relativamente ai modelli dell’integrazione o della scuola interculturale e affermiamo serenamente che ci troviamo in situazio-ne fragile: potremmo parlare di «vigilia», oppure di «parto», magari anche di un «esodo» che ci porta in terreni inesplorati. Anche semplicemente prendendo come riferimento l’ambito della pastorale, assistiamo al diffon-dersi di situazioni inconsuete. Ci accorgiamo che il vivere comune rende più vicini di quanto non lo faccia la sensibilità religiosa e ne nasce la domanda di cosa chieda oggi una reciproca ospitalità, qualora questa significasse fare spazio e fare parte nelle dimensioni teologiche, nelle strutture pastorali, sociali e nell’ambito politico, chiamati come siamo ad una corresponsabilità capace di determinare il futuro.

Credo, infine, che dovremo accettare il fatto che nell’attuale contesto di pluralismo le religioni siano chiamate a porsi in regime di libera concor-renza… una frase equivoca, magari…: non penso tanto a quel disimpegnato supermercato del sacro da cui ci mettono in guardia oggi i sociologi della religione, quanto piuttosto a una situazione in cui tutti i credenti sono chia-mati ad offrire il meglio della loro tradizione, in una sana competizione dove la responsabilità della fede personale diventa sostenibile e credibile, soprat-tutto se capace di prendersi a cuore le grandi questioni del mondo d’oggi. Su questo aspetto le religioni sono chiamate a concorrere. Nel Corano tro-viamo scritto: «Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola nazione: non lo ha fatto per provarvi mediante ciò che vi ha dato. Gareggiate dunque in opere buone! Ritornerete tutti a Dio, ed egli vi farà conoscere ciò su cui siete discordi» (sura 5,48).

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E per concludere davvero, un riferimento letterario: Ulisse è la figura che in mano a tanti autori ha finito per significare l’uomo in movimento. Scriveva Mircea Eliade: «Ulisse è per me il prototipo dell’uomo, non solo dell’uomo moderno, ma dell’uomo dell’avvenire, in quanto è l’esempio dell’uomo braccato. Il suo era un viaggio verso il centro, verso Itaca, cioè verso se stesso... Saremo tutti un po’ come Ulisse, cercandoci, sperando di arrivare, e poi indubbiamente ritrovando la patria, il focolare, ritrovando noi stessi. Ma, come nel labirinto, in ogni peregrinazione si rischia di per-dersi. Se si riesce ad uscire dal labirinto, a ritrovare il proprio focolare, allo-ra si diventa un altro essere».1

1 ELIADE M., La prova del labirinto, Jaka Book, Milano 1980, 89s.

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Intercultura, dialogo interreligioso e pastoraleIntervento di S.E. mons. Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario eme-rito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

“Denken ist danken”, dicono i tedeschi giocando sulla assonanza, vale a dire che, se pensiamo, naturale sorge il ringraziamento. Siamo qui per riflettere, oggi, certo anche sulle buone pratiche, per cui ringrazio tutti e ciascuno, esprimendo quasi una gradita meraviglia che si sia giunti già al XIV Convegno dei Centri Interculturali quando da poco, in genere, nell’arena internazionale, si è passati gradualmente a parlare di intercultu-ralità invece di multiculturalismo. In effetti quest’ultimo è una realtà che, in fondo, indica uno sviluppo separato delle varie comunità, quasi un’“apar-theid” che non conduce alla condivisione dei valori e all’apporto di ciascuna componente della società verso qualcosa di comune.

Del resto sarebbe significativo, ma non lo farò, considerare come è cam-biato il tema che mi si è voluto affidare oggi per la trattazione e così ora suona: “Intercultura, dialogo interreligioso e pastorale”.

Ma partiamo dalla realtà che si impone a noi e la traggo dai dati sulle nascite in Italia, nel 2010, da poco pubblicati. Se ne deduce che i bambini con almeno un genitore straniero sono stati 107.000 (il 19% del totale), per-centuale che sale al 29% in Veneto e Lombardia. È uno spaccato dell’Italia del presente, ma che disegna, al tempo stesso, il volto dell’Italia del futuro. Stiamo dunque qui, in questi due giorni, con le mani impastate di avvenire.

* * *

Mi piace, considerando Vicenza che ospita questo Convegno, ricordare che il suo Vescovo, Mons. Pizziol, nella sua intervista in occasione del nuovo anno pastorale (La Voce dei Berici, 4 sett. 2011), nel contesto della testimo-

XIV CONVEGNO NAZIONALEDEI CENTRI INTERCULTURALI D’ITALIAOrganizzato in collaborazione con l’Ufficio Migrantes di Vicenza, Vicenza, 4-5 novembre 2011

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nianza cristiana “competente e operosa negli ambiti dell’umana esistenza”, indicava, come secondo ambito, “il dialogo con la cultura del nostro tempo che esige un ascolto e una conoscenza aperta e intelligente delle molteplici culture che sono presenti nel vostro [nostro] territorio”.

Curiosamente, ma non troppo, lo stesso Pontificio Consiglio della Cultu-ra ha creato un gruppo di lavoro e di studio interdisciplinare sull’intercultu-ralità allo scopo di precisare e approfondire tale realtà-concetto in vista di un aiuto, in tale materia, alle chiese particolari, e non solo.

Nella prima sua riunione, il 5 luglio u.s., non si è mancato di rilevare che il dialogo tra le culture è motore di integrazione (non assimilazione) dei migranti e itineranti. Per favorire tale primo incontro di gruppo, si è prepa-rato un documento di lavoro, dal quale traggo alcuni elementi fondamentali di riflessione per l’azione, mentre rilevo anzitutto che “se Giovanni Paolo II, nell’ambito del dialogo tra le culture, aveva messo l’accento sull’incultura-zione e sul dialogo con le culture, il pensiero di Benedetto XVI lo ha portato sui temi dell’interculturalità”.

Comunque Giovanni Paolo II aveva già iniziato a parlare anche dell’in-tercultura nei suoi interventi degli ultimi anni (v. Messaggio per la Giorna-ta del Migrante e del Rifugiato del 2005, sull’integrazione interculturale, e Messaggio all’incontro promosso dalla Caritas italiana nel novembre 2001). Inoltre nel Giubileo del 2000 si parlava già di intercultura.

In ogni caso, l’interculturalità è l’uscita positiva dalla multiculturalità, è un vivere non chiudendosi nella propria identità (essa, cioè dev’essere aper-ta), ponendosi alle sue frontiere in atteggiamento di apertura, di dialogo, di scambio di valori. La base di un tale atteggiamento è l’uomo e la sua digni-tà, i suoi diritti fondamentali, cosa che tratteremo nel II punto della cristal-lizzazione del nostro discorso, e cioè in materia di dialogo interreligioso.

Certo l’interculturalità è lo spazio del dare e del ricevere con un fron-te economico dove bisogna vincere, con il personalismo, l’individualismo e l’egoismo che presiedono all’attuale cosiddetto ordine politico mondiale. Siamo in effetti una sola famiglia umana, concetto-realtà di cui mi facevo eco nel mio libro-intervista Chiesa e migranti (La Scuola, 2010).

Vi è qui “l’essenza dicotomica di intercultura intesa sia come dialogo tra le culture aperto allo scambio, sia come conseguimento di un ampio consen-

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so su quei valori universali in grado di gettare le basi nella costruzione di relazioni stabili e serene per la pacifica convivenza dei popoli” (v. Intercul-tura e Formazione. I lineamenti teorici e le esperienze, a cura di Giovanna Spagnuolo, Milano, Franco Angeli, 2010, p. 11).

Richiamandomi anche a pensieri già espressi da altri (v. Anna Rita Ravenna, in collaborazione con Simona Iacoella, Verso una società inter-culturale) dirò che per impostare un progetto per una società nuova che non sia solo la somma delle diversità, una società realmente interculturale, “occorre innanzitutto usare il cambiamento imposto dalla immigrazione come strumento evolutivo che agevola l’integrazione interattiva delle diverse culture contemporanee presenti in un territorio, non solo quelle legate ad etnie e razze, ma anche quelle prodotte dalle diverse religioni e diversi usi e costumi”. Dunque “se l’incontro tra culture viene considerato un valore in sé, e non solo il corollario del rispetto delle differenze, il pro-getto di educazione interculturale sarà in grado di creare una nuova cul-tura socialmente condivisa e patrimonio di tutti, un nuovo buon senso con nuovi valori”.

Ecco qui la questione fondamentale, quella della ragionevolezza della nostra richiesta agli altri e alla società interculturale. Leggo ancora nel sag-gio citato: “Questo progetto non parlerà di un’integrazione a senso unico, né dello sradicamento legato alla perdita dei valori di provenienza, ma avvierà un processo di integrazione interattiva attraverso una mutua trasforma-zione tra partner paritetici. La differenza come relazione ed incontro delle polarità è la ricchezza del genere umano, una potenzialità creativa cui acce-dere, da esplorare e non da escludere”.

Le moderne società complesse che vogliono sviluppare effettivamente una realtà interculturale devono riferirsi certo a buoni sentimenti e concetti chiave come accoglienza, solidarietà e tolleranza, ma altresì alla teoria dello sviluppo umano e della cooperazione, alla condivisione ed alla cultura dei diritti.

Non posso terminare questa prima parte del mio intervento senza invitarvi a riprendere in mano l’Istruzione del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti dal titolo La carità di Cristo verso i migranti (EMCC) (v. www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/ migrants/documents/rc_pc_migrants_doc_20040514_erga-migrantes-cari-tas-christi_it.html) che si avviava in questa prospettiva di interculturalità

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già 7 anni fa. Potrebbe interessarvi penso anche qualche capitoletto del mio citato volumetto Chiesa e migranti.

* * *

Già ho accennato in precedenza alla necessità del dialogo interreligioso in prospettiva interculturale, anche perché le religioni permeano la cultura, come del resto lo fanno la secolarizzazione, l’ateismo, l’agnosticismo, il rela-tivismo (anche al plurale, il che non toglie il minimo denominatore comune della parola al singolare).

Dicevo che la base di un atteggiamento di apertura, di dialogo e scambio di valori, è l’uomo, la sua dignità, i suoi diritti fondamentali. Basta leggere a questo proposito il recente discorso di Papa Benedetto, il 23 settembre u.s., a Berlino, ai rappresentanti delle comunità musulmane, dove attestava che “[il] rispetto reciproco cresce solo sulla base dell’intesa su alcuni valori ina-lienabili, propri della natura umana, soprattutto l’inviolabile dignità di ogni persona in quanto creatura di Dio. [Orbene] tale intesa non limita l’espres-sione delle singole religioni; al contrario permette a ciascuno di testimonia-re in modo propositivo ciò in cui crede, non sottraendosi al confronto con l’altro… Il terreno comune per tutti … [è] il riconoscimento di alcuni diritti inalienabili che sono propri della natura umana e che precedono ogni for-mulazione positiva [legislativa]”.

Le religioni devono quindi dare il loro contributo e per farlo è necessa-rio che dialoghino e si intendano su che cosa è il bene comune nazionale e universale, in prospettiva di un ordine mondiale giusto.

È particolare, per la costruzione di un mondo migliore, il contributo degli uomini religiosi che debbono riconoscere al tempo stesso la necessità, per l’efficacia della loro azione, di crescere appunto nel dialogo e nella stima reciproca. Il 27 ottobre u.s., a 25 anni dallo storico primo incontro ad Assisi, ne abbiamo avuto la conferma. Certo qui ancora nasce la domanda su quale forma sia più adatta a rinnovare questa nostra comune umanità, e per noi cattolici quale la modalità specifica cristiana dell’interculturalità.

Potremmo qui richiamarci all’Ecclesiam suam di Paolo VI, all’afferma-zione di Giovanni Paolo II che la prima e fondamentale via della Chiesa è l’uomo (v. Redemptor hominis), all’impegno richiesto dalla Caritas in veri-tate per il bene comune universale e per una sola famiglia umana. Certo,

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come si dice nel documento del Pontificio Consiglio della Cultura, citato all’inizio, “al centro del dialogo sta la questione dei parametri antropologici, la cui concretezza storica ci fa trovare immediatamente la normativa cristo-logica”: l’uomo è creatura a immagine del suo Creatore.

L’interculturalità è dunque apertura alle religioni e anche a forme di non credenza (pensiamo al “Cortile dei gentili”) e all’uomo digitale da evangeliz-zare.

Anche su questo secondo punto del mio intervento non posso tacere il contributo, direi nuovo, dell’Istruzione La carità di Cristo verso i migran-ti. In effetti è il primo documento ecclesiale sulle migrazioni che presenta una categorizzazione dei migranti, cattolici latini, cattolici di rito orientale, cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali, credenti di altre religioni in genere, musulmani, e con 4 attenzioni particolari in contesto di dialogo interreligioso (v. NN. 49-78). Potrebbe essere utile pure la lettura di qual-che capitoletto del mio libro-intervista Chiesa e migranti, già citato, spe-cialmente il XXI e il XXIII.

* * *

E siamo alla terza componente del nostro tema, alla pastorale, certa-mente non in senso stretto e limitante. Di fatto quando abbiamo parlato di interculturalità già stavamo in terreno pastorale, e lo stesso al trattare il tema del dialogo interreligioso. Del resto il Concilio Ecumenico Vaticano II è stato pastorale ma non per questo non è dottrinale, mentre si riferiva altresì alla relazione della Chiesa e dei cattolici con le altre religioni, con le culture, con il mondo. Pensiamo alla Gaudium et spes, ma non solo. Abbia-mo un tesoro dottrinale-pastorale e ce ne siamo spesso dimenticati o lo abbiamo mal interpretato ed erroneamente “ricevuto”. Inoltre la pastorale non è solo per i cattolici. Facciamo un esempio: l’impegno della Chiesa per aiutare i musulmani a non perdere la dimensione trascendente della vita, a contatto con la nostra civiltà occidentale materialista, edonista, pansessuali-sta e relativista, è Pastorale (v. EMCC, NN. 59 e 65-66). Ne siamo convinti.

Come vedete, anche qui richiamo La carità di Cristo verso i migranti nel suo sforzo di sintesi dei precedenti documenti ecclesiali e di aggior-namento pastorale. Penso alla sua visione di fede per quanto concerne il fenomeno migratorio, alla migrazione nella storia della salvezza, a Cristo “straniero” e a Maria icona vivente della donna migrante, alla Chiesa della

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Pentecoste, al Concilio Ecumenico Vaticano II, alle linee pastorali del Magi-stero, agli organismi della Santa Sede, agli operatori di una pastorale di comunione (la parte III del documento), alle strutture di pastorale dialogica e missionaria (la IV parte).

E ho presenti altresì le domande molto concrete a cui cercheranno di rispondere gli agenti pastorali che si riuniranno durante questo convegno. Si parlerà di comunità ecclesiali, di parrocchie, dell’esistente e dell’au-spicabile, dell’imprescindibile, dei problemi e delle buone pratiche, della collaborazione (o no) con gli enti pubblici, dell’attuale crisi economica e occupazionale, della pastorale specifica della mobilità umana e della sua integrazione in diocesi, nell’attenzione particolare della I e II generazione degli immigrati, dell’opera di advocacy e di difesa dei diritti, nell’osservan-za dei doveri, di autoctoni ed immigrati, della sollecitudine particolare per il mondo giovanile, dell’ecumenismo e, appunto, del dialogo interreligioso, dell’evangelizzazione e della promozione umana che vanno insieme, della prima evangelizzazione che è, sia pur implicita, la testimonianza della cari-tà-solidarietà-compassione-accoglienza.

Nel capitolo XXII (p. 139) del mio libro-intervista già citato, dal titolo “Migrazione e conflitti. La cura preventiva pastorale”, alla domanda di quali azioni positive possano scaturire da un atteggiamento [della Chiesa] di corresponsabilità con gli Stati per percorsi di pace e non di conflitto in ambito migratorio, così rispondevo: “Principalmente educare a superare mentalità e gesti che nascondono un rifiuto dell’altro o si riducono alla sua esclusione, fino a più ampie limitazioni di diritti o ingiustificate criminaliz-zazioni. Per la Chiesa cattolica questo significa cura pastorale, inserita nella più ampia azione di accoglienza proprio dell’impegno della comunità dei bat-tezzati, ma è anche motivo per elevare la voce perché mai sia dimenticata la giustizia, non solo come applicazione di misure legislative. Non si tratta solo di praticare atteggiamenti di solidarietà, bensì di agire attraverso gli strumenti della politica, del diritto, delle attività istituzionali. Quello che può cogliersi è ormai l’aperta ricerca di nuovi parametri di ordine culturale e legislativo da indicare quali principi base nella gestione, nelle scelte, nella governance e nel momento decisionale, nel decision making, ovviamente in una dimensione internazionale, nella prospettiva di una coesistenza pacifica strutturata secondo criteri di sussidiarietà…”. Ripeto, per la Chiesa cattoli-ca, anche questa è sollecitudine pastorale.

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INDICE ANNATA 2011

ATTI DEL PAPA (elenco dei documenti)

Angelusgennaio – marzo 2011 4aprile – giugno 2011 186luglio – dicembre 2011 282

Regina Coeliaprile – giugno 2011 186

Catechesi settimanaligennaio – marzo 2011 6aprile – giugno 2011 188luglio – dicembre 2011 286

Discorsigennaio – marzo 2011 7aprile – giugno 2011 189luglio – dicembre 2011 289

Letteregennaio – marzo 2011 12

Messaggigennaio – marzo 2011 12aprile – giugno 2011 195luglio – dicembre 2011 301

469

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470

Omeliegennaio – marzo 2011 13aprile – giugno 2011 196luglio – dicembre 2011 303

Lettera apostolica “Quaerit semper” 301Lettera apostolica “La porta della fede” 301

ATTI DELLA SANTA SEDE (elenco dei documenti)

gennaio – marzo 2011 15aprile – giugno 2011 199luglio – dicembre 2011 307

ATTI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (elenco dei documenti)

gennaio – marzo 2011 17aprile – giugno 2011 201luglio – dicembre 2011 309

ATTI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE TRIVENETO

Riunioni della Conferenza Episcopale Triveneto15 marzo 2011 2413 settembre 2011 31629 novembre 2011 317

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471

DocumentiComunicato stampa direttori uffici Migrantes del NordEst e sa-cerdoti stranieri e italiani che seguono le comunità straniere di religione cattolica

22

Visita pastorale del Santo Padre Benedetto XVI ad Aquileia e Venezia (7-8 maggio 2011)

204

ATTIVITÀ DEL VESCOVO

Lettere alla DiocesiMessaggio natalizio 320

Omelie e interventi varigiugno 2011 228luglio – dicembre 2011 322

Diario e attività giugno 2011 231luglio – dicembre 2011 358

Nomine vescoviligiugno 2011 232luglio – dicembre 2011 367

Provvedimenti vescoviliDecreto sulla remissione della scomunica relativa all’aborto pro-curato

370

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VITA DELLA DIOCESI

Attività del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale Diocesanoluglio – dicembre 2011 378

Sacerdoti defuntigennaio – marzo 2011 67aprile – giugno 2011 250luglio – dicembre 2011 402

VarieProvvedimenti dell’Amministratore diocesano 28Assemblea del clero “C’è Campo?” (II parte, 10 febbraio 2011) 29Rendiconto relativo all’erogazione delle somme attribuite alla Diocesi dalla Conferenza Episcopale Italiana ex art. 47 della leg-ge 222/1985 (8 per mille) per l’anno 2010

46

Bilancio Caritas 49Insegnanti di religione (elenco anno scolastico 2010-2011) 53Mons. Beniamino Pizziol Vescovo della Diocesi di Vicenza 234Assemblea del clero di giovedì 22 settembre 2011 372Sacre ordinazioni tenute nell’anno 2011 400

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473

CONTRIBUTI TEOLOGICO-PASTORALI

Memoria di Aquileia. Presentazione del primo Convegno di Aquileia. Intervento di mons. Giuseppe Dal Ferro alla Consulta Triveneta delle Aggregazioni Laicali – Zelarino (VE), 30 ottobre 2010

72

Il ruolo dei cattolici nella costruzione dell’Italia unita e della sua collocazione in Europa. Intervento tenuto da Luigi Pizzolato al Convegno socio-politico delle Aggregazioni Laicali su “I cattolici e l’unità d’Italia nel contesto europeo” – Vicenza, Palazzo delle Opere sociali, domenica 7 novembre 2010

86

La nuova evangelizzazione. Fede cristiana e relativismo. Prolu-sione di S. Ecc. mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, alla Scuola di Cultura Cattolica “Mariano Rumor” – Vicenza, Palazzo delle Opere Sociali, 13 febbraio 2011

93

Il vangelo guida maestra anche per la vita economica: Evange-lizzare abitando l’impresa e la professione con sguardo di Fede. Lezione tenuta dal prof. Angelo Ferro, Presidente Nazionale UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti), alla Scuola di Cultura Cattolica “Mariano Rumor” – Vicenza, Palazzo delle Opere Sociali, 27 febbraio 2011

103

Il contributo della scuola alla responsabilità educativa della società. Riflessioni di mons. Roberto Tommasi, sulla scia degli Orientamenti Pastorali CEI 2010-2020, all’Incontro diocesano dei Dirigenti Scolastici – Villa San Carlo, Costabissara, 31 marzo 2011

117

Fragilità umana. “Luogo evangelico di prossimità e di speranza”. Ciclo di lezioni tenute alla “Scuola del lunedì” nei mesi di febbra-io-aprile 2011:

128

- L’esperienza del dolore e la preziosa fragilità della perso-na umana (mons. prof. Roberto Tommasi, docente nello Studio Teologico del Seminario e all’I.S.S.R. di Vicenza, 7 marzo 2011)

129

- L’umano soffrire: approccio biblico (prof. don Aldo Martin, biblista, docente nello Studio Teologico del Seminario e all’ISSR di Vicenza, 14 marzo 2011)

165

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Festival Biblico VII edizione “Di generazione in generazione”, 20-29 maggio 2011

252

- “Di generazione in generazione: un filo interrotto?” Lec-tio magistralis di Salvatore Natoli, professore di Filosofa Teoretica presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli studi di Milano Bicocca – Presenta-zione della VII edizione del Festival Biblico “Di genera-zione in generazione” (Gl 1,3), Chiesa di Santa Maria in Araceli, Vicenza, 22 marzo 2011

252

- “Bibbia. Una fede di padre in figlio” di S.Em. Card. Gian-franco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

260

- “Maria che genera, simbolo per eccellenza del credente”, di padre Ermes Ronchi, teologo

263

- “Il bene comune della memoria patrimonio da valorizza-re”, di Duccio Demetrio, docente di filosofia dell’educazio-ne all’Università di Milano

266

- “Identità della Chiesa e dialogo tra le generazioni”, di Ro-berto Mancini, filosofo

270

- “Abbiamo fiducia: il tempo dell’educazione non è finito”, di Paola Bignardi, pedagogista

273

“Le democrazie a confronto”, 44° Convegno sui problemi inter-nazionali organizzato dall’Istituto di Scienze sociali “Nicolò Rez-zara” di Vicenza (Recoaro Terme, Fonti Centrali, 9-11 settembre 2011):

406

- Introduzione ai lavori di S. Ecc. mons. Beniamino Pizziol, Vescovo di Vicenza

406

- “La comunione, modello cristiano di vita sociale” (Sua Em.za card. Josè Saraiva Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi)

409

- “Valori costitutivi della democrazia” (prof. Giorgio Campa-nini, Università di Parma)

417

- “Orientamenti conclusivi” a cura di mons. Giuseppe Dal Ferro

428

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475

Ciclo di lezioni tenute alla “Scuola del lunedì” nei mesi di otto-bre-novembre 2011:

433

- “Consegna e promessa. La ‘traditio’ e i suoi testimoni” (sig.a Simonelli Cristina, docente presso la Facoltà Teolo-gica dell’Italia Settentrionale e presso lo Studio S. Zeno di Verona, 7 novembre 2011)

434

- “Il magistero vivo della chiesa ossia la cura per la testimo-nianza della fede” (prof. don Giampietro Ziviani, docente alla Facoltà del Triveneto, 14 novembre 2011)

444

- “Testimoniare la fede nel quadro pluralistico delle religio-ni” (prof. don Giuliano Zatti, docente presso la Facoltà del Triveneto, 21 novembre 2011)

452

“XIV Convegno Nazionale dei Centri Interculturali d’Italia” organizzato in collaborazione con l’Ufficio Migrantes di Vicenza, Vicenza, 4-5 novembre 2011:

462

- “Intercultura, dialogo interreligioso e pastorale” (S.E. mons. Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario emeri-to del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti)

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Indice generale annata 2011 469

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